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  • La Mauritania di nuovo nel mirino della Spagna e dell’Unione europea

    Il premier spagnolo Sánchez cerca l’accordo per rafforzare il controllo dei confini e bloccare le partenze verso le Canarie.

    La Spagna nel corso del 2024 ha registrato un aumento del 66% rispetto all’anno precedente della cosiddetta “immigrazione irregolare”, soprattutto in virtù dell’incremento degli arrivi di persone migranti alle Isole Canarie. I dati rilasciati da Unhcr indicano che fino al 1° settembre 2024 sono arrivate via mare 25.725 persone 1, circa i ⅔ degli arrivi complessivi. In totale sono approdate in Spagna, comprese le enclave di Ceuta e Melilla, 36.062 persone.

    La rotta delle Canarie ha registrato un incremento dallo scorso autunno a causa delle tensioni e della repressione politica e sociale che si è avuta in buona parte dei Paesi della costa occidentale dell’Africa; per questo era entrata nel mirino delle politiche europee, in quello che sembra essere un processo inarrestabile di criminalizzazione dei flussi migratori e di militarizzazione dei confini.

    Nel mirino delle politiche europee è entrata, parallelamente, anche la Mauritania. Infatti, secondo i dati forniti dal governo ai media, il Paese è diventato, dalla fine dell’anno scorso, il principale punto di partenza per le barche di legno dirette alle Isole Canarie. Questo perché, al pari del Niger, è considerato attualmente uno dei maggiori paesi di “transito” dell’Africa sahariana, ospitando oltre 150.000 persone sfollate, la maggior parte delle quali proviene dal Mali scosso da conflitti e terrorismo.

    Non ci sono segnali che la tendenza possa cambiare, specialmente con il persistere e l’intensificarsi del conflitto armato nel nord del Mali, il che rende probabile un aumento del numero di persone in fuga.

    Sei mesi fa, la visita in Mauritania del Primo Ministro spagnolo Sánchez e della Presidente della Commissione Europea von der Leyen, aveva portato ad un accordo con una promessa di finanziamento di 500 milioni di euro per “gestire” l’immigrazione, ossia chiedere al Paese di bloccare le persone migranti dirette verso la Spagna. A quanto pare, queste promesse non hanno prodotto i risultati sperati.

    Tuttavia, come ormai insegnano le statistiche e gli studi critici sui processi di esternalizzazione delle frontiere, questo accordo porterà solo a rendere ancora più pericolosa la navigazione su una delle rotte migratorie più mortali al mondo.

    L’Ong spagnola Caminando Fronteras, che tra le sue attività avverte le autorità marittime delle barche in pericolo, ha stimato che oltre cinquemila migranti hanno perso la vita in mare nei primi cinque mesi dell’anno, con una media di 33 morti al giorno, nel tentativo di raggiungere l’arcipelago spagnolo. Ci sono vari fattori che aumentano la pericolosità di questa rotta: le forti correnti mentre i migranti viaggiano su barche fatiscenti e sovraffollate, le distanze del tragitto che tendono ad allungarsi spostando la partenza sempre più a sud, ma anche la mancanza di una politica efficace di ricerca e soccorso in mare aperto.

    Secondo Sara Prestianni di EuroMed Rights è evidente che l’aumento degli arrivi alle Canarie sia anche un effetto degli accordi con la Libia e la Tunisia, “poiché c’è un impegno, sia da parte delle autorità libiche sia da parte del governo tunisino, a intercettare e riportare a riva i migranti che tentano di salpare, anche violando i diritti umani. Quindi, se guardiamo alla regione nel suo complesso, possiamo notare come l’aumento del flusso verso le Canarie sia legato anche ai blocchi in altri punti di ingresso in Europa“2.

    Sánchez di nuovo in Africa Occidentale per ridurre il flusso di migranti

    Per far fronte all’aumento degli arrivi e dare un segnale all’opinione pubblica, il Primo Ministro spagnolo ha organizzato dal 27 al 29 agosto un nuovo giro di incontri in Mauritania, Senegal e Gambia.

    L’obiettivo della visita, secondo il comunicato dell’ufficio stampa spagnolo, “è rafforzare la cooperazione bilaterale per affrontare la sfida dell’immigrazione da una prospettiva multidimensionale, nel contesto della crisi migratoria attuale e degli sforzi per migliorare le relazioni tra la Spagna e l’Africa Occidentale”.

    Nell’incontro con il Presidente della Repubblica Islamica di Mauritania, Mohamed Ould Cheikh El Ghazouani, è stato discusso il rafforzamento delle relazioni bilaterali tra gli Stati. È stata adottata una dichiarazione congiunta (leggi in pdf) che definisce le linee guida della cooperazione tra Spagna e Mauritania, che include l’accordo di tenere il primo incontro congiunto di alto livello nel 2025. La dichiarazione copre una vasta gamma di argomenti di “interesse comune”, come lo sviluppo del commercio, il rafforzamento delle relazioni culturali, la cooperazione in materia di sicurezza e la gestione collaborativa del fenomeno migratorio.

    Sánchez e Ould Ghazouani hanno anche firmato un memorandum d’intesa per sviluppare la cosiddetta “migrazione circolare”, considerata dal governo un “modello” già applicato con Marocco e Senegal che consente l’ingresso dei migranti secondo quote prestabilite e per un periodo limitato, dopo il quale devono tornare nei loro Paesi d’origine. Una sorta di decreto flussi per lavoratori stagionali che presterebbero la loro forza lavoro per l’economia spagnola a intermittenza, a seconda dei bisogni del paese europeo. Le organizzazioni antirazziste definiscono questi accordi una moderna forma coloniale.

    Tra gli altri punti concordati, è stato discusso un ulteriore finanziamento per rafforzare il controllo delle frontiere, e il Primo Ministro ha informato il Presidente mauritano che la Spagna continuerà a lavorare all’interno dell’Unione Europea per promuovere l’attuazione degli accordi annunciati lo scorso febbraio e quindi a far arrivare i soldi promessi. Pedro Sánchez ha annunciato che la Spagna contribuirà da subito con altri 500.000 euro all’iniziativa di formazione nel campo della difesa e della sicurezza in Mauritania.

    Sulla stampa è stato anche riportato che le autorità spagnole hanno informato le loro controparti mauritane dei loro sospetti sull’esistenza di una rete di traffico di esseri umani che sfrutta il passaggio facilitato dei mauritani attraverso gli aeroporti spagnoli, deviando il loro percorso dalle rotte internazionali verso la permanenza e la richiesta di asilo in territorio spagnolo. Dopo l’aumento del numero di richiedenti asilo mauritani, con 815 richieste di asilo registrate solo quest’anno, di cui trecento solo nel mese di luglio, le autorità spagnole hanno deciso di imporre il visto di transito (VTA) ai titolari di passaporti mauritani durante il loro passaggio attraverso gli aeroporti spagnoli.

    Non sono ancora chiari tutti i dettagli delle misure concordate e il loro meccanismo di attuazione, ma l’obiettivo principale è ridurre le partenze verso l’Europa.

    Ad esempio, riguardo alla questione del rimpatrio forzato dei migranti irregolari che arrivano in Spagna attraverso la Mauritania, alcune fonti indicano che il rimpatrio è già incluso negli accordi esistenti. Tuttavia, non è stato ancora discusso pubblicamente a causa di resistenze in Mauritania.

    È previsto che il Parlamento mauritano tenga una sessione straordinaria la prossima settimana per discutere un progetto di legge che prevede la creazione di un tribunale specializzato nella lotta contro la schiavitù, il traffico di esseri umani e la tratta di migranti, così come la modifica della legge n. 65-046 del 23 febbraio 1965 che include le disposizioni penali relative al sistema migratorio. Tutte queste modifiche terranno conto delle questioni recentemente concordate con la Spagna e l’Unione europea.
    Ripetere le stesse misure e aspettarsi risultati diversi?

    Nonostante anni di accordi bilaterali simili e politiche incentrate sull’esternalizzazione delle frontiere da parte degli Stati membri dell’Ue e della stessa Unione Europea, i risultati sul campo dimostrano che queste politiche non sono riuscite a affrontare le radici profonde del problema. Ripetere questi accordi che si concentrano sul fornire supporto finanziario in cambio del contenimento dei migranti nei paesi di transito come la Mauritania, ripropone lo stesso approccio fallimentare che ha già dimostrato la sua inefficacia.

    La Mauritania, un paese che non dispone di infrastrutture adeguate né di leggi che proteggano i diritti dei rifugiati e dei migranti, si sta trasformando in una prigione a cielo aperto, dove le persone soffrono condizioni di vita difficili e mancanza di protezione legale. Queste politiche, per giunta, si sono tradotte nella detenzione dei migranti in paesi dove sono violati i loro diritti fondamentali, oppure dove sono vittime di veri e propri pogrom (si veda quello che appunto accade in Libia e Tunisia), aggravando così la crisi umanitaria, piuttosto che offrire soluzioni sostenibili.

    Inoltre, recenti rapporti dei media hanno segnalato l’uso dei soldi dei cittadini europei per finanziare deportazioni di migranti e abbandonarli nel deserto, come avvenuto in Algeria e Tunisia. Queste pratiche disumane dovrebbero immediatamente cessare e i fondi dirottati utilizzati per garantire i diritti fondamentali e la protezione.

    https://www.meltingpot.org/2024/09/la-mauritania-di-nuovo-nel-mirino-della-spagna-e-dellunione-europea

    #Espagne #externalisation #Mauritanie #asile #migrations #réfugiés #Canaries #route_atlantique #îles_Canaries

  • Más de 650 migrantes rescatados y decenas de víctimas mortales en aguas de Canarias en las últimas 24 horas

    El relato de los supervientes afirma que al menos 50 personas fueron arrojadas al mar tras fallecer en un cayuco que quedó a la deriva a cientos de kilómetros de tierra


    Seis cayucos y una lancha neumática con 677 inmigrantes a bordo en total, entre ellos 26 menores, fueron socorridos por Salvamento Marítimo a lo largo de este jueves en la Ruta Canaria, de los cuales uno falleció ya en tierra, tras ser trasladado al Hospital de El Hierro, y varias decenas podrían haber muerto en la travesía. Además, otros cinco, entre ellos un recién nacido que fue alumbrado en alta mar, tuvieron que ser evacuados en helicóptero.

    Ha sido una jornada frenética para las tripulaciones de Salvamento Marítimo en Canarias, que ha obligado a movilizar seis barcos de rescate en cuatro islas (las guardamares Urania y Talía y las salvamares Adhara, Mízar, Menkalinan y Al Nair), además del helicóptero Helimer 201, según ha destacado el director de la sociedad estatal, José Luis García Lena.

    Esta serie de rescates comenzó en la tarde del miércoles, cuando el buque noruego Ramform Atlas/Lart8 avistó un cayuco a la deriva a unos 200 kilómetros al sur de La Gomera y El Hierro, cerca del cual se localizaron después dos embarcaciones más.

    El Centro de Salvamento Marítimo de Tenerife movilizó la Guardamar Urania, la Salvamar Adhara, la Guardamar Talía y el helicóptero Helimer 201.

    La tripulación de la Guardamar Urania rescató a 190 personas (de ellas 15 mujeres y seis niños) que fueron desembarcadas en La Restinga (El Hierro) a las 08.00 horas de este jueves, desde donde una de ellas fue derivada al hospital insular, si bien el Helimer 201 evacuó primero a una mujer y a un bebé, que había nacido en el cayuco.

    Según el relato de los ocupantes de la embarcación, estos habrían realizado una travesía de nueve días desde Nuakchot, en Mauritania. A bordo viajaban personas de Guinea-Conakry, Senegal, Marruecos, Mauritania, Comoro, Gambia, Malí y Pakistán.

    Antes de dirigirse al aeropuerto de Tenerife Sur, el helicóptero, con la mujer y el bebé a bordo, recogió a otras tres personas en mal estado de salud de un segundo cayuco.

    En este iban 70 ocupantes (65 hombres y 5 mujeres, naturales de Ghana, Senegal, Guinea Bissau y Mali) que se encontraba en situación desesperada. Según relataron sus ocupantes, habían muerto entre diez y doce personas durante la travesía desde Nuakchot, de donde zarparon hace trece días. En las últimas horas, tras comenzar a relatar los supervivientes lo ocurrido, se ha sabido que partieron de Nuakchot, en Mauritania, a finales de mayo, pero a los pocos días quedaron a la deriva. Algunos comenzaron a morir durante la travesía y sus cuerpos, incluidos los de mujeres y niños, fueron arrojados al mar. La cifra de muertos se ha elevado hasta, al menos, 50 personas.

    Tres de ellos fueron evacuados en helicóptero con la madre y el bebé de la otra embarcación. Las restantes personas de ese segundo cayuco fueron llevadas por la Salvamar Adhara también a La Restinga, en donde desembarcaron a las 03.50 horas.

    Los servicios sanitarios derivaron a ocho de ellos desde el muelle directamente al hospital de la isla, uno de los cuales falleció en el centro sanitario y fue enterrado horas después en el cementerio de Valverde sin identificación, bajo el código Inmigrante Nº 119 R3.

    La Guardamar Talía acudió al rescate de la tercera embarcación, con 159 personas (149 hombres, 8 mujeres y dos niños), que desembarcaron por la mañana en Arguineguín, Gran Canaria.

    Antes, a las 23.00 horas, el centro de emergencias 112 había informado a Salvamento Marítimo de que se había recibido una llamada desde un cayuco con 44 personas (de ellas 3 mujeres y 2 menores) que decían estar a la deriva entre Tenerife y La Gomera, según deducían por las luces que veían.

    Salvamento Marítimo movilizó la Salvamar Mizar, que a las 01.10 horas localizó el cayuco, rescató a sus 44 ocupantes y los trasladó hasta el puerto de Los Cristianos, en Tenerife, en donde desembarcaron a las 03.57 horas.

    Por la mañana, llegó a Tenerife por sus propios medios la quinta a embarcación del día, un cayuco localizado por un radar a 16 kilómetros al sureste de la punta de Rasca, cuyos 55 ocupantes, todos hombres, llegaron por sus medios a Los Cristianos acompañados por la Salvamar Menkalinan.

    Le han seguido otro cayuco socorrido a pocos kilómetros de El Hierro con 108 personas a bordo, entre ellas 21 mujeres y 15 menores, y una neumática con 51 personas de origen subsahariano rescatada esta tarde a 68 kilómetros al este de Lanzarote por la Salvamar Al Nair, con siete mujeres y un niño.

    Este viernes, la Guardamar Concepción Arenal ha rescatado a 64 migrantes subsaharianos, entre ellos seis mujeres y un menor, que han sido localizados en una neumática a unos 79 kilómetros al este de Arrecife (Lanzarote). Según han informado las fuentes del citado organismo estatal, todos ellos se encuentran en aparente buen estado de salud.

    Salvamento acudió al rescate de estas personas tras recibir un aviso de la Guardia Civil de la neumática, que fue avistada por un buque mercante, el Bochem Casablanca, que ha permanecido en la zona hasta que ha sido auxiliada.

    https://www.eldiario.es/canariasahora/migraciones/jueves-frenetico-salvamento-canarias-677-rescatados-muerto-numerosos-desapa

    #mourir_en_mer #morts_en_mer #mourir_aux_frontières #Canaries #route_atlantique #décès #El_Hierro #Valverde #identification #Arrecife #Lanzarote

  • A Sliver of Hope on the Deadly Route to the Canary Islands

    In Western Sahara, one local aid association has pioneered new ways to keep migrants from making the journey.

    “Papa Africa, Papa Africa,” calls a voice in an alleyway in Laayoune, Western Sahara’s largest city, as #Abdelkebir_Taghia walks past fish stalls. Since 2005, this Moroccan of Sahrawi origin, now in his 50s, has devoted all his free time to helping and protecting migrants who try to reach Europe by crossing the murderous Atlantic Ocean from the Sahara region to the Canary Islands. In the process, he gained his nickname and established himself as one of the few indispensable direct observers of migration in this area. Official data is scarce here, hampered by a lack of access to migrants’ points of departure in a huge and sparsely populated region where one of Africa’s longest-running conflicts, over the status of Western Sahara, rumbles on.

    In 2023, “The Atlantic route to the Canary Islands was once again the deadliest migratory region in the world,” according to #Caminando_Fronteras, a Spanish nongovernmental organization that defends human rights in border regions. It reports that just over 6,000 people died on the “Canary route” over the year, including hundreds of children and many on makeshift boats that disappeared without a trace. Taghia cooperates with Caminando Fronteras to try and count the number of victims and missing persons who leave from the Sahara coast. An estimated 1,418 of those who died during the crossing in 2023 set off from this stretch of coastline, on a route mostly taken at the end of a long and often violent migration process.

    Since 2017, the number of migrants from sub-Saharan Africa, Palestine, Syria and Yemen seeking to cross the ocean here has continued to rise, as the authorities have increased controls at the usual crossing points in northern Morocco. Migration is documented mainly on the arrivals side, by the Spanish Ministry of the Interior, which counts almost 40,000 migrants as having landed in the Canary Islands in 2023. In January 2024 alone, more than 7,270 migrants arrived in the archipelago, according to data from the Spanish authorities, over 10 times the number in January 2023.

    Over many years, and with modest resources, Taghia has set up the only migrant aid association in #Laayoune, covering the whole region. It raises awareness of the dangers of crossing and offers an alternative, facilitating integration into the local society and organizing discussion workshops for migrant women. “In the Sahara, Rabat, Marrakech or Tangiers, everyone knows me as Papa Africa. Since 2014, with my team, I’ve been able to help 7,000-8,000 people in the region. Looking back, I can’t believe it,” says Taghia, who is always the first to open the door of his association in the morning. The premises were set up in 2016, in a working-class district of the city near to the ocean, helped by the Catholic charity federation Caritas Internationalis and subsidies from the Moroccan government. The main hall, where a poster reads “Solidarity is not a crime, it’s a duty!” is crowded all day long. “We chose to be in the immediate vicinity of where the migrants live. Our aim has always been to focus on the most vulnerable population. It’s important to give them a place to express themselves, with all that they have endured during their migration,” he explains.

    Historically, the region is a crossroads of cultures and peoples, and in the surrounding area the local population rubs shoulders with Wolofs, Peuls, Mauritanians and Ivoirians. “We’ve always been used to seeing Black people here. There is less racism than in the north of the country. The locals rent flats to migrants, which is not the case elsewhere in Morocco,” Taghia says, as he sips a Touba coffee from Senegal, the only one to be found in the neighborhood. Pointing to several flags of African and Middle Eastern countries on a shelf in the main room, the humanitarian estimates that between 15,000 and 18,000 migrants are currently in Laayoune.

    The desert area of Western Sahara is bordered to the east by a front line between Morocco and the Sahrawi nationalist Polisario Front, known as the “wall of sands,” and to the west by the Atlantic Ocean. The varied and shifting behavior of migrants in this area makes it hard to ascertain their numbers: Some decide to settle and make Morocco their home, some make the crossing and others wait to cross. And the crossings depart from a wild coastline — a sort of no-man’s-land — stretching as far as the eye can see, for more than 680 miles. This expanse offers illegal immigrants a multitude of possible departure zones when night falls, as they hope to reach the Canary Islands, the small Spanish archipelago that has become the new gateway to the European Union.

    Throughout the year, Taghia roams the coastline of dunes falling into the ocean, from Tarfaya in the north to Dakhla in the south, reaching out to migrants preparing to cross and making them aware of the dangers of the ocean. “We don’t encourage them to make the crossing because it’s too dangerous. They think that the Canaries are not far away, but the weather conditions are difficult, hence the many shipwrecks,” he says.

    The vastness of the coastal strip facilitates the departure of makeshift boats from scattered crossing points. In places, it is sometimes possible to see the lights coming from the Spanish islands on a fine day. At the closest point, in the Tarfaya region, the Moroccan coast is 62 miles from the Canaries — a mere stone’s throw, but across some of the world’s most dangerous waters for migrants.

    As Caminando Fronteras outlines in its recent report, migrants’ chances for survival on this route are strongly affected by relations between Morocco and Spain. Morocco has sought to use its willingness to oversee migration routes to gain recognition for its control of the region and its waters, and in 2023 the Spanish search and rescue agency Salvamento Maritimo did effectively recognize Moroccan control of the route by distributing maps drawn up by the kingdom. Rescues are delayed as the Spanish authorities encourage Morocco to take responsibility for migrants at sea, adding to the dangers faced by those making the crossing.

    The flow of migrants taking the route from both Western Sahara and from the West African coast in general to the Canaries began in the 1990s and intensified in 2006 with the “pirogue crisis,” when thousands attempted the crossing from the coasts of Senegal and Mauritania to the Canaries, spurred by conflicts in several countries, tightening border controls at Ceuta and Melilla and the collapse of traditional fisheries under pressure from intensive fishing practices. This period coincided with the start of Taghia’s humanitarian involvement. “My commitment began some 20 years ago, when I was drinking coffee with friends here in this local cafe. At the time, next to this cafe, there was a detention center where migrants were held after being rescued at sea. They had just come out of the water, still wet, and they were going to be sent straight back to Mauritania at that point,” he remembers, adding: “I couldn’t stand by and do nothing. At the beginning, in 2005, I started to help by simply collecting and distributing clothes and food. It wasn’t as structured as it is today with the association premises. There was no help for immigrants, and nobody understood why we were helping them.”

    From 2017, the association was able to observe an increase in the arrival of migrants seeking to cross to the Canaries. “First, the Moroccan authorities blocked departures in northern Morocco. Then, in Libya, migrants are victims of rape and human trafficking. And recently, in Tunisia, the authorities abandoned them in the desert. More and more migrants are leaving here, despite the risks of the fatal ocean,” he explains. But these are not the only reasons that people continue to come. “The flow increased enormously during and after the COVID crisis. With the problem of building sites and shops closing all over the world, and particularly in Africa, this has led to a loss of jobs,” he adds. With the number of crossings on the increase, the watchword at the association’s office is “raising awareness” of the dangers involved.

    Taghia has surrounded himself with volunteers: two women, Aicha Sallasylla and Diara Thiam, and two men, Aboubakar Ndiaye and Abdou Ndiaye, all from Senegal. This team is a symbol of what Taghia has achieved over the past 20 years. Some of those now working with him considered the crossing to Europe themselves. It was after meeting Taghia that they decided to stay in Laayoune to help prevent further deaths and to try to help others envisage a future in Morocco like their own.

    Every morning, the group gathers in the meeting room to plan the tasks ahead and take stock of the weather situation, worrying about the survival of any migrants who might take to the ocean. “When we are confronted with dozens of corpses, regularly, we have to take the lead. We must raise awareness among young people so that they take the necessary measures. People’s lives are important, which is why we turn to community leaders. But some of them are smugglers, so our message doesn’t always get through,” says Taghia, who organizes the monthly awareness campaigns with Thiam. According to Taghia, nearly 1 in 10 of the boats run aground. Sallasylla, a volunteer with the association who wanted to cross in the past, says: “Clandestine migration is financed by family investments. Relatives sell their land to get to Europe, hoping to be able to pay off the journey. By the time they get here, it’s often too late, because they’ve already taken out a loan with a bank or their family.” “Cross or die” is the migrants’ motto. In debt or under family pressure, migrants feel they have no choice but to continue their journey. “All this encourages people to leave. And we can only convince two or three people out of 10,” she admits.

    Not far from Laayoune, Taghia and Abdou walk along an endless sandy beach. They usually come here when there is a risk of shipwreck, hoping to find survivors. They are close; Taghia saved Abdou from his attempted crossings. Abdou, 38, has since become a volunteer with the association. “This beach was a starting point, but now the gendarmes are on the lookout,” he says, pointing to soldiers on patrol. The two men watch the sunset over the Atlantic Ocean, worried.

    Over the last few days, as is often the case, dozens of people have gone missing in the open sea. Abdou shows a message on his phone: “SOS in the Atlantic! We were alerted to the presence of a boat with 47 people in distress coming from Tarfaya. We lost contact 42 hours ago. To date, we’ve had no news.” It was sent by Alarm Phone, a group of volunteers offering telephone assistance to people in distress in the Mediterranean, the Aegean Sea and the Atlantic Ocean, with whom the association works. Testimonies from families and alerts from civilians in the departure areas are vital to the rescue operation. “When we receive these alerts, we share the GPS coordinates of the last known positions with the Moroccan maritime forces,” Taghia explains.

    On the beach, Abdou discusses the mechanisms of clandestine migration in the light of his own story, under Taghia’s benevolent gaze. Abdou has tried to cross three times. He entered Morocco illegally in 2012 and for three years he worked in fish-freezing factories. Every year, at the time of Eid el-Kebir, a public holiday, Abdou traveled to Tangiers with friends, with a single goal in mind: the crossing to Europe. Each time they arrived in northern Morocco, Abdou and his friends tried to find a so-called “captain” to take them out to sea. “The captains are often sub-Saharan fishermen who want to immigrate. The fishermen don’t pay for the journey, and in exchange, they guide us out to sea. It’s a win-win situation,” Abdou confides, adding: “In the north of Morocco, we can’t use motorboats, because we don’t want to make noise and be spotted. So, we paddle.” Abdou was arrested twice in a forest before he had even touched water, and the third time at sea.

    In 2015, Abdou found a new job in a factory in El Marsa, a few miles from Laayoune: “That’s where I heard about Papa Africa. Since then, it has given meaning to my life, by giving me the opportunity to help people,” Abdou says, looking out over the ocean. Taghia, moved, replies: “You have to have love and desire. You must know how to live for others.” Since then, Abdou has decided to save lives alongside Papa Africa, a commitment that has earned him respect and turned him into an unofficial leader of the Senegalese community in Laayoune.

    hile the association works to save lives, others take advantage of the “European dream” and turn it into a business. “There are two kinds of prices for the Canaries: the ‘classic pack’ for which you pay $550 on departure and $2,100 on arrival. And then there’s the ‘guaranteed’ option, which costs $3,200 if you arrive at your destination,” explains Abdou. It’s a financial windfall for the local mafia and the smugglers. A small 9-meter Zodiac inflatable boat carrying 58 people can make $150,000. According to our information, the people at the head of the networks are Moroccan nationals. They never physically move. They organize the clandestine crossings from their homes and instruct the sub-Saharan smugglers to bring the Zodiacs to the beach.

    For Taghia and Abdou, this illegal business is distressing: “It hurts us to see people dying. We are eyewitnesses to these tragedies. We regularly see inanimate bodies washed ashore. Families with no news contact me to find out if their loved ones are still alive,” Abdou says. To facilitate the search, Abdou visits the local morgues. “The family sends me a passport photo and a photo of the missing person taken in everyday life. The last time, I was able to identify a corpse in a morgue thanks to a scar on the forehead,” says Abdou.

    The association’s goal of saving lives is ultimately at odds with the smugglers’ activities, and when asked if he has experience of pressure from the mafia, Taghia replies: “Not directly. But I hear things here and there.” Hundreds of criminal networks involved in migrant smuggling and human trafficking are dismantled every year by the Moroccan authorities, sponsored since 2019 by the EU and the United Nations Office on Drugs and Crime, with a budget of 15 million euros allocated over three years for Morocco and the rest of North Africa (Egypt, Libya, Algeria and Tunisia).

    In Abdou’s view, the smugglers are not the only ones responsible for the human tragedies in the Atlantic: “The European Union is guilty of these deaths. It allocates large subsidies to third countries to combat immigration. Instead of externalizing its border protection, the EU could fund humanitarian development projects or vocational training centers in the countries of departure,” he says, adding: “In Senegal, it’s mainly the fishermen who are leaving. There are no fish left because of the fishing contracts signed with China and South Korea, which practice industrial overfishing. They’ve taken everything.” According to a report published by the Foundation for Environmental Justice, almost two-thirds of Senegalese fishermen say that their income has fallen over the last five years. One of the causes of this decline is overfishing, notably the destruction of breeding grounds following the arrival of foreign industrial fishing fleets off the Senegalese coast. “In five to 10 years’ time, there won’t be any young people left in Senegal,” Abdou says.

    In June 2023, the European Commission presented an EU action plan on the migratory routes of the Western Mediterranean and the Atlantic, supporting the outsourcing of border management and strengthening “the capacities of Morocco, Mauritania, Senegal and the Gambia to develop targeted actions to prevent irregular departures.” To prevent migrants from organizing themselves to make the crossing to the Canary Islands, Morocco is deploying measures to keep them away from the departure areas and move them to other towns.

    In support of integrated border and migration management, Morocco received 44 million euros from the EU between December 2018 and April 2023. Yet for Taghia, the tactics funded in this way are inadequate. “Morocco has a duty to limit departures under bilateral agreements. The financial aid granted by the EU is mainly distributed to the Moroccan coast guards and security services. They mustn’t take an exclusively security-oriented approach. We need to have a long-term humanitarian vision, aimed at vocational training and the integration of migrants in their countries of origin or when they arrive here,” he says. “In Laayoune at the moment, there are arrests everywhere, because recently, following several shipwrecks that left many dead and missing, the authorities have arrested and moved migrants all over the Sahara, to keep them away from the departure areas.”

    According to some witnesses in the region interviewed by New Lines, migrants are regularly subjected to police violence and forced displacement in efforts to keep them away from the departure points and dissuade them from taking to sea. New Lines was able to visit a migrants’ hostel to gather testimonies from direct victims of police violence and view several videos documenting human rights violations against migrants. To protect the victims, we will not give details of their identities or backgrounds.

    A man who testified that he had been subjected to police violence on several occasions said: “During the day, we hide to avoid police raids. When the police arrive at the houses to arrest us, some of us jump off the roofs to try and escape, and some of us break a leg.” Several victims told of how these “displacement” operations to move migrants away from the departure zones are carried out. “Often, the police are in civilian clothes. When we ask to see their identity papers or badges, they hit us,” one person said. “They force us into vans or buses, then take us to a center outside Laayoune. We remain detained in unsanitary conditions for a few days until we can fill a bus with 40 to 50 people to take us to other Moroccan towns.” Measures are different for migrants rescued at sea or arrested by coastguards at the time of crossing, who are systematically incarcerated in detention centers and released after several days. “I left my country because of a political crisis, so I wanted to take refuge in Morocco. I had no intention of crossing, but the violence here might force me to take the risk,” a young woman from Ivory Coast told New Lines in tears.

    Taghia has just returned from Dakhla, where he met with the Senegalese consul, installed in the coastal town in April 2021, to obtain permits for access to the detention center in Laayoune, in the hope of finding Senegalese migrants reported missing after shipwrecks or rescues, and providing news to their families. According to our information, there are four detention centers in the area: one on the outskirts of Laayoune, two in Dakhla and one in Tan-Tan.

    “Morocco is caught between the African countries and the European Union,” Taghia says. The Cherifian Kingdom does not wish to carry out mass expulsions of sub-Saharan immigrants to their countries of origin, which could jeopardize its strategic and diplomatic relations with the rest of Africa. In this context, from 2014 the Moroccan government adopted a new comprehensive national strategy called “immigration and asylum,” aimed at regularizing the situation of irregular migrants present on Moroccan territory and facilitating their social integration. This initiative, partly funded by the European Union, is one of the policy levers intended to reduce the migratory flow to Europe. In January 2024, the UNHCR estimated that there were 10,280 refugees and 9,386 asylum seekers from 50 different countries in Morocco. “In Laayoune, in 2015, a Migrant Monitoring Commission was set up to facilitate access to healthcare, and regularization. But we don’t have the exact figures for the number of migrants regularized in the region, because they are not public data. The Regional Human Rights Commission and the Wilaya have helped to integrate migrants. Today, migrant children can enroll in school. And doors have started to open for humanitarian projects,” Taghia says.

    “We don’t stop migration at the last minute. If someone has traveled from Guinea to Algeria and then on to Morocco, you can’t ask them to stop along the way. So, we must meet their economic needs by giving them a professional perspective here,” he says. Taghia is aware that the situation of migrants remains fragile and precarious across the region. “We would like to be able to obtain grants from the European Union to help us develop humanitarian projects like the ones we are currently setting up,” he points out. He perseveres, using his own contacts and seeking support from the Catholic Church in Laayoune. He regularly crisscrosses the city to convince companies to recruit migrants. “We’ve become a sort of employment agency,” he says with a smile. “This year, we managed to find work for 25 people who were already qualified in their country of origin. Today, they are working, for example, in gardening, mechanics or catering.”

    Since 2023, he has been trying to create partnerships with local schools to provide vocational training for migrants, making it more likely that they choose to stay and avoid tragedy at sea. Amie Gueye, 28, is one of them. A Senegalese mother, she came to Morocco with her husband and two children. In the salon where she is training to become a hairdresser, she explains that the association helped to find her the opportunity.

    Day after day, Abdou’s phone keeps ringing. One morning, he listens to an audio message — “I’ve arrived in Spain” — looking reassured. Abdou confides: “He’s a Burkinabe who’s had a problem with his leg since he was born. He wanted to go to Spain for treatment because, despite several operations in Burkina Faso, it wasn’t getting any better,” adding, “Like Papa Africa, my days are focused on the needs of migrants. My phone even rings at night. Yesterday, I took a woman who was about to give birth to the hospital by taxi at 3 in the morning.” The needs are regularly medical, and the association activates its personal networks to take care of the migrants. Sometimes there are happy days, like this time with the new baby, and Taghia decides to drive his team to the hospital. A rock fan, he puts on a song by an artist he likes; Sallasylla starts humming to the tune of Dire Straits’ “Sultans of Swing.” The volunteers arrive enthusiastically with gifts for the mother and baby Abdou has helped. Sallasylla dances as she enters the room, Taghia shouts “Congratulations,” while Thiam takes the newborn in her arms and exclaims: “He looks just like his brother.”

    https://newlinesmag.com/reportage/a-sliver-of-hope-on-the-deadly-route-to-the-canary-islands

    #Canaries #îles_Canaries #migrations #réfugiés #Papa_Africa #solidarité #mourir_aux_frontières #morts_aux_frontières #route_Atlantique #Espagne #contrôles_frontaliers #Sahara_occidental #Maroc #dissuasion

  • Espagne : des jeunes migrants se déclarant mineurs incarcérés pour avoir conduit des canots

    En Espagne, les cas de jeunes migrants se disant mineurs enfermés dans les prisons du pays pour avoir piloté des canots se multiplient, à mesure que les arrivées irrégulières augmentent. Les adultes, eux aussi, subissent le même sort. Comme en Grèce et au Royaume-Uni, deux États qui incarcèrent également des exilés vus à la barre d’un canot, les associations et les militants espagnols estiment que le gouvernement se trompe de cible.

    B.C. a quitté la prison de Las Palmas, sur l’île de Grande Canarie, jeudi 14 mars. Le jeune Sénégalais de 17 ans, accusé par la justice d’être un passeur pour avoir conduit un canot de migrants, était incarcéré dans ce centre pour adultes depuis presque trois mois.

    Quelques heures plus tôt, le tribunal avait ordonné sa libération en raison de son âge. « Les conclusions [de l’examen] médico-légal » effectué sur B.C. ne permettent pas d’affirmer avec « certitude que le sujet est majeur », avait estimé le juge.

    Depuis son incarcération le 21 décembre 2023, le Sénégalais répétait inlassablement qu’il n’avait que 17 ans. Une photocopie de son acte de naissance transmis à l’administration n’avait pas suffi à mettre fin à son emprisonnement. Ni même un test médical qui avait conclu que « l’âge estimé du mineur présumé est compatible avec l’âge qu’il a mentionné ».

    L’ONU s’était emparé du sujet et avait exhorté le 11 mars les autorités espagnoles à libérer l’adolescent et à le traiter conformément à la Convention internationale des droits de l’enfant. L’organisation avait rappelé qu’en cas de doute sur l’âge d’une personne se déclarant mineure, elle doit être prise en charge en tant qu’enfant.

    Après la décision du tribunal de Las Palmas, B.C. a été transféré dans un centre fermé pour mineurs sur l’île de Ténérife en attendant son procès.
    Plusieurs jeunes enfermés en prison

    Comme ce garçon originaire du Sénégal, d’autres Subsahariens connaissent le même sort : arrivés aux Canaries à bord d’une pirogue surchargée, ils ont été accusés de piloter le canot, et n’ont pas été considérés comme des mineurs. Depuis, ils croupissent dans les prisons canariennes.

    C’est le cas d’Alioune (prénom d’emprunt), un Gambien de 16 ans enfermé depuis octobre 2023 à Ténérife, après avoir été désigné comme le « patron » de l’embarcation dans laquelle il se trouvait en arrivant dans l’archipel. À l’intérieur, le corps d’un enfant de 13 ans avait été retrouvé et 10 personnes avaient péri pendant la dangereuse traversée de l’Atlantique.

    Comme B.C., Alioune a fourni un acte de naissance prouvant son âge, et s’est soumis à des tests osseux, via une radiographie de la main. Les résultats signalaient alors que « la personne examinée a un âge osseux supérieur à 18 ans », tout en rappelant qu’il « n’est pas possible d’établir avec certitude l’âge réel ».

    On peut aussi citer l’histoire d’A.G., emprisonné avec B.C. alors qu’il n’avait que 15 ans. Ce Sénégalais a passé un mois et demi derrière les barreaux avant qu’un juge de surveillance pénitentiaire ordonne son transfert vers un centre fermé pour mineurs et que des tests prouvent sa minorité.

    Hausse du nombre d’#emprisonnement

    Alors, les jeunes étrangers seraient-ils de plus en plus nombreux à remplir les prisons espagnoles ? Difficile à affirmer en raison du manque de données sur le sujet, l’enfermement des mineurs étant interdit par la loi. Mais pour Daniel Arencibia, avocat en droit des étrangers, les affaires de ce type se multiplient.

    Il dit observer ces derniers mois une hausse des cas et regrette « beaucoup d’erreurs pour déterminer l’âge » d’un migrant. Cette recrudescence des emprisonnements s’explique, selon lui, par l’augmentation du nombre de mineurs débarqués en Espagne. « En 2020, il y avait moins de 400 mineurs aux Canaries. Aujourd’hui, ils sont plus de 5 000 », précise l’avocat.

    Un chiffre qui coïncide avec la hausse des débarquements en Espagne : on comptait en 2023, plus de 56 000 arrivées de migrants dans le pays, soit un bond de 82% par rapport à 2022. Parmi eux, près de 40 000 ont été enregistrés aux Canaries, une hausse de 154% par rapport à l’année précédente.
    Des peines différentes selon les provinces espagnoles

    Les jeunes ne sont pas les seuls à subir le même sort. Les migrants adultes aussi se voient désigner comme passeurs, pour avoir piloté leur embarcation. Et selon le lieu de leur arrestation, les peines diffèrent de plusieurs années, révèle une étude de Daniel Arencibia.

    Ce dernier a analysé plus de 200 condamnations portées contre des exilés dans les provinces espagnoles – sur les îles et sur la péninsule – les plus touchées par les arrivées irrégulières, du 1er janvier 2021 à aujourd’hui. Et le constat est sans appel : les migrants jugés aux Canaries écopent de peines plus lourdes pour les mêmes chefs d’accusation que dans les autres régions du pays.

    « Aux Baléares, ils sont condamnés à deux ans de prison, et aux Canaries à trois voire cinq ans », affirme l’avocat dans une interview accordée au média local Diario de Canarias.

    Pour avoir conduit une pirogue, et être poursuivi en tant que passeur, les exilés encourent jusqu’à huit ans de prison en Espagne. Une circulaire stipule cependant que dans le cas où la personne cherche également à obtenir une protection, une circonstance atténuante peut être appliquée et permet de réduire la peine.

    Daniel Arencibia a également découvert que le jugement pouvait être plus clément si le migrant renonce à son procès et se déclare donc coupable : dans ce cas, le Parquet réclame trois années de prison, en vertu de la circulaire évoquée précédemment. Dans le cas inverse, il demande sept ans d’emprisonnement. « Dans la province de Las Palmas [sur l’île de Grande Canarie, ndlr], 91% des accusés ont signé le document et accepte la peine de trois ans », renonçant à faire reconnaitre leur innocence.

    Rien d’étonnant pour l’avocat car, selon lui, les exilés n’ont d’autres choix : « Le migrant ne comprend pas la langue, a peur et on lui dit : ‘Si vous ne signez pas ce papier, vous ferez sept ans de prison au lieu de trois’ », résume-t-il.

    Comme en Grèce et au Royaume-Uni, deux États qui incarcèrent aussi des exilés vus à la barre d’un canot, les associations et les militants espagnols estiment que le gouvernement se trompe de cible. Les migrants emprisonnés « n’appartiennent pas à des mafias, ce sont de pauvres pêcheurs pour la plupart. Nous dépensons des millions pour mettre en prison des pêcheurs mais nous n’avons pas le budget nécessaire pour poursuivre ceux qui deviennent réellement millionnaires, au Maroc ou en Mauritanie », déplore l’avocat.

    https://www.infomigrants.net/fr/post/55997/espagne--des-jeunes-migrants-se-declarant-mineurs-incarceres-pour-avoi
    #scafisti #criminalisation_de_la_migration #migrations #asile #réfugiés #Espagne #détention #mineurs #enfants #enfance #route_Atlantique #Canaries #îles_Canaries

  • Les veilleurs. Résister aux #frontières de l’Europe

    En déc. 2021, plus de 100 personnes ont disparu sur la route des Canaries, lors de périlleuses traversées vers l’exil. Face à une Europe qui se barricade, des activistes, dont #Marie_Cosnay, relaient les appels de détresse lancés depuis les embarcations. Taina Tervonen se fait l’écho de ses Veilleurs.

    https://www.radiofrance.fr/franceculture/podcasts/l-experience/les-veilleurs-resister-aux-frontieres-de-l-europe-1170676
    #mourir_aux_frontières #mourir_en_mer #sauvetage #résistance #migrations #réfugiés #route_atlantique #Canaries #îles_Canaries #naufrage

  • Identifying dead migrants on Spain’s Canary Islands

    The Canary Islands are a first destination for people trying to reach continental Europe. Numbers of those attempting the dangerous Atlantic crossing are soaring. DW’s Jan-Philipp Scholz reports from Las Palmas and Mogán, on Gran Canaria.

    https://www.dw.com/en/identifying-dead-migrants-on-spains-canary-islands/video-68247230
    #mourir_aux_frontières #route_atlantique #Gran_Canaria #cimetière #réfugiés #migrations #identification #îles_Canaries #Canaries #morts_aux_frontières #celleux_qui_restent

  • L’UE octroie 210 millions d’euros à la #Mauritanie pour lutter contre l’immigration clandestine

    L’UE a prévu une enveloppe de 210 millions d’euros pour aider la Mauritanie à réduire le nombre de migrants transitant par son territoire en direction des #îles_Canaries, ont annoncé la présidente de la Commission européenne, Ursula Von der Leyen, et le Premier ministre espagnol, Pedro Sánchez, lors d’une visite dans le pays d’Afrique de l’Ouest jeudi (8 février).

    Il s’agit là du plus récent #accord de l’UE avec un pays africain visant à financer un large éventail de secteurs, mais aussi à réduire l’immigration clandestine vers l’Europe, après les accords conclus avec la Tunisie, le Maroc et l’Égypte l’année dernière.

    Au cours de la cérémonie, à laquelle assistait également le président mauritanien, Mohamed Ould El-Ghazaouani, un investissement de 210 millions d’euros a été annoncé pour soutenir les efforts de la Mauritanie en ce sens, pour financer l’#aide_humanitaire et pour offrir des opportunités à la #jeunesse mauritanienne.

    Ursula von der Leyen a également reconnu le rôle « primordial » de la Mauritanie pour la stabilité dans la région, raison pour laquelle une partie de l’enveloppe annoncée sera allouée à la sécurité. Bruxelles aidera ainsi la Mauritanie à « sécuriser » ses #frontières avec le #Mali, en guerre depuis 2012.

    La présidente de la Commission a cité d’autres domaines et projets qui profiteront du financement européen, tels que l’hydrogène vert, la connectivité ou encore l’emploi.

    Bien que la Mauritanie ne partage pas de frontière avec l’UE, un nombre important de demandeurs d’asile transitent par son territoire. Le pays d’Afrique de l’Ouest accueille plus de 100 000 réfugiés, principalement en provenance du Mali, selon les données du Haut Commissariat des Nations unies pour les réfugiés (HCR).

    La présence de Pedro Sánchez à Nouakchott jeudi s’explique par le fait que, selon les registres officiels, 83 % des migrants arrivant aux îles Canaries en Espagne par des voies irrégulières transitent par la Mauritanie. La question de l’immigration clandestine en provenance du pays est donc un enjeu important pour Madrid.

    Par le passé, l’UE a déjà conclu plusieurs accords et mis en œuvre plusieurs projets couvrant différents domaines avec les pays africains. Dans certains d’entre eux, par exemple, le bloc investit depuis des années dans la formation, l’assistance et la fourniture d’équipements pour les gardes-frontières terrestres et maritimes.

    L’importance nouvelle de la Mauritanie

    En raison de sa position périphérique et de sa faible notoriété, la Mauritanie a jusqu’à présent échappé à l’attention du public.

    Cependant, les eurodéputés ont déjà fait pression pour que cela change, certains soulignant que la stabilité relative du pays en faisait une exception dans la région du Sahel, fréquemment secouée par des coups d’État militaires et des insurrections ces dernières années.

    « Nous, sociaux-démocrates, soutenons les partenariats qui sont basés sur les principes de l’État de droit et des droits de l’Homme — la Mauritanie est un modèle pour cela », a déclaré Katarina Barley, eurodéputée et tête de liste du Parti social-démocrate allemand (SPD) pour les élections européennes de juin, à Euractiv.

    Les précédents accords de l’UE en matière de migration en Afrique ont fait l’objet de controverses en raison des conditions imposées aux demandeurs d’asile et des tendances autoritaires des gouvernements partenaires.

    En Mauritanie, les conditions semblent être différentes. Selon Mme Barley, elles sont meilleures, et l’UE devrait se concentrer sur la consolidation de régimes similaires en tant que « partenaires égaux ».

    La sociale-démocrate allemande espère que cet accord constituera un « modèle de coopération entre l’Afrique du Nord-Ouest et l’UE ».

    Cet accord s’inscrit également dans le contexte de l’importance géopolitique croissante de la Mauritanie, en raison de ses réserves de #gaz_naturel et de sa position stratégique sur la côte atlantique.

    Ces caractéristiques lui ont permis de faire l’objet de sollicitations de la part de pays comme la Russie et la Chine, tandis que l’alliance militaire de l’OTAN a également décidé d’intensifier sa collaboration avec le pays.

    https://www.euractiv.fr/section/international/news/lue-octroie-210-millions-deuros-a-la-mauritanie-pour-lutter-contre-limmigra

    #externalisation #asile #migrations #réfugiés #aide_financière #UE #EU #Union_européenne #Canaries #route_Atlantique

  • Reportages : InfoMigrants à la rencontre des Sénégalais tentés par le rêve européen

    InfoMigrants est allé au Sénégal, en banlieue de Dakar, à la rencontre de jeunes - et moins jeunes - tentés par un départ vers l’Europe. En cause : l’inflation, la crise du Covid et de la pêche... Certains sont restés mais ont aussi perdu un proche dans la traversée de l’Atlantique vers les Canaries espagnoles. D’autres encore sont rentrés après l’échec de leur rêve européen. Retrouvez tous nos reportages.

    La situation économique du Sénégal pousse de plus en plus d’hommes et de femmes à prendre la mer en direction des îles Canaries, distantes d’environ 1 500 km. Les Sénégalais fuient généralement une vie sans perspective, aggravée par les changements climatiques.

    https://www.youtube.com/watch?v=ZuLD1UbvL5Y&embeds_referring_euri=https%3A%2F%2Fwww.infomigrants.ne

    À l’été 2023, les départs se sont notamment succédé vers l’archipel espagnol depuis les côtes sénégalaises. Sur l’ensemble de l’année 2023, plus de 37 000 personnes ont tenté de rejoindre le pays européen, du jamais vu.

    https://www.youtube.com/watch?v=4N-_aCjoA-c&embeds_referring_euri=https%3A%2F%2Fwww.infomigrants.ne

    Beaucoup prennent la mer sans en mesurer les dangers. Selon l’ONG espagnole Caminando fronteras, plus de 6 000 migrants sont morts en mer l’année dernière. Ce chiffre, qui a pratiquement triplé (+177%) par rapport à celui de 2022, est « le plus élevé » comptabilisé par l’ONG depuis le début de ses recensements.

    https://www.youtube.com/watch?v=QMMuxSFfSS4&embeds_referring_euri=https%3A%2F%2Fwww.infomigrants.ne

    Dans le même temps, des Sénégalais, déçus par leur exil, sont aussi rentrés au pays après des années passées en Europe. Souvent, ils reviennent avec l’aide de l’Organisation internationale pour les migrations (OIM) et le soutien financier de l’Union européenne. Mais en rentrant « les mains vides », ils doivent faire face à la déception de leurs proches.

    https://www.youtube.com/watch?v=LsbHTBTn3fY&embeds_referring_euri=https%3A%2F%2Fwww.infomigrants.ne

    À Dakar, on croise aussi des Centrafricains, des Congolais, des Sierra-léonais, des Ivoiriens… Certains sont réfugiés, d’autres sont en transit, d’autres encore sont « bloqués » au Sénégal et attendent de pouvoir rejoindre rentrer chez eux.

    https://www.youtube.com/watch?v=apA6oKCDlOE&embeds_referring_euri=https%3A%2F%2Fwww.infomigrants.ne

    Enfin, il y a ceux qui refusent de risquer leur vie et s’échinent à demander un visa pour atteindre l’Europe, malgré les refus successifs et le coût de la procédure. Comme partout, des trafiquants profitent de la situation et organisent des trafics de rendez-vous en ambassades. Des mafias prennent ainsi tous les créneaux sur internet et les revendent à prix d’or à des Sénégalais désespérés.

    https://www.youtube.com/watch?v=IgyUa9priPY&embeds_referring_euri=https%3A%2F%2Fwww.infomigrants.ne

    https://www.infomigrants.net/fr/post/54517/reportages--infomigrants-a-la-rencontre-des-senegalais-tentes-par-le-r

    #Sénégal #asile #migrations #réfugiés #reportage #vidéo #jeunes #jeunesse #Dakar #facteurs_push #push-factors #inflation #pêche #route_atlantique #Canaries #îles_Canaries #perpectives #climat #changement_climatique #décès #morts_aux_frontières #mourir_aux_frontières #Caminando_fronteras #OIM #réintégration #retour #IOM #visas

  • More than 1,000 unmarked graves discovered along EU migration routes

    Bodies also piling up in morgues across continent as countries accused of failing to meet human rights obligations.

    Refugees and migrants are being buried in unmarked graves across the European Union at a scale that is unprecedented outside of war.

    The Guardian can reveal that at least 1,015 men, women and children who died at the borders of Europe in the past decade were buried before they were identified.

    They lie in stark, often blank graves along the borders – rough white stones overgrown with weeds in Sidiro cemetery in Greece; crude wooden crosses on Lampedusa in Italy; in northern France faceless slabs marked simply “Monsieur X”; in Poland and Croatia plaques reading “NN” for name unknown.

    On the Spanish island of Gran Canaria, one grave states: “Migrant boat number 4. 25/09/2022.”

    The European parliament passed a resolution in 2021 that called for people who die on migration routes to be identified and recognised the need for a coordinated database to collect details of the bodies.

    But across European countries the issue remains a legislative void, with no centralised data, nor any uniform process for dealing with the bodies.

    Working with forensic scientists from the International Committee of the Red Cross (ICRC) and other researchers, NGOs and pathologists, the Guardian and a consortium of reporters pieced together for the first time the number of migrants and refugees who died in the past decade along the EU’s borders whose names remain unknown. At least 2,162 bodies have still not been identified.

    Some of these bodies are piling up in morgues, funeral parlours and even shipping containers across the continent. Visiting 24 cemeteries and working with researchers, the team found more than 1,000 nameless graves.

    These, however, are the tip of the iceberg. More than 29,000 people died on European migration routes in this period, the majority of whom remain missing.

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    What is the border graves project?
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    About the investigation

    The Guardian teamed up with Süddeutsche Zeitung and eight reporters from the Border Graves Investigation who received funding from Investigative Journalism for Europe and Journalismfund Europe.

    We worked with researchers at the International Committee of the Red Cross who shared exclusively their most up-to-date findings on migrant and refugee deaths registered in Spain, Malta, Greece and Italy between 2014 and 2021.

    Other partners included Marijana Hameršak of the European Irregularized Migration Regime at the Periphery of the EU (ERIM) project in Croatia, Grupa Granica and Podlaskie Humanitarian Emergency Service (POPH) in Poland and Sienos Grupė in Lithuania. The journalist Maël Galisson provided data for France.

    Reporters and researchers also checked death registers, interviewed prosecutors and spoke to local authorities and morgue directors, as well as visiting two dozen cemeteries to track the number of unidentified migrants and refugees who have died trying to cross into the EU in the past decade and find their graves.

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    The problem is “utterly neglected”, according to Europe’s commissioner for human rights, Dunja Mijatović, who has said EU countries are failing in their obligations under international human rights law.

    “The tools are there. We have the agencies and the forensic experts, but they need to be engaged [by governments],” she said. The rise of the hard right and a lack of political will were likely to further impede the development of a proper system to address “the tragedy of missing migrants”, she added.

    Instead, pockets of work happen at a local level. Pathologists, for example, collect DNA samples and the few personal items found on the bodies. The clues to lives lost are meagre: loose change in foreign currency, prayer beads, a Manchester United souvenir badge.

    The lack of coordination leaves bewildered families struggling to navigate localised, often foreign bureaucracy in the search for lost relatives.

    Supporting them falls to aid organisations such as the ICRC, which has recorded 16,500 requests since 2013 for information to its programme for restoring family links from people looking for relatives who went missing en route to Europe. The largest number of requests have come from Afghans, Iraqis, Somalians, Guineans and people from the Democratic Republic of the Congo, Eritrea and Syria. Only 285 successful matches have been achieved.

    And now even some of this support is about to disappear. As governments cut their aid budgets, the ICRC has been forced to refocus its reduced resources. National Red Cross agencies will continue the family links programme but much of the ICRC’s work training police and local authorities is being cut.
    A race against time

    The mini set of scissors and comb worn on a chain were unique to 24-year-old Oussama Tayeb, a small talisman that reflected his job as a barber. For his cousin Abdallah, they were the hope that he had been found.

    Tayeb set sail last year from the north-west of Algeria just before 8pm on Christmas Day. Onboard with him were 22 neighbours who had clubbed together to pay for the boat they had hoped would take them to Spain.

    His family has been searching for him since. Abdallah, who lives in France, fears it is a race against time.

    Spanish police introduced a database in 2007 in which data and genetic samples from unidentified remains are meant to be logged. In practice, the system breaks down when it comes to families searching for missing relatives, who have no clear information about how to access it.

    The family had provided a DNA sample soon after Tayeb’s disappearance. With no news by February, they travelled to southern Spain for a second time to search for him. At the morgue in Almería, a forensic doctor reacted to Tayeb’s photo, saying he looked familiar. She recalled a necklace, but said the man she was thinking of was believed to have died in a jet ski accident.

    “It was a really intense moment because we knew that Oussama was wearing a jet ski lifejacket,” Abdallah said.

    Even with the knowledge that Tayeb’s body may have been found, his cousin was unable to see the corpse lying in the morgue without a police officer. Abdallah remembered the shocking callousness with which he was greeted at one of the many police stations he tried. “One policeman told us that if ‘they don’t want to disappear, they shouldn’t have taken a boat to Spain’.”

    Looming over Abdallah’s continuing search is a practical pressure mentioned by the Spanish pathologist: bodies in the morgue are usually kept for a year and then buried, whether identified or not. “We only want an answer. If we see the chain, this would be like a death certificate. It’s so heartbreaking. It’s like we’re leaving Oussama in the fridge and we can’t do anything about it,” he said.
    ‘Here lies a brother who lost his life’

    The local authorities that receive the most bodies are often on small islands and are increasingly saying they cannot cope.

    They warn that an already inadequate system is going backwards. Spain’s Canary Islands have reported a record 35,410 men, women and children reaching the archipelago by boat this year. In recent months, most of these vessels have sought to land on the tiny, remote island of El Hierro. In the past six weeks alone, seven unidentified people were buried on the island.

    The burial vaults of 15 unidentified people who were found dead on a rickety wooden vessel in 2020, in the town of Agüimes on Gran Canaria, bear identical plaques that read simply: “Here lies a brother who lost his life trying to reach our shores.”

    In the Muslim section of Lanzarote’s Teguise cemetery, the graves of children are marked with circles of stones. They include the grave of a baby believed to have been stillborn on a deadly crossing from Morocco in 2020. Alhassane Bangoura’s body was separated from his mother during the rescue and was buried in an unmarked grave. His name is only recorded informally, engraved on a bowl by locals moved by his plight.

    It is the same story in the other countries at the edge of the EU; unmarked graves dotted along their frontiers standing testament to the crisis. Along the land borders, in Croatia, Poland, Lithuania, the numbers of unmarked graves are fewer but still they are there, blank stones or sometimes an NN marked on plaques.

    In France, the anonymous inscription “X” stands out in cemeteries in Calais. The numbers seem low compared with those found along the southern coastal borders: 35 out of 242 migrants and refugees who died on the Franco-British border since 2014 remain unidentified. The high proportion of the dead identified reflects the fact that people spend time waiting before attempting the Channel crossing so there are often contacts still in France able to name those who die.
    Fragments of hope

    Leaked footage of Polish border guards laughing at a young man hanging upside down, trapped by his foot, stuck in the razor wire on the top of the 180km (110-mile) steel border fence separating Belarus from Poland caused a brief social media storm.

    But the moment he is caught in the searchlights, his frightened face briefly frozen, has haunted 50-year-old Kafya Rachid for the past year. She is sure the man is her missing child, Mohammed Sabah, who was 22 when she last saw him alive.

    Sabah had flown from his home in Iraqi Kurdistan in the autumn of 2021 to Belarus, for which he had a visa. He was successfully taken across the EU border by smugglers but was detained about 50km (30 miles) into Poland and deported back to Belarus.

    Waiting to cross again, his messages suddenly stopped. The family had been coming to terms with the fact he was probably dead. Then the video surfaced. With little else to go on, fragments such as this give families hope.

    Sabah’s parents, as so often happens, were unable to get visas to travel to the EU. Instead, Rekaut Rachid, an uncle of Sabah who has lived in London since 1999, has made three trips to Poland to try to find him.

    Rachid believes the Polish authorities lied to him when they told him the man in the video was Egyptian, and this keeps him searching. “They are hiding something. Five per cent of me thinks maybe he died. But 95% of me thinks he is in prison somewhere in Poland,” he said, adding: “My sister calls every day to ask if I think he is still alive. I don’t know how to answer.”
    Shipping container morgues

    In a corner of the hospital car park in the Greek city of Alexandroupolis, two battered refrigerated shipping containers stand next to some rubbish bins. Inside are the bodies of 40 people.

    The border from Turkey into Greece over the Evros River nearby is only a 10- to 20-minute crossing, but people cross at night when their small rubber boats can easily hit a tree and capsize. Corpses decompose quickly in the riverbed mud, so that facial characteristics, clothing and any documents that might help identify them are rapidly destroyed.

    Twenty of the corpses in the containers are the charred remains of migrants who died in wildfires that consumed this part of Greece during the summer’s heatwave. Identification has proved exceptionally difficult, with only four of the dead named to date.

    Prof Pavlos Pavlidis, the forensic pathologist for the area, works to determine the cause of death, to collect DNA samples and to catalogue any personal effects that might help relatives identify their loved ones at a later date.

    The temporary container morgues in Alexandroupolis are on loan from the ICRC. The humanitarian agency has loaned another container to the island of Lesbos, another migration hotspot, for the same purpose.

    Lampedusa does not have that luxury. “There are no morgues and no refrigerated units,” said Salvatore Vella, the Sicilian head prosecutor who leads investigations into shipwrecks off its coast. “Once placed in body bags, the bodies of migrants are transferred to Sicily. Burial is managed by individual towns. It has happened that migrants have sometimes been buried in sort of mass graves within cemeteries.”

    The scale of the problem was becoming so acute, said Filippo Furri, an anthropologist and an associate researcher at Mecmi, a group that examines deaths during migration, that “there have been cases of coffins abandoned in cemetery warehouses due to lack of space, or bodies that remain in hospital morgues”.
    ‘It’s not only a technical difficulty but also a political one’

    “If you count the relatives of those who are missing, hundreds of thousands of people are impacted. They don’t know where their loved ones are. Were they well treated, were they respected when they were buried? That’s what preys on families’ minds,” said Laurel Clegg, the ICRC forensic coordinator for migration in Europe. “We have an obligation to provide the dead with a dignified burial; and [to address] the other side, providing answers to families through identification of the dead.”

    She said keeping track of the dead relied on lots of parts working well together: a legal framework that protected the unidentified dead, consistent postmortems, morgues, registries, dignified transport and cemeteries.

    The systems are inadequate, however, despite the EU parliament resolution. There are still no common rules about what information should be collected, nor a centralised place to store this information. The political focus is on catching the smugglers rather than finding out who their victims are.

    A spokesperson for the European Commission said the rights and dignity of refugees and migrants had to be addressed alongside tackling people smuggling. They said each member state was responsible individually for how it dealt with those who died on its borders, but that the commission was working to improve coordination and protocols and “regrets the loss of every human life” .

    In Italy, significant efforts have been made to identify the dead from a couple of well-reported, large-scale disasters. Cristina Cattaneo, the head of the laboratory of forensic anthropology and odontology (Labanof) at the University of Milan, has spent years working to identify the dead from a shipwreck in 2015 in which more than 1,000 people lost their lives.

    Raising the wreck to retrieve the bodies has cost €9.5m (£8.1m) already. Organising the 30,000 mixed bones into identifiable remains of 528 bodies has been a herculean task. Only six victims have so far been issued official death certificates.

    As political positions on irregular migration have hardened, experts are finding official enthusiasm for their complex work has diminished. “It’s not only a technical difficulty but also a political one,” Cattaneo said.

    In Sicily, Vella has been investigating a fishing boat that sank in October 2019. It was carrying 49 people, mostly from Tunisia. Just a few miles off shore, a group onboard filmed themselves celebrating their imminent arrival in Europe before the boat ran out of fuel and capsized. The Italian coastguard rescued 22 people but 27 others lost their lives.

    Coastguard divers, using robots, captured images of bodies floating near the vessel, but were unable to recover all of them. The footage circulated around the world. A group of Tunisian women who had been searching for their sons contacted the Italian authorities and were given permits to travel to meet the prosecutor, who showed them more footage.

    One mother, Zakia Hamidi, recognised her 18-year-old son, Fheker. It was a searing experience for both her and Vella: “At that moment, I realised the difference between a mother, torn apart by grief, but who at least will return home with her child’s body, and those mothers who will not have a body to mourn. It is something heartbreaking.”
    The torture of not knowing

    The grief that people feel when they have no certainty about the fate of their missing relatives has a very particular intensity.

    Dr Pauline Boss, professor emeritus of psychology at the University of Minnesota in the US, was the first to describe this “ambiguous loss”. “You are stuck, immobilised, you feel guilty if you begin again because that would mean accepting the person is dead. Grieving is frozen, your decision-making is frozen, you can’t work out the facts, can’t answer the questions,” she said.

    Not knowing often has severe practical consequences too. Spouses may not be able to exercise their parental rights, inherit assets or claim welfare support or pensions without a death certificate. Orphans cannot be adopted by extended family without one either.

    Sometimes relatives are left in the dark for years. A decade on from a shipwreck disaster in 2013, bereaved families continue to gather in Lampedusa every year, still searching for answers. Among them this year was a Syrian woman, Sabah al-Joury, whose son Abdulqader was on the boat. She said that not knowing where he ended up was like having “an open wound”.

    Sabah’s family said the torture of not being able to find out what happened to him was “like dying everyday”. Abdallah thinks he must make another trip from Paris to southern Spain before the end of the year. “What is difficult is not to have the body, not to be able to bury him,” he said.

    Rituals around death were indicative of a deep human need, said Boss. “The most important thing is for the name to be marked somewhere, so the family can visit, and the missing can be remembered. A name means you were on this Earth, not forgotten.”

    https://www.theguardian.com/world/ng-interactive/2023/dec/08/revealed-more-than-1000-unmarked-graves-discovered-along-eu-migration-r

    #migrations #asile #réfugiés #frontières #mourir_aux_frontières #tombes #fosses_communes #Europe #morts_aux_frontières #enterrement #cimetières #morgues #chiffres

    • The Border Graves Investigation

      More than 1,000 migrants who died trying to enter Europe lie buried in nameless graves. EU migration policy has failed the dead and the living.

      A cross-border team of eight journalists has confirmed the existence of 1,015 unmarked graves of migrants buried in 65 cemeteries over the past decade across Spain, Italy, Greece, Malta, Poland, Lithuania, France, and Croatia. The reporters visited more than half of them.

      Unidentified migrants lay to rest in cemeteries in olive groves, on hilltops, in dense forests, and along remote highways. Each unmarked grave represents a person who lost their life en route to Europe, and a fate that will remain forever unknown to their loved ones.

      This months-long investigation underlines that Europe’s migration policies have failed more than a thousand people who have died in transit and the families who survive them.

      In 2021, the European Parliament passed a resolution recognsing the need for a “coordinated European approach” for “prompt and effective identification processes” for bodies found on EU borders. Yet in 2022, the Council of Europe called this area a “legislative void”.

      These failures mean that the responsibility of memorialising unidentified victims often ends up falling to individual municipalities, cemetery keepers and local good Samaritans, with many victims buried without any attempt at identification.

      https://twitter.com/Techjournalisto/status/1733100115781386448

      In the absence of official data from European and national governments, the Border Graves Investigation collaborated with The Guardian and Suddeutsche Zeitung to count 2,162 unidentified deaths of migrants across eight countries in Europe between 2014 and 2023.

      The cross-border team conducted over 60 interviews in six languages. They spoke with families of the missing and deceased, whose loved ones left for Europe from Syria, Afghanistan, Eritrea, Ethiopia, Iraqi Kurdistan, Algeria and Sri Lanka.

      They revealed the institutional and bureaucratic hurdles of searching for bodies and burying the remains of those that are found. One mother compared her unresolved grief to an “open wound,” and an uncle said it was like “dying every day”.

      To understand the complex legal, medical and political landscape of death in each country, the journalists spoke with coroners, grave keepers, forensic doctors, international and local humanitarian groups, government officials, a European MEP and the Council of Europe Human Rights Commissioner.

      The in-depth investigation reveals that the European Union is violating migrants’ last rights. The stories below show how.
      The team

      The Border Graves Investigation team consists of Barbara Matejčić, Daphne Tolis, Danai Maragoudaki, Eoghan Gilmartin, Gabriela Ramirez, Gabriele Cruciata, Leah Pattem, and is coordinated by Tina Xu. The project was supported by the IJ4EU fund and JournalismFund Europe.

      Gabriele Cruciata is a Rome-based award-winning journalist specialising in podcasts and investigative and narrative journalism. He also works as a fixer, producer, journalism consultant, and trainer.

      Gabriele Cruciata IG @gab_cruciata

      Leah Pattem is a Spain-based journalist and photographer specialising in politics, migration and community stories. Leah is also the founder and editor of the popular local media platform Madrid No Frills.

      X @leahpattem
      IG @madridnofrills

      Eoghan Gilmartin is a Spain-based freelance journalist specialising in news, politics and migration. His work has appeared in Jacobin Magazine, The Guardian, Tribune and Open Democracy.

      X @EoghanGilmartin
      Muck Rack: Eoghan Gilmartin

      Gabriela Ramirez is an award-winning multimedia journalist specialising in migration, human rights, ocean conservation, and climate issues, always through a gender-focused lens. Currently serving as the Multimedia & Engagement Editor at Unbias The News.

      X @higabyramirez
      Linkedin Gabriela Ramirez
      Instagram @higabyramirez

      Barbara Matejčić is a Croatian award-winning freelance journalist, non-fiction writer and audio producer focused on social affairs and human rights

      Website: http://barbaramatejcic.com
      FB: https://www.facebook.com/barbara.matejcic.1
      Instagram: @barbaramatejcic

      Danai Maragoudaki is a Greek journalist based in Athens. She works for independent media outlet Solomon and is a member of their investigative team. Her reporting focuses on transparency, finance, and digital threats.

      FB: https://www.facebook.com/danai.maragoudaki
      X: @d_maragoudaki
      IG: @danai_maragoudaki

      Daphne Tolis is an award-winning documentary producer/filmmaker and multimedia journalist based in Athens. She has produced and hosted timely documentaries for VICE Greece and has directed TV documentaries for the EBU and documentaries for the MSF and IFRC. Since 2014 she has been working as a freelance producer and journalist in Greece for the BBC, Newsnight, VICE News Tonight, ABC News, PBS Newshour, SRF, NPR, Channel 4, The New York Times Magazine, ARTE, DW, ZDF, SVT, VPRO and others. She has reported live for DW News, BBC News, CBC News, ABC Australia, and has been a guest contributor on various BBC radio programs, Times Radio, Morning Ireland, RTE, NPR’s ‘Morning Edition’, and others.

      X: https://twitter.com/daphnetoli
      Instagram: https://www.instagram.com/daphne_tolis/?hl=en
      Linkedin: www.linkedin.com/in/daphne-tolis

      Tina Xu is a multimedia journalist and filmmaker working at the intersection of migration, mental health, socially engaged arts, and civil society. Her stories often interrogate the three-way street between people, policy, and power. She received the Excellence in Environmental Reporting Award from Society of Publishers in Asia in 2021, was a laureate of the European Press Prize Innovation Award in 2021 and 2022, and shortlisted for the One World Media Refugee Reporting Award in 2022.

      X: @tinayingxu
      IG: @tinayingxu

      https://www.investigativejournalismforeu.net/projects/border-graves

    • 1000 Lives, 0 Names: The Border Graves Investigation. How the EU is failing migrants’ last rights

      What happens to those who die in their attempts to reach the European Union? How are their lives marked, how can their families honor them? How do governments recognize their existence and their basic rights as human beings?

      Our cross-border team confirmed 1,015 unmarked graves of migrants in 65 cemeteries buried over the last 10 years across Spain, Italy, Greece, Malta, Poland, Lithuania, France, and Croatia. We visited over half of them.

      Each unmarked grave represents a person who lost their life en route to Europe, and a fate that remains painfully unknown to their loved ones.

      In 2021, the European Parliament passed a resolution recognizing the need for a “coordinated European approach” for “prompt and effective identification processes” for bodies found on EU borders. Yet last year, the Council of Europe called this area a “legislative void.”

      In the absence of official data from European and national governments, the Border Graves Investigation counted 2,162 unidentified deaths of migrants across eight countries in Europe from 2014-2023.

      Our cross-border team conducted over 60 interviews in six languages. We spoke with families of the missing and deceased, whose loved ones left for Europe from Syria, Afghanistan, Eritrea, Ethiopia, Iraqi Kurdistan, Algeria, and Sri Lanka. They spoke about the institutional and bureaucratic hurdles of searching for, and if found, burying a body.

      One mother compared the unresolved grief to an “open wound,” and an uncle said it was like “dying every day.”
      Here is how Europe violates the “last rights” of migrants.

      https://unbiasthenews.org/border-graves-investigation

    • Widowed by Europe’s borders

      “No water, I think I’ll die, I love you.” This is the last text Sanooja received from her husband, who disappeared after a pushback into the dense forest that stretches between Belarus, Lithuania, and Poland. For families searching for missing loved ones, the EU inflicts a second death of identity and acknowledgment.

      Samrin and Sanooja were high school classmates. Both born in 1990, they grew up together in Kalpitiya, a town of 80,000 on the tip of a small peninsula in Sri Lanka. When Samrin first asked Sanooja out in the ninth grade, she said no. But years later, when her roommates snuck through her diary, they asked about the boy in all her stories.

      When they turned 20, Sanooja was studying to be a teacher, while Samrin left town for work. After six years of video calls and heart emoji-laden selfies, Samrin returned home in 2017 and they got married, her in a white headscarf and indigo-sleeved dress, him in a matching indigo suit. Their son Haashim was born a year later. They called each other “thangam,” or gold.

      She hoped the birth of their son meant that Samrin would stay close by from now on. They took their son to the beach, to the zoo. Then the 2019 economic crisis hit, the worst since the country’s independence in 1948. There were daily blackouts, a shortage of fuel, and runaway inflation. In 2022, protests rocked the country, and the government claimed bankruptcy.

      Samrin was a difficult person to fall in love with, says Sanooja, because he was so ambitious. Sanooja smiles bitterly over a video call from her home in Kalpitiya. The sun filters through the mango tree in the yard, where the two often sat together and made plans for their future.

      But part of loving him, she explains, meant supporting him even in his hardest decisions. One of these decisions was to take a plane to Moscow, then to travel to Europe and send money home. “He went to keep us happy, to make us good.”

      Their last day together, Sanooja surprised him with a cake: Sky blue icing, an airplane made of fondant, ascending from an earth made of chocolate sprinkles. In big letters: “Love you and will miss you. Have a safe journey, Thangam.” In their last photos together, Haashim sits laughing on Samrin’s lap as he cuts the cake. That night, Samrin squeezed his son and wept. The next day he put on a pair of blue Converse All-Stars, packed a black backpack, and set out. It was June 26, 2022. He had just turned 32 years old.

      Things did not go according to plan. He boarded a bus from St. Petersburg to Helsinki, but the fake Schengen visa they paid so much for was rejected at the Finnish border. Sanooja told him he could always come home. But in order to finance the journey, they had sold a plot of Samrin’s land and Sanooja’s jewelry, and borrowed money from friends. Samrin decided there was no turning back. He pivoted to plan B: He could go to Belarus, where he didn’t need a visa, and cross the border to Lithuania, in the Schengen zone.

      When Samrin checked into the Old Town Trio Hotel in Vilnius on August 16, 2022, the first thing he did was call home: He had survived the forest. Sanooja was relieved to hear his voice. He told her about the eight days crossing the forest between Belarus and Lithuania, the mud up to his knees. Days without food, drinking dirty water. He told her especially about the pains in his stomach as he walked in the forest, due to his recent surgery to remove kidney stones. Sometimes he would urinate blood.

      But he was in the European Union. He bought a plane ticket for a departure to Paris in four days, the city where he hoped to make his new life. What happened next is unclear. This is what Sanooja knows:

      On the third day, Samrin walked into the hotel lobby, and the manager called security. Plainclothes officers shuttled him into a car and whisked him 50 kilometers back once more to the Belarusian border. In less than 72 hours, Samrin found himself trapped again in the forest he had fought to escape.

      It was already dark when Samrin was left alone in the woods. He had no backpack, sleeping bag, or food. His phone was running out of battery. The next morning, Samrin came online briefly to send Sanooja a final message on WhatsApp: “No water, I think I’ll die. Trangam, I love you.”

      That was the beginning of a deafening silence that stretched four and a half months. When she gets to this part of the story, Sanooja, ever talkative and articulate, apologizes that she simply cannot describe it. Her eyes glaze and flit upward.

      The Council of Europe Human Rights Commissioner Dunja Mijatović asserts that families have a “right to truth” surrounding the fates of their loved ones who disappear en route to Europe. In 2021, the European Parliament passed a resolution calling for “prompt and effective identification processes” to connect the bodies of those who perished to those searching for them. Two years on, Mijatović tells us not much has been done, and the issue is a “legislative void.”

      As part of the Border Graves Investigation, conducted with a cross-border team of eight freelance journalists across Europe in collaboration with Unbias the News, The Guardian and Sueddeutche Zeitung, we followed the stories of those who have disappeared in the forest that covers the borders in Eastern Europe, between Belarus and the EU (Lithuania, Poland, Latvia).

      We spoke with their families, as well as over a dozen humanitarian workers, lawyers, and policymakers from organizations in Poland, Lithuania, and Belarus, to piece together the question of what happens after something goes fatally wrong on Europe’s eastern border—and who is responsible.
      Who counts the dead?

      The forest along the Belarussian border is a dense landscape of underbrush, moss and swamps, and encompasses one of the largest ancient forest areas left in Europe.

      Spanning hundreds of square kilometers across the borders with Lithuania and Poland, the forest became an unexpected hotspot when Belarus began issuing visas and opening direct flights to Minsk in the summer of 2021. This power play between Belarussian President Lukashenko and his EU neighbors has been called a “political game” in which migrants are the pawns.

      Since 2021, thousands of people, mostly from the Middle East and Africa, have sought to enter the EU from Belarus via its borders in Poland and Lithuania. Hundreds of people have been caught in a one-kilometer no man’s land between Belarusian territory and the EU border fence, chased back and forth by border guards on both sides under threat of violence. Belarusian guards reportedly threatened to release dogs, and photographs emerged of bite wounds.

      Since 2021, Poland and Lithuania have ramped up on “pushbacks,” in which border guards deport people immediately without the opportunity to ask for asylum, a process that is growing in popularity across Europe despite violating international law. Poland reports having conducted 78,010 pushbacks since the start of the crisis, and Lithuania 21,857. Samrin was apparently one of these cases.

      While these two countries publish precise daily statistics for pushbacks, they do not publish data for deaths at the border, nor people reported missing.

      “National states want to do this job secretly,” explains Tomas Tomilinas, a member of the Lithuanian Parliament. “We are on the margins of the law and constitution here, any government pushing people back is trying to avoid publicity on this topic.”

      Official data is an intentional void. Both the Polish and Lithuanian Border Guards declined to share any numbers with us. However, there are organizations striving to keep count: Humanitarian groups in Poland, including Grupa Granica (“Border Group” in Polish) and Podlaskie Humanitarian Emergency Service (POPH), have documented 52 deaths on the Poland-Belarus border since 2021, and are tracking 16 unidentified bodies.

      In Lithuania, the humanitarian group Sienos Grupė (“Border Group” in Lithuanian) has documented 10 deaths, including three minors who died while in detention centers, and three others who died in car accidents when chased by local authorities after crossing the border region. In Belarus, the NGO Human Constanta reports that 33 have died according to government data shared with them, but it was not recorded whether these bodies have been identified, and whether or where they are buried.

      On the borders between Poland, Lithuania and Belarus, humanitarian groups have compiled a list of more than 300 people reported missing. The organizations emphasize that their numbers are incomplete, as they have neither the access nor the capacity to monitor the full extent of the problem.

      Where to turn?

      It was already past midnight in Sri Lanka when Samrin stopped responding to messages. From 8,000 km away, Sanooja tried to call for help. She found his last known coordinates on Find My iPhone, a blue dot in Trokenikskiy, Grodno region, just across the Belarus side of the border, and tried to report him missing.

      The Lithuanian and Belarussian border guards picked up the phone. She begged them to find him, even if it meant arresting or deporting him. They responded that he had to call himself. It was baffling: How can a missing person call to report themselves?

      She called the migrant detention camps, where people are often detained without access to a phone for months. Maybe he was locked up somewhere. As soon as she said “hello,” they responded, “no English,” and hung up. She emailed them instead, no response. She emailed UNHCR and the Red Cross Society. Both institutions said they had no information about the case. She emailed the police, who responded a week later that they had no information.

      Sanooja had run into the rude reality that there is no authority responsible for nor prepared to respond to such inquiries. Even organizations dedicated to working with migrants, such as the migrant detention camp staff, would or could not respond to basic queries in English.

      International humanitarian organizations, too, are almost absent in the region. Compared to the Mediterranean countries of Spain, Italy, and Greece, which have had a decade to organize to respond to mass deaths on their border, the presence of formal aid in Eastern Europe is much smaller.

      Weeks passed, and in the terrible silence, every possibility behind her husband’s disappearance invaded Sanooja’s mind. Four-year-old Haashim began to cry out for his father every night, who used to wake him up with kisses. When they lost contact, Haashim often wet the bed and refused to go to school. “He must have had some intuition about his father,” said Sanooja.

      Then Sanooja began to wonder if he could be in another country in the region: Latvia? Poland? She broadened her search to all four countries. There was no Sri Lankan Embassy in Lithuania, Poland, Belarus, or Latvia, so she emailed the closest one in Sweden. Then, she went on Facebook. That’s how she found the account of Sienos Grupė, and sent them a message.

      Like many local humanitarian groups across the region, Sienos Grupė is a small team of four part-time staff and around 30 volunteers. The group banded together in 2021 to respond to calls for help through WhatsApp and Facebook and drop off vital supplies in the forest, such as food, water, power banks, and dry clothes.
      “There is a body, please go”

      Local volunteer groups were doing their best to aid the living, but it wasn’t long before they were being contacted to find the missing or the dead.

      On the Polish border, everyone has heard of Piotr Czaban. A local journalist and activist, his contact is shared among migrants attempting to cross the border. He is known as the man who can help find the bodies of people left behind in the woods, a reputation he has lived up to many times. The demands of the work have led him to leave his full-time job.

      He sits on the edge of a weathered log in a forest near Sokolka, a city near the Poland-Belarus border region where he lives. Navigating the thick undergrowth with ease in jeans and trekking boots, he recounts the first search he coordinated back in February 2022. He received a message on Facebook from a Syrian man in Belarus: “There is a body in the forest, here is the place, please go.”

      Piotr was taken off guard. He asked his friends in the police what to do, and they told him the best way was to go himself, take photos, and then call the police. However, the border guards had closed the border region to all non-residents, including journalists and humanitarian workers, so he couldn’t pass the police checkpoints for the area where the body lay.

      So Piotr made another call. This time to Rafal Kowalczyk, the 53-year-old director of the Mammal Research Institute, who has worked in the Bialowieza Forest for three decades. (“In my previous TV job, I interviewed him about bison, and thought he was a good man,” said Piotr by way of introduction).

      Rafal was up for the task. As a wildlife expert, he had access to the restricted forest area, and now he ventured into the woods not to track bison, but to follow the clues sent by a despairing Syrian man.

      In the swamp, Rafal found 26-year-old Ahmed Al-Shawafi from Yemen, barefoot and half-submerged in the water, one shoe in the mud nearby.

      It was difficult for Rafal to point his camera at the face of a dead man, but he did, and this image still haunts him. Piotr forwarded the photos Rafal had taken to the police, with a straightforward message: “We know there’s a body there. Now you have to go.”

      But what if Ahmed could have been found earlier, even alive?

      “The police have no competence”

      Until there is a photo of a dead body, police and border guards have often declined to search for missing or dead migrants.

      Ahmed’s traveling companions, including the man who contacted Piotr, had personally begged Polish border guards for emergency medical aid for Ahmed. They had left Ahmed by the river in the throes of hypothermia to ask for help. Instead of calling paramedics, or searching for Ahmed at all, the border guards pushed the group back to Belarus, leaving Ahmed to die alone in the forest.

      In our investigation, we heard of at least three other deaths that are eerily similar to Ahmed’s: Ethiopian woman Mahlet Kassa, 28; Syrian man Mohammed Yasim, 32; and Yemeni man Dr. Ibrahim Jaber Ahmed Dihiya, 33. In all three cases, traveling companions approached Polish officers for emergency medical attention, but instead got pushed back themselves. Help never arrived.

      Each time the activists receive a report of a missing or dead person, they first share this information with the police. Piotr says he has received responses from the police, including, “We’re busy,” or “Not our problem.”

      After police were provided with the photos and exact GPS location of Ahmed’s body, they called back to say they still couldn’t find him. When Rafal turned his car around to personally lead the police to his body, he found out why: The police had ventured into the swamp without waterproof boots or even a GPS to navigate in a forest where there is often no cell connection.

      “The police are unequipped,” said Rafal, full of disbelief. Two years on from the crisis, the police still do not have the proper basic equipment nor training to conduct searches for people missing or dead in the forest. He recounts that in one trip to retrieve a body with police, they could only walk 300 meters in one hour, and one officer had lost the sole of his shoes in the mud.

      The Polish police responded to our email, “The police is not a force with the competence to deal with persons illegally crossing borders.” As a result, eight of 22 bodies found this year on the Polish side of the border were discovered by volunteers like Piotr and Rafal.

      On the Lithuanian side, Sienos Grupė says there are no such searches. “We are afraid there are many bodies in Lithuanian forests and the area between the fence and Belarus, but we are not allowed there,” says Aušrinė, a 23-year-old medicine student and Sienos Grupė volunteer in Lithuania. “Nobody is looking for them.”
      “In two weeks, there is nothing there”

      Rafal sits down in a wooden lodge on the edge of the forest and orders tea for himself while his two young children play on a tablet. It was his turn with the kids, he explains in a deep voice. His wife came home at four in the morning, after spending the whole night volunteering with POPH on a search for a man with diabetes in the forest.

      He feared that time was running out. We met with Rafal on Thursday evening. The man was found on Saturday morning, already dead. He is the 51st death recorded in Poland this year.

      In the forest, each search is a race against both time and wild animals.

      The winter may preserve a body for two months, but in the summer, the time frame is much shorter. A few times, Rafal has come across mere skeletons. He explains, “When there is a smell, the scavengers go immediately. When you’ve got summer and flies, probably in two weeks, it’s done, there’s nothing there.”

      In such advanced stages of decomposition, the body is exponentially more difficult to identify. However, DNA can be collected from bone fragments, in case families come searching. If they’re lucky, there are objects found close by: glasses, clothes, or jewelry. In one case, a family portrait found near the body was the key to identification.

      However, the Suwałki Prosecutor’s Office in Poland explained to us that the Prosecutor’s Offices keep no central register of data on deceased migrants, such as DNA, personal belongings, or photographs.
      “As a wife, I know his eyes”

      Four and a half months after Samrin disappeared, Sanooja’s phone rang. It was January 5, 2023. She will never forget the voice of the man that spoke. He was calling from the Ministry of Foreign Affairs in Sri Lanka, and informed her that her husband’s DNA had been matched to a body found in the Lithuanian forest. Interpol had drawn Samrin’s biometric data from the UK.

      She considers it fate that the dots came together this way. When they were 20 years old, Samrin’s father passed away, and Samrin left for London on a student visa. Instead of studying, he washed dishes at McDonald’s and KFC, and stocked shelves at Aldi, Lidl, and Iceland. When his visa expired, he lived a clandestine existence, evading the authorities. At age 26, the Home Office arrested him, took his DNA, and deported him. This infraction turned out to be an unexpected lifeline for his identification.

      “Getting the message that my husband was no more, that was nothing compared to those four and a half months,” said Sanooja. She had begun to fear that she would have to live with “lifelong doubt” around Samrin’s fate. Now she knew that four days after Samrin sent his goodbye message, his body was pulled from a river on the Lithuanian side of the border.

      Sanooja has read the police report countless times now: On August 21, 2022, witness Saulius Zakarevičius went for a morning swim in the Neris River. After bathing, he saw something floating. Through binoculars, he was able to decipher human clothes. The river bank is covered with tall grass. At the end of the patch there was a male corpse lying face down. The surface of the skin was swollen, pale, chaotically covered with pink lines, resembling the surface of marble. The skin was peeling from the palms of the corpse…

      She was asked to identify the corpse.

      “As a wife, I know him. I know his eyes. To see them on a dead body, that was terrible.”
      Sanooja

      In photos of his personal items, she instantly recognized Samrin’s shoes: a muddy pair of blue Converse All-Stars, with the laces looped just the way he always did.

      To be able to transport a dead body from Europe to any other part of the world, families must face the financial challenge of costs up to 10,000 euros. But the decision was not only about money for Sanooja. It was about time and dreams.

      For one, she believed that he had suffered enough. “As Muslims, we believe that even dead bodies can feel pain,” she says softly. “I felt broken that he was in the mortuary, feeling the cold for four and a half months.”

      And perhaps most of all, she recites what Samrin had told her before he left: “If I go, this time I’m not coming back.” In the end, Sanooja relied on her husband’s last will. “His dream was to be in Europe. So, at least his body will rest in Europe.”
      “Graves without a plate”

      Samrin’s death was the first border death publicly recognized by the Lithuanian government. Despite being the first, he did not receive any distinctive attention, and his resting place remained an unmarked mound of earth for more than eight months.

      On a hot summer day in July, co-founder of Sienos Grupė, Mantautas Šulskus brings a green watering can and measuring tape to our visit to the Vilnius cemetery where Samrin was buried in February. Green grass is sprouting all over Samrin’s grave. But it is not the only one.

      There are three smaller graves lined in a row. Among them, an eleven-year-old, a five-year-old, and a newborn baby rest side by side, their lives cut short in 2021. “These are three minors who died in detention centers in Lithuania,” Mantautas points out somberly.

      These cases have not been officially acknowledged by Lithuanian authorities, and none of the graves of the minors bear a name, even though their identities were also known to authorities. This lack of recognition paints a haunting picture, suggesting a second, silent death—a death of identity and acknowledgment.

      Bodies are sent to municipal or village governments to bury, and if they do not receive explicit instructions to create a plate, they often opt not to. As a result, the nameless graves of migrants are scattered across cemeteries in the region.

      Yet Mantautas is here in the scorching heat to measure a stone plate nearby in the Muslim corner of the cemetery. Sanooja saw it during a video call with Sienos Grupė volunteers, so that she could pray virtually at her husband’s grave. She asked for a plate with Samrin’s name on it—“just exactly like that one there,” she pointed.

      After some months, Sienos Grupė crowdfunded around 1,500 euros to buy and place stone plates for all four graves. The graves of Samrin and the three children now have names: Yusof Ibrahim Ali, Asma Jawadi, and Fatima Manazarova.

      Resting at the feet of the grave is a plate made of stone bearing the inscription “M.S.M.M. Samrin, 1990-2022, Sri Lanka,” precisely as Sanooja has requested. She explains that, according to Islamic beliefs, this will ensure that her husband will rise when the last days come.

      Hidden graves, unknown bodies

      The chilling thing, Mantautas explains, is nobody knows how many graves of migrants there might be, except for the government, which buries them quietly, often in remote villages.

      Organizations like Sienos Grupė find themselves grasping in the dark for leads. Last month, volunteers came across the grave of Lakshmisundar Sukumaran, an Indian man reported dead in April “quite by accident,” says Mantautas. The revelation came on the Eve of All Saint’s Day, when activists preparing for a control ran into a local returning from a visit to his mother’s grave: “There is a migrant buried in town.”

      Indeed, Sukumaran’s grave stands alone in an isolated corner of a small cemetery in Rameikos, a village of 25 people on the Lithuanian-Belarus border. Set apart from crosses of various sizes, a vertical piece of wood bears the inscription: “Lakshmisundar Sukumaran 1983.06.05 – 2023.04.04.” The border fence is visible from his grave. The earth is decorated by the colorful leaves of Lithuanian autumn.

      Sienos Grupė maintains a list of at least 40 people reported missing on the Lithuania-Belarus border, information the government does not record. When bodies are found, they strive to connect the dots: Location, gender, age, ethnicity, possessions, birthmarks, anything. But if authorities do not report when a body is found, the chances of locating anybody on this list are small.

      Emiljia Śvobaitė, a lawyer and volunteer from Sienos Grupė, explains that the Lithuanian government will only confirm whether something they already know is correct. “It seems like they are hiding these kinds of stories and information unless somebody exposes it. They would only confirm the deaths after activists have said something about it.”
      “No political will”

      The Lithuanian Parliament building, known as the Seimas Palace, is an imposing glass-and-concrete building in downtown Vilnius. It is where the Lithuanians declared independence from the Soviet Union in 1990. From an office with a view over the square, Member of Parliament Tomas Tomilinas wryly explains that their government has legalized pushbacks essentially because Europe has not established that it’s illegal.

      “I would say Europe has no political will to make pushbacks illegal. If there were a European law, the European Commission would put a ban on it. It would put a fine on Lithuania. But nobody’s doing that.”
      Member of Lithuanian Parliament, Tomas Tomilinas

      The Polish parliament legalized pushbacks in October 2021, and the Lithuanian parliament followed suit by legalizing pushbacks in April this year.

      Emiljia raises concerns about the violence of pushbacks her clients have seen. “The government keeps telling us they do everything really nicely. They give people food, and even wave goodbye to them, in the daytime. But when we look at specific cases, where people end up without their limbs on them, those pushbacks are performed at night.”

      She also raises concerns about legalized pushbacks in Lithuania, and whether border guards should be given the right to assess and deny asylum claims on the spot. “It’s funny because border guards should decide right away on the border whether a person is running from persecution, meaning a border guard should identify the conflict in the country of origin, and do all the work that the migration department is doing.”

      “It’s naive to believe that the system would work.”
      Fighting back in court

      With the help of Sienos Grupė’s support for legal expenses, Sanooja took the case to court. If the Lithuanian officials wouldn’t speak with her, perhaps they would speak to lawyers.

      Yet last month, Sanooja’s case was closed for the final time by the Vilnius Regional Prosecutor’s Office after seven appeals. The case never made it to trial.

      The Vilnius court claims there is no basis for a criminal investigation. Emiljia, who was on the team representing Sanooja in the case, responds that the pre-trial investigation didn’t investigate the cause of death properly, nor how the acts of the border police might have caused or contributed to the death of the applicant’s husband.

      Rytis Satkauskas, law professor, managing partner of ReLex law firm, and the lead attorney on Sanooja’s case, questions whether the Lithuanian courts are trying to hide something greater: he points to a series of inconsistencies in Samrin’s autopsy report.

      Autopsies should be conducted immediately to determine the cause of death. However, Samrin’s autopsy report claims that the cause of death cannot be established because the body was in an advanced state of decomposition of up to five months.

      Five months after Samrin’s death is the same time around which Sanooja got in touch to pursue the truth of the matter. Satkauskas does not think this is a coincidence: “I believe they left the body in the repository, then when they established the identity of the person, they had to do this autopsy.”

      The autopsy report explains the advanced state of decomposition by referencing the marshy area in which it was found, claiming the heat of the marsh had accelerated decomposition by up to five months within a matter of days.

      Satkauskas asks further: If Samrin simply drowned, then why do other measurements not add up? He references a table of measurements in the autopsy report, in which the weight and algae content of the lungs are normal. However, Satkauskas says, in cases of drowning, both weight and algae content should be much higher. “I’m convinced they have invented all those measurements,” Satkauskas puts simply.

      As Sanooja’s case has exhausted all legal avenues in Lithuania, it is now eligible for appeal to the European Court of Human Rights.

      Emilija points to a promising parallel: in Alhowais v. Hungary, the European Court of Human Rights ruled this February that a Hungarian border guard’s violent pushback ending in the drowning of a Syrian man violated Articles 2 and 3 of the European Convention of Human Rights, which protects the “right to life” and against “torture or inhuman or degrading treatment or punishment.”

      The decision came in February this year, seven years after the death of the defendant’s brother. Yet for Sanooja and her team, the case provides hope that there is a growing legal precedent for victims of pushbacks.

      A battle in court for Sanooja could be a long and expensive one. The case in Vilnius courts had cost 600 euros for each of the seven appeals, and after Sanooja ran out of funds after the first case, Sienos Grupė stepped in to shoulder the costs of the appeals.

      For the ECHR, it will cost 1500 euros to submit the proposal. Sanooja is exploring the possibility of raising money through NGOs or other means to continue the long quest for truth.

      The window of eligibility to appeal will close in February 2024.
      “Wherever I go, I have memories”

      Day by day, Sanooja’s son grows to look more like Samrin.

      She has tried not to cry in front of him. “It makes him upset. I am the only person now for my son, so I should be strong enough to face these things,” says the 32-year-old widow. “But wherever I go, I have memories. And everything my son does reminds me of him.”

      Before Samrin’s body was found, she told her son “false stories,” but with his body now interred, she has opened up to her son about her father’s death. He understands it the way a child might—he runs around telling neighbors his father is in heaven, and it’s a great place. It will be years before he can point to where Lithuania is on a map.

      Thanks to the cooperation of the Sri Lankan embassy in Sweden, Sanooja is one of the few families who have been able to receive a death certificate. She notes this will be crucial when her son enrolls for school and if they decide to sell or expand their property. However, to correct the misspelling on the document, she needs to travel to Colombo, the capital of Sri Lanka, which takes ten hours and nearly 10,000 rupees.

      Meanwhile, Samrin’s death has ruptured the family into those who can accept the reality of his death, and those who cannot. Sanooja’s mother-in-law has ceased contact with her, unable to wrap her head around the fact that her boy is gone. When Samrin had left, he promised his mother to send money so that she would no longer have to wake up early to make pastries to sell in the morning. On the day of Samrin’s funeral, she told the family, “That is not my son.”

      “What difference does it make, finding the body and burying it?” asks Pauline Boss, the Psychology Professor emeritus at the University of Minnesota who coined the term “ambiguous loss,” which encompasses the unique stress of not knowing whether someone you love is alive or dead.

      Professor Boss states that burying someone is a distinct human need—not just for the dead, but for the living. “In all cases, a human being has to see their loved one transform from breathing to not breathing, and have the power and control to deal with the remains in their particular cultural way. It’s a human need, and it has been for eons.”

      Yet few families are able to attend the funerals of their loved ones in Europe, for the same reason their loved ones tried to travel to Europe on such a dangerous road in the first place: inability to obtain a visa, or lack of funds.

      “I hope one day I will visit, and I will show our son his father’s grave,” Sanooja declares.

      When Samrin was interred into the snow-covered February earth of Liepynės cemetery in Vilnius on Valentine’s Day this year, a volunteer present at the burial offered to video call Sanooja through FaceTime.

      In the grainy constellation of pixels of the phone screen in her palm, from 8,000 kilometers away, she watched her husband disappear forever into the cold European soil.

      https://unbiasthenews.org/widowed-by-europes-borders

      #Lituanie #Biélorussie #forêt #Pologne #Bialowieza

    • Missing data, missing souls in Italy

      How Italy’s failing system makes it almost impossible for families to identify their relatives who passed away while reaching the EU.

      Before the Syrian civil war erupted, Refaat Hazima was a barber in Damascus. His father, grandfather, and great-grandfather had also been barbers. Thanks to his craftsmanship, flair, and a reputation built over four generations, Refaat was a wealthy man. Together with his wife – a doctor for the national service – he could afford to have his three children study instead of sending them to work at a young age.

      “They were always the top of the class,” he recalls in a nostalgic voice as he sits alone in a seaside restaurant on Lampedusa, a small Sicilian island halfway between Malta and the eastern coast of Tunisia. The rocky shores along which he now slowly enjoys eggplant served with fresh tuna were the scene of the most traumatic episode of his life.

      “President Bashar al-Assad had centralized all power in his hands, and our daily life in Syria had become complicated.” Refaat was also temporarily imprisoned for political reasons. But the point of no return for him and his wife was the outbreak of civil war in 2011. It became clear that not only their children’s educational future was in jeopardy, but even the survival of their entire family.

      So they decided to leave.

      The couple paid smugglers more than fifty thousand dollars to attempt to reach Germany, where their children could continue their education. But amid rejections, hurdles, and hesitations that forced the family into months-long stages in different countries, Refaat and his family had to wait until 2013 to finally set sail to the European shores of Lampedusa.

      Although it was autumn, the sea was calm that night. Initial concerns related to the sea conditions and the wooden boat that was all too heavily laden with humans now dissipated. In the darkness of the night sea, the shorelines and the flickering lights of street lamps and restaurants were in sight. But suddenly the boat in which they were traveling capsized.

      “Everyone was screaming as we ended up in the sea,” Rafaat recalls. “I grabbed one of my children, my wife grabbed another child. But in the commotion and screaming of the nighttime shipwreck, two of my children disappeared.”
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      The couple were rescued by Italian authorities and brought to the mainland along with one of their children. The other two, however, disappeared. “One of them told me Dad, give me a kiss on the forehead, and then I never saw him ever again.”

      From 2013 to the present, Refaat has searched everywhere for their children. For 10 years he has been traveling, asking, and searching. He has even appeared on TV hoping one day to be reunited with them. But to this day he still does not know if his children were saved or if they are two of the 268 victims of the October 11, 2013 shipwreck, one of the worst Mediterranean disasters in the last three decades.

      Uncertain and partial numbers

      For more than two decades, Italy has been one of the main gateways for migrants wanting to reach the European Union. Between thirty and forty thousand people have died trying to reach Italy since 2000. But despite this strategic location, authorities have never created a comprehensive register to census the dead returned from the sea, and thus sources are confusing and approximate.

      In any case, the figure of bodies found is only a percentage of the people who lost their lives while attempting to cross over to Europe. In fact, the bodies of those who die at sea are rarely recovered. When this happens, they are even more rarely identified by Italian authorities.

      A study conducted by the International Committee of the Red Cross tried to map the anonymous graves of migrants in various European countries and count the number of deaths recovered at sea. According to the report, between 2014 and 2019, 964 bodies of people – presumed migrants – were found in Italy, of which only 27 percent were identified. In most of the cases analyzed, identification occurred through immediate visual recognition by their fellow travelers, while those traveling without friends or relatives almost always remained anonymous.

      Overall, 73 percent of the bodies recovered in Italy between 2014 and 2019 remain unknown.

      A DNA test for everyone

      “The vast majority of bodies end up at the bottom of the sea and are never recovered, becoming fish food,” explains Tareke Bhrane, founder of the October 3 Committee, an NGO established to protect the rights of those who die trying to reach Europe. “The Committee was born in the aftermath of the two disastrous shipwrecks on October 3 and 11, 2013 to make Italy understand that even those who die have dignity and that respecting that dignity is important not only for those who die, but also for those who survive,” Bhrane recounts.

      On October 3, 2023, the Committee organized a large event on the island of Lampedusa to commemorate the 10th anniversary of the shipwreck. Dozens of families of people who died or disappeared gathered on the island, traveling from many European and Middle Eastern countries.

      On the island were also forensic geneticists from Labanof, a leading forensic medicine laboratory at the University of Milan that has been working with prosecutors and law enforcement agencies for decades now to solve cases and identify unnamed bodies. Relatives of missing persons were thus able to undergo a free DNA test to find out more about their loved ones.

      One of the committee’s main activities in recent years has been to lobby Sicilian municipalities for better management of anonymous graves. Thanks in part to the NGO, today almost all Sicilian provinces now house some victims of migration, often anonymous, in their cemeteries.

      “Among the essential points of our mission,” Bhrane explains, “is to create a European DNA database for the recognition of victims, so that anyone who wants to can take a DNA test anywhere in Europe and find out if a loved one has lost their life trying to get here.”
      Resigned and hopeful

      https://www.youtube.com/watch?v=1RhbqUACTv8&embeds_referring_euri=https%3A%2F%2Funbiasthenews.org%2

      While Refaat has not yet resigned himself to the idea that his children may have died at sea, other relatives have become more aware and would like to know where Italy buried their loved ones. But this is often impossible because the graves are anonymous and there is a lack of national records that they can consult to find their loved ones.

      This is the case for Asmeret Amanuel and Desbele Asfaha, two Eritrean nationals who are respectively the nephew and brother of one of the people aboard the boat that capsized in 2013.

      “We heard from the radio that the boat he was traveling on had sunk. We never heard from him again,” Asmeret says. The two traveled all the way to Lampedusa to undergo DNA testing, hoping to match their loved one’s name for the first time with one of the many acronyms that have appeared on migrants’ anonymous graves and find out where he rests.

      “I remember as children we used to play together,” says Desbele. “And instead today I don’t even know where to mourn him. Yet it would take so little.”

      An organizational failure

      Many Italian cemeteries hold anonymous graves of people who died while migrating, especially in the South. It is difficult to map them all and provide an exact number, just as it is nearly impossible to quantify the number of anonymous graves. Again, there is no centralized, national database, and even at the municipal level information is scarce and partial.

      But thanks to an international investigation project called the “The Border Graves Investigation” and promoted by IJ4EU and Journalism Fund of which Unbias the News is one of the partners, it is now possible to shed light on what resembles a large European mass grave.

      From the Italian side of the investigation, large gaps emerge on Italy’s part in the construction of a national cemetery archive. According to protocol, data on anonymous graves are supposed to be sent every three months from individual cemeteries and work their way up a long bureaucratic chain until they reach the desk of the government’s Special Commissioner for Missing Persons, an office created by the Italian government in 2007 precisely to create a single national database.

      But sources from the Special Commissioner told the Border Graves Investigation team that unidentified bodies are not within their jurisdiction because in cases where there is an alleged crime (e.g., illegal immigration) the jurisdiction passes to the local magistrate. Thus, the source confirmed that no office systematically collects this data and that figures areeverything is scattered in individual prosecutors’ offices.

      However, the documentary traces of migrants’ anonymous graves are often already lost in the records of the cemeteries themselves or municipal records, that is, at the first step in the chain. For example, in Agrigento, it is possible to visit the graves of men and women who died at sea marked by numbers, but in the paper registers consulted by our team of journalists there is no trace of them.

      Yet the records are deposited a few meters from the graves themselves.

      In Sciacca, Agrigento province, the municipal administration moved some anonymous graves of migrants inside a mass grave to make room for new burials. However, it did not follow the prescribed regulations and did not notify the relatives of the few victims who had been identified and whose names were listed on the grave. The matter was discovered at the time when a woman went to the cemetery to pray at her sister’s grave and did not find her in her usual place.

      In other cases, anonymous graves have been moved from one cemetery to another due to the need for space, but without alerting the population.
      The bureaucratic snag

      Finding out the fate of a loved one is so complicated for several reasons. First, the identification of the body, which the Italian authorities do not generally consider a priority. Then there is the difficulty of recognition itself, especially when relatives are abroad or have difficulty contacting Italian authorities.

      In addition, there is the problem of traceability of the bodies, which often remain on the seabed and, in the few cases where they are found, enter a bureaucratic machine in which it is arduous to recover their traces. Researcher and anthropologist Giorgia Mirto explained this to our investigative team: “The corpses should be registered in the registrar’s office where the body is found. But then the body is often moved within the same cemetery, from one cemetery to another or from one municipality to another, and so there is documentation that travels along with the body. Moves that are difficult to track.”

      “Moreover,” Mirto adds, “adding to the difficulty is the absence of unified procedures. “With the Human Cost of Border Control project, we have seen that the only way to count these people and their graves is to do a blanket search of all the municipalities, all the cemetery offices, all the registrars’ offices and all the cemeteries, possibly adding the funeral homes as well.”

      Thus, there is a problem with centralization and transparency of data that is often also linked to the huge austerity cuts that have forced municipalities to work understaffed. Emblematic is the Commissioner’s Office for Missing Persons, which would be responsible for compiling a list of unidentified bodies found on Italian soil, but has been left without a portfolio.

      “As anthropologist Didier Fassin says,” the researcher concludes, “missing data is not the result of carelessness but is an administrative and political choice. It should be understood how much this choice is conscious and how much is the result of disinterest in the good work of municipal archives (an essential resource for historical memory and for the peace of victims’ families) or in understanding the cost of borders in terms of human lives.”

      EU responsibilities

      Forensic scientist Cristina Cattaneo – a professor at the University of Milan and director of the Labanof forensic laboratory – explained to our team that from a forensic point of view, the most important procedure for identifying a body is to collect both post-mortem (from tattoos to DNA, through cadaveric inspections and autopsies) and antemortem medical forensic information, that is, that which comes from family members regarding the missing person.

      However, in many countries, including Italy, no law makes this procedure mandatory. In the case of people who die while migrating, this is done only in egregious cases, such as large shipwrecks that become news. “These cases have shown that a broad and widespread effort to identify the bodies of those who die at sea is possible,” says Cattaneo. “However, most people lose their lives in very small shipwrecks that don’t make too much news. And because there is no protocol to make data collection systematic, many family members are left in doubt as to whether their loved ones are alive or dead.”

      All this happens despite the great efforts made over the years by the government’s Extraordinary Commissioner for Missing Persons, which, despite being the only national institution of its kind at the European level, has to manage a huge amount of data from all Italian municipalities. Data that are often disorganized, reported late, and collected without adhering to common and strict procedures.

      This is why Cattaneo is among the signatories of an appeal calling for the enactment of a European law that would once and for all oblige member states to identify the bodies of migrants.

      “Yet a European solution would exist and from a technical point of view it is already feasible,” Cattaneo adds. It involves data exchange systems such as Interpol, which at the European level already collects, organizes, and can share information and organically to member countries.

      “It would be enough to expand the analysis to include missing migrants and thus make it possible to search and identify them on a European scale. But this is not being done because of a lack of political will on the part of Brussels,” Cattaneo concludes.
      “The art of patience”

      https://www.youtube.com/watch?v=PlDtBRg02aU&embeds_referring_euri=https%3A%2F%2Funbiasthenews.org%2

      Identifying the bodies of people who lose their lives coming to Europe is an important issue on several levels.

      First and foremost, international humanitarian law protects the right to identity for both those who are alive and those who have died. But identifying is also an essential issue for those who remain alive. Indeed, without a death certificate, it is almost impossible for a spouse to marry again or to access survivor’s pensions, just as it is impossible for a minor relative to leave their country with an adult without running into a blockade by the authorities, who cannot rule out the possibility of child abduction.

      Then there is the issue of suspended grief, namely the condition of those who do not know whether to search for a loved one or mourn his or her death.

      This is the case for Asmeret and Desbele, but also for many relatives interviewed by our team.

      Sabah and Ahmed, for example, are a Syrian couple. One of their sons disappeared in 2013 after a shipwreck in Italian waters. For 10 years, Ahmed retraced the same land and sea route followed by his son, hoping to find his body or at least get more information. But the efforts were in vain and to this day the family still does not know what happened to him.

      “His children are still with us and often ask, ‘where is Dad? Where is Dad?’ but without a grave and a body, we still don’t know what to answer.”

      Both Sabah and Ahmed are very religious and today rely on Allah to give them the comfort they have not found in the work of institutions. “The greatest gift from Allah,” they recount, “was the patience with which to be able to move forward in the face of such unnatural grief for a parent.”

      A similar lesson was learned by Refaat, who like Ahmed and Sabah has been living in ignorance for ten years. Today he has opened a barber store in Hamburg and realized his dream of having his surviving son study in Germany.

      “I have been searching for my children for ten years, and Allah knows I will search for them until the end of my days, should I find their dead bodies, or should I find them alive who knows where in the world. But I want to die knowing that I did everything I could to find them.”
      Refaat Hazima

      Sometimes his voice trembles. “I often talk to them in my sleep, I feel that they are still alive. But even if I were to find out they are dead, in all these years I would still have learned how to deal with frustration and pain, how to live with emptiness. And most importantly,” he concludes, “I would have learned the art of patience.”


      https://unbiasthenews.org/missing-data-missing-souls

      #Italie #Tareke_Brhane #comitato_3_ottobre #3_octobre_2013 #Lampedusa

    • Unmarked monuments of EU’s shame in Croatia and Bosnia

      Amid pushbacks and torture, many of the victims of the treacherous Balkan route are laid to an anonymous final resting place in Croatian and Bosnian cemetaries.

      In the village of Siče in eastern Croatia, there are more inhabitants in the cemetery than among the living. The village has 230 living residents, and 250 dead. To be more precise, the cemetery is home to 247 locals and three unknown persons. There would be more people six feet under if Siče hadn’t gotten its own cemetery only in the 1970s. There would also be even more of the living if they hadn’t, like many from that region, gone to bigger cities in search of a better life. Abroad as well, mainly to Germany.

      The graves of Siče’s inhabitants briefly tell the visitor who these people were, where they belong, and whether their loved ones care for them. That’s the thing with graves, they summarise the basic information of our life.

      If the grave bears only the inscription “NN”, that summarises a tragedy.

      Who are these three people whose names are unknown? How come their last resting place is a plain grave in Siče?

      Even if you didn’t know, it’s clear that those three people don’t belong there.

      They have been buried completely separated from the rest of the cemetery. Three wooden crosses with NN inscriptions, stuck in the ground at the edge of the cemetery. NN, an abbreviation of the Latin nomen nescio, literally means, “I do not know the name.” The official explanation from the public burial ground operator is that space has been left for more possible burials of those whose names are not known. However, the explanation that springs to mind when you get there is that they were buried separately so they wouldn’t mix with the locals. Or as the mayor of another town, where NN migrants have also been buried at the edge of the cemetery, let slip in a telephone conversation, “So that they’re not in the way.”

      At the cemetery in Siče, these are the only three graves that no one takes care of. In about five years, all trace of them could disappear. The public burial ground operator is obliged to bury unidentified bodies, but not to maintain graves unless the grave belongs to a person of “special historical and social significance.”

      NN1, NN2 and NN3 are of special significance only to their loved ones, who probably don’t even know where they are. Maybe they are waiting to finally hear from them from Western Europe. Maybe they’re looking for them. Maybe they mourn them.

      Identities known but buried as unknown

      If you do dig a little deeper, you will learn a thing or two about those who rest here nameless.

      In the early, cold morning of December 23, 2022, the police found two bodies on the banks of the Sava, the river that separates Croatia from Bosnia and Herzegovina. It separates the European Union from the rest of Europe. According to the police report, they also found a group of twenty foreign citizens who illegally entered Croatia via the river. The group was missing one more person. After an extensive search, a third body was found in the afternoon. The pathologist of the General Hospital in the town of Nova Gradiška established the time of death for all three people as 2:45 A.M. Two died of hypothermia, one drowned.

      Identity cards from a refugee camp in Bosnia and Herzegovina were found on them. We learned that, according to their IDs, all three were from Afghanistan: Ahmedi Abozari was 17 years old, Basir Naseri was 21 years old and Shakir Atoin was 25 years old. NN1, NN2 and NN3.

      Other migrants from the group also confirmed the identity of two of them, as the Brodsko-Posavska County police administration told us. Then why were they buried as NN? If it was known that they were from Afghanistan, why were they buried under crosses? If families are looking for them, how will they find them?

      The cemetery management was kind and said that they perform burials according to what is written in the burial permit signed by the pathologist – and it said NN.

      The pathologist said that he enters the data based on the information he receives from the police.

      The competent police department told us that the person is buried according to the rules of the local municipality.

      Siče cemetery belongs to the municipality of Nova Kapela, whose mayor, Ivan Šmit, discontentedly listed all the costs that his municipality incurred for those burials and said that whoever is willing to pay for it can change the NN inscription into names.

      We came across a series of similar administrative ambiguities while investigating how authorities deal with the deceased people they recover at EU borders as a part of the Border Graves Investigation carried out by a team of eight freelancers from across Europe together with Unbias the News, The Guardian and Süddeutsche Zeitung.

      There is no centralised European database on the number of migrants’ graves in Europe.

      But the team managed to confirm the existence of at least 1,931 migrants’ graves in Greece, Italy, Spain, Croatia, Malta, Poland and France, dating from 2014 to 2023. Of these, 1,015 were unidentified. More than half of the unidentified graves are in Greece, 551, in Italy 248, and in Spain 109. The data were obtained based on the databases of international organizations, non-governmental organizations, scientists, local authorities and cemeteries, and field visits.

      The team visited 24 cemeteries in Greece, Spain, Italy, Croatia, Poland and Lithuania, where there are a total of 555 graves of unidentified migrants in the last decade, from 2014 to 2023.

      These are only those whose bodies have been found. The International Committee of the Red Cross (ICRC) estimates that more than 93% of those who go missing on Europe’s borders are never found.
      Families lost in bureaucracy

      December 2022, when the three young Afghans died, was rainier than usual and the Sava River swelled. It is big and fast to begin with.

      In that area, just three days earlier, five Turkish citizens went missing after their boat overturned on the Sava. Among them were a two-year-old girl, a twelve-year-old boy and their parents. The brother of the missing father came from Germany to Croatia to find out what happened to the family. From the documentation, which we have in our possession, it is evident that with the help of translator Nina Rajković, he tried to get information about his missing relatives from several police stations. Even months later, he hasn’t received any updates.

      The two had wanted to file a missing person’s report, but the police told them that there was no point in doing so if the person had not previously been registered in the territory of Croatia or Bosnia and Herzegovina.

      We encountered a number of similar examples. A young man had come to Croatia and reported to the police in both Croatia and Slovenia that his brother had drowned in the Kupa River that separates the two countries. However, his brother’s disappearance was not recorded in the Croatian national database of missing persons, which is publicly available. The police did not contact him after several unidentified bodies were found in the Kupa in the following days.

      In another example, an Afghan man waited six months for the body of his brother, who drowned when they tried to cross the Sava together, also in December 2022, to be transferred from Croatia to Bosnia and Herzegovina so that he could bury him. Although he had confirmed that it was his brother, the identification process was lengthy and complicated.

      There are numerous families who tried from afar to track down their loved ones who had disappeared in the territory of Croatia, only to finally give up in discouragement.

      There are many questions and few clear answers when it comes to the issue of missing and dead migrants on the so-called Balkan Route, of which Croatia is a part. There are no clear protocols and procedures defining to whom and how to report a missing person. It is not known whether missing migrants are actively searched for, as tourists are when they disappear in the summer. It is not clear how much and which information is needed for identification.

      “The circulation of information between institutions and individual departments seems almost non-existent to me."

      “In one case, it took me more than two months and dozens of phone calls and emails to different addresses, police stations, police departments, hospitals, and the state attorney’s office, just to prompt the initiation of identification, which to this day, more than a year later, has not been completed,” says Marijana Hameršak, activist and head of the project “European Regime of Irregular Migration on the Periphery of the EU” of the Institute of Ethnology and Folklore Research in Zagreb, which collects knowledge and data on missing and dead migrants.

      Searches for missing migrants and attempts to identify the dead in Croatia, as well as in neighbouring Bosnia and Herzegovina, most often rely on the efforts of volunteers and activists, who, like Marijana, untiringly search for information in the chaotic administration because families who do not know the language find this task practically insurmountable.
      “Die or make your dream come true”

      The Facebook group “Dead and Missing in the Balkans” became the central place to exchange photos and information about the missing and the dead between families and activists.

      The competent Ministry of the Interior does not have a website in English with an address where one can write from Afghanistan or Syria and inquire about the fate of loved ones, leave information about them, and report them missing. There is also no regional database on missing and dead migrants on which the police administrations would cooperate, not even the ones from the countries where the most crossings are recorded – from Bosnia and Herzegovina to Croatia.

      In an interview with our team, Dunja Mijatović, the Council of Europe Commissioner for Human Rights, emphasised that the creation of a centralised European database of missing and dead migrants is extremely important. If such a database combined ante-mortem and post-mortem data on the deceased, the chances of identification would greatly increase.

      “Families have a right to know the truth about the fate of their loved ones.”
      Dunja Mijatović, Council of Europe Commissioner for Human Rights

      Yet, police cooperation in keeping the EU’s external border impervious is effective.

      Previously, people attempting to migrate did not try to cross the Sava so often. They knew it was too dangerous. They share information with each other and do not venture across such a river in children’s inflatable boats or inner tubes. Unless they are utterly desperate. With pushbacks and the use of force, which many organisations like Amnesty International and Human Rights Watch have been warning about for years, the Croatian police made it difficult to cross at other, less dangerous points along the Croatian border, which is the longest external land border in the European Union. As a young Moroccan in Bosnia and Herzegovina who tried to cross the border to Croatia 11 times but was pushed back by the Croatian police each time told us, “You have two choices: die or make your dream come true.”

      It is difficult to determine how many died on the Balkan Route in an attempt to fulfil their dream. The most comprehensive data for ex-Yugoslav countries is collected by the researchers of the “European Regime of Irregular Migration on the Periphery of the EU (ERIM)” project. It records 346 victims from 2014 to 2023 in Croatia, Bosnia and Herzegovina, Serbia, Slovenia, North Macedonia and Kosovo. Each entry in ERIM’s database is individual and contains as much data as the researchers managed to collect, and they use all available sources – media reports, witnesses, official statistics, activist channels. But the figure is certainly significantly higher. Some who went missing were never even registered anywhere.

      Many bodies were never found. For example, another common border crossing, the Stara Planina mountain range between Bulgaria and Serbia, is a rough and inaccessible terrain. Only those who have been driven to this route by the same fate will come across the bodies, and they will not risk encountering authorities to report it.

      If people die in the minefields remaining from the wars in Croatia and Bosnia and Herzegovina, there will not be much left of their bodies. Most bodies were found drowned in rivers, but there is no estimate of how many who drowned were never reported missing, or were never found.

      The Croatian Ministry of the Interior provided us with data on migrants who have died in Croatia since 2015, when records began to be kept, until the end of November 2023: according to the data, a total of 87 migrants died on the territory of the Republic of Croatia. To put it more precisely: that’s how many bodies were found in Croatia. Not a single official body in Croatia, Bosnia and Herzegovina and Serbia keeps records of migrants buried in that territory.

      However, we managed to obtain data for Croatia, thanks to inquiries sent to over 500 addresses of cities, municipalities and municipal companies that manage cemeteries. According to the data obtained, there are 59 graves of migrants in 32 cemeteries in Croatia who were buried in the last decade, namely from 2014 until September 2023. Of these, 45 have not been identified. The Ministry of the Interior says that since 2001, DNA samples have been taken from all unidentified bodies. We asked the Ministry to allow us to talk with experts who work on the identification of migrants, but we were not approved.

      Some of the buried were exhumed and returned to their families in their country of origin, although this is a demanding and extremely expensive process for the families.
      The burden of not knowing

      Among the NN graves is a stillborn baby from Syria buried in 2015 in the town of Slavonski Brod. A five-year-old girl who drowned in the Danube was buried in Dalje in 2021. Last summer, a young man died of exhaustion in the highlands in the Dubrovnik area. Some were hit by a train. Many died of hypothermia. Some die because they were not provided medical help early enough. Some don’t believe anything can help them, so they committed suicide.

      According to the law, they are buried closest to the place of death, which are mostly small cemeteries, such as the one in Siče. Often, just like in that village, their graves are separated from the rest of the cemetery. In some places, like in Otok, one of the tender-hearted local women has given herself the task of taking care of the NN grave. In others, like the cemetery in Prilišće, the NN wooden cross from 2019 has already rotted.

      Each of these NN graves leaves behind loved ones who bear the burden of not knowing what happened. In psychology, this is called ambiguous loss, which means that as long as relatives do not have confirmation that their loved ones are dead, and as long as they do not know where their bodies are, they cannot mourn them.

      If they go on with their lives, they feel guilty. And so they remain frozen in a state between despair and hope. American psychologist Dr. Pauline Boss is the author of the concept and theory of “ambiguous loss.”

      “A grave is so important because it helps to say goodbye,“ she said in an interview for our investigation.

      There are also practical consequences of this frozen state: succession rights cannot be carried out, bank accounts cannot be accessed, family pensions cannot be obtained, the partner cannot remarry, and custody of children is complicated.

      Many families in Croatia and Bosnia and Herzegovina know ambiguous loss very well. Both countries went through war in the 1990s that left thousands of people missing.

      Both countries have special laws on the missing in those wars and well-developed mechanisms of search, identification, data storage and mutual cooperation. But this does not apply to migrants who vanish and die among the thousands who are on the move along the Balkan Route.
      Croatia responsible for death of a child

      Croatia became an important point of entry into the European Union after Hungary closed its borders in September 2015. From then until March 2016, it is estimated that around 660,000 refugees passed through the Croatian section of the Balkan corridor – the interstate, organised route. This corridor allowed them to get from Greece to Western Europe in two or three days. Most importantly, their journey was safe.

      Of these hundreds of thousands of people on the move, the Croatian Ministry of the Interior did not record a single death in 2015 and 2016.

      The corridor was established to prevent casualties after a large number of refugees died on the railway in Macedonia in the spring of 2015. However, with the conclusion of the EU-Turkey refugee agreement in March 2016, the corridor closed. The EU committed to generously funding Turkey to keep refugees on its territory, so that they do not come to the European Union. And so the perilous, informal Balkan Route remained the only option. Many take it. In the first ten months of 2023 alone, the Croatian police recorded 62,452 actions related to illegal border crossings.

      Both the Croatian Ombudswoman Tena Šimonović Einwalter and Council of Europe Human Rights Commissioner Dunja Mijatović warn of the same thing: border and migration policies have a clear impact on the risk of migrants going missing or die. It is necessary to establish legal and safe migration routes in the EU.

      However, the EU expects Croatia to protect its external border, and Croatia is doing so wholeheartedly. Croatian Minister of the Interior Davor Božinović calls such practices “techniques of discouragement” and says they are fully in line with the EU Schengen Border Code.

      The result of such practices is, for example, the death of Madina Hussiny. The six-year-old girl from Afghanistan was struck by a train and killed after Croatian police “discouraged” her and her family away from the Croatian border and told them to follow train tracks back to Serbia in the middle of the night in 2017. The European Court of Human Rights ruled in November 2021 that Croatia was responsible for Madina’s death.

      In a typical “discouragement,” Croatian police transport people to points along the border and order them to cross. In the testimonies we heard, as well as in many reports of non-governmental organisations, people described having to wade or swim across rivers, climb over rocks or make their way through dense forest. They often cross at night, sometimes stripped naked, and without knowing the way because the police usually take away their mobile phones.

      Up to 80% of all pushbacks by Croatian police may be impacted by one or more forms of torture, indicates data collected by Border Violence Monitoring Network in 2019. That means that thousands were victims of border torture.

      According to data collected by the Danish Refugee Council, in the two-year period from the beginning of 2020 to the end of 2022, at least 30,000 people were pushed back to Bosnia and Herzegovina.
      “While trying to reach Europe”

      https://www.youtube.com/watch?time_continue=112&v=SFLYVVtsjGc&embeds_referring_euri=https%3A%2F%2Fu

      Among them is Arat Semiullah from Afghanistan. In November 2022, he intended to cross the Sava River and enter Croatia from Bosnia. He was 20 years old. He drowned and was buried at the Orthodox cemetery in Banja Luka. His family in Afghanistan did not know what happened to him. He had sent his mom a selfie with a fresh haircut for entering the European Union and then he stopped answering.

      The mother begged her nephew Payman Sediqi, who lives in Germany, to try to find him. Payman got in touch with the activist Nihad Suljić, who voluntarily helps families find out what happened to their loved ones in Bosnia and Herzegovina. They spent weeks trying to get information. Payman travelled to Bosnia and managed to find his relative thanks to the helpfulness of a policewoman who showed him forensic photographs. Arat’s mom confirmed by phone that it was her son.

      Arat’s obituary published in Bosnia and Herzegovina said that “Croatian police sank the boat using firearms, and he tragically drowned.” With the help of the Muslim community, and at the request of the family, his body was transferred to the Muslim cemetery in the village of Kamičani. The family wanted to bury him in Afghanistan, but it was too expensive and bureaucratically complicated.

      In September 2023, we met with Nihad and Payman when a large tombstone was erected for Arat. It says, “Drowned in the Sava River while trying to reach Europe.” Payman told us that Arat was crossing the Sava with a group of others trying to enter Europe. Some of them managed to cross over to the Croatian side, but then the Croatian police shot at the rubber boat Arat was in. The boat sank and Arat drowned. That’s what a survivor who crossed over to the Croatian bank of the Sava told Payman. Payman says that Arat’s family is in great pain, but at least they know where their son is and that he was buried according to their religious customs. It is important to Payman that his relative’s grave says he died as a migrant.

      “People die every day in Europe, fleeing countries where there is no life for them. Their dreams are buried in Europe. No one cares about them, not even when European policemen shoot at them,” Payman says.

      Payman knows what kind of dreams he’s talking about. He himself came to Germany illegally at the age of 16. He says he was lucky.

      Nihad advocates that other graves of migrants in Bosnia and Herzegovina also be permanently marked as such. He takes us to the cemetery in the town of Zvornik, where 17 NN migrants are buried. Nihad says he was informed that some of them had their passport on them when they were found. From the cemetery, you can see the river Drina, which separates Serbia from Bosnia and where many lives have been lost during crossing attempts. About 30 bodies were found in the Drina this year alone. Nihad says that they are lucky if they wash up on the Bosnian riverbanks, because in Serbia the authorities often do not perform autopsies nor take DNA samples. This was confirmed to us by activists from Serbia. In those cases, they are forever and completely lost to their families.

      The earthen NN graves in Zvornik are overgrown and not demarcated, so you wouldn’t know if you are stepping on them. Nihad managed to convince the Town of Zvornik to replace the wooden signs with black stone. It is important to him that they are buried with dignity, but he also finds it important that they stand there as a memorial.

      “My wish is that even 100 years from now these graves stand as monuments of the EU’s shame. Because it was not the river that killed these people, but the EU border regime,” Nihad says.

      https://unbiasthenews.org/unmarked-monuments-of-eus-shame-croatia-bosnia

      #Bosnie #Croatie #Zvornik #Madina_Hussiny

    • Counting the invisible victims of Spain’s EU borders

      Investigation finds hundreds of victims of migration to the EU lie in unmarked graves along Spain’s borders, with government taking no coordinated action to guarantee “last rights.”

      In January 2020, Alhassane Bangoura was buried in an unmarked grave in the Muslim area of Teguise municipal cemetery in Lanzarote as city officials and members of the local Muslim community watched on. He had been born only a couple of weeks earlier onboard a cramped patera migrant boat on which his mother, who is from Guinea, and 42 others were trying to reach the Spanish Canary Islands. Their boat was adrift on the Atlantic ocean after its motor had failed two days earlier, and Alhassane’s mother had gone into labour at sea. Her child only lived for a few hours before dying just off the coast of Lanzarote.

      Alhassane’s case shocked the island and made national news. Yet as mourners paid their respects, his mother was 200 kilometres away in a migrant reception centre on the neighbouring island of Gran Canaria, having been unable to get permission from authorities to remain on Lanzarote for the funeral.

      “She’d been allowed to see the body of her son one more time before being transferred, and I accompanied her to the funeral home,” says Mamadou Sy, a representative of the local Muslim community. “It was very emotional as she was leaving. All we could do was promise her that her son would not be alone; that like any Muslim, he’d be brought to the Mosque where his body would be washed by other mothers; that we would pray for him and that afterwards we’d send her a video of the burial.”

      Nearly four years later, Alhassane’s final resting place remains without a formal headstone. It lies next to more than three dozen graves of unidentified migrants – whose names are completely unknown but who, like Alhassane, are also victims of Europe’s brutal border regime.

      Border Graves

      Such a scene is no anomaly along Spain’s vast coastline. Border graves like these can be found in cemeteries stretching from Alicante on the country’s eastern Mediterranean coast to Cádiz on the Atlantic seaboard and south to the Canaries. Some have names but, more often than not, the inscription reads some variation of “unidentified migrant,” “unknown Moroccan,” or “victim of the Strait [of Gibraltar],” or there is simply a hand-painted cross.

      In Barbate cemetery in Cádiz, where the deceased are sealed into niches in traditional brick-walled stacks around two metres in height, groundskeeper Germán points out over 30 different migrant graves, the earliest of which date from 2002 and the most recent are from a shipwreck in 2019.

      "No one ever comes to visit, but on days when there are funerals here and flowers are about to be thrown out, I place them on the tombs containing the unknown migrants,” he explains. “In some of the older graves, you have the remains of up to five or six migrants together, each placed in separate sacks within the same niche to save space.”

      Along the coast, in Tarifa, Spain’s earliest mass grave of unidentified migrants, containing 11 victims from a 1988 shipwreck, overlooks the northern reaches of the African continent, which can be seen on a clear day. Meanwhile, around 400 kilometres west of the African coast, on the remote Canarian island of El Hierro, seven unidentified migrants have been buried in the last two months, along with the remains of 30-year old Mamadou Marea. “Locals joined us to accompany the remains of each of these people to their last resting place,” explains Amado Carballo, a councillor on El Hierro. “What upset all of us was not being able to put a name on the tombstone and simply having to leave the person identified by a police code.”

      Such concern was less evident in Arrecife, Lanzarote where two unidentified graves from February this year have been left sealed with a covering that still bears a corporate logo.

      There is no comprehensive data on how many identified and unidentified migrant graves exist in Spain, and the country’s Interior Ministry has never released figures for the total number of bodies recovered across the various maritime migration routes. But in exclusive data from the International Committee of the Red Cross (ICRC), Unbias The News can reveal that the bodies of an estimated 530 people who died at Spain’s borders were recovered between 2014 and 2021 – of which 292 remain unidentified.

      In the six month Europe-wide Border Graves Investigation, undertaken in conjunction with Unbias the News, The Guardian and Süddeutsche Zeitung, 109 unidentified migrant graves from 2014-21 were confirmed in Spain across 18 locations. According to a study by the University of Amsterdam, a further 434 unidentified graves stem from 2000-2013 in at least 65 cemeteries.

      These graves are symbols of a much wider humanitarian tragedy. The ICRC estimates that just 6.89% of those who go missing on Europe’s borders are found, while the Spanish NGO Walking Borders gives an even lower figure for the West African Atlantic route to the Canaries, estimating that only 4.2 percent of the bodies of those who die are ever recovered.

      Guaranteeing “last rights”

      The unvisited and anonymous graves are also a reflection of the fact that the rights to both identification and a dignified burial for those who have died on migration routes have been consistently neglected by national authorities in Spain. As in other European countries, successive Spanish governments have failed to develop legal mechanisms and state protocols to guarantee these “last rights” of victims, as well as their families’ corresponding “right to know” and to mourn their loved ones.

      The problem is “utterly neglected,” says Dunja Mijatović, the Council of Europe’s Commissioner for Human Rights, who insists that EU countries are failing in their obligations under international human rights law to secure families’ “right to truth”. In 2021, the European Parliament passed a resolution calling for “prompt and effective identification processes” to inform families about the fate of their loved ones. Yet last year, the Council of Europe called the area a “legislative void.”

      “People are always calling the office and asking us how to search for a family member, but you have to be honest and say there’s no clear official channel they can turn to,” explains Juan Carlos Lorenzo, director of the Spanish Refugee Council (CEAR) on the Canary Islands. “You can put them in touch with the Red Cross, but there’s no government-led programme of identification. Nor is there the type of dedicated office needed to coordinate with families and centralise information and data on missing migrants.”

      This year alone we are working with over 600 families whose loved ones have disappeared. These families, who are from Morocco, Algeria, Senegal, Guinea and as far afield as Sri Lanka are very much alone and are poorly protected by public administrations. In turn, this means that there are criminal networks and fraudsters seeking to extract money from them.”
      Helena Maleno, director of Walking Borders

      Even in the case of a victim’s identification, a recent report from the Human Rights Association of Andalucia lays out the legal and financial barriers families face in terms of repatriating their loved ones. In 2020/21, ICRC figures show that 284 bodies were recovered but that, of the 116 identified, only 53 were repatriated. The Andalusian Association for Human Rights (APDHA) report also notes, with respect to border graves, that “many people end up buried in a manner contrary to their beliefs.” Just half of Spain’s 50 provinces have Muslim cemeteries, not all of which are on the Spanish coast.

      For Maleno, these state failures are no accident: “Spain and other European states have a policy of making the victims, as well as the border itself, invisible. You have policies of denying the number of dead and of concealing data, but for the families this means obstacles in terms of accessing information and burial rights, as well as endless bureaucratic hurdles.”
      “I dream of Oussama”

      Abdallah Tayeb has gained first-hand experience of the dysfunctionality of the Spanish system in his attempts to confirm whether a body recovered almost a year ago is that of his cousin Oussama, a young barber from Algeria who dreamed of joining Tayeb in France.

      The unnamed corpse, which Tayeb strongly believes is his cousin, is currently in a morgue in Almería and looks set to be buried in an unmarked grave in the new year – unless he can achieve a last minute breakthrough.

      “The feeling is one of powerlessness,” he admits. “Nothing is transparent.”

      Abdallah Tayeb was born in Paris to Algerian parents but spends every summer in Algeria with his family. “As Oussama and I were pretty much the same age, we were really close. He was obsessed with the idea of coming to Europe, as two of his brothers were already living in France. But I didn’t know he had actually arranged to leave on a patera last December.”

      Oussama was among 23 people (including seven children) who vanished after setting out from Mostaganem, Algeria, on a motor boat on Christmas Day 2022. Soon after the patera went missing, his brother Sofiane travelled from France to Cartagena in southern Spain – the destination the vessel had hoped to reach. With the help of the Red Cross, Sofiane was able to file a missing persons report with the Spanish authorities and submit a DNA sample, which he hopes will result in a match with a body held in a morgue. However, so far, he has been unable to piece together any concrete information regarding his brother’s fate.

      A second trip to Spain in February did lead to a breakthrough, however. After driving down the Mediterranean coast together, Tayeb and his cousin Sofiane managed to speak to a forensic pathologist working in the Almería morgue, who seemed to recognise a photo of Oussama. “She kept saying ‘This face looks familiar’ and also mentioned a necklace – something he’d been wearing when he left.” According to the pathologist, there was a potential match with an unidentified body recovered by the coastguard on 27 December 2022.

      Feeling that they were finally close to getting some answers, they were informed at the police headquarters in Almería that, in order to view the body for a visual identification, they would need permission from the police station where the corpse had initially been registered. “This was when the real nightmare began,” Tayeb remembers. Handed a list of five police stations from across the wider region where the corpse could have been registered, they spent the next two days driving from station to station along the Murcian coast.

      “The first police station we visited wouldn’t even let us in the door when we told them we were asking about a missing migrant, and after that it was always the same script: this is not the right place; we don’t have a body; you have to go there instead.” When the pair returned to the first station in Huércal de Almeria after being repeatedly told it was the right place to ask, impatient officers refused to engage, citing privacy laws, and even told them to warn other families searching for missing migrants not to keep coming to inquire.

      “In the end,” Tayeb explains, “we came to the reality that they will never let us have any information. It was very heartbreaking, especially going back to France. It felt like we were leaving him [there] in the fridge.”

      As the subsequent months passed, the frustration and anxiety built for the family. “In May we were told that the DNA sample we gave five months earlier had only just arrived in Madrid and had still not been processed and sent to the database.” No further information has been forthcoming, and Spanish authorities have a policy of only getting in touch with families when there is a positive match and not if the test comes back negative.

      Tayeb is contemplating one final visit to Spain to try and retrieve his cousin Oussama, partly to be certain for his own sake that he’s done everything in his power to find him, but he’s worried that the journey could reopen his trauma of ambiguous loss. “The effort of going is not painful, but what is painful is coming back with nothing,” he says. “This lack of information is the worst thing.”

      “All the people on board were from the same neighbourhood in Mostaganem. I have had a chance to talk to many of their families, and they are destroyed. There is such grief but also no answers. There are only rumours, and some of the mothers believe their sons are in prisons in Morocco and Spain. We all have dreams [about the missing]. In the end, you trust what you will see in your dreams, like cosmic reality telling you he is coming. I dream of Oussama.”

      Dr Pauline Boss, professor emeritus of psychology at the University of Minnesota, USA, explains the concept of ambiguous loss: “It looks like complicated grief, intrusive thoughts,” she says. “There’s nothing else on your mind but the fact that your loved one is missing. You can’t grieve because that would mean the person is dead, and you don’t know for sure.”
      A defective system

      Of all the families of those who went missing on Oussama’s patera, only Tayeb and four other families have been able to file a missing persons report with the Spanish authorities, and only two have been able to give a DNA sample. According to a 2021 study from the International Organization for Migration (IOM), one of the major complications families face in their searches is that in order to register someone as a missing person in Spain, you have to file a report with police in the country itself, which for many families is “a virtually impossible feat” as there are no visas to travel for this purpose.

      The IOM report also notes that, while many families file missing person reports in their home countries, they are “aware of the almost symbolic nature of their efforts” and that “it will never result in any kind of investigation being launched in Spain.”

      Along with the IOM, there have been efforts by domestic NGOs, including APDHA and more than a hundred grassroots organisations, to call out Spain’s failure to adapt existing missing person procedures to the transnational challenges of cases of people who disappeared while migrating. These organisations have repeatedly argued that the country’s legal framework regarding missing persons must be adapted to ensure families can file missing person cases from abroad.

      They have also pushed for the development of specific protocols for police handling cases of disappeared migrants, as well as the creation of a missing-migrant database so as to centralise information and allow it to be exchanged with authorities in other countries. The latter would include a full range of both post-mortem data (from tattoos to DNA, through cadaveric inspections and autopsies) and antemortem medical forensic information, that is, that which comes from family members regarding the missing person.

      “The reality is that the situation across Europe is consistently poor,” explains Julia Black, an analyst with IOM’s Missing Migrant Project. “Despite our research showing these pressing needs of families, neither Spain nor any other European country has significantly changed policy or practice to help this neglected group [in recent years]. Support for families is available only on a very ad hoc basis, mostly in response to mass casualty events that are in the public eye, which leaves many thousands of people without meaningful support.”

      Non-state actors such as the Red Cross and Walking Borders, as well as a network of independent activists, try to fill this void. “It’s a terrible job that we shouldn’t be doing, because states should be responding to families and guaranteeing the rights of victims across borders,” Maleno explains. In the case of the Mostaganem patera, Walking Borders is now planning to visit Algeria next year to take DNA samples from family members and bring them back to Spain. But Maleno also acknowledges that her NGO often has to then “apply a lot of pressure” to get authorities to accept these samples.

      This is something left-wing MP Jon Iñarritu from the Basque EH Bildu party also confirms: “As I sit on the Spanish parliament’s Interior Committee, I’ve had to intervene on a number of occasions to help families seeking to register DNA samples, talking with the foreign ministry or the interior ministry to get them to accept the samples. But it shouldn’t require action from an MP to get this to happen. The whole process needs to be standardised with clear and automatic protocols [for submission]. Right now, there’s no one clear way to do it.”

      Even when IOM recommendations have become the subject of parliamentary debate in Spain, they have tended not to translate into government action. In 2021, for example, a resolution was passed by the Spanish Congress calling on the government to establish a dedicated state office for the families of disappeared migrants. “It’s clear we need to ease the administrative and bureaucratic ordeal for families by offering them a single point of contact [with state authorities],” explains Iñarritu, who sponsored the motion.

      Yet while even government parties voted in favour of the resolution, the countries’ current centre-left administration has failed to act on it in the 18 months since. “From my point of view, the government has no intention of implementing the proposal,” Iñarritu argues. “They were only offering symbolic support.”

      When the above points were put to Spain’s Interior ministry, the reply was that: “The treatment of unidentified corpses arriving on the Spanish coast is identical to that of any other corpse. In Spain, for the identification of corpses, the law enforcement agencies apply the INTERPOL Disaster Victim Identification Guide. Although this guide is especially indicated for events with multiple victims, it is also used as a reference for the identification of an isolated corpse.”

      NGOs and campaigners insist, however, that the application of the INTERPOL guide is no substitute for a specific protocol tailored to the demands of missing migrant cases or for the creation of particular mechanisms to allow for the exchange of information with families and authorities in other jurisdictions.

      Close connections with the people they have helped compensate for strained social interactions and online hate. “They call me brother, sister, and even father,” Rybak shares.
      Burial rights

      APDHA migration director Carlos Arce argues that, within a European framework that views irregular migration predominantly “through the prism of serious crime and border security, […] not even death or disappearance puts an end to the repeated assault on the dignity of migrant people.” Iñarritu also points to the EU’s wider border regime: “Many issues that don’t fit into this dominant policy framework, such as the right to identification, are simply left unmanaged on a day-to-day basis. They are simply not a priority.”

      This is also clear with respect to the Spanish government’s inaction on guaranteeing a dignified burial to those whose bodies are recovered. As noted by a 2023 report from APDHA, “while repatriation is the most desired option for families […,] the cost is very high (thousands of euros) and very few of their [home countries’] embassies help [to cover it].” The NGO recommends that Spain establish repatriation agreements with the countries where migrants come from so as to create “mortuary safe passages” guaranteeing their return at a reduced cost.

      Furthermore, Spain’s central government has also failed to put in place mechanisms to ensure the right of unidentified migrants to a dignified burial within the country, instead maintaining that local councils are responsible for all charitable burials. This has meant that very specific municipalities where coastguard rescue boats are stationed are left legally responsible for the bulk of the interments – and most of these municipalities lack local cemeteries able to cater for traditional Muslim burials.

      The potential for this issue to become a flashpoint for anti-immigration sentiment was made clear this September when the mayor of Mogán in Gran Canaria, Onalia Bueno, insisted that her municipality would no longer pay for such burials, as she did not want to “detract the costs from the taxes of my neighbours.”

      CEAR’s Juan Carlos Lorenzo condemns such “divisive language, which frames the issue in terms of wasting my ‘neighbours’ money’ on someone who is not a neighbour,” and points instead to the actions of municipalities in El Hierro as a positive counterexample.

      Carballo notes that “over 10,000 people have arrived in El Hierro since September, the same as the island’s population. These are quite long trips, between six and nine days at sea, and right now people are arriving in a terrible state of health. With those who have died in recent months, we’ve tried to offer them a dignified burial within the means at our disposal. We’ve had an imam present, with Islamic prayers said before the remains were laid to rest.”

      Currently, the responsibility of memorialising unidentified victims comes down to individual municipalities and even cemetery keepers. Like Gérman at the cemetery in Barbate, who tries to dignify the unmarked tombs by placing flowers on top of them, the cemetery of Motril has adorned tombs with poems. In Teguise, the council has an initiative encouraging locals to leave flowers on the migrant graves when they come to visit the remains of their own families.

      In another memorial, a collection of around 50 discarded fishing boats has become a distinctive feature of Barbate port. These small wooden boats with Arabic script on their hulls were used by migrants attempting to cross the Strait of Gibraltar. Instead of the boats’ being scrapped, APDHA was able to convert the scrapyard into a memorial site and to place plaques on boats stating how many migrants were travelling on them and where and when they were found.

      In the case of little Alhassane Bangoura, residents routinely come to leave fresh flowers and tokens of affection, among which is a small granite bowl with his first name inscribed on it. But many victims are buried without any attempt at identification – and as countless NGOs, politicians and activists demand, it should not be simply left to good-willed residents, grave keepers or local councillors to ensure the last rights of the victims of Fortress Europe.

      https://unbiasthenews.org/counting-the-invisible-victims-of-spains-eu-borders

      #Espagne #Lanzarote #îles_Canaries #route_Atlantique #Teguise #Barbate #Cádiz #Tarifa #Arrecife

    • The unidentified: Unmarked refugee graves on the Greek borders

      Graves marked only with a stick, graves covered with weeds: a cross-border investigation documents official indifference surrounding the dignified burial of refugees who lose their lives at the Greek border.

      The phone rang on a morning in October 2022 at work, in Finland, where 35-year-old Mohamed Samim has been living for the last ten years or so.

      His nephew did not have good news: his brother Samim, Tarin Mohamad, along with his son and two daughters, was on a boat that sank near a Greek island, having sailed from the Turkish coast to Italy.

      When Samim arrived in Kythera the next day, he learned that – although weak after not eating for three days – his brother had managed to save his family before a wave took him away. He immediately went to the site of the wreck. In the water he saw bodies floating – he couldn’t see his brother’s face, but he recognized his back.

      The Coast Guard said that the bad weather had to pass before they could pull the dead from the sea. The first day passed, the second day passed, until on the third day it was finally possible. The coastguard confirmed that 8 Beaufort winds and the morphology of the area made it impossible to retrieve the bodies. Samim will never forget the sight of his brother at sea.

      In Kalamata, it took four days of shifting responsibility between the hospital and the Coast Guard, and the help of a local lawyer who “came and yelled at them” to allow him to follow the identification process of his brother.

      He was warned that it would be a soul-crushing procedure, and that he would have to wear a triple mask because of the smell. Samim says that due to a lack of space in the morgue’s refrigerators, some of the wreck victims were kept in the chamber outside the refrigerator.

      “The stress and the smell. Our knees were shaking”, recalls Samim when we meet him in Kythera a year later.

      They started showing him decomposing bodies. First the ones outside the refrigerator. He didn’t recognize him among them. They went out and changed the masks they wore, returned, opened the refrigerators in turn, reaching the last one.

      “He was lying there, calm. The man you love. We were kind of happy that, after days, we could see him,” Samim said.

      Unclaimed dead

      The number of people dying at Europe’s borders is growing. In addition to the difficulty of recording the deaths, there is also the challenge of identifying the bodies, a traumatic process for the relatives. In some cases, however, there are bodies that remain unidentified, hundreds of men, women and children buried in unidentified graves.

      In July 2023, the European Parliament adopted a resolution recognising the right to identification of people who lose their lives trying to reach Europe, but to date there is no centralised registration system at a pan-European level. Nor is there a single procedure for the handling of bodies that end up in mortuaries, funeral homes – even refrigerated containers.

      The problem is “utterly neglected”, European Commissioner for Human Rights Dunja Mijatovic told Solomon, and added that EU countries are failing in their obligations under international human rights law”. The tragedy of the missing migrants has reached horrifying proportions. The issue requires immediate action,” she added.

      The International Organization for Migration’s (IOM) Missing Migrants platform, which acknowledges that its data is not a comprehensive record, reports more than 1,090 missing refugees and migrants in Europe since 2014.

      As part of the Border Graves investigation, eight European journalists, together with Unbias the News, the Guardian, Süddeutsche Zeitung, and Solomon, have spent seven months investigating what happens to the thousands of unidentified bodies of those who die at European borders, and for the first time they have recorded almost double that number: according to the data collected, more than 2,162 people died between 2014 and 2023.

      We studied documents and interviewed state coroners, prosecutors and funeral home workers; residents and relatives of the deceased and missing; and gained exclusive access to unpublished data from the International Committee of the Red Cross.

      In 65 cemeteries along the European border - Greece, Spain, Italy, Malta, Poland, Lithuania, France, Spain, Italy, Malta, Lithuania, France and Croatia - we have recorded more than 1,000 unidentified graves from the last decade.

      The investigation documents how state indifference to the dignified burial of people who die at the border is pervasive in European countries.

      In Greece, we recorded more than 540 unidentified refugee graves, 54% of the total recorded by the European survey. We travelled to the Aegean islands and Evros, and found graves in fields sometimes covered by weeds, and marble slabs with dates of death erased, while in other cases a piece of wood with a number is the only marking.

      The data from our survey, combined with the data from the International Committee of the Red Cross, is not an exhaustive account of the issue. However, they do capture for the first time the gaps and difficulties of a system that leads to thousands of families not knowing where their relatives are buried.

      Lesvos: 167 unidentified refugee graves

      A long dirt road surrounded by olive trees leads to the gate of the cemetery of Kato Tritos, which is usually locked with a padlock.

      The “graveyard of refugees,” as they call it on the island, is located about 15 kilometers west of Mytilene. It is the only burial site exclusively for refugees and migrants in Greece.

      During one of our visits, the funeral of four children was taking place. They lost their lives on August 28, 2023, when the boat they were on with 18 other people sank southeast of Lesvos.

      The grieving mother and several women, including family members, sat under a tree, while the men prayed near the shed used for the burial process, according to Islamic tradition.

      In Kato Tritos and Agios Panteleimonas, the cemetery on Mytilene where people who died while migrating had been buried until then, we counted a total of 167 unidentified graves from between 2014-2023.

      Local journalist and former member of the North Aegean Regional Council Nikos Manavis explains that the cemetery was created in 2015 in an olive grove belonging to the municipality of Mytilene due to an emergency: a deadly shipwreck in the north of the island on October 28 of that year resulted in at least 60 dead, for whom the island’s cemeteries were not sufficient.

      Many shipwreck victims remain buried in unidentified graves. Gravestones are marked with the estimated age of the deceased and the date of burial, sometimes only a number. Other times, a piece of wood and surrounding stones mark the grave.

      “What we see is a field, not a graveyard. It shows no respect for the people who were buried here.”
      Nikos Manavis

      This lack of respect for the Lower Third Cemetery mobilized the Earth Medicine organization. As Dimitris Patounis, a member of the NGO, explains, in January 2022 they made a proposal to the municipality of Mytilene for the restoration of the cemetery. Their plan is to create a place of rest with respect and dignity, where refugees and asylum seekers can satisfy the most sacred human need, mourning for their loved ones.

      Although the city council approved the proposal in the spring of 2023, the October municipal elections delayed the project. Patounis says he is positive that the graves will soon be inventoried and the area fenced.

      Christos Mavrachilis, an undertaker at the Agios Panteleimon cemetery, recalls that in 2015 Muslim refugees were buried in a specific area of the cemetery.

      “If someone was unidentified, I would write ‘Unknown’ on their grave,” he says. If there were no relatives who could cover the cost, Mavrachilis would cut a marble himself and write as much information as he could on the death certificate. “They were people too,” he says, “I did what I could.”

      For his part, Thomas Vanavakis, a former owner of a funeral parlour that offered services in Lesvos until 2020, also says that they often had to cover burials without receiving payment. “Do you know how many times we went into the sea and paid workers out of our own pockets to pull out the bodies and didn’t get a penny?” he says.

      Efi Latsoudi, who lives in Lesvos and works for Refugee Support Aegean (RSA), says that in 2015 there were burials that the municipality of Mytilene could not cover, and sometimes “the people who participated in the ceremony paid for them. We were trying to give a dignity to the process. But it was not enough,” she says.

      Latsoudi recalls something a refugee had mentioned to her in 2015: ’The worst thing that can happen to us is to die somewhere far away and have no one at our funeral’.

      The municipality of Mytilene did not answer our questions regarding the dignified burial of refugees in the cemeteries under its responsibility.

      Chios and Samos: graves covered by weeds

      According to Greek legislation, the local government (and in case of its inability, the region) covers the cost of the burial of both unidentified people who die at the border and those who are in financial difficulty.

      For its part, the Municipal Authority of Chios stated that funding is provided for the relevant costs, and that “within the framework of its responsibilities for the cemeteries, it maintains and cares for all the sites, without discrimination and with the required respect for all the dead.”

      But during our visit in August to the cemetery in Mersinidi, a few kilometers north of Chios town, where refugees are buried next to the graves of the locals, it was not difficult to spot the separation: the five unidentified graves of refugees were marked simply by a marble, usually covered by vegetation.

      Natasha Strachini, an RSA lawyer living in Chios, has taken part in several funerals of refugees both in Chios and Lesvos. For her, the importance of the local community and presence at such a difficult human moment is very important.

      Regarding burials, he explains that “only a good registration system could help relatives to locate the grave of a person they have lost, as usually in cemeteries after three to five years exhumations take place.” He says that sometimes a grave remains unidentified even though the body has been identified, either because the identification process was delayed or because the relatives could not afford to change the grave.

      In Heraion of Samos, next to the municipal cemetery, on a plot of land owned by the Metropolis and used as a burial site for refugees, we recorded dozens of graves dating between 2014-2023. The plaques – some broken – placed on the ground, hidden by branches, pine needles and pine cones, simply inscribe a number and the date of burial.

      Lawyer Dimitris Choulis, who lives in Samos and handles cases related to the refugee issue, commented: ‘It is a shameful image to see such graves. It is unjustifiable for a modern society like Greece.”
      Searching for data

      The International Committee of the Red Cross is one of the few international organisations working to identify the dead refugees. Among other things, they have conducted several training sessions in Greece for members of the Coast Guard and the Greek Police.

      “We have an obligation to provide the dead with a dignified burial; and the other side, providing answers to families through identification of the dead. If you count the relatives of those who are missing, hundreds of thousands of people are impacted. They don’t know where their loved ones are. Were they well treated, were they respected when they were buried? That’s what preys on families’ minds,” says Laurel Clegg, ICRC forensic Coordinator for Migration to Europe.

      She explains that keeping track of the dead “consists of lots of parts working well together – a legal framework that protects the unidentified dead, consistent post-mortems, morgues, registries, dignified transport, cemeteries”

      However, countries’ “medical and legal systems are proving inadequate to deal with the scale of the problem,” she says.

      Since 2013, as part of its programme to restore family links, the Red Cross has registered 16,500 requests in Europe from people looking for their missing relatives. According to the international organisation, only 285 successful matches (1.7%) have been made.

      These matches are made by the local forensic experts.

      “We always collect DNA samples from unidentified bodies. It is standard practice and may be the only feasible means of identification,” says Panagiotis Kotretsos, a forensic pathologist in Rhodes. The samples are sent to the DNA laboratory of the Criminal Investigation Department of the Greek Police, according to an INTERPOL protocol.

      According to the Red Cross, difficulties usually arise when families are outside the EU, and are due to a number of factors, such as differences in the legal framework or medical systems of the countries. For example, some EU countries cannot ‘open’ a case and take DNA samples from families without a mandate from the authorities of the country where the body of the relative being sought has been recovered.

      The most difficult part of the DNA identification process is that there needs to be a second sample to be compared with the one collected by the forensic experts, which has to be sent by the families of the missing persons. “For a refugee who started his journey from a country in central Africa, travelled for months, and died in Greece, there will be genetic material in the morgue. But it will remain unmatched until a first-degree relative sends a DNA sample,” says Kotretsos.

      He explains that this is not always possible. “We have received calls from relatives who were in Syria, looking for missing family members, and could not send samples precisely because they were in Syria.”

      Outside the university hospital of Alexandroupolis, two refrigerated containers provided by the Red Cross as temporary mortuaries house the bodies of 40 refugees.

      Pavlos Pavlidis, Professor of Forensic Medicine at the Democritus University of Thrace, has since 2000 performed autopsies on at least 800 bodies of people on the move, with the main causes of death being drowning in the waters of Evros and hypothermia.

      The forensic scientist goes beyond the necessary DNA collection: he or she records data such as birthmarks or tattoos and objects (like wallets, rings, glasses), which could be the missing link for a relative looking for a loved one.

      He says a total of 313 bodies found in Evros since 2014 remain unidentified. Those that cannot be identified are buried in a special cemetery in Sidiro, which is managed by the municipality of Soufli, while 15-20 unidentified bodies were buried in Orestiada while the Sidiro cemetery was being expanded.

      The bodies of Muslim refugees who are identified are buried in the Muslim cemetery in Messouni Komotini or repatriated when relatives can cover the cost of repatriation.

      “This is not decent”

      In response to questions, the Ministry of Immigration and Asylum said that the issue of identification and burial procedures for refugees does not fall within its competence. A Commission spokesman said that no funds were foreseen for Greece, but that such expenditure “could be supported under the National Programme of the Asylum, Migration and Integration Fund”, which is managed by the Migration Ministry.

      Theodoros Nousias is the chief forensic pathologist of the North Aegean Forensic Service, responsible for the islands of Lesvos, Samos, Chios and Lemnos. According to the coroner, the DNA identification procedure has improved a lot compared to a few years ago.

      Nusias says he was always available when asked to identify someone. “You have to serve people, that’s why you’re there. To serve people so they can find their family,” he adds.

      The coroner lives in Lesvos, but says he has never been to the cemetery in Kato Tritos. “I don’t want to go. It will be difficult for me because most of these people have passed through my hands.”

      In October 2022, 32-year-old Suja Ahmadi and his sister Marina also travelled to Kythera and then to Kalamata to identify the body of their father, Abdul Ghasi.

      The 65-year-old had started the journey to Italy with his wife Hatige – she survived. The two brothers visited the hospital, where they were shown all eight bodies, male and female, although they had explained from the start that the man they were looking for was a man.

      Their father’s body was among those outside the freezer.

      “My sister was crying and screaming at them to get our father out of the refrigerator container because he smelled,” Suja recalls. “It was not a decent place for a man.”

      https://unbiasthenews.org/the-unidentified-unmarked-refugee-graves-in-the-greek-borders

      #Grèce #Chios #Evros #Samos #Alexandroupolis #Lesbos #Kato_Tritos #Sidiro #Mersinidi #Mersinidi #Pavlos_Pavlidis

    • Enterrar a más de mil personas sin nombre: las trabas de la UE y España para identificar los cuerpos de migrantes

      Cientos de personas fallecidas en la última década yacen en tumbas sin nombre en España, sin que el Gobierno tome medidas coordinadas para garantizar su identificación

      En enero de 2020, Alhassane Bangoura fue enterrado en una tumba sin nombre en la zona musulmana del cementerio municipal de Teguise, en Lanzarote, ante la presencia de funcionarios municipales y miembros de la comunidad musulmana local. El pequeño había nacido apenas un par de semanas antes a bordo de una patera abarrotada en la que su madre, originaria de Guinea, y otras 42 personas intentaban llegar a las Islas Canarias. La embarcación llevaba dos días a la deriva en el océano Atlántico, tras averiarse el motor, y la madre de Alhassane se puso de parto en el mar. Su hijo sólo alcanzó a vivir unas pocas horas antes de morir frente a la costa de Lanzarote.

      El caso de Alhassane conmocionó a la isla y saltó a las noticias de todo el país. Sin embargo, mientras los asistentes al entierro ofrecían sus condolencias, la madre del bebé fallecido se encontraba a 200 kilómetros de distancia, en un centro de acogida de migrantes de la vecina isla de Gran Canaria, al no haber podido obtener permiso de las autoridades para permanecer en Lanzarote durante el funeral.

      “Le habían permitido ver el cuerpo de su hijo una vez más antes de ser trasladada, y yo la acompañé a la funeraria”, cuenta Mamadou Sy, representante de la comunidad musulmana local. “Fue muy emotivo cuando se tuvo que marchar. Lo único que pudimos hacer fue prometerle que su hijo no estaría solo; que, como cualquier musulmán, sería llevado a la mezquita, donde su cuerpo sería lavado por otras madres; que rezaríamos por él y que después le enviaríamos un vídeo del entierro”.

      Casi cuatro años después, el lugar donde reposan los restos de Alhassane sigue sin tener una lápida formal. La tumba se encuentra junto a los restos de más de tres docenas de personas migrantes no identificadas, cuyos nombres se desconocen por completo pero que, como Alhassane, también son víctimas del brutal régimen fronterizo de Europa.
      Las tumbas de la frontera

      A lo largo de las fronteras de la Unión Europea, miles de personas están siendo enterradas de forma precipitada en tumbas sin nombre. El equipo de investigación de Border Graves (Las Tumbas de la Frontera) ha contabilizado que, en los últimos 10 años, al menos 2.162 cadáveres de migrantes han sido encontrados en las fronteras europeas sin identificar.

      El equipo de investigación también ha confirmado la existencia de 1.015 tumbas de inmigrantes sin identificar entre 2014 y 2021 en 103 cementerios, todas ellas pertenecientes a personas que intentaban emigrar a Europa.

      El problema está “absolutamente abandonado”, afirma Dunja Mijatović, Comisaria de Derechos Humanos del Consejo de Europa, que insiste en que los países de la UE incumplen sus obligaciones en virtud de la legislación internacional sobre derechos humanos. “La tragedia de los migrantes desaparecidos ha alcanzado una magnitud espantosa. El asunto exige una actuación inmediata”.

      Las condiciones de sepultura de estos migrantes varían en todo el continente. En la última década, en la isla griega de Lesbos, un olivar se ha convertido en un cementerio informal para refugiados. Al menos 147 tumbas sin identificar se pueden encontrar en el pequeño pueblo de Kato Tritos, que según explica el periodista Nikos Manavis brotaron tras la gran oleada de refugiados de 2015. “Los otros cementerios de la isla eran inapropiados y no podían cubrir el número de muertos que había que enterrar en Lesbos”, afirma. “Pero no es un cementerio. Es sólo un campo. No se muestra ningún respeto por la gente enterrada aquí”.

      En Siče, una población al este de Croacia, se hallan las tumbas de tres refugiados afganos al borde del cementerio del pueblo, separadas de las de los residentes locales. Los tres hombres no identificados, que se ahogaron intentando cruzar el río Sava desde Bosnia a Croacia, están enterrados bajo sencillas cruces de madera en las que se lee “NN” (desconocido).

      En la frontera entre Lituania y Bielorrusia, un pequeño cementerio de la tranquila localidad de Rameikos alberga la tumba de un emigrante indio. El lugar está marcado por un trozo de madera vertical, a pocos metros de la valla fronteriza. En el cementerio de Piano Gatta, en Agrigento (Sicilia), están enterrados decenas de cadáveres sin identificar del naufragio de Lampedusa en 2013, en el que perdieron la vida 368 personas de Eritrea y Somalia al hundirse el pesquero en el que viajaban.

      En cuanto a la extensa costa española, pueden encontrarse tumbas de inmigrantes desde Alicante hasta Cádiz, y hacia el sur hasta las Canarias. Algunas tienen nombre, pero lo más frecuente es que las inscripciones sean del estilo de “inmigrante no identificado”, “marroquí desconocido” o “víctima del Estrecho [de Gibraltar]”. O, simplemente, una cruz pintada a mano.

      En el cementerio de Barbate, en Cádiz, donde los difuntos están sepultados en nichos, el jardinero Germán señala más de 30 tumbas de inmigrantes: las más antiguas datan de 2002 y las más recientes son de un naufragio de 2019. “Nunca viene nadie a visitarlos, pero los días que hay funerales aquí y se van a tirar las flores antiguas, las coloco en las tumbas de los migrantes desconocidos”, explica. “En algunas de las más antiguas hay restos de hasta cinco o seis emigrantes juntos, cada uno colocado en bolsas separadas dentro del mismo nicho para ahorrar espacio”.

      Tal preocupación era menos evidente en Arrecife, Lanzarote, donde dos tumbas no identificadas de febrero de este año se han dejado selladas con una cubierta que aún lleva el logotipo de una empresa.

      No existen datos exhaustivos sobre cuántas fosas de inmigrantes identificadas y no identificadas existen en España, y el Ministerio del Interior nunca ha dado a conocer cifras sobre el número total de cadáveres recuperados en las distintas rutas migratorias marítimas. Pero los datos del Comité Internacional de la Cruz Roja (CICR) revelan que entre 2014 y 2021 se recuperaron los cuerpos de alrededor de 530 personas fallecidas en las fronteras españolas, de las cuales 292 permanecen sin identificar.

      En los diez meses que ha durado la investigación europea Border Graves, llevada a cabo de manera conjunta entre un grupo de periodistas independientes y los medios Unbias the News, The Guardian y Süddeutsche Zeitung y publicada en exclusiva en España por elDiario.es, se ha confirmado la existencia de 109 tumbas de migrantes no identificados entre 2014 y 2021 en 18 lugares de España. Según un estudio de la Universidad de Ámsterdam, otras 434 tumbas sin identificar se remontan al periodo 2000-2013 en al menos 65 cementerios del territorio nacional.

      Estas tumbas son símbolos de una tragedia humanitaria mucho mayor. El CICR calcula que sólo el 6,89% de los restos mortales de las personas que desaparecen a lo largo de las fronteras europeas son recuperados, mientras que la ONG española Caminando Fronteras da una cifra aún más baja para la ruta atlántica de África Occidental a Canarias, estimando que sólo se recupera el 4,2% de los cuerpos de los fallecidos.
      Garantizar los “últimos derechos”

      Las tumbas anónimas y sin visitar reflejan también el hecho de que el derecho a la identificación y a un entierro digno de los fallecidos en las rutas migratorias ha sido sistemáticamente desatendido por las autoridades nacionales españolas. En 2021, el Parlamento Europeo aprobó una resolución que reconoce el derecho a la identificación de los fallecidos en las rutas migratorias, y la necesidad de una base de datos coordinada que recoja los datos de la frontera. Pero, al igual que en otros países europeos, los sucesivos gobiernos han sido incapaces de desarrollar mecanismos legales y protocolos estatales para garantizar estos “últimos derechos” de las víctimas, así como el “derecho a saber” y a llorar a sus seres queridos que corresponde a las familias.

      “La gente siempre llama a la oficina y nos pregunta cómo buscar a un familiar, pero hay que ser sincero y decir que no hay un canal oficial claro al que puedan dirigirse”, explica Juan Carlos Lorenzo, coordinador del Consejo Español para los Refugiados (CEAR) en Canarias. “Se les puede poner en contacto con la Cruz Roja, pero no hay un programa de identificación liderado por el Gobierno. Tampoco existe el tipo de recurso especializado necesario para coordinarse con las familias y centralizar la información y los datos sobre los migrantes desaparecidos”.

      Helena Maleno, directora de Caminando Fronteras, afirma: “Sólo este año estamos trabajando con más de 600 familias cuyos seres queridos han desaparecido. Estas familias, procedentes de Marruecos, Argelia, Senegal, Guinea y países tan lejanos como Sri Lanka, están muy solas y poco protegidas por las administraciones públicas. A su vez, esto significa que hay redes criminales y estafadores que buscan sacarles dinero”.

      Incluso en el caso de la identificación de una víctima, un reciente informe de la Asociación Pro Derechos Humanos de Andalucía (APDHA) expone las barreras legales y financieras a las que se enfrentan las familias para repatriar a sus seres queridos. En 2020/21, las cifras del CICR muestran que se recuperaron 284 cuerpos pero que, de los 116 identificados, sólo 53 fueron repatriados. El informe de la APDHA también señala, respecto a las tumbas fronterizas, que “muchas personas acaban enterradas de manera contraria a sus creencias”. Apenas la mitad de las 50 provincias españolas cuentan con cementerios musulmanes, y no todos están en la costa española.

      Para Maleno, estos fallos del Estado no son casualidad: “España y otros Estados europeos mantienen una política de invisibilización de las víctimas y de la propia frontera. Tienen políticas de negación del número de muertos y de ocultación de datos, pero para las familias esto significa obstáculos en cuanto al acceso a la información y a los derechos de sepultura, así como interminables trabas burocráticas”.
      “Sueño con Oussama”

      Abdallah Tayeb ha sufrido en primera persona las deficiencias del sistema español en sus intentos por confirmar si un cadáver recuperado en diciembre de 2022 es el de su primo Oussama, un joven barbero argelino que soñaba con reunirse con Tayeb en Francia.

      Tayeb está convencido de que el cuerpo sin identificar, que se cree que está en un depósito de cadáveres de Almería, es el de su primo. Está previsto que los restos sean enterrados a comienzos del próximo año en una tumba sin nombre, a menos que se consiga algún avance de última hora. “La sensación es de impotencia”, admite. “No hay nada de transparencia”.

      Tayeb nació en París, de padres argelinos, pero pasa todos los veranos en Argelia con su familia. “Como Oussama y yo teníamos más o menos la misma edad, estábamos muy unidos. Le obsesionaba la idea de venir a Europa, pues dos de sus hermanos ya vivían en Francia. Pero yo no sabía que en realidad ya había organizado su viaje en una patera a finales del año pasado”.

      Oussama formaba parte de un grupo de 23 personas (entre ellas siete niños) que desaparecieron tras zarpar de Mostaganem, Argelia, en una lancha motora el día de Navidad de 2022. Poco después de la desaparición de la patera, su hermano Sofiane viajó de Francia a Cartagena, el destino al que esperaba llegar la embarcación. Con la ayuda de la Cruz Roja, Sofiane pudo presentar una denuncia por desaparición y dar una muestra de ADN, pero no pudo reunir ninguna información concreta sobre la suerte de su hermano.

      Sin embargo, un segundo viaje a España en febrero condujo a un gran avance. Tras recorrer juntos la costa mediterránea, Tayeb y su primo Sofiane consiguieron hablar con una patóloga forense que trabaja en la morgue de Almería, quien pareció reconocer una foto de Oussama. “No paraba de decir ’esta cara me suena’ y también mencionó un collar, algo que llevaba cuando se fue”. Según la forense, había una posible coincidencia con un cuerpo sin identificar recuperado por los guardacostas el 27 de diciembre de 2022.
      El laberinto burocrático

      Con la sensación de que por fin estaban cerca de obtener alguna respuesta, en la comisaría de Almería les informaron de que, para poder ver el cadáver –o incluso las pertenencias– y proceder a su identificación visual, necesitarían el permiso de la comisaría donde se había registrado inicialmente el cadáver. “Fue entonces cuando empezó la verdadera pesadilla”, recuerda Tayeb. Les entregaron una lista de cinco comisarías de toda la región en las que se podría haber registrado el cadáver, y se pasaron los dos días siguientes conduciendo de comisaría en comisaría a lo largo de la costa murciana.

      “En la primera comisaría que visitamos ni siquiera nos dejaron entrar cuando les dijimos que estábamos buscando a un inmigrante desaparecido, y después siempre fue la misma consigna: éste no es el lugar adecuado; no tenemos ningún cadáver; tenéis que ir a este otro lugar…”, continúa. Cuando ambos regresaron a la primera comisaría de Huércal de Almería, después de que les dijeran repetidamente que era el lugar adecuado para preguntar, los agentes, impacientes, se negaron a atenderlos, alegando leyes de protección de la intimidad, e incluso les dijeron que advirtieran a otras familias que buscaban a migrantes desaparecidos que no siguieran viniendo a preguntar.

      “Al final”, explica Tayeb, “nos dimos cuenta de que nunca nos darían ninguna información. Fue muy desgarrador, sobre todo volver a Francia. Fue como si le dejáramos [allí] en la nevera”.
      Incertidumbre

      A medida que pasaban los meses, la frustración y la ansiedad aumentaban para la familia. “En mayo nos dijeron que la muestra de ADN que habíamos dado cinco meses antes acababa de llegar a Madrid y aún no había sido procesada ni enviada a la base de datos”. No se les ha facilitado más información, y las autoridades españolas tienen la política de ponerse en contacto con las familias sólo cuando hay una coincidencia positiva, pero no si la prueba da negativo.

      Tayeb se plantea una última visita a España para intentar recuperar a su primo Oussama, en parte para estar seguro de que ha hecho todo lo posible por encontrarlo, pero le preocupa que el viaje pueda reabrir su trauma de “pérdida ambigua”. “El esfuerzo de ir no es doloroso, lo doloroso es volver sin nada”, dice. “Esta falta de información es lo peor”.

      La Dra. Pauline Boss, catedrática emérita de Psicología de la Universidad de Minnesota (EE.UU.), explica el concepto de pérdida ambigua: “Se parece a un duelo complejo, con pensamientos intrusivos”, dice. “No tienes otra cosa en la cabeza más que el hecho de que tu ser querido ha desaparecido. No puedes afrontar el duelo, porque eso significaría que la persona está muerta, y no lo sabes con certeza”.

      Tayeb lo explica con sus propias palabras: “Todas las personas que iban a bordo eran del mismo barrio de Mostaganem. He podido hablar con muchas de sus familias y están destrozadas. Hay mucho dolor, pero tampoco hay respuestas. Sólo hay rumores, y algunas de las madres creen que sus hijos están en cárceles de Marruecos y España. Todos tenemos sueños [sobre los desaparecidos]. Al final, confías en lo que ves en tus sueños, como si la realidad cósmica te dijera que va a venir. Sueño con Oussama”.
      Un sistema defectuoso

      De todas las familias de los desaparecidos en la patera de Oussama, sólo Tayeb y otras tres familias han podido presentar denuncias de desaparición ante las autoridades españolas, y únicamente en dos casos se han podido entregar muestras de ADN. Según un informe de 2021 de la Organización Internacional para las Migraciones (OIM), una de las mayores complicaciones a las que se enfrentan las familias en sus búsquedas es que, para registrar a alguien como desaparecido en España, hay que presentar una denuncia ante la policía del propio país, lo que para muchas familias es “una hazaña prácticamente imposible”, ya que no existen visados para viajar con este fin.

      El informe de la OIM también señala que, aunque muchas familias presentan denuncias de personas desaparecidas en sus países de origen, son “conscientes del carácter casi simbólico de sus esfuerzos” y de que “nunca darán lugar a que se inicie ningún tipo de investigación en España.”

      Junto con la OIM, algunas ONG nacionales, como la APDHA y más de un centenar de organizaciones comunitarias, han denunciado la incapacidad de España para adaptar los procedimientos vigentes en materia de personas desaparecidas a los retos transnacionales que plantean los casos de migrantes desaparecidos. Estas organizaciones han defendido en repetidas ocasiones que el marco jurídico del país en materia de personas desaparecidas debe adaptarse para garantizar que las familias puedan presentar denuncias desde el extranjero por casos de personas desaparecidas.

      También han presionado para que se elaboren protocolos específicos para la policía al tratar casos de migrantes desaparecidos, así como para que se cree una base de datos de migrantes desaparecidos que permita centralizar la información y haga posible el intercambio con autoridades de otros países. Esta incluiría todos los datos disponibles post mortem (desde tatuajes hasta ADN, pasando por inspecciones de cadáveres y autopsias) como de información médica forense ante mortem, es decir, la que procede de los familiares en relación con la persona desaparecida.

      “La realidad es que la situación en toda Europa es sistemáticamente deficiente”, explica Julia Black, analista del Proyecto Migrantes Desaparecidos de la OIM. “A pesar de que nuestras investigaciones muestran estas necesidades acuciantes de las familias, ni España ni ningún otro país europeo ha cambiado [en los últimos años] de forma significativa sus políticas, ni tampoco han mejorado las prácticas para ayudar a este grupo desatendido. El apoyo a las familias sólo está disponible de forma muy puntual, sobre todo en respuesta a sucesos con víctimas masivas que están en el punto de mira de la opinión pública, lo que deja a muchos miles de personas sin un apoyo adecuado”.

      Actores no estatales como la Cruz Roja y Caminando Fronteras, así como una red de activistas independientes, intentan llenar este vacío. “Es un trabajo terrible que no deberíamos estar haciendo, porque los Estados deberían responder a las familias y garantizar los derechos de las víctimas más allá de las fronteras”, explica Maleno. En el caso de la patera de Mostaganem, Caminando Fronteras tiene previsto viajar a Argelia el año que viene para tomar muestras de ADN de los familiares y traerlas a España. Pero Maleno también reconoce que su ONG a menudo tiene que “ejercer mucha presión” para que las autoridades acepten estas muestras.

      Es algo que también confirma Jon Iñarritu, diputado de EH Bildu: “Como miembro de la Comisión de Interior del Congreso de los Diputados, he tenido que intervenir en varias ocasiones para ayudar a las familias que querían registrar muestras de ADN, hablando con el Ministerio de Asuntos Exteriores o con el Ministerio del Interior para que aceptaran las muestras. Pero no debería ser necesaria la intervención de un diputado para conseguirlo. Es necesario normalizar todo el proceso con protocolos claros y automáticos [para la presentación de las muestras]. Ahora mismo, no hay una forma clara de hacerlo”.

      Incluso cuando las recomendaciones de la OIM han sido objeto de debate parlamentario en España, no han tendido a traducirse en medidas gubernamentales. En 2021, por ejemplo, el Congreso de los Diputados aprobó una Proposición no de Ley en la que se instaba al Gobierno a crear una oficina estatal específica para las familias de migrantes desaparecidos. “Está claro que necesitamos aliviar el calvario administrativo y burocrático para las familias ofreciéndoles un único punto de contacto [con las autoridades estatales]”, explica Iñárritu, impulsor de la moción.

      Sin embargo, aunque los partidos en el gobierno votaron a favor de la resolución, no se ha tomado ninguna medida al respecto en los 18 meses transcurridos desde la aprobación de la resolución. “Desde mi punto de vista, el Gobierno no tiene ninguna intención de aplicar la propuesta”, argumenta Iñárritu. “Sólo ofrecían un apoyo simbólico”.

      Cuando se expusieron las cuestiones anteriores al Ministerio del Interior, la respuesta fue la siguiente: “El tratamiento de los cadáveres sin identificar que llegan a las costas de España es idéntico al hallazgo de cualquier otro cadáver. En España, para la identificación de cadáveres, las Fuerzas y Cuerpos de Seguridad del Estado aplican la Guía de INTERPOL para la Identificación de Víctimas de Catástrofes. Esta Guía, aunque está especialmente indicada para los sucesos con víctimas múltiples, también es aplicada como referencia para la identificación de un cadáver aislado”.
      Derechos de sepultura

      El director de migraciones de APDHA, Carlos Arce, escribe que, en un marco europeo que contempla la migración irregular predominantemente a través del prisma de la criminalidad grave y la seguridad fronteriza, “ni siquiera la muerte o desaparición de las personas migrantes pone freno a la concatenación de ataques a su dignidad”. Por su parte, Iñárritu también apunta al régimen fronterizo más amplio de la UE: “Muchas cuestiones que no encajan en este marco político dominante, como el derecho de identificación, simplemente se dejan sin gestionar en el día a día. Sencillamente, no son una prioridad”.

      Esto también queda claro en lo que respecta a la inacción del gobierno español a la hora de garantizar un entierro digno a las personas cuyos cuerpos son recuperados. Como señala un informe de 2023 de APDHA, “aunque la repatriación es la opción más deseada por las familias [...] el coste es muy elevado (miles de euros) y muy pocas de sus embajadas ayudan [a sufragarlo]”. La ONG recomienda a España que establezca acuerdos de repatriación con los países de procedencia de los inmigrantes para crear “salvoconductos mortuorios” que garanticen su retorno a un coste reducido.

      A esto se suma que el gobierno central tampoco ha establecido mecanismos para garantizar el derecho de los inmigrantes no identificados a un entierro digno dentro del territorio español, sino que sostiene que los ayuntamientos son responsables de todos los entierros de carácter benéfico. Esto ha supuesto que municipios muy concretos, en los que están estacionadas las embarcaciones de salvamento marítimo, sean legalmente responsables de la mayor parte de los entierros, y la mayoría de estos municipios carecen de cementerios locales capaces de acoger entierros musulmanes tradicionales.

      La posibilidad de que este asunto se convierta en un caldo de cultivo para el rechazo a la inmigración quedó patente el pasado mes de septiembre, cuando la alcaldesa de Mogán (Gran Canaria), Onalia Bueno, insistió en que su municipio dejaría de sufragar estos entierros, ya que no quería “detraer los costes de los impuestos de mis vecinos”. Juan Carlos Lorenzo, de CEAR, condena ese “lenguaje divisivo, que enmarca la cuestión en términos de malgastar el dinero de mis ’vecinos’ en alguien que no es un vecino”, y señala en cambio la actuación de los municipios de El Hierro como contraejemplo positivo.

      En esta isla poco poblada, en los últimos dos meses han sido enterrados siete inmigrantes no identificados, junto con los restos de Mamadou Marea, de 30 años. “Los habitantes de la isla se unieron a nosotros para acompañar los restos de cada una de estas personas hasta su lugar de descanso”, explica Amado Carballo, concejal de El Hierro. “Lo que nos entristeció a todos fue no poder poner un nombre en la lápida y simplemente tener que dejar a las personas identificadas con un código policial”.

      Carballo señala que “más de 10.000 personas han llegado a El Hierro desde septiembre, lo mismo que la población de la isla. Son viajes muy largos, de entre seis y nueve días en el mar, y ahora mismo la gente llega en un pésimo estado de salud. A los que han muerto en los últimos meses hemos intentado ofrecerles un entierro digno dentro de los medios de que disponemos. Hemos contado con la presencia de un imán, que ha rezado oraciones del Islam antes de depositar los restos”.

      En la actualidad, la responsabilidad de conmemorar a las víctimas no identificadas recae en los municipios e incluso en los responsables de los cementerios. Al igual que Germán en el cementerio de Barbate, que intenta dignificar las tumbas sin nombre colocando flores sobre ellas, el cementerio de Motril ha adornado las tumbas con poemas. En Teguise, el Ayuntamiento ha puesto en marcha una iniciativa que anima a los vecinos a dejar flores en las tumbas de los inmigrantes cuando vienen a visitar los restos de sus familiares.

      En otro gesto conmemorativo, una colección de unas 50 barcas de pesca desechadas se ha convertido en un rasgo distintivo del puerto de Barbate. Estas pequeñas embarcaciones de madera con escritura árabe en el casco eran utilizadas por los emigrantes que intentaban cruzar el Estrecho de Gibraltar. En lugar de ser desguazadas, APDHA pudo convertir el astillero en un lugar conmemorativo y colocar placas en las embarcaciones en las que se indicaba cuántas personas viajaban en ellas y dónde y cuándo fueron encontradas.

      En el caso del pequeño Alhassane Bangoura, los vecinos acuden habitualmente a dejar flores frescas y otras muestras de afecto, entre ellas un pequeño cuenco de granito con su nombre de pila inscrito. Pero muchas víctimas son enterradas sin ningún intento de identificación y, tal y como exigen innumerables ONG, políticos y activistas, no debería dejarse en manos de la buena voluntad de residentes, trabajadores de cementerios o concejales el garantizar los últimos derechos de las víctimas de la Fortaleza Europa.

      https://www.eldiario.es/desalambre/enterrar-mil-personas-nombre-trabas-ue-espana-identificar-cuerpos-migrantes

    • « Αγνώστων στοιχείων » : Πάνω από 1.000 αταυτοποίητοι τάφοι στα ευρωπαϊκά σύνορα

      Τάφοι με μόνη σήμανση ένα ξύλο, μνήματα που καλύπτονται από αγριόχορτα : μια διασυνοριακή έρευνα οκτώ δημοσιογράφων σε συνεργασία με Solomon, Guardian και Süddeutsche Zeitung καταγράφει την αδιαφορία γύρω από την αξιοπρεπή ταφή των προσφύγων που χάνουν τη ζωή τους στα ευρωπαϊκά σύνορα.

      Το τηλέφωνο χτύπησε ένα πρωινό του Οκτωβρίου 2022 στη δουλειά, στη Φινλανδία όπου ο 35χρονος Μοχάμεντ Σαμίμ ζει τα τελευταία δέκα περίπου χρόνια.

      Ο ανιψιός του δεν είχε καλά νέα : ο αδερφός του Σαμίμ, Ταρίν Μοχαμάντ, μαζί με τον γιο και τις δύο κόρες του, βρισκόταν σε ένα σκάφος που βυθίστηκε κοντά σε ένα ελληνικό νησί, έχοντας αποπλεύσει από τα τουρκικά παράλια για την Ιταλία.

      Όταν ο Σαμίμ έφτασε την επομένη στα Κύθηρα, έμαθε πως —παρότι αδύναμος αφού δεν είχε φάει επί τρεις μέρες— ο αδερφός του είχε καταφέρει να σώσει την οικογένειά του πριν ένα κύμα τον πάρει μακριά. Πήγε αμέσως στο σημείο του ναυαγίου. Μέσα στο νερό είδε σώματα να επιπλέουν — δεν μπορούσε να δει το πρόσωπο του αδερφού του, αλλά αναγνώρισε την πλάτη του.

      Το Λιμενικό είπε πως έπρεπε να περάσει η κακοκαιρία για να μπορέσουν να βγάλουν τους νεκρούς από τη θάλασσα. Πέρασε η πρώτη μέρα, πέρασε και δεύτερη, ώσπου την τρίτη ημέρα κατέστη τελικά δυνατό. Το Λιμενικό επιβεβαίωσε στο Solomon πως άνεμοι έντασης 8 μποφόρ και η μορφολογία της περιοχής καθιστούσαν την ανάσυρση των σορών αδύνατη. Ο Σαμίμ δεν θα ξεχάσει ποτέ την εικόνα του αδερφού του στη θάλασσα.

      Στην Καλαμάτα, χρειάστηκε να περάσουν τέσσερις ημέρες μετακύλισης της ευθύνης μεταξύ νοσοκομείου και Λιμενικού, και η βοήθεια μιας ντόπιας δικηγόρου που « ήρθε και τους έβαλε τις φωνές », προκειμένου να του επιτραπεί να ακολουθήσει τη διαδικασία ταυτοποίησης του αδερφού του.

      Τον προειδοποίησαν πως θα ήταν μια ψυχοφθόρα διαδικασία, και πως θα έπρεπε να φορέσει τριπλή μάσκα λόγω της μυρωδιάς. Ο Σαμίμ λέει πως, λόγω έλλειψης χώρου στα ψυγεία του νεκροτομείου, ορισμένα από τα θύματα του ναυαγίου βρίσκονταν στον θάλαμο εκτός ψυγείου.

      « Το άγχος και η μυρωδιά. Τα γόνατά μας έτρεμαν », θυμάται ο Σαμίμ όταν τον συναντάμε στα Κύθηρα ένα χρόνο μετά.

      Ξεκίνησαν να του δείχνουν σώματα σε αποσύνθεση. Πρώτα αυτά εκτός ψυγείου. Δεν τον αναγνώρισε ανάμεσά τους. Βγήκαν έξω και άλλαξαν τις μάσκες που φορούσαν, επέστρεψαν, άνοιξαν με τη σειρά τα ψυγεία φτάνοντας στο τελευταίο.

      « Βρισκόταν εκεί, ήρεμος. Ο άνθρωπος που αγαπάς. Ήμασταν κάπως χαρούμενοι που, μετά από μέρες, μπορούσαμε να τον δούμε », είπε ο Σαμίμ.
      Νεκροί πρόσφυγες στα αζήτητα

      Ο αριθμός των προσφύγων που πεθαίνουν στα σύνορα της Ευρώπης ολοένα και μεγαλώνει. Πέρα από τη δυσκολία καταγραφής των θανάτων, υπάρχει και η πρόκληση της ταυτοποίησης των σορών, μια διαδικασία ψυχοφθόρα για τους συγγενείς. Σε κάποιες περιπτώσεις, ωστόσο, υπάρχουν σοροί που μένουν αταυτοποίητες, εκατοντάδες άνδρες, γυναίκες και παιδιά που θάβονται σε τάφους αγνώστων στοιχείων.

      Τον Ιούλιο του 2023, το Ευρωπαϊκό Κοινοβούλιο υιοθέτησε ψήφισμα που αναγνωρίζει το δικαίωμα στην ταυτοποίηση των ανθρώπων που χάνουν τη ζωή τους στην προσπάθεια να φτάσουν στην Ευρώπη, έως σήμερα ωστόσο δεν υπάρχει κεντρικό σύστημα καταγραφής σε πανευρωπαϊκό επίπεδο. Ούτε ενιαία διαδικασία για τη διαχείριση των σορών που καταλήγουν σε νεκροτομεία, γραφεία κηδειών — ακόμη και κοντέινερ ψύξης.

      Το πρόβλημα είναι « εντελώς παραμελημένο », είπε στο Solomon η Ευρωπαία Επίτροπος Ανθρωπίνων Δικαιωμάτων, Dunja Mijatović, η οποία αναφέρει ότι οι χώρες της ΕΕ δεν εκπληρώνουν τις υποχρεώσεις τους βάσει του διεθνούς δικαίου των ανθρωπίνων δικαιωμάτων. « Η τραγωδία των αγνοούμενων μεταναστών έχει λάβει τρομακτικές διαστάσεις. Το ζήτημα απαιτεί άμεση δράση », πρόσθεσε.

      Η πλατφόρμα Missing Migrants του Διεθνούς Οργανισμού Μετανάστευσης (ΔΟΜ), που αναγνωρίζει πως τα στοιχεία της δεν αποτελούν ολοκληρωμένη καταγραφή, κάνει λόγο για πάνω από 1.090 αγνοούμενους πρόσφυγες και μετανάστες στην Ευρώπη από το 2014.

      Στο πλαίσιο της έρευνας Border Graves, οκτώ Ευρωπαίοι δημοσιογράφοι, από κοινού με την βρετανική εφημερίδα Guardian, την γερμανική εφημερίδα Süddeutsche Zeitung, και το Solomon για την Ελλάδα, ερεύνησαν επί επτά μήνες τι συμβαίνει με τις χιλιάδες αταυτοποίητες σορούς όσων χάνουν τη ζωή τους στα ευρωπαϊκά σύνορα, και καταγράφουν για πρώτη φορά έναν σχεδόν διπλάσιο αριθμό : σύμφωνα με τα στοιχεία που συγκεντρώθηκαν, περισσότεροι από 2.162 άνθρωποι πέθαναν την περίοδο 2014-2023.

      Μελετήσαμε έγγραφα και πήραμε συνεντεύξεις από κρατικούς ιατροδικαστές, εισαγγελείς και εργαζομένους σε γραφεία τελετών· από κατοίκους και συγγενείς θανόντων και αγνοουμένων· και αποκτήσαμε αποκλειστική πρόσβαση σε αδημοσίευτα στοιχεία της Διεθνούς Επιτροπής του Ερυθρού Σταυρού.

      Σε 65 νεκροταφεία κατά μήκος των ευρωπαϊκών συνόρων –Ελλάδα, Ισπανία, Ιταλία, Μάλτα, Πολωνία, Λιθουανία, Γαλλία και Κροατία– καταγράψαμε περισσότερους από 1.000 τάφους αγνώστων στοιχείων κατά την τελευταία δεκαετία.

      Η έρευνα καταγράφει τον τρόπο με τον οποίο η κρατική αδιαφορία γύρω από την αξιοπρεπή ταφή των ανθρώπων που χάνουν τη ζωή τους στα σύνορα διαπερνά τις ευρωπαϊκές χώρες. Στην Ιταλία, συναντήσαμε ξύλινους σταυρούς. Στην Κροατία και τη Βοσνία, συναντήσαμε δεκάδες τάφους με την ένδειξη « ΝΝ » (αγνώστων στοιχείων), στη Γαλλία απλώς με ένα « Χ ».

      Στα ισπανικά Γκραν Κανάρια, εντοπίσαμε πλάκες που δεν αναφέρουν την ταυτότητα των θανόντων, αλλά σε ποιο ναυάγιο πέθαναν : « Βάρκα μεταναστών νούμερο 4. 25/09/2022 ».

      Στην Ελλάδα, καταγράψαμε περισσότερους από 540 αταυτοποίητους τάφους προσφύγων, το 54% όσων συνολικά κατέγραψε η ευρωπαϊκή έρευνα. Ταξιδέψαμε στα νησιά του Αιγαίου και τον Έβρο, και εντοπίσαμε τάφους σε χωράφια που ενίοτε καλύπτονται από αγριόχορτα, και μαρμάρινες πλάκες με ημερομηνίες θανάτου που έχουν σβηστεί, ενώ σε άλλες περιπτώσεις ένα κομμάτι ξύλο μαζί με έναν αριθμό αποτελεί τη μόνη σήμανσή τους.

      Τα στοιχεία της έρευνάς μας, σε συνδυασμό με τα στοιχεία της Διεθνούς Επιτροπής του Ερυθρού Σταυρού, δεν αποτελούν εξαντλητική καταγραφή του ζητήματος. Ωστόσο, αποτυπώνουν για πρώτη φορά τα κενά και τις δυσκολίες ενός συστήματος, που οδηγεί χιλιάδες οικογένειες να μην γνωρίζουν πού είναι θαμμένοι οι συγγενείς τους.

      Λέσβος : 167 αταυτοποίητοι τάφοι προσφύγων

      Ένας μακρύς χωματόδρομος, που τριγυρίζεται από ελαιόδεντρα, οδηγεί στην πύλη του νεκροταφείου του Κάτω Τρίτου, που συνήθως παραμένει κλειδωμένη με λουκέτο.

      Το « νεκροταφείο των προσφύγων », όπως το αποκαλούν στο νησί, βρίσκεται περίπου 15χλμ δυτικά της Μυτιλήνης. Αποτελεί τον μοναδικό χώρο ταφής αποκλειστικά για πρόσφυγες και μετανάστες στην Ελλάδα.

      Κατά τη διάρκεια μίας από τις επισκέψεις μας, λάμβανε χώρα η κηδεία τεσσάρων παιδιών. Έχασαν τη ζωή τους στις 28 Αυγούστου 2023, όταν η βάρκα στην οποία επέβαιναν μαζί με 18 ακόμη ανθρώπους βυθίστηκε νοτιοανατολικά της Λέσβου.

      Η πενθούσα μητέρα και αρκετές γυναίκες, μεταξύ των οποίων μέλη της οικογένειας, κάθονταν κάτω από ένα δέντρο, ενώ οι άνδρες προσεύχονταν κοντά στο υπόστεγο που χρησιμοποιείται για τη διαδικασία της ταφής σύμφωνα με την ισλαμική παράδοση.

      Στον Κάτω Τρίτο και τον Άγιο Παντελεήμονα, το νεκροταφείο της Μυτιλήνης όπου θάβονταν οι πρόσφυγες έως τότε, μετρήσαμε συνολικά 167 τάφους αγνώστων στοιχείων μεταξύ 2014-2023.

      Ο τοπικός δημοσιογράφος, και πρώην μέλος του Περιφερειακού Συμβουλίου Βορείου Αιγαίου Νίκος Μανάβης, εξηγεί πως το νεκροταφείο δημιουργήθηκε το 2015 σε έναν ελαιώνα που ανήκει στο δήμο Μυτιλήνης λόγω ανάγκης : ένα πολύνεκρο ναυάγιο στα βόρεια του νησιού, στις 28 Οκτωβρίου του έτους, είχε ως αποτέλεσμα τουλάχιστον 60 νεκρούς, για τους οποίους τα νεκροταφεία του νησιού δεν επαρκούσαν.

      Πολλά θύματα ναυαγίων παραμένουν θαμμένα σε τάφους αγνώστων στοιχείων. Στις ταφόπλακες αναγράφεται η εκτιμώμενη ηλικία των θανόντων και η ημερομηνία ταφής, ενίοτε μόνο ένας αριθμός. Άλλες φορές, ένα κομμάτι ξύλο και περιμετρικά τοποθετημένες πέτρες σηματοδοτούν τον τάφο.

      « Αυτό που βλέπουμε είναι ένα χωράφι, όχι ένα νεκροταφείο. Δεν δείχνει σεβασμό στους ανθρώπους που τάφηκαν εδώ », λέει ο Μανάβης.

      Αυτή η έλλειψη σεβασμού στο νεκροταφείο του Κάτω Τρίτου κινητοποίησε την οργάνωση Earth Medicine. Όπως εξηγεί ο Δημήτρης Πατούνης, μέλος της ΜΚΟ, τον Ιανουάριο του 2022 έκαναν πρόταση στο δήμο Μυτιλήνης για την αποκατάσταση του νεκροταφείου. Το σχέδιό τους είναι να δημιουργήσουν ένα χώρο ανάπαυσης με σεβασμό και αξιοπρέπεια, όπου οι πρόσφυγες και οι αιτούντες άσυλο θα μπορούν να ικανοποιήσουν την πιο ιερή ανθρώπινη ανάγκη, το πένθος για τους αγαπημένους τους.

      Παρόλο που το δημοτικό συμβούλιο ενέκρινε την πρόταση την άνοιξη του 2023, οι δημοτικές εκλογές του Οκτωβρίου καθυστέρησαν το έργο. Ο Πατούνης δηλώνει θετικός ότι σύντομα θα γίνει καταγραφή των τάφων και περίφραξη της περιοχής.

      Ο Χρήστος Μαυραχείλης, νεκροθάφτης στο νεκροταφείο του Αγίου Παντελεήμονα, θυμάται ότι το 2015 οι μουσουλμάνοι πρόσφυγες θάβονταν σε συγκεκριμένη περιοχή του νεκροταφείου.

      « Αν κάποιος ήταν αγνώστου ταυτότητας έγραφα στον τάφο του “Άγνωστος” », λέει. Εάν δεν υπήρχαν συγγενείς, που θα μπορούσαν να καλύψουν το κόστος, ο Μαυραχείλης έκοβε ο ίδιος ένα μάρμαρο και έγραφε όσα στοιχεία μπορούσε από το πιστοποιητικό θανάτου. « Άνθρωποι ήταν κι αυτοί », λέει, « έκανα ό,τι μπορούσα ».

      Από την πλευρά του, ο Θωμάς Βαναβάκης, πρώην ιδιοκτήτης γραφείου τελετών που πρόσφερε υπηρεσίες στη Λέσβο έως το 2020, λέει επίσης πως συχνά χρειάστηκε να καλύψουν ταφές δίχως να λάβουν αμοιβή. « Ξέρετε πόσες φορές μπήκαμε στη θάλασσα και πληρώσαμε εργάτες από την τσέπη μας για να τραβήξουμε τα πτώματα και δεν παίρναμε φράγκο ; », λέει.

      « Το να βλέπεις τόσα μωρά, να τα μαζεύεις και να τα πετάς σε ένα κουτί… Πώς μπορείς να πας σπίτι και να κοιμηθείς μετά από αυτό ; », λέει ο Βαναβάκης.

      Η Έφη Λατσούδη, που ζει στη Λέσβο και εργάζεται στην οργάνωση Refugee Support Aegean (RSA), λέει πως το 2015 υπήρχαν ταφές που δεν μπορούσε να καλύψει ο δήμος Μυτιλήνης, και ορισμένες φορές τις « πληρώναν οι άνθρωποι που συμμετείχαν στην τελετή. Προσπαθούσαμε να δώσουμε μια αξιοπρέπεια στη διαδικασία. Αλλά δεν ήταν αρκετό », λέει.

      Η Λατσούδη θυμάται κάτι που της είχε αναφέρει μια προσφύγισσα το 2015 : « Το χειρότερο που μπορεί να μας συμβεί είναι να πεθάνουμε κάπου μακριά και να μην είναι κανείς στην κηδεία μας ».

      Ο δήμος Μυτιλήνης δεν απάντησε στα ερωτήματά μας σχετικά με την αξιοπρεπή ταφή των προσφύγων στα νεκροταφεία ευθύνης του.
      Χίος και Σάμος : τάφοι καλύπτονται από αγριόχορτα

      Σύμφωνα με την ελληνική νομοθεσία, η τοπική αυτοδιοίκηση (και σε περίπτωση αδυναμίας της η περιφέρεια) καλύπτει το κόστος για την ταφή τόσο των αταυτοποίητων προσφύγων που πεθαίνουν στα σύνορα, όσο και εκείνων που βρίσκονται σε οικονομική αδυναμία.

      Από πλευράς της, η δημοτική Αρχή Χίου δήλωσε πως προβλέπεται χρηματοδότηση για τις σχετικές δαπάνες, καθώς και ότι « στο πλαίσιο των αρμοδιοτήτων της για τα νεκροταφεία, συντηρεί και φροντίζει όλους τους χώρους, χωρίς διακρίσεις και με τον απαιτούμενο σεβασμό, για όλους τους νεκρούς ».

      Αλλά κατά την επίσκεψή μας τον Αύγουστο στο νεκροταφείο του Μερσινιδίου, λίγα χιλιόμετρα βόρεια της πόλης της Χίου, όπου πρόσφυγες βρίσκονται θαμμένοι πλάι στα μνήματα των ντόπιων, δεν ήταν δύσκολο να εντοπίσει κανείς τον διαχωρισμό : οι πέντε τάφοι αταυτοποίητων προσφύγων σηματοδοτούνταν απλώς από ένα μάρμαρο, το οποίο έτεινε να υπερκαλύψει η βλάστηση.

      Η Νατάσα Στραχίνη, δικηγόρος του RSA που ζει στη Χίο, έχει λάβει μέρος σε αρκετές κηδείες προσφύγων τόσο στη Χίο όσο και στη Λέσβο. Για εκείνη, είναι πολύ μεγάλη η σημασία της τοπικής κοινότητας και η παρουσία σε μια τόσο δύσκολη ανθρώπινη στιγμή.

      Σχετικά με τις ταφές, εξηγεί πως « μόνο ένα καλό σύστημα καταγραφής θα μπορούσε να βοηθήσει τους συγγενείς να εντοπίσουν τον τάφο ενός ανθρώπου που έχασαν, καθώς συνήθως στα νεκροταφεία μετά από 3-5 χρόνια γίνονται εκταφές ». Αναφέρει πως ενίοτε ένας τάφος παραμένει αγνώστων στοιχείων παρότι η σορός έχει ταυτοποιηθεί, είτε γιατί καθυστέρησε η διαδικασία ταυτοποίησης, είτε γιατί οι συγγενείς δεν είχαν την οικονομική δυνατότητα να αλλάξουν το μνήμα.

      Στο Ηραίο Σάμου, δίπλα στο δημοτικό νεκροταφείο, σε ένα οικόπεδο που ανήκει στη Μητρόπολη και χρησιμοποιείται ως χώρος ταφής προσφύγων, καταγράψαμε δεκάδες μνήματα που χρονολογούνται μεταξύ 2014-2023. Οι πλάκες –ορισμένες σπασμένες– που έχουν τοποθετηθεί στο έδαφος, « κρυμμένες » από κλαδιά, πευκοβελόνες και κουκουνάρια, αναγράφουν απλώς έναν αριθμό και τη χρονολογία της ταφής.

      Ο δικηγόρος Δημήτρης Χούλης, που ζει στη Σάμο και χειρίζεται υποθέσεις γύρω από το προσφυγικό, σχολίασε σχετικά : « Είναι ντροπιαστική εικόνα να βλέπεις τέτοιους τάφους. Είναι αδικαιολόγητο για μια σύγχρονη κοινωνία όπως η Ελλάδα ».

      Αναζητώντας στοιχεία

      Η Διεθνής Επιτροπή του Ερυθρού Σταυρού είναι από τις λίγες διεθνείς οργανώσεις που εργάζονται για την ταυτοποίηση των νεκρών πρσοφύγων. Μεταξύ άλλων, και στην Ελλάδα έχουν πραγματοποιήσει αρκετές σχετικές εκπαιδεύσεις σε στελέχη του Λιμενικού και της Ελληνικής Αστυνομίας.

      « Είναι υποχρέωσή μας να παρέχουμε στους νεκρούς μια αξιοπρεπή ταφή. Παράλληλα, οφείλουμε να δίνουμε απαντήσεις στις οικογένειες μέσω της ταυτοποίησης των νεκρών. Αν υπολογίσουμε τους συγγενείς των αγνοουμένων, αυτή η διαδικασία επηρεάζει εκατοντάδες χιλιάδες ανθρώπους. Δεν γνωρίζουν πού βρίσκονται οι αγαπημένοι τους. Τους φέρθηκαν καλά ; Τους σεβάστηκαν όταν τους έθαψαν ; », αναφέρει η Laurel Clegg, συντονίστρια ιατροδικαστής για τη μετανάστευση στην Ευρώπη.

      Εξηγεί πως η καταγραφή των νεκρών αποτελεί διαδικασία που « απαιτεί την καλή συνεργασία μεταξύ πολλών μερών : ένα νομικό πλαίσιο που να προστατεύει τους αταυτοποίητους νεκρούς, συστηματικές νεκροψίες (consistent post-mortems), νεκροτομεία, ληξιαρχεία, αξιοπρεπή μεταφορά, νεκροταφεία ».

      Ωστόσο, τα ιατρικά και νομικά συστήματα των χωρών αποδεικνύονται ανεπαρκή για να αντιμετωπίσουν τη διάσταση του προβλήματος, προσθέτει.

      Από το 2013, στο πλαίσιο του προγράμματος για την αποκατάσταση οικογενειακών δεσμών, ο Ερυθρός Σταυρός έχει καταγράψει στην Ευρώπη 16.500 αιτήματα από ανθρώπους που αναζητούν αγνοούμενους συγγενείς τους. Σύμφωνα με τον διεθνή οργανισμό έχουν επιτευχθεί μόλις 285 επιτυχείς αντιστοιχίσεις (1,7%).

      Τις αντιστοιχίσεις αυτές αναλαμβάνουν οι κατά τόπους ιατροδικαστές.

      « Συλλέγουμε πάντα δείγματα DNA από τις σορούς αγνώστων στοιχείων. Είναι συνήθης πρακτική και μπορεί να είναι το μόνο εφικτό μέσο ταυτοποίησης », αναφέρει ο Παναγιώτης Κοτρέτσος, ιατροδικαστής στη Ρόδο. Τα δείγματα αποστέλλονται στο εργαστήριο DNA της Διεύθυνσης Εγκληματολογικών Ερευνών της Ελληνικής Αστυνομίας, σύμφωνα με πρωτόκολλο της INTERPOL.

      Σύμφωνα με τον Ερυθρό Σταυρό, οι δυσκολίες συνήθως προκύπτουν όταν οι οικογένειες βρίσκονται εκτός ΕΕ, και οφείλονται σε διάφορους παράγοντες, όπως τυχόν διαφορές στο νομικό πλαίσιο ή στα ιατρικά συστήματα των χωρών. Για παράδειγμα, ορισμένες χώρες της ΕΕ δεν μπορούν να « ανοίξουν » υπόθεση και να πάρουν δείγματα DNA από οικογένειες, χωρίς εντολή από τις Aρχές της χώρας στην οποία έχει ανασυρθεί η σορός του συγγενή που αναζητάται.

      Το πιο δύσκολο μέρος στη διαδικασία ταυτοποίησης μέσω DNA είναι ότι χρειάζεται να υπάρχει κι ένα δεύτερο δείγμα που θα συγκριθεί με εκείνο που συνέλεξαν οι ιατροδικαστές, το οποίο πρέπει να σταλεί από τις οικογένειες των αγνοουμένων. « Για έναν πρόσφυγα που ξεκίνησε το ταξίδι του από μια χώρα της κεντρικής Αφρικής, ταξίδεψε για μήνες, και πέθανε στην Ελλάδα, θα υπάρχει το γενετικό υλικό στο νεκροτομείο. Αλλά θα παραμείνει αταίριαστο μέχρι κάποιος συγγενής πρώτου βαθμού να στείλει δείγμα DNA », λέει ο Κοτρέτσος.

      Εξηγεί πως αυτό δεν είναι πάντα εφικτό. « Έχουμε δεχτεί τηλεφωνήματα από συγγενείς που βρίσκονταν στη στη Συρία, και αναζητούσαν αγνοούμενα μέλη της οικογένειάς τους, και δεν μπορούσαν να στείλουν δείγματα ακριβώς επειδή βρίσκονταν στη Συρία ».

      Έξω από το πανεπιστημιακό νοσοκομείο της Αλεξανδρούπολης, δύο κοντέινερ ψυγεία που έχουν παραχωρηθεί από τον Ερυθρό Σταυρό ως προσωρινοί νεκροθάλαμοι φιλοξενούν τα σώματα 40 προσφύγων.

      Ο καθηγητής Ιατροδικαστικής στο Δημοκρίτειο Πανεπιστήμιο Θράκης, Παύλος Παυλίδης, έχει από το 2000 πραγματοποιήσει αυτοψίες σε τουλάχιστον 800 σώματα ανθρώπων σε κίνηση, με βασικές αιτίες θανάτου τον πνιγμό στα νερά του Έβρου και την υποθερμία.

      Ο ιατροδικαστής δεν αρκείται στην απαραίτητη συλλογή DNA : καταγράφει δεδομένα όπως σημάδια γέννησης ή τατουάζ και αντικείμενα (π.χ. πορτοφόλια, δαχτυλίδια, γυαλιά), τα οποία θα μπορούσαν να αποτελέσουν τον συνδετικό κρίκο για έναν συγγενή που αναζητά το αγαπημένο του πρόσωπο.

      Λέει πως συνολικά 313 σοροί που βρέθηκαν στον Έβρο από το 2014 παραμένουν αγνώστων στοιχείων. Όσες δεν μπορούν να ταυτοποιηθούν θάβονται σε ειδικό νεκροταφείο στο Σιδηρώ, το οποίο διαχειρίζεται ο δήμος Σουφλίου, ενώ 15-20 αταυτοποίητες σοροί τάφηκαν στην Ορεστιάδα όσο γινόταν η επέκταση του νεκροταφείου Σιδηρού.

      Οι σοροί των μουσουλμάνων προσφύγων που ταυτοποιούνται ενταφιάζονται στο μουσουλμανικό νεκροταφείο στη Μεσσούνη Κομοτηνής ή επαναπατρίζονται, όταν οι συγγενείς μπορούν να καλύψουν το κόστος επαναπατρισμού.

      « Αυτό δεν είναι αξιοπρεπές »

      Απαντώντας σε σχετικά ερωτήματα, το υπουργείο Μετανάστευσης και Ασύλου είπε πως το ζήτημα των διαδικασιών ταυτοποίησης και ταφής προσφύγων δεν εμπίπτει στις αρμοδιότητές του. Εκπρόσωπος της Κομισιόν δήλωσε πως σχετικά κονδύλια προς την Ελλάδα δεν προβλέπονται, ωστόσο εν λόγω δαπάνες « θα μπορούσαν να υποστηριχθούν στο πλαίσιο του Εθνικού Προγράμματος του Ταμείου Ασύλου, Μετανάστευσης και Ένταξης », το οποίο διαχειρίζεται το υπουργείο Μετανάστευσης.

      Ο Θεόδωρος Νούσιας είναι επικεφαλής ιατροδικαστής της Ιατροδικαστικής Υπηρεσίας Βορείου Αιγαίου, δηλαδή υπεύθυνος για τα νησιά Λέσβο, Σάμο, Χίο, και Λήμνο. Σύμφωνα με τον ιατροδικαστή, η διαδικασία ταυτοποίησης μέσω DNA έχει βελτιωθεί πολύ σε σχέση με πριν από μερικά χρόνια.

      Ο Νούσιας λέει ότι πάντα ήταν διαθέσιμος, όταν του ζητήθηκε να αναγνωρίσει κάποιον. « Πρέπει να εξυπηρετείς τους ανθρώπους, γι’ αυτό βρίσκεσαι εκεί. Να εξυπηρετείς τους ανθρώπους για να μπορούν να βρουν την οικογένειά τους », προσθέτει.

      Ο ιατροδικαστής ζει στη Λέσβο, αλλά λέει πως δεν έχει πάει ποτέ στο νεκροταφείο στον Κάτω Τρίτο. « Δεν θέλω να πάω. Θα είναι δύσκολο για μένα γιατί οι περισσότεροι από αυτούς τους ανθρώπους έχουν περάσει από τα χέρια μου ».

      Τον Οκτώβριο του 2022, ο 32χρονος Σουτζά Αχμαντί και η αδελφή του Μαρίνα ταξίδεψαν επίσης στα Κύθηρα και, στη συνέχεια, στην Καλαμάτα προκειμένου να αναγνωρίσουν τη σορό του πατέρα τους, Αμπντούλ Γασί.

      Ο 65χρονος είχε ξεκινήσει το ταξίδι για την Ιταλία μαζί με τη γυναίκα του Χατίτζε — εκείνη επέζησε. Τα δύο αδέλφια επισκέφθηκαν το νοσοκομείο, όπου τους έδειξαν και τα οκτώ πτώματα, άνδρες και γυναίκες, παρότι είχαν εξαρχής εξηγήσει πως ο άνθρωπος που αναζητούσαν ήταν άνδρας.

      Το σώμα του πατέρα τους ήταν μεταξύ εκείνων που βρίσκονταν εκτός ψυγείου.

      « Η αδελφή μου έκλαιγε και τους φώναζε να πάρουν τον πατέρα μας από το κοντέινερ ψυγείο γιατί μύριζε », θυμάται ο Σουτζά. « Δεν ήταν αξιοπρεπές μέρος για έναν άνθρωπο ».

      Για την έρευνα συνεργάστηκαν οι : Gabriele Cruciata, Eoghan Gilmartin, Danai Maragoudaki, Barbara Matejčić, Leah Pattem, Gabriela Ramírez, Daphne Tolis and Tina Xu (συντονίστρια).

      Η έρευνα υποστηρίχθηκε από το Investigative Journalism for Europe (IJ4EU) και Journalismfund Europe.

      https://wearesolomon.com/el/mag/format-el/erevnes/agnoston-stoixeion-pano-apo-1000-ataftopoihtoi-tafoi-sta-evropaika-syn

    • U Hrvatskoj pronađeno 45 neimenovanih grobova migranata, među njima je bila i 5-godišnja curica: ‘Policija ih često tjera u rijeku’

      Telegram ekskluzivno donosi veliku priču Barbare Matejčić koja je, kao jedina novinarka iz Hrvatske, sudjelovala u međunarodnoj novinarskoj istrazi s kolegama iz uglednih medija poput britanskog Guardiana i njemačkog Süddeutsche Zeitunga. Otkrili su kako završavaju tijela onih koji su stradali pokušavajući ući u Europsku uniju

      U selu Siče u istočnoj Hrvatskoj više je Sičana na groblju nego među živima: živih je 230, a umrlih 250. Točnije, na groblju je 247 Sičana i tri nepoznate osobe. Bilo bi ih još više pod zemljom da Siče svoje groblje nema tek od 1970-ih. Bilo bi još više i živih da nisu, kao mnogi iz tog kraja, odlazili u veće gradove ili u inozemstvo u potrazi za boljim životom. Grobovi Sičana, ukratko, posjetitelju kažu tko su ti ljudi bili, gdje pripadaju i posjećuju li ih bližnji. Tako to biva s grobovima, sažimaju osnovne informacije naših života. Ako na grobu stoji samo NN, to sažima tragediju.

      Tko su te tri osobe kojima se ne zna ime? Kako im je posljednja adresa skromni humak u Siču? Migranti, utopili su se u obližnjoj rijeci, reći će vam mještani. Malo je mjesto, malo je groblje, sve se zna. I da ne znate ništa, jasno vam je da te tri osobe tu ne pripadaju. Ukopani su sasvim izdvojeno od ostatka groblja. Tri drvena križa s NN natpisima, zabodena u zemlju na rubu groblja. NN, kao skraćenica od latinskog nomen nescio, doslovno znači: ne znam ime.

      https://www.youtube.com/watch?v=iQAGqiWBB78&embeds_referring_euri=https%3A%2F%2Fwww.telegram.hr%2F&

      Službeno objašnjenje komunalnog poduzeća koje upravlja grobljem je da je ostavljeno mjesta za još mogućih ukopa onih kojima se ne zna ime. A objašnjenje na koje pomislite kad tamo dođete jest da su ukopani izdvojeno kako se ne bi miješali s mještanima. Ili, kako nam se u telefonskom razgovoru izlanuo načelnik jednog drugog mjesta gdje su također na margini groblja NN migrantski grobovi: “Da nam ne smetaju.”

      Afganistanci pod križem

      Na groblju u Sičama to su jedina tri groba o kojima nitko ne vodi računa. Za nekih pet godina mogao bi im nestati svaki trag. Komunalna poduzeća su dužna ukopati neidentificirana tijela, ali ne i održavati grobove osim ako grob nije od “osobe od posebnog povijesnog i društvenog značaja”, kako zakon nalaže. NN1, NN2 i NN3 su od posebnog značaja samo svojim bližnjima, koji vjerojatno ni ne znaju gdje su. Možda čekaju da im se konačno jave iz zapadne Europe. Možda ih traže. Možda ih oplakuju. No, ako zakopate malo dublje, saznat ćete ponešto o onima koji tu počivaju bez imena.

      U rano i hladno jutro 23. prosinca 2022. policija je pronašla dva tijela na obali Save, koja je u tom području odvaja Hrvatsku od Bosne i Hercegovine. Odvaja Europsku uniju od ostatka Europe. Prema policijskom izvještaju, pronašli su i skupinu od dvadeset stranih državljana koji su tim putem nezakonito ušli u Hrvatsku. Skupini je nedostajala još jedna osoba. Nakon opsežne potrage u popodnevnim satima je pronađeno i treće tijelo. Patolog Opće bolnice u Novoj Gradiški ustanovio je da je smrt za sve troje nastupila u 2.45 u noći. Dvojica su umrla od pothlađenosti, jedan se utopio.

      Kod njih su pronađene iskaznice iz izbjegličkog kampa u Bosni i Hercegovini. Saznali smo da su, prema iskaznicama, sva trojica bila iz Afganistana: Ahmedi Abozari imao je 17 godina, Basir Naseri imao je 21 godinu i Shakir Atoin je imao 25 godina. NN1, NN2 i NN3. Za dvojicu od njih su i drugi iz skupine migranata potvrdili identitet, rekli su nam iz Policijske uprave brodsko-posavske. Zašto su onda pokopani kao NN? Ako se znalo da su iz Afganistana, zašto su pokopani pod križem? Ako ih traže obitelji, kako će ih naći?
      ‘Neka plate za ime na grobu’

      U upravi groblja su bili ljubazni i rekli da pokapaju prema tome kako stoji u dozvoli za ukop koju potpisuje patolog. A stajalo je NN. Patolog je rekao da podatke ispisuje na temelju informacija dobivenih od policije i mrtvozornika. Iz nadležne policije su nam rekli da se osoba sahranjuje po pravilima lokalne uprave. Groblje Siče pripada Općini Nova Kapela, čiji nam je načelnik Ivan Šmit nezadovoljno nabrojao sve troškove koje je njegova općina snosila za te ukope i poručio da ako će netko za to platiti, onda može promijeniti oznaku NN u imena.

      Na niz smo takvih administrativnih nejasnoća naišli istražujući kako nadležna tijela postupaju s tijelima onih koji su stradali pokušavajući ući u Europsku uniju, kao dio Border Graves Investigation koje je proveo tim od osam slobodnih novinara u zemljama na migrantskim rutama, zajedno s britanskim Guardianom i njemačkim Süddeutsche Zeitungom.

      Nema jedinstvene europske baze podataka o broju migranata koji su pokopani u Europi. No tim je uspio potvrditi najmanje 1.931 takav grob u Grčkoj, Italiji, Španjolskoj, Hrvatskoj, Malti, Poljskoj i Francuskoj u zadnjem desetljeću, dakle od 2014. do 2023. Od toga je 1.015 NN grobova. Više od polovice neidentificiranih grobova je, očekivano, u Grčkoj – 551, u Italiji 248 i u Španjolskoj 109. U Hrvatskoj smo utvrdili 59 grobova migranata koji su ukopani posljednjeg desetljeća, od čega ih 45 nije identificirano. Podaci su temeljeni na različitim bazama podataka koje u pojedinačnim zemljama prikupljaju međunarodne organizacije, nevladine udruge, znanstvenici i istraživači, kao i od lokalnih vlasti te terenskim radom.

      Tim novinara je posjetio 24 groblja u Grčkoj, Italiji, Španjolskoj, Hrvatskoj, Poljskoj i Litvi, gdje je ukupno 555 grobova neidentificiranih migranata od 2014. do 2023. To su oni čija su tijela pronađena i pokopana. Međunarodni odbor Crvenog križa procjenjuje da se 87 posto onih koji nestanu na europskim južnim granicama nikad ne pronađe. Za kopnene migrantske rute nema procjena.
      Traže li migrante kao što traže turiste?

      Prosinac 2022. kad su umrla trojica mladih Afganistanaca je bio kišniji nego inače i Sava je nabujala. No ionako je velika i brza. Na tom je području samo tri dana ranije nestalo petero turskih državljana nakon što im se na Savi prevrnuo čamac. Među njima su bili dvogodišnja curica, dvanaestogodišnji dečko i njihovi roditelji. Brat nestalog oca je došao iz Njemačke u Hrvatsku kako bi saznao što se dogodilo s obitelji. Iz dokumentacije koju posjedujemo, vidljivo je da je uz pomoć turkologinje Nine Rajković pokušavao od više policijskih postaja doći do informacija u vezi nestalih. Nije ih dobio ni mjesecima kasnije. Htjeli su prijaviti nestanak, no u policiji im je rečeno da prijavu nema smisla pisati ako osobe nisu prethodno registrirane na području Hrvatske ili Bosne i Hercegovine.

      Na niz smo sličnih primjera naišli baveći se ovom temom. Mladić je došao u Hrvatsku i prijavio policiji i u Hrvatskoj i u Sloveniji da mu se brat utopio u Kupi. No njegov nestanak nije evidentiran u hrvatskoj nacionalnoj bazi nestalih osoba koja je javno dostupna. Policija brata nije kontaktirala nakon što je u narednim danima u Kupi nađeno više neidentificiranih tijela. Afganistanac je šest mjeseci čekao da se tijelo njegova brata, koji se utopio kad su zajedno pokušali prijeći Savu također u prosincu 2022., prebaci iz Hrvatske u Bosnu i Hercegovinu da ga može pokopati. Iako je potvrdio da je riječ o njegovu bratu, proces identifikacije je bio spor i kompliciran.

      Naišli smo i na primjere obitelji koje nemaju nekoga u Europi tko može doputovati i uporno tragati za informacijama, već izdaleka pokušavaju ući u trag bližnjima koji se gube na području Hrvatske i na kraju su obeshrabreno odustali. Puno je pitanja i malo jasnih odgovora na temu nestalih i umrlih migranata na tzv. Balkanskoj ruti, čiji je Hrvatska dio. Ne postoje jasni protokoli i procedure oko toga kome i kako se prijavljuje nestanak. Ne zna se traži li se nestale migrante aktivno, kao što se ljeti traži nestale turiste. Nije jasno koliko je informacija, i kojih, potrebno za identifikaciju.
      Obitelji se nemaju kome javiti

      “Kruženje informacije između institucija i pojedinih odjela mi se čini gotovo nepostojeća. U jednom slučaju mi je trebalo više od dva mjeseca i deseci telefonskih poziva i mailova upućenih na različite adrese, policijske postaje, policijske uprave, bolnice, državno odvjetništvo, samo da potaknem pokretanje identifikacije koja do danas, više od godinu dana kasnije, još nije završena”, kaže Marijana Hameršak s Instituta za etnologiju i folkloristiku u Zagrebu. Ona vodi znanstveni projekt “Europski režim iregulariziranih migracija na periferiji EU” u kojem se prikuplja znanje i podaci o nestalim i umrlim migrantima. Na kraju sve ovisi o susretljivim i posvećenim pojedincima u institucijama, kaže Hamrešak, no oni ne mogu nositi cijeli teret disfunkcionalnog sustava.

      Potrage za nestalim i pokušaji identifikacije umrlih migranata u Hrvatskoj, kao i susjednoj Bosni i Hercegovini, najčešće počivaju na trudu volontera i aktivista, koji poput Marijane tragaju za informacijama u kaotičnoj administraciji jer je obiteljima koje ne poznaju jezik taj zadatak praktički nesavladiv. Tako je Facebook grupa Dead and Missing in the Balkans postala glavno mjesto razmjene fotografija i podataka o nestalima i umrlima između obitelji i aktivista. Ne postoj internetska stranica na engleskom nadležnog Ministarstva unutarnjih poslova na koju se mogu javiti iz Afganistana ili Sirije i raspitati se za sudbinu svojih bližnjih, ostaviti podatke o njima i prijaviti nestanak.

      https://www.youtube.com/watch?v=PldA9Pa3LJc&embeds_referring_euri=https%3A%2F%2Fwww.telegram.hr%2F&

      Nema ni regionalne baze podataka o nestalim i umrlim migrantima na kojoj bi surađivale policije makar iz zemalja među kojima se bilježi najviše prelazaka – iz Bosne i Hercegovine u Hrvatsku. Povjerenica Vijeća Europe za ljudska prava Dunja Mijatović je u razgovoru s našim timom naglasila da je iznimno važno uspostaviti centraliziranu europsku bazu podataka o nestalim i umrlim migrantima. Kad bi takva baza podataka objedinjavala ante-mortem (podaci o osobi koji se prikupljaju od rodbine i poznanika, poput fizičkih karakteristika i opisa odjeće koju je nosila posljednji put, koje je predmete imala uz sebe itd.) i post-mortem (kao DNK uzorak i fotografije) podatke o umrlima, uvelike bi se povećale šanse za identifikaciju.
      Poginuti ili ostvariti san

      “Obitelji imaju pravo znati istinu o tome što se dogodilo njihovim najbližima”, kaže Mijatović. No suradnja policija susjednih zemalja u održavanju vanjske granice EU nepropusnom je učinkovita. Ranije migranti nisu tako često pokušavali prijeći Savu. Znali su da je previše opasna. Dijele informacije jedni s drugima i ne upuštaju se u prelazak takve rijeke u dječjim čamcima na napuhavanje ili u zračnicama kotača. Ako nisu sasvim očajni.

      Hrvatska policija je push-backovima i upotrebom sile – na što već godinama upozoravaju Amnesty International i Human Rights Watch – otežala prelazak drugim, manje opasnim prijelazima duž zelene granice s Bosnom i Hercegovinom. Kako nam je rekao mladi Marokanac u Bosni i Hercegovini, koji je 11 puta pokušao preći u Hrvatsku ali ga je hrvatska policija svaki put vratila: “Imaš dva izbora: poginuti ili ostvariti san.” Koliko ih je poginulo na Balkanskoj ruti u pokušaju ostvarenja sna, teško je utvrditi. Najsveobuhvatniji podaci za zemlje bivše Jugoslavije su oni koje prikupljaju istraživači projekta “Europski režim iregulariziranih migracija na periferiji EU”, i broje 346 stradalih od 2014. do 2023. u Hrvatskoj, Bosni i Hercegovini, Srbiji, Sloveniji, Sjevernoj Makedoniji i na Kosovu.

      ERIM-ova baza pojedinačno navodi svakog stradalog i sadrži onoliko podataka koliko su istraživači mogli prikupiti iz raznih izvora – medija, svjedoka stradanja, od institucija, iz aktivističkih kanala. No brojka je zasigurno bitno veća. Nestanak nekih nije ni evidentiran. Tijela mnogih nikad nisu pronađena. Stara planina između Bugarske i Srbije težak je i nedostupan teren. Tu će na preminule naići samo oni koji su istom sudbinom nagnani na taj put i neće riskirati prijavu. Ako stradaju u minskim poljima zaostalim iza ratova u Hrvatskoj i Bosni i Hercegovini, od tijela im neće ostati mnogo. Najviše je pronađeno tijela utopljenih u rijekama, no nema procjena koliko utopljenih nije nikad pronađeno.
      U Hrvatskoj 45 neidentificiranih

      Hrvatsko Ministarstvo unutarnjih poslova nam je dostavilo podatke o stradalim migrantima od 2015., otkad vode evidenciju, do kraja studenog 2023.: ukupno 87 stradalih migranata na području Republike Hrvatske. Ni jedno službeno tijelo u Hrvatskoj, Bosni i Hercegovini i Srbiji ne vodi evidenciju o pokopanim migrantima na tom teritoriju. No za Hrvatsku smo uspjeli doći do podataka, zahvaljujući upitima poslanima na preko 500 adresa gradova, općina i komunalnih poduzeća koja upravljaju grobljima. Prema dobivenim podacima, u Hrvatskoj se na 32 groblja nalazi 59 grobova migranata, koji su ukopani posljednjeg desetljeća, dakle od 2014. do danas. Od toga ih 45 nije identificirano.

      Neki pokopani migranti su ekshumirani i vraćeni obiteljima u zemlju porijekla, premda je to za obitelji zahtjevan i iznimno skup proces. U MUP-u navode da se od 2001. DNK uzorci uzimaju od svih neidentificiranih tijela, a obradu provodi Centar za forenzična ispitivanja, istraživanja i vještačenja Ivan Vučetić. Tražili smo od MUP-a razgovor sa stručnjacima koji rade na identifikaciji migranata, ali nam nije udovoljeno.

      Među NN grobovima u Hrvatskoj je mrtvorođena beba iz Sirije pokopana 2015. u Slavonskom Brodu. Petogodišnja djevojčica koja se utopila u Dunavu i pokopana je 2021. u Dalju. Prošlo ljeto je mladić u brdovitom predjelu na dubrovačkom području umro od iscrpljenosti. Neke je udario vlak. Mnogi su umrli od pothlađenosti. Neki umru jer im nije na vrijeme pružena pomoć. Neki ne vjeruju da im išta više može pomoći pa se ubiju.
      Nerazriješeni gubitak

      Prema zakonu, sahranjuju se najbliže mjestu stradavanja tako da su uglavnom na malim grobljima poput onog u Sičama. Često su, baš kao tamo, njihovi grobovi izdvojeni od ostatka groblja. Ponegdje je, kao u Otoku, netko od mještanki mekog srca dao sebi u zadatak da brine o NN grobu. Negdje je, kao na groblju u Prilišću, NN drveni križ iz 2019. već istrunuo.

      Iza svakog tog NN groba ostaju bližnji koji se nose s teretom neznanja što se dogodilo. Psiholozi to zovu nerazriješenim gubitkom, jer toliko dugo koliko bližnji nemaju potvrdu da su njihovi voljeni mrtvi i ne znaju gdje su im tijela, ne mogu žalovati za njima. Ako nastave sa životom, osjećaju krivnju. I tako su zamrznuti u stanju između očaja i nade. Američka psihologinja dr. Pauline Boss autorica je termina i teorije o nerazriješenom gubitku. “Znati gdje je grob bližnje osobe je jako važno jer pomaže da se oprostite”, rekla je dr. Boss u razgovoru za naš tim.

      Postoji i praktična strana te zamrznutosti: ako osoba nije proglašena mrtvom, ne može se provesti nasljeđivanje, ne može se pristupiti bankovnom računu, ne može se dobiti obiteljska mirovina, partner ili partnerica se ne mogu ponovno vjenčati, komplicira se skrbništvo nad djecom. Mnoge obitelj i u Hrvatskoj i u Bosni i Hercegovini dobro poznaju nerazriješeni gubitak; ratovi u devedesetima ostavili su tisuće nestalih. Obje zemlje imaju posebne zakone o nestalima u tim ratovima i dobro razrađene mehanizme potrage, identifikacije, pohranjivanja podataka i međusobne suradnje. No to se ne primjenjuje na migrante koji se gube i pogibaju među tisućama koji se kreću Balkanskom rutom.
      Uređeni koridor – nula mrtvih

      Hrvatska je postala važna točka ulaska u Europsku uniju nakon što je Mađarska zatvorila granice u rujnu 2015. Od tada pa do ožujka 2016. preko hrvatske dionice Balkanskog koridora – dakle, međudržavnog, organiziranog puta – prema procjenama, prošlo je oko 660.000 izbjeglica. Taj koridor im je omogućio da od Grčke pa do zapadne Europe dođu u dva ili tri dana. I dolazili su sigurno. Od tih stotina tisuća ljudi u pokretu, hrvatski MUP ne bilježi niti jednu smrt 2015. i 2016. Koridor je i uspostavljen da bi se spriječila stradavanja nakon što je veći broj izbjeglica u proljeće 2015. poginuo na željezničkoj pruzi u Makedoniji.

      No sa sklapanjem europsko-turskog sporazuma o izbjeglicama u ožujku 2016. godine, koridor je zatvoren. EU se obavezala izdašno financirati Tursku da izbjeglice drži na svom teritoriju kako ne bi dolazili u Europsku uniju. I tako je migrantima ostala pogibeljna Balkanska ruta. Mnogi njom idu. Samo u deset mjeseci 2023. hrvatska je policija evidentirala 62.452 postupanja vezano za nezakonite prelaske granice.

      I Ured pučke pravobraniteljice u Hrvatskoj i povjerenica Vijeća Europe za ljudska prava upozoravaju na isto: granične i migracijske politike utječu na povećanje rizika od nestajanja migranata. I da je potrebno da se u EU uspostave legalni i sigurni putevi migracija. No, EU očekuje od Hrvatske da štiti zajedničku vanjsku granicu. I Hrvatska to zdušno radi. Takvu praksu ministar Davor Božinović naziva “obeshrabrivanjem” migranata da uđu u Hrvatsku.
      ‘Obeshrabreni’ pod vlak

      Rezultat takve prakse je, primjerice, smrt Madine Hussiny. Šestogodišnju afganistansku djevojčicu je ubio vlak nakon što je njenu obitelj hrvatska policija “obeshrabrila” i usred noći 2017. potjerala nazad u Srbiju uz uputu da prate tračnice. Europski sud za ljudska prava u studenom 2021. je presudio da je Hrvatska odgovorna za Madininu smrt. U svjedočanstvima koja smo čuli, kao i u mnogim izvještajima nevladinih organizacija, migranti opisuju da im je hrvatska policija na granici naredila da pregaze ili preplivaju rijeku kako bi se vratili u Bosnu ili Srbiju, da se penju preko stijena, idu kroz šumu, nekad i svučeni dogola i ne znajući put jer im policija u pravilu oduzme mobitele.

      Prema podacima koje prikuplja Dansko vijeće za izbjeglice, od početka 2020. do kraja 2022. najmanje je 30.000 ljudi prisilno vraćeno iz Hrvatske u Bosnu i Hercegovinu. Među njima je bio i Afganistanac Arat Semiullah. U studenom 2022. je namjeravao prijeći Savu i ući iz Bosne u Hrvatsku. Utopio se. Imao je 20 godina. Pokopan je na pravoslavnom groblju u Banja Luci. Njegova obitelj u Afganistanu nije znala što mu se dogodilo. Dan ranije je poslao mami fotografiju na kojoj je svježe ošišan za ulazak u Europsku uniju. I onda se prestao javljati.

      https://www.youtube.com/watch?v=_2nVP5AL1x0&embeds_referring_euri=https%3A%2F%2Fwww.telegram.hr%2F&

      Majka je molila nećaka Paymana Sediqija, koji živi u Njemačkoj, da ga pokuša pronaći. Payman je stupio u kontakt s aktivistom Nihadom Suljićem, koji u Bosni i Hercegovini samostalno pomaže obiteljima da doznaju što je s njihovim bližnjima. Tjednima su pokušavali doći do informacija. Payman je otputovao u Bosnu i uspio pronaći tijelo rođaka zahvaljujući susretljivosti policajke koja mu je pokazala forenzičke fotografije. Aratova mama je telefonski potvrdila da je to njezin sin.
      U Europi sahranili snove

      Na Aratovoj osmrtnici objavljenoj u Bosni i Hercegovini piše da je “hrvatska policija vatrenim oružjem potopila čamac te se on tragično utopio”. Uz pomoć muslimanske zajednice, a na želju obitelji, uspjeli su tijelo prebaciti iz Banja Luke na muslimansko groblje u Kamičanima. Htjeli su ga pokopati u Afganistanu, ali im je bilo previše skupo i birokratski komplicirano. U rujnu 2023. susreli smo se s Nihadom i Paymanom kad je Aratu postavljen velik kameni nadgrobni spomenik. Na njemu piše: “U pokušaju dolaska do Europe utopio se u rijeci Savi.”

      Payman nam je ispričao da je Arat prelazio Savu u skupini migranata. Dio njih je uspio doći do hrvatske obale, no onda je hrvatska policija pucala u gumeni čamac u kojem je bio Arat. Čamac se potopio i Arat se utopio. Tako je Paymanu ispričao preživjeli koji je prešao na hrvatsku obalu Save. Payman kaže da je Aratova obitelj u velikoj boli, ali da makar znaju gdje im je sin i da je pokopan po religijskim običajima. Paymanu je važno da na grobu piše da je Arat stradao kao migrant.

      “Svakodnevno u Europi umiru ljudi koji bježe iz zemalja u kojima im nema života. U Europi se sahranjuju njihovi snovi. Nikoga nije briga za njih, čak ni kad europski policajci pucaju na njih”, kaže Payman. Zna o kakvim snovima govori; i sam je ilegalno došao u Njemačku sa 16 godina. Kaže da je imao sreće. Nihad se zalaže da se i drugi grobovi migranata u Bosni i Hercegovini trajno obilježe. Vodi nas na groblje u Zvorniku gdje je pokopano 17 NN migranata. Kaže kako za neke od njih ima informaciju da su imali pasoš sa sobom kad su pronađeni.
      ‘Ove ljude nije ubila rijeka’

      S groblja se vidi Drina, koja dijeli Srbiju od Bosne i u kojoj mnogi izgube život pokušavajući je preći. Samo je ove godine u Drini pronađeno tridesetak tijela. Nihad kaže da imaju sreće ako ih rijeka izbaci na bosansku stranu jer se u Srbiji često ne radi ni obdukcija niti uzimaju DNK uzorci. To su nam potvrdili i aktivisti iz Srbije. U tom slučaju su i u smrti sasvim izgubljeni za svoje obitelji. Zemljani NN grobovi u Zvorniku su zarasli i nisu omeđeni, tako da ne znate gazite li po njima.

      Nihad je uspio uvjeriti Grad Zvornik da drvena obilježja zamijene crnim kamenom. Važno mu je da su pokopani dostojanstveno, ali mu je još važnije da ostanu svjedočiti. “Želja mi je da i za sto godina ovi grobovi budu spomenici srama EU. Jer, nije ove ljude ubila rijeka, nego granični režim EU”, kaže Nihad.

      https://www.youtube.com/watch?v=UJkS3qHfA54&embeds_referring_euri=https%3A%2F%2Fwww.telegram.hr%2F&

      https://www.telegram.hr/preview/1905158

    • An obscure island grave: fate of deadly EU migration route’s youngest victim

      Case of #Alhassane_Bangoura in #Lanzarote highlights Europe-wide failure as authorities struggle to cope with scale of deaths

      Stretching less than a metre in length and covered in the ochre-coloured soil that dots the Canary island of Lanzarote, large stones encircle the tiny mound. There is no tombstone or plaque; nothing official to signal that this is the final resting site of the infant believed to be the youngest victim of one of the world’s deadliest migration routes.

      Instead, two bouquets of plastic daisies adorn the grave, along with a granite bowl engraved with his name, Alhassane Bangoura, hinting at the impact his story had on many across the island.

      His mother, originally from Guinea, was among three pregnant women who joined 40 others in an inflatable raft that left Morocco in early January 2020. After running out of fuel, the flimsy raft was left to the mercy of Atlantic currents for three days.

      “They were driven by desperation,” said Mamadou Sy, a municipal councillor for the Socialist party in Lanzarote. “Nobody would get into one of these vessels if they had even a little bit of hope in their own country. Nobody would do it.”

      So far this year, a record 35,410 migrants and refugees have arrived on the shores of the Canary Islands – a 135% increase over last year. More than 11,000 of them landed at the tiny island of El Hierro, home to just 9,000 people.

      The surge in those risking the perilous route has transformed the archipelago into a microcosm of the wider strain playing out across the EU as authorities struggle to deal with the bodies of those that die on their way. A Guardian investigation in collaboration with a consortium of reporters has found that refugees and migrants are being buried in unmarked graves across the EU at a scale that is unprecedented outside of war.

      In September, the mayor of Mogán, a municipality on the island of Gran Canaria, gave voice to the tensions that have at times surfaced as officials across the EU confront this issue, announcing she would no longer use her budget to cover the cost of burying refugees and migrants who are found along the shores that buttress the municipality.

      “When they die on the high seas, it is the responsibility of the state,” Onalia Bueno told reporters, in rejection of a Spanish law that requires municipalities to foot the bills for people who die within their jurisdiction and who are either unidentified or whose families cannot cover the costs.

      At the Teguise municipal cemetery on the island of Lanzarote, more than 25 unmarked graves sit among a plot containing about 60 graves in total. It was here that baby Alhassane was buried. His mother had delivered him as the rickety vessel pitched against the fierce Atlantic swells; those onboard later told media they never heard the baby cry.

      His body was cold when the vessel was rescued, an emergency services spokesperson said. He was taken to the nearest hospital but was declared dead on arrival. His body was taken to judicial authorities as is the standard practice in Spain for migrants and refugees who perish at sea or on arrival.

      Alhassane’s mother, who was unconscious when she was rescued, was later sent to Gran Canaria, about 200km (125 miles) away, where an NGO had agreed to take her into its care. But the Spanish judicial system had yet to release her son’s body – a process that can take up to eight months in Lanzarote.

      The funeral took place on 25 January. “She wasn’t able to attend the funeral,” said Laetitia Marthe, who was among those who unsuccessfully battled for Alhassane’s mother to be allowed to attend. “Basically they’re treated like numbers.”

      Instead, Marthe was among the handful of people who attended the funeral in her name.

      Judicial officials had liaised with the mother to check the baby’s name, said Eugenio Robayna Díaz, the municipal councillor responsible for cemeteries in the city of Teguise. But he did not know why the name had not made it on to the grave.

      Julie Campagne, an anthropologist based in Lanzarote, called for the baby’s grave to be marked with a plaque. “We’re witnessing the process of forgetting in real time. And this loss of memory comes with a shirking of our responsibility for what is happening.”

      Generally speaking, all over the world, there is always a small fraction of people who die and are never identified, she added. “But that is not what is happening here. This is happening for specific reasons. This is happening because of the policy decisions of our governments.”

      While Alhassane’s mother was not able to attend the funeral, what did eventually make it to his gravesite was a smooth stone, painted by her in yellow and red and brought there by those travelling from Gran Canaria shortly after the burial. Written on the stone was a message for her son.

      More than three years of rain has washed away much of what was there but Marthe copied down the message, hoping to one day add it to a formal marker of the site. “I will miss you a lot my baby,” it reads. “I love you.”

      https://www.theguardian.com/world/2023/dec/08/an-obscure-island-grave-fate-of-deadly-eu-migration-routes-youngest-vic

      #Teguise

    • Dead refugees in the Balkans: bribes to find missing relatives

      In comparison to 2015, today more asylum seekers are dying on the Balkan route. While relatives are forced to overcome state indifference to identify their loved ones, they are also forced to bribe authorities, even border guards, in the hope of finding them.

      He had hoped to find his son in a refugee camp. And after spending three weeks looking for him, he had prepared himself for the possibility of finding him in a hospital.

      But he didn’t expect to find him in the graveyard.

      When the policeman with Bulgarian insignia on his uniform showed him the picture of his son lying lifeless in the grass, he lost the ground under his feet. “I wish I could at least have been able to see Majd one last time. My mind still can’t believe that the person in this grave is my son,” says Husam Adin Bibars.

      The 56-year-old Syrian refugee, a father of four other children, had spent 22 days searching for his son from afar when he decided to spend his meager savings to travel from Denmark to Bulgaria to look for him – but it was too late.

      In Bulgaria, he learned that 27-year-old Majd’s body had been buried within just four days of its discovery. Majd had been buried as an unidentified person; there was nothing to indicate that the person buried under that pile of dirt, which Bibars later visited, was his son.

      “We hear that Europe is the land of freedom, democracy, and human rights,” says Bibars soberly. “Where are human rights if I am not able to see my son before his burial?”

      Dead without identification

      Majd had crossed from Turkey to Bulgaria with a group of about 20 other people, hoping to reunite with his parents and siblings in Europe. Once he arrived, his pregnant wife and their daughter, Hannah, would follow.

      Toward the end of September, he stopped returning calls and texts. The smuggler told Bibars that Majd had fallen ill and they needed to leave him behind. Authorities told Bibars his son died of thirst, exhaustion, and exposure.

      In recent years, with the support of EU funds and the increased involvement of the European border agency Frontex, Balkan countries have stepped up border controls, constructing fences, deploying drones and surveillance mechanisms. But this doesn’t deter asylum seekers – it causes them to take longer and more dangerous routes to avoid authorities.

      An investigation by Solomon in collaboration with investigative newsroom Lighthouse Reports, the German magazine Der Spiegel and German public television ARD, the British newspaper i, and Radio Free Europe/Radio Liberty, found that the hostility people face at the borders of Europe in life continues even in death.

      We found that since the start of 2022, the lifeless bodies of 155 people presumed to be migrants have ended up in morgues close to borders along a route that includes Serbia, Bulgaria, and Bosnia.

      According to the data, for 2023 there is already a 46% increase in deaths compared to the whole of 2022.

      In the Balkans, people making the journey have to cope with harsh weather conditions, but also with pushbacks, increased brutality by border guards and smugglers, theft by border forces – even detention in secret prisons.

      For their part, the families of those who go missing or die in the region have to search for their loved ones in morgues, hospitals, and special Facebook and WhatsApp groups, and to cope with an equally arduous effort facing the indifference of the authorities.

      In Bulgaria, this investigation reveals, they often also need to pay bribes in the hope of learning more about their missing loved ones.
      The 10 key findings of the investigation:

      - In 2022, the number of people travelling irregularly through the Balkans to Western Europe reached its highest point since 2015, with Frontex recording 144,118 irregular border crossings.

      – The corresponding figure for 2023 is lower (79,609 by September), but remains a multiple of 2019 (15,127) and 2018 (5,844).

      – The Balkan route is more dangerous than ever: in the absence of a centralised relevant registration system, the International Organization for Migration’s (IOM) Missing Migrants platform suggests that more people died or went missing in 2022 than in 2015.

      - According to data gathered for this investigation, at least 155 unidentified bodies ended up in six selected morgues along a section of the Balkan route that includes Bulgaria, Serbia, and Bosnia. The majority of the bodies (92) were found this year.

      - For 2023, the number is already showing a 46% increase compared to 2022, and is exploding in some morgues.

      – Some morgues in Bulgaria (Burgas, Yambol) are having difficulty finding space for the bodies of refugees. Others in Serbia (Loznina) have no space at all.

      - This contributes to unidentified bodies being buried within days, in ‘No Name’ graves. This means that families are left without the opportunity to search for their loved ones.

      - In Bulgaria, families told us that they had to bribe staff at hospitals and morgues, but border guards too, when searching for their loved ones. Sources in the field confirm the practice, which is also recorded in an audio file in our possession.

      – In Bosnia, at least 28 people presumed to be asylum seekers have already died in the Drina River this year, compared to just five in 2022 and three in 2021.

      - Bureaucracy and lack of state interest are recorded as hampering efforts to identify dead asylum seekers.

      Dead but cause of death unknown

      What do you do when your little brother is missing, and because of your status in the country you live in, you can’t travel to look for him?

      Asmatullah Sediqi, a 29-year-old asylum seeker, was in his asylum accommodation in Warrington, UK, when his brother’s travel companions informed him that 22-year-old Rahmatullah was likely dead.

      Due to his status as an asylum seeker, the UK Home Office did not allow Asmatullah to return to Bulgaria, which he had also crossed on his journey, to look for his brother.

      When a friend was able to go on his behalf, the Bulgarian police refused to give any information. And the morgue staff asked for 300 euros to let him see some bodies, Sediqi said in this investigation.

      “In such a situation, a person should help a person,” he added. “They only know money. They are not interested in human life.”

      He managed to borrow the amount they asked for. In July 2022, 55 days after his brother’s disappearance, the Burgas hospital confirmed that one of the bodies in the morgue belonged to Rahmatullah. With another 3,000 euros borrowed, a company repatriated the remains to their parents in Afghanistan.

      But to this day, Sediqi is consumed by one thought: he doesn’t know how, he hasn’t been told why, his brother died.

      The Bulgarian authorities have not given him the results of the autopsy “because I don’t have a visa to travel there,” he says. “I’m sure that when the police found him in the forest, they must have taken some photos. It’s very painful not knowing what happened to my brother. It’s devastating.”
      “Not a single complaint”

      As part of this investigation by Solomon, Lighthouse Reports, RFE/RL, inews, ARD και Der Spiegel, several relatives told us they had also been forced to bribe workers at the Burgas hospital’s morgue to find out if their family members were among the dead.

      When we asked the hospital administration whether they were aware of such practices, Galina Mileva, head of the forensic medicine department at Burgas hospital, said that they had not received “a single report or complaint about such a case. The identification of the bodies is done only in the presence of a police officer conducting the investigation and a forensic expert.”

      The administration also replied that there is no legal provision under which employees could claim money from relatives for this procedure.

      “We appeal to these complaints to be addressed through official channels to us and to the investigating authorities. If such practices are found to exist, the workers will be held accountable,” they added.
      “Money is requested at every step of the process”

      Another relative, whose family also travelled to Bulgaria in late 2022 to search for a family member, told us that after they paid staff at the morgue 300 euros to be allowed to look at the dead bodies, they also had to pay border guards.

      It was the only way they could be taken seriously, the relative explained.

      When they asked the border guards to show them photos of people who had been found dead, the border guards said they didn’t have time, but when the family agreed to pay 20 euros for each photo shown to them, time was found.

      Georgi Voynov, a lawyer for the Bulgarian Committee Helsinki Refugee and Migrant Programme, confirmed that families of deceased persons have approached the Committee about cases in which hospitals asked for large sums of money to confirm that the bodies of their loved ones were there.

      “They complain that they are being asked for money at every step of the process,” he said.

      International organisations, including the Bulgarian Red Cross, confirmed that they had such experiences from persons they had supported, who said they had been forced to pay money to hospitals and morgues.

      A Bulgarian Red Cross official, who spoke on condition of anonymity, commented:

      “We understand that these people are very overwhelmed and have to be paid extra for all the extra work they do. But this should be done in a legal way.”

      https://wearesolomon.com/mag/focus-area/migration/dead-refugees-in-the-balkans

      #Bulgarie #Drina #Galina_Mileva

  • Aumento di arrivi alle Canarie. Dall’inizio dell’anno più di 1.000 le persone disperse

    La principale causa è la repressione delle proteste in Senegal.

    A partire dallo scorso maggio 2023 il collettivo spagnolo Caminando Fronteras ha registrato un nuovo importante aumento di sbarchi alle isole Canarie dovuto principalmente alla situazione politica in Senegal, da dove partono la maggior parte delle imbarcazioni. Come sempre accade, proporzionalmente all’aumento di approdi, aumenta anche il numero di morti e dispersi. La risposta del governo spagnolo è la promessa di maggiore controllo sulle coste africane di partenza, mentre le strutture di “accoglienza” sono al collasso e non forniscono le condizioni minime di igiene e abitabilità.

    Secondo le ricerche di Caminando Fronteras le persone scomparse sono già più di mille dall’inizio dell’anno. Solo nel mese di giugno sono scomparse 3 imbarcazioni con oltre 300 persone a bordo. La maggior parte delle imbarcazioni che stanno raggiungendo le Canarie in questi mesi partono dal Senegal, a causa di una situazione politica sempre più tesa, che vive ora una fase particolarmente acuta.

    Migliaia di persone stanno protestando per la stretta autoritaria messa in atto dall’attuale presidente Macky Sall in vista delle prossime elezioni presidenziali che si terranno a febbraio 2024. Dalla fine di maggio in particolare, la situazione è peggiorata notevolmente e diverse organizzazioni senegalesi per la protezione dei diritti umani hanno denunciato arresti di massa che stanno colpendo anche un gran numero di adolescenti.

    La repressione è molto dura, attualmente si contano circa due mila arresti e 16 persone uccise durante le proteste. Tra le persone detenute si contano anche numerosi minori, motivo per cui negli ultimi due mesi, il numero di bambini e adolescenti che viaggiano sui cayucos è aumentato, rappresentando in alcuni casi fino al 40% delle persone che scelgono di partire a bordo di queste tradizionali imbarcazioni da pesca. Anche donne e intere famiglie stanno iniziando a imbarcarsi in misura sempre maggiore.

    Le autorità spagnole concentrano la loro azione sugli arrivi, ma non sulla pericolosa rotta che divide il Senegal dalle Canarie, attualmente quella che provoca più morti. Il viaggio da Kafountine, in Senegal, al Hierro, l’isola delle Canarie più vicina, può durare anche due settimane. Si tratta di un viaggio molto lungo, in cui le persone sono esposte alle forti correnti dell’oceano, alle condizioni meteorologiche avverse e alla possibilità di imprevisti o guasti al motore. Per queste ragioni la rotta verso le Canarie continua ad affermarsi come una delle più pericolose e con il più alto tasso di mortalità.

    L’azione statale rispetto al soccorso e alla ricerca dei dispersi presenta grosse falle, dal momento che non esiste nessun protocollo per la ricerca dei dispersi in mare e che le operazioni di salvataggio risultano attraversate e ostacolate dalle politiche razziste implementate dal governo spagnolo. Dal 2018 esiste infatti un protocollo specifico per il salvataggio delle persone che naufragano a bordo delle pateras, diverso dal protocollo di salvataggio per il resto delle persone che si trovano a rischio in mare.

    Questo protocollo è fortemente deficitario in termini di mezzi e di azione, ciò obbliga gli operatori e le operatrici di Salvamento marítimo a una differenziazione di tipo razzista nelle operazioni di salvataggio. Molte morti si sarebbero potute evitare, per esempio, se si fossero attivati i mezzi di soccorso nel momento dell’avvistamento delle imbarcazioni invece di aspettare che queste naufragassero. Queste gravi mancanze nel soccorso e nella ricerca dei dispersi non sono un caso, bensì una precisa strategia per tentare di invisibilizzare questa situazione nel discorso pubblico e il governo la mette in atto impunemente, sulla pelle di migliaia di persone che potevano invece essere salvate, la cui vita viene considerata niente più che una moneta di scambio per le proprie esigenze politiche.

    Anche una volta arrivate le persone continuano a essere oggetto di razzismo e maltrattamento istituzionale. A El Hierro, dove sta arrivando la maggior parte di persone in questi mesi, i mezzi per gestire l’accoglienza sono scarsi. Le persone vengono trattenute sulle darsene dei porti, in spazi sovraffollati e in cui le condizioni di vita sono ridotte al minimo. Anche i lavoratori e le lavoratrici delle ONG hanno denunciato la difficile situazione, soprattutto durante le ondate di caldo, in cui le persone sono state costrette a permanere diversi giorni sedute sul cemento in attesa di essere identificate e trasferite in altre isole.

    A tutta questa situazione il governo risponde attraverso la solita retorica del bisogno di un maggiore controllo migratorio. Le misure promesse dal ministro dell’interno Marlaska, riconfermato dopo le ultime elezioni, comprenderebbero anche un aereo della Guardia Civil che sorvoli costantemente le coste africane per identificare le partenze. Questo controllo non sarebbe funzionale ad attività di soccorso, come dimostrano i numerosi casi di omissione di soccorso da parte delle autorità spagnole denunciati da Caminando Fronteras, di cui uno documentato il 20 giugno scorso dall’emittente radio CadenaSER 1.

    Una volta in più assistiamo a come le politiche di controllo, non potendo fermare le migrazioni, siano solamente un dispositivo funzionale alla criminalizzazione e al confinamento delle persone migranti, e di come si rivelino uno strumento di violenza che provoca ogni anno la morte di migliaia di persone che potevano invece essere salvate. I tentativi di insabbiamento di queste morti da parte del governo spagnolo dimostrano la disumanità con cui vengono gestite le frontiere e l’opportunismo politico con cui i governi europei rigirano a proprio favore queste tragedie, di cui sono i responsabili, per mettere in campo nuovi strumenti per la persecuzione delle persone migranti.

    1. Está dentro de la zona SAR nuestra”: la SER accede a las grabaciones de Salvamento Marítimo del último naufragio en la ruta canaria, Cadenaser (22 giugno 2022): https://cadenaser.com/nacional/2023/06/22/esta-dentro-de-la-zona-sar-nuestra-la-ser-accede-a-las-grabaciones-de-sal

    https://www.meltingpot.org/2023/11/aumento-di-arrivi-alle-canarie-dallinizio-dellanno-sono-gia-piu-di-1-000

    J’avais loupé ce protocole raciste:

    Dal 2018 esiste infatti un protocollo specifico per il salvataggio delle persone che naufragano a bordo delle pateras, diverso dal protocollo di salvataggio per il resto delle persone che si trovano a rischio in mare.

    Questo protocollo è fortemente deficitario in termini di mezzi e di azione, ciò obbliga gli operatori e le operatrici di Salvamento marítimo a una differenziazione di tipo razzista nelle operazioni di salvataggio.

    –-> deepl translation:

    « En effet, depuis 2018, il existe un protocole spécifique pour le sauvetage des naufragés à bord des pateras, qui diffère du protocole de sauvetage du reste des personnes en danger en mer.

    Ce protocole est gravement déficient en termes de moyens et d’action, ce qui oblige les opérateurs du Salvamento marítimo à une #différenciation_raciale dans les opérations de sauvetage. »

    #route_atlantique #asile #migrations #réfugiés #Canaries #îles_Canaries #statistiques #chiffres #Sénégal #répression #Caminando_Fronteras #Macky_Sall #cayucos #Kafountine #Hierro #mourir_en_mer #frontières #morts #décès #mortalité #secours #pateras #Salvamento_marítimo #racisme #sauvetage_différencié #contrôles_frontaliers

  • Spain sends drones, personnel to Senegal to stop boats departing for Canary Islands

    Spain has delivered surveillance drones to Senegal, a main country of origin of migrants arriving on Spain’s Canary Islands. The number of people reaching the archipelago from West Africa is nearing a record-high.

    Six new Spanish multicopter drones have arrived in Senegal, news agency Reuters reported Monday (October 30), citing a statement by Spain’s acting Interior Minister Fernando Grande-Marlaska.

    Grande-Marlaska said the Spanish government also plans to send more security personnel to the western African nation to help prevent departures of migrants to Spain’s Canary Islands, located some 1,300 kilometers north of Senegal.

    Grande-Marlaska is visiting Senegal at a time when the number of migrants from West Africa, especially Senegal, reaching the Canary Islands is approaching an all-time high: More than 27,000 migrants have arrived on the island group irregularly this year through October 23, IOM data show. According to official Spanish government figures, the number of arrivals through October 15 was somewhat lower, at around 23,500.

    “We must stop unscrupulous actions that put the lives of thousands of vulnerable people at risk,” Grande-Marlaska said during a joint press conference with his Senegalese counterpart, Sidiki Kaba.

    So-called multicopters, or multirotors, have up to eight rotors and are frequently used in unmanned aerial vehicles (UAV), commonly referred to as drones.
    Detection followed by interception

    Grande-Marlaska said the drones delivered to the Senegalese police are designed to detect departing migrant boats so that they can be intercepted.

    He added that Spain has also deployed a civil guard aircraft to help patrol the coasts of Senegal and neighboring Mauritania. In addition, 38 personnel equipped with four boats, a helicopter and 13 all-terrain vehicles are to carry out joint patrol missions with Senegalese forces, Grande-Marlaska said.

    While both ministers stressed they would increase efforts to curb irregular migration and avoid more deaths at sea, they did not announce any measures beyond the drones and the personnel.

    Grande-Marlaska’s visit follows the announcement of plans to send Senegalese migrants on direct flights from the Canary Islands back to the capital Dakar. The measure is to target those who have arrived in the Canaries in the last three months and are considered by the authorities not to have valid grounds to claim asylum.

    Senegal as main departure point

    Atlantic crossings began rising in late 2019 after increased patrols along Europe’s southern coast dramatically reduced Mediterranean crossings. In 2020, the IOM registered just over 23,000 migrant arrivals in the Canary Islands. In 2021 it fell slightly to 22,000 and last year, there were around 15,000.

    The largest number of arrivals was recorded in 2006, when more than 32,000 migrants reached the islands.

    While the main countries of departure were Morocco and Western Sahara, which are around 100 kilometers (60 miles) from the Canaries, most of the boats now depart from Senegal.

    On a visit to the Canary Islands earlier this month, Marlaska said the recent increase in migrant arrivals was directly linked to the political “destabilization of the Sahel.”

    The region has seen several military coups in past few years, with Burkina Faso, Chad, Guinea, Gabon, Mali, Niger and Sudan now all ruled by military juntas.

    The journey across the stretch of the Atlantic Ocean remains highly dangerous. According to the UN migration agency IOM, 153 people are known to have died or gone missing so far this year trying to reach the Canary Islands by boat. The charity Walking Borders (Caminando Fronteras) estimates the figure to be at least 1,000.

    On Monday (October 30), the bodies of two people were discovered on a boat with 200 migrants on board near the island of Tenerife. The boat, which Spain’s Marine Rescue Service said was carrying 34 children and teenagers, was the third to arrive on the island on Monday.

    https://www.infomigrants.net/en/post/52920/spain-sends-drones-personnel-to-senegal-to-stop-boats-departing-for-ca

    #Espagne #externalisation #drônes #militarisation_des_frontières #frontières #migrations #réfugiés #Sénégal #îles_Canaries #Afrique_de_l'Ouest #hélicoptères #navires #Mauritanie #renvois #expulsions #route_atlantique

  • Les départs du #Sénégal vers les #Canaries : une société en proie au #désespoir économique, à la #répression politique et à l’ingérence européenne

    La #route_Atlantique fait encore la une, avec une forte augmentation des passages dans les dernières semaines : à peu près 4000 personnes sont arrivées aux Canaries en septembre et plus 6 000 dans les deux premières semaines d’octobre. Mais le phénomène sous-jacent se dessine déjà depuis juin : la plupart des embarcations sur la route Atlantique font leur départ au Sénégal. Ainsi cet été 2023 les deux tiers des voyages se sont faits dans des #pirogues venant du Sénégal, et un tiers seulement en provenance du Maroc et du Sahara Occidental.

    „Ces derniers temps nous revivons une situation des départs du Sénégal qui nous rappelle le phénomène “#Barça_ou_Barsakh” en 2006 – 2008 et en 2020/2021. Ce slogan “Barça ou Barsakh” qui signifie „soit on arrive à Barcelone, soit on meurt“ est le reflet du plus grand désespoir“ explique Saliou Diouf de Boza Fii, une organisation sénégalaise qui lutte pour la liberté de circulation.

    La population sénégalaise et surtout la #jeunesse fait face à un dilemme impossible : rester et mourir à petit feu dans la galère, ou partir dans l’espoir d’avoir des probabilités de vivre dignement en Europe. À la profonde #crise_économique (effondrement des moyens de subsistance en raison de la #surpêche des eaux sénégalaises et des conséquences du #changement_climatique) s’ajoute l’#injustice de la politique européenne des #visas qui sont quasi impossibles à obtenir. La crise politique au Sénégal rend la situation catastrophique : de nombreux-euses manifestant-es sont abusé-es et arbitrairements emprisonné-es, il y a même des morts. Cela pousse les jeunes à quitter le pays, en empruntant les moyens les plus risqués.

    Nous exprimons notre colère face à cette situation est nous sommes en deuil pour les centaines de personnes mortes en mer cet été.

    Pourtant, les autorités sénégalaises ne se mobilisient pas en soutien à la popluation mais reproduisent à l’identique le discours européen contre la migration qui vise à criminaliser et réprimer la #liberté_de_circulation. Le gouvernment sénégalais a créé une entité dénommée #CILEC (#Comité_interministériel_de_lutte_contre_l’émigration_clandestine). Ce dernier est constitué en grande partie de personnes gradées de l’armée Sénégalaise. Le 27 juillet, le gouvernment a adopté le plan d’action #SNLMI (#Stratégie_nationale_de_lutte_contre_la_migration_irrégulière_au_Sénégal) qui consiste à traquer des soit-disant 3passeurs que l’on traite de #trafiquants_d’êtres_humains. Le 4 août 2023 des répresentants de l’Union Européene et du gouvernement du Sénégal ont inauguré un grand bâtiment pour abriter la DPAF (Division de la police de l’air et des frontières). Toutes ces mesures sont prises en pleine #crise_politique dans le pays : une honte et un manque de respect envers la population.

    Ces derniers mois, il y a une série d’actes de répression qui montre comment le gouvernment sénégalais cherche à intimider la population entière, et surtout la population migrante. Les autorités utilisent l’armée,la gendarmerie et la police pour étouffer toute situation qui pourrait amener des polémiques dans le pays, ce qui est illustré par la liste suivante :

    - Le 10 juillet, 101 personnes ont prit départ de Fass Boye, à Thies. Plus d’un mois après, 38 survivants ont ête retrouvé à 275km du Cap-Vert, seuls 7 corps ont été retrouvés. Quand le gouvernement sénégalais a décidé de rapatrier seulements les survivants et de laisser les morts au Cap-Vert, les populations de Fass Boye ont manifesté contre cette décision. Après les manifestations, la gendarmerie est revenue à 3h du matin pour rentrer dans les maisons pour attraper des manifestant-es, les frapper, puis les amener au poste de police.
    – Dans la nuit du 9 au 10 août sur la plage de Diokoul Kaw dans la commune Rufisque à Dakar, une centaine de jeunes Sénégalais se préparaient pour un départ vers les îles Canaries. Le groupe attendait la pirogue au bord de la mer, à environ 2h du matin. La police sénégalaise a repéré le groupe et après des tirs en l’air pour disperser la foule, un agent de la gendarmerie a ouvert le feu sur la foule qui remontait vers les maisons. Malheureusementune balle a atteint par derrière un jeune garçon qui est finalement mort sur le coup. Jusqu’à présent, ce dossier est sans suite.
    – Un groupe de 184 personnes a quitté le Sénégal le 20 août et a été intercepté par la Guardia Civil espagnole dans les eaux mauritaniennes, qui a ensuite effectué un refoulement. Le groupe a été mis dans les mains de la marine sénégalaise le 30 août et a subi de nombreuses maltraitances de la part des agents espagnols et sénégalais. En plus, 8 personnes sont sous enquête de la Division nationale de lutte contre le trafic (DNLT) et on les poursuit pour association de malfaiteurs, complicité de trafic de migrants par la voie maritime et mise en danger de la vie d’autrui.
    - Le 18 septembre à Cayar dans la région de Thiès, un groupe de personnes qui embarquait pour partir aux Canaries a été interpellé par la gendarmerie lors du départ. Mais l’arrestation a fini par des affrontements entre les gendarmes et la population. Comme d’habitude, les gendarmes sont arrivés encore plus tard dans la nuit pour rentrer dans les maisons pour attraper, frapper et puis encore amener les gens au poste de police.

    Ces exemples démontrent que la stratégie du gouvernment est de semer la peur avec la #violence pour intimider et dissuader la popluation de partir. Nous dénonçons cette politique que nous jugeons injuste, violante, barbare et autoritaire.

    Dans l’indignation devant la médiocrité de nos gouvernants, nous continuons à voir nos frères et sœurs mourir sur les routes migratoires. Aujourd’hui les départs du Sénégal font l’actualité des médias internationaux, mais les problèmes datent depuis des décennies, voir des siècles et prennent racine dans l’#exploitation_capitaliste des nos resources, la politique néo-coloniale et meurtrière de l’Union Européenne et l’incompétence de nos gouvernments.

    https://alarmphone.org/fr/2023/10/20/les-departs-du-senegal-vers-les-canaries

    #émigration #facteurs-push #push-factors #migrations #asile #réfugiés #intimidation #dissuasion #mourir_aux_frontières #décès #morts_aux_frontières #capitalisme

    ping @_kg_ @karine4

  • La #marchandisation des #frontières - Comment la #militarisation de l’UE alimente les réseaux de trafic entre l’#Afrique_du_Nord et l’#Espagne

    Ces dernières années ont été marquées par de très nombreuses traversées du nord du Maroc vers le sud et vers le Sahara occidental. De manière concomitante, les personnes impliquées dans les trafics illégaux ont également étendu leurs réseaux vers le sud. Cependant, ce changement n’est pas seulement d’ordre géographique mais aussi, et de manière substantielle, de nature. Jusqu’en 2019, où la militarisation des frontières du nord a atteint un pic, les traversées était organisées de manière relativement décentralisée ou collective : un groupe d’ami·es se rassemblait pour acheter un canot pneumatique pour traverser le détroit de Gibraltar, ou bien des groupes plus importants organisaient le passage des barrières de Ceuta et Melilla. L’hyper sécurisation des frontières du nord, orchestrée par l’Union européenne, a privé les voyageur·ses de ces modes d’organisation horizontaux. Désormais, ils doivent compter sur des réseaux de trafic de plus en plus centralisés. Ainsi, cette militarisation a non seulement favorisé des organisations qui sont plus verticales, mais elle a aussi diminué le nombre d’itinéraires possibles pour les voyageur·ses. Cela débouche sur une demande accrue vers une offre réduite d’itinéraires, et, en conséquence le marché est inondé de services de maigre qualité : des voyages avec un mauvais équipement ou dans des conditions météo dangereuses. Ce qui augmente le taux de décès. Ce phénomène est illustré, entre autres, par la prévalence actuelle des canots pneumatiques sur la route de l’Atlantique. Les membres d’Alarm Phone Maroc signalent également la hausse du prix d’un voyage, qui est passée d’environ 200 à plusieurs milliers d’euros, voire jusqu’à 5000 euros. Le fait que des personnes soient prêtes à payer ces sommes est révélateur autant de leur désespoir que de l’absurdité du discours de l’Union européenne : qui choisirait de payer 2000 euros s’iel pouvait avoir un visa pour 200 euros, soit un dixième ? Ces personnes ne « choisissent » pas de payer des passeurs – iels n’ont pas d’autre solution.

    Une autre représentation erronée est celle selon laquelle le cœur du problème serait les « passeurs ». Comme le montre cette analyse sur plusieurs régions, ce type de trafic des frontières ne serait pas possible sans une corruption d’état bien enracinée. Il faut donner de l’argent à des auxiliaires de police marocains qui patrouillent le long de la côte. Pour certaines traversées (notamment, les dénommés « Voyages VIP »), des personnes de la Marine marocaine sont payées pour ne pas faire d’interception. Des fonctionnaires espagnols, également, ont la réputation de recevoir de l’argent en sous-main, en particulier aux frontières des enclaves de Ceuta et Mellila – secteur où le trafic a quasiment disparu ces deux dernières années car le Covid-19 a provoqué la fermeture des frontières terrestres. Les réseaux du trafic s’étendent de chaque côté des frontières. Ils impliquent la population locale, des entreprises et les autorités sur les deux rives de la Méditerranée. Et n’oublions pas que le principal bénéficiaire du trafic aux frontières a toujours été et sera toujours l’économie europénne. Sans la main-d’œuvre bon marché des exilé·es, qui cultiverait les champs au sud de l’Europe, qui nettoierait les toilettes, qui garnirait les rayons des entrepôts ?

    Aussi, à Alarm Phone, nous faisons une analyse plus nuancée des « passeurs » et de leur rôle. Au fil des ans, nous avons rencontré des personnes très différentes impliquées dans le trafic aux frontières : celles qui gagnent de l’argent en organisant des voyages en bateau parce qu’elles n’ont pas d’autre source de revenus stables, celles qui organisent même gratuitement des voyages par bateau pour des personnes vulnérables (par exemple des femmes et des enfants), mais aussi celles qui exploitent avec brutalité les besoins d’autrui pour s’enrichir. Voici pourquoi nous utilisons des termes plus nuancés que celui de « passeurs ». Dans les communautés des voyageur·ses, les organisateurs sont appelés « Chairman ». En effet, il s’agit souvent de personnes qui, outre leur rôle d’organisateurs, jouissent d’une forte reconnaissance au sein de leur communauté, et gèrent une sorte d’agence de voyage. Ce sont bien des trafiquants, et nous n’hésiterions pas à les nommer ainsi et à dénoncer des pratiques d’exploitation si nous les rencontrions. Mais il y a toujours eu des agents de voyage qui font de leur mieux pour offrir un service indispensable. C’est pourquoi nous utilisons dans ce rapport les trois désignations (trafiquant, agent de voyage, Chairman), selon le contexte.

    Le rapport qui suit met en évidence le fonctionnement du trafic des frontières dans différentes régions en Méditerranée occidentale et sur la route Atlantique. Nous espérons qu’il montrera comment le vrai problème du commerce des frontières ne réside pas dans les trafiquants individuels et les agents de voyage. Si le commerce des frontières est florissant, c’est lié à deux facteurs étroitement associés, a) des politiques frontalières racistes de l’Union européenne, qui ne permet pas d’itinéraire légal, militarise les frontières et pousse les migrant·es à avoir recours à des réseaux centralisés et souvent basés sur l’exploitation, b) les structures capitalistes qui permettent aux fonctionnaires d’état et aux populations locales de s’enrichir et aux économies européennes de prospérer.
    2 Nouvelles des régions
    2.1 La Route de l’Atlantique
    Le commerce des frontières entre le Sahara occidental, le Maroc et les Îles Canaries.

    Au cours des dernières années, le commerce sur la Route de l’Atlantique a explosé. C’est une conséquence directe de la fermeture des itinéraires plus au nord. Les trafiquants et les agents de voyage qui auparavant travaillaient dans le nord se sont désormais installés dans le Sahara occidental : « Aujourd’hui, il y a beaucoup plus de “Chairmans” qu’en 2019. En raison des gros changements à Tanger et Nador, les Chairmans qui y travaillaient sont maintenant ici [au Sahara occidental] et des intermédiaires sont eux aussi devenus des Chairmans, explique A. d’Alarm Phone Maroc.

    Ces trafiquants et ces agents de voyage ont également déplacé leurs réseaux de recrutement. De nombreux passagers qui quittent le Sahara occidental ou le sud du Maroc n’y vivent pas, en fait : iels sont dans des camps et des quartiers habités par des migrant·es, à Tanger, Casablanca, Nador, etc. et ne se déplacent vers le sud que quelques jours avant leur départ. Le recrutement pour les passages se fait de bouche à oreille. En général, ce sont des Sub-saharien·nes fraîchement arrivé·es en avion de leur pays d’origine, des personnes vivant dans les villes mentionnées ci-dessus, ou bien des voyageur·ses marocains, surtout ceux et celles des régions les plus pauvres. Les trafiquants et les agents de voyage,quant à eux, ne vivent pas non plus près des lieux de départ, mais résident ailleurs.

    Le pic énorme de la demande, depuis 2020, a provoqué une forte hausse des bénéfices des trafiquants. Lors d’un entretien exceptionellement accordé au journal La Vanguardia, un agent de voyage marocain nous a dit qu’il gagnait € 70 000 en deux mois seulement. L’augmentation de la demande, cependant, a également pour conséquence la vente par des opérateurs douteux de services d’une qualité encore inférieure à ceux qui sont sur le marché, et qui sont déjà peu adéquats et dangereux. Comme l’explique B., militant d’Alarm Phone, « en même temps, les passagers sont plus souvent plumés par des organisations malhonnêtes, et ces voyages mal préparés provoque de nombreux décès et la disparition de bateaux ».

    Selon un agent de voyage, il faut verser environ €20 000 par voyage pour le carburant et l’équipement, alors que celui-ci doit être fourni par les agents de voyage (bateau en bois, coque en fibre ou en aluminium, dispositif de navigation, etc.). Il faut souvent y ajouter €10 000 pour la corruption de fonctionnaires. A., militant de Laayoune, explique comment les trafiquants collaborent avec des autorités de l’état susceptibles d’être corrompues :

    « Les bateaux qui partent d’ici, Laayoune ou Tarfaya, vous devez payer les garde-côtes, la police militaire. Si vous ne le faites pas, vous ne pouvez pas trouver un lieu de départ, puisqu’il y a un poste de contrôle tous les deux kilomètres. Les Marocains qui travaillent avec les trafiquants [sub-sahariens] vont s’arranger pour que les policiers soient payés et donc ne regardent pas quand des migrants embarquent ».

    Ceux et celles qui peuvent payer plus, pour ce qu’on appelle un voyage VIP (en général entre € 3000 et € 5000), peuvent embarquer pour une traversée grâce à des « cadeaux » plus importants, et éviter ainsi d’être interceptés non seulement près des côtes mais aussi plus loin en mer. Le voyageur ou la voyageuse ordinaire paye habituellement entre € 2000 et € 2500 pour une place sur un bateau. S’iel veut acheter plusieurs essais en un seul paiement (la version dite « garantie », le prix est plus élevé, € 3000 ou plus.

    En outre, le réseau de corruption entre les trafiquants bien rémunérés et des fonctionnaires est dense, et s’étend bien au-delà des départs de bateau. Quand des trafiquants sont arrêtés, ils encourent en général une peine entre 5 et 20 ans de prison. Mais la règle est différente pour les riches. Les trafiquants peuvent verser un gros “cadeau” et quitter la prison après quelques mois seulement. Cela signifie que les agents de voyage qui purgent vraiment leur peine de prison ne sont le plus souvent que du menu fretin. Il est intéressant de noter ce que l’agent de voyage de Dakhla interviewé par La Vanguardia en dit :

    « Pour la police et pour nous, les « trafiquants », la migration est intéressante. Nous gagnons de l’argent ensemble. Tous les deux ou trois mois, ils arrêtent un trafiquant pour montrer qu’ils font leur travail, mais je n’ai pas peur, j’ai de bons contacts ».

    Bien sûr, ces réseaux ne se limitent pas à la police (militaire) et aux trafiquants. Récemment un salarié de Caritas Meknès a été accusé d’avoir participé au trafic et d’avoir reçu sur son compte en banque personnel de substantielles sommes d’argent au cours des dernières années. Inutile de le préciser, la corruption flambe des deux côtés de la Méditerranée, avec des résidents locaux qui font partie des réseaux de trafic actifs dans les Îles Canaries. Ceci est bien illustré par le cas des bateaux et des moteurs abandonnés dans le port d’Arguineguin, Grandes Canaries. Une fois que les bateaux ont été remorqués au port par Salvamento Maritimo, les moteurs et le carburant sont volés et revendus pour € 300, puis ré-exportés vers la Mauritanie et le Sénégal par des petites entreprises espagnoles, par exemple des sociétés de matériel électronique, puis revendus dans les pays de départ jusqu’à €4000. Début octobre, un réseau de ce type, qui impliquait des travailleurs locaux du port d’Arguineguin ainsi que des habitants des villes voisines a été démantelé par les autorités espagnoles, lors de la découverte d’un conteneur avec 52 moteurs. Pendant longtemps, les autorités locales ne se sont pas préoccupées de ces bateaux et moteurs abandonnées, et ont laissé s’installer une espèce de cimetière de bateaux. L’automne dernier, le Ministre de l’intérieur a sous-traité avec une société la destruction de ces bateaux. Depuis, un peu plus 100 de ces bateaux ont été détruits pour la somme de € 60 000.

    Si nous abordons le commerce des frontières sur la route de l’Atlantique, nous ne pouvons pas ignorer les bateaux qui transportent de la drogue. Ils représentent une part très lucrative du modèle économique associé aux réseaux de trafic au Maroc et en Espagne. Ces navires, cependant, qui arrivent en général à Lanzarote, ne contactent jamais Alarm Phone : en conséquence, nous ne les intégrerons pas dans cette analyse.
    Traversées & Sauvetages : un mur invisible en Atlantique

    Cette nouvelle année a vu une augmentation supplémentaire des traversées et des arrivées. En tout, pour la région Ouest Méditerranée et Atlantique, 7430 personnes ont réussi à traverser en janvier et février. Pour mémoire, il y a eu 3915 arrivées sur la même période en 2021. Ce bond des arrivées est encore plus net sur la Route des Canaries, où l’arrivée de 5604 personnes, jusqu’à maintenant pour cette année, constitue une hausse de 119% par rapport aux deux premiers mois de 2021.

    Comme ces chiffres le montrent, les voyages jusqu’aux Îles Canaries représentent 3/4 de toutes les arrivées en Espagne. La route de l’Atlantique est toujours l’itinéraire le plus meurtrier vers l’Europe, avec une estimation de plus de 4404 décès et personnes disparues en 2021, selon le collectif Caminando Fronteras. Des naufrages importants continuent à se produire, pour les mêmes raisons que nous avons expliquées en détail dans nos rapports précédents. Par exemple, des bateaux se perdent en mer et disparaissent complètement (comme les 52 personnes qui ont quitté Tarfaya le 4 janvier ou les 60 personnes qui sont également parties la première semaine de janvier) ou par chance, sont secourus dans des lieux très éloignés (par exemple le bateau gambien avec 105 survivants et 17 décès, qui a été secouru à 800 km au sud des Canaries après 19 jours en mer en décembre ou les 34 personnes qui ont quitté Dakhla le 3 novembre, dont seulement 20 ont survécu aux trois semaines en mer). Une autre raison est que de nombreux bateaux rencontrent des problèmes peu après avoir quitté les côtes marocaines ou sahariennes. Ceci tient au choix des organisateurs, qui utilisent du matériel défectueux ou tout simplement ne prennent pas en compte les conditions météo. Par exemple, nous voyons de nombreux cas de canots pneumatiques percés ou de pannes de moteur.

    Ces deux problèmes sont liés à l’indifférence des autorités. Dans plusieurs cas, Alarm Phone a alerté les autorités marocaines rapidement, mais les opérations de secours ont été retardées de plusieurs heures avec pour conséquence de terribles tragédies. Nous portons le deuil des 45 personnes (43 par noyades, 2 à l’hôpital) lorsque la marine marocaine n’a pas réagi au naufrage de 53 personnes le 16 janvier et celui des quatre personnes que l’on a laissé se noyer le 6 février, parce que MRCC Madrid a délégué la responsabilité du sauvetage à Rabat, qui ne l’a pas organisé assez tôt.

    Ce cas met en évidence une orientation politique très troublante concernant l’Atlantique : la création d’un mur invisible en mer. Alarm Phone constate une tendance : de plus en plus d’opérations SAR sont déléguées aux autorités marocaines, bien que les bateaux soient dans la zone de chevauchement des deux zones SAR. En considérant que les bateaux qui relèvent à la fois de la responsabilité des autorités espagnoles et marocaines sont le problème de Rabat, l’état espagnol, en fait, applique une politique d’interception « où cela est possible ». Ceci peut être une réaction à la hausse du stock de téléphones satellites des agents de voyage. Depuis l’été dernier, de plus en plus de bateaux en ont été équipés. Avec un téléphone satellitte, les voyageur·ses en mer peuvent appeler les autorités et Alarm Phone et donner leur position GPS exacte. Cependant, dans plusieurs cas, quand la position GPS donnée est dans la zone SAR dont le Maroc revendique aussi la responsabilité dans le cadre de leur occupation du Sahara Occidental, des interceptions ont été organisées conjointement par les autorités espagnoles et marocaines.

    La création de ce mur invisible n’est pas la seule évolution inquiétante. La route de l’Atlantique est également en train de s’étendre vers le nord. Certaines communautés marocaines ont commencé à organiser des départs depuis des villes aussi lointaines qu’Al Jadida (près de Casablanca). Cela représente un voyage de 650 km vers le sud jusqu’à Lanzarote. De même, pendant cette période, certains sauvetages ont eu lieu très au nord des Canaries, comme celui de 35 personnes à 210 km au nord-est de Lanzarote, le 18 janvier.

    Les bateaux partent également toujours de plus loin au sud, mais moins souvent qu’à la fin de 2020. En 2021, 55% de tous les bateaux qui sont arrivés aux îles Canaries étaient partis du Sahara occidental, 26% du sud du Maroc, par exemple de Tan-Tan ou Guelmim. Cela correspond également à une baisse du pourcentage des voyages en provenance des pays du Sud. Maintenant, seulement un cinquième de toutes les arrivées sont des bateaux partant de la Mauritanie, de la Gambie, du Sénégal. La plupart des départs se font entre Boujdour et Tan-Tan, ce qui explique la très forte proportion d’arrivées vers la partie est des îles Canaries. Lanzarote, Fuerteventura et Gran Canaria reçoivent la quasi-totalité des arrivées. La moitié des voyageur·ses sont des ressortissant·es marocain·es, suivie par la Guinée, le Sénégal, la Côte d’Ivoire. Pour les voyageur·ses marocain·es, les expulsions ont repris après la réouverture des frontières par le Maroc début février.

    Les services d’accueil à Lanzarote sont connus pour être saturés. L’acheminement d’un plus grand nombre de bateaux secourus vers le port d’Arguineguin, à Gran Canaria, et le transfert des migrant·es vers Fuerteventura ne changent pas faire grand-chose à la situation. Jusqu’à très récemment, à leur arrivée dans le port d’Arrecife, les voyageur·ses étaient conduit·es dans un bâtiment industriel situé à quelques kilomètres de la ville et se voyaient attribuer un espace dans cet ancien entrepôt industriel. Les gens étaient retenus pour en quarantaine pendant 72 heures, et testés pour le Covid-19. Les conditions de détention étaient inhumaines : pas de lits convenables, pas d’intimité, pas de douches et pas d’espace sécurisé pour les mineur·es et les femmes. Des militant·es et des défenseur·ses des droits de l’homme ont fait campagne contre la “nave de la vergüenza“, l’”entrepôt de la honte”, et se sont plaints des conditions inhumaines auprès des autorités et d’un médiateur, qui ont à leur tour demandé la fermeture de cet espace. Au moment où nous finalisions ce rapport, le ministère de l’Intérieur a annoncé que la “nef” avait été vidée et que les nouveaux·elles arrivant·es seraient conduit·es au centre d’hébergement temporaire (CETI en espagnol) situé juste en face. Reste à savoir si cela se traduira par un changement significatif et un hébergement décent.

    2.2 Tanger, Ceuta et le détroit de Gibraltar : Une diminution des départs

    L’augmentation des traversées vers les îles Canaries s’est accompagnée d’une diminution des tentatives depuis Tanger, une route autrefois très fréquentée. Il y a environ 5 ans, tous les un ou deux mois, on entendait encore parler de Boza (arrivée) de 1 à 2 bateaux. Mais depuis le Covid-19 et, ajouté à cela, la fermeture des frontières, on n’entend plus beaucoup parler de Boza à Tanger.

    Sur la période de ce rapport, Alarm Phone n’a observé que 3 cas autour de Tanger. Le 5 novembre, sept personnes en détresse à l’Est de Tanger sont rentrées au Maroc de manière autonome. Le 9 novembre, un bateau avec 13 personnes à bord (dont 1 femme) a été intercepté par la Marine Royale, et le 12 décembre, 3 autres personnes ont été interceptées. Le seul cas du début de l’année 2022 s’est cependant avéré être un Boza. Le 10 janvier, Alarm Phone a été informé que 3 personnes étaient parties de Fnideq, près de Ceuta, dans un kayak en plastique. De l’eau pénétrait dans l’embarcation. Alarm Phone a informé les autorités mais a perdu le contact avec le bateau. Le lendemain, le syndicat CGT Salvamento Maritimo a annoncé que trois Marocains avaient été secourus et emmenés à Algeciras.

    L’une des principales raisons de la rareté des départs et de la rareté encore plus grande des réussites réside dans le fait que les autorités marocaines ont renforcé la sécurité et intensifié la militarisation de la frontière. Les personnes subsahariennes en exil vivent dans un état d’insécurité au Maroc car les attaques contre les personnes perçues comme migrant·es sont fréquentes. K., militant·e d’Alarm Phone à Tanger, rapporte :

    “La vie quotidienne est pleine de problèmes et vous êtes soumis à une répression massive. Les violations quotidiennes des droits de l’homme et les arrestations arbitraires vous laissent dans un état constant de panique ou d’anxiété. Mais la réalité est que, même face à toutes ces politiques, les gens ne désespèrent pas et cherchent toujours des moyens de voyager, mais la situation devient de plus en plus difficile pour les personnes en déplacement”.

    Cela entraîne une perte d’espoir et pousse de nombreuses personnes à se rendre à Laayoune, où les attaques et les arrestations ne sont pas aussi fréquentes et où il est encore possible d’effectuer la traversée.

    Les Marocain·es travaillant dans les associations qui organisent la continuité des voyages dans le nord du pays ne sont plus très actif·ves, en raison du renforcement de la sécurité et de la militarisation des frontières. Dans le Nord, ce ne sont plus que des petits groupes de personnes qui organisent le voyage, peut-être en raison d’un manque de demande. Parfois, ceux qui tentent de passer en Europe sont interceptés par la Force Auxiliaire (police militaire) sur terre ou par la Marine Royale en mer. Lorsque des personnes sont en détresse ou en danger en mer, la Marine Royale est contactée, mais il arrive souvent qu’elle n’arrive pas à temps.

    Des personnes en exil à Tanger nous ont dit que les prix pour les voyages depuis le Nord-Ouest sont variables, mais il est évident que la militarisation de la région a entraîné une augmentation massive des prix, et la professionnalisation du commerce frontalier. Pour les petits bateaux auto-organisés, chaque personne contribue entre 150 et 250 euros, mais le prix peut atteindre 500 à 750 euros. Les prix dépendent de la taille et de la qualité du matériel. Mais en raison de la militarisation massive de la zone frontalière de Tanger, il est désormais presque impossible d’organiser des voyages entre ami·es. Les gens continuent à faire la traversée, mais, en raison de l’augmentation de la surveillance des frontières, les voyageur·ses sont devenu·es dépendant·es de structures centralisées et paient entre 4000 et 6000 € pour le voyage. Ce prix est exorbitant, et montre que non seulement les voyageur·ses doivent rassembler eux-mêmes des sommes importantes, mais aussi qu’il permet à toutes les personnes impliquées dans ce trafic de réaliser de gros profits. Le prix représente un bon salaire pour les trafiquants, bien sûr, mais ils ne sont pas les seuls à en tirer profit. Lorsqu’il s’agit de corrompre la Marine Royale, pour les grands groupes, les chiffres sont énormes. Les chiffres qui nous ont été rapportés sont de l’ordre de 30 000 à 50 000 € pour les bateaux à moteur, mais les pots-de-vin peuvent atteindre 70 000 à 100 000 €.

    Il est clair que les gains réalisés grâce à cette augmentation absurde de l’action de l’armée et de la police se font au détriment des voyageurs : “C’est un non-sens absolu. C’est devenu un gagne-pain pour de nombreuses personnes. L’UE et le Maroc ont fait de l’exil un commerce vraiment rentable” commente K. de Tanger.
    2.3 Nord-est du Maroc : La répression continue dans la région de Nador

    Les forêts autour de Nador restent soumises à de fréquentes descentes de police, à la répression de l’État et à la violence envers les personnes Noires. Dans le cadre de cette répression, de nombreux·ses intermédiaires subsaharien·nes ont été arrêté·es ces dernières années.

    Les conditions de vie dans les camps sont loin d’être sûres. Le 24 janvier, elles ont entraîné la mort de 3 enfants. Ils sont morts étouffés après que leur abri de fortune en bâche ait pris feu dans la forêt de Gourougou (nord-ouest du Cimetière Sidi Salem, Nador). Leur mère, Happiness Johans, est décédée à l’hôpital quelques jours plus tard. En réaction, l’AMDH Nador a écrit une lettre ouverte au ministre de l’Intérieur pour demander que les personnes en exil soient autorisé·es à louer des maisons à Nador.

    Nador est non seulement un point de rassemblement pour les communautés de voyageur·ses subsaharien.nes, mais aussi un point de départ pour les ressortissant·es marocain·es qui se rendent en Espagne. Ils et elles souffrent également de la répression. Les arrestations et les expulsions inhumaines de mineur·es marocain·es à Nador continuent. L’AMDH de Nador rapporte que le 1er janvier, près de 80 mineur.es et jeunes non accompagné·es ont été embarqué·es de force dans des bus et emmené.es à Casablanca. Aucun·e d’entre eux·elles n’était originaire de cette ville.

    Les ressortissant·es marocain·es continuent de se rendre en Espagne continentale par voie maritime, mais ils et elles s’organisent très différemment des voyageur·ses subsaharien·nes. La région du Rif ne fait pas exception. Plutôt que des équipes professionnelles, ce sont des ami·es qui se réunissent pour planifier et organiser la traversée. Ils et elles mettent en commun leurs ressources pour obtenir l’équipement nécessaire et, dans certains cas, pour soudoyer les officiers militaires qui surveillent les zones de départ. Les ami·es et les membres de la famille peuvent également fournir un soutien matériel pour le voyage. Comme nous ne disposons pas d’autres informations concrètes sur la manière dont les ressortissant·es marocain·es parviennent à surmonter le système frontalier, et de même pour d’autres communautés, par exemple les ressortissant·es syrien·nes et yéménites, nous pouvons seulement décrire la manière dont les voyageur·ses subsaharien·nes passent par Nador.
    Le commerce frontalier autour de Nador : Les prix ont augmenté de façon spectaculaire

    Le système établi autour du passage vers l’Europe via Nador a connu des changements fondamentaux au fil des ans. Les prix ont augmenté de façon spectaculaire pour les voyages à partir de cette région. Un membre local d’Alarm Phone, qui vit dans les forêts de Nador depuis 2001, se souvient que jusqu’en 2010, on pouvait obtenir une place dans un bateau pour seulement 300 €. Puis, entre 2010 et 2014, un nouveau système a vu le jour dans les forêts : le système “garantie” Les gens voyagent désormais avec “garantie”. Ils et elles effectuent un paiement unique plus élevé, mais sont assuré·es d’avoir autant de tentatives de traversée qu’il en faut pour atteindre l’Europe. Il s’agit peut-être d’une réponse aux taux d’interceptions élevés, tant sur terre que sur mer. Il faut désormais souvent plusieurs tentatives pour réussir la traversée. Le prix de la “garantie” est passé à 1500 euros. Vers 2018, les prix sont montés jusqu’à 3 500 € et, pour une femme avec des enfants, jusqu’à 4 500 €.

    Pour comprendre comment les prix sont déterminés dans les forêts, il faut savoir que les négociations se font par le biais d’intermédiaires au sein des communautés subsahariennes. Ces intermédiaires rencontrent régulièrement les président·es des différentes communautés subsahariennes. Ils travaillent également avec des organisateur·ices de départs marocain·es. L’agent·e marocain·e demande aux intermédiaires une somme par tête pour organiser les bateaux. Cette somme est payée par le ou la futur·e passager·e, qui doit également verser une commission à l’intermédiaire.

    L’agent·e et l’intermédiaire négocient le prix par tête. Les voyageur·ses uni·es pourraient exercer une grande influence sur les agent·es dans ces négociations, car les Marocain·es n’ont aucun autre lien avec leurs client·es potentiel·les. Mais la loi de l’offre et de la demande favorise les trafiquant·es. Les possibilités de voyage, les places dans les canots pneumatiques, se font rares depuis quelques années maintenant et certaines communautés subsahariennes ont accepté de payer des sommes plus élevées aux trafiquant·es marocain·es afin de s’assurer une place. Cela a entraîné une hausse des prix au niveau mondial. Il s’agit d’une activité très rentable pour les agents de voyage.

    Nous savons que, face aux hausses de prix exorbitantes, les communautés ont tenté d’organiser elles-mêmes leurs voyages afin d’exercer une pression pour faire baisser les prix. Néanmoins, contrairement à la situation d’un Etat où la loi aurait permis à un syndicat de maintenir les prix à un niveau abordable, la criminalisation du commerce a mis les acheteur.euses à la merci d’un marché absolument non réglementé. Dans un contexte où le client se voit menacé de ne pas partir ou d’être tabassé s’il ne règle pas le montant d’avance, c’est le vendeur qui détient tout le pouvoir. Il n’est pas surprenant que des tentatives de négociations collectives au sein de groupes de client.es disparates aient échoué. Aujourd’hui, un.e candidat.e à la traversée est susceptible de payer jusqu’à 2600 euros d’avance au passeur et 900 euros à l’intermédiaire pour une place dans un bateau, aux côtés de 59 autres voyageur.euses.

    Les chefs des communautés ainsi que les intermédiaires ont toujours eu accès à une liste de personnes vivant dans les forêts et n’ayant pas les moyens de payer pour le voyage, c’est-à-dire souvent des mères seules, mais aussi d’autres personnes n’étant pas en mesure de rassembler assez d’argent. Les chefs notent également les noms de “celles et ceux qui ne posent pas problème” dans les camps, c’est-à-dire des personnes qui suivent les codes et les règles destinées à assurer la sécurité de la communauté dans ces camps. Progressivement, au fil des années, des places gratuites ont été libérées pour ces personnes à bord des bateaux. Les prix ayant aujourd’hui atteint de tels montants, pouvant aller jusqu’à 3500 euros pour une place, cette forme de solidarité n’est plus réalisable. La situation des personnes sans moyens financiers est désormais sans espoir. L’unique moyen qu’il leur reste d’atteindre l’Espagne est de passer par-dessus les barrières de Melilla – option qui, mises à part quelques rares exceptions, n’est envisageable que pour des hommes.

    Autour de Noël et du Nouvel An, de nombreuses tentatives collectives pour franchir les barrières de Melilla ont eu lieu. Ces tentatives ont été reçues violemment par les autorités espagnoles et marocaines. D’après le Ministre des affaires étrangères espagnol, plus de 1000 personnes ayant essayé de franchir les barrières de Ceuta et de Melilla ont été interceptées dans cette courte période. Les barrières frontalières de Melilla sont de plus en plus militarisées. La présence d’unités militaires armées y est désormais permanente. Néanmoins, le 2 mars, alors que nous rédigions le présent rapport, 2500 personnes sont parvenues à organiser une tentative pour franchir ces barrières. 500 d’entre elles environ ont réussi à rejoindre Melilla. C’est un énorme Boza. En terme d’arrivées, il s’agit de l’une des tentatives les plus fructueuses aux frontières de Melilla. Bienvenue en Espagne !
    Les cas Alarm Phone de ces derniers mois : 27 personnes ont disparu sans laisser de traces

    Pendant la période que couvre ce rapport, 16 embarcations en partance du Nord-Est du Maroc ont contacté l’Alarm Phone. 7 des 8 bateaux partis en novembre et en décembre entre Temsamane/Al Hoceïma et Nador sont bien arrivés à Motríl et à Almería. Seul un bateau, transportant 15 personnes, a été intercepté par la Marine Royale. Durant la toute première semaine de janvier, Alarm Phone a été impliqué dans deux cas : un bateau parti de Tazaghine a dû retourner au Maroc, un autre, parti de Nador avec 13 personnes à son bord, a été secouru jusqu’à Almería.

    Le 8 janvier, on informe Alarm Phone qu’un bateau transportant environ 36 personnes est parti de Nador pendant la nuit. Le MRCC Rabat confirmera plus tard l’interception du bateau. Nous déplorons le fait qu’une autre embarcation, ainsi que les 27 personnes qui étaient à son bord, parties de Nador quelques heures seulement après la première, aient disparu sans laisser de traces​​​​​​​. 9 des passager.es étaient des femmes.

    En février, deux bateaux qui avaient contacté Alarm Phone après leur départ d’Al Hoceïma ont été secourus et amenés en Espagne. Un autre bateau a été intercepté par la Marine Royale. Le 12 février, on informe Alarm Phone de la disparition en mer d’Alborán d’un bateau transportant 7 personnes, après être parti de Bouyafar à l’aube. Ce n’est qu’après deux jours et une grande pression exercée par les proches des passager.es ainsi que par Alarm Phone qu’il a été possible de découvrir que les voyageur.euses avaient été secouru.es, emmené.es à Motril et immédiatement placé.es en détention. Comme nous l’avons tweeté à propos de ce cas, “nous condamnons le silence des autorités qui relève d’un racisme structurel à l’encontre des personnes en mouvement. #LibertéDeMouvement.”
    2.4. Oujda et la frontière algérienne : les traversées deviennent plus dangereuses

    La situation à Oujda et à la frontière entre l’Algérie et le Maroc reste dangereuse et a empiré ces dernières semaines. Les quatre dernières mois ont été le théâtre d’arrestations de personnes, mineur.es y compris, qui mendiaient, ainsi que de refoulements répétés à la frontière.

    Bien des personnes ayant pour volonté de traverser la frontière qui sépare le Maroc de l’Europe doivent d’abord passer par l’Algérie. Puisque cette frontière est fermée depuis longtemps – y compris pour des personnes ayant des documents officiels leur permettant de voyager entre ces deux pays – traverser cette frontière est évidemment très difficile pour des personnes ne bénéficiant pas d’une telle permission. “Difficile” signifie presque toujours que cela coûte cher. Historiquement, les hommes devaient payer entre 150 et 200 euros, parfois même 250 euros, pour pouvoir traverser cette frontière terrestre entre l’Algérie et le Maroc. Les femmes devaient payer entre 300 et 400 euros et les personnes malades et/ou handicapées (physiques) devaient payer 500 euros.

    Le 5 janvier dernier, le Maroc a officiellement établi une zone militaire à la frontière avec l’Algérie. Jusqu’alors, le Maroc était divisé en deux zones militaires, Nord et Sud. La création de cette troisième zone est due au conflit qui n’a cesse de s’intensifier entre le Maroc et l’Algérie. La frontière a été renforcée et équipée tant matériellement qu’en ressources humaines. En conséquence, traverser la frontière est également devenu plus coûteux et, récemment, le nombre de personnes qui la traversent a drastiquement baissé. Les prix ont doublé, voire triplé dans certains cas. Pour des hommes physiquement valides, le prix minimal est désormais de 250 euros, le double pour des femmes, et le triple pour des personnes (physiquement) handicapées ainsi que pour des femmes enceintes. On dit que les prix vont parfois jusqu’à 1000 euros. Ils dépendent des aptitudes physiques, plus particulièrement de la capacité à courir et de l’endurance. Désormais, traverser cette frontière est, en fait, surtout lié au transport de drogues et se fait en coopération avec les forces militaires marocaines qui, en échange, en profitent financièrement. On conseille aux personnes qui traversent d’avoir de l’argent et un smartphone sur elles afin de pouvoir payer leur sortie de prison si elles devaient être découvertes pendant la traversée.

    Les personnes qui souhaitent traverser sont souvent exploitées mais, n’ayant aucune autre option, elles ne peuvent pas l’éviter. Des femmes sont souvent violées dans la zone frontalière et tombent enceintes ou contractent des maladies sexuellement transmissibles. De nombreuses personnes meurent pendant la traversée. D’autres meurent après l’arrivée du fait des épreuves vécues. Cela est particulièrement courant en hiver en raison du manque de vêtements appropriés au climat ou parce qu’elles glissent sur le sol détrempé et tombent dans le fossé inondé de la frontière et s’y noient. Lorsque quelqu’un meurt en traversant la frontière, la personne qui mène le groupe ne peut appeler personne à l’aide sous peine d’être envoyée en prison. Même après la traversée, presque personne n’a le courage de recenser les morts qui ont eu lieu dans la zone frontalière : des personnes disparaissent sans que leur mort n’ait été consignée où que ce soit. Après avoir traversé la frontière, particulièrement en hiver, les personnes souffrent des conséquences physiques de ce parcours dangereux. La traversée peut durer de 2 à 3 jours, mais va parfois jusqu’à une semaine.

    Alors même que traverser la frontière devenait plus dangereux, les conditions de logement des personnes changeaient aussi. Alors qu’auparavant les personnes vivaient en plus grands groupes plus ou moins en auto-gestion, il est aujourd’hui plus courant de louer son propre petit espace dans un appartement bondé. Lorsque la police découvre qu’un grand nombre de personnes habitent dans un même appartement, elle s’y introduit de force et arrête les personnes sans papiers pour les déporter en Algérie en pleine nuit. A la fin de l’année dernière, par exemple, la police a arrêté 20 personnes à leur domicile. Nous avons été informé.es que sept personnes bénéficiant des papiers qu’il fallait ont été relâchées, que sept autres personnes ont été emmenées à la zone frontalière durant la nuit et que trois personnes ont été arrêtées pour privation de liberté et traffic d’êtres humains.

    Le début d’année a vu le nombre de rafles aux domiciles des personnes augmenter. Ces rafles se concentrent au niveau des quartiers habités par les migrant.es : Andalous et Ben Mrah, quartiers où les descentes de police sont de plus en plus fréquentes. En janvier, 16 personnes ont été arrêtées pour privation de liberté à Sidi Yahya, un autre quartier d’Oujda, et sont actuellement poursuivies en justice.

    En conséquence des mesures de contrôle liées au Covid-19, le “pass sanitaire”, l’attestation de vaccination en vigueur au Maroc, a été introduit de sorte que les personnes qui n’en bénéficient pas ne puissent pas faire leurs courses ou utiliser les transports en commun. L’accès au vaccin est variable. Il nous a été rapporté que des personnes sans titre de séjour ont pu être vaccinées au Maroc tant qu’elles étaient en mesure de montrer un passeport en règle. Néanmoins, le pass sanitaire n’est pas accessible à des personnes venant de traverser la frontière algérienne ou pour des personnes n’ayant pas les bons passeports. Cela signifie qu’elles ne peuvent pas voyager facilement. Le coût des transports est doublé, au moins, car les conducteurs cachent les personnes pour échapper aux contrôles.
    2.5. L’Algérie et les départs pour l’Espagne

    La tendance que nous avions remarquée dans les précédents rapports s’est poursuivie dans la période couverte par ce rapport. De novembre 2021 à mars 2022, le nombre de départs de jeunes hommes, de familles et de femmes parties des rives algériennes n’a cessé d’augmenter, en conséquence du retour de bâton du mouvement social de 2019, de la désillusion qui lui a succédée et des difficultés économiques dont la grande majorité de la population algérienne a fait l’épreuve et qui n’ont fait qu’empirer en contexte de pandémie.

    Sur le plan politique, les militant.es et les syndicalistes algérien.nes, ainsi que toute personne ayant été engagée dans le hirak, font toujours face à une répression impressionnante. Récemment, plusieurs organisations et de nombreux individus ont publié une déclaration dénonçant la criminalisation par les autorités algériennes des partis politiques, des syndicats et des bases d’organisations politiques. La répression ne mène pas seulement à l’exil d’un grand nombre de personnes algériennes. Elle rend également difficile l’obtention d’informations sur le terrain concernant la situation des voyageur.euses, car la menace de criminalisation force le silence de nombreux.ses citoyen.nes et militant.es.

    Dans un article publié par le site français Mediapart, un homme algérien résidant en Espagne demande : “Pourquoi on est autant à fuir l’Algérie ?,Tebboune [le président algérien] va se faire soigner en Allemagne et moi, je dois rester mourir ici ?”

    La défaillance du système de santé pousse de nombreuses personnes à quitter le pays. D’après un article du site algérien algeriepartplus, “les ressortissant.es algérien.nes sont les plus nombreux.ses à demander un visa pour avoir accès à un traitement dans les hôpitaux français”.

    Dans cette optique, il n’est pas surprenant que le nombre de départs depuis novembre soit resté très élevé et ait compté quelques pics pendant la période. Par exemple, la période entre le 30 décembre et le 4 janvier a vu le nombre de départs exploser, ce que les médias algériens ont largement documenté. Près de 40 bateaux sont partis de la côte algérienne en direction de la péninsule espagnole. D’expérience, nous savons que le nombre de départs augmente autour des périodes de fêtes nationales (par exemple autour de l’Aïd au Maroc). La Croix Rouge a recensé le passage de 312 personnes à ses bureaux d’Almeria. La moitié d’entre elles était arrivée au cours des 24h précédentes, entre le 31 décembre et le 1er janvier, d’après un article d’Infomigrants.

    Si de nombreux bateaux rejoignent avec succès les côtes espagnoles, bien d’autres ont un destin tragique. D’après l’ONG Caminando Fronteras, pas moins de 169 harragas algériens ont été portés disparus en 2021 et les corps sans vie de 22 d’entre eux ont été retrouvés par le Salvamento Maritimo. Entre le 1er et le 5 janvier, 30 Algérien.nes sont mort.es dans leur tentative pour entrer en Europe. Nos pensées vont, comme toujours, aux familles et aux proches des défunt.es.

    Notre emploi du mot “tragique” ne doit pas dissimuler où est la responsabilité de ces crimes : d’une part, le fait que les structures politiques algériennes n’offrent aucune perspective sociale et économique, d’autre part le refus délibéré des pays européens de permettre une route migratoire régulière ainsi que la militarisation des frontières que ces mêmes pays mettent en place. Combinés, ces facteurs forcent les gens à inventer et à risquer des chemins chaque fois plus dangereux vers un futur vivable.
    Le soutien porté par à Alarm Phone aux Algérien.nes qui voyagent vers l’Espagne

    Ces derniers mois, Alarm Phone a porté assistance à six bateaux partis d’Algérie en direction de l’Espagne (le 5 novembre, le 20 et le 30 décembre, le 11 et le 13 février). L’un d’entre eux transportait 9 personnes parties de Capdur (Béjaïa) le soir du 30 décembre et a finalement échoué sur l’île du Congrès (Espagne). Elles ont été finalement refoulées jusqu’à Nador, au Maroc.

    Les voyageur.euses algérien.nes ne font pas seulement face aux risques en mer. Une fois arrivé.es en Europe, le risque de déportation est désormais de plus en plus grand. A la mi-novembre, une entrevue entre les ministres de l’Intérieur algériens et espagnols a eu pour issue la décision du gouvernement algérien de débloquer l’équivalent de 6,4 millions d’euros pour financer le rapatriement des harragas algériens en 2022. Depuis lors, les déportations ont dramatiquement augmenté. Le 20 février, une trentaine d’Algérien.nes a été déportée d’Espagne vers Oran ou Ghazaouet. Le 1er février déjà avait eu lieu une déportation au cours de laquelle 40 Algérien.nes ont été expulsé.es de force dans le port d’Almeria. D’après l’un de nos contacts à Oran, le risque d’arrestations et de poursuites judiciaires pour les personnes déportées de force vers l’Algérie est très élevé. Cela fait partie intégrante de la dure criminalisation des harragas par l’Etat algérien dont il était déjà question lors d’un précédent rapport. La procédure de déportation ajoute donc un nouveau risque à la liste de ceux que les personnes en mouvement connaissent déjà et nourrit la corruption en Algérie puisque le seul moyen pour les personnes déportées de sortir de prison est de soudoyer quelqu’un.
    Un commerce frontalier florissant

    Il est clair que le déchaînement général et continu des politiques répressives à l’encontre des personnes en mouvement a créé les conditions propices au développement d’un commerce frontalier prolifique géré par des organisations clandestines en constante expansion. Dans un article intitulé “Algérie : Le trafic de migrants vers l’Espagne a généré près de 60 millions d’euros en 2021” Jeune Afrique met en avant une enquête menée en 2021 par la police espagnole montrant que “ces réseaux disposent aujourd’hui d’une flotte de « bateaux-taxis », des embarcations dotées de puissants moteurs de 200 à 300 chevaux permettant de gagner rapidement les côtes espagnoles et d’effectuer plusieurs rotations par semaine.”

    En Algérie, les organisations illicites impliquées dans le business des frontières sont devenues de plus en plus puissantes et structurées. En 2020, les observateurs.rices avaient déjà noté un changement dans le mode opératoire des voyageurs et voyageuses lié au rôle croissant des organisations criminelles dans l’organisation des traversées. Historiquement, l’exil des personnes algériennes était organisé de manière autonome. Des groupes d’une dizaine de personnes mettaient en commun leurs ressources pour financer un bateau et un moteur, puis préparaient correctement leur voyage avant de prendre la mer. Au cours des trois dernières années, la militarisation et la répression contre les voyageurs et voyageuses ont augmenté. Cela est allé de pair avec la corruption de la police des frontières. Cela a rendu possible le développement de puissantes organisations du marché noir. Celles-ci dominent désormais le marché. Nos contacts à Oran nous disent que l’organisation du passage clandestin telle qu’elle s’est développée en Algérie repose largement sur des pratiques systématiques de corruption au sein de la police des frontières. En outre, les départs autonomes sont désormais très difficiles, voire impossibles, car les trafiquants surveillent avec attention les côtes et les plages, à l’affût des départs de bateaux qui ne font pas partie de leur flotte.

    Ce phénomène est, selon Mediapart, particulièrement notable dans la région d’Oran, région à partir de laquelle la majorité des départs ont eu lieu au cours des derniers mois. Un pêcheur d’Oran raconte que “la marine n’arrive plus à faire face à la situation. Même quand elle tente de les stopper, [les passeurs] arrivent à leur échapper car leurs embarcations sont plus rapides. […] Certains jours, j’ai compté jusqu’à 11 bateaux de passeurs au mouillage”. Selon la chercheuse Nabila Mouassi, également citée dans l’article de Mediapart, “la mafia travaille sur un pied d’égalité avec l’État.”

    Quant au prix du passage, “tou.te.s les adolescent.e.s d’Oran et des villages alentours peuvent vous le dire”, affirme un contact local à Oran. Il varie de 750 à 4000 euros, selon le type de bateau, la qualité du moteur, la fourniture d’un GPS/téléphone satellite, etc.

    3 Naufrages et personnes disparues

    Au cours des quatre derniers mois, nous avons recensé plus de 200 décès et plusieurs centaines de personnes disparues dans la région de la Méditerranée occidentale. Alarm Phone a été témoin d’au moins dix naufrages et de cas de décès dus à un retard des secours ou à une absence d’assistance. Ces cas de “laissé.es pour compte” sont des évènements si courants qu’ils doivent être considérés comme faisant partie intégrante du régime mortel des frontières.

    Malgré tous les efforts déployés pour recenser les mort.e.s et les disparu.e.s, nous pouvons être sûr.e.s que le nombre réel de personnes qui sont mortes en mer en tentant de rejoindre l’UE est bien plus élevé. Nous voulons nous souvenir de chacun et chacune d’entre elles et eux et commémorer chaque victime inconnue afin de combattre le système politique qui les a tué.e.s.

    Le 8 novembre 2021, un bateau avec des ressortissant.es gambien.nes et sénégalais.es est parti de Gambie pour tenter d’atteindre les îles Canaries. C’était un groupe d’environ 165 personnes. Après deux jours, leurs proches ont perdu le contact avec elleet eux. Aucune nouvelle des voyageurs et voyageuses depuis. 35 des passager.e.s étaient originaires de Gunjur. Le village reste sous le choc et dans la confusion. (source : AP)

    Le 11 Novembre, quatre corps sans vie sont repêchés et trois personnes sont déclarées disparues. Les personnes décédées se sont noyées à proximité de la côte de Oued Cherrat, Skhirat, Maroc.

    Le 14 Novembre, un bateau est retrouvé, à environ 40 miles au sud de Gran Canaria, Espagne, avec sept corps sans vie à bord. Le bateau avait passé au moins six jours en mer. Une huitième personne est morte après le secours dans le port de Arguineguin, Gran Canaria, Espagne

    Le 15 Novembre, deux personnes meurent dans une embarcation à la dérive au Sud de Gran Canaria, Espagne. Il y a 42 personnes survivantes.

    Le 18 Novembre, un corps sans vie est rejeté sur la côte à Nabak, 16km au Nord de Dakhla, au Sahara Occidental.

    Le 18 novembre, un bateau avec deux corps sans vie et 40 survivant.es est retrouvé à la dérive à 216 km au sud de Gran Canaria, en Espagne.

    Le 19 novembre, un corps sans vie est retrouvé après le chavirement d’un bateau à moteur dans les alentours de la côte de Sarchal, Ceuta, Espagne.

    Le 20 novembre, Mutassim Karim est porté disparu alors qu’il tentait de rejoindre Melilla, en Espagne, à la nage. L’ONG AMDH pointe du doigt la Guardia Civil comme responsable du décès et demande l’ouverture d’une enquête sur cette disparition.

    Le 23 novembre, un bateau avec 34 personnes est retrouvé par un navire marchand à 500 km au sud de Gran Canaria. 14 personnes sont mortes et seules 20 personnes survivent après 3 semaines en mer.

    Le 25 novembre, une femme tombe à l’eau alors qu’un bateau de 58 personnes est intercepté par la marine marocaine au large de Laayoune, au Sahara occidental. Une autre personne était morte avant l’interception.

    Le 26 novembre, deux personnes meurent et quatre sont portées disparues après qu’un dinghy/zodiac ait chaviré au sud de Gran Canaria, en Espagne.

    Le 27 novembre, la mort de deux personnes est confirmée après qu’un bateau transportant 57 personnes ait chaviré pendant une opération de secours au sud-est de Fuerteventura, sur les îles Canaries, en Espagne. Quatre personnes sont toujours disparues.

    Le 27 novembre, deux corps sans vie sont retrouvés en mer, à Punta Leona et à El Desnarigado-Sarchal, à Ceuta, en Espagne.

    Le 30 novembre, cinq mineurs – Ahmed, Tarik, Yahya, Alae et Brahim – sont portés disparus dans le détroit de Gibraltar, au Maroc. Ils avaient quitté Ceuta deux semaines plus tôt dans un radeau sans moteur avec la péninsule pour cap. Nous sommes toujours sans nouvelle.

    Le 1er décembre, au moins 40 personnes perdent la vie après le naufrage d’un bateau au large de Tarfaya, au Maroc.

    Le 2 décembre, la dépouille d’un bébé est retrouvée à bord d’un bateau au large des côtes de Fuerteventura. Le bébé faisait partie d’un groupe de presque 300 personnes qui voyageaient dans cinq bateaux différents en direction de Fuerteventura en Espagne. L’Alarm Phone a été informé qu’un sixième bateau avait fait naufrage non loin de la plage de Tarfaya. 22 personnes ont été déclarées disparues et 13 personnes ont été retrouvées mortes.

    Le 6 décembre, un bateau avec 56 personnes à son bord arrive à Gran Canaria, en Espagne. Un bébé, deux femmes et un homme meurent avant d’avoir atteint l’île.

    Le 6 décembre, les dépouilles de trois personnes s’échouent sur le rivage, sur la plage de Beni Chiker, à Nador, au Maroc, très probablement après une tentative de traverser la frontière de Melilla.

    Le 6 décembre, un bateau transportant 20 personnes est secouru au sud de La Gomera, îles Canaries, Espagne. On y retrouve un corps mort.

    Le 8 décembre, 29 personnes meurent après qu’un bateau ait chaviré en Atlantique, au large de Laayoune, au Sahara occidental. 31 personnes survivent au naufrage.

    Le 9 décembre, un corps est retrouvé à 50km au nord de Dakhla, au Sahara occidental.

    Le 12 décembre, un corps mort échoue sur la plage de Fnideq au Maroc. Il semble s’agir du corps d’une personne ayant tenté d’atteindre Ceuta à la nage.

    Le 13 décembre, un corps est retrouvé près de la plage de Sarchal, à Ceuta, en Espagne.

    Le 14 décembre, un corps échoue sur la plage municipale de Tanger au Maroc.

    Le 14 décembre, un corps est retrouvé près de la Corniche de Nador au Maroc. La personne est probablement décédée au cours de sa tentative pour traverser la frontière de Melilla en Espagne.

    Le 17 décembre, un corps est retrouvé sur un bateau de 60 personnes au Sud-est de Gran Canaria, dans les îles Canaries, en Espagne.

    Le 18 décembre, 17 personnes meurent en mer entre la Gambie et les îles Canaries, en Espagne. Un bateau composé de 105 survivant.es est retrouvé à 800kms au sud de Tenerife. Le bateau avait quitté la Gambie 19 jours plus tôt.

    Le 18 décembre, 35 personnes meurent dans le naufrage d’un bateau transportant 52 personnes, au large de Boujdour, au Sahara occidental.

    Le 20 décembre, deux corps sont retrouvés près de la frontière algérienne à Touissite, Jerada, au Maroc.

    Le 21 décembre, un corps est retrouvé à Playa de los Muertos, à Almeria, en Espagne.

    Le 21 décembre, un bateau de 15 personnes fait naufrage au large de la côte d’Arzew en Algérie. Seules huit personnes ont survécu.

    Le 23 décembre, trois personnes meurent et trois disparaissent après qu’un bateau de 10 personnes ait chaviré à 3kms au large de Chlef, Mostaganem, en Algérie.

    Le 23 décembre, deux corps sont retrouvés à Ras Asfour, à Jerada, au Maroc (près de la frontière algérienne).

    Le 30 décembre, un corps sans vie est rejeté sur la plage de Ténès, Chlef, Algérie.

    Le 30 décembre, un corps sans vie est retrouvé près du port de Beni Haoua, Chlef, Algérie.

    Le 31 décembre, deux corps sans vie sont découverts sur la côte de Cherchell, Tipaza, Algérie.

    Le 31 décembre un corps sans vie est repêché en mer près de BouHaroun, Tipaza, Algérie.

    Le 31 décembre, six survivants et trois corps sans vie sont repêchés après un naufrage à 35 miles nautiques de la côte d’Almeria, Espagne.

    Le 03 janvier 2022, trois personnes meurent et dix personnes disparaissent dans deux naufrages au large de Cabo de Gata, Almería, Espagne.

    Le 04 janvier, deux bateaux avec 103 survivant·es et deux corps sans vie sont trouvés par des navires de la marine américaine lors de manœuvres dans l’Atlantique. Les survivant·es sont transféré·es à la Marine Royale.

    Le 04 janvier, Alarm Phone est informé de la disparition d’un bateau avec 52 personnes à bord. Le bateau était parti avec 23 hommes, 21 femmes et huit enfants de Tarfaya, au Maroc.

    Le 04 janvier, Alarm Phone est informé d’un cas de détresse avec 63 personnes à bord au large de Tarfaya, Maroc. Cinq personnes meurent en mer avant l’arrivée des secours et six personnes doivent être soignées à l’hôpital.

    Le 07 janvier, après plusieurs jours de dérive, un bateau est secouru à 26 km des côtes d’Alicante, en Espagne. Cinq personnes peuvent être secourues, au moins 12 personnes sont portées disparues.

    Le 07 janvier, Alarm Phone est informé de la disparition d’un bateau qui avait quitté Ain-El Turk, Algérie, le 03 janvier avec 12 personnes à bord. Le bateau semble avoir sombré en emportant tou.tes les passager·es.

    Le 08 janvier, Alarm Phone est témoin du naufrage d’un bateau avec 27 personnes à bord au large de Nador, au Maroc. Cinq corps en décomposition sont retrouvés près de Malaga, en Espagne, 15 jours plus tard. 22 personnes sont portées disparues.

    Le 9 janvier, Alarm Phone Maroc est informé qu’un bateau avec 12 personnes à bord a fait naufrage au large des côtes algériennes. Seules deux personnes ont survécu, dix personnes sont toujours portées disparues.

    Le 11 janvier, un corps sans vie est retrouvé dans l’eau au large de Rocher Plat, Tipaza, Algérie.

    Le 12 janvier, un corps en décomposition est rejeté sur le rivage à Plage Gounini, Tipaza, Algérie.

    Le 13 janvier, un bateau avec 60 voyageur·ses est perdu. Il était parti une semaine auparavant à destination des îles Canaries, en Espagne.

    Le 14 janvier, dix personnes meurent dans un naufrage au large des côtes algériennes. Seules trois personnes peuvent être sauvées après 12 jours de dérive.

    Le 16 janvier, Alarm Phone est informé d’un cas de détresse avec 55 personnes à bord. Lorsque les secours arrivent enfin, deux personnes sont déjà décédées et dix seulement peuvent être sauvées. 43 personnes sont toujours portées disparues. Le naufrage a eu lieu près de Tarfaya, au Maroc. Il est rapporté que deux personnes sont décédées à l’hôpital.

    Le 16 janvier, le corps d’un jeune homme est rejeté sur la côte orientale de Fuerteventura. Le jour suivant, le corps d’une jeune femme est également retrouvé.

    Le 17 janvier, une personne est retrouvée sans vie dans l’un des deux canots pneumatiques secourus au sud-est de Gran Canaria, en Espagne.

    Du 16 au 25 janvier, cinq corps sans vie sont rejetés sur le rivage sur différentes plages autour de Málaga, en Espagne :

    Le 16 janvier, un corps mort est retrouvé sur la plage de Cabo Pino, à l’est de Marbella, en Espagne.
    Le 17 janvier, deux corps morts sont retrouvés sur la plage de Las Verdas, à Benalmádena, en Espagne.
    Le 23 janvier, un corps est retrouvé flottant près de la plage de La Caleta, Malaga, Espagne.
    Le 24 janvier, un corps est retrouvé flottant à côté de la plage de Nerja, Espagne.

    Comme 17 personnes ont disparu lors de leur traversée vers Almeria entre le 16 et le 25 janvier, nous supposons que ces corps font partie des personnes qui se sont noyées dans les différents naufrages de cette période.

    Le 18 janvier, le corps sans vie d’une personne qui voyageait dans un bateau avec neuf autres hommes est repêché au large de Carboneras, Almeria, Espagne.

    Le 24 janvier, il n’y a toujours aucune trace d’un bateau avec 43 personnes qui avait quitté Nouadhibou, Mauritanie, le 5 janvier. Parmi ces personnes qui tentaient de prendre la route des îles Canaries, sept femmes et deux enfants

    Le 25 janvier, 19 personnes meurent et neuf personnes survivent à un naufrage à 77 km au sud-est de Lanzarote, en Espagne.

    Le 1er février, au moins deux personnes meurent lorsqu’un bateau pneumatique chavire à 100 km au large de Plage David, Ben Slimane, Maroc. Le nombre de personnes disparues n’est pas clair. Le bateau transportait environ 50 personnes, mais seules sept d’entre elles ont été secourues.

    Le 01 février, Alarm Phone Maroc rapporte qu’une personne est décédée pendant l’opération de sauvetage d’un bateau avec 58 personnes au large de Tarfaya, au Maroc.

    Le 02 février, au moins un homme meurt et un autre est évacué par hélicoptère vers un hôpital après qu’un bateau avec environ 50 personnes à bord, chavire à 35 km au sud de Morro Jable, Fuerteventura, îles Canaries, Espagne.

    Le 05 février, Alarm Phone Maroc découvre le naufrage d’un bateau transportant 58 personnes, survenu au large de Tarfaya, au Maroc. Huit personnes n’ont pas survécu à la tragédie selon les recherches d’Alarm Phone.

    Le 6 février, Alarm Phone est alerté du naufrage d’un bateau pneumatique transportant 52 personnes à 75 miles nautiques au sud-ouest de Boujdour, Sahara Occidental. En raison des conditions météorologiques difficiles et du mauvais état du bateau, les personnes à bord sont en grand danger. Le téléphone d’alarme informe immédiatement les autorités mais les secours sont retardés pendant des heures. Quatre personnes sont mortes avant l’arrivée du navire de sauvetage.

    Le 7 février, un bateau avec 68 personnes à bord fait naufrage à 85 km au sud de Gran Canaria, îles Canaries, Espagne. 65 personnes sont secourues mais trois personnes avaient sauté du bateau pneumatique et ont perdu la vie avant le début des opérations de sauvetage.

    Le 13 février, les restes d’une personne sont rejetés sur la plage de Targha, Chefchaouen, Maroc.

    Le 22 février, 40 personnes sont secourues après neuf jours de dérive au large de la côte de Sidi Ifni, au Maroc. Trois personnes étaient déjà décédées.

    Le 23 février, Alarm Phone est informé d’un naufrage avec 87-94 personnes au large de la côte d’Imtlan, Sahara Occidental. Trois corps sans vie sont récupérés à bord après quatre jours en mer, 47 personnes sont secourues, mais 37-44 personnes sont toujours portées disparues.
    4 Journée internationale de lutte : CommémorActions 2022 à l’occasion du 6 février

    Le travail de Alarm Phone consiste principalement à soutenir par téléphone les personnes en détresse pendant leur traversée. Mais dans la plupart des cas, le travail va bien au-delà. En plus de documenter les refoulements illégaux et l’absence d’assistance de la part des autorités, nous finissons parfois par soutenir les familles dans la recherche de leurs proches disparu.e.s. Lorsqu’un bateau disparaît, les proches restent souvent sans information pendant des mois, ne reçoivent pratiquement aucun soutien de l’État et se sentent livré.es à eux et elles -mêmes dans la tentative de retrouver leurs proches. C’est souvent le cas en Gambie, point de départ habituel des bateaux sur la route de l’Atlantique. Malheureusement, Alarm Phone n’est pas vraiment en action dans cette région mais certain.es de nos camarades activistes qui y vivent nous ont parlé d’un cas dans lequel iels se sont retrouvé.es impliqué.es fin janvier :

    Le 8 novembre 2021, un bateau avec des ressortissant.e.s gambien.ne.s et sénégalais.e.s est parti de Gambie pour rejoindre les îles Canaries. C’était un groupe d’environ 165 personnes, dont 8 femmes. Après deux jours, leurs proches ont perdu le contact avec elle et eux et n’ont plus de nouvelles depuis. Alarm Phone a rencontré plusieurs familles à Gunjur, en Gambie. Elles sont toujours désespérément à la recherche d’un groupe de 35 jeunes de leur village qui faisaient partie des passager.es du bateau. Jusqu’à aujourd’hui, elles n’ont reçu aucun soutien des gouvernements dans leur tentative de retrouver leurs proches.

    Selon le Comité International de la Croix-Rouge (ICRC), seulement “13 % des personnes qui se sont noyées en route vers l’Europe en Méditerranée et dans l’océan Atlantique entre 2014 et 2019 ont été retrouvées ou enterrées en Europe du Sud.” Étant donné que les funérailles sont une étape importante dans le processus de deuil, ne pas pouvoir enterrer les parents et ami.es perdu.es ou rester dans l’incertitude quant à leur sort empêche les gens de trouver comment surmonter leur chagrin. Malgré cela, ça peut donner d’autant plus de force pour sortir de sa supposée impuissance, passer à l’action ensemble et commémorer publiquement les personnes disparu.e.s tout en dénonçant le régime frontalier meurtrier et les responsables de ces morts.

    C’est pourquoi, chaque année depuis le massacre de Tarajal en 2014, des milliers de personnes à travers le monde descendent dans la rue le 06 février, Journée Mondiale de Lutte, en réponse à l’appel à l’action pour organiser des “commémorActions” décentralisées et locales. Ce sont des actions pour commémorer les personnes qui sont mortes, ont disparu ou ont été forcées de disparaître au cours de leurs voyages à travers les frontières. Cette année, de telles commémorations ont eu lieu au Cameroun, en Gambie, en Tunisie, au Mali, au Maroc, en Mauritanie, au Niger, au Sénégal, en Turquie, au Mexique, en France, en Allemagne, en Grèce, à Malte, en Serbie, en Slovénie, en Espagne, en Italie, au Royaume-Uni et ailleurs.
    Vous pouvez trouver une collection de vidéos et de photos sur les médias sociaux (#CommemorActions). En parallèle, notre projet sœur “Missing at the Borders ” recueille des images de toutes les villes où des actions commémoratives ont eu lieu. Voici quelques images des événements que les activistes d’Alarm Phone ont (co-)organisés le 6 février 2022 :

    En septembre 2022, une autre grande #commémorAction aura lieu en Tunisie. Nous espérons vous voir là bas, ou à l’une des nombreuses manifestations dans la lutte quotidienne contre l’inhumaine politique migratoire des puissants. Continuons à commémorer les personnes, pas les chiffres, et luttons ensemble pour la liberté de circulation pour toutes et tous !

    https://alarmphone.org/fr/2022/03/31/la-marchandisation-des-frontieres
    #asile #migrations #réfugiés #commémoration #morts_aux_frontières #décès #morts #route_atlantique #Atlantique #Sahara_occidental #Maroc #Canaries #mur_invisible #Tanger #Ceuta #Détroit_de_Gibraltar #Gibraltar #Nador #Oujda #Algérie #commerce_frontalier #naufrages #disparitions

  • When migrants go missing on the Atlantic route to Spain

    Hamido had heard nothing from his wife and child in 10 days since they set sail from Western Sahara for the Canary Islands — but then a boat was found with many dead onboard.

    Frantic and distraught, Hamido — an Ivorian national working in France — tried to contact the Spanish police and the authorities in Gran Canaria for news of his family.

    But no one could help him, so he flew to the island where he learned via the media that his wife had died on the boat, and his six-year-old daughter — who had watched her die — was completely traumatised.

    “This man contacted us, he was absolutely desperate because no one would give him any information,” said Helena Maleno of Caminando Fronteras, a Spanish NGO that helps migrant boats in distress and families searching for loved ones.

    For worried relatives, trying to find information about people lost on the notoriously dangerous route to the Spanish Atlantic archipelago can be a nightmare.
    Deadliest year since 1997

    In fact, 2021 has been a particularly deadly year for migrants trying to reach Spain, via either the Atlantic or the Mediterranean.
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    In the past two years, the number of dead and missing on the Atlantic route has increased nearly fivefold — from 202 in 2019 to 937 so far this year, the International Organization for Migration says LLUIS GENE AFP

    “The data show that 2021 seems to be the deadliest year on record since 1997, surpassing 2020 and 2006 as the two years with the highest recorded deaths,” said MMP’s Marta Sanchez Dionis.

    According to figures compiled with Spanish human rights organisation, APDHA, 10,236 people died between 1997 and 2021.

    But both organisations concede that the real number “could be much higher”.

    Caminando Fronteras — which tracks data from boats in distress, including the number of people on board — calculates that 2,087 people died or went missing in the Atlantic in the first half of 2021, compared with 2,170 for the whole of 2020.

    It was in late 2019 that the number of migrant arrivals in the Canaries began to rise, after increased patrols along Europe’s southern coast reduced Mediterranean crossings.

    But the numbers really took off in mid-2020 as the pandemic took hold, and so far this year, 20,148 have reached the archipelago, MMP figures show.
    Canary Islands AFP MAP

    The Atlantic route is extremely hazardous for the small, overloaded boats battling strong currents, with MMP saying “the vast majority of departures” were from distant ports in Western Sahara, Mauritania or even Senegal some 1,500 kilometres (900 miles) to the south.
    Boats become coffins

    The migrants hope that the boats will carry them to a new life in Europe, but for many, the vessels end up becoming their coffins.

    “I knew getting the boat was no good, but there was war in Mali and things were very difficult,” says ’Mamadou’, who left Nouadibou in Mauritania on a boat with 58 people in August 2020.
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    ’Mamadou’ was one of more than 50 people who took a boat from Nouadibou in Mauritania in August 2020 that got lost at sea for two weeks. He was one of just 11 survivors LLUIS GENE AFP

    After three days at sea, food and water ran out, and people began to die, images which still haunt him today.

    Wandering through the “boat cemetery” at Gran Canaria’s Arinaga port, the lanky teen falls silent as he looks at the shabby wooden hulls, overwhelmed by memories of the two weeks he and his fellow passengers spent lost at sea.

    He was one of just 11 survivors.

    “A lot of people died at sea. They didn’t make it...,” he says, a vacant look in his eyes.

    “Their families know they’ve gone to Spain, but they don’t know where they are.”

    Rescuers found five bodies in the boat. The rest had been thrown overboard, joining a growing list of uncounted dead.

    “These people shouldn’t be dying,” says Teodoro Bondyale of the Federation of African Associations in the Canary Islands (FAAC), standing by the grave of a Malian toddler who died in March, a faded blue teddy still perched on the mound of earth.
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    ’We are forcing people to travel on dangerous migratory routes where the risk of dying is very high,’ says Teodoro Bondyale, of the Federation of African Associations in the Canary Islands (FAAC) LLUIS GENE AFP

    At least 83 children died en route to the Canary Islands this year, MMP figures show.

    “If migration could be done normally with a passport and a visa, people could travel and try and improve their lives. And if it didn’t work, they could go home,” he told AFP.

    “But we are forcing them to travel on dangerous migratory routes, trafficked by unscrupulous people where the risk of dying is very high.”
    More boats, more deaths

    “Day after day the situation is getting worse, the number of boats and deaths this year has increased much more than last year,” immigration lawyer Daniel Arencibia told AFP.
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    This year, more than 20,000 people have reached the Canary Islands, the vast majority rescued by Spain’s Salvamento Maritimo lifeboat service LLUIS GENE AFP

    "The situation is complicated at a political level because there is no single body in charge of managing the search for the missing.

    “So it’s down to the families themselves and the people helping them. But many times they never find them.”

    Jose Antonio Benitez, a Catholic priest, uses his extensive network of contacts among the authorities and NGOs to try to help distraught families.

    “My role is to make it easier for families to get the clearest possible picture of where they might find their loved ones. Without a body, we cannot be sure a person has died, but we can tell them they’ve not been found in any of the places they should be,” he says.

    But even then, bureaucratic red tape and rigid data protection laws can often cause more suffering.

    Such was the case with several Moroccan family members who flew over after the coastguard found a boat on which 10 North Africans lost their lives.

    “They spent several days going round all the hospitals, but nobody gave them any answers because you have to have documentary proof that you are a relative,” Benitez told AFP.
    PHOTO ’If we had other laws and safe corridors, if immigration was allowed, this would not be happening,’ says Catholic priest Jose Antonio Benitez, who helps families track down their missing loved ones LLUIS GENE AFP

    They eventually found the bodies of their loved ones in the morgue.

    “The laws of Europe and Spain are profoundly inhumane,” Benitez said.

    “If we had other laws and safe corridors, if immigration was allowed, this would not be happening.”
    Red Cross pilot programme

    Since mid-June, Caminando Fronteras has been helping 570 families trace people missing in the Atlantic, while the Spanish Red Cross has received 359 search requests.
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    Malian migrant ’Mamadou’ shows a picture of the boat he arrived on where dozens of people died LLUIS GENE AFP

    By the end of November, the Spanish Red Cross had recovered just 79 bodies on the Canaries route, internal data show, but experts say most of the dead will never be found.

    “What happens to these families when there are no bodies? You have to find other ways to reach the same goal,” says Jose Pablo Baraybar, a forensic anthropologist running an ICRC pilot programme in the Canary Islands with the Spanish Red Cross.

    The aim is to clarify the fate of the disappeared by pooling information from multiple sources on a collaborative platform to build a picture of who was on the boat and what happened, with accredited users feeding data directly into the system.

    “More than finding people, it’s about providing authoritative, if partial, answers,” Baraybar said.

    https://www.france24.com/en/live-news/20211203-when-migrants-go-missing-on-the-atlantic-route-to-spain?ref=tw
    #décès #morts #asile #migrations #réfugiés #frontières #Espagne #route_atlantique #Canaries #îles_canaries #Atlantique

  • « Ce sont les oubliées, les invisibles de la migration » : l’odyssée des femmes africaines vers l’Europe

    Les migrantes originaires d’#Afrique_de_l’Ouest sont de plus en plus nombreuses à tenter de rallier les #Canaries, archipel espagnol situé au large du Maroc. Un voyage au cours duquel certaines d’entre elles se retrouvent à la merci des passeurs et exploiteurs en tout genre.
    Ris-Orangis, terminus de son exil. Dans le pavillon de sa grande sœur, Mariama se repose, et décompresse. « Je suis soulagée », lâche-t-elle d’une voix à peine audible. Cette Ivoirienne de 35 ans, réservée et pudique, est arrivée dans ce coin de l’#Essonne le 7 août, après un périple commencé il y a plus de deux ans, un voyage sans retour de plusieurs milliers de kilomètres, à brûler les frontières sans visa ni papiers. Avec une étape plus décisive que les autres : les Canaries. C’est là, à #Las_Palmas, que Le Monde l’avait rencontrée une première fois, le 22 juillet.

    Situé au large du Maroc, cet archipel espagnol de l’Atlantique est devenu une des portes d’entrée maritime vers l’Europe les plus fréquentées par les migrants. « La #route_canarienne est la plus active sur la frontière euroafricaine occidentale », confirme l’association Caminando Fronteras, qui œuvre pour la protection des droits de ces migrants. Les chiffres le prouvent : d’après le ministère espagnol de l’intérieur, 13 118 personnes – pour la plupart originaires d’Afrique de l’Ouest – ont débarqué sur place, du 1er janvier au 30 septembre, à bord de 340 embarcations. En 2019, les autorités n’en avaient dénombré, à cette date, que 6 124.

    Détresse économique

    « Les problèmes politiques des derniers mois entre le Maroc et l’Espagne concernant [les enclaves de] Ceuta et Melilla ont poussé les gens à chercher une autre voie de passage », souligne Mame Cheikh Mbaye, président de la Fédération des associations africaines aux Canaries (FAAC). « Ce qu’il se passe en ce moment en Afrique est pire que la guerre, c’est la #détresse_économique. Les Africains vivent dans une telle #souffrance qu’ils sont prêts à affronter l’océan », ajoute Soda Niasse, 42 ans, une Sénégalaise qui milite pour la dignité des sans-papiers sur l’archipel.

    Retour à Las Palmas, en juillet. En ce début de soirée, la ville commence à bâiller. Dans une maison au charme fou, c’est une autre ambiance : des enfants galopent dans les couloirs ou dans la cour carrelée ; des femmes dansent, radieuses comme jamais, pour l’anniversaire d’une fillette, son premier sur le sol européen, même si Las Palmas paraît bien éloigné de Paris ou de Bruxelles. « Heureuse ? Oui. C’est comme si on vivait en colocation », lance Mariama.

    Ce refuge appartient à la Croix-Blanche, une fondation tenue par des frères Franciscains. La jeune Ivoirienne, vendeuse de légumes dans son pays, y est hébergée au côté d’une vingtaine d’autres femmes, toutes francophones. Voilà quatre mois qu’elle est arrivée en patera (« bateau de fortune ») sur l’île de Grande Canarie.

    Le nombre d’arrivées de migrants aux Canaries a doublé depuis le début de l’année

    Ce lieu paisible lui permet de récupérer de cette épreuve. « Et aussi de se réparer », ajoute le frère Enrique, 42 ans, un des responsables de l’organisation. « Ici, on donne de l’attention et de l’amour », précise-t-il au sujet de ces exilées, souvent traumatisées par d’éprouvantes odyssées. Le religieux s’étonne de voir de plus en plus de femmes tentées par l’exil depuis le début de l’année. Un constat partagé par le président de la Croix-Rouge des Canaries, Antonio Rico Revuelta : « En 2020, 10 % des migrants [sur 23 023] étaient des femmes. Cette année, nous sommes déjà à 17,1 % ».

    Echapper aux #violences

    « Elles n’ont pas d’autre choix que de fuir, insiste Mariama, la jeune Ivoirienne. Mais on ne s’imagine pas que c’est aussi dangereux. » Et meurtrier. L’ONG Caminando Fronteras a comptabilisé 2 087 victimes, disparues au large de l’Espagne, dont 341 femmes. « Les #décès sur les routes migratoires vers l’Espagne ont augmenté de 526 % par rapport à la même période de 2020 », souligne l’organisation. « La #route_des_Canaries est l’une des plus dangereuses au monde », confirme Amnesty International.

    Si des centaines de femmes – de toutes conditions sociales – risquent leur vie sur ce chemin entre les côtes africaines et les Canaries (500 kilomètres d’océan), c’est pour échapper aux #mariages_forcés ou aux #excisions sur elles-mêmes ou leurs enfants. « Les #violences_de_genre ont toujours été une explication à l’exode », commente Camille Schmoll, géographe, autrice des Damnées de la mer (La Découverte, 2020).

    Celle-ci avance une autre explication à ces phénomènes migratoires : « Ces dernières années, beaucoup de femmes se sont installées au #Maroc. Elles n’avaient pas toutes comme projet d’aller en Europe. Mais avec la #crise_sanitaire, la plupart ont perdu leur travail. Cette situation les a probablement contraintes à précipiter leur départ. On ne parle jamais d’elles : ce sont les oubliées et les invisibles de la migration. »

    Cris Beauchemin, chercheur à l’Institut national d’études démographiques (INED), estime pour sa part que le « durcissement des politiques de #regroupement_familial peut être vu comme un motif qui pousse les femmes à partir de manière clandestine pour celles qui cherchent à rejoindre, en France, leur conjoint en règle ou pas ». D’après lui, la #féminisation_de_la_migration n’est cependant pas une nouveauté. En 2013, une étude menée par l’INED et intitulée « Les immigrés en France : en majorité des femmes » expliquait déjà que les migrantes partaient « de façon autonome afin de travailler ou de faire des études ».

    « Dans ce genre de voyage,les femmes sont violentées, violées, et les enfants entendent », dit Mariama, migrante ivoirienne de 35 ans
    « Celles qui arrivent en France sont de plus en plus souvent des célibataires ou des “pionnières” qui devancent leur conjoint, notait cette étude. La #scolarisation croissante des femmes dans leur pays d’origine et leur accès à l’#enseignement_supérieur jouent sans doute ici un rôle déterminant. » Selon Camille Schmoll, les femmes célibataires, divorcées, ou simplement en quête de liberté ou d’un avenir meilleur pour leurs proches et leurs enfants sont parfois mal vues dans leur pays. « Ces statuts difficiles à assumer les incitent à partir », dit-elle.

    Laisser ses enfants

    Ce fut le cas de Mariama. Son histoire commence en 2017 et résume celles de bien d’autres migrantes rencontrées à Las Palmas. Assise dans un fauteuil, enveloppée dans un voile rose qui semble l’étreindre, entourée par la travailleuse sociale et la psychologue du centre, elle se raconte : ses deux filles, de 6 et 8 ans ; son mari, un électricien porté sur l’alcool.

    Ce n’est pas la violence conjugale, tristement ordinaire, qui la pousse à envisager l’exil, en 2019, mais ces nuits où elle surprend son époux en train de « toucher » deux de ses nièces. « J’avais peur qu’il finisse par s’en prendre à mes filles, je devais agir. »Son but ? Rejoindre une sœur installée en France. Dans le plus grand secret, elle économise chaque jour quelques euros pendant près de deux ans.

    C’est alors que la destinée va bouleverser ses plans, et ajouter de la peine et des angoisses à une situation déjà douloureuse. Sa famille lui confie une nièce de 8 ans, dont le père vient de mourir noyé en Méditerranée en tentant d’atteindre l’Italie en bateau. Sa mère, elle, est décédée d’une maladie foudroyante. « Personne d’autre ne pouvait s’occuper de la petite, assure Mariama. Je suis sa nouvelle maman. » Le moment du départ approche, mais que faire ? Fuir avec les trois petites ? Impossible, elle n’en aura pas les moyens. Le cœur déchiré, elle choisit alors de laisser ses deux filles – afin qu’au moins elles restent ensemble – chez une sœur domiciliée loin de leur père…

    « Flouze, flouze » ou « fuck, fuck »

    A l’été 2019, Mariama et sa nièce quittent la Côte d’Ivoire en car, direction Casablanca, au Maroc. Là-bas, elle devient à la fois nounou, femme de ménage et cuisinière pour une famille marocaine. « Je gagnais 8 euros par jour, je dormais par terre, dans la cuisine. » Exploitation, préjugés, racisme, tel est, d’après elle, son nouveau quotidien. « Un jour, au début de la crise du coronavirus, je monte dans un bus, et une personne me crache dessus en criant “pourquoi les autres meurent facilement et pas vous, les Africains ?” »

    Après avoir économisé un peu d’argent, elle se rend avec sa nièce à Dakhla, au Sahara occidental (sous contrôle marocain), dans l’espoir de rallier les Canaries à travers l’Atlantique. Les passeurs ? « C’est “flouze, flouze” ou “fuck, fuck” », résume-t-elle. Généralement, dans ce genre de voyage, les femmes sont violentées, violées, et les enfants entendent. »Mariama retient ses larmes. Elle-même n’a pas été violée – comme d’autres protégées de la Croix-Blanche – mais elle ne compte plus le nombre de fois où des policiers, des habitants, l’ont « tripotée ».

    Une nuit, à Dakhla, après avoir versé 800 euros à un passeur, elle obtient deux places à bord d’un « modeste bateau de pêche » avec quarante autres personnes. La suite restera à jamais gravée en elle : la peur, l’obscurité, les vagues, l’eau qui s’invite à bord, le visage de son frère, mort noyé, lui aussi, lors d’une traversée clandestine. Et les cris, la promiscuité… « On ne peut pas bouger. Si tu veux uriner, c’est sur toi. Je me suis dit que c’était du suicide. Je n’arrêtais pas de demander pardon à la petite. Je l’avais coincée entre mes jambes. »

    « Durant leur voyage en Afrique, beaucoup de femmes violées sont tombées enceintes. Personne ne leur a dit qu’elles avaient le droit d’avorter en Espagne », Candella, ancienne travailleuse sociale
    La traversée dure cinq jours. Une fois la frontière virtuelle espagnole franchie, tout le monde sur le bateau se met à hurler « Boza ! », un cri synonyme de « victoire » en Afrique de l’Ouest. Les secours ne sont pas loin…

    « Je m’incline devant le courage de ces femmes. Quelle résilience ! », confie Candella, 29 ans, une ancienne travailleuse sociale, si marquée par ces destins qu’elle a fini par démissionner, en février, de son poste dans une importante ONG. « A force d’écouter leurs histoires, je les ai faites miennes, je n’en dormais plus la nuit. » Comment les oublier ?« Durant leur voyage en Afrique, beaucoup de femmes violées sont tombées enceintes. Une fois aux Canaries, personne ne leur a dit qu’elles avaient le droit d’avorter en Espagne. D’autres ont découvert qu’elles avaient le #sida en arrivant ici. C’est moi qui devais le leur annoncer. »

    Depuis deux décennies, Begoña Barrenengoa, une éducatrice sociale de 73 ans, suit de près les dossiers des clandestins, et particulièrement ceux liés aux violences faites aux femmes. D’après elle, les migrantes sont « les plus vulnérables parmi les vulnérables ». D’où sa volonté de les aider à continuer leur chemin vers le nord et l’Europe continentale. Car elles ne veulent pas rester aux Canaries mais rejoindre leur famille, en particulier en France. « L’archipel n’est qu’un point de passage, il n’y a de toute façon pas de travail ici », souligne Mme Barrenengoa.

    En mars, un juge de Las Palmas a ordonné aux autorités espagnoles de ne plus bloquer les migrants désireux de se rendre sur le continent. « Avec un simple passeport – voire une copie –, ou une demande d’asile, ils ont pu voyager jusqu’à Madrid ou Barcelone, et aller en France », poursuit Begoña Barrenengoa.

    Selon Mame Cheikh Mbaye (FAAC), entre 10 000 et 15 000 personnes auraient rallié la péninsule depuis cette décision de justice, des transferts le plus souvent organisés par la Croix-Rouge. « Huit migrants sur dix arrivés cette année par la mer aux îles ont poursuivi leur voyage vers la péninsule », assurait récemment le journal canarien La Provincia.

    Aujourd’hui, la plupart des femmes rencontrées à la Croix-Blanche sont sur le territoire français. « J’ai pu voyager avec mon passeport et celui de la petite, confirme ainsi Mariama. C’est ma sœur qui a acheté mon billet d’avion pour Bilbao. » Une fois sur place, elle a pris un car jusqu’à Bordeaux, puis un Blablacar vers Ris-Orangis, au sud de Paris. Son ancienne vie est derrière elle, désormais, et elle ne veut plus parler de son périple. « Moi, je ne demande pas beaucoup, juste le minimum », confie-t-elle. Maintenant que sa nièce est bien installée, et scolarisée, la jeune Ivoirienne n’a qu’un rêve : faire venir ses deux filles en France, « un pays où l’on se sent enfin libre ».

    https://www.lemonde.fr/international/article/2021/10/06/ce-sont-les-oubliees-les-invisibles-de-la-migration-l-odyssee-des-femmes-afr

    #femmes #femmes_migrantes #invisibilisation #invisibilité #morts #mourir_aux_frontières #statistiques #chiffres #îles_Canaries #route_Atlantique #viols #violences_sexuelles #parcours_migratoires #grossesses #grossesse #facteurs_push #push-factors

    ping @_kg_ @isskein

    • voir aussi cette note de Migreurop (décembre 2018) :
      Femmes aux frontières extérieures de l’Union européenne

      Les Cassandre xénophobes de la « ruée vers l’Europe » appuient leurs prévisions apocalyptiques sur des images dont les femmes sont absentes : ce serait des hommes jeunes qui déferleraient par millions sur nos sociétés qui verraient alors mis à bas un équilibre des sexes – tant du point de vue quantitatif que relationnel – chèrement acquis. La médiatisation et la politisation de « l’affaire de la gare de Cologne » (31 décembre 2016) ont ainsi joué un grand rôle dans le retournement de la politique allemande vis-à-vis des exilé·e·s. Ces derniers étant décrits comme des hommes prédateurs en raison de leurs « cultures d’origine », il devenait légitime de ne pas les accueillir…

      Ce raisonnement est bien sûr vicié par de nombreux biais idéologiques, mais aussi par des erreurs factuelles et statistiques : les nouvelles entrées dans l’Union européenne (UE) sont tout autant le fait d’hommes que de femmes, et ces dernières
      représentent près de la moitié des immigré·e·s installés dans l’UE. Ce phénomène n’est pas nouveau : au début des années 1930, alors que la France était la principale « terre d’accueil » des exilé·e·s, les femmes représentaient déjà plus de 40% des arrivant·e·s. L’invisibilisation des femmes n’est certes pas propre à l’immigration mais, en l’occurrence, elle sert également un projet d’exclusion de certains hommes.
      Les exilé·e·s sont en effet quasiment absentes des « flux » les plus médiatisés : plus de 90 % des boatpeople de Méditerranée ou des mineur·e·s isolé·e·s entrant dans l’UE sont des hommes. Cela permet d’ailleurs de justifier le caractère pour le moins « viril » des dispositifs de répression les visant. La « guerre aux migrants » serait une affaire mâle ! Or, les femmes en migration, loin de voir leur supposée « vulnérabilité » prise en compte, sont également prises au piège de la militarisation des frontières. La violence de la répression redouble celle des rapports sociaux.

      http://migreurop.org/article2903.html?lang=fr

    • Voir aussi cette étude publiée par l’INED :

      Les immigrés en France : en majorité des femmes

      Les femmes sont désormais majoritaires parmi les immigrés en France. Comme nous l’expliquent Cris Beauchemin, Catherine Borrel et Corinne Régnard en analysant les données de l’enquête Trajectoires et Origines (TeO), contrairement à ce que l’on pourrait penser, la féminisation des immigrés n’est pas due seulement au regroupement familial. Les femmes migrent de plus en plus de façon autonome afin de travailler ou de faire des études.

      https://www.ined.fr/fr/publications/editions/population-et-societes/immigres-france-majorite-femmes

    • Et ce numéro de la revue Ecarts d’identité :
      Exil au feminin

      Editorial :

      Une éclaircie ?

      Une éclaircie, dit Le Robert, c’est une embellie qui « apparaît dans un ciel nuageux ou brumeux » (le ciel de cette saison qui tarde à se dégager !).

      Sur terre, c’est l’éclaircie des terrasses, des sourires retrouvés sur les visages quand ils tombent les masques. Pas complètement mais on veut y croire : on veut croire que ce monde ne s’est pas totalement effondré, qu’une vie sociale est encore possible, que le dehors peut redevenir un espace public où l’on peut respirer, échanger, frôler et non cet espace de troisième type qui s’était semi-privatisé en petits groupes se méfiant les uns des autres ! L’éclaircie aussi, relative, des lieux culturels où nourrir de nouveau son imaginaire, admirer, élucider et rêver d’autres possibles aux devenirs.

      Une éclaircie, c’est en somme comme une clairière dans une forêt touffue où l’on peut connaître un répit, se racler un peu la voix après un quasi-étouffement, reprendre souffle, ou encore une sorte d’armistice dans une « guerre »...Ce langage impayable du pouvoir ! Il recycle constamment ses armes. L’espace social est devenu une géographie qui sert désormais à « faire la guerre », avec fronts et arrières, héros et vétérans, logisticiens et unités d’interventions, etc. Une guerre déclarée à un ennemi invisible, ou trop visible au contraire ! Il s’incorpore, il s’incarne en nous, nous faisant devenir ennemis de nous-mêmes, cette « part maudite » de « nous » que l’on ne veut surtout pas voir, nous contentant de nous voiler la face, garder les distances, frictionner frénétiquement les mains, comme si ce carnaval, bien macabre pouvait nous prémunir de « nous-mêmes »... Cela préoccupe évidemment, mais cela occupe beaucoup et jusqu’à épuisement les uns et désœuvre grandement les autres, et cette pré-occupation-là fait « chaos-monde »... qui fait oublier le reste !

      Or, le reste, c’est la vie. La vie dans tous ses états sur cette terre « ronde et finie » et appartenant à tout le monde, c’est « nous » tel que ce pronom personnel le dit : un pluriel et tel qu’il est pronom réfléchi : sujet de ce « nous » constamment en devenir. Ce « nous » est de tous les genres et espèces, matières et manières, temps et espaces sur terre, réels et imaginaires, à tout moment et partout singulier et pluriel, tenant dans cette singularité-pluralité de son infiniment petit à son infiniment grand.
      Ce qui fait ce tenant, c’est l’avec : l’être-avec et le vivre-avec, sans distinctions – hormis celles qui font pluralité, multitude et multiplicité précisément – accordant des primats d’être ou de vivre aux uns au détriment des autres ou empêchant, dans le temps comme dans l’espace, les uns de devenir autrement que ce que les autres pensent qu’ils doivent être… La différence entre l’être et l’être-avec est la différence entre les métaphysiques (petites ou grandes et « indécrottables ») et le politique (le politique tel qu’il « excède » les politiques d’intérêts et de calculs et tel qu’il organise un vivre-avec et non « une autre manière de faire la guerre » !)…
      Il a fallu sans doute cette calamité virale pour nous rappeler que ce reste est en fait le tout – fait de l’avec – dont il faut se préoccuper prioritairement et partout, ce tout qui ne se contamine jamais que de ses propres éléments et depuis tous temps… Le politique consiste à en prendre soin dans ses devenirs !

      Vivre-avec et aussi penser-avec. Penser avec les un•e•s et les autres un autre rapport à ce monde, et penser avec les expériences que vivent au présent les un•e•s et les autres et ce qu’elles nous révèlent sur la manière de mieux aborder l’avenir. Il ne dépend désormais plus de quelques-uns mais de tout le monde. La revue Écarts d’identité, et c’est sa vocation, explore, depuis son premier numéro, les chemins de ce vivre-avec, notamment ceux des migrations et des exils qui nous en apprennent plus sur le devenir-monde que ce que les discours officiels en retiennent et concèdent à en dire. Dans ce numéro, ce sont les spécificités des chemins de l’exil au féminin : une double exposition aux violences de l’exil en tant que tel et à celles, réelles et symboliques, faites aux femmes. Un dossier préparé par Lison Leneveler, Morane Chavanon, Mathilde Dubesset et Djaouidah Sehili (lire l’introduction du dossier).

      Et comme à chaque fois, une fenêtre ouverte sur un horizon de beauté (notre dossier culturel). Bruno Guichard a réalisé un documentaire (Patrick Chamoiseau, ce que nous disent les gouffres) sur Patrick Chamoiseau (ami et parrain de la revue), il nous en ouvre les coulisses où se mêlent puissance poétique et conscience politique. Et une rencontre avec Meissoune Majri, comédienne et metteuse en scène, qui mène depuis 2010 une recherche esthétique interrogeant les effets du réel sur les imaginaires.

      Si, comme le dit l’adage, « à quelque chose malheur est bon », puissions-nous avancer, avec cette calamité, sur les voies de la conscience et « les chemins de la liberté »...

      Abdelattif Chaouite


      https://ecarts-identite.org/-No136-

    • Épisode 3 : Femmes migrantes invisibles

      Statistiquement plus nombreuses que les hommes sur les chemins de l’exil, les femmes sont pourtant les grandes absentes du récit médiatique et de la recherche scientifique dans le domaine des migrations.

      Pour comprendre l’invisibilité Camille Schmoll constate : “il y a aussi un peu d’auto-invisibilité de la part des femmes qui ne souhaitent pas forcément attirer l’attention sur leur sort, leur trajectoire. La migration reste une transgression” et remarque que cette absence peut servir un certain discours “ or, quand on veut construire la migration comme une menace, c’est probablement plus efficace de se concentrer sur les hommes.”

      Depuis plus d’un demi-siècle, les bénévoles de l’Association meusienne d’accompagnement des trajets de vie des migrants (AMATRAMI) viennent en aide aux personnes migrantes présentes sur leur territoire, aux femmes notamment. Camille Schmoll rappelle cette situation : “il y a toujours eu des femmes en migration. On les a simplement occultés pour différentes raisons. En fait, ce sont à l’initiative de femmes, de chercheuses féministes que depuis les années 60-70, on redécouvre la part des femmes dans ces migrations. On sait qu’elles étaient très nombreuses dans les grandes migrations transatlantiques de la fin du 19ème siècle et du début du 20ème siècle. "

      Confrontées tout au long de leurs parcours migratoires mais également dans leur pays de destination à des violences de genre, ces femmes ne sont que trop rarement prises en compte et considérées selon leur sexe par les pouvoirs publics. Majoritairement des femmes, les bénévoles de l’AMATRAMI tentent, avec le peu de moyens à leur disposition de leur apporter un soutien spécifique et adapté.  Lucette Lamousse se souvient “elles étaient perdues en arrivant, leur première demande c’était de parler le français”. Camille Schmoll observe un changement dans cette migration : “les femmes qui partent, partent aussi parce qu’elles ont pu conquérir au départ une certaine forme d’autonomie. Ces changements du point de vue du positionnement social des femmes dans les sociétés de départ qui font qu’on va partir, ne sont pas uniquement des changements négatifs”.

      https://www.franceculture.fr/emissions/lsd-la-serie-documentaire/femmes-migrantes-invisibles


      #audio #son #podcast

  • #Sénégal, les pirogues de la dernière chance

    Début mars, des #révoltes populaires d’une ampleur inédite ont secoué le Sénégal. Aux origines profondes de cette colère, une situation sociale et économique catastrophique, empirée par la #pandémie. C’est cette même #précarité doublée d’un avenir obstinément bouché qui pousse de nombreux jeunes à prendre la mer en direction de l’Europe, par les Canaries. Un périple trop souvent meurtrier. Des militants et voyageurs sénégalais nous ont parlé de cette #route_atlantique, de ses dangers, et de ce qui pousse tant de personnes à braver la mort.


    http://cqfd-journal.org/Senegal-les-pirogues-de-la

    #cartographie #visualisation #asile #migrations #réfugiés #risques #Afrique_de_l'Ouest #Canaries #îles_Canaries

  • Un nombre choquant de morts, mais aussi des luttes grandissantes sur place
    https://alarmphone.org/wp-content/uploads/sites/25/2021/01/Pic-Title.jpeg

    2020 a été une année difficile pour des populations du monde entier. Les voyageur.euses des routes de #Méditerranée_occidentale et de l’Atlantique n’y ont pas fait exception. Iels ont fait face à de nombreux nouveaux défis cette année, et nous avons été témoins de faits sans précédents. Au Maroc et en #Espagne, non seulement la crise du coronavirus a servi d’énième prétexte au harcèlement, à l’intimidation et à la maltraitance de migrant.es, mais les itinéraires de voyage ont aussi beaucoup changé. Un grand nombre de personnes partent à présent d’Algérie pour atteindre l’Espagne continentale (ou même la #Sardaigne). C’est pourquoi nous avons commencé à inclure une section Algérie (voir 2.6) dans ces rapports. Deuxièmement, le nombre de traversées vers les #Canaries a explosé, particulièrement ces trois derniers mois. Tout comme en 2006 – lors de la dénommée « #crise_des_cayucos », lorsque plus de 30 000 personnes sont arrivées aux Canaries – des bateaux partent du Sahara occidental, mais aussi du Sénégal et de Mauritanie. Pour cette raison, nous avons renommé notre section sur les îles Canaries « route de l’Atlantique » (voir 2.1).

    Le nombre d’arrivées sur les #îles_Canaries est presqu’aussi élevé qu’en 2006. Avec plus de 40 000 arrivées en 2020, le trajet en bateau vers l’Espagne est devenu l’itinéraire le plus fréquenté des voyages vers l’Europe. Il inclut, en même temps, l’itinéraire le plus mortel : la route de l’Atlantique, en direction des îles Canaries.

    Ces faits sont terrifiants. A lui seul, le nombre de personnes mortes et de personnes disparues nous laisse sans voix. Nous dressons, tous les trois mois, une liste des mort.es et des disparu.es (voir section 4). Pour ce rapport, cette liste est devenue terriblement longue. Nous sommes solidaires des proches des défunt.es ainsi que des survivant.es de ce calvaire. A travers ce rapport, nous souhaitons mettre en avant leurs luttes. Nous éprouvons un profond respect et une profonde gratitude à l’égard de celles et ceux qui continuent de se battre, sur place, pour la dignité humaine et la liberté de circulation pour tous.tes.

    Beaucoup d’exemples de ces luttes sont inspirants : à terre, aux frontières, en mer et dans les centres de rétention.

    En Espagne, le gouvernement fait tout son possible pour freiner la migration (voir section 3). Ne pouvant empêcher la mobilité des personnes, la seule chose que ce gouvernement ait accompli c’est son échec spectaculaire à fournir des logements décents aux personnes nouvellement arrivées. Néanmoins, beaucoup d’Espagnol.es luttent pour les droits et la dignité des migrant.es. Nous avons été très inspiré.es par la #CommemorAction organisée par des habitant.es d’Órzola, après la mort de 8 voyageur.euses sur les plages rocheuses du nord de #Lanzarote. Ce ne sont pas les seul.es. : les citoyen.nes de Lanzarote ont publié un manifeste réclamant un traitement décent pour quiconque arriverait sur l’île, qu’il s’agisse de touristes ou de voyageur.euses en bateaux. Nous relayons leur affirmation : il est important de ne pas se laisser contaminer par le « virus de la haine ».

    Nous saluons également les réseaux de #solidarité qui soutiennent les personnes arrivées sur les autres îles : par exemple le réseau à l’initiative de la marche du 18 décembre en #Grande_Canarie, « #Papeles_para_todas » (papiers pour tous.tes).

    Des #résistances apparaissent également dans les centres de rétention (#CIE : centros de internamiento de extranjeros, centres de détention pour étrangers, équivalents des CRA, centres de rétention administrative en France). En octobre, une #manifestation a eu lieu sur le toit du bâtiment du CIE d’#Aluche (Madrid), ainsi qu’une #grève_de_la_faim organisée par les personnes qui y étaient détenues, après que le centre de #rétention a rouvert ses portes en septembre.

    Enfin, nous souhaitons mettre en lumière la lutte courageuse de la CGT, le syndicat des travailleur.euses de la #Salvamento_Maritimo, dont les membres se battent depuis longtemps pour plus d’effectif et de meilleures conditions de travail pour les gardes-côtes, à travers leur campagne « #MásManosMásVidas » (« Plus de mains, plus de vies »). La CGT a fait la critique répétée de ce gouvernement qui injecte des fonds dans le contrôle migratoire sans pour autant subvenir aux besoins financiers des gardes-côtes, ce qui éviterait l’épuisement de leurs équipes et leur permettrait de faire leur travail comme il se doit.

    Au Maroc, plusieurs militant.es ont dénoncé les violations de droits humains du gouvernement marocain, critiquant des pratiques discriminatoires d’#expulsions et de #déportations, mais dénonçant aussi la #stigmatisation que de nombreuses personnes noires doivent endurer au sein du Royaume. Lors du sit-in organisé par l’AMDH Nador le 10 décembre dernier, des militant.es rassemblé.es sur la place « Tahrir » de Nador ont exigé plus de liberté d’expression, la libération des prisonnier.es politiques et le respect des droits humains. Ils y ont également exprimé le harcèlement infligé actuellement à des personnes migrant.es.

    De la même manière, dans un communiqué conjoint, doublé d’une lettre au Ministère de l’Intérieur, plusieurs associations (Euromed Droits, l’AMDH, Caminando Fronteras, Alarm Phone, le Conseil des Migrants) se sont prononcées contre la négligence des autorités marocaines en matière de #sauvetage_maritime.

    Les voyageur.euses marocain.es ont également élevé la voix contre l’état déplorable des droits humains dans leur pays (voir le témoignage section 2.1) mais aussi contre les conditions désastreuses auxquelles iels font face à leur arrivée en Espagne, dont le manque de services de première nécessité dans le #camp portuaire d’#Arguineguín est un bon exemple.

    Au #Sénégal, les gens se sont organisées après les #naufrages horrifiants qui ont eu lieu en très grand nombre dans la seconde moitié du mois d’octobre. Le gouvernement sénégalais a refusé de reconnaître le nombre élevé de morts (#Alarm_Phone estime jusqu’à 400 le nombre de personnes mortes ou disparues entre le 24 et le 31 octobre, voir section 4). Lorsque des militant.es et des jeunes ont cherché à organiser une manifestation, les autorités ont interdit une telle action. Pourtant, trois semaines plus tard, un #rassemblement placé sous le slogan « #Dafa_doy » (Y en a assez !) a été organisé à Dakar. Des militant.es et des proches se sont réuni.es en #mémoire des mort.es. Durant cette période, au Sénégal, de nombreuses personnes ont été actives sur Twitter, ont tenté d’organiser des #hommages et se sont exprimées sur la mauvaise gestion du gouvernement sénégalais ainsi que sur les morts inqualifiables et inutiles.

    https://alarmphone.org/wp-content/uploads/sites/25/2021/01/Pic-Intro2-call-out-rally.jpeg

    https://alarmphone.org/fr/2021/01/29/un-nombre-choquant-de-morts-mais-aussi-des-luttes-grandissantes-sur-plac
    #décès #morts #mourir_aux_frontières #asile #migrations #réfugiés #Méditerranée #mourir_en_mer #route_Atlantique #Atlantique #Ceuta #Melilla #Gibraltar #détroit_de_Gibraltar #Nador #Oujda #Algérie #Maroc #marche_silencieuse

    ping @karine4 @_kg_
    #résistance #luttes #Sénégal

    • Liste naufrages et disparus (septembre 2020-décembre 2020) (partie 4 du même rapport)

      Le 30 septembre, un mineur marocain a été retrouvé mort dans un bateau dérivant devant la côte de la péninsule espagnole, près d’Alcaidesa. Apparemment, il est mort d’hypothermie.

      Le 1er octobre, un cadavre a été récupéré en mer dans le détroit de Gibraltar.

      Le 2 octobre, 53 voyageur.euse.s, dont 23 femmes et 6 enfants, ont été porté.e.s disparu.e.s en mer. Le bateau était parti de Dakhla en direction des îles Canaries. L’AP n’a pas pu trouver d’informations sur leur localisation. (Source : AP).

      Le 2 octobre, un corps a été retrouvé sur un bateau transportant 33 voyageur.euse.s au sud de Gran Canaria. Cinq autres passager.e.s étaient dans un état critique.

      Le 2 octobre, comme l’a rapporté la militante des droits de l’homme Helena Maleno, d’un autre bateau avec 49 voyageur.euse.s sur la route de l’Atlantique, 7 ont dû être transférés à l’hôpital dans un état critique. Deux personnes sont mortes plus tard à l’hôpital.

      Le 6 octobre, un corps a été récupéré au large d’Es Caragol, à Majorque, en Espagne.

      Le 6 octobre, un corps a été rejeté sur la plage de Guédiawaye, au Sénégal.

      Le 9 octobre, Alarm Phone a continué à rechercher en vain un bateau transportant 20 voyageur.euse.s en provenance de Laayoune. Iels sont toujours porté.e.s disparu.e.s. (Source : AP).

      Le 10 octobre, un corps a été retrouvé par les forces algériennes sur un bateau qui avait initialement transporté 8 voyageur.euse.s en provenance d’Oran, en Algérie. Deux autres sont toujours portés disparus, 5 des voyageur.euse.s ont été sauvé.e.s.

      Le 12 octobre, 2 corps de ressortissant.e.s marocain.e.s ont été récupérés en mer au large de Carthagène.

      Le 16 octobre, 5 survivant.e.s d’une odyssée de 10 jours en mer ont signalé que 12 de leurs compagnons de voyage étaient porté.e.s disparu.e.s en mer. Le bateau a finalement été secouru au large de la province de Chlef, en Algérie.

      Le 20 octobre, un voyageur est mort sur un bateau avec 11 passager.e.s qui avait débarqué de Mauritanie en direction des îles Canaries. (Source : Helena Maleno).

      Le 21 octobre, la Guardia Civil a ramassé le corps d’un jeune ressortissant marocain en combinaison de plongée sur une plage centrale de Ceuta.

      Le 21 octobre, Salvamento Maritimo a secouru 10 voyageur ;.euse.s dans une embarcation en route vers les îles Canaries, l’un d’entre eux est mort avant le sauvetage.

      Le 23 octobre, le moteur d’un bateau de Mbour/Sénégal a explosé. Il y avait environ 200 passager.e.s à bord. Seul.e.s 51 d’entre elleux ont pu être sauvé.e.s.

      Le 23 octobre, un corps a été rejeté par la mer dans la municipalité de Sidi Lakhdar, à 72 km à l’est de l’État de Mostaganem, en Algérie.

      Le 24 octobre, un jeune homme en combinaison de plongée a été retrouvé mort sur la plage de La Peña.

      Le 25 octobre, un bateau parti de Soumbédioun/Sénégal avec environ 80 personnes à bord est entré en collision avec un patrouilleur sénégalais. Seul.e.s 39 voyageur.euse.s ont été sauvé.e.s.

      Le 25 octobre, un bateau avec 57 passager.e.s a chaviré au large de Dakhla/ Sahara occidental. Une personne s’est noyée. Les secours sont arrivés assez rapidement pour sauver les autres voyageur.euse.s.

      Le 25 octobre, Salvamento Marítimo a sauvé trois personnes et a récupéré un corps dans un kayak dans le détroit de Gibraltar.

      Le 26 octobre, 12 ressortissant.e.s marocain.e.s se sont noyé.e.s au cours de leur périlleux voyage vers les îles Canaries.

      Le 29 octobre, nous avons appris une tragédie dans laquelle probablement plus de 50 personnes ont été portées disparues en mer. Le bateau avait quitté le Sénégal deux semaines auparavant. 27 survivant.e.s ont été sauvé.e.s au large du nord de la Mauritanie.

      Le 30 octobre, un autre grand naufrage s’est produit au large du Sénégal. Un bateau transportant 300 passager.e.s qui se dirigeait vers les Canaries a fait naufrage au large de Saint-Louis. Seules 150 personnes ont survécu. Environ 150 personnes se sont noyées, mais l’information n’est pas confirmée.

      Le 31 octobre, une personne est morte sur un bateau en provenance du Sénégal et à destination de Tenerifa. Le bateau avait pris le départ avec 81 passager.e.s.

      Le 2 novembre, 68 personnes ont atteint les îles Canaries en toute sécurité, tandis qu’un de leurs camarades a perdu la vie en mer.

      Le 3 novembre, Helena Maleno a signalé qu’un bateau qui avait quitté le Sénégal avait chaviré. Seul.e.s 27 voyageur.euse.s ont été sauvé.e.s sur la plage de Mame Khaar. 92 se seraient noyé.e.s.

      Début novembre, quatre Marocain.e.s qui tentaient d’accéder au port de Nador afin de traverser vers Melilla par un canal d’égout se sont noyé.e.s.

      Le 4 novembre, un groupe de 71 voyageur.euse.s en provenance du Sénégal a atteint Tenerifa. Un de leurs camarades est mort pendant le voyage.

      Le 7 novembre, 159 personnes atteignent El Hierro. Une personne est morte parmi eux.

      Le 11 novembre, un corps est retrouvé au large de Soumbédioune, au Sénégal.

      Le 13 novembre, 13 voyageur.euse.s de Boumerdes/Algérie se sont noyé.e.s alors qu’iels tentaient de rejoindre l’Espagne à bord d’une embarcation pneumatique.

      Le 14 novembre, après 10 jours de mer, un bateau de Nouakchott est arrivé à Boujdour. Douze personnes sont décédées au cours du voyage. Les 51 autres passager.e.s ont été emmené.e.s dans un centre de détention. (Source : AP Maroc)

      Le 16 novembre, le moteur d’un bateau a explosé au large du Cap-Vert. Le bateau était parti avec 150 passager.e.s du Sénégal et se dirigeait vers les îles Canaries. 60 à 80 personnes ont été portées disparues lors de la tragédie.

      Le 19 novembre, 10 personnes ont été secourues alors qu’elles se rendaient aux îles Canaries, l’une d’entre elles étant décédée avant son arrivée.

      Le 22 novembre, trois corps de jeunes ressortissant.e.s marocain.e.s ont été récupérés au large de Dakhla.

      Le 24 novembre, huit voyageur.euse.s sont mort.e.s et 28 ont survécu, alors qu’iels tentaient de rejoindre la côte de Lanzarote.

      Le 24 novembre, un homme mort a été retrouvé sur un bateau qui a été secouru par Salvamento Maritimo au sud de Gran Canaria. Le bateau avait initialement transporté 52 personnes.

      Le 25 novembre, 27 personnes sont portées disparues en mer. Elles étaient parties de Dakhla, parmi lesquelles 8 femmes et un enfant. Alarm Phone n’a pas pu trouver d’informations sur leur sort (Source : AP).

      Le 26 novembre, deux femmes et deux bébés ont été retrouvés mort.e.s dans un bateau avec 50 personnes originaires de pays subsahariens. Iels ont été emmenés par la Marine Royale au port de Nador.

      Le 27 novembre, un jeune ressortissant marocain est mort dans un canal d’eau de pluie en tentant de traverser le port de Nador pour se rendre à Mellila .

      Le 28 novembre, un.e ressortissant.e marocain.e a été retrouvé.e mort.e dans un bateau transportant 31 passager.e.s en provenance de Sidi Ifni (Maroc), qui a été intercepté par la Marine royale marocaine.

      Le 2 décembre, deux corps ont été retrouvés sur une plage au nord de Melilla.

      Le 6 décembre, 13 personnes se sont retrouvées au large de Tan-Tan/Maroc. Deux corps ont été retrouvés et deux personnes ont survécu. Les 9 autres personnes sont toujours portées disparues.

      Le 11 décembre, quatre corps de “Harraga” algérien.ne.s d’Oran ont été repêchés dans la mer, tandis que sept autres sont toujours porté.e.s disparu.e.s.

      Le 15 décembre, deux corps ont été retrouvés par la marine marocaine au large de Boujdour.

      Le 18 décembre, sept personnes se sont probablement noyées, bien que leurs camarades aient réussi à atteindre la côte d’Almería par leurs propres moyens.

      Le 23 décembre, 62 personnes ont fait naufrage au large de Laayoune. Seules 43 à 45 personnes ont survécu, 17 ou 18 sont portées disparues. Une personne est morte à l’hôpital. (Source : AP)

      Le 24 décembre, 39 voyageur.euse.s ont été secouru.e.s au large de Grenade. Un des trois passagers qui ont dû être hospitalisés est décédé le lendemain à l’hôpital.

      https://alarmphone.org/fr/2021/01/29/un-nombre-choquant-de-morts-mais-aussi-des-luttes-grandissantes-sur-place/#naufrages

  • Un océano de tumbas anónimas

    Casi 600 jóvenes africanos, a veces menores, incluso niños, han perdido la vida este año intentando llegar a Canarias en patera; solo en 164 casos se han recuperado cadáveres

    Cuesta creer que la bebé Sahe Sephora, ahogada el 16 de mayo de 2019, fuera la primera víctima del drama de las pateras en Canarias a la que se entierra con su nombre después de 21 años de tragedias, pero es así y los cementerios de las islas han seguido recibiendo difuntos anónimos en 2020, cuyas familias se ven arrastradas a un duelo imposible.

    Casi 600 jóvenes africanos, a veces menores, incluso niños, han perdido la vida este año intentando llegar a Canarias en patera, de los que solo en 164 casos se recuperó su cadáver. Son las víctimas documentadas por el programa Missing Migrants de Naciones Unidas, que reconoce que se trata de una «estimación mínima», porque sus responsables son conscientes de que a varias embarcaciones se las ha tragado el Atlántico con todos sus ocupantes sin dejar rastro.

    De hecho, la Cruz Roja sostiene que la Ruta Canaria mata ,entre el 5 y el 8% de quienes se aventuran a ella, lo que se traduce en una horquilla de 1.000 a 1.700 vidas perdidas, si se tiene en cuenta que este año han llegado al Archipiélago 21.500 personas en patera.

    En toda Canarias, hay decenas de inmigrantes enterrados sin identificación de las tres grandes etapas que ha vivido este fenómeno: las llegadas de finales de los años noventa y primeros años del siglo XXI, centradas en Fuerteventura, donde se produjo el primer naufragio mortal (el 26 de julio de 1999); la crisis de los cayucos de 2006-2007, que abarcó todas las islas, con epicentro en Tenerife; y la oleada actual, focalizada en Gran Canaria.

    Son la punta del iceberg, detrás hay muchos más muertos en el mar de los que se sabe poco o nada, pues este es un movimiento clandestino de seres humanos, en el que no existen manifiestos de embarque. Como mucho, hay listas de llegadas, las que recopilan la Policía y la Cruz Roja, no siempre accesibles a los familiares que vuelven estos meses a peregrinar de ventanilla en ventanilla por Gran Canaria preguntando por un hijo o un hermano desaparecido.
    Sin informar a las familias

    «Si eres padre o madre y sabes que tu hijo ha salido, pero no has vuelto a tener noticias de él, aceptar que vas a dejar de buscarlo es un trámite doloroso, que requiere hacer el máximo esfuerzo por decirte a ti mismo que no ha llegado y que has hecho todo lo posible por encontrarlo. Vienen a España confiando en que somos un país moderno que les dirá si existe alguna noticia de esa persona, pero no se la dan», asegura el abogado #Daniel_Arencibia.

    Este letrado colabora con el Secretariado de Migraciones de la Diócesis de Canarias y sabe bien de lo que habla: aunque la mayoría de las familias son musulmanas, muchos de los que viajan en busca de un pariente del que no saben más que cogió un cayuco hace semanas o meses acaban llamando a la puerta de una iglesia.

    Arencibia atendió hace días a una mujer que había venido desde Italia empeñándose para pagarse el vuelo, la pensión y la PCR tras la pista de su cuñado, porque la madre, de Marruecos, no puede desplazarse a España. «Lloraba en la parroquia porque nadie la atendía. Lo único que quiero, decía, es que me digan que no ha llegado, sé que seguramente está muerto», relata el letrado. Pero la mujer no quería contar eso a su suegra sin una mínima confirmación.

    No es fácil averiguar quién ha perecido en el Atlántico, pero las autoridades sí conocen quién ha llegado, subraya este abogado, que cree que muchas familias les bastaría con que les dijeran que su pariente no está entre los rescatados. Defiende, además, que este es un caso claro en el que debería activarse el protocolo de accidentes con víctimas múltiples, uno de cuyos puntos principales es la instauración de una oficina de información a las familias.

    La juez Pilar Barrado, que hasta principios de año estuvo al cargo de uno de los juzgados de San Bartolomé de Tirajana, los de la costa de las pateras, comparte su opinión. «¿Si nos llegara un barco con 30 suecos que han visto morir a tres de sus compañeros tras quedarse a la deriva, los trataríamos así?», se pregunta. «Claro que no», se contesta, «identificaríamos a los fallecidos y a los supervivientes les ofreceríamos la ayuda de psicólogos».
    Los primos Sokhona

    Pero no siempre es posible, ni siquiera preguntando a los supervivientes, porque a veces los ocupantes de la patera se vieron por primera vez la noche del embarque. Y, con frecuencia, los traficantes de personas que fletan las pateras juegan a la desinformación con las familias. Los muertos no convienen al negocio y menos aún las pateras que desaparecen en el océano.

    Puede que sea el caso que está viviendo Omar Sokhona, un mauritano que llegó en patera a Fuerteventura en 2006. Desde hace años reside en Francia y ahora busca a su hermano Saliya y a su primo Fodie, dos veinteañeros de los que solo sabe que se subieron a un cayuco en Nuadibú con 52 personas más el siete de septiembre. Lleva semanas telefoneando al pasador que los embarcó y siempre obtiene la misma respuesta: un cayuco con 54 personas llegó a Gran Canaria el 10 de septiembre, será el de su hermano.

    A Omar le consta que un cayuco no tarda tres días desde Nuadibú a Gran Canaria, sino bastantes más. «Son otros motores», se excusó el traficante. «¿Y por qué no ha llamado nadie?», insistió. «Estarán detenidos, con la COVID ahora pasan muchos días en los campamentos», se defendió. Ahora, ya ni responde a sus mensajes.

    No ignora Omar que nadie está tres meses detenido en España sin llamar a casa. Ni tampoco que es poco probable que ni una sola de 54 personas contacte con su familia. Se barrunta lo que le ha pasado a su hermano, pero le duele asumirlo e, incluso, tiene engañada a su madre en Mauritania. «Sufre por dentro», reconoce. Y, de momento, alienta sus esperanzas con el cuento de la cuarentena sin fin.

    Como decía el abogado Arencibia, no se atreve a dar por muerto a su hermano sin que al menos alguien le confirme en España que no está entre los 21.500 que han llegado a Canarias. Su familia en Valencia sí ha optado por denunciar la desaparición ante la Policía.

    En esa ciudad vive otro de los primos Sokhoma, Alí. «Yo pienso que están muertos, que se han perdido o que su barca se hundió», admite Alí, que hizo la travesía en cayuco a Canarias dos veces (2006 y 2007). «Mi familia está fatal, si no ven los cuerpos, no van a descansar».

    Los Sokhoma se enteraron de que Saliya y Fodie habían intentado «el viaje» a posteriori, porque ninguno contó nada. Es común, aclara Teodoro Bondjale, secretario de la Federación de Asociaciones Africanas de Canarias (FAAC): la mayoría de los jóvenes que ahora se suben al cayuco no comparten sus planes con su familia, porque saben que se lo impedirían o intentarían disuadirlos.

    Bondjale está asustado con las dimensiones que está cobrando el problema. Lo nota por el volumen de llamadas que reciben en la FAAC preguntando por chicos desaparecidos, la mayoría hechas por familiares en África, pero también por parientes en Europa o Estados Unidos. En una de las últimas que atendió, no se atrevió a decir a una mujer senegalesa residente en Massachussets que buscaba a su hermano lo evidente, «que muchas pateras se hunden, desaparecen en el Atlántico». «No quise desesperarla más», se excusa.
    15 saquitos de huesos

    En el cementerio de Agüimes, una pequeña oración enmarcada, un rosario y unas flores que los parroquianos van renovando de cuando en cuando ofrecen algo de dignidad a los nichos 3.325 a 3.339, tapiados solo con ladrillos y cal, sin ningún signo ni sigla que identifique a sus ocupantes, de los que poco se sabe.

    Solo que allí yacen quince jóvenes subsaharianos a los que encontraron en un cayuco a la deriva a 160 kilómetros de las islas el 19 de agosto, cuando llevaban más de una semana muertos y estaban reducidos a poco más que piel y huesos. Posiblemente, eran los últimos de una lista de ocupantes aún mayor, nunca se aclarará.

    Los enterraron casi en solitario el 26 de septiembre, solo estaban con ellos Teodoro Bondjale, el diputado Luc André Diouf (expresidente de la FAAC), el sepulturero y el párroco del pueblo, Miguel Lantigua, que rezó por sus almas, consciente de que lo más seguro era que no compartieran su fe y en unos momentos muy dolorosos para él, porque no se le iban de la cabeza las familias.

    «Tiene que ser muy duro. Han puesto todas sus esperanzas en esa persona que vino por el futuro económico de la familia y ni siquiera tienen noticia de lo que ha pasado. Es muy duro pensar en las familias, en ellos y en cómo murieron», reconoce el cura.

    La directora del Instituto de Medicina Legal de Las Palmas, la forense María José Meilán, sí sabe cómo fallecieron: de hambre y sed tras muchos días perdidos en el océano. Estuvo en las autopsias y no se le olvidan. «Fue terrible. Eran un manojo de huesos».

    «Impresionaba ver cadáveres que pesaban 30 o 40 kilos. Eso da una idea del tiempo que pasaron sin comer ni beber, a la deriva, y de los días que llevaban fallecidos. Hablamos de chicos fuertes, que por su estatura y complexión pesarían 70-80 kilos, mínimo», apunta.
    Cápsulas de ADN

    El Instituto de Medicina Legal de Las Palmas conserva muestras de ADN de un centenar de inmigrantes muertos en esta zona de Canarias desde 2008 que están pendientes de identificar, 34 solo de este año.

    Desde enero, lo hace siguiendo un protocolo que comparte con Cruz Roja Internacional: cada muestra de ADN tiene asociadas además datos físicos del difunto, el lugar donde fue hallado, los detalles de su patera, fotos de su rostro y de cualquier detalle del cuerpo que pueda ser identificativo (como un tatuaje) y hasta una ficha dental.

    La idea, explica Meilán, es que Cruz Roja recoja peticiones en África de familias que tengan la sospecha de que un pariente suyo puede estar enterrado en Canarias, para hacer una comparación genética. El sistema solo está empezando y necesita rodaje, dice la forense, pero ya hay dos expedientes abiertos con familias que creen que el último rastro de sus hijos o hermanos están ese banco de ADN.

    La Universidad John Moore de Liverpool trabaja en un proyecto complementario: la reconstrucción forense de los rostros de los inmigrantes a partir de fotos de sus cadáveres o incluso del escaneo de su cráneo. Lo impulsa una investigadora de Fuerteventura, María Castañeyra, integrante del equipo de Caroline Wilkinson, que consiguió ponerle cara a personajes como Ramses II o Ricardo III.

    Quizás esa técnica podría devolver un atisbo de identidad a los 39 inmigrantes que Valentín Afonso enterró en Mogán entre 2006 y 2009 sin más identificación que un número. Hoy descansan en cajitas individuales numeradas en la fosa común, con la esperanza aún abierta de que alguien algún día los reclame, aunque hasta la fecha solo haya pasado por allí una mujer con ese afán, en 2007.

    «Era una señora de Senegal, sabía que su hijo había muerto, pero no sabía más. Vino aquí a rezar en la tumba de los inmigrantes», recuerda este sepulturero, ya jubilado, que acabó tan implicado en aquella experiencia que acogió como a un hijo a un chico maliense con una experiencia terrible en el cayuco, Mamadú. Hoy Valentín tiene dos nietas de piel morena que alborotan su jubilación.

    https://www.eldiario.es/canariasahora/sociedad/oceano-tumbas-anonimas_1_6561824.html
    #mourir_en_mer #asile #migrations #réfugiés #Canaries #îles_Canaries #Espagne #frontières #décès #morts #2020 #statistiques #chiffres #cimetière #Agüimes #mourir_aux_frontières #María_José_Meilán #Valentín_Afonso #route_Atlantique #Océan_atlantique #Teodoro_Bondjale

  • Medios aéreos y marítimos como plan de choque del Gobierno de España para «bloquear la salida de cayucos y pateras» hacia Canarias

    La ministra de Política Territorial anuncia que el Estado contará con dos buques oceánicos, una patrullera de altura, un avión, un helicóptero y una embarcación sumergida en la ruta atlántica.

    La ministra de Política Territorial del Gobierno de España, Carolina Darias, ha anunciado este viernes en su visita a Tenerife las medidas extraordinarias adoptadas desde el Ejecutivo nacional en un plan de choque para acabar con la crisis migratoria que atraviesa Canarias. Las llegadas en pateras y cayucos a Europa por Canarias suponen el 57% del total de llegadas al continente. Por ello, el Ministerio del Interior, de Exteriores, de Migraciones y de Política Territorial, en coordinación con la Vicepresidencia segunda del Gobierno estatal, han elaborado un decálogo de medidas para gestionar la situación migratoria en las Islas. Según la ministra, se trata de un «refuerzo» a las medidas ya existentes que intentan dar respuesta al fenómeno migratorio. Un fenómeno que tiene naturaleza «estructural» y que la pandemia ha complicado aún más. «La ruta atlántica ha vuelto a coger muchísima fuerza», subraya Darias, que fue subdelegada del Gobierno en el Archipiélago en 2006, durante la conocida como crisis de los cayucos.

    El Gobierno de España ha decidido apostar por reforzar a las fuerzas y cuerpos de seguridad del Estado y la vía diplomática con los países de origen para evitar que los migrantes salgan en patera o cayuco del continente africano hacia Europa. El Ejecutivo pretende reforzar la política de cooperación para mejorar las condiciones de vida de las personas en sus países de origen a través de una «respuesta conjunta y coordinada con la Unión Europea». «Tenemos que ser altamente sensibles y hacer políticas responsables porque estamos hablando de seres humanos. Debemos hacer pedagogía y rechazar cualquier manifestación xenófoba, porque Canarias nunca ha sido racista y no lo puede ser», apuntó.
    Ministerio del Interior

    Las medidas implantadas por el Ministerio del Interior, dirigido por Fernando Grande-Marlaska, pretenden «acabar con la inmigración irregular». La línea principal de actuación pasa por el refuerzo de la cooperación efectiva con los países emisores. «Vamos a contar con dos buques oceánicos, una patrullera de altura, un avión, un helicóptero y una embarcación sumergida», anuncia Darias.

    La agencia Frontex permanecerá hasta el 21 de enero de 2021 va a colaborar con el despliegue de equipos en Gran Canaria para reforzar las labores de la Policía: «Es nuestro objetivo combatir a las redes que trafican con personas». Además, el Gobierno de España está negociando con Senegal y con Frontex desplegar medios aéreos en la ruta atlántica.

    Interior va a instalar un Centro de Atención Temporal de Migrantes (CATE) en Barranco Seco que permita a la Policía Nacional contar con un espacio adecuado para realizar la reseña policial de los migrantes. Hasta el momento, el Ejército de Tierra ha instalado 23 tiendas de campaña para albergar a unas 800 personas.

    Darias ha anunciado que el ministro del Interior realizará una visita el próximo 20 de noviembre a Marruecos. Este será el séptimo viaje al país que haga Grande-Marlaska.

    Asimismo, Darias ha celebrado que se retomen las conexiones con Mauritania que permitan deportar migrantes. El pasado martes tuvo lugar el primer vuelo de deportación tras la pandemia, en el que 22 personas fueron expulsadas de Gran Canaria. De ellas, solo una era nacional mauritana. Esa misma noche, las autoridades de Mauritania confirmaron que expulsarían también de Nouakchot a las personas llegadas desde Canarias. «El Gobierno pondrá énfasis en la deportación de las personas que no estén en situación de vulnerabilidad. Las que sí lo están han sido derivadas poco a poco a la Península», asegura. Sin embargo, afirmó que no contaba con datos sobre el número de traslados al territorio peninsular desde las Islas que se han dado este año.
    Ministerio de Asuntos Exteriores

    El Gobierno de España incrementará en 500 millones de euros el presupuesto destinado a la cooperación, contando con una partida de 3.100.000 euros. Además, la ministra Arancha González visitará Senegal antes de que acabe el año.
    Ministerio de Migraciones

    El Ministerio de Defensa ha cedido el espacio de El Matorral, en Fuerteventura, al Ministerio de Migraciones y a Interior. En Tenerife, el Ejército de Tierra instala ya un nuevo espacio cedido por Defensa en Las Raíces, que se suma al acuartelamiento de Las Canteras. Es una capacidad alojativa «amplia», ha dicho Darias.

    En Gran Canaria, además del CATE del antiguo polvorín de Barranco Seco, el Colegio León de Las Palmas de Gran Canaria se abrirá como espacio de acogida «en cuestión de días». «El objetivo es que la imagen de Arguineguín no se vuelva a repetir», ha aseverado la ministra. Carolina Darias ha querido agradecer a las corporaciones locales su predisposición a colaborar con el Estado en la gestión de la acogida. Sin embargo, la ministra no ha dado una fecha concreta para el desmantelamiento del muelle. «Cuanto antes», ha respondido. «Ya han visto lo rápido que hemos instalado el CATE de Barranco Seco», defendió. Así, preguntada por los medios sobre la lentitud del Ministerio de Defensa para habilitar nuevos espacios, Darias ha defendido que «las personas que están en el muelle no son las mismas que hace unos meses». «Se ha intentado desalojar, pero las llegadas han sido frecuentes», justifica.

    Respecto a las carencias en la asistencia letrada de las personas que han llegado a las Islas en los últimos meses, la ministra ha asegurado que el Gobierno de España cumple con esta obligación. Pero ha justificado que «la intensa llegada» de migrantes ha provocado «algunas dificultades».

    El presidente del Gobierno de Canarias, Ángel Víctor Torres, ha recordado en su intervención a las personas que han muerto intentando llegar al Archipiélago. Este viernes, Senegal ha convocado una jornada de duelo a iniciativa de la población en memoria de las 480 personas que han fallecido o desaparecido rumbo a Europa.

    Torres incidió en la necesidad de cumplir con los derechos de asilo de la población migrante. «La gente que llega a Canarias en cayucos y pateras llega a Europa», reivindicó el presidente canario, apelando a la necesidad de crear corredores humanitarios con el continente. Una práctica a la que ya se comprometió la comisaria europea Ylva Johansson durante su visita al Archipiélago.

    «La llegada de inmigrantes ha sido utilizada por algunos partidos políticos para promover una fobia hacia los extranjeros», ha leído Torres, compartiendo la carta publicada por los obispos de Canarias este jueves para combatir la xenofobia y el racismo. «Es verdad que la inmigración es un fenómeno complejo, pero forma parte de nuestra historia», concluyó el presidente.

    https://www.eldiario.es/canariasahora/migraciones/gobierno-espana-anuncia-nuevas-medidas-evitar-salida-cayucos-pateras-canari

    #Canaries #îles_canaries #militarisation_des_frontières #asile #migrations #réfugiés #contrôles_frontaliers

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    Résumé de Raphaëla Laspalmas via la mailing-list Migreurop (14.11.2020):

    Le gouvernement espagnol va munir les Canaries de nouveaux moyens : 2 navires, un bateau de patrouille « en haute altitude » (pas sûre de la traduction), un avion, un hélicoptère et un sous-marin.
    Selon l’article, les arrivées en bateaux de fortune vers l’Europe par les Canaries supposent 57% du total des arrivées sur le continent ( à vérifier)
    Le gouvernement espagnol négocie avec le #Sénégal et #Frontex de nouveaux #moyens_aériens sur la #route_atlantique.
    Les autorités mauritaniennes ont annoncé qu’elles expulseraient à leur tour les migrants d’autres nationalités déportés sur son sol.
    500 millions d’euros du gouvernement espagnol pour la coopération (la nature de ladite coopération n’est pas précisée...).
    Les autorités reconnaissent des failles dans l’assistance juridique et s’en défausse sur le nombre d’arrivées.

    #Mauritanie #Espagne

  • Tourists in #Gran_Canaria are left stunned as 24 migrants including three children and a pregnant woman in a rickety boat land on popular beach on the holiday isle

    Tourists in Gran Canaria were left stunned today when 24 migrants including three children and a pregnant woman landed in a rickety boat on a popular beach.

    Sunbathers in the Canary Islands joined forces with emergency workers to give water, food and clothes to migrants who arrived unexpectedly on the rocky shores of Aguila beach, in San Bartolome de Tirajana.

    Exhausted, cold and some seemingly in a state of shock after weathering the Atlantic, the two dozen migrants were given thermal blankets and towels by rescue workers as they were finally able to rest on the beach.

    Red Cross officials said the migrants, who were from northern and sub-Saharan Africa, told them of six days spent navigating at times rough waters. ’It was a really tough journey,’ Jose Antonio Rodriguez of the Red Cross said.

    The group included 12 men, eight women and three children - six of whom were treated at a local hospital. None were reported to be in serious condition.

    Sunseekers, who ranged from tourists visiting the island to locals, sprang into action after the boat arrived, he said.

    ’They were the first ones to help out, giving them food, water and milk for the babies after they saw how hungry they were,’ he said. ’They also gave clothing as the migrants were soaking wet.’

    In the extraordinary incident, one woman cradled a weary migrant in her lap as another swimsuit-clad woman gave her water. Another used his beach towel to keep her feet warm.

    Photographs show the migrants wrapped in gold emergency blankets and laying on the rocky beach as rescue service members work to provide them with bottles of water and sandwiches.

    British holidaymakers Gavin and Bernadette Rodgers witnessed the landing while on a dolphin watching trip during their pre-Christmas break to the island, which is located off the northwest coast of Africa.

    The pair had paid 30 euros for the trip, which set off from Puerto Rica on Gran Canaria with a small group of German and British tourists. An hour and a half into the two hour trip, the tour hadn’t seen a single dolphin.

    ’We were all scanning the sea, almost giving up hope. Suddenly a crew member came up on deck and said we had drifted very close to the coast of Africa,’ Mrs Rodgers said. ’They had been alerted by the coast guard that we needed to be vigilant in case we encountered a boat from there.

    ’Strangely my first thought was we might be about to be kidnapped by armed pirates. But the crewman said no, it was a boatful of immigrants heading for Europe who may have been drifting for days. I was relieved and gratified. We can rescue help these people and bring them to safety.’

    Some 27,594 migrants had arrived in Spain this year by mid-November, according to data from the Interior Ministry, a decrease of more than 50 per cent from the same period last year.

    The popular tourist destination of the Canary Islands, however, has seen an increase of 22 per cent in arrivals, with 1,493 migrants arriving so far this year by mid-November.

    https://www.dailymail.co.uk/news/article-7739717/Tourists-Gran-Canaria-left-stunned-24-migrants-rickety-boat-land-popula
    #tourisme #migrations #photographie #route_atlantique

    J’ajoute du coup à cette métaliste sur le lien entre migrations et tourisme:
    https://seenthis.net/messages/770799

    ping @reka @isskein

    • Bañistas de una playa de Gran Canaria auxilian a 24 inmigrantes que desembarcaron en patera

      Las llegadas de inmigrantes a las Islas Canarias han aumentado un 22% en 2019 y ya rozan las 1.500.

      Las imágenes de inmigrantes en pateras son habituales en la costa española, aunque a veces la tragedia deja un hueco para la esperanza. Este viernes desembarcaron 24 personas en la playa del Águila, en el sur de Gran Canaria, y los bañistas que disfrutaban del sol de la isla se lanzaron a socorrerlas. Entre los viajeros, que llegaron todos con vida, había seis menores de edad y dos mujeres embarazadas. Las llegadas a las costas canarias han aumentado más de un 20% en 2019.

      El otoño no existe en las playas de Maspalomas. Mientras los bañistas disfrutaban de unos agradables 27 grados, una embarcación con inmigrantes magrebíes y subsaharianos alcanzó la pedregosa costa. Los integrantes de la patera, un grupo de tres bebés, tres niños, 10 varones y ocho mujeres, desembarcaron por sus propios medios en la orilla. Los bañistas, que observaban la escena estupefactos, ayudaron de inmediato, incluso antes de que los servicios de emergencia llegasen para entregar agua, alimentos y ropa de abrigo a los inmigrantes. Algunos de los usuarios de la playa se pusieron de acuerdo para ir a un supermercado cercano y comprar leche y biberones para los más pequeños, y embutidos, pan y yogures para los demás.

      Aunque no se produjeron víctimas, 13 inmigrantes fueron derivados a distintos centros sanitarios porque presentaban síntomas de deshidratación, mareos o cuadros de vómitos, según informó Efe. Los viajeros pasaron cinco días en el mar y algunos de ellos trataron de huir al alcanzar la playa, con escaso éxito. Uno de los bebés tuvo que ser evacuado al Hospital Materno-infantil de Las Palmas de Gran Canaria.

      Más de 27.000 inmigrantes han llegado a España en lo que va de 2019, menos de la mitad que el año pasado, según el Ministerio del Interior. Sin embargo, Canarias ha experimentado un aumento del 22%. A principios de noviembre, nueve inmigrantes murieron tras volcar una patera en Lanzarote. El archipiélago, que durante el otoño y el invierno supone una opción muy atractiva para muchos turistas españoles y extranjeros que escapan del frío continental, se ha convertido en una ruta al alza entre quienes se echan al mar con la ilusión de alcanzar suelo europeo. No todos lo consiguen.

      https://elpais.com/politica/2019/11/29/actualidad/1575040711_248908.html
      #Canaries #îles_canaries

  • Mort de neuf migrants après un #naufrage au large de l’île espagnole de #Lanzarote

    Neuf migrants ont été retrouvés morts au large de Lanzarote après le naufrage de leur embarcation prise dans une forte houle alors qu’ils tentaient de rejoindre cette île des Canaries. Deux autres personnes sont toujours portées disparues.

    Neuf migrants sont morts après le naufrage au large de l’île espagnole de Lanzarote, aux Canaries, de leur embarcation renversée par de fortes vagues, ont indiqué jeudi 7 novembre les autorités de l’archipel. Deux autres migrants sont toujours portés disparus.

    Ce bilan s’est alourdi jeudi après la découverte de quatre nouveaux corps, ont indiqué les autorités locales. Mercredi, cinq corps avaient été retrouvés « en dépit des difficultés dues à la forte houle, responsable du renversement de l’embarcation", avait expliqué l’administration locale de Lanzarote, dans un communiqué.

    "Il y a neuf personnes décédées, en plus des quatre secourues en vie", a indiqué à l’AFP un porte-parole du gouvernement local de Lanzarote, île située au large des côtes marocaines, dans l’océan Atlantique. "Selon certains survivants, quinze personnes étaient à bord de l’embarcation et les services d’urgence continuent de fouiller la zone", a ajouté le porte-parole.

    Les recherches se poursuivaient jeudi avec deux hélicoptères et plusieurs bateaux, en dépit des conditions météorologiques très difficiles "avec des vagues de quatre ou cinq mètres", avait plutôt affirmé Isidoro Blanco, porte-parole des services d’urgence de Lanzarote.

    Selon le récit des rescapés, la quinzaine de personnes aurait pris la mer vendredi. Aucune information n’a été donnée sur leur pays d’origine ni leur identité.

    Selon les chiffres publiés par l’Organisation internationale pour les migrations (OIM) de l’ONU, au moins 80 personnes sont mortes ou portées disparues, après avoir tenté de parvenir aux Canaries depuis le nord-ouest de l’Afrique en 2019.

    https://www.infomigrants.net/fr/post/20690/mort-de-neuf-migrants-apres-un-naufrage-au-large-de-l-ile-espagnole-de
    #décès #migrations #réfugiés #Lanzarote #Atlantique #océan_atlantique #mourir_en_mer #Canaries #routes_migratoires #itinéraires_migratoires #route_atlantique

    • La côte atlantique, nouveau point de départ de jeunes marocains

      Ces dernières semaines, plusieurs embarcations transportant des jeunes marocains sont parties des villes de Salé, Casablanca, ou encore Safi, pour rejoindre le sud de l’Espagne ou les Canaries. Pour Ali Zoubeidi, docteur en droit public, spécialiste dans le trafic illicite de migrants au Maroc, les départs depuis ces villes situées sur la côte atlantique du pays sont nouveaux, et révèlent le désarroi d’une jeunesse qui, faute de perspectives, se tourne vers un « eldorado » européen.
      Entre fin septembre et début octobre, les corps de 16 personnes ont été repêchés au large de Casablanca, au nord-ouest du Maroc. Les victimes, tous de jeunes marocains, étaient montées à bord d’une embarcation pneumatique, espérant rejoindre le sud de l’Espagne par l’océan Atlantique. Sur la soixantaine de personnes qui se trouvaient à bord, seules trois ont survécu.

      Quelques semaines plus tard, une vidéo publiée sur les réseaux sociaux fait le tour de la presse marocaine. Elle montre Anouar Boukharsa, un sportif marocain détenteur de plusieurs prix de taekwondo régionaux et nationaux, lancer sa médaille à la mer depuis un bateau de fortune en direction des Canaries. Parti de la plage de Souira, au sud de la ville de Safi, avec une dizaine de jeunes marocains comme lui originaires de la région, il est arrivé le 23 octobre à Lanzarote, une île de l’archipel espagnol, après quatre jours de voyage.

      Si le Maroc est devenu ces dernières années une route migratoire majeure, avec des départs s’organisant le plus souvent depuis la côte méditerranéenne, ces deux événements illustrent la présence d’autres points de départ se situant du côté Atlantique. Ali Zoubeidi, docteur en droit public spécialiste dans le trafic illicite de migrants au Maroc, travaille sur l’émergence de ces nouvelles traversées. Il répond aux questions de la rédaction d’InfoMigrants.

      Les départs depuis la côte atlantique du Maroc sont-ils nouveaux ?

      La route atlantique depuis le sud du pays en direction des Canaries avait déjà été réactivée, avec des points de départ dans la région de Tiznit, ou près de Dakhla. On connaissait déjà aussi la route du nord, avec des embarcations qui partent des villes d’Asilah ou de Larache, sur la côte atlantique, pour rejoindre la mer Méditerranée puis le sud de l’Espagne.

      Mais ce que l’on voit émerger maintenant, et c’est très récent, ce sont des points de départ dans le centre, à partir de villes comme Safi - d’où est parti le champion de taekwondo - pour aller aux Canaries, ou de Salé et de Casablanca pour rejoindre la Méditerranée et ensuite le sud de l’Espagne. Ce sont des trajets de plusieurs jours, très dangereux, à bord d’embarcations de pêche traditionnelles ou de bateaux pneumatiques qui sont mis à l’eau sur des plages sauvages, par exemple à Souira, au sud de Safi.

      Les points de départ au sud concernent à la fois des Marocains et des migrants originaires d’Afrique subsaharienne. Ces derniers se retrouvent pour certains au sud du pays après avoir été refoulés du nord par les autorités. [Les autorités marocaines avaient commencé en août 2018 à refouler de force des migrants vers le sud du pays afin de les « soustraire aux réseaux mafieux » du nord, NDLR.]

      Au centre, depuis Safi, Salé, ce sont surtout de jeunes marocains qui partent vers l’Europe.

      Comment expliquer ces départs de jeunes marocains ?

      Même s’il n’y a pas encore de chiffres et données précises sur les départs depuis ces nouvelles zones, ce que l’on observe, c’est vraiment le désespoir de la jeunesse marocaine. Ce sont souvent des jeunes qui décident de quitter le pays en trouvant l’issue la plus proche pour atteindre l’Europe, « l’eldorado ». Dans les vidéos qui sont apparues ces dernières semaines, on a vu plusieurs personnes originaires de Safi partir du sud de leur ville, dont des sportifs. Certains jettent à l’eau leurs médailles, d’autres leurs diplômes. C’est révélateur d’une absence de perspectives pour la jeunesse marocaine, tant au niveau économique, de la santé, qu’au niveau sportif et culturel. Ils savent qu’ils peuvent mourir pendant le trajet, mais ils ne se posent pas la question de ce qu’il pourra ensuite se passer une fois en Espagne.

      C’est vraiment présenté comme une aventure, un challenge entre jeunes. Ce sont aussi des jeunes qui souffrent de l’absence de voie légale d’immigration. Ils se voient refuser des visas pour des raisons économiques, même quand il s’agit pour eux simplement de faire du tourisme ou d’effectuer un déplacement temporaire. Et puis, il y a la mise en scène. On fait des vidéos pendant le passage irrégulier, on se vante pour montrer qu’on y arrive, on fait des dédicaces à sa famille, ses amis : c’est le moment où l’on peut dire « j’ai réussi quelque chose ». Et cela devient un facteur d’attraction pour d’autres. C’est aussi de la publicité dont se servent ensuite les réseaux mafieux.

      Comment s’organisent ces départs ? Quels sont les dangers ?

      Je dirais qu’il y a vraiment des réseaux criminels impliqués dans environ 85% des cas. Le reste étant des amateurs qui s’auto-organisent. Je soulignerais aussi l’importance de la communauté locale, des gens qui habitent sur la côte : dans les quartiers populaires, des pêcheurs sont impliqués. Il y a également des opportunistes, qui n’y connaissent rien, qui prennent contact avec des jeunes via les réseaux sociaux et les arnaquent. Début septembre, pour le cas du naufrage au large de Casablanca d’une embarcation qui se dirigeait vers le sud de l’Espagne, il s’agissait clairement d’une arnaque. Il est extrêmement compliqué de rejoindre les côtes espagnoles depuis Casablanca.

      Il y a également eu le cas de migrants qui avaient été mis dans une embarcation et emmenés d’une côte marocaine à une autre. On leur avait dit de rester cachés pour ne pas être repérés. Au-delà des arnaques, ce sont des routes très dangereuses, autant lorsqu’on part du centre vers les Canaries que du centre vers le sud de l’Espagne. Et, souvent, les jeunes qui partent n’ont pas le réflexe de penser à des numéros de secours qu’ils pourraient appeler en cas de détresse.

      La vidéo du champion de taekwondo, et deux jours avant la photo d’un ancien footballeur lors de sa traversée, sont des signaux d’alarme pour le pays. Le Maroc renforce ses capacités et forme des acteurs à lutter contre ces départs et ces réseaux. Mais il faudra aussi des programmes pour travailler sur les causes profondes qui poussent ces jeunes à partir.

      https://www.infomigrants.net/fr/post/20425/la-cote-atlantique-nouveau-point-de-depart-de-jeunes-marocains

      #migrants_marocains #jeunes #jeunesse #Asilah #Larache #Salé #Casablanca #Safi

    • Casi 60 muertos en el naufragio de una patera que venía a Canarias

      Al menos 57 inmigrantes de varias nacionalidades han muerto tras naufragar este miércoles su embarcación en aguas del Atlántico a la altura de #Nuadibú (470 kilómetros al norte de Nuakchot), en Mauritania.

      Al menos 57 inmigrantes de varias nacionalidades han muerto tras naufragar este miércoles su embarcación en aguas del Atlántico a la altura de Nuadibú (470 kilómetros al norte de Nuakchot), en Mauritania, según fuentes policiales en esta ciudad.

      Otros 74 ocupantes de esa misma patera lograron salir con vida tras nadar hasta llegar a la costa de Mauritania, y fueron ellos los que dieron detalles del naufragio.

      La embarcación había partido el pasado jueves desde las costas de Gambia con destino a las Islas Canarias, llevando a bordo un total de 150 ocupantes de distintas nacionalidades.

      La embarcación, que al parecer viajaba siempre cerca de las costas, golpeó un arrecife y volcó; una vez en el agua, solo los que sabían nadar pudieron llegar hasta la costa y salvar la vida.

      Tras encontrar a los supervivientes, las autoridades mauritanas les llevaron hasta un lugar seguro de Nuadibú, donde les proporcionaron cuidados, víveres, ropa y mantas.

      No hay esperanza de encontrar a nuevos supervivientes, según las fuentes, pero continúa el rastreo para tratar de encontrar los cadáveres, que en algunos casos han sido arrojados a tierra por el oleaje.

      Estos últimos serán enterrados esta misma noche en un lugar al exterior de la ciudad.

      https://www.laprovincia.es/sucesos/2019/12/04/60-muertos-naufragio-patera-iba/1233464.html
      #Mauritanie

    • Il naufragio di ieri al largo delle coste mauritane in cui 60 migranti hanno perso la vita mi ha riportato indietro al 2006, quando più di 50.000 migranti avevano intrapreso la rotta delle Canarie con un tragico bilancio di più di 5000 morti nell’Oceano Atlantico.
      In quegli anni andavo spesso alle Canarie per capire quello che succedeva. Su quelle isole e a Melilla, ho cominciato a lavorare sulle politiche di esternalizzazione.
      Che i migranti partano sempre più a sud, dal Gambia questa volta, sapendo che il viaggio é lunghissimo (più di 10 giorni di traversata) e pericolosissimo, si spiega anche con il tentativo di chiusura totale delle altre rotte, quella libica e marocchina, da parte della UE e per la presenza delle navi di Frontex al largo delle coste senegalesi e mauritane.

      https://www.facebook.com/photo.php?fbid=10220667545986599&set=a.1478670974789&type=3&theater

      #Sara_Prestianni #Gambie

    • Mauritanian coast guard intercepts boat carrying around 190 migrants, IOM says

      A boat carrying around 190 migrants was intercepted by the Mauritanian coast guard on Friday, the UN migration agency said. This comes less than two days after 63 migrants drowned when their vessel sank in the same waters en route from The Gambia. The country’s president has vowed to crack down on people traffickers.

      After the recovery of five additional bodies, the death toll from last Wednesday’s sinking of a fishing boat rose to 63 over the weekend, according to news agencies AP and dpa. The boat was headed northward toward Spain’s Canary Islands from the small coastal town of Barra in the Gambia.

      The International Organization for Migration (IOM) said at least 150 people were traveling on the boat. According to one of the survivors, the boat may have been carrying up to 200 people, as rfi reported. Around 80 survived by swimming ashore.

      Separately, the Mauritanian coast guard on Friday intercepted a vessel carrying around 190 Gambian migrants headed for Spain’s Canary Islands, a Mauritanian security source told news agency AFP.

      Initial estimates said the boat was carrying between 150 and 180 migrants. They are in the process of being identified by the local authorities, said Laura Lungarotti, chief of the IOM in Mauritania.

      Uptick in attempted crossings

      The incidents are indicative of a resurgence in the number of people willing to risk the perilous and poorly monitored sea passage along West Africa’s coast to Spain’s Canary Islands, which was a major route for those seeking jobs and a better life in Europe until Spain stepped up patrols in the mid-2000s, Reuters writes.

      “It is part of this trend of an increasing number of people passing through this route because the central Mediterranean route has been stopped due to the Libya situation,” Lungarotti told Reuters.

      In Italy, the number of migrant arrivals dropped significantly after the Italian government focused its policies on stopping migration to its shores from Libya in 2016.

      From January to December this year, some 14,000 people arrived irregularly in Europe via the central Mediterranean route, down from nearly 25,000 in 2018.

      Recently, however, there has been a rise in migrant boats departing from Libya: In late November, at least 9 boats with more than 600 migrants on board were discovered on the central Mediterranean route in only 48 hours, according to IOM.

      The Canary Islands are located roughly 1,000 kilometers north of Mauritania’s capital on the Atlantic coast, Nouakchott, and some 1,600 kilometers north of the capital of The Gambia, Banjul.

      According to IOM, some 158 people are known to have died trying to reach the Canary Islands so far this year. That’s almost four times as many as last year, when 43 people died.

      ’National tragedy’

      “To lose 60 young lives at sea is a national tragedy and a matter of grave concern to my government,” Gambian President Adama Barrow said on national television. “A full police investigation has been launched to get to the bottom of this serious national disaster. The culprits will be prosecuted according to law,” AFP cited Barrow as saying.

      Last Wednesday’s sinking off Mauritania with at least 63 deaths was one of the deadliest incidents along this route in recent years. According to IOM, it is the largest known loss of life along the so-called western migration route this year, and this year’s sixth deadliest migrant capsizings globally.

      The boat was attempting to reach the Canary Islands when their boat hit a rock. 87 people survived the disaster by swimming ashore, IOM said.

      President Barrow further said funds had been sent to Mauritania to cater to the immediate needs of the survivors admitted to hospital and to finance their repatriation. According to IOM, more than 35,000 Gambian migrants left the small country of just over 2 million and arrived in Europe between 2014 and 2018.

      The Gambia to crack down on traffickers

      On Saturday, Barrow vowed to punish people traffickers as the country mourned the deaths of the Europe-bound migrants. Barrow pledged to “fast track prosecution of cases involving human trafficking.” Law enforcement officials were “instructed to increase surveillance and arrest... criminals involved in human trafficking,” he said.

      A 22-year oppressive rule of former President Yahya Jammeh, Barrow’s predecessor, adversely affected the country’s economy. This contributed to the high number of people trying to migrate to Europe, many of whom ended up stranded in Libya and Niger. Since Jammeh was forced to cede power in 2017, however, some Gambians have started to return.

      In regards to the boat intercepted by the Mauritanian coast guard on Friday, Barrow said “Arrangements have been made to transport them” back to Banjul.

      https://www.infomigrants.net/en/post/21407/mauritanian-coast-guard-intercepts-boat-carrying-around-190-migrants-i

    • Una patera con 26 personas llega a #Tenerife y otras 152 son rescatadas en Alborán y cerca de Gran Canaria

      Salvamento Marítimo traslada este sábado al puerto de Almería a 49 varones que habían quedado aislados dos días por el mal tiempo.

      Una embarcación de Salvamento Marítimo ha rescatado esta noche a una patera con al menos 26 inmigrantes a 50 millas (92 kilómetros) de la isla de Gran Canaria. El equipo de emergencias ha trasladado a los ocupantes de la embarcación precaria al puerto de Arguineguín, una localidad del municipio de Mogán (Gran Canaria) de unos 2.500 habitantes. En otra operación en el mar de Alborán han sido rescatadas 126 personas, de las que 49, todos varones, estaban aislados desde la tarde del pasado jueves en la isla de Alborán por el mal tiempo.

      Según la agencia Efe, que cita fuentes del servicio 112 de Canarias, los rescatados cerca de Gran Canaria son 22 hombres y cuatro mujeres. Según Europa Press, que atribuye la información a fuentes de Cruz Roja, son 24 varones, uno de ellos menor de edad, y cuatro mujeres, entre las que hay una embarazada. Además, otra patera con 26 migrantes de origen subsahariano ha llegado esta madrugada al muelle de Los Abrigos de Granadilla de Abona, un municipio de Tenerife de unos 48.400 habitantes. De estos, nueve son hombres —hay un menor de 16 años— y 17 mujeres, entre las que hay una embarazada y una niña de cinco años.

      Una vez en tierra, el Servicio de Urgencias Canario (SUC) y Cruz Roja asistieron a los ocupantes de las dos pateras, todos en aparente buen estado de salud. Sin embargo, al menos cuatro personas de la patera rescatada a 50 millas de Gran Canaria han tenido que ser derivados a centros sanitarios por patologías leves. De la otra infraembarcación, tres inmigrantes han sido trasladados a ambulatorios por el mismo motivo.

      La operación en aguas de Alborán comenzó en la mañana de este sábado cuando la embarcación Salvamar Spica ha emprendido rumbo a la isla de Alborán para recoger a 49 varones, según ha informado un portavoz de Salvamento Marítimo a Efe . Estos hombres llegaron a la isla de Alborán en patera el pasado jueves sobre las 18.30 horas pero su traslado había sido imposible por el mal tiempo.

      Cuando la Salvamar Spica se dirigía en su búsqueda, el destacamento naval de la Armada en Alborán ha alertado al centro coordinador de Salvamento Marítimo del avistamiento de otra patera a media milla náutica (unos 900 metros) de la isla de Alborán.

      La Salvamar Spica ha recogido a 77 personas, entre ellas 21 mujeres y cuatro menores, de esta patera y posteriormente ha transbordado a los 49 varones llegados a la isla de Alborán y que fueron atendidos desde el jueves por el destacamento naval de la Armada.

      La embarcación de rescate se dirige hacia el puerto de Almería, al que está prevista su llegada sobre las 19.10 horas.

      El aumento de las llegadas de inmigrantes a Canarias ha llevado al colapso a los centros de acogida en esta comunidad. La falta de plazas en los albergues, dependientes de la Secretaría de Estado de Migraciones, ha llegado a tal punto que se han tenido que habilitar habitaciones en un hotel en Las Palmas para mujeres embarazadas y con niños pequeños. Solo hay 200 plazas de acogida en albergues temporales de Tenerife y Gran Canaria, pero en 2019, 1.470 inmigrantes han llegado a las islas.

      La media en los últimas cuatro meses se sitúa en 400 llegadas cada mes, muchas de ellas en pateras en condiciones pésimas. La cifra está muy lejos de los casi 40.000 que arribaron en esta comunidad entre 2005 y 2006 en la llamada crisis de los cayucos, pero existe un aumento con respecto al año pasado —de un 12%— que se debe al reforzamiento de la seguridad en el norte de Marruecos. La dificultad de realizar esa ruta ha aumentado el número de embarcaciones precarias que se dirigen a Canarias para tratar de llegar a territorio español o europeo.

      Este pasado miércoles, al menos 63 inmigrantes de varias nacionalidades murieron tras naufragar su patera en aguas del Atlántico a la altura de Nuadibú (470 kilómetros al norte de Nuakchot), en Mauritania, según confirmó la Organización Internacional para las Migraciones (OIM) en un comunicado. Entre los fallecidos había un niño y siete mujeres. Otros 83 ocupantes de esa misma patera lograron salir con vida tras nadar hasta llegar a la costa de Mauritania, y fueron ellos los que dieron detalles del naufragio. La embarcación precaria había partido el pasado jueves desde las costas de Gambia con destino a las islas Canarias, llevando a bordo entre 150 y 180 ocupantes.

      https://elpais.com/politica/2019/12/07/actualidad/1575708520_470358.html

    • 43 muertos en la patera hundida que venía a Canarias

      La oenegé Caminando Fronteras informa de que hay 21 supervivientes, que fueron rescatados por la marina marroquí - La embarcación se hundió a 24 kilómetros de la costa de Tan-Tan.

      Un total de 43 personas han fallecido al naufragar una patera que se dirigía al Archipiélago, según ha informado la periodista e investigadora en Migraciones y Trata de Seres Humanos, Helena Maleno, en su cuenta de Twitter. La oenegé Caminando Fronteras ha apuntado que 21 personas han sido rescatadas con vida por los servicios de rescate marroquí.

      La agencia Efe informaba esta tarde de que dos personas habían muerto y al menos 19 habían desaparecido al hundirse a unos 24 kilómetros de la costa de Tan-Tan, en Marruecos, una patera que se dirigía hacia Canarias, según explicó Salvamento Marítimo, con la información que recibió de los servicios de rescate de Rabat.

      España envió de urgencia esta mañana hacia la zona a una embarcación de rescate desde Lanzarote, a unos 200 kilómetros de distancia, la Salvamar Al Nair, tras recibir a través de las ONG llamadas telefónicas de socorro de los propios inmigrantes, que pedían auxilio porque su neumática se estaba hundiendo.

      La periodista amplió esta información y asegura que el número de fallecidos asciende a 43 y que sólo dos cadáveres habían sido recuperados.

      https://www.laprovincia.es/sucesos/2020/04/03/43-muertos-patera-diria-canarias/1271515.html