• "Ce sont les capitalistes qui bloquent et sabotent l’économie"

    Cercle Léon Trotsky : Introduction sur le mouvement contre la réforme des retraites (Jean-Pierre Mercier)

    https://videos.lutte-ouvriere.org/download/video/20230310-clt-chine-introduction-retraites-sd.mp4

    [...] C’est en se mettant en grève que les travailleurs peuvent occuper leur entreprise et contester la propriété privée patronale. Et ça, les patrons en sont pleinement conscients, plus que la majorité des travailleurs. C’est cela qu’ils craignent plus que tout. [...] Ce ne sont pas les travailleurs qui bloquent l’économie, ce sont les capitalistes. Ce sont eux qui bloquent et sabotent l’économie, pas les travailleurs qui la font tourner. Ce sont les capitalistes qui bloquent les millions de travailleurs sans emploi qui sont en train de s’appauvrir au #chômage et à qui Macron vient encore de supprimer des droits. Ce sont les capitalistes qui sont en train de bloquer des millions de jeunes et de moins jeunes dans la #précarité, leur imposant les postes les plus durs et les plus mal payés. Ce sont les #capitalistes qui bloquent les salaires face à une inflation galopante. Ce sont les capitalistes qui veulent nous bloquer deux ans de plus au boulot. Ce sont les capitalistes qui bloquent l’économie en la sabotant avec leur spéculation, avec leur rentabilité, leurs bénéfices, leurs dividendes. Ce sont les capitalistes qui bloquent l’#économie avec leur sacro-sainte propriété privée de leurs usines et de leurs banques. En tant que communistes révolutionnaires, notre objectif est que les travailleurs se débarrassent de ces parasites, de ces saboteurs, prennent en main les rennes de la société. Non pas pour la bloquer mais pour la réorganiser de fond en comble et la faire tourner et satisfaire les besoins élémentaires de la population. [...]

    #réforme_des_retraites #capitalisme #parasitisme #classe_capitaliste #propriété_privée_des_moyens_de_production #grève #lutte_de_classe #communisme_révolutionnaire #révolution_ouvrière #révolution_prolétarienne #sabotage #LO #Lutte_Ouvrière #Jean-Pierre_Mercier

  • L’8 marzo “clandestino” delle donne afghane che resistono ai Talebani

    Nonostante le difficoltà e le minacce, le attiviste celebrano la giornata per ricordare che il cambiamento è sempre possibile. Anche in un Paese dove oggi violenze domestiche e persino l’uccisione di una figlia non vengono puniti.

    Buio. Temperature polari, neve, fango e ancora buio. Di sera la città scompare nell’oscurità. L’elettricità c’è raramente. Le luci stradali e quelle dentro le case sono spente. I passi incerti degli uomini per strada, come fantasmi. Resti di una vita che non c’è più. Miliziani ovunque, posti di blocco. Sono vestiti meglio i Talebani: buone divise, mezzi potenti, armi efficienti, ereditati dall’esercito e dagli americani. È questa la Kabul che ritrova Rehana, militante della Revolutionary association of the women of Afghanistan (Rawa) dopo una lunga assenza. Nemmeno nelle case si sta al sicuro. I miliziani arrivano, sono una cinquantina. Circondano un quartiere, chiudono le strade. Poi entrano nelle abitazioni e perquisiscono, buttano all’aria tutto. Dicono di cercare armi ma rovistano anche nella biancheria delle donne. Alcune tra le nostre amiche attiviste hanno subito questa avventura. Se sei da sola in casa, convocano un testimone maschio altrimenti non potrebbero entrare. Mostrano a tutti che hanno il controllo del Paese, seminano paura. E ci riescono benissimo.

    La paura è entrata infatti nella pelle di tutti. Rehana racconta di averla davanti agli occhi ogni giorno quando prende l’autobus. Ha tempo di osservare dalla sua postazione di donna, schiacciata con le altre, in fondo. I posti buoni sono per gli uomini. Uomini spenti, sguardi opachi. Ascolta la desolazione, l’avvilimento, le storie delle donne. Si scambiano lo sconforto. Non c’è lavoro, non c’è da mangiare, niente per scaldarsi, non possono comprare nemmeno un pezzo di sapone per lavarsi. Le mamme si preoccupano per le figlie. Troppo vuoto nella mente. I disturbi psichici aumentano. Non c’è scuola, né lavoro, né distrazioni, né vita sociale. I Talebani si sono mangiati i loro sogni. Chiuse in casa, spesso una sola stanza, da mesi non possono uscire. È pericoloso: i miliziani possono portarsele via.

    Dopo il devastante terremoto che ha colpito Turchia e Siria il 6 febbraio molti hanno preso d’assalto l’aeroporto di Kabul, con l’obiettivo di salire sugli aerei che partono per portare soccorso: file di automobili come nell’agosto 2021, tanti venivano anche da altre province. La Turchia è la meta da raggiungere a qualsiasi costo: i Talebani sono spiazzati, fanno fatica ad arginare l’assalto, si spara fino a tarda sera. La gente, in città, pensa che ci sia stato un attentato. Khader non è riuscito a partire: “Comunque qui si muore. Preferisco perdere la vita sotto le macerie di un terremoto che qui”.

    Nel buio delle strade succede di tutto e al mattino si trovano i cadaveri. Il 9 febbraio, i Talebani hanno dichiarato di averne raccolti 148 nel corso del mese precedente. Si muore di freddo, di fame, di droga, per mano talebana, per l’aggressione da parte di un criminale, per omicidio, per attacchi suicidi.

    La stessa cupa prigione è saldamente installata nella mente degli uomini. Sahar, insegnante, racconta cos’è successo nel suo quartiere a una famiglia che conosce di vista. Un padre, Faiz, ama sua figlia quindicenne (così dice): bella, istruita, allegra, ne è fiero. La sorveglia costantemente: lei è preziosa, il suo migliore affare. La vende in sposa, con suo grande profitto, a un suo collega, un uomo rispettabile, più anziano di lui.

    Lei, Zahra, invece, ha altri progetti. È innamorata e si vede di nascosto con il suo fidanzato Amid, progettano la fuga. Ora che il padre l’ha promessa, non esce più. Il ragazzo di notte riesce a entrare nella sua stanza, vuole vederla. Sono vicini, si tengono le mani. Faiz, padre che ama sua figlia, controlla. La vita di Zahra gli appartiene, l’affare è già combinato. Tutta la casa controlla, anche i muri, gli scricchiolii, i pavimenti: tutte spie di Faiz. Allarmato, entra nella stanza, Amid scappa dalla finestra. Faiz prende il suo fucile e gli spara, ma ormai il ragazzo è sparito nel buio.

    Così, si gira, con la furia negli occhi, mentre la figlia gli urla che vuole sposare Amid, solo lui. Non ci pensa molto, riempie il corpo della sua bambina di pallottole. Zahra viene uccisa. Il padre solleva il cadavere, così leggero e lo getta nel cortile. I vicini si affacciano, le donne urlano. Faiz è ancora lì, con il fucile in mano e spinge via con i piedi il corpo della figlia. I vicini, spaventati, denunciano l’omicidio alle autorità. Eccoli, i “giudici”, con il turbante di traverso, armati fino ai denti. Gli occhi accesi da chissà quale delirio. Vedono il corpo della ragazza, nessuno ha osato spostarlo. Entrano in casa dove la madre non smette di singhiozzare. Parlano con Faiz. Ascoltano, annuiscono. I vicini spiano dalle finestre. Escono nel cortile per assistere alla “giustizia talebana”’. Ecco, ora sarà frustato, arrestato, ucciso, si dicono. Se lo porteranno via. Se lo merita. Ma i Talebani si complimentano con lui, gli danno pacche sulle spalle, lo lodano senza ritegno: “Hai fatto il tuo dovere. Ora il tuo onore è salvo e la sharia rispettata. Tua figlia era una puttana”. Giustizia è fatta.

    Oggi, in Afghanistan, i reati contro le donne non hanno nemmeno la dignità di essere delitti, sono comportamenti governati dalla sharia. Giustificati, accettati, accolti dentro la vita di ogni giorno. I codici cambiano e sono i Talebani a dettarli. La giustizia è sprofondata nel fanatismo. Oggi, nel silenzio del mondo, i Talebani fanno quello che vogliono. Impongono le loro pene: amputazioni, lapidazioni, frustate. E la voce delle donne, inascoltata, perde forza e si prosciuga. Sulle leggi che proteggevano le donne i Talebani non si esprimono nemmeno: per loro non sono mai esistite. Basta la sharia. Copre ogni caso sottoposto alla giustizia. La violenza degli uomini non è più un crimine, tanto meno quella domestica, non è oggetto di alcuna sanzione, è colpa delle donne che non hanno saputo servire bene i loro mariti. L’impunità nutre gli abusi, si annida nelle case, diventa a poco a poco la regola, un tarlo, una malattia. Il triste potere di annichilire devasta il cervello e l’anima degli uomini. Imprigiona la loro mente più del corpo delle donne.

    “Per i Talebani le donne non valgono nulla e tutte le decisioni vengono prese in loro assenza, in corti improvvisate, alla presenza degli anziani della tribù e della famiglia, solo maschi. Sono le vittime a rischiare: sanzioni, prigione o violenze sessuali da parte dei giudici”
    – Mirwais, avvocato penalista

    Chi ha difeso le donne è sotto tiro: avvocate, giudici, procuratrici, vivono nascoste sotto continua minaccia di morte. Sono conosciute e rischiano molto. Non basta impedire loro di lavorare, per i Talebani vanno eliminate. Soprattutto per quei padri e quei mariti che, a causa loro, erano stati imprigionati. Questi uomini sono stati tutti liberati dai Talebani, già nella loro corsa verso Kabul nell’agosto 2021. Ex prigionieri e combattenti hanno saccheggiato le case di donne giudici. E vogliono la loro vendetta. “Pochissime si rivolgono alle corti talebane per i loro problemi -dice Mirwais, avvocato penalista-. Per i nuovi governanti le donne non valgono nulla e tutte le decisioni vengono prese in loro assenza, in corti improvvisate, alla presenza degli anziani della tribù e della famiglia, solo maschi. Sono le vittime a rischiare: sanzioni, prigione o violenze sessuali da parte dei giudici”. La stampa non c’è più ma qualche notizia sulla “giustizia talebana” filtra sui social network. Ci sono state donne lapidate in diverse province, in quella di Badakhshan in particolare. A Ghowr una donna si è suicidata per sfuggire a questa crudele esecuzione. Nella provincia di Takhar, 40 giovani sono stati frustati in mezzo alla strada e messi in prigione per non aver osservato le prescrizioni su hijab e barbe. Scendere in strada è come andare in guerra.

    L’8 marzo in Afghanistan non c’è nulla da festeggiare. Non c’era nemmeno nei vent’anni passati quando, tranne poche eccezioni, la giustizia per le donne restava una chimera. Ma le militanti afghane che si battono per i diritti delle loro sorelle ci tengono molto a celebrare questa festa. Per loro è sempre stato un giorno importante e lo è ancora. “Serve a ricordarci le vittorie delle donne -dice Gulnaz, militante di Rawa-. Se loro ce l’hanno fatta, ce la faremo anche noi. Ci vorrà molto tempo ma le cose cambieranno. Oggi sappiamo che continueremo a combattere, con le armi della consapevolezza, dell’istruzione, della cura, della resistenza e con la forza della vita stessa. È questa che dobbiamo celebrare oggi”. Rawa e le altre associazioni di donne continuano a lottare. Trovano ogni escamotage per realizzare quello che serve: scuole, rifugi, ambulatori. Tutto segreto, per una vita che non si fa schiacciare. Continuano a inventare e a dare speranza alle donne. Rawa ci sarà l’8 marzo: le militanti arriveranno per l’occasione addirittura da altre province. Nonostante tutto, nei modi più fantasiosi, riusciranno ad affermare la certezza che qualcosa si può sempre fare per arginare l’orrore e nutrire la forza delle donne. Un giorno di coraggio che, ancora, i Talebani e gli altri tagliagole non sono riusciti a devastare.

    https://altreconomia.it/l8-marzo-clandestino-delle-donne-afghane-che-resistono-ai-talebani
    #Afghanistan #femmes #résistance #Revolutionary_association_of_the_women_of_Afghanistan (#Rawa) #Kaboul #peur #justice

  • 9 mars 1952 : mort d’Alexandra Kollontaï

    [et non 1974, comme indiqué par erreur sur marxists.org]

    Textes : https://marxists.org/francais/kollontai/index.htm

    1909
    – Les problèmes de la prostitution
    – Les bases sociales de la question féminine

    1912 Le #prolétariat international et la guerre

    1916 Les internationalistes veulent-ils une scission ?

    1917 Nos tâches

    1918
    – La famille et l’Etat communiste
    – Avant-propos à « La lutte des travailleuses pour leurs droits »
    – Discours aux femmes travailleuses

    1919
    – Résolution sur le rôle des femmes travailleuses

    1920
    – La Journée Internationale des Femmes
    – L’Affranchissement de la femme

    1921 L’#Opposition_Ouvrière
    – Thèses sur la #morale_communiste dans le domaine des relations conjugales
    – La dernière esclave
    – La Conférence des Organisatrices-Communistes des Femmes de l’Orient
    – La #propagande parmi les femmes : rapport au Congrès de l’#Internationale_Communiste
    – Conférences à l’université Sverdlov sur la #libération_des_femmes

    1922
    – L’arrivée de Lénine à Petrograd

    1923
    – Place à l’Éros ailé ! (Lettre à la jeunesse laborieuse)

    1925 Article autobiographique
    – Premiers souvenirs sur Lénine

    1926
    – But et valeur de ma vie (extrait)

    1946
    – En pensant aux grandes choses, Lénine...
    s.d.
    – Lénine et le premier Congrès des femmes travailleuses
    – Lénine et les étoiles
    – La Première allocation
    – Lénine à #Smolny
    – Au Commissariat du peuple à l’Assistance publique
    – La voix de #Lénine

    #éphéméride #alexandra_kollontaï #bolchévik #révolution_russe #féminisme #marxisme #militante_féministe #communisme_révolutionnaire #féministe #amour_libre #amour_camaraderie #internationalisme

  • La carte des absent·e·s : Téhéran 1979-1988
    https://visionscarto.net/carte-absent-e-s-teheran

    Bahar Majdzadeh cartographie l’absence des militant·e·s de la Révolution de 1979 dans la capitale iranienne. Sa carte interactive et participative fait remonter à la surface la répression sanglante qu’ont subi les partis politiques opposés à la république islamique pendant les années 1980. Cette destruction politique a été suivie par celle de la mémoire de ces révolutionnaires, une mémoire que la chercheuse réinscrit patiemment dans l’espace symbolique des cartes. par Bahar Majdzadeh, docteure en arts, (...) #Billets

  • Il y a 8 ans, le 6 mars 2015, lors d’un Cercle Léon Trotsky, LO analysait le conflit dans lequel était déjà plongée l’Ukraine. On peut consulter cet exposé ici :

    Un quart de siècle après l’éclatement de l’URSS, le peuple ukrainien victime des rivalités entre l’impérialisme et la Russie de Poutine
    https://www.lutte-ouvriere.org/documents/archives/cercle-leon-trotsky/article/un-quart-de-siecle-apres-l
    #conférenceLO du 6 mars 2015

    https://videos.lutte-ouvriere.org/download/video/CLT-Ukraine-part1.mp4

    https://videos.lutte-ouvriere.org/download/video/20150306_CLT_Ukraine_part2.mp4

    Sommaire :

    De la «  prison des peuples  » à l’Union des républiques socialistes soviétiques
    – La guerre civile en Ukraine

    Le charcutage de l’Europe de l’Est par l’impérialisme

    La bureaucratie stalinienne piétine le droit des peuples

    De Yalta à l’éclatement de l’Union soviétique

    La disparition de l’Union soviétique sous l’effet des forces centrifuges
    – La prudence initiale des dirigeants impérialistes
    – Le pillage légalisé sous couvert de «  l’économie de marché  »
    – L’indépendance des Républiques ex-soviétiques

    L’indépendance de l’Ukraine en 1991
    – Bureaucrates et oligarques se partagent pouvoir et richesses…

    Les grandes manœuvres des impérialistes autour de la Russie

    Poutine et la restauration de la puissance de l’État russe

    L’Ukraine, arène sanglante des rivalités entre les impérialistes et le Kremlin
    – L’Union européenne n’a que du sang et des larmes à proposer à l’Ukraine
    – La population ukrainienne, victime des oligarques et de la crise économique
    – Les manifestations du Maïdan encadrées par des partis réactionnaires
    – L’Ukraine bascule dans une guerre civile meurtrière

    Les travailleurs doivent opposer leurs propres intérêts au piège mortel de la guerre

    #ukraine #maïdan #guerre #lutte_de_classe #Poutine #oligarchie #oligarques #État_russe #russie #impérialisme #manifestations #bureaucratie #histoire #droit_des_peuples #UE #union_européenne #États-Unis #révolution_russe

  • #Malatesta #anarchisme #Révolution
    #tyrannie #terreur #domination...

    ★ LA TERREUR RÉVOLUTIONNAIRE par Errico Malatesta (1923) - Socialisme libertaire

    Il y a un problème général de tactique révolutionnaire qu’il convient toujours de discuter et de rediscuter, parce que de sa solution peut dépendre le sort de la révolution qui viendra.
    Je n’entends pas parler de la manière dont peut être combattue et abattue la tyrannie qui, aujourd’hui, opprime tel peuple en particulier. Notre rôle est de faire simplement œuvre de clarification des idées et de préparation morale en vue d’un avenir prochain où lointain, parce qu’il ne nous est pas possible de faire autrement. Et, du reste, nous croirions arrivé le moment d’une action effective... que nous en parlerions moins encore.
    Je m’occuperai donc seulement et hypothétiquement du lendemain d’une insurrection triomphante et des méthodes de violence que certains voudraient adopter pour « faire justice », et que d’autres croient nécessaires pour défendre la révolution contre les embûches de ses ennemis (...)

    ▶️ Lire le texte complet…

    ▶️ https://www.socialisme-libertaire.fr/2017/01/la-terreur-revolutionnaire.html

  • Le prolétariat international, la seule classe capable de mettre fin au capitalisme et à l’exploitation !

    #archiveLO #conférenceLO (Cercle Léon Trotsky du 4 mars 2011)

    https://www.lutte-ouvriere.org/documents/archives/cercle-leon-trotsky/article/le-proletariat-international-la-14434

    Sommaire :

    Du #socialisme_utopique aux premières luttes

    1848 : Le Manifeste Communiste...
    – Le prolétarait considéré comme une classe révolutionnaire
    – La #plus-value
    – La nécessité du parti

    ... et la révolution !

    La construction des partis ouvriers
    – Bataille d’idées

    1871 : la Commune de Paris

    De l’apogée de la social-démocratie à sa trahison
    – Développement de la social-démocratie et du prolétariat
    – L’illusion réformiste

    La #révolution_russe de #1917

    Le stalinisme, ennemi du mouvement ouvrier
    – Un courant contre-révolutionnaire
    – Des situations révolutionnaires trahies par le #stalinisme

    Les #révolutions_anticoloniales : une occasion perdue

    La trahison de l’#intelligentsia

    Le prolétariat, classe majoritaire sur la planète

    La classe ouvrière dans les pays du Tiers monde
    – Des zones franches aux usines géantes d’Asie
    – La responsabilité de l’#impérialisme

    Le #prolétariat des pays riches
    – La classe ouvrière industrielle
    – Les #employés, partie intégrante du prolétariat

    Une seule #classe_ouvrière mondiale

    #manifeste_duParti_communiste #nationalisme #indépendance #réformisme #marxisme #parti_révolutionnaire #Karl_marx #Friedrich_Engels #marx #engels #Lénine #trotsky #trotskisme #léninisme

  • 2 mars 1919 : fondation de l’Internationale communiste (IIIe Internationale)

    – La faillite de la IIe Internationale
    – L’Internationale communiste est proclamée
    – L’#IC aux mains de la #bureaucratie

    https://journal.lutte-ouvriere.org/2019/03/06/mars-1919-la-fondation-de-linternationale-communiste_117719. #archiveLO (8 mars 2019)

    Après la révolution russe, quand la révolution internationale était à l’ordre du jour

    https://journal.lutte-ouvriere.org/2009/03/18/il-y-90-ans-mars-1919-la-naissance-de-linternationale-commun #archiveLO (20 mars 2009)

    Du 2 au 6 mars 1919, le congrès de fondation de la #Troisième_internationale se tint à Moscou. C’était l’aboutissement de l’appel lancé par les #bolchéviks dès janvier 1918, à peine quelques mois après la révolution d’octobre 1917 et l’installation du pouvoir ouvrier en Russie.

    Pour les bolchéviks, comme pour tous les marxistes de l’époque et même plus largement pour tous les courants qui se posaient le problème de renverser le #capitalisme, #anarchistes ou autres, le caractère international de la lutte pour l’émancipation des travailleurs était une idée qui allait de soi. Dans l’esprit des bolchéviks, la révolution d’Octobre n’était donc qu’un premier pas : la révolution venait de commencer en #Russie, « le maillon le plus faible de l’#impérialisme » comme la définissait #Lénine, mais elle ne s’achèverait qu’avec la défaite de la #bourgeoisie à l’échelle de la planète. Pour les #révolutionnaires_russes, ce premier succès ne se concevait donc que dans le cadre de la lutte internationale de la classe ouvrière contre la classe capitaliste.

    Dans cette perspective, la Russie révolutionnaire représentait un point d’appui. Les bolchéviks étaient convaincus que l’#État_ouvrier ne pourrait tenir que si d’autres révolutions victorieuses venaient à la rescousse, en particulier dans des pays développés comme l’Allemagne et la France. Il était donc impératif de se donner les moyens d’étendre la révolution et de construire l’instrument nécessaire pour coordonner et diriger la lutte de classe à l’échelle internationale, tâche à laquelle s’attelèrent les dirigeants de l’État ouvrier russe en s’appuyant sur l’immense espoir soulevé par la victoire de la révolution prolétarienne d’octobre 1917.

    La révolution russe avait déclenché dans toute l’Europe, et au-delà, une immense vague d’enthousiasme, ouvrant une nouvelle perspective, redonnant l’espoir, remobilisant tous les militants ouvriers, de toutes tendances, qui se fixaient pour objectif le renversement du capitalisme. Et l’appel lancé à la création d’une nouvelle Internationale ne resta pas sans écho.

    Malgré tous les obstacles mis en place par les gouvernements des grandes puissances pour empêcher les militants de rejoindre Moscou afin de participer à ce congrès de fondation de l’Internationale communiste, le congrès rassembla des dizaines de délégués venant des quatre coins du monde. Parmi ceux qui rallièrent cette Internationale, il y eut certes des anciens dirigeants de la Deuxième Internationale, ces sociaux-démocrates qui n’avaient pas résisté à la vague chauvine au moment de la déclaration de guerre de 1914 et qui avaient rallié l’Union sacrée. Mais Lénine, Trotsky et les dirigeants russes misaient sur l’autorité morale et politique du #Parti_bolchévique, qui venait de démontrer sa capacité à mener le prolétariat jusqu’à la prise du pouvoir, pour imposer à la nouvelle Internationale, à ses partis, aux anciens militants comme aux jeunes générations, une politique communiste révolutionnaire sans faille.

    Cette nécessité d’étendre la #révolution pour assurer la survie de la Russie ouvrière était vitale, et elle se fondait sur une réalité. À la suite de la prise du pouvoir en Russie, une montée révolutionnaire se manifesta dans toute l’Europe, qui aurait pu submerger et détruire la bourgeoisie. Ce fut le cas en Allemagne par exemple, mais aussi, à des degrés divers, dans d’autres pays : l’Italie, la Hongrie, etc. Et même si elle ne parvint pas à la victoire, elle saisit de terreur les possédants et les gouvernements devant la perspective de tout perdre, et freina l’intervention des armées des grandes puissances coalisées pour écraser le jeune pouvoir ouvrier russe.

    La Russie soviétique ne fut pas écrasée, mais elle sortit de la guerre et de la guerre civile à bout de souffle, comme « un homme mort » disait Lénine. Dans aucun autre pays la révolution ouvrière ne réussit à triompher. Le jeune État ouvrier resta isolé et de ce fait ne put résister à une #dégénérescence_bureaucratique que rien n’arrêta plus après la mort de Lénine en 1924.

    L’Internationale communiste et les partis qui la composaient, entièrement sous l’autorité de Moscou, suivirent la même évolution et furent rapidement réduits à n’être que des agents de la diplomatie stalinienne. Avec #Staline, la théorie du « socialisme dans un seul pays » fut imposée, rompant avec l’internationalisme du jeune État ouvrier. C’était là tourner le dos au #socialisme, au #communisme. Pourtant, l’#internationalisme survécut grâce à des militants qui, auprès de #Trotsky combattirent contre le stalinisme et sa dictature, sans jamais renier l’objectif communiste. Grâce à ceux qui ont su transmettre aux générations suivantes ce que la révolution russe avait donné de meilleur, l’internationalisme prolétarien des premiers congrès de l’Internationale communiste est toujours vivant !

    #éphéméride #parti_révolutionnaire #social-démocratie #révolution_russe

  • 1789... La Révolution !
    https://www.lutte-ouvriere.org/documents/archives/cercle-leon-trotsky/article/1789-la-revolution

    La révolution française (CLT n°32 du 3 mars 1989, #archiveLO)

    1789 : Les premières étapes de la révolution
    – La convocation des #États_généraux
    – Du #Tiers_État à l’Assemblée nationale
    – 12-14 juillet : l’intervention des masses populaires parisiennes
    – Eté 1789 : les paysans entrent en scène à leur tour
    – 5-6 octobre : les femmes du peuple ramènent le roi à Paris

    De 1790 à 1792 : la révolution s’approfondit
    – L’agitation gagne l’armée royale. Le #massacre_de_Nancy (août 1790)
    #Varennes (juin 1791) : La #monarchie perd son crédit
    – L’Assemblée bourgeoise contre les #sans-culottes
    – Le #club_des_Jacobins
    – L’#Assemblée_Législative succède à la #Constituante (Octobre 1791)
    – La révolution face à la guerre (printemps 1792)
    – 10 août 1792 : les sans-culottes abattent la monarchie

    1793 : « #l'année_terrible »
    – Les Girondins dépassés par la radicalisation du mouvement populaire...
    – ...qui porte #la_Montagne au pouvoir (Juin #1793)
    – « Le peuple français debout contre les tyrans ! » (Août 1793)
    – La #Terreur montagnarde s’appuie sur la mobilisation des masses...
    – ... tout en la conservant sous son contrôle
    – La chute de #Robespierre (27 juillet 1794 - 9 Thermidor)

    1794-1799 : la bourgeoisie à la recherche de sa république
    – La #réaction_thermidorienne / #Thermidor
    – ...contre les soulèvements populaires...
    – ... et face aux tentatives royalistes
    – La #Révolution_française et la naissance de l’Europe moderne
    – L’actualité de la Révolution française : celle de la révolution tout court

    ANNEXE
    #Vendéens et #Chouans contre la Révolution
    Repères chronologiques

  • #Révolution #URSS #FascismeRouge #domination #dictature #totalitarisme #bolchevisme #Lénine #Trotsky #Staline #Cronstadt #persécution #répression #crime

    #anarchisme #conseillisme #émancipation #Voline #EmmaGoldman #SimoneWeil #CorneliusCastoriadis #OttoRühle #HannahArendt...

    ★ LES RÉVOLUTIONNAIRES CONTRE LE FASCISME ROUGE... - Socialisme libertaire

    On ne saurait accuser tous les révolutionnaires d’avoir trempé dans les crimes de Lénine, Staline et leurs continuateurs : tout au long du XXe siècle, des minorités existèrent au sein du mouvement ouvrier, qui non seulement dénoncèrent l’imposture du « socialisme réellement existant », mais tentèrent d’en tirer des leçons pour la critique sociale et l’émancipation des classes dominées (...)

    ▶️ Lire le texte complet…

    ▶️ https://www.socialisme-libertaire.fr/2022/11/les-revolutionnaires-contre-le-fascisme-rouge.html

  • Proudhon et Cham
    http://anarlivres.free.fr/pages/nouveau.html#cham

    Grâce à un amical concours, nous avons pu numériser les albums de caricatures de Proudhon par Cham (« La Banque-Proudhon et autres banques socialistes » et « Proudhon en voyage »), le troisième était déjà disponible sur Internet Archive (« Proudhoniana. Album dédié aux propriétaires »). Cham (fils du Noé de la Bible) est le pseudo d’Amédée Charles Henri de Noé, dessinateur avec Honoré Daumier du journal satirique « Le Charivari ». Son trait est assez sommaire mais il est extrêmement prolifique, inventif, et suit parfaitement les évolutions politiques de son journal. Anti-monarchiste sous le roi Louis-Philippe, « Le Charivari » va saluer avec satisfaction l’avènement de la République le 24 février 1848. Depuis deux jours, sous l’impulsion des libéraux et des républicains, une partie du peuple de Paris – frappé de plein fouet par la crise économique et sociale – s’est soulevée et a pris le contrôle de la capitale (...)

    #Proudhon #Cham #anarchisme #caricature #révolution1848 #Charivari

  • Il y a 180 ans — 1843-1844, adhésion de Marx au communisme

    Avec les #Jeunes-Hégéliens, il avait cru que l’Allemagne pourrait connaître une révolution semblable à ce qu’avait été la #Révolution_française de #1789. A Paris, il voit les choses autrement, en constatant que la haute #bourgeoisie au pouvoir sous #Louis-Philippe n’a plus rien de révolutionnaire, et que l’impulsion libératrice vient désormais d’une nouvelle classe, celle des travailleurs salariés que les socialistes et les communistes appellent le #prolétariat.

    Au cours de l’année 1844, l’#Allemagne est ébranlée ou, pour le moins, secouée par le soulèvement des tisserands silésiens qui, en proie au chômage et menacés de famine, organisent de grandes grèves et s’en prennent aux patrons, à leurs biens et à leurs livres de comptes jusqu’à ce que les troupes prussiennes viennent les écraser. #Heine écrit alors son #Chant_des_tisserands à l’inspiration duquel son ami Marx a peut-être eu une part.

    Dans le Vorwärts (En avant), revue d’émigrés allemands de Paris, Marx déclare : « Qu’on se rappelle d’abord le Chant des tisserands, cet audacieux mot d’ordre de combat où de prime abord le prolétariat crie d’une manière saisissante, brutale, violente, son opposition à la société fondée sur la #propriété_privée. La révolte silésienne commence précisément au point où s’achèvent les mouvements ouvriers français et anglais, c’est-à-dire la prise de #conscience_de_classe du prolétariat. D’où le caractère supérieur de l’action menée par ces #tisserands. Non seulement, ils détruisent les machines, ces rivales des ouvriers, mais aussi les #livres_des_comptes, ces titres de propriété, et tandis que tous les autres mouvements se dirigeaient tout d’abord et exclusivement contre l’#industriel, l’ennemi visible, ce mouvement s’est dirigé en même temps contre le #banquier, l’ennemi invisible. Enfin, aucune révolte ouvrière anglaise n’avait été menée avec un tel courage, une telle maturité d’esprit et une telle persévérance. »

    Ainsi, #Marx dépasse son ancienne position de démocrate radical pour adhérer à la cause du communisme. Ce dépassement s’effectue à partir de l’idée que la bourgeoisie a cessé d’être une force révolutionnaire et qu’elle est désormais incapable d’accomplir en Allemagne les tâches démocratiques qu’elle a autrefois remplies en Angleterre et, encore plus, en France. La nouvelle force révolutionnaire, capable de libérer la société des différentes formes de l’oppression, réside maintenant dans le prolétariat, à condition que celui-ci prenne conscience de ses #intérêts_de_classe et agisse de façon organisée, comme l’ont montré les tisserands silésiens.

    Il reste que Marx n’est pas satisfait par les doctrines socialistes des #saint-simoniens et des #fouriéristes qui sont plutôt des rêves d’organisation sociale que des instruments théoriques au service du prolétariat dans sa lutte contre la bourgeoisie. Il porte un jugement plus favorable à l’égard des partisans du communisme, comme le Français Cabet et l’Allemand Weitling, mais il leur reproche de réduire le #communisme à un idéal d’égalité et de #justice_sociale et de ne pas l’intégrer au devenir historique des sociétés.

    Dans ses #Manuscrits_économico-philosophiques de #1844 auxquels Marx n’a pas donné une forme achevée et qui ne devaient être publiés qu’en 1932, on peut lire une définition du communisme, « en tant que dépassement positif de la propriété privée, donc de l’auto-aliénation humaine »...

    « Ce communisme est un #naturalisme achevé, et comme tel un humanisme ; en tant qu’#humanisme achevé il est un naturalisme ; il est la vraie solution du conflit de l’homme avec la nature, de l’homme avec l’homme, la vraie solution de la lutte entre l’existence et l’essence, entre l’objectivation et l’affirmation de soi, entre la liberté et la nécessité, entre l’individu et l’espèce. »

    L’adhésion de Marx au communisme est ici exprimée en termes philosophiques. Mais, à travers leur lyrisme, il est à la recherche d’une connaissance objective qui permettrait au #socialisme et au communisme de passer de leur stade utopique au stade scientifique.

    [source : Marx, de Pierre Fougeyrollas, épuisé et non-réédité]

    #karl_marx #révolution_sociale #révolution_prolétarienne

    • À ce moment-là (1842-1843), le prolétariat anglais s’organise dans un puissant mouvement syndical et politique que l’on nomme le #chartisme, en raison de sa charte qui revendique simultanément la journée de travail de dix heures et le suffrage universel.

      #Engels rapporte de son séjour britannique son premier livre, La situation des classes laborieuses en Angleterre, dans lequel il écrit : « Seule est vraiment respectable cette partie de la nation anglaise inconnue du continent, les ouvriers, les parias de l’Angleterre, les - pauvres, malgré toute leur grossièreté et leur absence de morale. C’est d’eux quil faut attendre le salut de l’Angleterre. »

      Ainsi la connaissance des révolutions politiques de la France et celle de la révolution industrielle de l’Angleterre ont respectivement conduit Marx et Engels à des conclusions convergentes relativement au rôle historique révolutionnaire que le prolétariat commençait alors à assumer. C’est ce qui leur est sûrement apparu durant leurs entretiens parisiens de 1844.

      [source : idem]

  • Gagner uniquement le retrait de la réforme retraites serait une forme de défaite
    https://ricochets.cc/Gagner-uniquement-le-retrait-de-la-reforme-retraites-serait-une-forme-de-d

    Les fronts de luttes pourraient se rejoindre et se multiplier ? Loi Darmanin : le deuxième front - Anzoumane Sissoko et Denis Godard défendent l’idée que le deuxième front ouvert par le gouvernement sur l’immigration n’est pas une diversion. Et que le mouvement sur les retraites a tout à gagner à articuler le combat sur les deux fronts. Et aurait beaucoup à perdre en ne le faisant pas. (...) Le 1er février, en plein conflit sur les retraites, Gérald Darmanin a présenté le projet de loi immigration au (...) #Les_Articles

    / Révoltes, insurrections, débordements..., Révolution , #Migrant.e.s_-_Réfugié.e.s_-_Exilé.e.s

    #Révoltes,_insurrections,_débordements... #Révolution_
    https://rebellyon.info/Loi-Darmanin-le-deuxieme-front-24531

  • #EliséeReclus #anarchisme #histoire #Russie #Révolution #prolétariat...

    ★ ELISÉE RECLUS : AMIS ET COMPAGNONS... - Socialisme libertaire

    ★ Discours sur la révolution russe, prononcé à une réunion organisée à Paris par la Société des Amis du Peuple Russe. In La Terre du 24 juin au 1er juillet 1908. 

    Quelqu’un qui touche de très près au grand humanitaire mort dernièrement a bien voulu nous confier ces pages que nous publions aujourd’hui.
    Ce discours, nous écrit-on, fut écrit par Elisée Reclus en vue d’une réunion organisée par la « Société des Amis du Peuple Russe », au commencement de la lutte héroïque qui se poursuit encore pour la revendication de la terre et la libération des hommes. Quoique déjà très malade, il se rendit à Paris, heureux d’y être appelé pour témoigner de sa personne, comme il le faisait de ses écrits, en faveur de la Révolution russe. Très souffrant, dans une salle archi-comble, et fort ému de se retrouver au milieu d’amis qui pensaient comme lui, sentaient come lui et acclamèrent longuement l’ardent défenseur de l’humanité sans maître, sans frontière, sans patrie, il put à peine prononcer quelques paroles et tendit à l’un se ses amis, qui les lut à sa place, les pages inédites que nous offrons aujourd’hui aux lecteurs de LA TERRE dont Elisée Reclus avait salué l’apparition, demandant avec elle que « l’Homme soit libre sur la Terre libre ». (...)

    ▶️ Lire le texte complet…

    ▶️ https://www.socialisme-libertaire.fr/2022/12/elisee-reclus-amis-et-compagnons.html

  • #LuigiFabbri #Révolution #anarchisme #antifascisme
    #fascisme

    ★ LA RÉVOLUTION CONTRE LE FASCISME par Luigi Fabbri (1922) - Socialisme libertaire

    La révolution, on l’a dit souvent, ce ne sont pas les majorités qui la font, mais les minorités. C’est pour cela que les majorités, misonéistes par nature, ne prendront jamais l’initiative de la révolution, mais se convertiront à des révolutions déjà commencées. Les minorités révolutionnaires ont pour fonction de briser les portes closes sur les voies de l’avenir ; et après, par les portes ouvertes de façon insurrectionnelle, passeront les majorités. Il est vrai que les minorités gaspilleraient en vain leurs forces – du moins sur le moment –, et se sacrifieraient sans profit, si le contexte n’était pas favorable, si les temps n’étaient pas mûrs, si une évolution antérieure n’avait atteint un certain degré. Mais personne n’a le mètre ou le manomètre pour savoir si les temps sont mûrs ou non, et si le milieu est suffisamment prêt. On peut même faire une erreur de jugement ; et on a alors les sacrifices anticipés, les héroïsmes, les martyrs. Cependant, si ceux-ci ne conduisent pas au triomphe, ils sont quand même utiles, dans la mesure où ils contribuent à la formation des consciences et à la maturation des temps. Car si les minorités initiatrices, en courant le risque de la défaite et du sacrifice, réussissent à défoncer la porte, c’est là la meilleure et unique preuve possible de la maturité des temps (...)

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    ▶️ https://www.socialisme-libertaire.fr/2015/07/la-revolution-contre-le-fascisme.html

  • #Troski #trotskisme #Lénine #bolchevisme #Révolution #URSS #Staline #stalinisme #totalitarisme #dictature #pouvoir #bureaucratie...

    ★ via l’Organisation Communiste Libertaire (OCL) :

    ★ La maladie infantile du trotskysme, l’Etat ouvrier dégénéré – 🔴 Info Libertaire

    L’image positive d’un Trotski héros tragique de la critique de la bureaucratie soviétique s’est construite, au fil du temps et au-delà de la stricte mouvance qui lui est consacrée, grâce à l’acharnement de Staline contre lui et ses partisans. Ecarté, pourchassé, banni puis assassiné, il est devenu, victime et martyr, le symbole de l’opposition de gauche au maître du Kremlin.
    Considéré en outre comme un homme de grande culture, ouvert aux nouvelles formes d’expression artistique telles que le surréalisme, maîtrisant bien le français, il a séduit (sans les affilier pour autant) bien des intellectuels de l’entre-deux-guerres, c’est un profil du « vieux », parfaitement antinomique de celui de la brute inculte et honnie que fut Staline, qui s’est construit au sein des mouvances d’extrême gauche qui tentaient, en France, de résister à la mainmise du PCF inféodé à Moscou sur le mouvement ouvrier (...)

    ▶️ Lire le texte complet…

    ▶️ https://www.infolibertaire.net/la-maladie-infantile-du-trotskysme-letat-ouvrier-degenere

    ▶️ Site de l’OCL : https://oclibertaire.lautre.net

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    ▶️ « Sur les contradictions du marxisme » par Simone Weil (1934) : https://www.socialisme-libertaire.fr/2018/01/sur-les-contradictions-du-marxisme.html

    ▶️ « Trotsky proteste beaucoup trop » par Emma Goldman (1938) :
    https://www.socialisme-libertaire.fr/2018/09/trotsky-proteste-beaucoup-trop.html

    ▶️ « Les pleureuses du vieux Léon » (Blog libertaire de Floréal) : https://florealanar.wordpress.com/2020/12/31/les-pleureuses-du-vieux-leon

    ▶️ « Les marxistes-léninistes ont inauguré un régime de terreur » (GLJD) : http://le-libertaire.net/les-marxistes-leninistes-inaugure-regime-terreur

    ▶️ « Danger ! Trotskistes ! » (Archives du ML 2003) :
    https://www.monde-libertaire.fr/?page=archives&numarchive=10823

    ▶️ « Staline, Trotsky : l’héritage de Lénine » (UCL) :
    https://www.unioncommunistelibertaire.org/?Lire-Huhn-et-Mattick-Staline-Trotsky-l-heritage-de-Lenin

    ▶️ « Du trotskysme au communisme libertaire » (UCL) :
    https://www.unioncommunistelibertaire.org/?Lire-Jean-Pierre-Hirou-Du-trotskysme-au-communisme-liber

    ▶️ « Mars 1921, la troisième révolution russe se jouait à Kronstadt » (UCL) :
    https://www.unioncommunistelibertaire.org/?Mars-1921-la-troisieme-revolution-russe-se-jouait-a-Kron

    • @recriweb

      Que tu n’aimes pas notre Page, que tu vomisses nos articles, que tu détestes l’anarchisme : c’est ton droit le plus absolu.

      Mais que tu inondes notre Page de « commentaires » insultants et trash, tous plus anti-anarchistes les uns que les autres : c’est « Niet » !
      D’ailleurs, nous avons viré tes diatribes et nous l’assumons.
      Tu écris ce que tu veux sur ta Page mais pas ici.
      Pour notre part, nous n’allons jamais insulter les gens sur leurs Pages même et surtout sous couvert de « convictions ».

      > Pour « résumer » tes « commentaires » hautains, pédants et arrogants, un petit florilège :

      Emma Goldman : « ...ne comprend jamais grand chose à rien » (sic)

      Affiche FA antiguerre : « très con » (sic)

      Textes de Simone Weil : « inepties », « tissu de bêtises », « très bête » (sic)

      Texte du GLJD : « crétinerie ahurissante » (sic)

      – etc.

      Tu es toujours et systématiquement dans l’autosatisfaction béate pour la glorification du marxisme-léninisme-trotskisme car, bien évidemment, avant cette religion politique c’était le néant 😱 et depuis c’est la parole sacrée indépassable : critiquer saint Lev Davidovitch Bronstein relève du blasphème, un être parfait est forcément incritiquable.
      Reste dans tes certitudes « dialectiques », égocentriques et canoniques, mais tellement « scientifiques »... 😅 ... qui donnent surtout « bonne conscience »... Alléluia !

      « Oyez, oyez ! gens incultes : hors LO point de salut ! » 😈

      > On entend déjà les cris outrés du moine-soldat qui défend son bout de gras et qui va jouer au « martyr » pour se faire plaindre.
      Heureusement pour nous... la Tchéka n’existe plus ! ✊

      Inutile de nous répondre, on connait déjà les réponses stéréotypées du grimoire trotskiste : on a autre chose à faire /

      🏴🏴

    • Oui après c’est relativement légitime qu’à une suite de liens critiquement vertement le trotskysme (arguments valables ou pas peu importe dans un premier temps), il est normal/logique que des gens ne trouvant pas ces arguments valables aient envie de contre-argumenter… Surtout si ça ne l’est pas dans le général abstrait (où là ça n’aurait pas grand intérêt effectivement), mais si c’est en tentant de démontrer le faux de passages précis des textes liés.

      Tant que c’est pas du troll comploto-raciste (comme il y en a aussi, et partout), ça reste quand même l’intérêt de seenthis qui n’est pas une liste à sens unique mais un système avec des commentaires dessous :)

    • @rastapopoulos

      Nous sommes bien d’accord pour le dialogue. ;-)
      Nous avons répondu des dizaines de fois à cette personne depuis plusieurs semaines.

      Pour nous libertaires, Trotsky est un criminel, un dictateur manqué qui a persécuté les anarchistes et bien au-delà.
      Un "staline raté" qui a du fuir devant son concurrent.
      Dire cela ne fait pas plaisir aux zélateurs du "maître", on le comprend bien mais ce n’est pas notre problème.
      C’est son libre choix mais qu’il le vive sans nous.
      Cette personne le sait très bien, on lui a dit maintes fois... mais comme il s’en fout il revient, recommence et s’incruste.
      Nous sommes patient, mais il y a des limites.
      On veut bien croire que c’est un sujet très clivant depuis des décennies et on sait très bien qu’on va pas le convaincre... ce dont nous n’avons nulle envie.

      > Il ne cherche pas le dialogue, mais la confrontation.

      Ceci dit notre Page, qui est très récente, n’est pas un « paillasson » ni un défouloir.

      Il a franchi une limite arrogante avec des insultes et son langage ordurier, ce que nous n’acceptons pas. Nous connaissons -que trop- ce genre de méthodes, vu que nous sommes sur pas mal de réseaux sociaux depuis de nombreuses années. Ici comme ailleurs, il y a des attitudes et des comportements que nous n’accepterons jamais.

      Cette personne veut nous pousser dans nos retranchements, quitte à s’imposer et pinailler sans fin sur chaque article qui ne lui plait pas. Lorsque nous ne voulons pas aller plus loin, il crie "au scandale" de ne pas répondre à ses injonctions... si cela ne lui plait pas, il n’a pas à venir sur notre Page avec arrogance et outrance.

      C’est le même scénario à chaque fois et c’est fatiguant... en plus, il veut nous faire passer pour les "méchants" de service (comme il ne se gêne pas de le faire sur sa Page... pathétique) : ça va 5 mn ce petit jeu !

      Bref, c’est une sorte de "troll zélé de la sainte cause de LO", qui envoie ses bataillons de militants contredirent ceux qui ne pensent pas comme eux par une propagande parfois agressive.

      Nous concluons sur le fait que l’on se contrefout des humeurs de ce genre de personne, donneuse de leçon et à l’ego susceptible...

      Cela ne mérite vraiment pas de s’attarder sur ce "non sujet".

  • Antje Vollmers Vermächtnis einer Pazifistin : „Was ich noch zu sagen hätte“
    https://www.berliner-zeitung.de/politik-gesellschaft/ein-jahr-ukraine-krieg-kritik-an-gruenen-antje-vollmers-vermaechtni

    Au début les verts allemands étaient des pacifistes conséquents. Antje Vollmer en a fait partie et n’a pas changé de cap depuis. Elle va bientôt nous quitter. Ce texte est son testament politique.

    23.2.2023 von Antje Vollmer - Ich stand auf dem Bahnhof meiner Heimatstadt und wartete auf den ICE. Plötzlich näherte sich auf dem Nebengleis ein riesiger Geleitzug, vollbeladen mit Panzern – mit Mardern, Geparden oder Leoparden. Ich kann das nicht unterscheiden, aber ich konnte geschockt das Bild lesen. Der Transport fuhr von West nach Ost.

    Es war nicht schwer, sich das Gegenbild vorzustellen. Irgendwo im Osten des Kontinents rollten zur gleichen Zeit Militärtransporte voller russischer Kampfpanzer von Ost nach West. Sie würden sich nicht zu einer Panzerschlacht im Stile des Ersten Weltkrieges irgendwo in der Ukraine treffen.

    Nein, sie würden diesmal erneut den waffenstarrenden Abgrund zwischen zwei Machtblöcken markieren, an dem die Welt sich vielleicht zum letzten Mal in einer Konfrontation mit möglicherweise apokalyptischem Ausgang gegenübersteht. Wir befanden uns also wieder im Kalten Krieg und in einer Spirale der gegenseitigen existenziellen Bedrohung – ohne Ausweg, ohne Perspektive. Alles, wogegen ich mein Leben lang politisch gekämpft habe, war mir in diesem Moment präsent als eine einzige riesige Niederlage.

    Bei Geschichte ist es immer wichtig, von welchem Anfang man sie erzählt

    Es ist üblich geworden, zu Beginn jeder Erwähnung der ungeheuren Tragödie um den Ukraine-Krieg wie eine Schwurformel von der „Zeitenwende“, vom völkerrechtswidrigen brutalen Angriffskrieg Putins bei feststehender Alleinschuld der russischen Seite zu reden und demütig zu bekennen, wie sehr man sich geirrt habe im Vertrauen auf eine Phase der Entspannung und der Versöhnung mit Russland nach der großen Wende 1989/90.

    Diese Schwurformel wird wie ein Ritual eingefordert, wie ein Kotau, um überhaupt weiter mitreden zu dürfen. Die Feststellung ist ja auch nicht falsch, sie verdeckt aber häufig genau die zentralen Fragen, die es eigentlich zu klären gäbe.

    Wo genau begann die Niederlage? Wo begann der Irrtum? Wann und wie entstand aus einer der glücklichsten Phasen in der Geschichte des eurasischen Kontinents, nach dem nahezu gewaltfreien Ende des Kalten Krieges, diese erneute tödliche Eskalation von Krieg, Gewalt und Blockkonfrontation? Wer hatte Interesse daran, dass die damals mögliche friedliche Koexistenz zwischen Ost und West nicht zustande kam, sondern einem erneuten weltweitem Antagonismus anheimfiel?

    Und dann die Frage aller Fragen: Warum nur fand ausgerechnet Europa, dieser Kontinent mit all seinen historischen Tragödien und machtpolitischen Irrwegen, nicht die Kraft, zum Zentrum einer friedlichen Vision für den bedrohten Planeten zu werden?

    Für die Deutung historischer Ereignisse ist es immer entscheidend, mit welchen Aspekten man beginnt, eine Geschichte zu erzählen.

    Ich widerspreche der heute üblichen These, 1989 habe es eine etablierte europäische Friedensordnung gegeben, die dann Schritt um Schritt einseitig von Seiten Russlands unter dem Diktat des KGB-Agenten Putin zerstört worden sei, bis es schließlich zum Ausbruch des Ukrainekrieges kam.

    Das ist nicht richtig. Richtig ist: 1989 ist eine Ordnung zerbrochen, die man korrekter als „Pax atomica“ bezeichnet hat, ohne dass eine neue Friedensordnung an ihre Stelle trat. Diese zu schaffen, wäre die Aufgabe der Stunde gewesen. Aber die visionäre Phantasie Europas und des Westens in der Wendezeit reichte nicht aus, um sich das haltbare Konzept einer stabilen europäischen Friedensordnung auszudenken, das allen Ländern der ehemaligen Sowjetunion einen Platz verlässlicher Sicherheit und Zukunftshoffnungen anzubieten vermocht hätte.

    Zwei Gründe sind dafür entscheidend. Beide haben mit alten europäischen Irrtümern zu tun: Zum einen wurde der umfassende wirtschaftliche und politisch Zusammenbruch der Sowjetunion 1989 einseitig als triumphaler Sieg des Westens im Systemkonflikt zwischen Ost und West interpretiert, der damit endgültig die historische Niederlage des Ostens besiegelte. Dieser Hang, sich zum Sieger zu erklären, ist eine alte westliche Hybris und seit jeher Grund für viele Demütigungen, die das ungleiche Verhältnis zum Osten prägen.

    Die Unfähigkeit, nach so umfassenden Umbrüchen andere gleichberechtigte Lösungen zu suchen, hat in dieser fatalen Überheblichkeit ihre Hauptursache. Vor allem aber wurde so das ungeheure und einzigartige Verdienst der sowjetischen Führung unter Michail Gorbatschow mit einer verblüffenden Ignoranz als gerngesehenes Geschenk der Geschichte eingeordnet: Die große Vorleistung des Gewaltverzichts in der Reaktion auf das Freiheitsbestreben der Völker des Ostblocks galt als nahezu selbstverständlich.

    Das aber war es gerade nicht. Bis heute ist erstaunlich, ja unfassbar, wie wenig Gewicht dem beigemessen wurde, dass die Auflösung eines sowjetischen Weltimperiums nahezu gewaltfrei vonstatten ging. Die naive Beschreibung dieses einmaligen Vorgangs lautete dann etwa so: Wie ein Kartenhaus, hochverdient und unvermeidlich, sei da ein ganzes System in sich zusammengesackt.

    Dass gerade diese Gewaltfreiheit das größte Wunder in einer Reihe wundersamer Ereignisse war, wurde kein eigenes Thema. Sie wurde vielmehr als Schwäche gedeutet. Es gibt aber kaum Vorbilder in der Geschichte für einen solchen Vorgang. Selbst die schwächsten Gewaltregime neigen gerade im Stadium ihres Untergangs gesetzmäßig dazu, eine Orgie von Gewalt, Zerstörung und Selbstzerstörung anzurichten und alles um sie herum in ihren eigenen Untergang mitzureißen – wie exemplarisch beim Untergang des NS-Reiches zu sehen war.

    Die Sowjetunion des Jahres 1989 unter Gorbatschow, wiewohl politisch und wirtschaftlich geschwächt, verfügte über das größte Atompotential, sie hatte eigene Truppen auf dem gesamten Gebiet ihrer Herrschaft stationiert. Es wäre ein Leichtes gewesen, das alles zu mobilisieren. Das wurde ja auch von vielen Vertretern des alten Regimes vehement gefordert.

    Mit dem historischen Abstand wird noch viel deutlicher, welche staatsmännische Leistung es war, lieber „Helden des Rückzugs“ (Enzensberger) zu sein, als in einem letzten Aufbäumen als blutige Rächer und Schlächter von der Geschichte abzutreten. Die Wahl, die Michail Gorbatschow fast allein getroffen hat, hat ihm nicht zuletzt die Enttäuschung vieler seiner Bürger eingebracht. Es hieß, er habe nachträglich den Großen Vaterländischen Krieg verloren.

    Wie ein stummes Mahnmal gigantischer europäischer Undankbarkeit steht dafür der erschreckend private Charakter der Trauerfeier um den wohl größten Staatsmann unserer Zeit auf dem Moskauer Prominenten-Friedhof. Es wäre ein Gebot der Stunde gewesen, dass die Granden Europas Michail Gorbatschow, der längst im eigenen Land isoliert war, ihre Hochachtung und ihren Respekt erwiesen hätten, indem sie sich vor ihm verneigten.

    Zumindest aus Deutschland, das fast ihm allein das Glück der Wiedervereinigung verdankt, hätte ein Bundespräsident Steinmeier an diesem Grab stehen müssen. Die Einsamkeit um diesen Toten war unerträglich. So nutzte ausgerechnet Viktor Orbán die Chance, diesen Boykott einer angemessenen Würdigung zu unterlaufen. Es bleibt ein beschämendes Zeichen, ein Menetekel historischer Ignoranz. Wenige Tage später drängelten sich die Repräsentanten des europäischen Zeitgeistes dann alle mediengerecht am Grab der englischen Queen und des deutschen Papstes Benedikt XVI.

    Bis heute ist mir schwer verständlich, warum es nicht zumindest eine Demonstration der Dankbarkeit bei den eigentlichen Profiteuren dieses Gewaltverzichtes, bei den Bewegungen der friedlichen Bürgerproteste gegeben hat. Gerade sie hatten ja hautnah die Ängste erfahren, was alles hätte passieren können, wenn es 1989 in Ost-Berlin eine ähnliche Reaktion wie bei den Studentenprotesten in Peking gegeben hätte.

    Und tatsächlich ist ein Teil der heutigen Zurückhaltung im Osten Deutschlands gegenüber der einseitigen Anprangerung Russlands wohl dieser anhaltenden Dankbarkeit zuzuschreiben. Mediale Wortführer und Interpreten aber wurden andere – und sie wurden immer dreister. Immer kleiner wurde in ihren Interpretationen der Anteil am Verdienst der Gewaltfreiheit auf sowjetischer Seite, immer wirkmächtiger wurde die Legende von der eigenen großartigen Widerstandsleistung.

    Alle kundigen Zeitzeugen wissen genau, dass der Widerstand und der Heldenmut von Joachim Gauck, Marianne Birthler, Katrin Göring-Eckardt durchaus maßvoll war und den Grad überlebenstüchtiger Anpassung nicht wesentlich überschritt. Manche Selbstbeschreibungen lesen sich allerdings heute wie Hochstapelei. Sie verschweigen oder verkennen, was andere Kräfte zum großen Wandel beitrugen und dass mancher Reformer im System keineswegs weniger Einsatz und Mut gewagt hatte.

    Billige antirussische Ressentiments

    Das mag menschlich, allzu menschlich sein und also nicht weiter erwähnenswert. Fatal allerdings ist, dass dieser Teil der Bürgerrechtler heute zu den eifrigsten Kronzeugen eines billigen antirussischen Ressentiments zählt. Dies knüpft dabei bruchlos an jene Ideologie des Kalten Krieges an, die vom berechtigten Antistalinismus über den verständlichen Antikommunismus bis hin zur irrationalen Slawenphobie viele Varianten von westlichen Feindbildern bis heute prägt.

    Die wichtigsten Fragen, die heute zwischen Ost und West verhandelt werden müssten, lauten: Was bedeutet es eigentlich, eine europäische Nation zu sein? Was unterscheidet uns von anderen? Welche Fähigkeiten muss eine Nation erwerben, um dazuzugehören? Was sind die Lehren unserer Geschichte? Welche Ideale prägen uns? Welche Irrtümer und Verbrechen? Diese Fragen werden in aller Deutlichkeit wachgerufen am Beispiel der Ukraine und ihres Abwehrkampfes gegen die russische Aggression.

    In unseren Medien verkörpert die Ukraine das Ideal und Vorbild einer freiheitsliebenden westlichen Demokratie heroischen Zuschnitts. Die Ukraine, so heißt es, kämpfe nicht nur für ihre eigene Nation, sondern zugleich für die universale historische Mission des Westens. Wer sich machtpolitisch behauptet, wer seine Existenz mit blutigen Opfern und Waffen verteidigt, gilt als Bollwerk für die europäischen Ideale der Freiheit, koste es, was es wolle. Wer aber den Weg des Konsenses, der Kooperation, der Verständigung und der Versöhnung sucht, gilt als schwach und deswegen als irrelevant, ja als verachtenswert. Von daher sind Gorbatschow und Selenskyj die eigentlichen Antitypen in der Frage, was es heute heißt, Europäer zu sein und die europäischen Tugenden zu verkörpern.

    Neben diesem Hang zum Heroischen und zur Selbsterhöhung liegt hier die Wurzel, die ich für den Grundirrtum einer europäischen Identität halte: das scheinbar unausrottbare Bedürfnis nach nationalem Chauvinismus. Jahrhundertelang haben nationale Exzesse die Geschichte unseres Kontinents geprägt. Keine Nation war frei davon: nicht die Franzosen, schon gar nicht die Briten, nicht die Spanier, nicht die Polen, nicht die Ukrainer, nicht die Balten, nicht die Schweden, nicht die Russen, noch nicht einmal die Tschechen – und schon gar nicht die Deutschen.

    Es ist ein fataler Irrtum, zu meinen, durch den Widerstand gegen die anderen imperialen Mächte gewinne der eigene Nationalismus so etwas wie eine historische Unschuld. Das ist Selbstbetrug und einer der folgenschwersten europäischen Irrtümer. Er verführt auch heute noch viele junge Demokratien dazu, sich nur als Opfer fremder Mächte zu sehen und die eigene Gewaltgeschichte, die eigenen Gewaltphantasien für berechtigt zu halten. Was Europa immer wieder zu lernen hatte und historisch meist verfehlte, ist die Kunst der Selbstbegrenzung, der friedlichen Nachbarschaft, der Fairness, der Wahrung gegenseitiger Interessen und des Respektes voreinander. Was Europa endlich verlernen muss, ist das ständige Verteilen von Ketzerhüten, das Ausmachen von Achsen des Bösen und von immer neuen Schurkenstaaten.

    Ach Europa! Jedes Mal, wenn wieder eine der großen Krisen und Kriege des Kontinents überstanden war – nach dem 30-jährigen Krieg, nach dem Feldzug Napoleons gegen Russland, nach zwei Weltkriegen, nach dem Kalten Krieg –, konnte man hoffen, der machtpolitische Irrweg sei nun durch bittere Erfahrung widerlegt und gebe einem überlebenstüchtigeren Weltverständnis endlich Raum. Und jedes Mal fielen wie durch einen Fluch die Völker Europas wieder der Versuchung anheim, den Weg der Dominanz und der Konfrontation zu gehen.

    Umso wertvoller ist aber das große Gegenbeispiel: Gorbatschows Hoffnung, dass auch für alle ehemaligen Staaten der Sowjetunion eine neue Sicherheitsordnung möglich sei, die den unterschiedlichen Sicherheitsbedürfnissen gerecht werden würde, war in der Charta von Paris durchaus angedacht als Raum gemeinsamer wirtschaftlicher und politischer Kooperation zwischen dem alten Westeuropa und den neuen östlichen Staaten. Das war damals auch die Vision von Helmut Kohl und Hans-Dietrich Genscher. Aber es gab keinen Plan, kein Konzept, die Vision war einfach zu undeutlich.

    Wie schnell sich wieder das Gefühl des leichten Triumphes einstellte, lässt sich an einem traurigen Beispiel gut ablesen: am Umgang mit Jugoslawien. Jugoslawien gehörte zu den blockfreien Staaten, es hatte sich rechtzeitig vom Stalinismus gelöst und die jahrhundertealten nationalen Rivalitäten aus der Zeit der Donau-Monarchie einigermaßen befriedet. Es wäre nichts leichter gewesen, als diesem Jugoslawien als Ganzem 1989 eine Öffnung nach Europa und zur EU anzubieten.

    Es hätte Zeit gebraucht, aber es wäre möglich gewesen. Man hätte nur darauf verzichten müssen, dem nationalen Drängen der Slowenen und Kroaten zu schnell nachzugeben und das neue Feindbild der aggressiven Serben zu pflegen. Solche Weisheit allerdings fehlte völlig im Überbietungswettstreit um die Anerkennung neuer Nationalstaaten auf dem Balkan. Der bosnische Bürgerkrieg, Srebrenica, die Zerstörung Sarajewos, Hunderttausende Tote und traumatisierte Menschen, der völkerrechtswidrige Angriffskrieg der Nato gegen Belgrad, die völkerrechtswidrige Anerkennung des Kosovo als selbständiger Staat, das vielfältige Aufbäumen von neuen nationalen Chauvinismen wären vermeidbar gewesen.

    Was bedeutet das alles für die unmittelbare Gegenwart und für die deutsche Politik im Jahre 2023?

    Die Koordinaten haben sich entscheidend verschoben. Bis zum Ende der Regierung Schröder konnte man davon ausgehen, dass gerade Deutschland aus der Zeit der Entspannungspolitik einen privilegierten Zugang, zumindest einen gewissen Spielraum zum Konfliktausgleich zwischen den großen geopolitischen Spannungsherden innehatte. Diese Zeit ist endgültig vorbei.

    Ungefähr im Jahre 2008 begann Putin, dem Status quo zu misstrauen und seinen Machtbereich gegen den Westen auszurichten. Deutschland begann, sich als europäischer Riegenführer im neuen Konzept der Nato zu definieren. Im Rahmen der Reaktionen auf den Ukrainekrieg rückte es endgültig ins Zentrum der antirussischen Gegenstrategien. Das begrüßenswerte, aber medial vielgescholtene Zögern des Kanzlers Olaf Scholz war zu wenig von einer haltbaren politischen Alternative unterfüttert und geriet so ins Rutschen.

    Wirtschaftlich und politisch zahlen wir dafür einen hohen Preis. Der deutsche Wirtschaftsminister bemüht sich, die alten Abhängigkeiten von Russland und China durch neue Abhängigkeiten zu Staaten zu ersetzen, die keineswegs als Musterdemokratien durchgehen können. Die Außenministerin ist die schrillste Trompete der neuen antagonistischen Nato-Strategie.

    Ihre Begründungen verblüffen durch argumentative Schlichtheit. Dabei wachsen die Rüstungskosten und der Einfluss der Rüstungs- und Energiekonzerne ins Unermessliche. Der Krieg verschlingt sinnlos die Milliarden, die für die Rettung des Planeten und gegen die Armut des globalen Südens dringend gebraucht würden. Das aufsteigende China aber wird propagandistisch als neuer geopolitischer Gegner ausgemacht und in der Taiwan-Frage ständig provoziert. Das sind alles keine guten Auspizien.

    Der Frieden und das Überleben des ganzen Planeten

    Und dennoch: Wenn mich nicht alles täuscht, steht Europa kurz vor der Phase einer großen Ernüchterung, die das eigene Selbstbild tief erschüttern wird. Für mich aber ist das ein Grund zur Hoffnung. Der so selbstgewisse Westen muss einfach lernen, dass die übrige Welt unser Selbstbild nicht teilt und uns nicht beistehen wird. Die eilig ausgesandten Sendboten einer neuen antichinesischen Allianz im anstehenden Kreuzzug gegen das Reich der Mitte scheinen nicht besonders erfolgreich zu sein.

    Wie konnten wir nur annehmen, dass das große China und die Hochkulturen Asiens die Zeit der willkürlichen Freihandels- und Opiumkriege je vergessen würden? Wie sollte der leidgeprüfte afrikanische Kontinent die zwölf Millionen Sklaven und die Ausbeutung all seiner Bodenschätze je verzeihen? Warum sollten die alten Kulturen Lateinamerikas den spanischen und portugiesische Konquistadoren ihre Willkürherrschaft vergeben? Warum sollten die indigenen Völker weltweit das Unrecht illegaler Siedlungen und Landraubs einfach beiseiteschieben in ihrem historischen Gedächtnis?

    Meine Hoffnung besteht darin, dass sich aus all dem eine neue Blockfreienbewegung ergeben wird, die nach der Zeit der vielen Völkerrechtsbrüche wieder am alleinigen Recht der UNO arbeiten wird, dem Frieden und dem Überleben des ganzen Planeten zu dienen.

    Die Grünen waren mal Pazifisten

    Meine ganz persönliche Niederlage wird mich die letzten Tage begleiten. Gerade die Grünen, meine Partei, hatte einmal alle Schlüssel in der Hand zu einer wirklich neuen Ordnung einer gerechteren Welt. Sie war durch glückliche Umstände dieser Botschaft viel näher als alle anderen Parteien.

    Wir hatten einen echten Schatz zu hüten: Wir waren nicht eingebunden in die machtpolitische Blocklogik des Kalten Krieges. Wir waren per se Dissidenten. Wir waren gleichermaßen gegen die Aufrüstung in Ost wie West, wir sahen die Gefährdung des Planeten durch ungebremstes Wirtschaftswachstum und Konsumismus. Wer die Welt retten wollte, musste ein festes Bündnis zwischen Friedens- und Umweltbewegung anstreben, das war eine klare historische Notwendigkeit, die wir lebten. Wir hatten dieses Zukunftsbündnis greifbar in den Händen.

    Was hat die heutigen Grünen verführt, all das aufzugeben für das bloße Ziel, mitzuspielen beim großen geopolitischen Machtpoker, und dabei ihre wertvollsten Wurzeln als lautstarke Antipazifisten verächtlich zu machen?

    Gegen Hass und den Krieg

    Ich erinnere mich an meine großen Vorbilder: Die härtesten Bewährungsproben hatten die großen Repräsentanten gewaltfreier Strategien immer in den eigenen Reihen zu bestehen. Gandhi hat mit zwei Hungerstreiks versucht, den Rückfall der Hindus und Moslems in die nationalen Chauvinismen zu stoppen, Nelson Mandela hatte äußerste Mühe, die Gewaltbereitschaft seiner jungen Mitstreiter zu brechen, Martin Luther King musste sich von den Black Panthers als zahnloser Onkel Tom verhöhnen lassen. Ihnen wurde nichts geschenkt. Und das gilt auch heute für uns letzte Pazifisten.

    Der Hass und die Bereitschaft zum Krieg und zur Feindbildproduktion ist tief verwurzelt in der Menschheit, gerade in Zeiten großer Krisen und existentieller Ängste. Heute aber gilt: Wer die Welt wirklich retten will, diesen kostbaren einzigartigen wunderbaren Planenten, der muss den Hass und den Krieg gründlich verlernen. Wir haben nur diese eine Zukunftsoption.

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    Antje Vollmer war Vizepräsidentin des Deutschen Bundestages und hat als Erstunterzeichnerin das Friedensmanifest von Sahra Wagenknecht und Alice Schwarzer unterschrieben. Vollmer ist Pazifistin und war Gegnerin des Kosovo- , Irak- und Afghanistan-Krieges. Als Autorin hat sie sich intensiv mit den Akteuren des 20. Juli 1944 und dem antifaschistischen Widerstand beschäftigt. Antje Vollmer ist schwer erkrankt. Man kann ihren Text als politisches Vermächtnis lesen – er ist eine große Abrechnung mit dem Zeitgeist. Wir veröffentlichen den Gastbeitrag in voller Länge. Die Redaktion.

    „…und wehret Euch täglich. Ein grünes Tagebuch“ (1984) Antje Vollmer wurde am 31. Mai 1943 in Lübbecke, Westfalen, geboren. Sie ist ehemalige Vizepräsidentin des Deutschen Bundestages und Grünen-Politikerin. Sie erhält unter anderem die Carl-von-Ossietzky-Medaille (1989), den Hannah-Arendt-Preis (1998) und den 2002 den Masaryk-Orden der tschechischen Republik für Verdienste um die deutsch- tschechische Aussöhnung (verliehen durch Staatspräsident Vaclav Havel). Sie schrieb zahlreiche Bücher, unter anderem: „…und wehret Euch täglich. Ein grünes Tagebuch“ (1984), „Heißer Frieden. Über Gewalt, Macht und das Geheimnis der Zivilisation“ (1995), „Doppelleben. Heinrich und Gottliebe von Lehndorff im Widerstand gegen Hitler und von Ribbentrop“ (2010), „Stauffenbergs Gefährten“ mit Lars Broder-Keil (2013).

    #Allemagne #pacifisme #histoire

    • Une personne probablement sympathique, pétrie de belles valeurs humanistes, mais qui n’en demeure pas moins perchée et accumulant en masse les contresens les plus toxiques de l’#idéologie_dominante.

      Non, « la haine et la volonté de faire la guerre et de produire des images de l’ennemi [ne] sont [pas] profondément enracinées dans l’humanité », elles sont les fruits pourris d’une société de classe et, plus encore, aujourd’hui de la prédation impérialiste — laquelle n’est pas un mauvais choix politique des politiciens des puissances occidentales, mais une nécessité de la #reproduction_du_capital.

      Pour « sauver le monde, cette précieuse planète unique et merveilleuse, il [ne] faut [pas] désapprendre la haine et la guerre en profondeur », il faut abattre un système, le capitalisme, qui « porte en lui la guerre comme la nuée porte l’orage » (Jaures).

      Non, il ne faut pas prendre en modèle des personnalités comme Mandela ou Gandhi (le premier qui dirigea l’appareil d’État de la bourgeoisie sud-africaine, garant de la perpétuation de l’apartheid social, le second qui condamna à la passivité les travailleurs indiens quand ils avaient la force d’une révolution sociale), ni attendre quoi que ce soit d’une institution telle que l’ONU, témoin muet voire l’acteur de bien des exactions impérialistes depuis 1945, de la guerre en Corée à la première guerre du Golfe, à la reconnaissance de fait de toutes les dictatures, du soutien indéfectible à la politique américaine à la bénédiction quotidienne de la libre entreprise, des trusts et des milliardaires…

      Non, il ne faut pas promouvoir des stratégies non-violentes — la #bourgeoisie peut être reconnaissante à des gens qui prétendent lutter contre les #guerres de cette façon  ! —, il faut
      prêcher la nécessité de la #révolution_sociale, en démontrer l’utilité et d’y préparer le prolétariat et les exploités.

      Au lieu de cela, #Antje_Vollmer aura été complice active d’un système et, en dépit de ses réserves pacifistes, de sa barbarie meurtrière.

      #impérialisme

  • L’avenir de la première République espagnole
    https://laviedesidees.fr/L-avenir-de-la-premiere-Republique-espagnole.html

    La Première #république espagnole a 150 ans. On l’a bien oubliée, sinon occultée, d’autant qu’elle n’a vécu qu’un an et s’acheva dans un bain de sang. Elle portait pourtant le rêve d’un autre avenir, plus démocratique et plus égalitaire. La brève #Histoire de la Seconde République espagnole (1931-1939), et surtout sa fin tragique à l’issue de la Guerre civile, font partie des épisodes les plus célèbres du XXe siècle mondial. Le contraste entre cette immense célébrité et l’oubli presque complet dans lequel est (...) #Essais

    / Histoire, #Espagne, #révolution, république

    https://laviedesidees.fr/IMG/pdf/20230224_moisand.pdf
    https://laviedesidees.fr/IMG/docx/20230224_moisand.docx

  • Parution : Les articles du New-York Daily Tribune (volume 1, 1851-1852). Volume 1 (1851-1852) , de #Friedrich_Engels / #Karl_Marx
    https://editionssociales.fr/catalogue/les-articles-du-new-york-daily-tribune-volume-1-1851-1852

    Entre  1851 et 1862, Marx et Engels contribuent régulièrement au journal étatsunien The New-York Daily Tribune. Ils produisent au cours de ces années près de cinq cents #articles, proposant des analyses concrètes et riches de l’actualité économique, politique et géopolitique du milieu du XIXe siècle, sur la « #révolution et #contre-révolution » en Allemagne, le #mouvement_chartiste anglais, la #guerre_de_Crimée, les #guerres_de_l’opium en #Chine, la révolte des Cipayes en Inde, ou encore la guerre de Sécession aux États-Unis. Ces écrits, composés dans une période de relative inactivité politique marquée par l’échec des révolutions européennes de #1848, et avant que ne s’organise la Première Internationale, prolongent les textes historiques de Marx sur les luttes de classes en France. Ils constituent en même temps un laboratoire pour certains éléments théoriques des #Grundrisse et du Capital, jouant ainsi un rôle déterminant dans le développement de la conception matérialiste de l’histoire.
    Le présent volume, le premier d’un vaste ensemble devant comprendre l’intégralité des articles publiés par #Marx et #Engels dans le #New-York_Daily_Tribune, rassemble les articles écrits en 1851-1852. Il contient en particulier la série d’articles publiés sous le titre Révolution et contre-révolution en Allemagne, ainsi qu’une #chronique minutieuse de la vie économique et des luttes politiques en Angleterre, alors la pointe avancée du #capitalisme mondial.

    #chartisme #lutte_de_classe #Le_Capital

    • Les articles de #Karl_Marx et #Friedrich_Engels dans le New-York Daily Tribune
      https://mensuel.lutte-ouvriere.org//2023/02/25/les-articles-de-karl-marx-et-friedrich-engels-dans-le-new-yo

      Friedrich Engels et Karl Marx, Les articles du New-York Daily Tribune. Volume I (1851-1852), édition et traduction d’Alexia Blin, Yohann Douet, Juliette Farjat, Alexandre Feron et Marion Leclair. Paris, les Éditions sociales, 2022. Prix  : 26 €.

      En 1849, la révolution reflue en Europe, et Marx et Engels doivent quitter l’Allemagne pour la Grande-Bretagne. Comme des milliers d’autres exilés, Marx et sa famille se réfugient à Londres. Une période de recul politique s’ouvre, les possibilités d’intervention disparaissent, et Marx et Engels échouent à relancer la Nouvelle Gazette rhénane, le journal que Marx dirigea à Cologne en 1848-1849, et la Ligue des communistes, l’organisation pour laquelle ils avaient rédigé le Manifeste du parti communiste. Pour la famille Marx, c’est aussi une période difficile matériellement  : elle mène une existence précaire dans le quartier de Soho, et deux enfants meurent en bas âge, en 1850 et 1852. Pendant des années, Karl et Jenny Marx dépendent de l’ami Engels qui, afin de subvenir à ses besoins et aux leurs, renoue avec son fabricant de père et occupe un poste à la gestion de la fabrique Ermen & Engels à Manchester. Quand, en août 1851, Karl Marx reçoit la proposition d’écrire pour le journal New-York Daily Tribune du rédacteur Charles Dana, qu’il a rencontré à Cologne en 1848, il accepte. Moyennant une rémunération qui améliore la situation familiale, il devient le correspondant du journal. Malgré le fait que le New-York Daily Tribune s’approprie certains articles de Marx, ou en caviarde d’autres, la collaboration durera onze ans.

      Le New-York Daily Tribune n’est pas un journal socialiste. C’est le principal quotidien de la côte est des États-Unis. Propriété d’Horace Greeley, c’est un périodique «  progressiste  », opposé à l’esclavage, favorable aux droits des femmes et à l’abolition de la peine de mort, en sympathie avec les mouvements ouvriers, mais qui défend aussi le capitalisme industriel. L’audience du journal intéresse Marx, qui y voit non seulement un revenu mais aussi un moyen de s’adresser à un vaste lectorat, à une époque où les États-Unis attirent de nombreux émigrants européens et où l’actualité américaine intéresse de plus en plus Marx.

      Entre 1851 et 1862, Marx publie ainsi 487 articles, un ensemble de textes dont le volume dépasse les trois livres du Capital. En réalité, comme l’a révélé sa correspondance, tous ne sont pas de sa plume  : Engels rédige 125 des articles, en co-écrit 12 autres, et en traduit un certain nombre d’autres de l’allemand vers l’anglais. «  Je rentre directement chez moi pour terminer l’article pour le Tribune, afin qu’il parte avec la deuxième levée et que tu puisses l’envoyer par le vapeur de demain  », écrit par exemple Engels à Marx le 23 septembre 1852. Entre les deux amis, le courrier Londres-Manchester et des rencontres fréquentes constituent plus qu’un lien personnel, une étroite collaboration politique. Leurs articles abordent de nombreux aspects de la politique européenne, britannique en particulier, mais aussi allemande, espagnole, française, etc. Au fil des années, Marx s’intéresse de plus en plus à l’Asie et aux questions coloniales, notamment à la révolte des Taiping, à la seconde guerre de l’Opium en Chine et à la révolte indienne de 1857. Il s’intéresse également à la Russie, notamment aux troubles résultant de la guerre de Crimée et à l’agitation contre le servage, aboli en 1861. Pour Marx, cette écriture régulière, en prise avec l’actualité, est aussi une façon d’affirmer ses idées et de discuter avec d’autres penseurs et militants de son temps. Les articles font donc partie du capital politique marxiste, même si le terme n’existe pas, à une époque où Marx est certes reconnu, notamment parmi les exilés allemands, mais où il n’a que peu de partisans convaincus.

      Le volume des articles du #New-York_Daily_Tribune, récemment paru et concernant les années 1851 et 1852, est le premier d’une série, les #Éditions_sociales ayant entrepris de traduire et d’éditer l’intégralité des articles de Marx et Engels parus dans ce journal. Ce projet s’inscrit dans la #GEME (#Grande_édition_Marx_et_Engels), qui propose de nouvelles traductions de leurs œuvres, à partir de l’édition des œuvres complètes en langue originale, la #MEGA. Ce volume I contient d’abord une série de 19 articles, connue sous le titre #Révolution et #contre-révolution en Allemagne, articles rédigés par Engels, traduits et édités par le passé. Il y analyse les forces à l’œuvre dans les #États_allemands et en #Autriche en 1848-1849, le jeu des #classes_sociales, les aspirations réformatrices de la bourgeoisie et sa crainte du rôle du prolétariat. Ce volume contient également 13 «  dépêches d’Angleterre  », sur la situation et les pratiques politiques britanniques, après plus d’une décennie de mobilisation du #mouvement_chartiste. L’introduction détaillée, utile pour mettre en contexte l’ensemble des articles, insiste néanmoins sur les «  erreurs de pronostic  » de Marx et d’Engels, alors que ceux-ci, forts de leur #optimisme_révolutionnaire, font en réalité des paris militants qui n’ont pas de valeur prédictive. Des notes et des annexes aident à comprendre les nombreuses références à des personnalités et à des événements aujourd’hui oubliés.