• Chères collaboratrices - Mon blog sur l’écologie politique
    https://blog.ecologie-politique.eu/post/Cheres-collaboratrices

    Mais le passage n’est pas si simple, comme on l’a vu, entre une expérience minorisée et une volonté d’émancipation collective, quand notre ethos libéral et individualiste nous invite plutôt à saisir les possibilités de promotion individuelle. Pour cent femmes qui subissent les boys clubs en entreprise, combien de féministes anti-capitalistes ? C’est une confiance un peu excessive à accorder à une politique des identités qui serait devenue, pour la simple raison qu’on souhaite qu’elle le devienne, matérialiste. Comme si la présence de gays ou de lesbiennes, placardisées ou désormais out, au plus haut sommet de l’État avait depuis 2017 révolutionné les conditions matérielles en moyenne peu reluisantes des personnes LGBT (en moyenne). Et comme si le capitalisme états-unien ne s’appuyait pas sur des dirigeant·es d’entreprise et des employé·es à haut niveau de responsabilité issu·es du Sud global et qui, tout en étant très bien rémunéré·es, n’ont pas même le droit de vote dans le pays où elles et ils travaillent.

    #recension #livre #féminisme #libéralisme #Sandrine_Holin #Aude_Vidal

  • José Ardillo, Et si on sautait le mur théorique des forces de production ?, 2023

    Quelques commentaires critiques sur
    le livre de #Sandrine_Aumercier
    Le Mur énergétique du capital
    (Crise & Critique, 2021)

    je persévère à considérer que le système de #Marx demeure l’un des murs théoriques les plus redoutables qui ont empêché les mouvements sociaux et ouvriers de saisir la réalité la plus essentielle de cette industrialisation.

    son livre m’apparaît comme une nouvelle tentative de maintenir le prestige d’un dogme qui veille à conserver jalousement son monopole analytique sur les causes et les effets du système de domination actuel, au mépris total d’apports critiques sans nul doute précurseurs et mieux fondés. Heureusement, les mouvements écologistes les plus lucides et les critiques radicales de la #société_industrielle n’ont pas attendu le révisionnisme écologiste de Marx, ni l’émergence de la « #critique_de_la_valeur », dont se réclame notre auteure, pour entamer depuis plusieurs décennies une véritable dénonciation de cette société.

    https://sniadecki.wordpress.com/2023/11/10/ardillo-aumercier-fr

    A l’occasion de la publication de la version espagnole du livre :

    https://sniadecki.wordpress.com/2023/11/10/ardillo-aumercier-es

    #José_Ardillo #Wertkritik #Scientisme #imposture #cuistrerie

  • Communisme de guerre : vous en reprendrez bien une louche ?, par Sandrine Aumercier
    http://www.palim-psao.fr/2023/09/communisme-de-guerre-vous-en-reprendrez-bien-une-louche-par-sandrine-aume

    ’unisson assourdissant des militants, politiques et industriels sur la priorité absolue du sauvetage du climat est l’expression la plus aboutie du déni nouvelle manière, celui que soutiennent parmi d’autres un Malm ou un Žižek. Enfermés dans ses vieilles contradictions, cette gauche opportuniste ne masque plus ni son autoritarisme ni sa collusion rampante avec la droite sécuritaire qu’elle légitime maintenant par « l’apocalypse » climatique. Car ceux qui accusent les gouvernements d’exagérer ou de fabriquer le réchauffement climatique pour restreindre les libertés et ceux qui en appellent au contraire à une gestion autoritaire de l’urgence écologique partagent bien un délire commun, celui de faire porter la responsabilité de la catastrophe à un certain « étage » de la société : soit la consommation de masse, soit l’impéritie politique, comme s’il ne s’agissait pas ici des deux faces d’un seul et même mode de production ! Depuis la pandémie, ce clivage idéologique a un fort goût de déjà-vu. D’une critique radicale du système capitaliste, il continue à ne pas être question, puisqu’il continue de s’agir de mieux gérer la catastrophe, et ce, en proposant éventuellement ses propres services.

    #écologie #climat #capitalisme #léninisme #Andres_Malm #Slavoj_Žižek #critique

  • Il sistema delle “coop pigliatutto”

    Per anni hanno dominato il settore dell’accoglienza in Veneto prima di sbarcare nella detenzione amministrativa. Oggi gestiscono due Cpr, tra cui quello di Gradisca d’Isonzo, dove dalla sua riapertura sono morte quattro persone

    Il 16 dicembre del 2019 il Centro di permanenza per il rimpatrio (Cpr) di Gradisca d’Isonzo, in provincia di Gorizia, riapre, a sei anni dalle proteste che hanno portato alla sua chiusura. Tra i primi trattenuti del nuovo corso, c’è un gruppo di circa settanta persone provenienti dal centro di Bari, dove sono stati bruciati tre degli ultimi quattro moduli rimasti dopo le proteste dei mesi precedenti. Bibudi Anthony Nzuzi è tra coloro che sono stati trasferiti «di punto in bianco», dice, in Friuli. L’accoglienza non è stata delle migliori: «Pioveva, faceva freddo, ci siamo ritrovati i poliziotti in tenuta antisommossa. Non avevamo materassi, non c’erano coperte, non avevamo niente per poterci vestire. Ci siamo ritrovati a dormire al freddo perché non c’era il riscaldamento», racconta.

    Nzuzi è nel Cpr friulano anche tra il 17 e il 18 gennaio 2020, quando muore un trattenuto georgiano di 37 anni, Vakhtang Enukidze. I poliziotti di cui parla Nzuzi stanno sedando una protesta. «Hanno inizialmente pestato tutti, solo che lui [Vakhtang Enukidze] era caduto – racconta – ma continuavano a pestarlo e gli altri ragazzi si sono buttati addosso ai poliziotti e l’hanno tirato via».

    Nzuzi si trova nello stesso reparto di Enukidze ma in un’altra cella. «La sera lui [Vakhtang Enukidze] lamentava dolori, non si sentiva bene – ricorda, ripensando ai momenti dopo che la polizia ha lasciato il Cpr -. È andato a dormire e non si è più risvegliato». Questa versione è stata confermata da alcune testimonianze raccolte dal deputato Riccardo Magi durante due visite ispettive subito dopo il decesso. Non dagli investigatori, però.

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    L’inchiesta in breve

    - Ekene nasce nel 2017 come diretta emanazione di Ecofficina ed Edeco, enti che hanno dominato il mercato dell’accoglienza in Veneto guadagnandosi l’appellativo di “coop pigliatutto”
    - A gestirla è Simone Borile, imprenditore padovano che proviene dal business dei rifiuti. Sebbene non compaia mai nella visura camerale, viene considerato dagli inquirenti di Venezia “amministratore di fatto” delle cooperative
    - Nel 2016, Ecofficina-Edeco si aggiudica due centri di accoglienza, a Cona e Bagnoli. Per la gestione dei due hub, sono nati due processi paralleli a Padova e Venezia, dove sono indagati alcuni funzionari delle due prefetture e i vertici della cooperativa, tra cui Simone Borile. Le accuse, a vario titolo, sono di frode nell’esecuzione del contratto, inadempimento e frode degli obblighi contrattuali, rivelazioni di segreto d’ufficio
    - Con la liquidazione di Edeco nasce Ekene, che segna l’ingresso nel mondo della detenzione amministrativa con l’aggiudicazione dei Cpr di Gradisca d’Isonzo, in Friuli-Venezia Giulia, e Macomer, in Sardegna
    – Dalla sua riapertura nel gennaio 2019, nel Cpr friulano sono morte quattro persone. Borile è indagato per omidicio colposo per il decesso di Vakhtang Enukidze, lasciato secondo l’accusa per nove ore senza soccorsi
    – Nell’ottobre 2022, la cooperativa veneta ha vinto la gara per la gestione del Cpr di Caltanissetta. Dopo sette mesi la Prefettura ha annullato l’aggiudicazione per i procedimenti a carico dei vertici

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    A seguito della morte di Enukidze, la procura di Gorizia ha cominciato a indagare. L’autopsia sul deceduto ha stabilito come causa della morte un edema polmonare e cerebrale dovuto non a un pestaggio, ma a un cocktail di farmaci e stupefacenti. Così a essere riviati a giudizio con l’accusa di omicidio colposo sono stati il direttore del centro, Simone Borile, e il centralinista che era di turno quel giorno. La cooperativa che ha in gestione il Cpr si chiama Ekene. È nata dalle ceneri di Ecofficina ed Edeco, conosciute in Veneto come “coop pigliatutto”, per aver dominato per anni la gestione dell’accoglienza in tutta la regione.

    Secondo la ricostruzione degli inquirenti, Enukidze è stato lasciato senza soccorso per diverse ore, nonostante le richieste di aiuto degli altri trattenuti, prima di essere trasferito in ospedale, dove è morto alle 15:37. La sorella, Asmat, ricorda l’ultima telefonata in cui percepiva una voce diversa: «Sembrava che avesse bevuto. Aveva dei dolori e gli avevano dato qualcosa per calmarlo, un antidolorifico. Stava talmente male che non riusciva nemmeno ad andare all’udienza. Mi diceva di contattare l’ambasciata georgiana, per farlo uscire dal Cpr», racconta. Simone Borile, raggiunto al telefono da IrpiMedia, ha una versione diversa dei fatti: «È stato soccorso immediatamente, appena c’è stata la chiamata», il problema «riguarda il mancato funzionamento del sistema di chiamata. Niente a che vedere con il mancato soccorso».
    L’ascesa di Ecofficina tra le coop dell’accoglienza

    Borile ha cominciato a lavorare con i migranti dai tempi di Ecofficina Educational, cooperativa con sede a Battaglia Terme, in provincia di Padova, fondata il 2 agosto 2011. Il direttore del Cpr di Gradisca non appare nella visura camerale in quanto sarebbe stato un semplice consulente esterno. Gli inquirenti di Venezia e Padova che indagheranno sulla società, sosterranno tuttavia che sia lo stesso Borile l’amministratore di fatto delle “coop pigliatutto”.

    I legami tra Borile e i vertici di Ecofficina sono però evidenti: vicepresidente della cooperativa è la moglie Sara Felpati mentre il presidente del consiglio di amministrazione è Gaetano Battocchio, coinvolto con lui nel processo per bancarotta della società di gestione dei rifiuti della Bassa Padovana, Padova Tre srl, ma poi assolto, al contrario di Borile che a marzo 2023 è stato uno dei due condannati in primo grado a quattro anni e otto mesi per peculato perché avrebbe trattenuto illegalmente un importo di oltre tre milioni di euro.

    È nel dicembre 2014 che per la prima volta il nome di Ecofficina viene accostato a un caso di frode nelle pubbliche forniture e maltrattamenti sugli ospiti. Il processo che ne è scaturito si chiuderà otto anni e mezzo dopo, il 12 luglio 2023, con l’assoluzione dei vertici della cooperativa perché il fatto non sussiste.

    Durante gli anni passati a processo, Ecofficina Educational – che nel 2015 ha ceduto parte dell’azienda a un’altra cooperativa, Ecofficina Servizi – si aggiudica diversi appalti per l’accoglienza migranti in particolare nella provincia di Padova, con un monopolio che comprende l’ex Caserma Prandina di Padova, l’Hotel Maxim’s a Montagnana, lo Sprar del comune di Due Carrare e l’accoglienza di più di 700 migranti nelle province di Venezia, Vicenza e Rovigo.

    Nel caso dello Sprar di Due Carrare, uno dei requisiti fondamentali per partecipare era aver svolto in modo continuativo, e per almeno due anni, l’attività di accoglienza. A gennaio 2016, la cooperativa ha depositato una dichiarazione attestante una convenzione con la Prefettura di Padova che provava l’inizio dell’attività il 6 gennaio 2014, nonostante Ecofficina fosse entrata nel settore solo nel maggio dello stesso anno. Grazie alla documentazione falsa, secondo l’ipotesi degli inquirenti di Padova, Ecofficina avrebbe ottenuto l’aggiudicazione provvisoria delle gare per la gestione di centri di accoglienza. Il processo che è scaturito dall’indagine è ancora in corso, riporta il Mattino di Padova. IrpiMedia non ha ricevuto alcuna risposta a domande di chiarimento rivolte via email alla cooperativa su questo e su altri temi.

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    Cpa, Cas, Sai: le sigle dell’accoglienza

    In Italia il sistema di accoglienza dovrebbe svilupparsi su due binari: a un primo livello ci sono i Centri di prima accoglienza (Cpa) e gli hotspot, e a un secondo il Sistema di accoglienza e integrazione (Sai), strutture gestite dagli enti locali su base volontaria, che dovrebbero rappresentare il sistema ordinario. I Centri di accoglienza straordinaria (Cas), invece, dovrebbero essere individuati e istituiti dalle prefetture nel caso in cui i posti negli altri centri fossero esauriti. La maggior parte delle persone che arrivano sul territorio però sono accolte nei Cas, sintomo di una gestione perennemente emergenziale del fenomeno. In base ai dati del rapporto di Actionaid Centri d’Italia del 2022, i posti nei Cas, dove è ospitato oltre il 65% delle persone, e nei Cpa sono infatti quasi 63 mila, a fronte dei 34 mila posti del Sai.

    I centri di prima accoglienza e gli hotspot sono invece strutture nate per identificare, fotosegnalare e assistere dal punto di vista sanitario le persone appena arrivate in Italia. Dovrebbero fornire anche le prime informazioni legali per la richiesta di protezione internazionale.

    Nel Sai – prima conosciuto come Siproimi (Sistema di protezione per titolari di protezione internazionale e per minori stranieri non accompagnati) e prima ancora come Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati) – i servizi assicurati sono solitamente superiori rispetto agli altri centri e mirano ad accompagnare le persone accolte nei loro percorsi di vita e di autonomia: oltre al vitto e all’alloggio, sono infatti assicurate assistenza legale, mediazione linguistica, orientamento lavorativo, insegnamento della lingua italiana, assistenza psicosociale.

    A parte alcune categorie di soggetti, come i minori stranieri non accompagnati, il decreto firmato il 10 marzo 2023 dal ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha escluso i richiedenti asilo dalla possibilità di essere accolti nel sistema ordinario, riservando loro i pochi servizi di base garantiti dal Cas, ulteriormente ridotti: l’assistenza materiale, sanitaria e linguistica, vitto e alloggio, eliminando i servizi di assistenza psicologica, i corsi di italiano e l’orientamento legale.

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    Gli anni di Edeco

    Dopo le vicende di Ecofficina, la cooperativa cambia nome. Spunta dunque un nuovo attore nel mercato dell’accoglienza in Veneto: Edeco. I vertici però rimangono invariati. La cooperativa inizia a partecipare ai bandi per la gestione dell’accoglienza a partire dal 2016, quando il suo organigramma si arricchisce di nuove figure. Tra queste, Annalisa Carraro, che con Battocchio, Felpati e Borile sarà imputata nel processo di Venezia. Quell’anno in Italia il numero dei Centri di accoglienza straordinaria (Cas) cresce di quasi il doppio rispetto all’anno precedente, con 137 mila strutture dove si concentra il 78% dei richiedenti asilo. In particolare, in Veneto questa tendenza si affianca alla resistenza degli amministratori locali verso il sistema di accoglienza diffusa rappresentato dagli Sprar (oggi Sai).

    È in questo contesto che nascono centri come la tendopoli nell’ex base militare di Cona, in provincia di Venezia, gestita provvisoriamente da Ecofficina fino al luglio del 2016. Quel mese sarà proprio Edeco, in un raggruppamento temporaneo d’imprese con Ecos e Food Service, ad aggiudicarsi il nuovo appalto.

    Le denunce sulle condizioni interne emergono già dal giugno dello stesso anno, quando alcune associazioni effettuano una visita al centro evidenziando il sovraffollamento e la carenza dei servizi essenziali. Le proteste successive dei richiedenti asilo spingono il presidente della Confcooperative del Veneto, Ugo Campagnaro, a prendere la decisione di sospendere Ecofficina-Edeco con queste motivazioni: «Non esiste una legge che impedisca di ospitare e gestire centinaia di profughi in un’unica struttura. Questo però è un sistema che non risponde alle logiche della buona accoglienza […]. Si tratta invece di un modello che guarda soprattutto al business».

    I problemi diventano evidenti quando a gennaio 2017 Sandrine Bakayoko, 25enne ivoriana ospite del centro di Cona, muore per trombosi polmonare. Questo episodio porterà ad alcuni lavori di ristrutturazione e alla riduzione degli ospiti da 1.600 a 1.000, misure comunque non sufficienti a evitare la protesta dei richiedenti asilo, che a novembre si mettono in marcia verso Venezia per ottenere un incontro con il prefetto di Venezia, che alla fine deciderà di spostarli in altre strutture, scrive Internazionale.

    Due anni più tardi la Procura di Venezia chiede il rinvio a giudizio per i vertici di Ecofficina-Edeco. Borile, sempre “amministratore di fatto” a quanto afferma l’accusa, e i suoi colleghi avrebbero impiegato un numero di operatori inferiore agli obblighi contrattuali, un’inadempienza che sarebbe stata coperta dai trasferimenti di personale dall’altro grande centro gestito dalla cooperativa, quello di Bagnoli, in provincia di Padova, e dalla falsificazione dei documenti, che avrebbero fatto apparire un numero di operatori superiore. Inoltre, l’impiego di medici e infermieri con turni e orari inferiori rispetto a quanto previsto dal capitolato d’appalto avrebbe procurato un ingiusto profitto di oltre 200 mila euro. Tutto questo sarebbe stato possibile anche grazie alle informazioni fornite dalla Prefettura. Secondo quanto emerge da alcune intercettazioni contenute nelle carte processuali, ex prefetti e funzionari avrebbero preannunciato e in alcuni casi concordato con i responsabili della cooperativa l’orario e la data delle visite ispettive. Una prassi che avrebbe permesso a Ecofficina-Edeco di organizzarsi in anticipo per coprire eventuali falle.

    Per questo motivo, la giudice per le indagini preliminari ha accolto le richieste di rinvio a giudizio, tra gli altri, anche nei confronti dell’ex prefetto pro tempore di Venezia Domenico Cuttaia e dell’allora vice prefetto vicario Vito Cusumano per rivelazione di segreto d’ufficio.

    Raggiunto al telefono, Simone Borile ha commentato in questo modo: «Non si trattava di ispezioni, ma esclusivamente di una visita di cortesia». Il processo è ancora in primo grado, in fase dibattimentale: nell’ultima udienza, un’ex operatrice ha raccontato che era il personale a firmare il foglio presenze per conto dei richiedenti asilo, in modo da poter ricevere dalla Prefettura la quota diaria per ogni persona accolta, riporta Il Gazzettino.

    Un processo molto simile si sta svolgendo a Padova sulla gestione del Cas di Bagnoli. Tra gli imputati ci sono ancora una volta Sara Felpati, Simone Borile, Gaetano Battocchio, oltre all’ex viceprefetto Pasquale Aversa, il vicario Alessandro Sallusto e una funzionaria della Prefettura. Le accuse a vario titolo sono di turbativa d’asta, frode nelle forniture pubbliche, truffa, concussione per induzione, rivelazione di segreti d’ufficio e falso ideologico. Secondo l’accusa, grazie ai contatti con la Prefettura, Borile, Battocchio e Felpati avrebbero ottenuto informazioni sui concorrenti, partecipando a un bando su misura per Edeco. Anche in questo caso viene contestata la presenza di personale in numero inferiore rispetto al capitolato d’appalto e le chiamate di preavviso della Prefettura prima di alcune ispezioni per permettere alla cooperativa di farsi trovare in regola.
    I danni delle indagini

    Le indagini finiscono per danneggiare la “coop pigliatutto” che alla fine del 2018, anno di chiusura delle strutture di Cona e Bagnoli, avvia una procedura di licenziamento collettivo per 57 lavoratori, a cui se ne aggiungono 71 in scadenza di contratto. Si tratta di addetti alle pulizie e custodia, operai, insegnanti, tecnici, psicologi, educatori che riducono sensibilmente la rosa di Edeco, composta fino ad allora da 228 dipendenti. Nel 2020, Edeco inizia il processo di liquidazione, ma comincia a prendere nuova forma, sempre con lo stesso sistema: la creazione di nuove cooperative.

    Questa volta sono due le cooperative che prendono il testimone di Edeco, segnando l’ingresso nel mondo del trattenimento dei cittadini stranieri: Ekene e Tuendelee. La prima è dedicata quasi esclusivamente alla gestione dei Cpr, la seconda all’attività principale di «pulizia generale (non specializzata) di edifici», oltre a servizi educativi e socio-sanitari come le «attività di prima accoglienza per cittadini stranieri».

    Simone Borile, che di nuovo non compare nelle visure camerali, ha giustificato così a La Nuova Venezia la necessità di creare nuovi soggetti: «Era impossibile continuare a lavorare a causa del danno reputazionale che abbiamo subito». Le stesse persone coinvolte nei processi di Padova e Venezia sono presenti anche nei nuovi organigrammi, come Sara Felpati, prima presidente del Cda di Ekene, ruolo passato poi alla sorella Chiara, e Annalisa Carraro, ex consigliera di Edeco, che oggi ricopre il ruolo di vicepresidente di Ekene e di consigliera in Tuendelee.

    Le controversie del passato non hanno quindi impedito l’aggiudicazione di nuove strutture: nell’agosto del 2019 Edeco ottiene in gestione il Cpr di Gradisca d’Isonzo, poi ceduto due anni dopo a Ekene, e nel dicembre 2021 quello di Macomer. In Friuli, la cooperativa si aggiudica una gara da quasi cinque milioni di euro, grazie al ribasso dell’11,9% rispetto alla base d’asta, dopo l’esclusione delle prime quattro società in graduatoria. Ekene a marzo 2023 vince anche un ricorso al Tar per ottenere la gestione di un centro di accoglienza a Oderzo, nel trevigiano, nell’ex caserma Zanusso.

    Ekene ha poi preso in gestione il Cpr di Macomer dopo l’aggiudicazione della gara del 2021. In una visita, l’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi) ha riportato criticità simili a quelle emerse nella struttura friulana, come la violazione del diritto alla salute, all’informazione normativa e alla corrispondenza, poiché «neanche i difensori possono contattare i loro assistiti in caso di comunicazioni urgenti se non attraverso il filtro del gestore», si legge nel rapporto. Inoltre, secondo Asgi la visita medica è spesso assente o viene fatta in modo superficiale.

    La cooperativa veneta ha poi vinto, nell’ottobre 2022, la gara per la gestione del Cpr di Caltanissetta. Ma dopo sette mesi, a maggio 2023, la Prefettura ha annullato l’aggiudicazione per i procedimenti a carico dei vertici: nel decreto di esclusione si riconosce esplicitamente Ekene come diretta emanazione di Edeco. Ricordando i gravi reati contestati nei procedimenti penali in corso, la Prefettura afferma di non poter «valutare favorevolmente l’integrità e l’affidabilità dell’operatore economico». Considerazioni diverse rispetto a quelle della Prefettura di Gorizia, che ha permesso a Simone Borile di mantenere il ruolo di direttore del centro di Gradisca d’Isonzo.

    L’imputazione di Borile per omicidio colposo, secondo i verbali della nuova gara indetta dalla Prefettura di Gorizia per la gestione del Cpr, «può avere rilievo solo al fine di considerare l’affidabilità dell’operatore economico sotto la cui gestione è occorso l’evento morte», dato che Borile non ricopre alcun incarico formale in Ekene. Nella stessa gara, la cooperativa Badia Grande è stata esclusa per il rinvio a giudizio del rappresentante legale per diversi reati, tra cui frode nelle pubbliche forniture per la gestione dei Cpr di Trapani e Bari. Dai verbali della prefettura disponibili in rete risulta che la posizione della cooperativa veneta sia ancora in fase di valutazione.
    Morire di Cpr a Gradisca d’Isonzo

    Dalla riapertura del 2019 ad oggi sono morti quattro trattenuti al Cpr di Gradisca d’Isonzo. Dopo Vakhtang Enukidze, Orgest Turia, cittadino albanese di 28 anni, è morto per overdose da metadone quattro giorni dopo essere entrato nel centro, il 10 luglio 2020, in una cella di isolamento, dove si trovava con altre cinque persone per il periodo di quarantena. Andrea Guadagnini, avvocato di Turia, ha scoperto della sua morte proprio in sede di convalida del trattenimento ed esprime perplessità sulla provenienza di quella sostanza. Altre due persone si sono poi tolte la vita nella struttura: Anani Ezzedine era un cittadino tunisino di 44 anni. Anche lui in isolamento per il periodo di quarantena, si è suicidato nella sua cella nella notte tra il 5 e il 6 dicembre 2021. Arshad Jahangir, un ragazzo 28enne di origine pakistana, si è suicidato il 31 agosto 2022 in camera un’ora dopo essere entrato nel Cpr.

    «È chiaro che per noi i Cpr debbano essere chiusi, ma nel frattempo volevamo instaurare delle prassi virtuose per agevolare la tutela dei diritti dei detenuti», afferma Eva Vigato, che insieme ad altre due colleghe, tra dicembre 2019 e novembre 2020 ha svolto il servizio di assistenza legale per l’ente gestore. Sostiene che anche per lei fosse molto difficile intervenire: i diritti dei trattenuti nei Cpr non sono delineati da una legge, ma da un semplice regolamento ministeriale, di cui non possono essere contestate le violazioni.

    https://www.youtube.com/watch?v=xq-OrG9-V7c&embeds_referring_euri=https%3A%2F%2Firpimedia.irpi.eu%2

    «Sono successe delle cose che ci hanno sconvolto», ricorda l’avvocata Vigato. Dopo la morte di Vakhtang Enukidze, Vigato e le sue colleghe hanno assistito a un’altra serie di irregolarità: «Abbiamo deciso di tener duro e ci siamo date come limite la Convenzione di Ginevra – spiega -. Di fronte a una violazione del trattato internazionale avremmo sporto denuncia».

    L’occasione si è presentata a novembre 2020: le legali si sono rese conto che dal Cpr transitavano cittadini tunisini senza che venisse registrato il loro ingresso nel sistema e senza che riuscissero a incontrarli e a informarli dei loro diritti, tra cui la richiesta di asilo, tutelata proprio dalla Convenzione di Ginevra. Le avvocate avevano dunque incaricato formalmente i mediatori di informare i trattenuti della possibilità di chiedere protezione internazionale e di metterlo per iscritto. In risposta, l’ente gestore ha deciso di diminuire le ore di ufficio legale, portando l’avvocata a inviare una segnalazione per denunciare la violazione della Convenzione di Ginevra alla Prefettura e al Garante nazionale. Ha risposto «il prefetto in persona – racconta Vigato – dicendo che non c’era nulla di irregolare ravvisabile nell’operato. Mi domando come abbia fatto, in così pochi giorni e senza un serio controllo, ad affermare una cosa del genere». La sera stessa Edeco ha rimosso Vigato e le sue colleghe dall’incarico.

    Nella segnalazione inviata alle autorità, Vigato ha evidenziato la violazione di molteplici diritti, tra cui quello alla salute e all’assistenza legale. Sostiene ci fosse un abuso di medicine nella struttura: «A un certo punto ci siamo rese conto che non c’era un controllo reale sui farmaci e potevano essere utilizzati anche in modo improprio dai detenuti». Le legali spesso non riuscivano ad accedere alle informazioni sanitarie e, in alcuni casi, non veniva caricato il resoconto delle visite, soprattutto quelle psicologiche. «L’impressione che è uscita sia dal processo Edeco sia dalla mia esperienza nel Cpr – conclude Vigato – è che ci sia una sorta di soluzione di comodo tra l’ente gestore e l’istituzione, per cui va bene così».

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    La storia di Anthony

    Bibudi Anthony Nzuzi è nato in Libano, da genitori congolesi, nel 1983, in piena guerra civile. «Era la fase del bombardamento massiccio», racconta, ma dopo cinque anni «la situazione era diventata veramente insostenibile». Per questa ragione, sua madre ha deciso di mandare i figli fuori dal Paese: due dei tre fratelli più grandi sono emigrati in Congo Brazzaville, ma lui, il più piccolo, è rimasto con lei. Poi sono fuggiti insieme in Siria e, visto che il conflitto si stava avvicinando, in Turchia, ad Ankara e a Istanbul.

    Infine, hanno deciso di venire in Italia per ricongiungersi con il fratello maggiore, che si trovava nel Paese da diversi anni. «Nel 1998 mia madre, dopo anni di duro lavoro, è riuscita a riunire tutta la famiglia qui a Jesi, nelle Marche», dice Anthony, che ha poi studiato come perito elettrotecnico, mentre uno dei fratelli ha partecipato alle Olimpiadi di Pechino del 2008 con l’Italia nella disciplina delle arti marziali.

    Anthony vive quindi in Italia da quasi trent’anni e ha conosciuto il mondo dei Cpr «per un errore», racconta: «Vivevo a Modena e mi sono fidato di una persona, sbagliando. Mi sono trovato a dover scontare una pena di 11 mesi e 29 giorni in carcere». Mentre era recluso gli è scaduto il permesso di soggiorno senza, sostiene, che gli fosse data la possibilità di rinnovarlo. «A luglio mi è arrivato il foglio di via e il 10 ottobre a mezzanotte sono venuti a prendermi in cella, mi hanno fatto preparare tutte le mie cose perché dovevano espatriarmi in Congo». Ma dopo essere stato trasferito a Fiumicino alle quattro di mattina e alcune ore di attesa, il volo non è partito ed è stato riportato in cella.

    Uscito dal carcere, dopo uno sconto di pena per buona condotta, ha potuto passare un giorno con la famiglia per poi essere recluso in un Cpr. «Era l’unico modo per me per rimanere in Italia – racconta con commozione – non è facile, ma sono riuscito ad andare avanti». È stato portato al Cpr di Bari, ma per la sua avvocata, che esercita nelle Marche, era diventato difficile seguirlo.

    Dopo pochi giorni le condizioni nel centro pugliese erano già critiche: cibo ammuffito, carenze igieniche e, secondo Anthony, negli altri moduli la situazione era anche peggiore. Per questo sono iniziate rivolte interne che hanno reso inagibile la struttura, andata a fuoco. «La mattina dell’incendio ci siamo ritrovati caricati su dei pullman e portati a Gorizia – dice – di punto in bianco».

    Anthony considera il carcere molto meglio del Cpr: «Hai una vita dignitosa, per quanto è possibile. Sei detenuto, ma comunque hai la tua dignità. Nel Cpr ti tolgono tutto, o almeno ci provano». E aggiunge: «Se arrivo a dire una cosa del genere significa che stavo meglio in carcere per davvero. I primi giorni a Gradisca abbiamo patito il freddo, il cibo arrivava gelato e crudo. Non è stato per niente facile».

    Grazie all’assistenza legale della sua avvocata è riuscito a uscire, ma se fosse stato rimpatriato nel Paese di origine dei suoi genitori, dove lui non è mai stato, avrebbe dovuto arrangiarsi senza soldi: «Non mi hanno dato un euro quando sono arrivato in aeroporto», spiega. Anthony rischiava di essere rimpatriato in Congo, dove ha alcuni parenti, «ma non so neanche dove siano, come si chiamino o come contattarli». E, oltre ad avere sempre avuto i documenti in regola, già prima di entrare nel Cpr, aveva un figlio di nazionalità italiana.

    «Metà delle persone che trovi nel Cpr – conclude Anthony – hanno semplicemente voglia di trovare un futuro. Magari c’è chi vorrebbe veramente lavorare, ma non ha possibilità perché lo trattano come un cane. Dagli la possibilità di dimostrarti che può rimanere nel tuo Paese. Non ne vuole tante, gliene basta una».

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    https://irpimedia.irpi.eu/cprspa-coop-ekene-gradisca-isonzo-macomer

    ici aussi : https://seenthis.net/messages/1016060

    #accueil #rétention #détention_administrative #asile #migrations #réfugiés #sans-papiers #business #Gradisca_d'Isonzo #Italie #CPR #Vakhtang_Enukidze #Enukidze #Simone_Borile #Ecofficina-Edeco #Ecofficina #Edeco #Cona #Bagnoli #Ekene #Macomer #coopérative #Ecofficina_Educational #Sara_Felpati #Gaetano_Battocchio #Ecofficina_Servizi #Due_Carrare #CPA #CAS #SAI #centri_di_prima_accoglienza #Sistema_di_accoglienza_e_integrazione #Centri_di_accoglienza_straordinaria #Edeco #Annalisa_Carraro #Ecos #Food_Service #Sandrine_Bakayoko #Tuendelee #Oderzo #caserma_Zanusso #Caltanissetta #Badia_Grande

  • Compte rendu de : #Sandrine_Garcia, Mères sous influence. De la cause des femmes à la cause des enfants. (2011)
    https://llss.hypotheses.org/462

    Naissance d’une “cause de l’enfant”

    La troisième partie va donc décrire les étapes de « la construction psychanalytique d’une ‘cause de l’enfant’ ». L’auteur étudie tout d’abord (chapitre 6) l’application de la #psychanalyse à de nouveaux terrains comme l’#éducation, et la diffusion de la psychanalyse de l’enfant dans la pédiatrie institutionnelle grâce en particulier à Jenny Aubry. Cette dernière s’appuie sur les travaux de René Spitz, John Bowlby et Donald Winnicot sur les effets pathogènes de la « carence de soins maternels » pour améliorer la prise en charge des enfants placés en institution.

    La psychanalyse acquiert ainsi une forte légitimité, qui va contribuer à « imposer durablement le paradigme de la séparation mère/enfant comme facteur de ‘risque psychologique’ » (p. 208). Un thème qui va s’avérer très extensible puisqu’il pourra s’appliquer à l’accouchement, à la reprise du travail par la mère, au sevrage, etc. Par conséquent, une amélioration incontestable de la situation des enfants conduit en parallèle, de manière relativement peu visible, à une réimposition d’une division sexuelle du travail parental, et à une vision normative du rôle des mères. Tout un ensemble de « savoirs psy » va être mobilisé par les nouveaux professionnels de l’enfance, qui leur permet d’assigner les parents à une position de profanes, tout en affirmant leur position face aux médecins. Ces « intermédiaires sociaux » (assistantes sociales, psychologues scolaires, etc.), dont le nombre explose dans les années 1970, sont particulièrement enclins à la « psychologisation du social » qui tend à anoblir leur position, comme l’a montré Francine Muel-Dreyfus.

    La figure éminemment populaire de #Françoise_Dolto, qui incarne bien souvent à elle seule la psychanalyse de l’enfant en France, permet à l’auteur d’illustrer comment se construit une position d’autorité en prenant appui sur La genèse et la structure du champ religieux de Pierre Bourdieu. Dolto est selon ce schéma pensée en termes de figure charismatique, et mise en relation avec une configuration historique particulière (la forte expansion du mouvement psychanalytique dans l’après-guerre).

    Comment expliquer le succès de Françoise Dolto malgré ses positions conservatrices sur l’avortement et la contraception ? C’est l’un des points les plus passionnants du livre. Pour Sandrine Garcia, Dolto fonctionne comme un emblème politique « qui dépasse largement ses propres positions, voire les contredit » (p. 216). Elle remarque qu’on lui attribue des positions bien plus féministes et progressistes que celles qu’elle défendait. Un emblème construit par les médias et les exégètes, qui masque les tensions entre un projet éducatif novateur (l’orthopsychanalyse) et une vision traditionnelle du rôle des #femmes. Son discours, ambivalent, a pu se prêter à plusieurs appropriations, tout en coïncidant avec la sensibilité anti-autoritaire de l’époque. Une des clés de compréhension réside dans le recours à des pratiques hétérodoxes par rapport au mouvement psychanalytique (elle est exclue de l’Association psychanalytique internationale, comme Lacan), qui contribue à produire une impression de nouveauté radicale et une « aura de subversivité ». L’auteur affirme :

    « Si l’on veut sociologiser le ‘génie’ de Françoise Dolto, on peut donc faire l’hypothèse qu’il consiste à capitaliser un certain nombre d’idées, de thèses, de ‘découvertes’ d’une entreprise collective, qui peuvent paraître comme inédites auprès du public extérieur auquel elle s’adresse dans l’après-guerre en s’appuyant sur sa légitimité de représentante d’une science jeune et prometteuse, et alors que l’anxiété parentale est devenue, selon Annick Ohayon, un ‘marché juteux’ pour les médecins ». (p. 226)

    Les ressources sociales et scolaires de Françoise Dolto doivent également être mobilisées pour expliquer le succès de cette positon d’autorité alors qu’elle n’est ni psychiatre ni médecin des hôpitaux : issue d’une famille de la grande bourgeoisie catholique parisienne, ses convictions religieuses jouent un grand rôle dans ses théories – ce que Sandrine Garcia appelle la « ressource religieuse » (p. 228), qui fonctionne comme une matrice symbolique. On le voit bien dans la théorie de l’enfant envisagé comme une personne dés la conception, et même avant. La psychanalyse permet à Françoise Dolto de réintroduire les topiques religieux qui avaient été bannis par Marie-Andrée Lagroua. Il s’agit selon Sandrine Garcia d’une « réappropriation par le religieux du pouvoir d’édicter la norme familiale, au prix d’une ouverture sur les questions de sexualité » (p. 216). Si le projet visé semble révolutionnaire (l’épanouissement de l’enfant dans sa singularité), il accorde une place centrale à la disponibilité des mères qui sont assignées à une maternité très contraignante, liée à des modes de vie socialement situés (ne pas travailler, ou à mi-temps), qui renvoient à la propre position de Dolto, qui disposait de personnel de maison.

    L’auteur le montre en soulignant la multiplication des « conseils paradoxaux », qui sont tout à la fois variables et réversibles : il faut être le moins directif possible avec les enfants, sans pour autant être laxiste. Soit un jeu permanent de doubles injonctions, et un double langage tout à la fois culpabilisant / déculpabilisant. Le résultat est l’augmentation des contraintes exercées sur les mères, qui voient ainsi leur liberté fortement réduite. L’exemple de l’acquisition de la propreté le montre bien : Dolto affirme que la propreté ne s’apprend pas, mais doit « venir toute seule ». Son apprentissage fait courir aux enfants de « graves névroses », sans que de telles affirmations ne soient jamais étayées, du fait d’une grande liberté dans les modalités d’administration de la preuve. Le concept de « risque psychologique » de l’enfant en situation ordinaire est la pièce maîtresse de cette entreprise de culpabilisation, et l’une des ressources les plus efficaces pour rappeler les femmes à leurs devoirs.

    C’est finalement un « ordre naturel des genres » qui est promu au travers de la croisade pour « la cause des enfants » : la régulation des naissances est sans cesse dénoncée, le choix de l’allaitement maternel est présenté comme une évidence, de même que le fait qu’un enfant a besoin de sa mère jusqu’à trois ans, au moins. Sur l’avortement, la position est plus subtile : il s’agit de ne pas interdire au fœtus, qui en a le désir, de vivre. Ce qui consiste en une vision nostalgique de l’ordre social qui s’inscrit dans la lutte contre la vision pastorienne.

    Dans le champ scolaire (chapitre 8), Françoise Dolto et Maud Mannoni forment l’avant-garde qui prend pour cible, dans le sillage de 1968, l’école et la famille en tant qu’institutions hiérarchisées, en prenant appui sur une vision néo-rousseauiste. Ces pédagogies psychanalytiques reposent sur une idéologie du don qui revient à imputer les inégalités de talent aux inégalités naturelles, en occultant la dimension sociale dans la réussite scolaire : « Ceux qui ont la capacité et la volonté de devenir savants le deviendront, ceux qui n’ont que les capacités de balayer balaieront » (A. S. Neill, cité p. 267) Comme le rappelle l’auteur, « laisser faire la nature en matière scolaire, c’est en fait laisser agir les dispositions sociales, et en particulier l’héritage culturel » (p. 269). Sandrine Garcia souligne que ces visions s’enracinent dans une expérience sociale très privilégiée : c’est en quelque sorte une « révolte d’héritiers » qui bénéficient du capital culturel nécessaire pour réussir à l’école sans s’identifier au projet scolaire républicain. En effet, Françoise Dolto ne fréquentera l’école publique qu’à partir de 16 ans, étant formée à domicile par une institutrice, puis dans un cours privé.

  • « Système de violence et de soumission » et « politique de dénigrement généralisé » à #France_Culture : démission de #Sandrine_Treiner, directrice de la station publique. #bon_débarras

    En annonçant ainsi sa démission, Sandrine Treiner devance les résultats attendus la semaine prochaine d’une #mission_d’enquête et d’écoute auprès des salariés de France Culture, menée par le cabinet spécialisé Alcens. Cette procédure, ouverte par #Radio_France à la suite de l’enquête de Libé, a déclenché un afflux de témoignages, « bien plus d’une centaine » selon une source syndicale. A tel point qu’il a fallu allonger le calendrier de plusieurs semaines. « C’est au-delà de ce que l’on pouvait imaginer, commente la même source. Même si certains y ont sûrement participé pour dire tout le bien qu’ils pensaient de la direction. Quand on se trouve avec une telle enquête, cela dit l’ampleur du problème. »

    #radio_publique #pervers_narcissique #gestion_de_personnel #management_brutal #gestion_toxique

  • Italian fascists quoting #Samora_Machel and #Sankara

    The use of Marxist-inspired arguments, often distorted, to support racist or nationalist political positions, is known as “rossobrunismo” (red-brownism) in Italy.

    Those following immigration politics in Europe, especially Italy, may have noticed the appropriation of the words of Marxist and anti-imperialist heroes and intellectuals by the new nationalist and racist right to support their xenophobic or nationalist arguments. From Samora Machel (Mozambican independence leader), Thomas Sankara (Burkinabe revolutionary), Che Guevara, Simone Weil (a French philosopher influenced by Marxism and anarchism), to Italian figures like Sandro Pertini an anti-fascist partisan during World War II, later leader of the Socialist Party and president of the Italian republic in the 1980s, or Pier Paolo Pasolini (influential communist intellectual).

    The use of Marxist-inspired arguments, often distorted or decontextualized, to support racist, traditionalist or nationalist political positions, is referred to as rossobrunismo (red-brownism) in Italy.

    In Italy it got so bad, that a group of writers—some gathered in Wu Ming collective—made it their work to debunk these attempts. They found, for example, that a sentence shared on several nationalist online pages and profiles—attributed to Samora Machel—that condemned immigration as a colonial and capitalist tool to weaken African societies, was fake news.

    It also contaminated political debate beyond the internet: During his electoral campaign, Matteo Salvini, leader of the anti-immigration party Lega and current minister for internal affairs in Italy’s government, explicitly mentioned the Marxist concept of “reserve army of labor” to frame the ongoing migration across the Mediterranean as a big conspiracy to import cheap labor from Africa and weaken Italy’s white working class. As for who benefits from cheap, imported labor (as Afro-Italian activists Yvan Sagnet and Aboubakar Soumahoro have pointed out), Salvini says very little.

    The typical representative of red-brownism is Diego Fusaro, a philosopher who first became known, about a decade ago, for a book on the revival of Marxism in contemporary political thought. More recently, he promoted through his social media profiles and collaborations with far-right webzines like Il Primato Nazionale (published by neo-fascist party Casa Pound), a confused version of an anti-capitalist critique aggressively targeting not only the liberal left, but also feminist, LGBT, anti-racist activists and pro-migrant organizations. Fusaro has theorized that immigration is part of a “process of third-worldization” of Europe, where “masses of new slaves willing to do anything in order to exist, and lacking class consciousness and any memory of social rights” are deported from Africa. As if collective action, social movements and class-based politics never existed south of the Sahara.

    Yet, the appropriation of pan-Africanist thinkers and politicians like Machel and Sankara brings this kind of manipulation to a more paradoxical level. What could motivate the supporters of a xenophobic party, whose representatives have in the past advocated ethnic cleansing, used racial slurs against a black Italian government minister, or campaigned for the defense of the “white race,” to corroborate their anti-immigration stance through (often false) quotations by Machel or Sankara?

    To make this sense of this, it is useful to consider the trajectory of Kemi Seba, a Franco-Beninese activist who has sparked controversies in the French-speaking world for quite some time, and has only recently started to be quoted in Italian online discussions and blogs.

    Initially associated with the French branch of the American Nation of Islam, Kemi Seba has been active since the early 2000s in different social movements and his own associations, all positioned across the spectrum of radical Afrocentrism. In the polarized French debate, traditionally wary of even moderate expressions of identity politics, Kemi Seba’s radical statements predictably created public outcry and earned him the accusations of racial hatred—for which he has been repeatedly found guilty. An advocate of racial separatism (or ethno-differentialisme, as he defined it), he has quoted among his sources Senegalese historian Cheikh Anta Diop, from whom he took inspiration for his “kemetic” ideology claiming a black heritage for ancient Egyptian culture, and Marcus Garvey, whose ideas he reformulated in his call for all the black people living in France and in Europe to return to the African motherland—while classifying those remaining as “traitors.”

    While one would expect white oppressors to be his main target, Kemi Seba’s vehement attacks have often been directed toward other black activists and personalities living in France, accusing them of promoting integration or collaborating with the white system (and often qualifying them as macaques, monkeys, or as nègres-alibis, “negroes-alibis”). In recent years, however, he has declared he would abandon his initial supremacist positions to embrace a broader pan-African stance, and moved his main residence first to Senegal, later to Benin. Now addressing a predominantly West African audience, he has co-opted personalities, such as the late Burkinabe president and revolutionary Thomas Sankara—still the most powerful political reference for the youth in Francophone Africa—among his claimed sources of inspiration. He has also endorsed the struggle against the CFA France—an ongoing critical reflection that was started by the work of economists such as Ndongo Samba Sylla and Kako Nubupko, well before Seba started campaigning about the issue. In August 2017, he burned a CFA banknote in public in Dakar—an illegal act under the Senegalese law—and was briefly detained before being deported from the country.

    The ambiguous relationship between Kemi Seba’s ideology and the far right has a long history, especially in France. Understandably, his initial racial separatism and his call for a voluntary repatriation of all blacks to Africa constituted an appealing counterpart for French white racists committed to fight the possibility of a multiracial and multicultural France. Kemi Seba, on his side, repeatedly hinted at possible collaborations with white nationalists: in 2007, he declared:

    My dream is to see whites, Arabs and Asians organizing themselves to defend their own identity. We fight against all those monkeys (macaques) who betray their origins. (…) Nationalists are the only whites I like. They don’t want us, and we don’t want them.

    Some years later, in 2012, commenting the electoral growth of Greek neo-nazi party Golden Dawn in a radio program, he argued:

    I want people to understand that today there is nothing to win by remaining in France, and everything to win by remaining in Africa. And the best solution for this… unfortunately, black people only awaken when they realize that they are in danger, when they are slapped in the face. (…) Black people are unfortunately slow on the uptake, they understand only when there is bestiality, brutality. So, maybe, if we had a movement similar to Greece’s Golden Dawn, established in France, and if they threw black people in the sea, if they raped some, then maybe someone would understand that it is not so nice to remain in France and would return to their fucking country, to their motherland the African continent.

    His supporters later qualified his statements as simple provocations, but Seba continued to be a favorite guest and interlocutor for far-right groups. For example, the webzine Egalité et Reconciliation, founded by Alain Soral—a well-known personality of French red-brownism who shifted from his juvenile communist engagement to later support for Front National and has been condemned for homophobic and anti-Semitic statements—has often provided a platform for Seba’s declarations. In 2006, Seba praised young white nationalist activists in a long interview with Novopress, an online publication by Bloc Identitaire. The latter is a white nationalist movement which works to popularize the conspiracy theory of the “great replacement”—an alleged plan of “reverse colonialism” to replace demographically the white majority in Europe with non-white migrants and which inspired anti-semitic white nationalists in the US. Bloc Identitaire recently formed extra-legal patrols in order to stop asylum seekers from crossing the border between Italy and France.

    In 2008, Seba’s association organized a tiny demonstration against French military presence abroad with Droite Socialiste, a small group whose members were later involved in shootings and found guilty of illegal possession of weapons and explosive material. Their hideout was also full of Adolf Hitler’s books and other neo-Nazi propaganda.

    Relatively unknown until recently on the other side of the Alps, Seba has made his appearance on Italian websites and Facebook profiles in recent months. Since Lega’s promotion to national government in coalition with the Five Star Movement, the country has become the avant-garde of an attempt to connect different reactionary political projects—rossobrunismo, anti-EU and anti-global sovranismo (nationalism), white nationalism, neo-Fascism and others—and has attracted the attention of globally known ideologues, such as Trump’s former counselor Steve Bannon and pro-Putin populist philosopher Alexander Dugin (who, not by chance, organized a meeting with Seba in December 2017). Small webzines like Oltre la Linea and L’Intellettuale Dissidente, which following Dugin’s example mix pro-Putin positions with an anti-liberal critique and traditionalist nostalgia, inspiring attacks against feminism, anti-racism and “immigrationism.” Collectively, they have dedicated space to Seba’s ideas and interviewed him, profiting from his visit to Rome in July 2018.

    Invited by a group of supporters in Italy, Seba visited a center hosting asylum seekers and gave a speech where, amidst launching broadsides against the EU and African elites who are impoverishing Africa (thus forcing young people to try their luck as migrants in Europe), he slipped in a peculiar endorsement to Italy’s xenophobic minister of internal affairs:

    Matteo Salvini [he then asked people in the audience who started booing when they heard the name to let him finish] defends his people, but he should know that we will defend our people too!

    He repeated this sentiment in an interview published later on a nationalist blog. Seba basically endorsed the ongoing anti-NGO campaign voiced by representatives of the Italian government. The interviewer suggested to Seba:

    Salvini’s battle against boats owned by NGOs, which transport migrants from Lybian shores to Italian harbors, sometimes funded by Soros’ Open Society, reflects your [Kemi Seba’s] same struggles for the emancipation from those Western humanitarian associations that operate in the African continent and enclose you all in a permanent state of psychological and moral submission.

    “Yes, I realize this very well, we have the same problem,” replied Seba.

    Attacks against the NGOs organizing rescue operations in the Mediterranean have multiplied in the Italian political debate since last year. The Five Star Movement started a campaign against what they called the “sea taxis” and the previous government tried to force them to sign a code of conduct imposing the presence of police personnel on their boats. NGOs have been alternatively accused of complicity with Libyan smugglers (but neither the investigation of a parliamentary committee, nor judges in different Sicilian courts, could find evidence for this allegation).

    More broadly, a dysfunctional regime governing migration flows, and the bungled reception of asylum seekers, allows such positions to take root in the Italian political sphere. What is often obscured, though, is that such a dysfunctional regime was originated by the restrictive policies of the Italian government and the European Union, through the abandonment of a state-sponsored rescue program and the externalization of border control to Libya (where media reported the dehumanizing treatment reserved to Sub-Saharan migrants) and other third countries.

    Echoing Seba, Italian right-wing bloggers and opinion-makers make increasing use of anti-imperialist quotations—for example, by Thomas Sankara—to fuel this anti-NGO backlash and denounce the plundering of Africa’s wealth and resources by multinational corporations in consort with venal governments, abetted by the development industry. By the right’s bizarre logic, stopping migration flows to Europe would be a part of the same coordinated strategy to reverse Africa’s impoverishment by Europe. This use not only overlooks the fact that African migration to Europe is a tiny portion of the massive migration flows taking place across the whole planet, but also that intra-African migration is significantly more common.

    It also distorts Thomas Sankara’s critical views of development, which he formulated at a time when aid mainly consisted of bilateral contributions and loans from international financial institutions, rather than NGO-sponsored interventions. And, ultimately, it generates confusion between the critique of the classical development sector—which is fundamental and has been developed for a long time by dependency theory and other schools of critical scholarship—and an analysis of the rescue sector: indeed, most NGOs currently operating in the Mediterranean are associations created in the last few years with the explicit goal of reducing mortality along the Libyan or the Aegean routes. They have never participated in development projects in sub-Saharan Africa.

    What would Samora Machel and Thomas Sankara think today of the so-called “refugee crisis” and of the populist and xenophobic reactions it has provoked all over Europe? White nationalists think that they would be on their side. But what we know from their writings is that their revolutionary politics was never based on an exclusionary form of nationalism, let alone on racial separatism. Rather, it was associated with an analysis of the production of material inequalities and exploitation at the global level, and with class-based internationalism.

    This is clearly articulated in many speeches pronounced by Sankara, for example in his frequently quoted intervention on foreign debt at the African Union summit in July 1987 (a few months before he was murdered), where he declared that “by refusing to pay, we do not adopt a bellicose attitude, but rather a fraternal attitude to speak the truth. After all, popular masses in Europe are not opposed to popular masses in Africa: those who want to exploit Africa are the same who exploit Europe. We have a common enemy.”

    While many representatives of red-brownism and the new right would probably declare that they subscribe to this principle on paper, most of them are currently engaged in defusing any possibility of a class-based critique of capitalism, to which they prefer sovranismo and its emphasis on renewed national sovereignties. Furthermore, they are more or less directly legitimizing the action of a government that capitalizes on the anxieties of the white majority and of the impoverishment of middle and lower classes, building a consensus around xenophobia, racial discrimination and policies of strict border control, no matter the consequences. The creative use, made by the African youth, of Sankara’s thought in reclaiming and obtaining political change, such as in the Burkinabe revolution in 2014, is a demonstration of the legacy of his thinking as an effective tool for emancipatory struggles—a precious legacy that anti-racists should protect from the re-appropriation and manipulation attempted by the European racist right.

    https://africasacountry.com/2018/09/twisting-pan-africanism-to-promote-anti-africanism
    #Italie #fascisme #marxisme #rossobrunismo #racisme #nationalisme #anti-impérialisme #Thomas_Sankara #Che_Guevara #Simone_Weil #Sandro_Pertini #Pier_Paolo_Pasolini #rouge #brun #Salvini #Matteo_Salvini #Diego_Fusaro #Casa_Pound #extrême_droite #extrême_gauche
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    • Il rossobrunismo

      Perché anche un giornalista noto come Andrea Scanzi [1] si è soffermato sul tema del rossobrunismo, descrivendolo peraltro impropriamente come un neologismo? Approfittiamone per fare chiarezza da un punto di vista marxista sul tema, già trattato tangenzialmente in altre occasioni, come ad esempio nel passo seguente [2]:

      «si è assistito in effetti anche a questa sottile strategia messa in atto negli ultimi anni in Italia: alcuni settori della “sinistra”, al fine di legittimare il prosieguo di un eclettismo ideologico “liberal”, hanno iniziato a tacciare di rossobrunismo tutti coloro che ponevano la contraddizione antimperialista come la contraddizione principale.

      Ci sono cioè settori della “sinistra” che si presentano come “progressisti”, talvolta perfino come “comunisti”, ma alla prova dei fatti utilizzano la questione antifascista come prioritaria su ogni altro aspetto (antimperialismo, anticapitalismo, lotta di classe), approdando spesso e volentieri ad una posizione morbida, se non conciliante, con il PD, con il centro-sinistra e con le strutture e sovrastrutture imperialiste (prime tra tutte NATO, UE, euro), in nome dell’unità contro le “destre”.»

      ORIGINE STORICA E POLITICA

      Negli anni ’70 si diceva “nazimaoista” quel settore del radicalismo di destra che univa suggestioni nazionaliste e sociali ad una lettura spiritualista dell’esperienza maoista e stalinista.

      Un ulteriore precedente storico-politico è il concetto di “nazional-bolscevico” o “nazional-comunista”, nato in Germania nel primo dopoguerra e usato sia da una branca dell’estrema destra rivoluzionario-conservatrice sia dai marxisti del KAPD di Amburgo, fautori entrambi di una convergenza strategica fra nazionalisti rivoluzionari e comunisti contro il “nuovo ordine europeo” uscito a Versailles. Da notare che il KAPD fu poi criticato da Lenin per questa strategia.

      Il termine “rossobruno” invece, come viene spiegato da Matteo Luca Andriola nella nuova edizione de La Nuova Destra in Europa. Il populismo e il pensiero di Alain de Benoist [3], nasce nel 1992 in Russia coniato dai giornalisti vicini all’entourage di Boris El’cin per screditare Gennadij Zjuganov, leader comunista russo a capo del Fronte di salvezza nazionale, coalizione patriottica antiliberista guidata dal PCFR a cui si aggregheranno piccoli soggetti patriottici e nazionalisti fra cui il piccolo Fronte nazionalbolscevico il cui leader era Eduard Limonov [4] e l’ideologo l’eurasiatista Aleksandr Dugin.

      ACCUSATORI E ACCUSATI ODIERNI

      Oggi, in Italia, assistiamo ad una deconcettualizzazione del termine e al suo uso spregiudicatamente propagandistico. Rossobruno è etichetta dispregiativa con cui liberali, libertari e “ex comunisti” convertitisi al globalismo e all’atlantismo delegittimano nel dibattito democratico i marxisti-leninisti, i socialisti internazionalisti [5] e la sinistra sovranista costituzionale [6].

      Di fatto le principali derive revisioniste del nostro tempo (apertura all’identity politics di stampo americano, al cosmopolitismo senza radici e all’immigrazionismo borghese, utopie di “riforma dell’Unione Europa dall’interno” e anacronistici “fronti popolari” con la sinistra borghese) vengono giustificate proprio con il pretesto della lotta al rossobrunismo.

      I rossobruni veri e propri quindi non esistono? Esistono sì, e non sono pochi, ma il conflitto di cui sopra li riguarda solo saltuariamente e incidentalmente. Il conflitto vero, infatti, è quello tra marxisti/socialisti e sinistra neoliberale/antimarxista (ovvero la sinistra oggi rappresentata in Parlamento, e anche una parte di quella extraparlamentare).

      LA DEFINIZIONE DI FUSARO

      Diego Fusaro [7] ha definito pubblicamente così il rossobrunismo:

      «Rossobrunismo è la classificazione di ogni possibilità di resistere al mondialismo, mentre l’unica resistenza possibile può scaturire solo da una dinamica di deglobalizzazione, difesa nazionale e risovranizzazione dell’economia. Rossobruno è chiunque che, consapevole che l’antagonismo odierno si basi sulla verticale contrapposizione tra servi e signori e non su vane divisioni orizzontali, oggi rigetti destra e sinistra. Pertanto, viene bollato come gli estremi di esse. Oggi chiunque propugni un’economia di mercato sovrana, viene automaticamente chiamato Rossobruno. La classe dirigente è tale non soltanto in termini economici e sociali, ma anche e soprattutto nella concezione simbolica del linguaggio. Previa una neolingua del modernismo postmoderno, il pensiero unico politicamente corretto, viene demonizzata ogni possibilità del “Pensare altrimenti”, di dissentire dal pensiero unico. Ci convincono così a orientarci come masse che legittimano il loro dominio. Dissentire da ciò è il reato di Rossobrunismo.»

      Ci sono elementi di verità in questa analisi, ma l’esposizione è carente, inadeguata e imprecisa; tanto meno sono condivisibili e accettabili la collaborazione con alcuni settori del nazifascismo italiano [8] e le conclusioni politiche di Fusaro: avere «idee di sinistra e valori di destra» [9].

      FASCISMO & ANTIFASCISMO, DESTRA & SINISTRA

      Nell’Introduzione teorico-politica al marxismo-leninismo di In Difesa del Socialismo Reale non ho affrontato direttamente il tema del rossobrunismo, per quanto la questione sia posta in maniera abbastanza chiara al lettore attento nel paragrafo “Il nesso strutturale tra fascismo e imperialismo”, che vado a riportare integralmente:

      «Alcuni di questi attacchi inconsulti odierni riguardano ad esempio la questione posta da alcuni intellettuali autodefinitisi marxisti secondo cui occorrerebbe rinnegare la dicotomia fascismo/antifascismo in nome della costruzione di un fronte comune antimperialista e anticapitalista. Questi assunti partono dal giusto assunto che dopo il 1991 e la ripresa di egemonia delle teorie socialdemocratiche (con evidenti e grossolani cedimenti all’ideologia liberista) all’interno delle organizzazioni progressiste, le “destre” e le “sinistre”, così come sono percepite a livello popolare, abbiano sostanzialmente messo in pratiche le stesse politiche (reazionarie), giungendo ad esempio in Italia a rafforzare l’idea che tutta la politica non sia altro che un gioco di corrotti e delinquenti (la questione insomma della cosiddetta “antipolitica” e della “casta”).

      È evidente che analizzando gli ultimi 20-30 anni le sinistre socialdemocratiche siano sempre più assimilabili alle destre popolari, all’insegna di una comune accettazione del sistema capitalistico imperialista. Da tutto ciò potrebbe anche scaturire una riflessione utile sull’utilità o meno per un’organizzazione comunista di utilizzare una parola sempre più logora e deturpata come “sinistra”, ormai forse perfino più bistrattata di termini considerati vetusti (ma sempre più sconosciuti per le giovani generazioni) come “socialista” o “comunista”.

      Da ciò non deve derivare però la caduta del concetto ontologico di destra e sinistra nato con la Rivoluzione Francese, che sanciva in maniera storica la differenza antropologica tra reazionari e progressisti, tra conservatori e rivoluzionari, tra chi in definitiva guarda al bene del proprio orticello e chi invece volge lo sguardo all’interesse di tutta l’umanità.

      Questa è la stessa differenza sostanziale che vige tra fascismo e antifascismo: il primo è un’ideologia reazionaria, nazionalista e xenofobo-razzista che nulla può avere a che vedere con chi si professa comunista, il quale invece pone l’internazionalismo e quindi l’antirazzismo come uno dei suoi fondamenti necessari e costituenti verso la lotta al Capitale.

      C’è però anche un altro motivo ben più evidente che rende questa alleanza non solo impossibile ma inconcepibile. Ciò risiede nel fatto che il capitalismo ed il fascismo altro non sono che due facce della stessa medaglia. Lo insegna la storia del movimento operaio. Non è un caso che la XIII sessione plenaria del Comitato Esecutivo dell’Internazionale Comunista definisse il fascismo al potere come “la dittatura terroristica aperta degli elementi più reazionari, più sciovinisti e più imperialisti del capitale finanziario”.

      Il fascismo non è altro quindi che una mostruosa creatura partorita e sostenuta nei momenti di crisi dalla stessa borghesia per i suoi obiettivi. Gramsci lo spiega assai bene:

      “Il ‘fascismo’ è la fase preparatoria della restaurazione dello Stato, cioè di un rincrudimento della reazione capitalistica, di un inasprimento della lotta capitalistica contro le esigenze piú vitali della classe proletaria. Il fascismo è l’illegalità della violenza capitalistica: la restaurazione dello Stato è la legalizzazione di questa violenza.”

      Questo è il motivo che rende chiaro a Gramsci il fatto che “la liquidazione del fascismo deve essere la liquidazione della borghesia che lo ha creato”.

      Impossibile quindi essere antifascisti senza essere anticapitalisti, come riuscì a sentenziare in maniera quasi poetica Bertolt Brecht:

      “Coloro che sono contro il fascismo senza essere contro il capitalismo, che si lamentano della barbarie che proviene dalla barbarie, sono simili a gente che voglia mangiare la sua parte di vitello senza però che il vitello venga scannato. Vogliono mangiare il vitello, ma il sangue non lo vogliono vedere. Per soddisfarli basta che il macellaio si lavi le mani prima di servire la carne in tavola. Non sono contro i rapporti di proprietà che generano la barbarie, ma soltanto contro la barbarie. Alzano la voce contro la barbarie e lo fanno in paesi in cui esistono bensì gli stessi rapporti di proprietà, ma i macellai si lavano ancora le mani prima di servire la carne in tavola.”

      Ma nell’epoca in cui il capitalismo è nella sua fase imperialistica come si può quindi predicare l’unione con i fascisti che dell’imperialismo rappresentano l’agente più terribile? Non val la pena approfondire ulteriormente tale questione posta da settori dell’intellettualità che evidentemente nulla hanno a che spartire con il marxismo.»

      IL ROSSOBRUNISMO COME USCITA DAL CAMPO DEL COMUNISMO

      C’è un confine nella normale dialettica interna al campo comunista. Non si possono accettare pensieri nazionalisti, razzisti o in qualche pur morbida maniera “esclusivisti”. Non si può cioè pensare che i diritti debbano essere riservati eternamente solo ad alcune comunità umane, andando ad escluderne altri per criteri di etnia, religione, lingua, sesso, ecc.

      Ci sono ragioni accettabili per considerare comunista solo chi utilizza e coniuga opportunamente le categorie di patriottismo, internazionalismo, materialismo storico (e dialettico), lotta di classe, imperialismo, ecc.

      Partendo dal patrimonio (per quanto ormai semi-sconosciuto e assai scarsamente condiviso, quantomeno in Italia) del marxismo-leninismo, si può discutere su alcuni questioni tattiche, strategiche e di teoria ancora insolute; queste non sono poche e riguardano anche la dialettica e la concretizzazione dei diritti sociali e civili, oltre che le differenti caratterizzazioni nazionali al socialismo. Su questi temi i comunisti nel resto del mondo (cinesi, cubani, coreani, portoghesi, ecc.) sono molto più avanzati di noi italiani, che scontiamo ancora il retaggio dell’eurocomunismo.

      Tra i temi strategici del dibattito troviamo quelli del potere politico ed economico. Il rossobruno rifiuta la lotta di classe e considera prioritario non l’obiettivo del miglioramento sociale della classe lavoratrice, ma la difesa strategica della sovranità nazionale in un’ottica corporativa e interclassista. In questa ottica non c’è un nesso tra la sovranità nazionale e quella popolare. Si arriva così a elaborare concetti ambigui come «economia di mercato sovrana», in continuità con il mantenimento di un regime borghese. Il rossobruno insomma non propone la presa del potere politico ed economico da parte della classe lavoratrice ma nei casi migliori si limita a proporre una moderna “aristocrazia borghese” illuminata, che non mette in discussione il controllo sociale e politico dei mezzi di produzione dell’attuale classe dominante. Il “welfare state” non è implicito per il rossobruno, così come in generale alcuna forma di regime sociale avanzato. Qualora vi sia tale rivendicazione, essa non cessa di essere ambigua se non accompagnata dalla messa in discussione della struttura imperialista del proprio Paese.

      Ben diverso è il discorso del “socialismo di mercato”, ossia di un regime in cui il potere politico resta saldamente in mano alla classe lavoratrice organizzata dalla sua avanguardia, il partito comunista. Il potere economico viene in questo caso spartito consapevolmente e in spazi più o meno limitati con la borghesia nazionale non come obiettivo strategico, bensì tattico, con lo scopo di sviluppare le forze di produzione, creando ricchezza sociale che, seppur redistribuita in maniera inizialmente diseguale, è una delle condizioni concrete per il futuro passaggio al socialismo.

      Dietro la normale dialettica del dibattito democratico interno al campo marxista-leninista c’è sempre il pericolo del revisionismo, come mostra la crescita di certe correnti reazionarie nei partiti comunisti della seconda metà del ‘900: si pensi all’ala migliorista nel PCI, o alle correnti riformiste e nazionaliste rafforzatesi nel PCUS dagli anni ’70. Tale pericolo è ancora più accentuato oggi, sia per la fase di sbandamento ideologico (soprattutto europeo) conseguente al crollo del muro di Berlino, sia per i rischi insiti nel socialismo di mercato, che come abbiamo visto consentono in forme e modalità variegate il ripristino di alcuni elementi di un’economia capitalistica, con tutte le conseguenze moralmente corruttrici del caso. Il passaggio però non è automatico, ed in ultima istanza è il potere politico che ha l’ultima parola, il che ripropone il tema dell’adeguatezza ideologica del Partito come guida della classe lavoratrice.

      SUI REGIMI NAZIONALISTI DEL “TERZO MONDO”

      Un ulteriore tema di riflessione è dato da uno scambio di battute avuto con Francesco Alarico della Scala, uno dei maggiori esperti italiani della Repubblica Popolare Democratica di Corea, il quale mi ha messo in guardia da una semplificazione nell’uso del termine “nazionalismo”:

      «Nonostante i suoi ovvi limiti di classe, il nazionalismo borghese può svolgere e ha svolto una funzione progressiva nei paesi colonizzati o in genere asserviti all’imperialismo straniero, mentre ha un ruolo completamente reazionario solo nelle metropoli imperialiste.

      Proprio questo è il caso di Hitler e Mussolini, da te citati, che agirono in contesti dove la rivoluzione proletaria era, se non proprio all’ordine del giorno, una concreta possibilità che terrorizzava le classi sfruttatrici, e quindi assolsero non una funzione progressiva (di liberazione nazionale) ma regressiva (di contenimento e repressione della spinta rivoluzionaria delle masse lavoratrici), peraltro favoriti in ciò dal fatto che il movimento comunista dell’epoca non aveva saputo levare per primo la bandiera degli interessi nazionali e unire il destino della nazione alla causa del socialismo – come più volte osservato da Lenin e Stalin e contrariamente a quanto accadde vent’anni dopo.

      In altre realtà (Libia di Gheddafi, Egitto di Nasser, Iraq di Saddam, Siria degli Assad, ecc.) regimi molto diversi ma che comunque si richiamavano ad analoghe dottrine corporativiste hanno dato vita ad esperimenti molto interessanti, di fronte ai quali che fare: preoccuparsi per le deviazioni rossobrune che potrebbero veicolare oppure riconoscere la loro funzione storica positiva e il loro contributo alla diffusione degli ideali socialisti sia pur non rigorosamente marxisti?

      I comunisti coreani sono di questo secondo avviso, e da sempre intrattengono buoni rapporti con alcune forze nazionaliste non solo in patria e nel mondo post-coloniale ma anche in Giappone, in Europa e in America, e per questo incorrono spesso in accuse di “rossobrunismo” o di fascismo vero e proprio. Nondimeno la loro posizione è la più conforme alle tradizioni del movimento comunista mondiale intese in modo non folcloristico e nominale.»

      Al suo intervento stimolante ho risposto nella seguente maniera:

      «Tutte le realtà che possiamo definire “nazionaliste progressive”, quelle che hai citato ne sono esempi, sono alleate del movimento comunista nella lotta contro l’imperialismo internazionale, ma non le considero modelli marxisti-leninisti, seppur varianti nazionali del socialismo rispettabili per i differenti contesti.

      Per quanto riguarda l’Italia credo che la soluzione resti uno sviluppo diverso del marxismo-leninismo, che non apra a tali versioni eclettiche che sono adatte per Paesi molto diversi da noi per cultura, società, economia, ecc.

      È sbagliato comunque ritenerli rossobruni, così come bollare di rossobrunismo i comunisti che collaborino con loro in ambito nazionale o internazionale. Credo però che loro stessi sarebbero d’accordo a non considerarsi parte del movimento comunista internazionale.

      Sono d’accordo con te comunque che i maggiori pericoli ideologici vengano da altri fronti, ma proprio perché il nemico è ancora forte non bisogna dare il minimo argomento ai suoi attacchi, evitando di fare errori (o provocazioni) come quelle dell’ultimo Preve che è arrivato a dare indicazioni di voto per la Le Pen.»

      NON È MEGLIO RIGETTARE IL TERMINE ROSSOBRUNISMO?

      No. La storia [10] ci ha mostrato che le classi reazionarie hanno sempre cercato di infiltrare i movimenti rivoluzionari, talvolta pianificando a tavolino strategie culturali per introdurre elementi revisionisti e degeneratori nel campo culturale proletario. Questo vale chiaramente in particolar modo per il marxismo e il movimento comunista, che sono stati e sono tuttora il nemico principale dell’imperialismo.

      La borghesia dispone infatti dei mezzi politici, economici e mediatici per fomentare ad arte delle “deviazioni” politico-ideologiche, introducendo modelli “riformisti” o “rossobruni”, intendendo per questi ultimi, come abbiamo visto, delle teorie ibride tra socialismo e nazionalismo borghese che costituiscono forme degenerative della teoria rivoluzionaria in grado di confondere larghi strati della classe lavoratrice, sfruttando parole d’ordine e slogan solo apparentemente rivoluzionari. In questa maniera sono riusciti a “sfondare” casi famosi come Mussolini e Hitler, due esempi classici in tal senso, visto l’enorme sostegno che hanno ottenuto dal mondo industriale.

      La categoria di “rossobruno” è quindi valida tutt’oggi? Si. Pur essendo nata in un contesto borghese, essa esprime una posizione politica che per anni è stata respinta, seppur con altri termini, dal movimento comunista internazionale. Oggi resta valida in questa accezione, come arma ideologica a disposizione del movimento operaio, tenendo conto però che nella confusione ideologica in cui versa attualmente il movimento comunista, specie quello italiano, tale categoria è stata fatta propria dai think tank della borghesia liberale per delegittimare paradossalmente soprattutto i comunisti.

      Il che non deve stupire troppo, dato che la borghesia liberale è già riuscita a conquistare la categoria analitica della “sinistra”, bollando i comunisti prima come “estrema sinistra” (anni ’90 e inizio ’00), poi, negli ultimi tempi, di fronte ad alcuni nuovi fermenti teorico-politici che rischiano di incrinare la narrazione del totalitarismo liberale, come “rossobruna”.

      Per queste ragioni credo che in alcuni casi sia utile mantenere la categoria di rossobrunismo, specie laddove ci siano dei casi palesi di revisionismo anticomunista. Occorre insomma sempre mantenere la guardia imparando a muoversi in questo «mondo grande e terribile» (cit. Gramsci).

      NOTE

      [1] A. Scanzi, L’ossessione “rossobruna”: come etichettare il nemico, Ilfattoquotidiano.it, 31 dicembre 2018, disp. su https://infosannio.wordpress.com/2019/01/01/andrea-scanzi-lultimo-insulto-della-sinistra-a-chi-non-vota-be.

      [2] A. Pascale, Risposta alle accuse di Iskrae su Berlinguer e rossobrunismo, Intellettualecollettivo.it, 30 dicembre 2018, disp. su http://intellettualecollettivo.it/risposta-alle-accuse-di-iskrae-su-berlinguer-e-rossobrunismo.

      [3] La nuova edizione, riveduta, ampliata e corretta, è in uscita per le Edizioni Paginauno.

      [4] Un personaggio diventato famoso grazie al bel libro E. Carrère, Limonov, Adelphi, 2012.

      [5] F. Chernov, Il cosmopolitismo borghese e il suo ruolo reazionario, Bol’ševik, n° 5, 15 Marzo 1949, disp. su http://intellettualecollettivo.it/la-lotta-mondiale-contro-limperialismo-cosmopolita.

      [6] V. Giacché, Per una sovranità democratica e popolare. Cioè costituzionale. L’ultimo libro di Alessandro Somma: “Sovranismi”, Marx21.it, 3 gennaio 2019, disp. su https://www.marx21.it/index.php/internazionale/europa/29467-vladimiro-giacche-per-una-sovranita-democratica-e-popolare-cioe-costitu.

      [7] C. Fantuzzi, Fusaro: “Rossobrunismo e Interesse Nazionale: Armi Culturali Contro il Capitalismo mondialista”, Ticinolive.ch, 30 marzo 2017, disp. su http://www.ticinolive.ch/2017/03/30/fusaro-rossobrunismo-interesse-nazionale-armi-culturali-capitalismo-mondi.

      [8] Si veda ad esempio l’intervista al leader di Casapound Di Stefano sul sito dell’associazione culturale di Fusaro: A. Pepa, Di Stefano: “fascismo e antifascismo? Non c’è nessuna guerra civile in atto: è una truffa montata ad arte per distrarci”, Interessenazionale.net, 1 marzo 2018, disp. su https://www.interessenazionale.net/blog/di-stefano-fascismo-e-antifascismo-non-c-nessuna-guerra-civile-a.

      [9] D. Fusaro, Il vero rivoluzionario: idee di sinistra, valori di destra, Diegofusaro.com, 5 giugno 2018, disp. su https://www.diegofusaro.com/idee-sinistra-valori-destra.

      [10] Su questo non posso che rimandare alle ricerche presentate in A. Pascale, In Difesa del Socialismo Reale e del Marxismo-Leninismo, Intellettualecollettivo.it, 15 dicembre 2017, disp. su http://intellettualecollettivo.it/scarica-in-difesa-del-socialismo. Ulteriori elementi sono aggiunti nel volume A. Pascale, Il totalitarismo liberale. Le tecniche imperialiste per l’egemonia culturale, La Città del Sole, Napoli 2019.

      https://www.marx21.it/storia-teoria-e-scienza/marxismo/il-rossobrunismo

    • Rossobruni. Le prospettive dell’unione tra le frange più estreme della nostra politica.

      I l 28 aprile 2017, pochi giorni dopo il primo turno delle elezioni presidenziali francesi, Marine Le Pen ha rotto gli indugi: “Mi rivolgo agli elettori della France Insoumise (il partito di estrema sinistra del candidato Jean-Luc Mélenchon, nda) per dire loro che oggi bisogna fare muro contro Emmanuel Macron: un candidato agli antipodi rispetto a quello che hanno sostenuto al primo turno”. Più che una mossa della disperazione, si è trattata di una mossa logica, seguita a una campagna elettorale che la leader del Front National ha condotto nelle fabbriche, nelle periferie, tra i piccoli agricoltori. E che soprattutto l’ha vista prevalere nel voto operaio, dove ha conquistato il 37% (laddove Mélenchon si è invece fermato al 24%).

      Il tentativo della candidata dell’estrema destra di accreditarsi presso l’estrema sinistra era anche una logica conseguenza delle tante somiglianze, già più volte sottolineate, tra il suo programma e quello di Mélenchon: abrogazione della legge sul lavoro targata Hollande, ritorno dell’età pensionabile a 60 anni, innalzamento del salario minimo (pur se con misure diverse), no alla privatizzazione delle aziende pubbliche, protezionismo fiscale sotto forma di tasse sulle importazioni, rinegoziazione dei trattati europei e uscita dalla NATO.

      Lo sfondamento a sinistra, però, non ha funzionato: secondo l’istituto sondaggistico francese IFOP, solo il 13% degli elettori di Mélenchon ha deciso di votare Le Pen (percentuale comunque degna di nota), mentre la metà esatta si è rassegnata a votare per il liberista Macron (vincitore delle presidenziali) e il 37% si è rifugiato nell’astensionismo. Lo steccato ideologico destra/sinistra – seppur ammaccato – ha retto, facendo naufragare i sogni di gloria di Marine Le Pen e rendendo vani i suoi tentativi, che ormai durano da anni, di definirsi “né di destra né di sinistra” (stessa definizione utilizzata in campagna elettorale da Macron e che si sente spesso anche in Italia, mostrando come la corsa post-ideologica appartenga un po’ a tutti).

      Ma è proprio il fatto che Marine Le Pen abbia avuto la forza di rivolgersi direttamente all’estrema sinistra – senza timore di alienarsi la base elettorale – a dimostrare quanto sia ammaccata la divisione destra/sinistra. D’altra parte, è stato davvero politicamente più coerente che il voto di Mélenchon sia andato in larga parte al liberista Macron (che tra gli operai si è fermato al 16%)? Macron si può davvero considerare un candidato di sinistra? Su alcuni temi – come l’ambientalismo (sul quale si è speso molto) e i diritti civili – la risposta è senz’altro positiva; ma sul piano economico è difficile giudicare di sinistra chi ha in programma un taglio della spesa pubblica di sessanta miliardi di euro l’anno e la riduzione dal 33% al 25% delle imposte sulle società.

      Dal punto di vista economico, la collocazione più naturale di Macron è in quel liberalismo (o neo-liberalismo) al quale possiamo ricondurre buona parte dei candidati moderati che hanno imperversato per l’Europa in questi ultimi anni.

      Il fatto che Marine Le Pen si sia rivolta direttamente all’estrema sinistra – senza timore di alienarsi la base elettorale – dimostra quanto sia ammaccata la divisione destra/sinistra.

      Il campo liberale attraversa aree ben precise della destra e della sinistra ed è, in fin dei conti, quell’area alla quale Silvio Berlusconi (che agli esordi della sua carriera politica proponeva la “rivoluzione liberale”) si è sempre riferito con il termine “moderati”. La provenienza, ovviamente, conta e le differenze restano, ma sono superabili senza eccessivi traumi, come dimostra la pacifica convivenza delle numerose “grandi coalizioni” che negli anni hanno attraversato (notoriamente) Italia, Spagna e Germania, ma anche Austria, Belgio, Finlandia, Grecia, Irlanda e altri ancora. Grandi coalizioni spesso rese necessarie dal rifiuto delle ali estreme dello scacchiere politico di unirsi ai grandi partiti moderati della loro area (diversa, ma non troppo, la tripolare situazione italiana in cui il populista M5S rifiuta ogni apparentamento rendendo di fatto obbligatorie, nel quadro proporzionale, le larghe intese).

      E poco importa che i moderati di destra e di sinistra abbiano ancora le loro differenze: perché se i primi sono più duri su immigrazione e sicurezza, e i secondi (dovrebbero essere) più coraggiosi su diritti civili e ambientalismo, la decennale crisi economica ha concentrato tutta l’attenzione sui temi dell’economia e del lavoro. Così, i liberali di destra e di sinistra hanno avuto gioco facile a unirsi (o addirittura a fondersi, com’è il caso di En Marche di Macron) in nome dell’Europa e del liberismo economico.

      Un’unione di fatto che rende più facile la vittoria politica ma che viene pagata a caro prezzo in termini elettorali: le forze moderate si sono ormai alienate le simpatie delle classi più disagiate e vedono i loro consensi complessivi contrarsi elezione dopo elezione. In Italia, le due uniche formazioni che si possono considerare a tutti gli effetti liberali (Partito Democratico e PDL/Forza Italia) sono passate dai 25,6 milioni di voti complessivi del 2008 ai 15,9 milioni del 2013. Se si votasse oggi (considerando i sondaggi e l’astensione prevista) non andrebbero oltre i 13,7 milioni.

      Situazione non troppo dissimile in Francia: i due grandi partiti (UMP/Les Républicains e PSF) che solo cinque anni fa mettevano assieme venti milioni di voti, oggi sono scesi a 9 milioni. Unendo tutte le forze definibili (con qualche forzatura) come liberali, si scopre che il trio Hollande/Sarkozy/Bayrou, nel primo turno del 2012, aveva conquistato 23,1 milioni di voti; il trio Hamon/Macron/Fillon si ferma a 18 milioni. Tutti voti raccolti dalle ali estreme e “populiste” di Le Pen (quasi un milione e mezzo di voti in più) e di Mélenchon (oltre 3 milioni di voti in più).

      Le forze moderate si sono ormai alienate le simpatie delle classi più disagiate e vedono i loro consensi complessivi contrarsi elezione dopo elezione.

      I due turni di elezioni legislative francesi seguiti alle presidenziali hanno ampiamente sgonfiato il Front National (che ha preso solo il 13% dei voti al primo turno e conquistato otto seggi al secondo), così come la France Insoumise di Mélenchon (meno 8 punti percentuali, nel primo turno, rispetto alle presidenziali) e anche il partito Repubblicano di Fillon (che ha lasciato per strada cinque punti). L’unico a conquistare voti è stato En Marche di Macron (assieme agli alleati MoDem), salito al 32% e in grado di conquistare la maggioranza assoluta.

      Questa inversione di tendenza rispetto alle presidenziali, però, non deve essere fraintesa con un cambiamento sostanziale della dinamica in atto. E non solo perché, per fare un esempio, già nel 2012 il Front National era ampiamente sceso nei consensi nel passaggio tra le presidenziali e le legislative (dal 18% al 13%; il che non gli ha comunque impedito di diventare primo partito nelle seguenti Europee, elezioni fondamentali ai fini del nostro discorso), ma soprattutto perché la struttura stessa delle elezioni francesi è pensata affinché le legislative rafforzino il presidente appena eletto (e quindi in piena luna di miele), aiutandolo a conquistare una salda maggioranza parlamentare che lo aiuti a governare con stabilità (allo stesso modo, non si deve dare eccessivo peso ai risultati delle recenti amministrative italiane: elezioni in cui i temi fondamentali di oggi – Europa, immigrazione e politiche del lavoro – hanno un peso secondario se non irrilevante, rispetto a questioni di pubblica amministrazione locale, e in cui è quindi possibile riproporre con successo i vecchi schemi).

      I dati del primo turno delle presidenziali francesi (quelli che meno subiscono distorsioni), confermano quanto visto (pur nelle sue particolarità) anche nel referendum costituzionale italiano e (in maniera più controversa) nel referendum sulla Brexit: i partiti liberali sono ormai appannaggio degli “ottimisti”, di chi guadagna mediamente bene o comunque è soddisfatto della propria posizione sociale o delle prospettive che vede davanti a sé. Ma dieci anni di crisi economica hanno ingrossato enormemente le fila dei pessimisti e degli arrabbiati che, anno dopo anno, stanno ampliando gli spazi elettorali dei partiti populisti, di destra o sinistra che siano.

      Stando così le cose, non è per niente stupefacente che Marine Le Pen si rivolga agli elettori di estrema sinistra: il nemico non è più nel campo opposto, ma al centro. L’avversario non è la sinistra radicale, ma il liberalismo; la frattura politica fondamentale oggi è l’Europa governata dall’establishment. Per Marine Le Pen, “il nemico del mio nemico è mio alleato”. Tanto più se, lungo la strada, si scopre che ci sono anche parecchi aspetti che uniscono le due estremità: l’anti-atlantismo e l’anti-capitalismo (da sempre), e poi l’importanza della sovranità nazionale (riscoperta da parte della sinistra), la contrarietà all’euro e anche il problema dell’immigrazione (visto da sinistra, in chiave marxista, come “esercito industriale di riserva” del grande capitale); tutto condito da una consistente spruzzata di complottismo.

      Le due estremità sono unite da diversi aspetti: l’anti-atlantismo e l’anti-capitalismo, la contrarietà all’euro, l’importanza della sovranità nazionale e il problema dell’immigrazione.

      Tra i vari punti di contatto tra destra e sinistra populiste, il più interessante è quello della sovranità nazionale. Quando e perché la sinistra radicale, da sempre legata a concetti internazionalisti, ha riscoperto il valore della nazione? “Che la sovranità dello stato-nazione sia precondizione (…) del proprio stesso essere cittadini appartenenti a una comunità politica capace di decidere per il proprio futuro e per gli assetti e le strutture economico-sociali che si vogliono prevalenti, è cosa così ovvia che non dovrebbe neanche essere detta”, si legge sul sito Comunismo e Comunità. “Che la sinistra italiana sia stata fagocitata dall’ideologia ‘globalista’ e ‘unioneuropeista’ da ormai più di vent’anni, scambiando forse l’internazionalismo con la globalizzazione capitalistica e la tecnocrazia sovranazionale, è una tragedia storica i cui frutti si sono ampiamente manifestati da tempo”.

      Sulla questione della sovranità nazionale si sofferma anche un comunista duro e puro come Marco Rizzo: “Siamo assolutamente contrari all’Europa unita. Molti dicono che bisogna riformare questa Europa, che bisogna creare un’unione politica e non solo economica, ma noi pensiamo che l’Unione non sia riformabile, perché frutto di un progetto preciso che risponde agli interessi del Grande Capitale. Mettiamocelo in testa, questa è l’Europa delle grandi banche, dei grandi capitali e non sarà mai l’Europa dei popoli”. In chiusura, come salta all’occhio, Rizzo utilizza le stesse identiche parole sentite più volte da Matteo Salvini o Giorgia Meloni.

      Ovviamente, riviste online come Comunismo e Comunità o personaggi politici come Marco Rizzo sono dei punti di riferimento ascoltati solo da una sparuta minoranza di elettorato, insignificante dal punto di vista numerico. Eppure, discorsi simili sulla sovranità si possono sentire da figure più mainstream come Stefano Fassina, ex PD (oggi Sinistra Italiana) e soprattutto ex viceministro dell’Economia. Sostenitore a corrente alternata dell’uscita dall’euro, il deputato ha dichiarato in una lettera al Corriere che gli ostacoli insuperabili della moneta unica e dell’unione vanno ricercati nei “caratteri profondi, morali e culturali dei popoli europei e gli interessi nazionali degli Stati”.

      Se per la sinistra alternativa le radici dell’anti-europeismo vanno cercate nella sovranità popolare, come opposizione alla “tecnocrazia sovranazionale”; per la destra radicale, le ragioni per recuperare la sovranità perduta trovano nell’identità nazionale parte integrante del suo DNA. La cosa più importante, però, è che la ricetta è la stessa: uscire dall’euro e recuperare il controllo monetario. E così, oltre al comune nemico del liberalismo e del capitalismo, a unire le categorie alternative della politica europea troviamo anche uno degli aspetti più importanti dei nostri giorni: il rifiuto della moneta unica e del progetto europeo tout court.

      Con l’avvento di una generazione meno legata ai vecchi schemi ideologici, il superamento della dicotomia destra/sinistra potrebbe portare alla nascita di movimenti capaci di sintetizzare forze politiche oggi opposte.

      Ovviamente, sottolineare i punti di contatto non significa in alcun modo ritenere che estrema destra ed estrema sinistra siano uguali, ma solo che le tendenze storiche e politiche della nostra epoca, il graduale superamento della dicotomia destra/sinistra in direzione europeismo/populismo, l’avvicinamento delle forze liberali e moderate di destra e di sinistra potrebbero, con l’avvento di una nuova generazione meno legata ai vecchi schemi ideologici, portare alla nascita di movimenti in grado di fare una sintesi di forze politiche che oggi sono obbligate a guardarsi in cagnesco.

      “La convergenza al centro contro i populismi non può durare in eterno”, scrivono su Internazionale i ricercatori Marta Fana e Lorenzo Zamponi. Non è detto: potrebbe durare in eterno se i populismi di destra e di sinistra si uniranno a loro volta in ottica anti-liberale, dando ufficialmente forma a ciò che finora è rimasto più che altro un vagheggiamento limitato alle zone più estreme della politica europea (ma non in Italia, come vedremo più avanti): il rossobrunismo.

      D’altra parte, perché mai le due ali estreme dovrebbero continuare a restare separate, consegnandosi a inevitabile sconfitta? Il rossobrunismo, allora, si configurerebbe come la necessità di fare blocco contro la fusione delle forze liberali (Macron, in questo, è davvero un precursore). Le richieste di un “populismo di sinistra” da una parte e dall’altra di una “destra che deve diventare sempre più di sinistra” (come ebbe a dire l’ex Alleanza Nazionale Roberta Angelilli, in gioventù vicina a Terza Posizione), potrebbero (il condizionale è d’obbligo) sfociare tra qualche tempo nel proliferare di forze unitarie anti-establishment che, lungi dal definirsi rossobrune, potrebbe però attingere indifferentemente agli elettorati che oggi si rivolgono all’estrema destra e all’estrema sinistra.

      L’alternativa, comunque, esiste, ed è oggi incarnata dalla politica britannica che – dopo una lunga parentesi liberale (incarnata, in tempi recenti dalla segreteria del Labour di David Milliband e da David Cameron alla guida dei conservatori) – è tornata su posizioni più tradizionali, dando il partito laburista in mano a Jeremy Corbyn e il partito conservatore in mano alla securitaria Theresa May. Un ritorno all’antico che ha immediatamente cancellato l’UKIP (orfano di Nigel Farage), i cui elettori, stando a quanto scrive il Guardian, si sono rivolti in massa ai laburisti rossi di Corbyn.

      La lezione britannica – che potrebbe far riflettere profondamente chi continua a ritenere valido il mantra del “si vince al centro” – non è l’unico ostacolo che deve fronteggiare il rossobrunismo, una definizione che viene solitamente considerata come un insulto. Lo dimostra il fatto che tutte le figure ritenute appartenenti a questa galassia (da Stefano Fassina ad Alberto Bagnai, da Giulietto Chiesa allo scomparso Costanzo Preve e tanti altri ancora) rifiutano sdegnosamente l’etichetta.

      Perché le due ali estreme dovrebbero continuare a restare separate, consegnandosi alla sconfitta? Il rossobrunismo si configurerebbe come la necessità di fare blocco contro la fusione delle forze liberali.

      Esiste una sola eccezione: Diego Fusaro. Per quanto si tratti di un personaggio spesso criticato (se non sdegnato) da larga parte del mondo intellettuale italiano, può essere interessante vedere come lui stesso – ormai diventato, di fatto, il volto pubblico del rossobrunismo – inquadri il problema: “Rossobruno è chiunque – consapevole che l’antagonismo odierno si basi sulla verticale contrapposizione tra servi e signori e non su vane divisioni orizzontali – oggi rigetti destra e sinistra”, ha spiegato in un’intervista. “Oggi chiunque propugni un’economia di mercato sovrana, viene automaticamente chiamato rossobruno. (…) Rossobruno è colui che critica il capitale, che vuole una riorganizzazione in termini di sovranità e si pone in contrasto al capitalismo”.

      Non è una storia nuova, anzi: basti rievocare le origini di sinistra del primo fascismo italiano, la composizione ricca di ex socialisti ed ex comunisti delle SA tedesche o le idee del sovietico Karl Radek, secondo il quale era necessaria un’unione dei comunisti con i nazisti in funzione “anti-pace di Versailles” (ma ci sarebbero tantissime altre personalità “rossobrune ante litteram” da scovare nei primi decenni del Ventesimo secolo). I veri precursori del rossobrunismo, però, possono essere identificati in quei gruppi extraparlamentari che all’epoca della contestazione venivano etichettati come nazimaoisti – oggi passano sotto il nome di comunitaristi – e che sono il vettore principale attraverso il quale nei movimenti di estrema destra come Forza Nuova o CasaPound è entrata la spiccata attenzione per le questioni sociali. “Oggi, scomparso il problema politico del socialismo, questi si sono confusi con la retorica anti-globalizzazione”, si legge sul sito antagonista di sinistra Militant. “Hanno iniziato a usare linguaggi a noi affini e a dotarsi di una simbologia para-socialista che li rende facilmente fraintendibili”.

      Abbiamo quindi una sinistra che accoglie elementi di destra (sovranismo e critica nei confronti dell’immigrazione) e una destra che sposa battaglie di sinistra (l’attenzione al sociale e anche l’ambientalismo, come dimostra la fascinazione nei confronti della “decrescita felice” di Serge Latouche). A questi aspetti possiamo unire alcune radici storiche comuni e soprattutto la convergenza al centro del comune nemico (le forze liberali) che potrebbe costringerli a un’unione futura.

      E allora, perché tutto ciò non avviene? Perché la Le Pen riesce a sfondare tra gli operai (così come fa Salvini) ma non è in grado di raccogliere i voti di chi si considera di sinistra? Probabilmente, perché lo steccato ideologico destra/sinistra non può essere superato, per definizione, da forze che hanno le loro radici antiche proprio in questa divisione.

      Una vera forza anti-liberale capace di raccogliere voti da entrambi i lati degli schieramenti (contribuendo al consolidamento della nuova frattura establishment/populismo) e fare così concorrenza all’unione delle forze liberali (divise da steccati più facilmente aggirabili) può sorgere solo in chiave post-ideologica. In questo senso, è un’impresa che non può riuscire al Front National come non può riuscire a Syriza, forze troppo legate alla tradizione. Può però riuscire, e infatti sta riuscendo, a un partito nato già post-ideologico come il Movimento 5 Stelle.

      Una vera forza anti-liberale capace di raccogliere voti da entrambi i lati degli schieramenti può sorgere solo in chiave post-ideologica.

      Il movimento fondato da Beppe Grillo potrebbe cadere vittima delle sue enormi e vaste contraddizioni – e anche, come si è intravisto nelle ultime amministrative, di una classe politica spesso non all’altezza – ma oggi come oggi conserva un enorme vantaggio su tutti gli altri: è l’unica vera forza populista e anti-liberale non più definibile con le vecchie categorie, ma già definibile con le nuove. Una forza capace di unire temi sociali, ambientalismo, durezza nei confronti dell’immigrazione (fino a opporsi, di fatto, alla legge sullo ius soli), critica all’establishment e ai poteri forti, derive complottiste, ritorno alla lira e pure una certa fascinazione geopolitica per l’uomo forte Vladimir Putin (aspetto che farebbe la gioia del rossobruno nazional-bolscevico Aleksandr Dugin, teorico dell’euroasianesimo).

      Se le forze rossobrune “vere” (come i comunitaristi) sono confinate nelle nicchie più nascoste della politica italiana; se chi propugna il superamento della destra e della sinistra deve costantemente fare i conti con il passato (come Marine Le Pen e, in parte, la Lega Nord), ecco che l’unione dell’elettorato di destra e di sinistra radicale in nome del populismo e della rabbia nei confronti dei liberali, legati inestricabilmente ai poteri forti, può riuscire a chi, come il M5S, non deve scontare un passato ideologico e può contare su una percentuale elevatissima (42%) di elettori che si considerano “esterni” alle vecchie categorie politiche.

      E allora, chiariamo una cosa: utilizzare l’etichetta “rossobrunismo” è utile perché fa subito capire di che cosa si sta parlando; allo stesso tempo, però, non si può fare riferimento ai vecchi steccati ideologici per individuare il futuro della politica alternativa. Il rossobrunismo è ancorato fin dal nome a categorie che stiamo consegnando alla storia. È improbabile la nascita di un partito che includa Stefano Fassina e Giorgia Meloni, o Marine Le Pen e Jean-Luc Mélenchon, insieme in nome di ciò che li unisce e al netto di ciò che li divide. L’unione in chiave post-ideologica delle ali estreme dell’elettorato potrebbe però diventare realtà grazie a movimenti populisti post-ideologici che mettano in primo piano quegli stessi aspetti che accomunano la destra radicale e la sinistra alternativa, senza minimamente doversi curare del retaggio storico-politico.

      Il Movimento 5 Stelle è la prima forza di questo tipo, capace di unire il populismo di destra e di sinistra e di dimostrare quali siano le potenzialità elettorali di un progetto simile. Per questa ragione è assurdo il dibattito sul “M5S di destra e di sinistra”. Il Movimento 5 Stelle è oltre le vecchie categorie ed è già legato alle nuove, trovandosi così in posizione di netto vantaggio sulle vecchie forze radicali. Chiamarlo rossobrunismo può essere comodo, ma è un termine che lega al passato ciò che invece guarda al futuro.

      https://www.iltascabile.com/societa/rossobruni

  • Lettre à sandrine rousseau
    https://blogs.mediapart.fr/jean-pierre-boudine/blog/210922/lettre-sandrine-rousseau

    Ci-après une lettre que Daniel Shapira, militant connu du POI, a envoyée à la Députée.

    Paris, le 19 septembre

    Sandrine,

    Je réagis par écrit à ton dernier message concernant Adrien Quattenens.

    Je voudrais d’abord te faire part de mon indignation profonde vis-à-vis de la véritable curée médiatique qui se déverse depuis quelques jours contre lui.

    Des millions sont pris à la gorge par l’augmentation des prix dans tous les domaines, de l’alimentation à l’énergie en passant par les transports.

    Les universités, les écoles, les hôpitaux, déjà étranglés, ne savent pas comment faire face à la hausse des prix de l’énergie.

    Des dizaines de milliers de communes sont contraintes de procéder à des coupes car étant dans l’incapacité de payer les factures d’énergie.

    Face à cette situation, la Nupes (sauf le PCF), et de nombreuses autres organisations dont le POI, ont lancé l’appel à marcher contre la vie chère le 16 octobre.

    Mais de quoi parlent les médias depuis trois jours ? De l’enterrement de la reine et de Quattenens !

    Et toi, tu n’as pas trouvé mieux que de prendre ta part dans cette curée. Tu as osé demander à Quattenens de se mettre « en retrait » de toute « parole » ou « vie » publiques, allant même jusqu’à exiger « des sanctions » contre lui.

    Mais pourquoi cette surenchère contre un camarade membre comme toi de la NUPES ? Penses-tu un instant qu’en accablant un camarade tu vas servir la cause des femmes ? Tu sais bien qui va tirer profit de ces outrances.

    Tu connais comme moi les faits.

    Céline Quattenens a déposé une main courante en demandant qu’il n’y ait aucune publicité.

    Dès que « l’affaire » est lancée publiquement, Adrien et Céline Quattenens ont publié un communiqué commun demandant « le respect de leur vie privée ».

    Ensuite, Adrien Quattenens a publié une longue lettre où il prend tout sur lui, faisant preuve comme l’a dit Jean-Luc Mélenchon de « dignité et courage ».

    Et toi, en contradiction avec le souhait commun du couple Quattenens, tu te crois obligée de participer à la meute. Ce n’est pas rendre service à Céline Quattenens que tu prétends défendre et qui a demandé avec Adrien qu’on ° « respecte sa vie privée ».

    Comme députée, j’aurais préféré te voir réagir à l’annonce de la marche du 16 octobre en appelant immédiatement à la préparer dans notre arrondissement, avec notamment la convocation d’une assemblée populaire.

    Faut-il une nouvelle fois te rappeler que tu n’es là, élue députée, que parce que Jean-Luc Mélenchon a obtenu 22% au premier tour de l’élection présidentielle et qu’il y a eu ensuite l’accord de la NUPES qui, pour donner la possibilité à chacune de ses composantes d’avoir un groupe à l’Assemblée, t’a « offert » la circonscription, gagnée grâce à l’engagement sans faille de tous les militants LFI de l’arrondissement ?

    Est-ce trop te demander que de respecter le mandat sur lequel tu as été élue, et de ne pas chercher à enfoncer un militant à l’encontre des souhaits de sa femme ?

    A te lire.

    Daniel Shapira

    #Femmes #Social #sandrine_rousseau #Céline_Quattenens #Adrien_Quattenens #Nupes #POI (Parti Ovrier.e.s Internationnal) #LFI #eelv

  • A France Culture, un « système de violence et de soumission » venu d’en haut – Libération
    https://www.liberation.fr/economie/medias/a-france-culture-un-systeme-de-violence-et-de-soumission-venu-den-haut-20

    « Verticalité dictatoriale », « mise en insécurité », « humiliations »... Plusieurs collaborateurs de la radio publique dénoncent le management de Sandrine Treiner et de certains de ses adjoints. Quatre signalements ont été effectués pour harcèlement moral depuis le début de l’année.

    « Le malaise est énorme. » Lorsque l’on interroge cette figure d’antenne de France Culture sur l’ambiance qui règne au sein de la chaîne des idées et du savoir de Radio France, le constat fuse, brutal : « Les gens sont maltraités, essorés et tristes. Et d’autant plus car c’est une chaîne où l’on vient par ambition intellectuelle et humaniste, et dont certains repartent dégoûtés », explique cette voix bien connue, qui ne souhaite pas être nommée. Et de poursuivre : « A l’antenne, on prône l’horizontalité et la délibération ; en interne, on a affaire à une verticalité dictatoriale, avec une omni-directrice. »

    #media #France_Culture

  • Il n’y a aucune solution à la crise énergétique – GRUNDRISSE
    https://grundrissedotblog.wordpress.com/2022/06/15/il-ny-a-aucune-solution-a-la-crise-energetique%ef%bf%bc

    Je commence par la fin et je donne déjà la conclusion en disant qu’il n’y a aucune solution à la crise énergétique, même pas une « toute petite solution ». Si une société post-capitaliste émancipée advenait, alors elle cesserait de se préoccuper du problème énergétique ; elle n’irait pas le résoudre en étant « plus rationnelle » et « plus efficiente » avec l’énergie. Une société qui met la rareté à son principe — comme le fait le mode de production capitaliste — s’accule elle-même à devoir toujours plus rationner sa consommation d’énergie, parce qu’elle se rapproche d’une limite absolue. Elle se condamne à s’enfoncer dans une gestion totalitaire des ressources, dans des guerres de sécurisation, dans des crises socio-économiques d’impact croissant… Mais c’est une limite qui fait partie des principes fondateurs de cette société et non de la nature.

    #crise_énergétique #capitalisme #critique_de_la_valeur #Sandrine_Aumercier

  • Réponse de Sandrine Aumercier à Bertrand Louart à propos de « Le Mur énergétique du capital »
    http://www.palim-psao.fr/2022/07/reponse-de-sandrine-aumercier-a-bertrand-louart-a-propos-de-le-mur-energe

    Or la notion de « réappropriation » est à mon sens problématique. Elle suppose certes une expropriation à faire cesser, mais elle suppose aussi quelque chose d´intact à récupérer. Il y a une sorte d´idéalisation de quelque chose qui serait authentique (le bon travail, le bon outil, le bon usage, les bons savoirs, les bonnes gens, etc.) et qui aurait été perverti par la société. Dans cette vision, le mal c´est toujours les autres. Ça ne tient pas la route, nous sommes de part en part formés par la société de marchandise, même quand nous la critiquons et c´est pourquoi la critique ne peut être qu´immanente sans pour autant céder sur la pointe (Robert Kurz insiste là-dessus à juste raison). Je déments qu´il soit possible d´opérer un inventaire des technologies dans la perspective d´un dépassement du capitalisme et je conteste aussi qu´il soit possible de parvenir sur ce point à un accord « démocratique ». Il pourrait certainement subsister des trucs épars et des connaissances avec lesquels une société post-capitaliste pourrait bricoler quelque chose de nouveau. Je ne pense pas que cela ressemblerait un tant soit peu à ce à ce que nous connaissons aujourd´hui. Mais je ne pense pas que ce serait l´affaire d´un choix éclairé et concerté, ou bien ce serait (une fois de plus) un choix effectué sur la base d´une expertise élitiste et déconnectée, une nouvelle dépossession.

    […]

    Votre défense d´un outil simple et robuste nécessitant une sorte d´industrie de proximité me semble faire l´impasse sur l´intégralité de l´infrastructure et le problème sous-jacent et insoluble de l´énergie. Il ne faudrait pas trop idéaliser notre propre activité, sous le capitalisme tout est contaminé ! Ne me faites pas croire que votre petit panneau solaire va sauver le monde. Lorsqu´on met un seul doigt dans l´engrenage, on est foutu. Pour fabriquer une petite machine, il faut une autre machine, pour fabriquer cette autre machine il faut des matériaux géographiquement dispersés ; pour les extraire et les transformer, encore d´autres machines ; pour les distribuer, il faut des transports motorisés, pour faire tourner le tout il faut des quantités phénoménales d´énergie, nécessitant elle-même des infrastructures voraces, etc. Je n´ai quand même pas besoin de vous faire des dessins. Il est impossible d´en découper un petit morceau. Une petite machine, dans ce contexte, ÇA N´EXISTE PAS. C´est une espèce de projection faussement rassurante permise par notre habitude de penser d´une manière préformée par l´individualisme méthodologique, qui isole mentalement la gentille petite machine qu´on a sous la main et la pare de toutes les vertus que détruit le grand méchant système. Vous contournez cette objection en vous accrochant à votre outil convivial, mais je ne crois pas que ce soit tenable sans une bonne dose de subjectivisme égocentrique, qui fonctionne sur le principe : « Parce que moi je suis raisonnable et je connais les bonnes limites, tout le monde n´a qu´à être comme moi et tout ira bien. » Je ne vois pas ce qui permet de penser qu´on est plus raisonnable et éclairé que la moyenne ni que tout le monde doit suivre le même raisonnement que soi. En tout cas, je fais tous les jours l´expérience du contraire. Personne n´est capable de dire, une fois le doigt mis dans l´engrenage industriel et capitaliste, où doit se situer la « bonne limite ». Il y aura toujours quelqu´un pour dire que si on a déjà cette petite machine, là, il nous faut aussi cette autre petite machine, qui est très utile aussi, etc. On pourra s´écharper là-dessus jusqu´à la fin des temps.

    […]

    Et comme déjà dit, je conteste radicalement qu´il soit possible d´obtenir un accord démocratique là-dessus. Il y a là-dedans un fond d´autoritarisme habillé de beaux principes purement idéaux, qui prétend que si seulement tout le monde pouvait participer à la décision, alors le monde irait mieux. Je n´y crois pas. Je ne peux pas décider quelque chose de sensé concernant des produits, des matériaux, des flux, des activités qui dépassent mon horizon et avec lesquels je n´ai qu´un rapport instrumental. Je suis toutefois d´accord avec vous sur le fait que le « marxisme » traditionnel et productiviste s´est fourvoyé sur ce point et c´est bien pour cela et quelques autres raisons que je m´en suis éloignée pendant très longtemps, après avoir fréquenté justement des « marxistes » tels que vous semblez les détester autant que moi. Néanmoins, j´ai persisté pendant toutes ces années à me poser la question posée plus haut : pourquoi dans la modernité, et elle seule, on est condamné à une illimitation de principe, un tonneau percé, et pourquoi toute considération de limite est forcément vaine et réactionnaire ? Eh bien, sur cette question, je dois dire qu´aucune des réponses apportées par les différents moralistes de service, y compris les anti-industriels, ne m´a convaincue. Ils ne font que dénoncer, dénoncer, dénoncer. C´est la spécialité de PMO par exemple. Mais on ne dit jamais rigoureusement pourquoi et comment les choses fonctionnent ainsi. C´est une sorte de vision vaseuse du « capitalisme » : un peu de domination, un peu d´exploitation et un peu de mégalomanie, et ça nous donne le « capitalisme ». Cette approche est incapable d´expliquer de quoi on parle en fait. Et là je dois dire que revenir à Marx et à son interprétation par la Wertkritik a en effet été pour moi le moyen de répondre enfin à certaines questions restées en suspens, ce qui ne veut pas dire qu´on a réponse à tout.

    #Sandrine_Aumercier #débat #énergie #système_industriel #capitalisme #critique_techno #anti-industriel

    • Louard ne semble pas du tout avoir envie de comprendre ce qu’est un rapport social quand il écrit :

      « C’est bien plutôt le rapport social qui constitue le critère ultime d’une critique de la technologie et du dépassement pratique » (p. 289).

      Or, dès 1934, on avait déjà abouti à cette conclusion :

      « Il s’agirait donc de séparer, dans la civilisation actuelle, ce qui appartient de droit à l’homme considéré comme individu et ce qui est de nature à fournir des armes contre lui à la collectivité, tout en cherchant les moyens de développer les premiers éléments au détriment des seconds. »

      Simone Weil, Réflexions sur les causes de la liberté et de l’oppression sociale, 1934.

      Là c’est le grand écart ^^

      De son côté, Aumercier n’a pas tellement envie de penser le dépassement du capitalisme à partir des résistances contre lui, fidèle en cela à la doxa de la critique de la valeur allemande.

      Un article de la revue Stoff sur la critique de la valeur en faisait l’analyse :

      https://www.stoff.fr/au-fil/substance-capital-lutte-classes2

      Un extrait :

      La WK [WertKritik = critique de la valeur] a correctement repéré certaines limites des luttes pâtissières (superficielles et « tronquées », politiciennes, modernisantes), cependant elle érige ces limites en un absolu, comme si elles n’étaient pas soumises elles aussi au procès contradictoire qui nous emporte tous vers la brutalisation des rapports sociaux. Elle les érige en absolu parce qu’elle-même croit détenir la bonne théorie et qu’elle s’imagine que toutes les luttes devraient suivre la bonne théorie, alors qu’en réalité l’écrasante majorité des luttes se moque comme d’une guigne de la théorie, des catégories, des concepts, et ne se comprend que dans la situation spécifique qui voit naître ces luttes. C’est ainsi que le théoricien critique de la valeur voit partout de la « critique tronquée » et ne voit jamais en revanche que cela le conduit à une posture surplombante et idéaliste. Subrepticement, à la lumière de la critique catégorielle, les défaites d’un jour deviennent les défaites de toujours.

      Il faut concéder à la WK que dans une certaine mesure, toute lutte s’inscrit au départ dans un cadre où se rejoue le face à face prolétariat/bourgeoisie. Mais dans une certaine mesure seulement. Pourquoi ? Parce qu’une lutte pour une meilleure intégration au processus de valorisation du capital, quand cette intégration n’est plus possible, se transforme nécessairement. De deux choses l’une : ou bien elle cesse, ou bien elle se retourne sur elle-même, contre ses propres présupposés. Très souvent, elle cesse. Elle commence à peine que déjà, elle cesse. Une série interminable de défaites. Puis arrive le jour où elle ne cesse plus et de catégoriquement acritique elle se transforme en négation des catégories.

      #revue_Stoff #WertKritik

    • A quoi reconnaît-on un ou une cuistre ? D’abord elle fait assaut de modestie ("je n’ai pas lu votre livre"), ensuite elle vous fait la leçon ("Ne me faites pas croire que votre petit panneau solaire va sauver le monde")...

      Si elle avait lu mon livre Réappropriation, jalons pour sortir de l’impasse industrielle (La Lenteur, mai 2022) avant de faire sa réponse, cela lui aurait évité de déblatérer cet ensemble de conneries.

      Mais de toute façon, je crois qu’elle ne le lira pas.

      Kolossale K#cuistrerie

  • Stop au carnaval, par Sandrine Aumercier - Critique de la valeur-dissociation. Repenser une théorie critique du capitalisme
    http://www.palim-psao.fr/2022/07/stop-au-carnaval-par-sandrine-aumercier.html

    L’actualité ne cesse de donner les signes de notre enfoncement collectif dans les impasses d’un mode de production dont cependant les connexions systémiques des différents phénomènes persistent à être isolées les unes des autres — comme des problèmes à part, comme des « dossiers » à régler au coup par coup. Il y a de quoi faire perdre la boussole à tous les acteurs du système et les pousser dans des extrémités parfois grotesques. Qu’on en juge : alors que Joe Biden était élu notamment pour son engagement climatique et sa promesse de politique migratoire « juste et humaine », le même a déjà signé davantage de permis de forage pétroliers que son prédécesseur climato-négationniste et le nombre d’arrestations de migrants illégaux n’a jamais été aussi élevé dans l’histoire du pays qu’en 2021 [1]. Il est indéniable que Biden a cherché à modifier dans un sens politiquement plus « progressiste » une série de législations migratoires prises par Donald Trump, mais quelles positions personnelles et promesses de campagne d’un Président pourraient opérer des transformations structurelles, puisqu’il n’est pas moins ligoté qu’un autre par les contradictions internes du système ?

    […]

    Le sommet de la farce a été atteint ces derniers jours, lorsqu’après des années de défiance diplomatique remontant à l’assassinat du journaliste Jamal Khaschoggi, Biden ne craint plus — sous la pression de l’inflation galopante, les élections de mi-mandat approchant — de se rendre en Arabie Saoudite pour mendier à l´État « paria » de mettre davantage de pétrole sur le marché. Il s’agit d’enrayer la hausse mondiale des prix du pétrole. C’est sans compter sur le fait que les pays du Golfe tirent de cette hausse des prix une substantielle augmentation de leur PIB (même si on ne sait pas s’ils ont surpassé Dieu) : dans la jungle économique, le malheur des uns fait le bonheur des autres. Mais là où la farce devient sinistre, c’est que cette demande américaine intervient dans un contexte où l´Arabie saoudite a, pour sa part, doublé depuis le début de la guerre en Ukraine ses importations de pétrole russe. Le pétrole russe pestiféré, « blanchi » par son passage en Arabie saoudite — devenue en quelques mois moralement plus fréquentable que la Russie — est utilisé pour la fabrication d’électricité domestique par les Saoudiens, qui en échange exportent davantage leur propre pétrole [3]. Il est clair que le malheur des Yéménites ne pèse pas comme celui des Ukrainiens dans la balance mondiale.

    #pétrole #énergie #États-Unis #Arabie_Saoudite #Russie #Ukraine #Yémen #capitalisme #Sandrine_Aumercier

  • Ça se passe en 2022….

    https://video.twimg.com/amplify_video/1522608379633537025/vid/1280x720/BlgkNDlJi2Cbx_WA.mp4?tag=14

    Quand j’étais toute petite je croyais que tout ça était derrière moi, derrière nous … puis j’ai eu 25 ans, puis 40….
    #TristesseProfonde
    Merci du sang-froid #SandrineRousseau : « On ne peut pas imaginer atteindre l’égalité femme-homme si on n’interroge pas les hommes sur leur comportement, individuel et collectif, estime Sandrine Rousseau. L’inégalité est une question systémique, c’est un rapport social ! »

    https://twitter.com/VirginieMartin_/status/1522839515785838592?cxt=HHwWgIC-xZSem6IqAAAA

  • Législatives : Sandrine Rousseau fait les frais de l’union | Mediapart - 26.04.22

    https://www.mediapart.fr/journal/france/260422/legislatives-sandrine-rousseau-fait-les-frais-de-l-union

    La candidature - dans la 9ème circo de Paris - de l’économiste EELV Sandrine Rousseau [...] est pour l’instant rejetée dans les tractations entre EELV et LFI.
    [...]
    Contacté à ce sujet, Julien Bayou, secrétaire national d’EELV - [investi dans la 5ème circo de Paris] - nie la responsabilité des Verts dans cette disparition. « C’est le contraire. On l’a demandée à chaque “round” de discussions, et dans la proposition reçue [de LFI selon lui] à trois heures et quelques ce matin [le 25 avril], elle ne figurait plus ; hier encore, le 24 avril, elle figurait dans notre dernière demande », assure-t-il.

    À l’Union Populaire, on défend une autre version : LFI aurait proposé deux circonscriptions à Paris aux écologistes : la 9e - celle de Sandrine Rousseau - et la 8e [...] une version renvoyée par EELV aurait choisi de privilégier la 5e circonscription - celle de Julien Bayou - à la place de la 9e.

    « EELV en veut à Sandrine Rousseau, ils essayent de régler leurs comptes, ils veulent la sacrifier au nom de l’union », estime une source du côté de l’Union Populaire, qui confirme l’information. Malgré le démenti de Julien Bayou, Sandrine Rousseau juge cette explication plausible. D’autant plus que les tenants d’une union de la gauche et des écologistes ont fait l’objet de sanctions régulières durant la campagne de Yannick Jadot – de la mise « en retrait » du porte-parole d’EELV Alain Coulombel à la suspension de Bénédicte Monville, élue écologiste à Melun, qui avait fini par dire qu’elle voterait Jean-Luc Mélenchon.

    • « EELV a mis dans l’équipe de négociation des gens historiquement opposés à LFI, c’est quand même étrange », remarque Sandrine Rousseau, citant l’ancien responsable des élections à EELV Bruno Bernard, et l’actuelle déléguée aux élections d’EELV, Hélène Hardy. Cette dernière avait mis son véto à tout accord avec LFI aux régionales en Paca en 2021. « Je doute parfois de la volonté de la direction d’arriver à un accord », ajoute Sandrine Rousseau.

      [...]

      « Ce que je veux, c’est quelque chose qui fasse se lever les gens. Les législatives doivent être une fête populaire. » Cet accord, qui doit garantir d’après elle de « conserver les dynamiques, les identités et les histoires de chacun », est la condition sine qua non pour que la gauche et les écologistes maximisent leurs chances d’être représentés à l’Assemblée.« LFI a la responsabilité de faire vivre cette coalition, de faire de la politique autrement. Il faut qu’ils soient responsables pour deux. Si les négociations échouent, on perd le peuple de gauche », prédit Sandrine Rousseau, comme si son sort dépendait aussi, désormais, de ses alliés insoumis. Elle refuse, en tout cas, d’être recasée dans une autre circonscription : « Je n’accepte rien d’autre que la 9. Je ne suis pas un pion qu’on balade. » Du côté des Insoumis, ses amis se disent bien embarrassés. « La difficulté, c’est que, même si on veut que Sandrine soit dans l’accord, ce n’est pas à nous d’en décider, confie une source insoumise. Les 11 millions d’électeurs qui ont voté à gauche et pour les écologistes ne voudraient pas qu’un accord capote sur une personne. » La vérité des prix devrait être connue dans les prochains jours : les négociations doivent aboutir au plus tard le 30 avril.

  • Société du travail et gouffre énergétique, par Sandrine Aumercier
    http://www.palim-psao.fr/2022/03/societe-du-travail-et-gouffre-energetique-par-sandrine-aumercier.html

    Mais comment se fait-il qu’une société plus techniquement avancée que l’Europe au Moyen Âge, telle la Chine, n’ait pas initié de révolution industrielle ? Les historiens débattent depuis longtemps pour expliquer ce phénomène, mais rares sont ceux qui font remarquer que cette question ethnocentrique suppose de faire de l’histoire européenne la mesure de toutes les autres, qui sont alors interprétées comme déficitaires [4]. L´Europe est en fait le lieu d’apparition contingent d’une forme sociale sans précédent, ce qui ne veut pas dire qu’elle était inéluctable. Elle ne diffère pas des autres par sa moralité ou son immoralité (la majorité des autres sociétés étant également dominatrices, exploiteuses et inégalitaires), ni par une ingéniosité exceptionnelle (puisque bien des techniques que l’Europe croit avoir inventées sont en fait attestées ailleurs), mais par rapport aux buts collectifs qu’elle s’est donnés. La multiplication abstraite de l’argent devient le moteur de la vie sociale, chose impossible sans l’instauration du travail comme médiation universelle, agrégeant des quantités toujours plus importantes de forces productives en vue de créer de la valeur. Ce processus se déroule sur un marché de concurrence auquel plus personne ne peut échapper une fois que le capitalisme est développé ; chacun se trouve alors dans la position des coureurs athlétiques présentée au début : chacun est obligé de courir et de glorifier cette course, le plus souvent sans savoir pourquoi.

    #Sandrine_Aumercier #critique_de_la_valeur #wertkritik #énergie #capitalisme

    • C’est pourtant ce que propose la totalité du spectre politique et idéologique actuel : libéraux techno-optimistes, écologistes socio-démocrates, ou écosocialistes néo-léninistes convertis aux « énergies renouvelables ». Même si peu en conviennent, tous ont déjà indirectement adopté le fonds de commerce du transhumanisme libertarien, qui est la reprogrammation intégrale du monde physique dans l’espoir de maîtriser l’entropie de la civilisation dite thermo-industrielle. Or les impasses de cette civilisation sont insurmontables sans une « rupture ontologique » (#Robert_Kurz) avec ses catégories fondamentales.

      Il fallait vraiment un Robert Kurz pour nous appeler à une « rupture ontologique » avec le technocapitalisme :

      Dans l’utopie capitaliste une fois réalisée, le fait de faire valoir les émotions et nécessités humaines les plus élémentaires, ainsi que la raison pragmatique primaire, dans le rapport avec le monde sensible perceptible [sic !], furent aussi nommés : utopie . [...] Pour ne citer que quelques exemples : il est devenu [...] utopique également de « travailler » moins que les paysans du Moyen Age en utilisant des réseaux et robots microélectroniques qui réalisent la plus grande économie de travail de tous les temps.

      Extrait du livre de Robert Kurz, Lire Marx. Les textes les plus importants de Karl Marx pour le XXIe siècle, La Balustrade, 2002, pp. 363-371 (publié en Allemagne en 2000).

      http://www.palim-psao.fr/article-criteres-de-depassement-du-capitalisme-par-robert-kurz-69203406.h

      Kolossale #cuistrerie !!!

  • France : un train de céréales arrêté par des manifestants en Bretagne - RTBF - AFP _
    https://www.rtbf.be/article/france-un-train-de-cereales-arrete-par-des-manifestants-en-bretagne-10958414

    Un train transportant des céréales destinées à la fabrication d’aliments pour bétail a été immobilisé samedi matin près de Pontivy par une cinquantaine de manifestants et une partie de son chargement déversé sur les voies, a constaté un photographe de l’AFP.

    « Le système d’élevage hors-sol va droit dans le mur, nous devons mettre l’agro-industrie à terre », ont affirmé dans un communiqué les manifestants, réunis à l’appel du Collectif « Bretagne contre les fermes usines ».


    Les militants ont édifié un mur en travers des voies ferrées, a observé le photographe, afin de symboliser « un mur en travers des voies de l’agro-industrie », ont-ils expliqué.

    « En déversant ces céréales destinées à l’alimentation d’une partie du cheptel breton, nous symbolisons le lien au sol à recréer dans notre agriculture, le lien à la terre bretonne, cette même terre qui ne peut pas supporter les incidences de l’élevage d’un si grand nombre d’animaux », ont-ils expliqué sur leur page Facebook.

    « La terre ne peut plus se regénérer ; c’est le dépassement de ses limites qui oblige les importations massives de protéines (dont les tourteaux de soja d’Amérique du sud, ndlr) et les exportations d’azote et de phosphore vers des terres moins saturées », ont-ils écrit, en référence au transport, notamment vers d’autres régions de France, de fumier provenant d’élevages bretons, utilisé comme engrais.

    Nous nous battrons pour que disparaisse un système destructeur

    « Nous continuerons d’agir. Ce sont les vies d’agriculteurs et d’agricultrices qui sont en jeu (...) Le dernier rapporte du GIEC indique clairement un manque de volonté politique » de faire évoluer la situation, ont-ils estimé.

    Le Collectif prône « une agriculture paysanne, vivante, agroécologique, territorialisée, créatrice d’emplois et rémunératrice ».

    « Nous nous battrons pour que disparaisse un système destructeur, nous nous battrons pour qu’éclose une véritable agriculture nourricière, joyeuse et vivante », affirme encore le Collectif.

    La cargaison était destinée à Sanders, filiale du groupe Avril, selon les manifestants. Plusieurs filières de l’agriculture bretonne, première région agricole française où domine l’élevage, traversent une crise profonde et induisent des éffets négatifs sur l’environnement, y compris sur la qualité de l’air.

     #agriculture #élevage #alimentation #terres #pesticides #travail #france #eau #santé #quelle_agriculture_pour_demain_ #environnement #ogm #écologie #élevage #agrobusiness #sanders #avril #agriculture_paysanne #agroécologie #agro-industrie

    • Les Français n’ont jamais été aussi heureux depuis 2012 ouest france
      https://www.ouest-france.fr/societe/les-francais-n-ont-jamais-ete-aussi-heureux-depuis-2012-cc82370a-a775-1
      Les plus heureux du monde sont cette année les Finlandais, qui caracolent en tête du classement annuel de World Happiness Report, sponsorisé par les Nations Unies, depuis plusieurs années. Mais les Français n’ont pas dit leur dernier mot. Ils remontent dans le classement : ils n’ont même jamais été aussi heureux depuis 2012.
      . . . . .
      L’Hexagone se classe en effet à la vingtième place du classement des pays où l’indice de bonheur est le plus élevé au monde. Si la France peut sembler assez loin derrière la Finlande, le pays le plus heureux pour la cinquième année consécutive, il faut noter qu’elle a gagné une place par rapport à l’an passé. Et surtout que c’est son meilleur classement depuis que l’étude existe, à savoir depuis 2012.


      Il faut également noter que c’est une évolution positive quasi unique en Europe. En effet, de nombreux pays voisins ont perdu des places au palmarès du bonheur plutôt que l’inverse. C’est le cas de l’Allemagne qui perd un rang et se place à la 14e place. Le Royaume-Uni stagne quant à lui : il conserve sa 17e place de l’an passé.

      Pour arriver à ces résultats, la World Hapinness Report se base principalement sur des sondages Gallup demandant aux habitants leur propre niveau de bonheur, croisé avec le Produit intérieur brut (PIB) et des évaluations concernant le niveau de solidarité, de liberté individuelle et de corruption, pour aboutir à une note globale.

      Les pays qui surfent avec le haut du classement, juste derrière la Finlande sont le Danemark, l’Islande, la Suisse et les Pays-Bas. Quant aux trois plus fortes progressions, elles ont été enregistrées par la Serbie, la Bulgarie et la Roumanie.
      . . . . .
      #sondages #bonheur #france #EnMarche

    • Je dirais même depuis Clovis …

      Quand je pense qu’il suffisait d’une bonne pandémie et 5 ans de déconnade avec Macron pour être heureux … !

      On est vraiment cons de pas y avoir pensé plus tôt !

  • Critique du travail et émancipation sociale. Réplique aux critiques du Manifeste contre le travail | Krisis
    https://www.krisis.org/2004/critique-du-travail-et-emancipation-sociale
    et aussi sur
    http://www.palim-psao.fr/2017/07/critique-du-travail-et-emancipation-sociale.repliques-aux-critiques-du-ma

    Publié il y a cinq ans, le Manifeste contre le travail se démarque des autres publications de Krisis. Conformément à son caractère de pamphlet, il introduit dans le débat public, sous une forme concise et polémique, les positions théoriques centrales développées au fil des ans dans la revue. Cela n’a pas été sans un certain succès. Aucune autre publication de Krisis n’a eu, et ce par-delà le monde germanophone, autant d’échos et par là même autant de critiques. À ce propos, il est frappant de constater qu’en dépit des particularités propres aux différents pays et aux différentes sensibilités de la Gauche, les critiques se recoupent largement. La critique formulée dans le Manifeste touche donc, semble-t-il, à quelque chose de commun à tous ces discours, quelque chose comme une base commune qui va tellement de soi qu’elle n’est même plus perçue consciemment.

    À cet égard, les quatre critiques faites au Manifeste – celles de Jaime Semprun, de Charles Reeve, de Luca Santini et des Éditions Rouge & Noir (par la suite ERN) – et republiées dans la dernière livraison de Krisis peuvent être considérées comme exemplaires. Si différent que soit leur point de départ, elles tournent autour des mêmes interrogations et se focalisent sur les mêmes points (1). Aussi ne faut-il pas voir dans le présent texte une réponse directe à ces quatre critiques, il revêt un caractère plus général.

    #critique_de_la_valeur #wertkritik #Krisis #Nerbert_Trenkle #débat #capitalisme #controverse #travail #critique_du_travail #Jaime_Semprun #Luca_Santini #Charles_Reeve

    • Notamment dans la réponse à Semprun : #cuistrerie

      « Une société libérée devra examiner à chaque fois concrètement la technologie et la science que le capitalisme a engendrées sous une forme fétichiste et largement destructive pour savoir si, et dans quelle mesure, elles pourront ou non être transformées et développées pour le bien de tous. […] Donner à ce propos a priori des critères généraux est impossible. […] Ce sera alors en fonction de divers critères qualitatifs, sensibles et esthétiques qu’ils décideront ce qu’ils acceptent et ce qu’ils refusent. » — Trenkle.

      Notre théoricien sait-il qu’il vient-là de formuler le programme que la revue Encyclopédie des Nuisances s’était précisément proposée d’entreprendre 20 ans auparavant ?

      « Nous nous attacherons à explorer méthodiquement le possible refoulé en faisant l’#inventaire exact de ce qui, dans les immenses moyens accumulés, pourrait servir à une vie plus libre, et de ce qui ne pourra jamais servir qu’à la perpétuation de l’oppression. »
      Revue Encyclopédie des Nuisances n°1,
      Discours préliminaire, novembre 1984.

      Seulement, les « encyclopédistes » n’ont pas attendu les bras croisés qu’une société libre advienne pour juger sur pièces, et justement « en fonction de divers critères qualitatifs, sensibles et esthétiques », la production marchande et industrielle. Et le « critère général » à l’aune duquel ils ont formulés ce jugement « a priori impossible », n’est autre que « le projet d’#émancipation totale né avec les luttes du prolétariat du XIXe siècle » que notre théoricien a semble-t-il totalement perdu de vue, hypnotisé par la cohérence formelle de sa théorie.

      Cela même #Sandrine_Aumercier ne l’a pas vu... Il est vrai que c’est un peu gênant.

  • Vers des #sables alternatifs issus de la déconstruction des bâtiments : le projet de recherche SAND

    Le sable est la 3e ressource consommée dans le monde. Il existe de forts enjeux à développer l’#économie_circulaire de cette ressource non renouvelable : c’est l’objet du #projet_de_recherche #SAND destiné à valoriser du sable issu de la #déconstruction des bâtiments et des #boues_de_bétons dans les mortiers, et à mettre en place une filière de recyclage.

    Le projet de recherche SAND, financé par l’#Ademe et coordonné par l’entreprise #PAREX / #SIKA, est mené en synergie avec #Clamens et le Cerema. Il a pour objectif de produire du sable issu du recyclage de #matériaux_du_bâtiment et des boues de bétons afin d’économiser la #matière_première.

    En effet, le sable est la 3e ressource la plus consommée au monde après l’air et l’eau et son extraction a un fort impact environnemental, et est devenue un enjeu stratégique car sa raréfaction est de plus en plus critique.

    Du #sable_recyclé pour du mortier à usage du bâtiment

    La #dépendance mondiale du sable induit une forte tension au niveau de l’#approvisionnement et une hausse de prix. L’usage d’un #sable_de_substitution pour le bâtiment qui en est le principal consommateur et la création d’une filière de recyclage des #déchets_locaux_inertes du #BTP, dans une démarche d’économie circulaire, répondraient à ces problématiques en développant des emplois locaux.

    Par ailleurs, un procédé de production de sables alternatifs sera mis au point. Ce procédé, économe en énergie, permettrait de produire un gisement homogène et ayant les propriétés requises pour être intégré dans des #mortiers colles ou des mortiers d’enduits.

    Le projet, qui bénéficie d’un financement du #Programme_d’investissement_d’avenir et s’étendra sur quatre ans, sera mené en trois grandes étapes pratiques :

    - Définir les propriétés des sables recyclés qui pourront être incorporés dans des mortiers colles ou des mortiers d’enduits. Différentes propriétés des sables vont être analysées afin de garantir un flux homogène malgré la diversité des sources.
    - Mettre en place des formules adaptées selon le taux d’incorporation des sables recyclés. Les formules seront caractérisées selon les normes en vigueur, notamment d’un point de vue durabilité.
    – Mettre en place un démonstrateur industriel qui pour produire un sable homogène avec un procédé éconologique (économiquement viable et dont l’impact environnemental serait réduit). L’objectif est de s’assurer de la viabilité technique du procédé et de sa reproductibilité pour permettre le développement d’une filière des mortiers recyclés destinés au bâtiment. Ce démonstrateur permettra à terme de traiter 100.000 tonnes de sable par an.

    L’expertise du Cerema en caractérisation des matériaux mobilisée

    L’équipe de recherche DIMA (Durabilité, Innovation et valorisation des Matériaux Alternatifs) du Cerema sera plus particulièrement impliqué dans deux volets qu’il pilotera : l’évaluation des scénarii logistiques et des voies de valorisation des sables, et l’évaluation des impacts environnementaux, économiques et sociétaux des mortiers fabriqués. Des essais en laboratoire seront menés par le Cerema d’Ile-de-France afin de valider les mélanges proposés par le partenaire industriel. Une attention particulière sera portée à la durabilité des mortiers mis en œuvre.

    Dans une seconde phase, les mortiers à base de sables recyclés seront testés avec la pose de carrelages et d’enduits à l’aide de ce mortier sur des bâtiments existants.

    L’objectif final est de permettre la diffusion et la mise en oeuvre du procédé partout où il eut être utile aux filières.

    https://www.cerema.fr/fr/actualites/sables-alternatifs-issus-deconstruction-batiments-projet
    #sable #construction #recyclage #alternative

    et un nouveau mot : #éconologie

    ping @albertocampiphoto

  • Sandrine Josso, députée de Loire-Atlantique, endette sa collaboratrice Antton Rouget
    https://www.mediacites.fr/enquete/nantes/2021/10/11/sandrine-josso-deputee-de-loire-atlantique-endette-sa-collaboratrice

    Depuis maintenant trois ans, Leïla , 49 ans, n’a pas ménagé ses efforts pour essayer de retrouver son argent. Sans succès. « Elle m’a d’abord dit que l’argent allait arriver, peut-être en liquide, mais je ne l’ai pas reçu. Par contre, il faut que je rembourse tous les mois mon crédit », dénonce la quadragénaire, mère de famille. 

    En 2017, Sandrine Josso, nutritionniste de profession, avait été élue à la surprise générale profitant de la vague macroniste. Elle représentait une de ces fameuses « figures de la société civile », censée dépoussiérer la politique face au favori sur la circonscription, le candidat Les Républicains Franck Louvrier, ancien directeur de communication de Nicolas Sarkozy.


    Sandrine Josso à l’Assemblée Nationale, en mars 2018 / © Photo : CC 4.0 - Zembrocale975

    Leïla n’avait jusqu’ici jamais côtoyé le monde des élus ; titulaire d’un CAP, elle venait de se retrouver sans emploi après avoir enchaîné les boulots dans la coiffure et la restauration. Alors quand la nouvelle députée, une « bonne connaissance » à elle, lui propose un poste stable à l’Assemblée, elle n’hésite pas une seconde. Leïla devient collaboratrice parlementaire en circonscription pour gérer les affaires locales de la députée. « Je me suis occupée de tout pour elle », témoigne-t-elle auprès de Mediapart. Y compris de tâches bien éloignées du travail parlementaire : « Sa coiffure, ses enfants, son déménagement à Vannes, lui trouver un logement un Paris, etc. », énumère Leïla.

    Chèques en blanc
    En octobre 2018, la députée, qui est divorcée et avait peu de ressources avant d’entrer à l’Assemblée, lui explique qu’elle a des problèmes d’argent. « Elle avait des soucis pour payer le loyer de sa permanence parlementaire d’Herbignac et de son logement à Paris », a raconté sa collaboratrice aux policiers ayant recueilli sa plainte.

    Leïla accepte de l’aider en contractant, le 18 octobre, un crédit à la consommation de 9 000 euros. Elle donne en toute confiance deux chèques en blanc à sa députée pour que celle-ci puisse éponger ses dettes. Sandrine Josso les utilise les jours suivants pour régler l’agence immobilière chargée de la location de la permanence ainsi que le propriétaire de son logement parisien pour un montant total de 10 514,29 euros.

    Les semaines suivantes, la collaboratrice attend son remboursement, qui devait, selon elle, « intervenir en trois versements », mais n’arrivera jamais. Quelques jours plus tôt, Leïla avait vu son salaire de l’Assemblée augmenter, passant de 2 100 euros brut par mois à 2 365 euros brut. Sandrine Josso lui attribuera aussi deux primes – de 3 527 euros à chaque fois, fin octobre, puis en avril.

    Souhaitait-elle ainsi compenser, sur fonds publics, l’absence de remboursement d’un prêt privé ? Pas du tout, répond Sandrine Josso. « Elle avait besoin d’argent. La pauvre, elle se démenait pour m’aider tant qu’elle pouvait, c’était une amie, ce n’était pas du tout quelque chose de professionnel », indique la députée pour justifier le versement de ces primes.

    Mécontente de ne pas être remboursée en bonne et due forme, Leïla essaye de solliciter la déontologue de l’Assemblée pour une médiation, en vain. En mai 2019, elle est placée en arrêt maladie, ne « support[ant] plus cette situation, tant au niveau professionnel que personnel », comme elle l’a expliqué aux policiers.

    Loyer de la permanence parlementaire
    En août et septembre 2019, après de nouvelles relances, Sandrine Josso amorce un début de remboursement, en virant deux fois à sa collaboratrice la somme de 444,44 euros sur son compte personnel. Ce qui permet à l’élue d’expliquer à Mediapart, lors d’un premier échange sur le sujet en novembre 2019, qu’il n’y a aucun problème, juste un contretemps, mais qu’elle va bien rendre l’argent à Leïla.

    La parlementaire raconte ce jour-là qu’elle a mis en place un « échéancier de remboursement de 444,44 euros tous les mois ». « J’étais dans une situation difficile dans ma vie privée, s’épanche alors Sandrine Josso. Avant d’être députée, j’étais dans une profession libérale et j’avais eu des difficultés, j’ai dû avoir un plan d’apurement avec l’Urssaf. Dans cette situation-là, [Leïla] m’a dit : “Écoute, j’ai de l’argent, je te le file, tu me rembourseras quand tu le pourras.” C’est tout, moi j’ai dit, OK, c’est de l’ordre privé, moi je n’ai pas le temps d’aller à la banque, de refaire un prêt, etc. »

    « Leïla était ma collaboratrice mais c’était mon amie, ajoute la députée. Elle m’aidait moralement parce que je vivais des choses difficiles sur le plan personnel. » Y compris en lui faisant des couleurs le week-end ? « Quand je n’avais pas le choix, c’est elle qui me le proposait, moi je ne l’ai jamais forcée à ça. »

    Alors qu’une partie des fonds prêtés par sa collaboratrice a servi à payer des échéances de loyers de sa permanence parlementaire (6 614 euros sur les 10 514 euros), se pose une question : pourquoi Sandrine Josso n’a-t-elle pas tout simplement pioché dans son enveloppe avance sur frais de mandat (AFM), 5 373 euros par mois, prévue à cet effet ?
    . . . . .
    À l’issue du rendez-vous avec Mediapart de novembre 2019, Sandrine Josso est revenue sur sa promesse d’échéancier de remboursement, en cessant de verser de l’argent à Leïla. La députée ne lui donnera que 444,44 euros supplémentaires, le 19 novembre 2020, deux semaines avant une audience de conciliation devant les prud’hommes de Saint-Nazaire.

    À ce jour, la députée reste donc redevable de la somme de 9 181,41 euros. Le 30 juin 2021, le juge de l’exécution près le tribunal judiciaire de Saint-Nazaire a ainsi autorisé la collaboratrice à faire pratiquer sur le compte à la Banque postale de la députée une saisie conservatoire de 6 666,60 euros.
    . . . . .
    Déclarée inéligible pour un an à la suite des élections municipales
    D’une manière générale, plusieurs de ses anciens collaborateurs critiquent la « légèreté » de Sandrine Josso, une députée peu impliquée dans l’hémicycle. Avec à la clé quelques exemples surprenants. Leïla raconte, par exemple, qu’il lui est arrivé à plusieurs reprises de prendre le train pour Paris en utilisant, à sa demande, l’identité de sa députée pour bénéficier d’un tarif préférentiel de parlementaire.

    « Je voyageais sous son nom pour aller à Paris », précise-t-elle. Ce que raconte aussi une autre ancienne collaboratrice, également fâchée avec Sandrine Josso pour des motifs financiers, qui a utilisé le 8 juillet 2018 un billet au nom de la députée pour rentrer de La Baule à Paris, ainsi que Mediapart a pu le documenter. « Les billets en mon nom, c’est complètement illégal de faire ça ! », s’indigne la députée, expliquant être étrangère à cette pratique et ne pas savoir « comment [sa collaboratrice] a pu avoir un billet en [son] nom ».

    Cette seconde collaboratrice ajoute qu’elle a principalement travaillé, à l’été 2018, à la candidature à venir de Sandrine Josso aux élections municipales à La Baule – ce qui, là encore, ne fait pas partie des attributions des collaborateurs parlementaires. « Elle a travaillé pour ma com’, elle m’accompagnait dans des événements, pas sur les municipales, je n’étais pas encore déclarée [à la candidature] », conteste la députée.

    Sandrine Josso a finalement annoncé sa candidature officielle en août 2019, pour ne recueillir que 4,2 % des suffrages au premier tour des municipales de mars 2020.

    En février 2021, la députée, qui a rejoint le MoDem après avoir quitté LREM en 2019, a été condamnée par le tribunal administratif de Nantes à une peine d’inéligibilité d’un an pour avoir tardé à rendre ses comptes de campagne pour l’élection municipale. Elle n’a pas fait appel, histoire de laisser passer cette décision et de se donner la possibilité de se représenter aux législatives de 2022.
    . . . . .
    #Sandrine_Josso #AFM #députée #MoDem #LREM #France #assemblée_nationale #élections #fric

  • Sandwich au beurre de cacahuète
    https://www.cuisine-libre.org/peanut-butter-jelly-sandwich

    Faire griller les tranches de pain de mie.
    Sur l’une, étaler le beurre de cacahuète.
    Sur l’autre, étaler la confiture.
    Assembler les deux en sandwich.
    Déguster !

    #Sandwichs, #Beurre_de cacahuète, #Pain_de mie, #Amérique_du nord / #Végétarien, #Sans viande, #Sans œuf, #Sans lactose