• Les oubliés du droit d’asile

    Plus de 500 personnes ont participé à l’enquête réalisée sur 5 structures d’accueil parisiennes. L’enquête a permis la production d’un rapport final à partir de l’analyse des données quantitatives et qualitatives recueillies.


    Le rapport « Les oubliés du droit d’asile » dresse un constat alarmant sur les conditions d’existence des #hommes_isolés fréquentant les structures sur lesquelles l’enquête a été menée. Ces résultats amènent les associations à formuler des recommandations qui supposent une adaptation réglementaire et législative, l’augmentation des moyens ou l’ajustement des pratiques. Les associations en sont convaincues, les réponses aux difficultés rencontrées par les hommes isolés visés par l’enquête ne pourront se construire qu’en concertation et collaboration entre les associations, les services et agences de l’Etat et les collectivités.

    https://www.youtube.com/watch?v=ScjteUjbWAA

    https://www.actioncontrelafaim.org/publication/les-oublies-du-droit-dasile
    #rapport #France #Paris #asile #migrations #réfugiés #accueil #recommandations #SDF #sans-abris #sans-abrisme #hébergement #conditions_d'accueil #île_de_France #conditions_matérielles_d'accueil #enquête #dispositif_d'accueil #précarisation #allocation_pour_demandeurs_d'asile (#ADA) #accès_aux_droits #faim #santé_mentale

    ping @karine4

    • 95 entretiens poussés , un peu de sérieux , 85 bénévoles combien ça coute ? transmission des résultats aux services publiques , canal habituel ? l’honorable correspondant ? etc ...

  • Unconditional cash transfers reduce homelessness

    A core cause of homelessness is a lack of money, yet few services provide immediate cash assistance as a solution. We provided a one-time unconditional CAD$7,500 #cash_transfer to individuals experiencing homelessness, which reduced homelessness and generated net societal savings over 1 y. Two additional studies revealed public mistrust in homeless individuals’ ability to manage money and the benefit of counter-stereotypical or utilitarian messaging in garnering policy support for cash transfers. This research adds to growing global evidence on cash transfers’ benefits for marginalized populations and strategies to increase policy support. Although not a panacea, cash transfers may hasten housing stability with existing social supports. Together, this research offers a new tool to reduce homelessness to improve homelessness reduction policies.

    https://www.pnas.org/doi/10.1073/pnas.2222103120

    #SDF #sans-abrisme #aide #cash #logement #solution

  • La drammatica condizione dei migranti in arrivo a Trieste: “500 persone abbandonate in strada”

    I trasferimenti dei richiedenti asilo in arrivo nella città dalla rotta balcanica sono fermi, mentre gli arrivi aumentano (quasi 8mila tra gennaio e luglio). Crescono i casi di famiglie e i minori soli costretti a dormire all’addiaccio. Le istituzioni restano immobili, negando servizi di bassa soglia. La rete solidale cittadina fa il punto della situazione

    La situazione dei migranti a Trieste, principale punto di passaggio delle rotte balcaniche nel nostro Paese, è sempre più drammatica: a fine agosto sono quasi 500 i richiedenti asilo costretti a vivere all’addiaccio, mentre i trasferimenti si sono completamente azzerati. Lo evidenzia il nuovo rapporto stilato dalla rete solidale cittadina, network di realtà che operano nel capoluogo giuliano nel campo dell’accoglienza e dell’assistenza alle persone in transito e che comprende la Comunità di San Martino al Campo, il Consorzio italiano di solidarietà (Ics), la Diaconia valdese (Csd), Donk humanitarian medicine, International rescue committee Italia e l’associazione Linea d’Ombra.

    Il documento fa seguito al report “Vite abbandonate”, predisposto all’inizio dell’estate, che rendeva noti i dati raccolti dagli attivisti e dagli operatori nel corso del 2022. La necessità di un aggiornamento deriva dal grave inasprimento della situazione, ormai di estrema emergenza, dovuta alla carenza dei servizi a fronte di un’elevata richiesta di aiuto. Il numero di migranti a Trieste è in aumento -sono 7.890 gli arrivi dall’inizio di gennaio alla fine di luglio, contro i 3.191 dello stesso periodo dello scorso anno- con una presenza sempre maggiore di nuclei familiari, donne sole o con bambini e minori non accompagnati. Questi ultimi sono saliti dell’11% rispetto al 2022, con un’età in calo.

    Alcuni dei ragazzi incontrati dalle realtà autrici del report sono sotto i 14 anni e in alcuni casi ne hanno anche 10 o 11. Nel solo mese di luglio sono arrivate nel capoluogo giuliano 2.277 persone, il 20% delle quali non era ancora maggiorenne; solo in questo periodo sono giunte 55 famiglie, molte delle quali di provenienza curda.

    A questa impennata di presenze non è corrisposto affatto un incremento dei servizi di bassa soglia. Anzi, l’amministrazione comunale ha deciso di chiudere, a inizio luglio, il progetto “Emergenza freddo”, che garantiva una sessantina di posti letto in più per le persone vulnerabili costrette a vivere per strada. Per l’accoglienza temporanea dei nuclei familiari e delle donne sole, un grande lavoro è stato fatto dall’hotel Alabarda, struttura di proprietà del Comune gestita dalla Caritas; oggi, tuttavia, l’albergo si trova in una situazione di tale saturazione -dovuta anche all’aumento di minori stranieri non accompagnati- che risulta difficile trovare posto per nuove persone. “L’altro giorno c’era una famiglia curda con quattro bambini, di cui la più grande aveva sei anni e il più piccolo tre mesi -ha raccontato nella conferenza stampa del 24 agosto Gian Andrea Franchi di Linea d’Ombra-. Sono andato alla parrocchia più vicina, che risponde al sontuoso nome di ‘Santissimo cuore immacolato di Maria’, ho suonato, abbiamo parlato un po’ e mi hanno detto di andare alla Caritas, che però era chiusa. Alla fine un amico ha dato ospitalità a suo rischio a questo nucleo familiare”.

    Il rapporto evidenzia, così come il precedente, la mancanza strutturale di servizi di bassa soglia e “suggerisce” al Comune di Trieste di prendere atto della realtà in cui è inserito e del periodo storico che stiamo attraversando. La città, infatti, essendo il punto di ingresso su suolo italiano delle rotte balcaniche, dovrebbe prepararsi agli arrivi di persone migranti e intervenire aumentando l’assistenza e i posti letto disponibili. L’incremento nel numero di ingressi dipende in larghissima parte dalle condizioni di vita nei Paesi di partenza ed è quindi pressoché inevitabile. La maggiore responsabilità della situazione drammatica che si è delineata nel capoluogo giuliano, tuttavia, va ricercata nell’azzeramento totale dei trasferimenti verso altre Regioni; il rapporto mette infatti in evidenza lo strettissimo rapporto tra la quantità di spostamenti organizzati e il numero di richiedenti asilo segnalati senza accoglienza. Se a gennaio c’erano 132 trasferimenti e 313 persone rimaste in strada, ad agosto, con zero trasferimenti, i migranti costretti a vivere all’addiaccio sono 494. Di questi, almeno 74 sono in attesa di un posto nel sistema di accoglienza da più di tre mesi.

    “Nel momento in cui il ministero fa un programma, i richiedenti asilo devono essere considerati tutti uguali e devono essere tutti ricollocati -ha aggiunto Gianfranco Schiavone, presidente del Consorzio italiano di solidarietà (Ics) e tra le anime della rete RiVolti ai Balcani-. Ci dovrebbe essere una quota da ripartire per area di ingresso. A Trieste se prima questa quota era bassa e avevamo persone in strada, adesso siamo a zero. Questo territorio è completamente abbandonato, lo Stato è sparito. Per questa situazione catastrofica ci sono delle responsabilità su cui la magistratura dovrà indagare”. Come messo in luce dall’associazione Donk humanitarian medicine, chi vive in situazioni critiche di abbandono ha più probabilità di sviluppare patologie.

    Le persone che si ammalano, tuttavia, dopo esser state visitate dal pronto soccorso, tornano sulla strada, spesso a dormire nel silos accanto alla stazione, in un ambiente estremamente malsano e precario e certamente non adatto a un periodo di convalescenza o alla cura di una malattia. Gli operatori segnalano, inoltre, che da giugno si sono verificati alcuni episodi di violenza, dovuti all’arrivo di un gruppo di individui che parrebbe lavorare in rapporto con i passeur. La situazione di stallo che caratterizza la città è ormai nota anche alle persone in arrivo: rispetto all’anno scorso è aumentato il numero di coloro che dichiarano di non volersi fermare in zona per chiedere asilo (dal 59 al 72%). La maggior parte degli ingressi (77,1%) sono di cittadini provenienti dall’Afghanistan, che spesso preferiscono continuare il proprio viaggio. Chi invece tende a fare maggiori domande di asilo nell’area sono i cittadini pakistani, che rappresentano il 51,3% dei richiedenti asilo in attesa di accoglienza a Trieste. Lasciati lì.

    https://altreconomia.it/la-drammatica-condizione-dei-migranti-in-arrivo-a-trieste-500-persone-a

    #Trieste #asile #migrations #réfugiés #frontières #frontière_sud-alpine #Italie #Slovénie #SDF #sans-abris #hébergement #route_des_Balkans #Balkans #statistiques #chiffres #accueil #vulnérabilité

    • Aggiornamento sulla situazione dei migranti in arrivo dalla rotta balcanica – gennaio/luglio 2023

      Nella mattina di oggi, nell’ufficio di ICS, è stato presentato l’aggiornamento del report “Vite abbandonate”, comprendente i dati da gennaio a luglio 2023. È possibile scaricarlo cliccando qui: https://www.icsufficiorifugiati.org/wp-content/uploads/2023/08/PRESENTAZIONE-DATI-GIU-LUG-23-2.pdf. Di seguito potete leggere invece l’analisi dei dati contenuti nel report.

      Arrivi e vulnerabilità

      Durante le attività di monitoraggio svolte nell’area di Piazza Libertà e del Centro Diurno, mediatori e operatori hanno incontrato dall’inizio di gennaio alla fine di luglio 7890 persone provenienti dalla Rotta Balcanica. Un confronto con i dati pubblicati nel Report 2022 “Vite abbandonate”, indica che il totale nello stesso periodo considerato era stato di 3191. Una media di arrivi nel 2023 di 37 al giorno contro i 15 dell’anno precedente. Il 91,8% di essi è di sesso maschile, circa 4% femminile (sole, sole con figli o in famiglia) e il 4% bambini. I nuclei famigliari sono stati 120. Il 16% delle persone che attraversano la Rotta Balcanica che coinvolge Trieste è composta da Minori Stranieri Non Accompagnati, categoria di altissima vulnerabilità, in forte aumento rispetto l’anno precedente (11%). Riguardo la provenienza, è evidente un aumento della componente afghana (il 73% in questi mesi del 2023, nel 2022 erano il 54%), rispetto a un calo delle nazionalità pakistana (11% contro il 25% del 2022), bengalese (3,5 % contro 6%), stabili le percentuali nepalese (il 2%, tra loro un alto tasso di donne sole) e kurda turca (il 4%, nella loro totalità significano nuclei famigliari in transito verso altre destinazioni). La destinazione dichiarata continua ad essere l’estero. Le attività della rete confermano questo dato, incontrando persone che passano pochissime ore a Trieste prima di riprendere il viaggio verso altri paesi europei. Rispetto all’anno precedente infatti vi è un aumento netto delle persone che preferiscono questa opzione, ad oggi il 72% (nel 2022 erano il 59%). Va posta attenzione ai risultati del monitoraggio del mese di luglio: sono arrivate solo in questo periodo 2277 persone, il numero delle famiglie incontrate sono state 55 (su un totale 2023 di 120) e i Minori Stranieri Non Accompagnati addirittura il 21,5% del totale del mese. 270 persone (11,8% del mese) hanno dichiarato di voler fare domanda di asilo a Trieste, che sono andate ad aumentare le fila di chi già era sul territorio nei due mesi precedenti in attesa di entrare in accoglienza. È un dato importante, perché il mese di luglio ha significato la chiusura del progetto Emergenza Freddo del Comune, riducendo significativamente i posti in accoglienza a rotazione nei dormitori di bassa soglia della Comunità di San Martino e Caritas, fondamentali per venire incontro alle situazioni di emergenza e vulnerabilità che spesso le organizzazioni si trovano a dover affrontare quotidianamente, costringendo alla strada moltissime persone in stato di necessità. Una delle strutture più efficaci per intervenire in ottica di riduzione del danno come l’Hotel Alabarda che accoglie donne sole e famiglie, nelle ultime settimane si è trovata senza disponibilità di posti letto, generando un’emergenza che ancora perdura e rendendo impossibile l’accoglienza di questi casi fragili.

      Stato dei trasferimenti e delle accoglienze

      Il rallentamento delle procedure di trasferimento e ricollocazione dei richiedenti asilo in altre regioni italiane a cui abbiamo assistito nel 2022 è continuato anche nei primi mesi del 2023, con eccezione dei mesi di febbraio e marzo, ed è andato peggiorando fino ad arrivare ad un blocco pressoché totale nei mesi estivi – quelli in cui è prevedibile avere un incremento degli arrivi di richiedenti asilo.

      Dopo il mese di marzo che aveva notevolmente abbassato il numero di persone in strada e ridotto i tempi medi di attesa per l’ingresso nelle strutture di prima accoglienza, siamo dunque tornati in una situazione di forte emergenza, chiaramente creata artificialmente. Ciò si verifica non tanto per l’aumento dei flussi di arrivo, che hanno visto solo un piccolo incremento rispetto ai mesi precedenti, quanto invece all’ennesima paralisi nei trasferimenti. A ciò si è aggiunta la decisione della Prefettura di ridurre la capienza di uno dei centri di prima accoglienza, l’Ostello scout di Prosecco (con la conseguente chiusura di un’intera camerata), passata a 75 richiedenti asilo rispetto ai precedenti 95, che ha quindi costretto a limitare le accoglienze successive alle partenze.

      Nonostante la situazione di emergenza fosse totalmente prevedibile, nel corso del 2023 non è stato dato avvio ai lavori presso l’Ostello per la creazione di una nuova fognatura con l’installazione di moduli abitativi ma neppure vi sono state collocate in via provvisoria delle tende con relativi servizi igienici chimici. Tale scelta avrebbe potuto assicurare il raggiungimento di almeno 200 posti complessivi nella struttura, alleggerendo parzialmente la gravissima situazione di abbandono in strada dei richiedenti asilo.

      Di fronte al numero sempre più elevato di richiedenti asilo che si trovano in strada e al blocco dei trasferimenti nessuna misura di emergenza è stata adottata dalla Prefettura – Ufficio territoriale del Governo per mitigare la situazione. Tale quadro di generale inerzia ha colpito anche le situazioni più vulnerabili tra i richiedenti, quali persone traumatizzate, persone con patologie mediche evidenti, persone appena dimesse dalle strutture ospedaliere locali: tutte indistintamente sono state abbandonate in strada senza curarsi delle loro condizioni.

      L’esplosione nel 2022 del fenomeno delle persone richiedenti asilo abbandonate in strada, ha raggiunto nei mesi estivi del 2023 dei numeri ancora eccezionalmente elevati: al 22 agosto sono più di 494 richiedenti asilo che sono costretti a vivere per strada, con una permanenza all’addiaccio che arriva a più di 3 mesi per almeno 74 persone, prima di poter accedere al sistema di prima accoglienza previsto dalla legge.

      Di fronte a questo scenario, tristemente non inusuale, le organizzazioni della società civile impegnate a Trieste continuano in forma volontaria a dare supporto alle centinaia di persone abbandonate a loro stesse, a monitorare in maniera indipendente gli sviluppi, a rendere la Prefettura edotta della situazione in cui versano i richiedenti asilo privi di accoglienza, comunicando in maniera più circostanziata possibile il loro numero, i tempi di attesa e le situazioni più vulnerabili. Questo lavoro è stato svolto anche per mezzo di 10 segnalazioni formali inviate alla Prefettura – Ufficio Territoriale del Governo di Trieste dal Consorzio Italiano di Solidarietà (ICS) tra gennaio e agosto 2023 via PEC; segnalazioni rimaste, purtroppo, senza risposta. Nel periodo menzionato sono state censite 1202 persone richiedenti asilo in stato di indigenza che non hanno avuto accesso tempestivo alle misure di accoglienza, in violazione di quanto previsto dalle normative vigenti (sono invece 2.068 le persone riportate nelle segnalazioni formali: con l’incremento dei tempi di attesa, infatti, molte persone sono state segnalate anche più volte prima di ricevere adeguate misure di accoglienza). L’ultima segnalazione, quella che meglio dipinge la situazione ormai fuori controllo, è quella del 22 agosto 2023. Alla Prefettura sono state fatte pervenire le generalità delle 494 persone fuori accoglienza, di cui 74 da maggio 2023, che avevano quindi raggiunto i 3 mesi di attesa.

      Raccomandazioni

      Come già evidenziato nel rapporto “Vite Abbandonate” è inderogabile ed urgente mettere in atto da parte delle pubbliche autorità le seguenti iniziative urgenti al fine di contenere una situazione che ha assunto il profilo di una vera emergenza umanitaria:

      1) La Prefettura di Trieste e il Ministero dell’Interno, nell’ambito delle rispettive competenze, devono immediatamente riprendere l’attuazione di un piano di sistematici trasferimenti dei richiedenti asilo dalle aree di confine tramite l’assegnazione di quote adeguate. La situazione di evidente difficoltà conseguente al netto incremento degli arrivi nel Mediterraneo può in parte giustificare il fatto che la quota assegnata a Trieste e al resto del FVG non sia del tutto adeguata ma in nessun caso si può giustificare la totale assenza di quote, come invece sta avvenendo da giugno 2023.

      Un’attenzione specifica va riservata alle situazioni maggiormente vulnerabili (famiglie con minori, donne sole, malati, persone vittime di traumi) alle quali in ogni caso va garantita una temporanea accoglienza in ogni caso, se necessario in mancanza di posti, attraverso la collocazione in strutture alberghiere.

      2) Il Comune di Trieste deve assumere piena conspaevolezza del fatto che la città, per la sua collocazione geografica quale terminale della rotta balcanica, si trova ad affrontare problematiche di intervento di “bassa soglia” più simili a quelle di un’area metropolitana che non a quelle di una città di media dimensione. In tale ottica è necessario implementare un Piano di intervento umanitario che sia attivo anche al di fuori del periodo invernale e che consenta di assicurare posti di accoglienza notturna presso il sistema dei dormitori a bassa soglia con alta turnazione per una capienza complessiva di almeno 100 posti letto giornalieri da destinare a tutte le persone in transito e ai richiedenti asilo nelle more del loro tempestivo passaggio al sistema di accoglienza loro dedicato previsto dalle normative vigenti. Tale Piano deve prevedere altresì un reale sostegno alle attività del Centro Diurno di via Udine quale luogo cruciale della prima assistenza umanitaria. Si sottolinea nuovamente come gli interventi di assistenza oggi realizzati presso il Centro Diurno di via Udine sono quasi interamente a carico delle associazioni di volontariato per ciò che riguarda i costi degli interventi e quello relativo al personale che gestisce la struttura, nonché la mediazione linguistica. Si tratta di una situazione insostenibile nel lungo periodo; qualora infatti, per mancanza di risorse, l’attività attuale presso il Centro Diurno dovesse cessare, la situazione umanitaria a Trieste diventerebbe immediatamente drammatica e di ciò le istituzioni devono essere consapevoli.

      3) La ASUGI (Azienda Sanitaria Universitaria Giuliano Isontina) dovrebbe far fronte in maniera più attenta ai numerosi bisogni di cure mediche delle persone migranti, anche prive di documenti, superando il mero rinvio al pronto soccorso nei soli casi di estrema urgenza e provvedendo a un rifornimento costante e sistematico di medicinali nonché alla messa a disposizione di in servizio di mediazione culturale presso il Centro Diurno.

      https://www.icsufficiorifugiati.org/aggiornamento-sulla-situazione-dei-migranti-in-arrivo-dalla-rot
      #rapport #ICS #2023

    • Trieste. Invisibili sotto gli occhi di tutti (I parte)

      Pioggia torrenziale e vento a 120 km orari. Un trasferimento di 60 ragazzi

      Quello che, ormai da troppo tempo, sta succedendo nella città di Trieste, è gravissimo. Centinaia di persone in transito e richiedenti asilo nel più totale e vergognoso abbandono delle istituzioni. Una situazione che non ci stancheremo mai di denunciare.

      Questo è la testimonianza di Chiara Lauvergnac, un’attivista triestina, che pubblicheremo in più parti. Nel primo articolo si parla delle forti piogge di fine agosto.

      Il caldo torrido degli ultimi giorni si è sciolto sotto un temporale che pareva un uragano. La mattina del 28 agosto tutta la parte bassa della città, quella più vicina al mare, si è allagata. Lo scirocco ha raggiunto i 120 chilometri all’ora, cosa che non si era mai vista, facendo volare gli arredi dei caffè eleganti di Piazza Unità, mentre i cassonetti delle immondizie navigavano, trascinati dall’acqua.

      Anche il Silos, che è aperto alla pioggia e a tutti i venti, si è allagato. Gli effetti personali di ogni persona che è costretta a viverci si sono completamente inzuppati; tutti i vestiti, anche quelli che avevano addosso, coperte, documenti, tutto. Parecchie tende sono state sradicate dal vento, alcune danneggiate irreparabilmente, qualche baracca è stata scoperchiata. I generi alimentari, soprattutto farina e zucchero, sono andati perduti. Poi ha continuato a piovere per tutta la giornata, un susseguirsi di temporali con piogge torrenziali 1.

      Marianna Buttignoni, volontaria da 3 anni e membro del direttivo di Linea D’Ombra, spiega, «Immaginate un edificio diroccato, senza luce, acqua, infissi. Immaginate la mitica bora di Trieste, e ora pensate all’inverno. È tempo di aprire gli occhi sulla realtà e vedere che serve aprire un dormitorio. Noi possiamo portare le tende, le coperte, qualche indumento asciutto, ma manca un intervento di civiltà: la grande Trieste lascia i suoi ospiti nel fango e senza un cesso, per poi dire “si adeguino ai nostri costumi”. Guardate le foto: non pensate che per qualunque altra popolazione sarebbe già intervenuta la protezione civile?»

      In questo tempo infernale sono arrivati molti ragazzi dalla rotta balcanica, anche loro bagnati fino all’osso. La sera è arrivato un grosso gruppo di afghani (112 secondo i volontari) tra cui molti minori: c’è un ragazzino di 10 o 11 anni al massimo e un altro di 14 circa, altri più grandi, tra i 15 e i 17 anni. Tutti hanno i piedi a pezzi.

      Quando l’acqua entra nelle scarpe i piedi si macerano, la pelle assorbe l’acqua, si gonfia e diventa bianca, molle e piena di grinze, poi comincia a rompersi per la frizione prodotta dal camminare. Tre volontarie di Linea d’Ombra hanno curato i piedi feriti fino a dopo la mezzanotte, riparate alle meno peggio sotto la tettoia della stazione perché la piazza era sferzata dalla pioggia, il sottopassaggio pedonale allagato.

      La polizia ha costretto tutti ad uscire dalla stazione: «È solo per chi ha il biglietto, è il regolamento». Altri volontari sono arrivati con thé caldo cibo, vestiti asciutti, si è distribuito uno stock di vestiti troppo grandi, quelli di misura medio/piccola erano finiti, come erano finite tende e coperte. C’erano solamente coperte d’emergenza isotermiche, le cosiddette metalline, teli di plastica sottile color oro. Ne vanno pacchi interi. Si attende un carico di coperte vere che arriverà tra qualche giorno, ma non bastano mai. Anche se è ancora estate, con la pioggia e la temperatura che scende al di sotto dei 16 gradi il freddo è tagliente.

      Serata difficile. Diciamo arrivederci sotto la pioggia battente a un gruppo di ragazzi che il giorno successivo, il 29, verranno trasferiti. Sono venuti in tanti da Campo Sacro, una località vicina, dove dopo tre mesi o più nel Silos erano stati sistemati in una struttura d’accoglienza temporanea, dormendo 25 per camerone. Sono ritornati per salutarci. Certo, noi tutti vorremmo che ci fossero più trasferimenti e che questa situazione di abbandono delle persone lasciate in strada finisse, ma non possiamo sapere se e quando. non crediamo affatto che la situazione si risolverà.

      Per me questo è stato il trasferimento più doloroso. Vedendo i ragazzi ogni giorno, per mesi, finisce che ci si affeziona, con alcuni si instaurano vere amicizie. La partenza è una lacerazione, è lo strapparsi delle relazioni che si sono create. Noi siamo tristi, anche loro lo sono, alcuni ragazzi hanno pianto. Verranno tutti portati in Sardegna, un’isola troppo lontana. Non sappiamo come verranno sistemati, magari in qualche orribile mega CAS come quello di Monastir vicino a Cagliari, dove centinaia di persone sono ammassate in casermoni isolati, il cibo è scadente, non c’è adeguata assistenza medica, e non c’è niente da fare, non ci sono lezioni di italiano, né supporto legale, né supporto di alcun genere.

      Questo trasferimento è il primo dal 13 luglio, e riguarda solamente 60 persone. I richiedenti asilo fuori struttura a Trieste sono ormai più di 550.

      «Non servono interventi spot. Va attuato un piano ordinario di redistribuzione settimanale dei richiedenti asilo da Trieste verso il resto del territorio nazionale, nel rispetto delle leggi vigenti, con una quota di almeno 100 trasferimenti a settimana». Questo è il sunto del comunicato stampa diffuso da ICS (Consorzio italiano di solidarietà).

      Gli arrivi continuano a ritmo serrato, solo il giorno delle forti piogge, il 28 agosto, come dicevamo, sono arrivate 112 persone. La maggior parte di loro proseguono verso la Francia, la Germania o il Belgio, ma quasi il 30% presentano la domanda d’asilo e restano qui. Gli edifici fatiscenti del Silos hanno già molti nuovi abitanti che non conosciamo ancora. I ragazzi continuano ad arrivare in piena notte, fradici, con occhi enormi per la stanchezza e sguardi cupi di tristezza e di paura. Non sanno dove sono arrivati, né come riusciranno a cavarsela. Per loro è un tale sollievo trovare qualcuno che si prende cura di loro, lo sguardo cambia, riprendono coraggio, ricominciano a sorridere. Il miracolo della solidarietà.

      La mattina dopo vado al Silos per distribuire bustine di thé, zucchero e biscotti. Voglio vedere come stanno, con questo freddo e questa pioggia si ammalano. Stanno benino e stanno asciugando la loro roba e le loro coperte, è venuto un po’ di sole che purtroppo non durerà, è prevista ancora pioggia. Ci sono anche alcuni degli afghani arrivati ieri, compresi i due minori più piccoli: si sono appena svegliati, hanno dormito malgrado la pioggia, senza tenda, per terra su coperte bagnate abbandonate da altri passati prima di loro.

      Dopo un incontro tra Linea d’Ombra e il vescovo di Trieste, 22 persone verranno ospitate da una parrocchia, scelte tra le più vulnerabili. Gli altri, centinaia, rimangono in strada, attendendo una soluzione.

      In queste ore arriva la notizia di un altro trasferimento previsto per martedì prossimo, il 3 settembre. La destinazione è sempre la Sardegna.

      https://www.meltingpot.org/2023/09/trieste-invisibili-sotto-gli-occhi-di-tutti-i-parte

  • Blueberries. Cronache dalle piantagioni saluzzesi

    La raccolta dei mirtilli, nel distretto della frutta saluzzese, si svolge dalla metà di giugno all’inizio di luglio: pochi giorni durante i quali i datori di lavoro hanno bisogno di tanta manodopera tutta insieme. Tra i filari assolati alle pendici del Monviso i carrettini sono spinti da braccianti maliani, gambiani, ivoriani, burkinabé ma anche cinesi, pakistani, albanesi e qualche giovane italiano. In alcune aziende i raccoglitori sono protetti da ombrelloni da spiaggia, in altre no. In media si lavora nove ore al giorno. La paga è tra i 5.50 e gli 8 euro all’ora, a seconda dell’accordo informale che si è riusciti a strappare con il datore del lavoro, i contratti non contano granché vista la sistematicità del lavoro grigio.
    Gli imprenditori sembrano schiacciati tra le esigenze del mercato globale che impone regole e tempi e la difficoltà di reperire manodopera per un periodo così breve.

    “Mentre nell’area mediterranea la stagionalità del consumo del mirtillo è legata al periodo estivo, esiste un mercato britannico che consuma piccoli frutti tutto l’anno. Li importa in inverno dal Sudamerica e poi dai Paesi europei: prima Spagna, poi Italia e quindi Polonia. Nel contesto nazionale il mirtillo delle Alpi è di norma precoce e viene raccolto e distribuito da metà giugno a tutto luglio.
    … il mirtillo ha spesso sostituito gli appezzamenti di pesche e kiwi, diventando nel tempo un investimento redditizio.
    In provincia si coltivano oltre 500 ettari, di cui più della metà nell’area Saluzzese/Pinerolese, da cui proviene il 25% del prodotto nazionale. Sono sorte sotto il Monviso una quarantina di medie aziende. Vi sono poi, specialmente in collina, una miriade di piccoli e medi produttori (quasi 400) che conferiscono a cooperative e organizzazioni di produttori, che a loro volta sono la cintura di collegamento con la grande distribuzione e i mercati europei.” (La Gazzetta di Saluzzo, 4 giugno 2020).

    “…Un ulteriore problema di difficile risoluzione pare essere quello della manodopera, non per quanto riguarda la questione costi, ma per quanto riguarda la reperibilità: “Il costo della manodopera è sempre lo stesso. Il problema è trovarla” afferma un imprenditore di Revello. “Noi crediamo che questa volta sarà necessario rivolgersi alle cooperative, ma anche in quel caso si tratta di un terno al lotto. Per quanto ci riguarda, con altre colture oltre ai mirtilli riusciamo a mantenere gli operatori per periodi più lunghi di una sola campagna di raccolta. Inoltre, in questo modo si stabilisce un rapporto più stretto con il personale che può durare anche più anni”.
    “Abbiamo una cascina con diverse camere da letto, cucina, bagni. Siamo attrezzati per far alloggiare i dipendenti gratuitamente. Se si trovano bene è più probabile che rimangano. Cerchiamo di parlare sempre con i dipendenti, in questo modo si crea un dialogo diretto e ci si accorda sulla durata, sulle tempistiche e sulle modalità del lavoro”.
    “Abbiamo una decina di dipendenti che dal 2016 lavorano con noi. Credo sia normale aspettarsi un ricambio del personale, per svariati motivi, ma devo dire che la maggior parte rimane con noi”.
    (sito Italian Berry, 11 marzo 2023).

    Dunque: la superficie coltivata a mirtilli è notevolmente aumentata negli ultimi anni, anticipando così l’inizio della stagione della raccolta che durerà fino a novembre inoltrato con le mele cosiddette tardive. Nella grande piantagione a cielo aperto del Saluzzese, costitutivamente orientata all’export (l’80% della merce prodotta è destinata al commercio estero), il mirtillo è un prodotto relativamente recente, inserito nel portfolio produttivo degli agricoltori locali per via dell’elevata domanda e buona redditività sul mercato internazionale.

    Di agroindustria si tratta, un comparto che fa girare milioni di euro e quindi i costi di produzione non possono essere lasciati al caso: tra questi la manodopera è il fattore sul quale più facilmente si può giocare per ottenere profitti più alti. Certamente è noto con anticipo il fabbisogno, ma la maggior parte dei braccianti in questo primo periodo non ha un contratto o viene reclutata “last minute” tramite cooperative, agenzie o altre modalità informali di intermediazione. Rigorosamente a chiamata. Che l’apparente scarsa programmazione delle aziende celi una strategia di compressione dei salari? A pensar male si fa peccato, ma chissà…

    A tal proposito si fa un gran parlare di caporalato, il buco nero del discorso dove ogni altra forma di critica tende a collassare. Senza negare che il fenomeno esista e possa avere tratti particolarmente odiosi e anti-solidali, occorrerebbe un inquadramento della questione radicalmente diverso rispetto a quello ideologico dominante. Per esempio: quando il padrone chiede ad Amadou, che ormai da anni ogni estate lavora per lui e col quale si è instaurato un rapporto di strumentale fiducia, di trovare «tra i suoi contatti africani» braccianti disponibili per i giorni della raccolta, Amadou di fatto sta svolgendo una mansione extra per cui non ci sembra scandaloso possa percepire una retribuzione o qualche privilegio. Del resto, anche le tante regolari agenzie di intermediazione del lavoro non sono propriamente delle ONLUS. Se poi Amadou taglieggia i suoi contatti, allora è una persona spregevole, senza se e senza ma. Altrimenti? Amadou sta davvero compiendo chissà quale crimine? Un crimine più grave delle tante giornate di lavoro sistematicamente non segnate dai datori? Delle condizioni di lavoro indegne e logoranti? Delle paghe sempre inferiori a quelle che dovrebbero essere corrisposte in rapporto alle mansioni svolte?

    Certo, anche le pratiche d’intermediazione informali, questa sorta di ‘caporalato soft’, s’inscrivono in una cornice di reclutamento della forza-lavoro fortemente neoliberista: il caporale è solo un (piccolo) imprenditore in un mondo dominato da (grandi) imprenditori. Ma rivalutare la questione in questi termini, più materialisti e meno moralisti, forse, aiuterebbe a spostare il focus sulle cause e non sugli effetti.

    Parliamo allora di sfruttamento. Sfruttamento non in quanto mero reato, ma come motore del processo di accumulazione di capitale. Per accelerare le operazioni e incentivare la produttività, in molti casi ai lavoratori viene proposto di raccogliere a cottimo, un euro a cassetta per quanto riguarda i mirtilli. Alcuni accettano, «perché comunque conviene: se sei veloce guadagni di più che essere pagato ad ora, e poi nelle campagne del sud siamo abituati a lavorare così…quindi perché no». Comprensibile, certamente, specie sul piano individuale. Ma onestamente problematico dal punto di vista collettivo. La produttività della forza-lavoro è infatti essenziale per incrementare i margini di profitto e il Capitale, impersonificato nella figura degli imprenditori agricoli, grandi o piccole che siano le loro aziende, cura questo aspetto con grande attenzione. Non solo e non tanto con un’organizzazione più efficiente del processo produttivo, ma anche e soprattutto a scapito dell’alienazione e della tenuta fisica dei lavoratori spesso trattati come se fossero dei macchinari e non anzitutto degli esseri umani. Ma non si creda che il lavoro vivo subisca sempre passivamente questo disciplinamento! «Pretendono di usare il telefono mentre lavorano, la sera fanno i loro ‘summit’ tra di loro e impongono alle squadre più veloci di rallentare, e così via…», si lamenta un imprenditore agricolo. «Cerchiamo di non andare troppo veloce, di lavorare in modo tranquillo, per respirare un po’» afferma un bracciante. Lo scontro sul ritmo del lavoro è uno dei principali punti di frizione tra salariati e datori di lavoro, il rallentamento della produttività una possibile linea di forza di questa working class, ancora sconosciuto nella sua forza.

    Ai padroni poco importa quanti chilometri percorrono in bicicletta per presentarsi sul campo o se non hanno un posto dove dormire. L’importante è che le preziose bacche non restino sulle piante e giungano in fretta sui mercati. Anche in questo caso però può succedere che i “mediatori” si offrano per risolvere un problema reale garantendo il trasporto o, meno frequentemente, un posto letto (a carico del lavoratore).

    In questo primo scorcio di stagione, le cosiddette accoglienze, coordinate dalla Prefettura di Cuneo (i containers e la casa del cimitero del comune di Saluzzo per circa 230 posti letto) e gestite da una cooperativa, sono in ampissima misura mantenute chiuse. Può sembrare una scelta paradossale visto che, in assenza di alternative, una quota di lavoratori e aspiranti lavoratori, tra i 25 e i 100, è costretta ad accamparsi nei giardini pubblici del Parco Gullino, da qualche anno diventato luogo di approdo e di socialità, sorvegliato giorno e soprattutto notte dalle forze dell’ordine.

    In realtà dietro questa scelta politica ben precisa una logica c’è, per quanto perversa e cinica essa sia. La motivazione ufficiale, buona da sbandierare sulla stampa locale, è che i Comuni aderenti al progetto di accoglienza, ‘al modello Saluzzo’ (sic!), sono tarati sull’inizio della raccolta delle pesche nella seconda metà di luglio e non sono pronti per aprire prima. Storie. La motivazione reale ha invece a che vedere con il timore delle amministrazioni di creare un fattore di attrazione che susciti un’eccedenza di proletari razzializzati presenti sul territorio, persone non gradite se non in quanto risorse produttive immediatamente impiegate nella fabbrica agricola. Si basa inoltre sulle “prenotazioni” di posti letto da parte di alcuni imprenditori per chi più avanti avrà un contratto per tutta la stagione.
    Va da sé che chi non ha un contratto non può accedere alle accoglienze.

    La fantasia governamentale è di disporre just-in-time, né prima né dopo i periodi delle raccolte, della giusta quota di forza-lavoro, né troppa né troppo poca.

    Ormai non c’è più soluzione di continuità tra mirtilli, albicocche, pesche e mele ma quantità diverse di frutta da raccogliere e quindi diverso numero di braccia da impiegare. Tutto chiaro, gli imprenditori e le organizzazioni che li rappresentano conoscono benissimo le dinamiche del mercato del lavoro bracciantile che attraverseranno l’intera stagione fino all’autunno inoltrato.

    https://www.meltingpot.org/2023/07/blueberries-cronache-dalle-piantagioni-saluzzesi

    #Italie #Saluzzo #myrtilles #agriculture #exploitation #petits_fruits #migrations #travail #Pinerolo #main-d'oeuvre #exportation #industrie_agro-alimentaire #caporalato #hébergement #logement #SDF #sans-abris #Parco_Gullino #modello_Saluzzo #modèle_Saluzzo #fruits #récolte #récolte_de_fruits

    • #Golden_Delicious. Cronache dalle piantagioni saluzzesi

      La seconda parte di queste cronache del bracciantato saluzzese è riferita alla raccolta delle mele che è in pieno svolgimento.

      Quando, a Saluzzo e dintorni, si parla di lavoro migrante in agricoltura, in particolare di bracciantato africano, generalmente si finisce per parlare di accoglienza.

      Se, da un lato, viene millantata la bontà del ‘modello Saluzzo’ e delle cosiddette accoglienze diffuse e in azienda, dall’altra parte viene giustamente fatta notare la contraddizione degli insediamenti informali, simboleggiata dalla situazione al Parco Gullino 1. L’impressione, tuttavia, è che la condizione di chi dorme o ha dormito al parco venga generalizzata in modo problematico, prendendo uno specifico spaccato di realtà per il tutto. Senza voler minimizzare l’importanza della questione abitativa, che peraltro è molto più di ampia portata e andrebbe esaminata oltre la dialettica tra insediamenti informali e accoglienze, crediamo sia doveroso parlare anche e soprattutto di lavoro. Perché in fondo le persone a Saluzzo – tutte, dalla prima all’ultima – vengono per lavorare.

      «Quest’anno le mele cuneesi, pur a fronte di un lieve calo produttivo dovuto all’andamento climatico, sono contraddistinte da una qualità estetica e organolettica ovunque buona. E’ quanto evidenzia Coldiretti Cuneo in occasione dell’avvio della campagna di raccolta che si apre con buone prospettive commerciali…

      Le operazioni di raccolta sono iniziate per le mele estive mentre tra fine mese e inizio settembre si passerà alle varietà del gruppo Renetta, dopodiché sarà la volta delle mele a maturazione intermedia dei gruppi varietali Golden Delicious e Red delicious; la campagna di raccolta continuerà fino a dicembre con i gruppi varietali a maturazione tardiva.

      … La Granda, che vanta una produzione di eccellenza a marchio IGP, la Mela Rossa Cuneo, ha conosciuto negli ultimi anni una progressiva espansione degli impianti di melo, con oltre 2000 aziende frutticole coinvolte e una superficie dedicata di quasi 6000 ettari (+ 21% negli ultimi 5 anni), pari all’85% della superficie piemontese coltivata a melo». (Comunicato Stampa Coldiretti, 25 agosto 2023)

      Il problema principale è che la manodopera scarseggia.

      «In provincia di Cuneo, nel 2022, sono state 3232 le aziende assuntrici di manodopera agricola e 13200 i dipendenti in agricoltura , a fronte di 24844 pratiche di assunzione, perché ci sono dei lavoratori che, per via della stagionalità delle operazioni nel settore, hanno lavorato in più aziende…

      L’agricoltura garantisce sempre più occupazione per l’intero anno o una larga parte di questo ma la carenza di manodopera base e specialistica ormai è una realtà; le cause sono diverse ma occorre lavorare per fare diventare più attrattivo il lavoro in agricoltura, specie nei confronti dei giovani. Oggi la manodopera extracomunitaria è sempre più indispensabile ma bisogna semplificare gli iter di rilascio dei permessi di soggiorno per lavoro subordinato, che a volte sono un ostacolo nel fidelizzare i lavoratori stranieri rispetto ad altri paesi europei. In ultimo il costo del lavoro, che incide in maniera eccessiva sulle aziende agricole…Servono urgentemente interventi decontributivi. – lancia l’allarme Confagricoltura Cuneo – Oggi la difficoltà maggiore per le aziende è reperire manodopera ma i tempi di lavorazione in agricoltura non sono decisi dagli imprenditori bensì dalla natura. Lavoratori italiani non se ne trovano più ma calano anche i lavoratori neocomunitari e per gli extra UE permangono molte incertezze legate al decreto Flussi e ai tempi di rilascio dei visti di ingresso… Per le aziende agricole assumere manodopera sta diventando sempre più una corsa ad ostacoli con più regole, contributi e sanzioni». (Comunicato Confagricoltura Cuneo, luglio 2023)

      Ovviamente nessuno parla delle condizioni di lavoro e di salario. Altro che rendere appetibile il lavoro in agricoltura!

      Qual è dunque la cifra costitutiva del lavoro salariato in agricoltura (e forse non solo in agricoltura) nel Saluzzese (e forse non solo nel Saluzzese)?

      Crediamo di poter rispondere, senza timore di smentita, il surplus extra-legale di sfruttamento della forza-lavoro, ovvero la mancata corresponsione di una significativa porzione di salario. Inutile e controproducente utilizzare mezzi termini: si tratta di un vero e proprio furto, perpetrato con la massima naturalezza e serenità dagli imprenditori agricoli in un clima di generale impunità e accondiscendenza. Tanto più quando il lavoratore è straniero ed è strutturalmente più vulnerabile a causa del ricatto del permesso di soggiorno, tanto più quando non conosce abbastanza la lingua italiana ed è inconsapevole dei suoi diritti, tanto più quando ha a disposizione poche opportunità di impiego alternative.

      Non serve essere dei marxisti ortodossi per condividere che la ricchezza è prodotta dal lavoro degli operai ma appropriata dai possessori dei mezzi di produzione. Oggi, in un’epoca dominata dall’egemonia del pensiero capitalistico, questo pilastro non è forse più così in in evidenza, eppure il meccanismo è sempre quello. A partire dal caso del distretto della frutta del Saluzzese, vogliamo sottolineare come i padroni di oggi, oltre al plusvalore frutto dello sfruttamento legalizzato, si avvalgano di tutta una serie di tecniche extra-legali per garantirsi l’accaparramento di un’eccedenza di ricchezza.

      È sconcertante constatare come agli operai africani impiegati nel distretto della frutta non sia praticamente mai corrisposta la retribuzione che spetterebbe loro da contratto, che è comunque vergognosamente bassa rispetto alle condizioni generali di un lavoro del genere, duro e precario per definizione.

      La stragrande maggioranza dei braccianti dichiara infatti di lavorare circa dieci ore al giorno, durante le fasi intense di raccolta anche la domenica. Secondo il Contratto Collettivo Nazionale degli Operai Agricoli e Florovivaisti, dopo le 6.30 ore di lavoro giornaliere (39 ore settimanali su 5 giorni) le ore svolte sono da considerarsi straordinari, e la maggiorazione per ogni ora di straordinario è pari al 30% e per i festivi pari al 60%. I sindacati coi quali abbiamo interloquito ci hanno detto di non avere quasi mai visto una busta paga contenente degli straordinari, mentre i lavoratori di non avere mai ricevuto ‘fuori busta’ paghe orarie superiori alla retribuzione oraria pattuita. Insomma, sebbene lavorare nei campi roventi d’estate e gelidi d’inverno sia già di per sé un lavoro duro e logorante, semplicemente il lavoro straordinario (che è la norma) non è riconosciuto, come se non esistesse tout court. 50/60 euro a giornata devono bastare.

      Un altro aspetto del furto di salario consiste nell’approvvigionamento del materiale di lavoro. Per legge, grazie ai risultati delle lotte del passato che l’hanno imposto anche sul piano legale, il datore di lavoro è tenuto a fornire al dipendente tutti i dispositivi di sicurezza di cui necessita per svolgere le mansioni richieste da contratto. Bene, è sufficiente farsi un giro alla Caritas, oppure al parco Gulino la domenica, per rendersi immediatamente conto di come ciò non avvenga e i lavoratori debbano procurarsi autonomamente i dispositivi di protezione (scarpe anti-infortunistica, guanti, etc.), altrimenti non vengono assunti.

      Se poi guardiamo oltre i picchi della raccolta stagionale e ci concentriamo sui non pochi operai agricoli africani che riescono ad ottenere contratti più lunghi, che magari si estendono sino a dicembre, anche qui si vedrà come raramente il lavoro è pagato il giusto prezzo. Pur svolgendo mansioni qualificate come ad esempio il diradamento o la potatura, spesso l’inquadramento salariale è quello del raccoglitore, a cui corrisponde ça va sans dire un salario inferiore.

      E si potrebbe andare avanti, e più avanti si va più si possono notare comunanze tra la condizione dei braccianti africani e quella di tanti lavoratori, in altri settori, stranieri ma anche italiani.

      I lavoratori africani nel Saluzzese accettano tutto ciò passivamente?

      No, specialmente oggi che il problema del contesto italiano (almeno nel nord del paese) sembra essere meno l’assenza di impiego e più il lavoro povero. La principale manifestazione di contropotere operaio è infatti l’atteggiamento iper-utilitaristico con cui si affrontano i padroni: “non mi paghi in modo soddisfacente, prendo e me ne vado. Immediatamente. Tanto riesco a trovare altro“. Non è sempre stato così, non è detto che sarà sempre così: in alcuni momenti l’offerta di lavoro era così ridotta che un lavoro, per quanto sfruttato e indegno, bisognava tenerselo stretto, perché serviva per mangiare, perché serviva per i documenti.

      Esistono poi molteplici linee di resistenza spontanea che agiscono sotterraneamente, di cui si viene a conoscenza solo creando un rapporto di fiducia e di ascolto reale con i lavoratori.

      Per esempio, la contrattazione informale sulle giornate di lavoro da segnare effettivamente in busta paga, almeno quel tot per raggiungere la soglia necessaria alla disoccupazione agricola, strumento peculiare per garantire continuità reddittuale nei mesi di inattività forzata. Il lavoro grigio, infatti, molto più che la qualità della frutta prodotta nelle piantagioni, è il vero marchio di fabbrica del distretto della frutta del Saluzzese.

      In zona è perfettamente noto a tutti, organi di controllo compresi, che le giornate di lavoro segnate ai braccianti non coincidono con quelle effettivamente svolte. Sebbene le situazioni varino di azienda in azienda, ipotizziamo che le giornate segnate siano meno della metà di quelle svolte. Un grande, enorme risparmio per le tasche degli imprenditori. Per rendersi conto dell’enorme volume di attività lavorativa non contabilizzato – quindi dei soldi risparmiati – sarebbe sufficiente disporre dei dati relativi alle giornate di lavoro necessarie in rapporto alla superficie di terreno coltivato e incrociarlo con le giornate documentate, ma guarda a caso questi dati non sono disponibili e custoditi gelosamente dagli organi di controllo e di rappresentanza delle aziende. (Dati che peraltro sarebbero estremamente utili anche per la programmazione della gestione abitativa della forza-lavoro stagionale, anziché agitare il solito spettro degli insediamenti informali)

      Sorvoliamo sui contributi non versati e sul conseguente mancato introito nelle casse dello Stato, perché il discorso sulla tassazione è lungo e complesso,ma guardiamo le cose dal punto di vista, anche egoistico se vogliamo, ma maledettamente materiale, del lavoratore che si spacca la schiena in campagna. Perché se il padrone risparmia, risparmia solo lui e l’operaio non ne trae alcun beneficio?

      Purtroppo però le linee di resistenza spontanea individuale faticano a comporsi in una forza collettiva organizzata. L’azione sindacale ha fatto pochi passi in avanti e resta schiacciata sull’azione legale piuttosto che sulla pratica di lotta diretta, con il risultato di non fare mai esperienza di un fronte comune ma di vincere o perdere in solitudine.

      Occorrerebbe infine guardare l’evidente diminuzione degli arrivi di braccianti in cerca di occupazione da un punto di vista diverso, diminuzione che si sovrappone e si sostituisce al ricambio pressoché totale di persone che arrivano a Saluzzo stagionalmente già registrato negli anni passati. Anche questo fenomeno andrebbe considerato infatti come una forma di “resistenza”, confermato dai continui appelli per mancanza di manodopera lanciati dalle organizzazioni datoriali e dal veloce passaggio ad altri settori produttivi di molti lavoratori africani che si sono stabiliti nel saluzzese.

      Sarebbe interessante approfondire che cosa intendono i padroni quando parlano di “fidelizzazione” dei propri dipendenti…

      Siamo perfettamente consapevoli che nella congiuntura attuale molti piccoli imprenditori agricoli stiano faticando, schiacciati dalla concorrenza del mercato internazionale, dal potere della grande distribuzione, dall’interdipendenza della distribuzione logistica.

      Alcune aziende sono a rischio fallimento, altre vengono assorbite dai pesci più grandi… ma è l’agriculutral squeeze, baby! Che altrove ha già comportato un cambio di scala nella dimensione aziendale. D’altro canto, è inaccettabile che l’insostenibilità della produzione agricola contemporanea per il piccolo imprenditore sia scaricata sui lavoratori salariati, non a caso persone razzializzate, che l’auto-sfruttamento dei datori di lavoro sia proiettato sui dipendenti. Già, perché a quanto pare il grado di sfruttamento nelle piccole aziende è ancora maggiore che nelle grandi. Ma se, anziché allearsi con le forze vive del lavoro per cambiare le regole del gioco, i contadini compartecipano al sistema di sfruttamento generalizzato, potendo sopravvivere solo grazie allo sfruttamento dell’ultimo anello della catena, allora la scelta di campo è stata fatta.

      https://www.meltingpot.org/2023/09/golden-delicious-cronache-dalle-piantagioni-saluzzesi
      #pommes

  • [Les Promesses de l’Aube] Jonathan Carrier, l’immense jeu
    https://www.radiopanik.org/emissions/les-promesses-de-l-aube/jonathan-carrier-limmense-jeu

    En cette semaine pleine d’activités en lien avec le logement, nous accueillons Jonathan Carrier qui nous présente son recueil de textes, « l’immense jeu ».

    #poésie #sans-abrisme #immenses #sans-chez-soirisme #poésie,sans-abrisme,immenses,sans-chez-soirisme
    https://www.radiopanik.org/media/sounds/les-promesses-de-l-aube/jonathan-carrier-limmense-jeu_15536__1.mp3

  • #3 Carnet de route – Sur le campement « de la Liberté », l’espoir ne fait vivre personne

    Une fois toutes les deux semaines, Carnet de route documente les évacuations de #campements, de #bidonvilles et de squats en Île-de-France. Cette semaine, Julie Déléant et Nnoman rapportent la situation d’un campement, à #Ivry-sur-Seine, où quelque 200 mineurs étrangers vivent sans eau potable à proximité ou électricité.

    Contexte : Depuis le 11 juin 2022, près de 200 mineurs isolés vivent dans un campement à Ivry-sur-Seine. Du provisoire qui dure. Sur ce lieu, baptisé le campement “de la Liberté”, ces jeunes se retrouvent en situation de grande détresse.

    La suite ici :

    https://www.bondyblog.fr/societe/carnet-de-route/3-carnet-de-route-sur-le-campement-de-la-liberte-lespoir-ne-fait-vivre-per

    #toponymie_migrante #campement_de_la_liberté #campement #hébergement #asile #migrations #réfugiés #SDF #sans-abris #sans-abrisme

  • TÉMOIGNAGES. « Je ne veux pas que mes amis sachent que je vis dans la rue » : face au manque d’hébergements d’urgence, de plus en plus d’enfants sans abri
    https://www.francetvinfo.fr/economie/immobilier/immobilier-indigne/temoignages-je-ne-veux-pas-que-mes-amis-sachent-que-je-vis-dans-la-rue-
    https://www.francetvinfo.fr/pictures/nEbPGb9vOkA8lbYxinYl4RbIkOo/1500x843/2022/10/17/phpX9knl1.jpg
    #bilan_macron #logement #familles

    Ces enfants contraints de vivre dehors, dont les parents demandent souvent l’asile, sont de plus en plus nombreux selon le collectif d’associations Jamais sans toit. Il a recensé à ce jour « 194 enfants dans l’agglomération lyonnaise, 26 enfants de moins de trois ans, dont un bébé de deux mois », explique Raphaël Vulliez qui anime ce réseau. « Au niveau national, il n’y a pas de statistiques officielles. Le chiffre qu’on avait, mais qui n’est pas exhaustif, c’est que fin août, il y avait 1 658 enfants dont les demandes de 115 n’ont pas été pourvues et que ce chiffre avait augmenté », précise-t-il.

    Un mois plus tard, ce chiffre a augmenté « de 30% » selon les estimations, ce qui porte à plus de 2 000 le nombre d’enfants à la rue. « Là, il y a eu 7 000 suppressions de places d’hébergement d’urgence cette année et il y en a 7 000 qui sont prévus pour l’année prochaine au projet de loi de finances. C’est une décision complètement irresponsable », dénonce Raphaël Vulliez.

  • Des migrants crèvent de froid aux portes de Paris, et l’État ne fait rien
    https://reporterre.net/Des-migrants-crevent-de-froid-aux-portes-de-Paris-et-l-Etat-ne-fait-rien

    Des centaines d’exilés s’entassent dans un tunnel aux portes de la capitale. Hommes, femmes et enfants y sont dans « l’abandon le plus complet », regrettent les auteurs de cette tribune. Ils appellent les autorités à mettre à disposition les locaux vacants. Source : Reporterre

  • ‘My students never knew’: the lecturer who lived in a tent

    Higher education is one of the most casualised sectors of the UK economy, and for many it means a struggle to get by

    Like many PhD students, #Aimée_Lê needed her hourly paid job – as an English lecturer – to stay afloat. But what her students never guessed was that for two years while she taught them she was living in a tent.

    Lê decided to live outside as a last resort when she was faced with a steep rent increase in the third year of her PhD at Royal Holloway, University of London, and realised she would not be able to afford a flat and cover all her costs on her research and teaching income.

    She recalls: “It was cold. It was a small one-person tent, which meant after a bit it did get warmer. But there were days when I remember waking up and my tent was in a circle of snow. When I wasn’t doing my PhD or other work I was learning how to chop wood or start a fire.”

    She stored her books in the postgraduate office so they wouldn’t be damaged, and showered at university. She “didn’t quite tell” her parents, saying to them that she was staying on an ecological farm so as not to worry them.

    Nor did she tell her university, which insisted this week that the welfare of all its students was paramount and that it encouraged anyone struggling to reach out for support. Lê says she led a double life, fearful that it might damage her professional reputation if people knew she was homeless.

    “I got good reviews from students. I marked 300 GCSEs in a hotel lobby. I even organised an international conference. I was working to a very high standard and I was incredibly focused,” she says.

    The University and College Union says the plight of young academics who are desperate to get a firm footing on the career ladder is getting worse. Staff at 146 higher education institutions have until Thursday to vote on whether to strike once again – potentially before Christmas – over unfair pay, “untenable” workloads and casualised contracts.

    Lê says: “I think the students had every expectation I was receiving a salary for my work. I think that is what students everywhere assume: that we are lecturers on proper contracts. I did tell them that wasn’t the case, but I thought telling them I was living outside was a step too far.”

    Research published this month found that nearly half of the undergraduate tutorials for which Cambridge University is famous are delivered by precariously employed staff without proper contracts. The UCU says this is a familiar story across the country.

    Lê was awarded an annual fellowship of £16,000 for three years from Royal Holloway to do her PhD on minority ethnic groups in American literature, and won an extra scholarship from the US, where she is from, in her first year. But as an international student she had to pay £8,000 a year in fees to the university (fees that have been waived for UK fellows), leaving her with £12,000 a year to live on including her wages for teaching.

    She says she was just about managing until the cheap postgraduate hall she was living in was closed for renovations at the end of her second year. She was faced with finding an extra £3,000 a year for rent, which she says she couldn’t afford. Determined not to drop out, she borrowed the tent from a friend.

    Lê admits that at first “I was really scared. I found out there was a protest camp near campus so I turned up with my tent and asked if I could stay there so I wasn’t alone. And that was the start of my next two years.”

    While in her tent she looked forward to the “reward of stability” after her PhD. She knew she might still end up taking some shorter-term contracts but thought they would overlap and she wouldn’t ever have to worry about secure housing again.

    Today Lê feels such optimism was misplaced. She gained her PhD in 2018, and tutored schoolchildren and worked at a botanical garden to make ends meet before securing two years on a fixed-term contract teaching creative writing at Exeter University. Now she is living with her parents and job-hunting again.

    “I don’t know what is going to happen. I’ve had lots of interviews, including one at Cambridge recently, but I started looking in April while I was still employed. I feel really nervous.”

    She doesn’t know if she is right not to give up. “To be honest I struggle with that question. The irony is I think I am very well suited to the job. I know I’m a really good teacher. It’s like a vocation.”

    Royal Holloway did not know that Lê was struggling financially. A spokesperson said: “We have dedicated student advisory and wellbeing teams who are here to support our students, including PhD students, with their health and wellbeing.” Services included free counselling, crisis help, and a financial wellbeing team who could offer information on extra funding for which students may be eligible, he said.

    Vicky Blake, the president of UCU, said: “Many people are still shocked to learn that higher education is one of the most casualised sectors in the British economy. There are at least 75,000 staff on insecure contracts: workers who are exploited, underpaid, and often pushed to the brink by senior management teams relying on goodwill and a culture of fear.”

    The union’s research shows one-third of academics are employed on fixed-term contracts, and 41% of teaching-only academics are on hourly paid contracts. Women and BAME staff are more likely to be employed insecurely.

    Jasmine Warren, who teaches psychology part-time alongside her PhD at the University of Liverpool, says: “As a woman finishing your PhD and going straight into precarious contracts, you have to ask: at what point do I choose to have a family? At what point can I buy a house? I haven’t seen any university advertising lecturer positions with a contract of more than a year recently. We are expected to accept this as normal.”

    Sian Jones (not her real name) spent six months sleeping on friends’ floors while researching her PhD and teaching history for £15 an hour at a Russell Group university. Jones has a disability, and in the third year of her PhD her funding was frozen when she had to take a month out after surgery. Shortly afterwards she had to leave her home because of domestic violence. She couldn’t afford a deposit or rent.

    “It was a really hard time, carrying on teaching and doing my research while I had nowhere to live,” she says. “I ended up with severe PTSD.”

    Jones eventually finished her PhD while juggling two casual teaching jobs at two institutions an hour apart. “I’m still exhausted,” she says. “I’m now one of the lucky ones because I’ve got a three-year contract, so I can at last relax a bit. But knowing in two and a half years you will be unemployed again is absolutely terrifying.”

    Raj Jethwa, the chief executive of the Universities and Colleges Employers’ Association, said: “Despite UCU repeatedly rejecting opportunities to work with employers in this important area, employers have continued their efforts to reduce the sector’s reliance on fixed-term contracts.”

    He said that over the last five years fixed-term academic contracts had declined and “the vast majority of teaching is delivered by staff with open-ended contracts”.

    He added: “It is very disappointing that UCU is encouraging its members to take damaging industrial action which is specifically designed to disrupt teaching and learning for students who have endured so many recent upheavals.”

    https://www.theguardian.com/education/2021/oct/30/my-students-never-knew-the-lecturer-who-lived-in-a-tent
    #université #pauvreté #précarité #ESR #Angleterre #UK #facs #SDF #sans-abri #sans-abrisme #enseignement

    ping @_kg_

  • L’#espérance_de_vie à 48 ans des personnes à la rue, « la conséquence de l’errance »

    Le Collectif des morts de la rue a dénombré, en 2020, la mort de 670 personnes « sans chez-soi » ou anciennement SDF. Pour empêcher ces drames, il demande aux autorités de permettre aux sans-abri d’accéder à des offres de logements pérennes.

    https://www.liberation.fr/societe/lesperance-de-vie-a-48-ans-des-personnes-a-la-rue-la-consequence-de-lerra
    #sans-abris #errance #sans-abrisme #SDF #logement #France
    #statistiques #chiffres #2020

  • Prises électriques verrouillées : une mesure anti-SDF dans la Gare centrale de Bruxelles Philippe Carlot

    Dans la salle des pas perdus de la Gare Centrale de Bruxelles, l’ensemble des prises électriques installées dans les murs ont été verrouillées. A l’exception d’une seule, probablement victime de vandalisme. Nous parcourons les lieux en compagnie de Jose Parades, membre de l’Union bruxelloise des SDF et constatons, en effet, que les prises électriques sont inutilisables en l’état. Reste à savoir pourquoi. 

    Une mesure anti-SDF ?
    Jose Parades a sa petite idée sur la question : "J’ai découvert ça récemment et j’ai trouvé ça scandaleux. Pour moi, mais je peux me tromper, ce dispositif a été imaginé pour éloigner les SDF de l’intérieur de la gare. Avant qu’il n’y ait ces clés, je voyais des SDF charger leur GSM, leur seul moyen de communication pour trouver un logement. C’est très important pour garder un contact familial, envoyer des SMS, pour communiquer, même avec son assistant social. En période de Covid, on leur a dit d’utiliser leur GSM et de communiquer via WhatsApp ou d’envoyer des SMS pour contacter leur assistant social. Mais s’il ne peut pas recharger son téléphone, le SDF ne peut plus contacter son AS. 
     
    La SNCB confirme
    A l’entrée de la gare se trouvent quelques employés de la SNCB chargés d’informer les voyageurs. Nous posons la question à l’un d’entre eux : pourquoi les prises électriques ont-elles été verrouillées ? La réponse confirme les craintes de Jose Parades. Il s’agit bien d’une mesure destinée à empêcher les personnes sans-abri d’utiliser les prises de courant, parce que cela posait des problèmes de sécurité, nous explique l’employé. Ces prises servent essentiellement au personnel d’entretien et aux engins utilisés pour nettoyer les sols de la gare. 

    L’intégralité de l’article : https://www.rtbf.be/info/regions/detail_prises-electriques-verrouillees-une-mesure-anti-sdf-dans-la-gare-central

    #sdf #sans-abris #pauvreté #sans-abri #sans-abrisme #Bruxelles #anti-sdf #Belgique #sans_domicile_fixe #espace_public #guerre_aux_pauvres #électricité #énergie #GSM #smartphone

    • En réponse, la gare centrale de Bruxelles se lance dans l’éloge des obscénités inutilisées !

      Le salon royal de la Gare Centrale bientôt ouvert au public ArBr avec Belga – Photo : A. Dumarey via M. Louyest
      https://bx1.be/categories/news/le-salon-royal-de-la-gare-centrale-bientot-ouvert-au-public

      Le lieu est méconnu, mais se situe pourtant au coeur de la Gare Centrale, à Bruxelles : le salon royal, conçu en 1952 dans un style Art Déco. Lors de l’Expo 58, c’est là que seront reçues les délégations étrangères. Le lieu est un vrai petit bijou, avec des éléments de tannerie conçus par les artisans de la maison Delvaux, et des murs en marbre. Si aujourd’hui, ce salon est un secret bien gardé, il ouvrira ses portes cet été.


      En effet, du 23 juillet au 19 septembre s’y trouvera l’installation artistique “Voyage au bord du mon de“, réalisée par l’artiste Myriam Louyest, et conçue tout spécialement pour le lieu. “Elle établit une relation étroite entre l’esprit du lieu et les sculptures qui y sont exposées. Le salon est comme une bulle de tranquillité dans l’agitation de la gare, un écrin à la préciosité d’un autre temps. Il est un monde à la frange du nôtre, tout en en faisant partie“, expliquent les organisateurs.

      “Certaines réalisations évoquent la figure du Roi Baudouin, alors que d’autres parlent de l’idée d’un périple. Toutes révèlent en creux la fragilité de l’humain, qu’il soit puissant ou simple passant. On y découvrir des interventions discrètes (savon de marbre dans la salle d’eau, petites météorites de verre, cailloux dorés), et d’autres plus spectaculaires, comme à la fin du parcours un jardin de verre“, ajoutent-ils.

      L’événement est organisé par TrainWorld, et est gratuit du jeudi au dimanche, sur réservation via le site de TrainWorld.

    • La famille royale de Belgique connait bien les voitures automobiles, et les avions, pour ses déplacements.

      A quoi servent ces salons inutilisés ?
      A rien.
      Le principal, c’est qu’ils ne puissent servir à personne.

  • In Europa 700mila senzatetto. Ue, “una casa per tutti entro il 2030”

    L’Unione ha lanciato la piattaforma europea per le persone senza dimora. “La forma più estrema di esclusione sociale”, come l’ha definita il commissario Nicholas Schimdt. Un’analisi delle cause remote. La testimonianza di Elda Jesus Coimbra: “ho lasciato la strada quando qualcuno mi ha dato un mazzo di chiavi e mi ha detto che quella era la mia casa”. La situazione in Italia.

    Per le strade delle città europee ci sono 700mila persone che dormono su marciapiedi e panchine, negli androni dei portoni, nelle stazioni. È un numero che negli ultimi 10 anni è cresciuto del 70%. Tanti i fattori che concorrono a questa forma “la più estrema di esclusione sociale”, come l’ha definita il commissario europeo Nicholas Schimdt in occasione del recente lancio della “piattaforma europea per i senzatetto”. Tante le misure da mettere in campo per affrontare il problema: politiche giovanili, reddito, edilizia sociale, sicurezza sociale, diritto del lavoro e integrazione. La piattaforma attivata ha tre obiettivi: condividere le esperienze per imparare le buone pratiche gli uni dagli altri; definire come utilizzare al meglio le risorse finanziarie esistenti, sia quelle previste dal “recovery and resilience plan”, ma anche le risorse disponibili con il Fondo sociale europeo Plus e il Fondo europeo di sviluppo regionale; migliorare la raccolta di dati e prove, su cui improntare le decisioni e creare sinergie. L’obiettivo: zero persone senzatetto entro il 2030 nell’Ue, ha dichiarato il commissario Schmidt. A coordinare la sinergia tra i vari attori della piattaforma (istituzioni Ue, Stati membri, autorità regionali e locali, organizzazioni della società civile) sarà il belga Uves Leterme; ogni due anni le presidenze di turno dell’Ue dovranno convocare conferenze di alto livello per monitorare l’attuazione dei principi della dichiarazione sottoscritta a Lisbona.

    Le cause profonde. Il documento, firmato dalle tre istituzioni europee e dai 27 Paesi Ue dice, tra le altre cose, che le
    cause profonde di questa piaga stanno nell’“aumento dei costi abitativi, nell’offerta insufficiente di alloggi sociali o di assistenza abitativa, nel lavoro precario, a basso reddito o nella disoccupazione, nella disgregazione familiare, nella discriminazione, nei problemi di salute a lungo termine”
    e nelle dimissioni non sufficientemente preparate da istituzioni, come le prigioni. Il nodo centrale sembra essere la questione dell’alloggio. Lo hanno raccontato anche gli ex-senzatetto che sono intervenuti a Lisbona lo scorso 21 giugno per raccontare le loro storie di rinascita, tutte legate a una casa. Tra loro Elda Jesus Coimbra: “ho lasciato la strada”, ha raccontato “quando qualcuno mi ha dato un mazzo di chiavi e mi ha detto che quella era la mia casa”. La casa però sta diventando un bene di lusso: ci sono affitti che assorbono il 40% degli stipendi dei locatari, è stato detto a Lisbona.

    Un compito per ciascuno. La dichiarazione ha messo nero su bianco gli ambiti in cui ciascuno dei firmatari dovrà agire. La Commissione si è impegnata a “sostenere il monitoraggio” della situazione dei senzatetto “fornire una valutazione quantitativa e qualitativa dei progressi compiuti”, “l’apprendimento reciproco delle buone pratiche”, l’uso dei finanziamenti Ue per misure politiche inclusive.
    Il Parlamento europeo, da parte sua, si è impegnato a “promuovere e sostenere politiche volte a ridurre la povertà, in particolare tra i bambini e a porre fine alla homelessness in Europa entro il 2030”
    anche attraverso il piano d’azione del pilastro europeo dei diritti sociali. Invece le autorità nazionali, regionali e locali dovranno “promuovere iniziative di prevenzione dei senzatetto” in particolare sul fronte dell’accesso ad alloggi stabili e servizi di supporto riabilitanti. Anche la società civile e i partner sociali hanno sottoscritto la dichiarazione, impegnandosi in particolare a “facilitare l’apprendimento reciproco” e continuare a imparare dalle esperienze di successo sul campo.

    Tre esperienze positive. E ce ne sono tante, e preziose, come le tre che sono state premiate proprio a Lisbona dalla Federazione europea delle organizzazioni nazionali che lavorano con i senzatetto (Feantsa):
    il progetto Housing First, gestito dalla Caritas di Trieste dal 2019, che ha fornito dieci appartamenti a un totale di trenta persone, di cui cinque nuclei familiari, inserite in un percorso di accompagnamento, finalizzato all’indipendenza abitativa.
    A essere premiato è stato anche un progetto della onlus Romodrom della Repubblica Ceca, che si occupa dell’emergenza abitativa per la popolazione rom: 21 famiglie sono state accompagnate in questi anni, a partire dalla possibilità di vivere in appartamento, in un efficace percorso di integrazione. Il terzo progetto premiato è della rete portoghese Crescer: a Carnide, nel Bairro Padre Cruz, quartiere di fragilità sociali, è stato da poco aperto un ristorante, “É uma mesa”, in cui a lavorare ci sono dei senzatetto. Si chiama “occupazione assistita” e nello specifico il ristorante punta a integrare nei percorsi di formazione 75 persone all’anno, per rilanciarle nel mondo del lavoro e permettere loro, con uno stipendio, di pagare un affitto e quindi toglierle dalla strada.

    La situazione in Italia. In Italia i contorni del problema non sono così precisi: gli ultimi dati riguardo ai senza fissa dimora risalgono al 2014, quando è stata realizzata la seconda indagine sulla condizione delle persone che vivono in povertà estrema: in quel momento c’erano 50.724 persone senza dimora. Tre anni prima erano 47.648. Sono passati sette anni e una pandemia che ha drammaticamente colpito le fasce più deboli. A disposizione per affrontare nello specifico il disagio dei senzatetto oggi ci sono anche 450 milioni di euro nel piano nazionale di ripresa e rilancio, come ha segnalato di recente il ministro Andrea Orlando, destinati a “housing temporaneo e stazioni di posta”. Non sono misure adeguate, ha però scritto in una lettera al ministro Orlando la Federazione italiana organismi per le persone senza dimora (Fio.psd), che riunisce 140 organizzazioni, associazioni, cooperative sociali ed enti locali: non basta un “housing temporaneo” perché bisogna lasciare a queste persone “tutto il tempo necessario” per rimettersi in piedi, anche con “percorsi di formazione, integrazione socio-sanitaria, inserimento lavorativo, incremento di reddito”. Da ripensare, secondo la Fio.psd, le “stazioni di posta”, cioè i ricoveri notturni delle nostre città:
    “è auspicabile che i servizi previsti possano avere natura di centri polifunzionali aperti h24, per la presa in carico integrata e per percorsi partecipati di accompagnamento”.
    La Fio.psd suggerisce “micro accoglienze da non più di 30 posti, con spazi, aperti anche alla comunità, che facilitino azioni integrate socio sanitarie e di raccordo con equipe multidisciplinari”. È necessario inoltre che, si dice nella lettera, tutte queste incombenze non siano lasciate esclusivamente nelle mani di associazioni di volontariato.

    https://www.agensir.it/europa/2021/07/05/in-europa-700mila-senzatetto-ue-una-casa-per-tutti-entro-il-2030

    #sans-abrisme #sans-abri #Europe #statistiques #projections #chiffres

  • Bruxelles-Ville : les plexiglas anti-SDF de la Porte d’Anderlecht déclarés illégaux

    La Région a déclaré ne pas autoriser ce dispositif, pour des raisons patrimoniales, qui devrait être retiré prochainement.

    On pourrait parler d’une véritable saga, autour de dispositifs successifs anti-sans abri, installés sur la Porte d’Anderlecht, à Bruxelles-Ville. Tout commence avec un système d’arrosage automatique, installé en 2017 par la Ville : l’objectif annoncé était alors d’arroser les plantes installées sans intervention humaine… mais le dispositif a rapidement été considéré comme destiné à faire fuire les sans-abris, qui s’installaient parfois sous le porche de l’entrée du musée.

    Quelques jours plus tard, notamment suite à une action de deux associations, le dispositif fût désinstallé. Les autorités ont d’ailleurs reconnu que le dispositif avait été installé pour faire fuire les personnes sans abri. Mais deux ans plus tard, fin 2019, un autre dispositif est placé au même endroit : il s’agit, cette fois-ci, des parois en PVC, entourant les porches de ces anciens pavillons de l’octroi. Là encore, impossible pour les personnes sans-abri de s’installer sous les arcades.
    Une installation sans permis d’urbanisme

    Ce dispositif vient d’être considéré comme illégal par la Région bruxelloise, indique ce dimanche la RTBF. Ainsi, le secrétaire d’Etat bruxellois au Patrimoine, Pascal Smet (one.brussels), évoque, dans une réponse à une question écrite formulée par la députée régionale Farida Tahar (Ecolo), que ces plexiglas ont été installés sur des bâtiments classés, sans permis d’urbanisme. “L’installation est illégale, sur un bien classé. Contact a donc été pris pour remédier à la situation“, explique-t-il.

    Si une telle demande a été introduite par la Ville depuis, et est aujourd’hui en attente de l’avis de la Commission royale des Monuments et Sites, “cela ne fait pas beaucoup de doutes, ce n’est pas une bonne solution, et nous n’allons pas autoriser ce dispositif. Nous allons demander son retrait à l’issue de la procédure de permis d’urbanisme“, ajoute le secrétaire d’Etat dans sa réponse à cette question parlementaire.

    Source : https://bx1.be/categories/news/bruxelles-ville-les-plexiglas-anti-sdf-de-la-porte-danderlecht-declares-illegaux/?theme=classic

    #sdf #sans-abris #pauvreté #sans-abri #Bruxelles #Belgique #sans_domicile_fixe #espace_public #guerre_aux_pauvres

  • #A_Lua_Platz - #Prendre_place

    En #Seine-Saint-Denis, des années durant, des familles roumaines cherchent des lieux où vivre. Devenus compagnons de route lors de luttes contre les expulsions, nous fabriquons ce film ensemble, comme autant de maisons ouvertes. Cheminant de villages quittés en bidonvilles, squats et cités, l’intimité de leurs récits se confronte à une banlieue en constante mutation. Des grands ensembles jusqu’au Grand Paris, leurs trajectoires retissent une histoire commune, celle de solidarités habitantes refusant la relégation.

    http://www.film-documentaire.fr/4DACTION/w_fiche_film/54367_1

    #SDF #sans-abris #France #hébergement #Roms #115 #logement #bidonville #expulsions #Roumanie #Roumains #rénovation_urbaine #travail #habitat #relogement #La_Courneuve #campement_du_Samaritain #OQTF #village_d'insertion #squat #domiciliation #police #droit #logements_vacants #intégration #Platz #collectif_Samaritain #film #documentaire #film_documentaire

  • These 3D printed homes are helping tackle homelessness in the US

    - In America, 3D-printed houses are starting to be used as an affordable alternative to traditional builds.
    - The process builds homes faster, cheaper and with less labor, and its structures are more resilient to natural disasters.
    – It’s being used an an innovative way to tackle homelessness.
    – It’s estimated that the 3D-construction market could be worth $1.5 billion by 2024.

    After years of homelessness and hard living, Tim Shea has swapped the sharp corners in his life for the round, flowing design of his new 3D-printed home in Austin, Texas.

    In August, Shea became the first person in the United States to move into a 3D-printed home, according to Austin-based developer ICON, in what advocates say is a milestone in efforts to boost the national supply of affordable housing.

    This month New York-based firm SQ4D listed what is purported to be the country’s first 3D-printed house to go up for sale, while ICON completed the largest 3D-printed structure in North America – a military barracks.

    Shea, 70, said his new house - which he moved into for free and is located in a community of formerly homeless people - has saved his life.

    “It’s just phenomenally beautiful ... it just wraps around and gives me a feeling of life security,” Shea told the Thomson Reuters Foundation by phone from his 400-sq-ft (46-sq-m) home.

    The house’s high ceilings, large windows and skylights make it feel larger than it looks from the outside, he added.

    Shea got to watch his home being built on site by a large new “printer”, developed and operated by #ICON, a process which the company said took about 48 hours and is being reduced further as the technology improves.

    Large-scale 3D printing is gaining steam around the world as a quicker, cheaper and more efficient way of building housing, with some projects producing a home in 24 hours of printing time for just a few thousand dollars.

    ICON constructed the first permitted 3D-printed building in the United States in 2018 and is one of the few 3D construction firms focusing specifically on affordable housing.

    Last year, Habitat for Humanity’s Terwilliger Center for Innovation in Shelter helped an Indian company called Tvasta build India’s first 3D-printed home, which brought construction times down by more than a third and reduced waste by about 65%.

    “3D printing technology has huge potential to boost the affordable housing sector,” said Patrick Kelley, the center’s vice president, in emailed comments.

    https://www.weforum.org/agenda/2021/02/3d-printed-homes-affordable-housing-homelessness-united-state

    #logement #impression_3D #3D #SDF #sans-abris #USA #Etats-Unis #technologie

  • Exclusif : quand tu mets tout le monde en prison préventivement, la « déliquance » diminue et le préfet et le directeur de la sécurité publique sont contents…

    Exclusif. Délinquance à Montpellier : les bons chiffres de l’année 2020
    https://actu.fr/occitanie/montpellier_34172/exclusif-delinquance-a-montpellier-les-bons-chiffres-de-l-annee-2020_39234359.h

    Métropolitain révèle que sur la circonscription de Montpellier, la délinquance générale a chuté de 17,41%, avec 25 942 faits l’année dernière, contre 31 410 en 2019, ce qui fait un taux de délinquance de 5,85 (8,53 en 2019) pour 1 000 habitants.

    Il y a beaucoup de satisfactions dans ces statistiques pour les autorités concernées, Jacques Witkowski, le préfet de l’Hérault et le contrôleur général Yannick Blouin, directeur de la Sécurité publique de l’Hérault -DDSP 34- …

    #beaucoup_de_satisfactions_dans_ces_statistiques_pour_les_autorités_concernées (je laisse le « s » à « satisfactions », parce qu’il n’y a pas de petits plaisirs).

    • Grenoble. CONFÉRENCE DE PRESSE :

      Aujourd’hui lundi 14 décembre à midi, les habitantEs du 7 place Laurent Bonnevay soutenuEs par le DAL 38 ont organisé une conférence de presse devant le bâtiment occupé.
      Les exigences des familles ont été clairement réaffirmées :
      • Un relogement décent, adapté et surtout pérenne pour toutes les personnes concernées.
      • Les familles resteront unies jusqu’au relogement de toutes et tous.
      • Application de la loi de réquisition sur les immeubles et logements vacants dont l’ordonnance du 11 octobre 1945.
      À travers cette conférence de presse, les habitantEs du 7 place Laurent Bonnevay ont aussi dénoncé la coupure du chauffage prévue dans 3 jours….Honte à l’EPFL, honte à ACTIS, honte aux éluEs de la ville de Grenoble, honte aux institutions….
      Compte-tenu de la présence de personnes fragiles avec enfants et des difficultés majeures pendant cette période de pandémie, le collectif EXIGE LE MAINTIEN DU CHAUFFAGE jusqu’au relogement de toutes et tous !
      SI BESOIN NOUS SAURONS NOUS FAIRE ENTENDRE….

      https://www.facebook.com/droitaulogement38/posts/1840913792738618
      #coupure #chauffage

    • Des militants soutenant les mal-logés à Grenoble ont manifesté et réquisitionné des logements vides

      Plus d’une centaine de soutiens aux mal-logés ont manifesté à Grenoble ce samedi 12 décembre 2020. Une initiative de l’Assemblée des mal-logés, soutenue par l’association Droit au logement. L’objectif ? Rendre visible la situation de ces personnes et défendre leurs droits, y compris par la réquisition de logements vides au titre du droit à disposer d’un toit.

      « Nous, sans-abri, locataires HLM, locataires du privé, hébergé.e.s, expulsé.e.s, squatteur.ses, unissons nos voix car nous sommes tous.tes mal-logés. » La phrase figurant en accroche du texte d’appel des personnes mal logées, distribué ce samedi 12 décembre place de Verdun, était on ne peut plus explicite.

      L’Assemblée des mal-logés, soutenue par l’association Droit au logement de L’Isère (Dal 38) avait appelé leurs soutiens à se rassembler pour exprimer leurs revendications. Avant de partir manifester sous la pluie jusqu’à la cité dite des “volets verts” du quartier de l’Abbaye. Un lieu où les militants avaient réquisitionné, le mercredi 9 décembre, plusieurs appartements vides d’un immeuble situé place Laurent-Bonnevay. Y vivent depuis, selon eux, des célibataires et des familles avec ou sans enfants, tous précédemment sans logement.

      (...)

      https://www.placegrenet.fr/2020/12/13/des-militants-soutenant-les-mal-loges-a-grenoble-ont-manifeste-et-requisitionne-des-logements-vides/407609
      #paywall

    • Grenoble : des sans-abris demandent à rester dans un immeuble du quartier de l’Abbaye

      Ils sont là depuis six jours. Des familles avec enfants et des célibataires ont trouvé refuge dans un immeuble inhabité quartier de l’Abbaye à Grenoble. Les associations qui les soutiennent demandent à la mairie et à la Préfecture de réquisitionner les lieux pour qu’ils restent sur place.

      L’endroit est inhabité depuis plus de dix ans. Situé place Bonnevay dans le quartier de l’Abbaye, il est insalubre. Mais il y a toujours l’eau et l’électricité.

      L’immeuble est occupé par des familles avec enfants et des célibataires, des personnes en attente de régularisation. L’association Droit au Logement leur a ouvert les portes le 9 décembre pour leur éviter la rue et le froid.

      Dans trois jours, le courant et l’eau vont être coupés par le bailleur social Actis, qui en a l’usufruit. Un projet de réhabilitation de cette résidence appelée Les Volets Verts va être mis en route.

      Ce 14 décembre ; Droit au Logement a donné une conférence de presse au pied du bâtiment. L’assocation demande à la ville et à la Préfecture de réquisitonner l’endroit pour maintenir ces personnes dans les lieux, en attendant des solutions pérennes. L’immeuble appartient à la Métro.

      D’après Droit au logement, il y aurait 250 logements vides dans Grenoble et son agglomération, et dans le même temps 5.000 personnes actuellement à la rue.

      Une grande manifestation est prévue jeudi 17 décembre sur le parvis de la mairie de Grenoble.

      https://france3-regions.francetvinfo.fr/auvergne-rhone-alpes/isere/grenoble/abris-demandent-rester-immeuble-du-quartier-abbaye-gren

    • Grenoble : une manifestation pour le droit au logement se termine en occupation d’immeuble

      Samedi 12 décembre, à l’appel du DAL 38 (Droit au logement), une centaine de personnes ont manifesté dans les rues de Grenoble, avant de prendre la direction du quartier de l’Abbaye. Prenant de court les forces de l’ordre qui encadraient le cortège, les manifestants ont rejoint le n°7 de la place Laurent-Bonnevay où plusieurs personnes sont rentrées dans un bâtiment abandonné, afin de l’occuper. Des familles mais aussi des personnes isolées occupent désormais l’immeuble, qui est censé être détruit prochainement.

      https://www.ledauphine.com/social/2020/12/12/isere-grenoble-une-manifestation-pour-le-droit-au-logement-se-termine-en

    • Grenoble : bras de fer entre la Ville et le DAL 38

      Après la coupure d’énergie dans le bâtiment occupé à l’Abbaye, une #manifestation a eu lieu sur le parvis de l’hôtel de Ville.

      Une centaine de personnes se sont réunies ce mercredi matin 23 décembre sur le parvis de l’hôtel de Ville. Ils dénonçaient la coupure d’électricité, d’eau et de chauffage dans le bâtiment occupé par une cinquantaine de personnes en situation de précarité dans le quartier de l’Abbaye. Pour rappel, cet immeuble vacant – situé au 7 place Laurent-Bonnevay – avait été investi par le DAL 38 (Droit au logement) au cours d’une manifestation le 12 décembre.

      « Ça fait deux ans que je dors dehors. On demande seulement le minimum vital. On dort habillé mais on a très froid », lâche un jeune Malien immigré, qui occupe un de ces logements. Les militants du DAL s’offusquent de cette coupure d’énergies : « Quand nous sommes arrivés, ce bâtiment était chauffé alors qu’il était vide ! […] La Ville fait ça pour que les occupants s’en aillent ! Ils avaient pourtant promis qu’ils ne couperaient pas le chauffage. C’est une honte, surtout à la veille de Noël », clame l’un d’entre eux. Ils demandent des solutions de relogement, « durables et salubres, pas le 115 ! ».
      « Obstruction » du DAL 38

      Pour la municipalité, le DAL ne serait pas dans une démarche coopérative. « Il y avait un rendez-vous prévu entre les travailleurs du CCAS et les occupants. Les travailleurs sociaux ont finalement été accueillis par les militants du DAL. Ces derniers semblent refuser que nous rencontrions directement les occupants de l’Abbaye », explique Céline Deslattes, conseillère municipale à la grande précarité. « Le CCAS a pourtant besoin de les rencontrer, de discuter avec eux pour proposer des solutions de relogement. […] On parle de vies humaines ! Je ne comprends pas pourquoi les militants du DAL font obstruction à ces discussions. »

      Ce bâtiment fait partie d’un vaste plan de réhabilitation des logements du quartier de l’Abbaye. « Les coupures d’énergie étaient prévues pour la fin d’année », assure-t-elle. Ce que met en doute le DAL : « Cet immeuble était inoccupé depuis des années. Le chauffage tournait et comme par hasard ils le coupent quand nous arrivons », ironise Garance du DAL. En somme, chaque partie se renvoie la balle et les négociations semblent au point mort.

      https://www.ledauphine.com/social/2020/12/24/isere-grenoble-bras-de-fer-entre-la-ville-et-le-dal-38

    • Solidaires avec les occupant.e.s du 7 pl Bonnevay, la mairie de Grenoble doit ouvrir des négociations !

      Depuis le 9 décembre, 50 personnes dont des femmes seules et des parents avec enfants occupent un immeuble dans le quartier de l’Abbaye à Grenoble avec le soutien du DAL 38. Ces personnes étaient sans logis, alors que cet immeuble du bailleur social ACTIS était vide et chauffé depuis 4 ans.

      Alors que cet ensemble de 264 logements vides disposait de tous les fluides nécessaires [eau, électricité, chauffage] pendant toutes ces années d’inoccupation, la mairie de Grenoble – en charge de la gestion d’Actis – a ordonné la coupure des fluides sitôt que des personnes sans-logis ont occupé les appartements. Ces personnes ne peuvent plus s’éclairer, elles ne peuvent plus se laver ni user des commodités sanitaires, elles ont froid. Alors que nous sommes en pleine pandémie et que la température est terriblement basse, comment expliquer un tel manque d’humanité de la part de la mairie de Grenoble ?

      Comment expliquer qu’un bailleur social laisse dormir des personnes dans la rue alors qu’il dispose d’une quantité invraisemblable de logements vides ? Peut-on tolérer qu’un bailleur social, une institution publique, use inutilement des fluides et du chauffage de centaines de logements vides ? Ceci pour un inavouable projet de promotion immobilière ? Et en dépit de toutes règles sociales et environnementales ? Nous sommes en droit d’exiger des réponses de la part de la mairie de Grenoble puisqu’elle est responsable de la bonne gestion d’Actis.

      La loi permet au représentant de l’Etat dans le département, sur proposition du service municipal du logement et après avis du maire, de procéder par voie de réquisition, pour une durée maximum d’un an renouvelable, à la prise de possession partielle ou totale des locaux à usage d’habitation vacants, inoccupés ou insuffisamment occupés” pour les attribuer à des mal-logés. Pourquoi cette procédure n’a-t-elle jamais été mise en œuvre sur la ville ? Pourquoi n’a-t-elle jamais été envisagée ?

      Nous attendons de la mairie une politique sociale et environnementale ambitieuses et rigoureuses. En place des destructions de logements sociaux pour les remplacer en bétonnant et densifiant toujours plus, il serait plus judicieux d’engager une politique intensive de rénovation des bâtiments et de réhabilitation énergétique. Cela créerait une masse considérable d’emplois durables et utiles pour la transition énergétique et pour le progrès social. Mais quelle est donc cette triste comédie que nous présente notre mairie qui se réclame sociale et écologiste ? Mais où est donc l’orgueilleuse capitale “verte” européenne ? Où est le prétendu “arc humaniste” tant vanté par le maire de la ville ?

      Nous appelons le maire et tousTes les éluEs de la ville à se ressaisir. Nous pensons que la mairie peut sortir de sa posture inhumaine et vide de toute perspective.

      Nous invitons la mairie de Grenoble et la Métro à ouvrir des négociations avec les occupants du 7 pl Bonnevay pour trouver une solution durable et digne, pour :

      Le rétablissement immédiat des fluides
      L’obtention dans les meilleurs délais d’un logement décent et pérenne pour chaque occupant.e
      La création d’emplois afin de permettre, sur l’agglomération, la rénovation des bâtiments vétustes ou vides et la réhabilitation énergétique de l’ensemble du parc immobilier des bailleurs sociaux.

      https://solidaires-isere.fr/2020/12/30/solidaires-avec-les-occupant-e-s-du-7-pl-bonnevay-la-mairie-de-gren

      #solidarité

    • Occupation à l’Abbaye : « Même si le froid va nous tuer, on ne partira pas »

      Depuis trois semaines, un bâtiment du quartier de l’Abbaye à Grenoble est occupé par plusieurs dizaines de personnes, avec l’appui du DAL 38 (Droit au logement). Dans un immeuble (propriété de l’établissement public foncier local, #EPFL et dont la gestion est assurée par le bailleur social #Actis) destiné à être réhabilité, cette occupation provoque un bras de fer entre le collectif militant et les différentes collectivités, parmi lesquelles la mairie de Grenoble. Entre le quotidien des occupants, sans eau, ni chauffage ou électricité, et les discussions compliquées sur ce sujet, le point sur la situation.

      https://www.ledauphine.com/societe/2020/12/31/isere-grenoble-occupation-a-l-abbaye-meme-si-le-froid-va-nous-tuer-on-ne

    • Squat de l’Abbaye à Grenoble : le petit coup de griffe de #Christophe_Ferrari à la municipalité Piolle

      La lettre, dont nous avons obtenu copie, est signée par le président de la Métropole Christophe Ferrari. Elle a été envoyée à Élisa Martin, adjointe au maire de Grenoble et présidente du bailleur social Actis. Et, même si l’élu a pris le soin de rajouter à la main un « bien à toi », la missive ressemble davantage à un petit coup de griffe. Et son objet est : l’affaire du squat du quartier de l’Abbaye (https://www.ledauphine.com/social/2020/12/12/isere-grenoble-une-manifestation-pour-le-droit-au-logement-se-termine-en).

      Christophe Ferrari commence ainsi : « J‘ai été interpellé par voie de presse, et plus récemment par courrier, à la fois par des associations et par des élus métropolitains, concernant la situation des personnes qui se sont installées dans les logements vides du 7 place Laurent-Bonnevay à Grenoble. Propriété d‘Actis jusqu’en 2019, ces bâtiments font l’objet d’un portage par l’Établissement public foncier local du Dauphiné (EPFL), dans le cadre d’un projet de renouvellement urbain porté par la Ville de Grenoble, en lien avec la Métropole. Bien que n’étant désormais plus propriétaire, Actis assure un rôle de gestionnaire y compris s’agissant du relogement des locataires dans la perspective de libérer entièrement les lieux. Depuis début décembre, les logements vides sont occupés par l‘association Droit au Logement (DAL) et par des personnes sans-abri. »

      Il poursuit : « Dans ce contexte, j‘ai découvert par voie de presse, et à regret, a fortiori au regard de l’hiver rigoureux que nous traversons et compte tenu de la situation sanitaire, que l‘électricité, le chauffage urbain et l‘eau courante des logements squattés avaient été coupés entre le 18 et le 23 décembre, sans information ni concertation préalable avec la Métropole. Ces décisions me semblent mettre gravement en danger la santé des personnes présentes sur les lieux. Je vous invite, en ce sens, à reconsidérer ces décisions, et, à l‘avenir, à travailler en lien étroit avec la Métropole. »

      –---

      « Christophe Ferrari peut très bien m’appeler au lieu de m’écrire des lettres »

      Une heure après la publication des extraits de la lettre de Christophe Ferrari à #Élisa_Martin, celle-ci nous a contactés pour réagir « fort tranquillement » au courrier.

      L’élue nous dit : « Premièrement, Christophe Ferrari peut très bien m’appeler au lieu de m’écrire des lettres, il connaît bien mon numéro. D’ailleurs, je précise que je n’ai pas encore reçu cette lettre, que je la découvre à l’instant. Secundo, je me dis que c’est une bonne chose que le président de la Métropole s’intéresse vraiment à ce sujet du logement, qui sera à mon avis une des clés du mandat. D’ailleurs, je lui conseille de s’appuyer sur Nicolas Beron Perez (élu grenoblois et vice-président de Grenoble-Alpes Métropole chargé de l’habitat, du logement et de l’hébergement) pour faire avancer les choses. Ensuite, je précise que nous avons une réunion ce jeudi même au sujet de l’avenir d’Actis, qui doit évoluer pour coller notamment avec la loi Elan, et que je ne comprends pas pourquoi le président de la Métropole ouvre le feu juste avant cette réunion cruciale. Et j’aimerais aussi préciser qu’il était parfaitement au courant de la situation. Enfin, je pourrais dire que je trouve ce courrier est un peu grossier et déplacé, mais je préfère retenir que le sujet du logement a retenu son attention et que c’est très bien si la Métro se bouge sur ce point-là. »

      https://www.ledauphine.com/politique/2021/01/12/isere-squat-de-l-abbaye-a-grenoble-le-petit-coup-de-griffe-de-christophe

    • Envoyé ce jour des demandes de rendez-vous de la part des occupantEs et du DAL en courrier recommandé à :
      Eric Piolle maire de Grenoble
      Elisa Martin présidente d’Actis
      Nicolas Béron Perez conseiller métropolitain en charge du logement de habitat et de l’hébergement
      Christophe Ferrari président de la Métropole
      Lionel Beffre préfet de l’Isère
      Jean Pierre Barbier président du Conseil départemental de l’Isère
      Alan Confesson président de la compagnie de chauffage
      Vincent Fristot président de GEG
      Tous et toutes sont responsables a différents niveaux de la situation actuelle : mais qui aura le courage qui va avec les responsabilités ?

      Source : page FB du DAL 38, 14.01.2021

    • Grenoble : la mairie refuse de rétablir l’eau et le chauffage pour des mal-logés

      Pendant plus de quatre ans, près de 250 logements HLM du quartier de l’Abbaye, à Grenoble, sont restés inoccupés sous le prétexte de la future gentrification de cette zone. Bien que vacants, ces logements étaient malgré tout chauffés et alimentés en eau et en électricité durant ces années. Au début du mois de décembre, alors qu’une cinquantaine de sans-logis y ont trouvé refuge en pleine vague de froid, Actis, l’office public de l’habitat de la région grenobloise, a donné l’ordre de couper les fluides. C’est ainsi qu’avec l’aval de certains élus locaux et sous le regard du maire Eric Piolle, ce bailleur social a privé sans sourciller des familles entières d’eau, d’électricité et de chauffage, juste avant les fêtes de fin d’année, en pleine crise sanitaire. Des enfants d’à peine trois ans on ainsi été condamnés à passer Noël dans le noir, subissant les températures glaciales qui frappent la ville en cette période.
      L’association DAL 38 ainsi que des habitants de Grenoble se mobilisent aujourd’hui pour exiger notamment le rétablissement des fluides dans ces logements sociaux. Une pétition à destination d’Eric Piolle a été mise en ligne. Un appel aux dons a également été lancé.

      A Grenoble, 232 logements ont été progressivement vidés des familles qui les habitaient en vue d’une opération de gentrification du quartier de l’Abbaye. Selon le DAL, pendant 4 ans, ces habitations vacantes ont pourtant continué à être chauffées. Depuis le 12 décembre 2020, un de ces immeubles est occupé par 52 sans-logis (la mairie de Grenoble déclare toutefois que ce nombre est « non vérifiable »), sous l’égide de l’association DAL (Droit Au Logement) qui demande depuis à la mairie de réquisitionner ces habitations temporairement afin que ses occupants actuels puissent y rester jusqu’à être relogés dignement. Bien qu’insalubre, cette résidence des Volets Verts, située au 7 place Laurent Bonnevay, était jusque-là alimentée en eau, électricité et chauffage urbain. Pourtant, quelques jours suivant l’occupation des lieux par les sans-logis, le bailleur social Actis, qui détient l’usufruit de ces logements, a pris la décision de couper les fluides, avec l’approbation des élus locaux. De son côté, la mairie précise que la dernière famille vivant dans l’un des logements situés au 7 place Laurent Bonnevay a quitté les lieux le 10 décembre 2020 et que la distribution de chauffage via la sous-station étant commune à tous les logements, elle a été coupée en raison du départ de ces habitants afin que la gestion du bâtiment puisse être remise aux mains du EPFL-D (Etablissement Public Foncier Local du Dauphiné) qui en est le propriétaire.

      Le DAL qualifie toutefois cet acte de « cynique », ouvrant la voie à « une pratique jusqu’alors proscrite par de nombreux propriétaires institutionnels, que même le Préfet de police de Paris n’avait pas utilisé contre les occupants de l’ancien commissariat de la rue du Croissant dans le 2e arrondissement, occupé par des sans-logis le 1er janvier 2020, jusqu’à leur relogement. ». On peut également prendre l’exemple de l’occupation du 24 rue de la Banque, en sachant que ni la Lyonnaise de Banque, ni la Mairie de Paris n’y avaient suspendu les fluides. Ainsi, ce qui se passe aujourd’hui est d’une extrême gravité selon Mathis, un grenoblois mobilisé pour soutenir le DAL et les sans-logis, qui s’inquiète notamment de la santé de ces personnes vulnérables laissées sans chauffage en plein hiver (et en pleine crise sanitaire, précisons-le), alors que la ville connaît des températures en-dessous de zéro : « après plusieurs semaines sans fluides, les enfants commencent à tomber malades. Noël dans le noir, sans eau, depuis le 12 décembre 2020… Pas de remise de fluides si les habitants restent. Néanmoins la mobilisation continue et les habitants tiendront. »

      Le 12 janvier 2021 à 8h30, des travailleurs sociaux se sont rendus sur place et ont pu rencontrer huit occupants afin de leur proposer un accompagnement individuel en les dirigeant éventuellement vers des centres d’hébergement d’urgence. Cependant, pour le DAL et les personnes concernées, ces centres ne sont pas une solution étant donné qu’ils imposeraient des conditions de vie déplorables aux personnes hébergées et ce, sur tous les niveaux : suivi, alimentation, conditions sanitaires, accès aux services publics… Qui plus est, l’accueil dans ces logements d’urgence n’est que temporaire et certains d’entre eux risquent d’être fermés par l’association AJHIRALP (Association Régionale pour l’Insertion) dès le 31 mars 2021, rejetant les occupants dans la rue.

      La Ville et le CCAS admettent avoir eux-mêmes constaté d‘importants dysfonctionnements du dispositif hivernal d’hébergement d’urgence en Isère, en dépit de son renforcement annoncé, déclarant que « l’ensemble des places d’hébergement d’urgence semblent ne pas avoir été attribuées, des personnes appelant le 115 se voient refuser une prise en charge et restent à la rue » et « des personnes disent quitter ou renoncer aux lieux d’hébergement en raison de leur insalubrité ou d’un manque de sécurité. » Ces problèmes ont été listés dans un courrier envoyé un Préfet de l’Isère.

      La Ville de Grenoble déclare néanmoins être mobilisée, de même que le CCAS, pour l’hébergement des plus précaires, « en dehors de toute compétence obligatoire ». Depuis 2018, la Ville dispose d’une Equipe juridique Mobile « spécialement dédié à l’application du droit au logement et du droit à l’hébergement », coopérant notamment avec le DAL auquel des locaux ont été proposés, « à titre gracieux, à compter du 1er avril 2021 et en dehors de toute obligation à le faire. », admettant toutefois que les fluides des locaux seraient à la charge du DAL. Concernant la gentrification du quartier de l’Abbaye, la Ville se défend en parlant d’un « grand projet de renouvellement urbain » avec 30 à 40 % de logements sociaux prévus, précisant que les anciens locataires ont bénéficié d’un plan de relogement.

      « Eric Piolle, maire des riches »

      La crise du logement qui sévit actuellement sur le territoire français, due à l’appauvrissement graduel des populations modestes qui, aggravé par la crise de la Covid-19, aura d’autant plus creusé les inégalités, n’aura pas épargné la ville de Grenoble qui compte aujourd’hui « 1 800 sans abris, 16 000 ménages en attente de logements sociaux depuis plusieurs années et plus de 17 000 logements vacants… Un chiffre démesuré. » s’indigne Mathis. Pourtant, la mairie et la préfecture refusent d’avoir recours à la loi sur la réquisition des logements vacants, datant du 11 octobre 1945, même si celle-ci permettrait d’héberger de nombreux sans-abris ou mal-logés. Selon Mathis, le préfet de l’Isère, Lionel Beffre, et le maire de Grenoble, Eric Piolle, refusent de recourir à cette loi « pour des raisons politiques ».

      Plusieurs manifestations ont eu lieu à Grenoble depuis le mois dernier pour défendre les mal-logés du quartier de l’Abbaye, demandant aux élus de réagir. Les associations et les grenoblois mobilisés exigent le rétablissement de l’eau (en gardant à l’esprit que le droit à l’eau potable est un droit fondamental reconnu par l’Organisation des Nations Unies depuis le 28 juillet 2010), de l’électricité et du chauffage au 7 place Laurent Bonnevay, mais aussi le relogement de tous les occupants ainsi que l’application de la loi de réquisition des logements vides. Le temps dira s’il reste une part d’humanité à ces élus ou si le système aura fini de déshumaniser ceux qui le servent.

      Quid du droit au logement ?

      Le droit au logement en France ne date pourtant pas d’hier et découle du préambule de la Constitution du 27 octobre 1946 qui indique que « La Nation garantit à tous, notamment à l’enfant, à la mère et aux vieux travailleurs, la protection de la santé, la sécurité matérielle, le repos et les loisirs. Tout être humain qui, en raison de son âge, de son état physique ou mental, de la situation économique, se trouve dans l’incapacité de travailler a le droit d’obtenir de la collectivité des moyens convenables d’existence ». La loi Quilliot du 22 juin 1982 indique également que « Le droit à l’habitat est un droit fondamental ». Ce même droit est cité dans deux autres lois : la loi Mermaz de 1989 et la loi Besson de 1990. En 1995, il est de nouveau mis en avant par le Conseil constitutionnel qui considère que : « La possibilité de disposer d’un logement décent est un objectif à valeur constitutionnelle ». Malgré cela, le droit au logement reste largement inappliqué sur le territoire français.

      En effet, selon un rapport publié en juin 2020 par six associations de solidarité pour le logement, dont la Fondation Abbé Pierre, plus un demandeur HLM est pauvre, moins il aura de chances d’obtenir un logement. Cette contradiction avec le droit au logement résulte, d’après le rapport inter-associatif, « de l’organisation d’un système économique, politique, juridique et financier, qui exclut de fait, pour cause de ressources insuffisantes, des catégories entières de la population. ». La recherche montre que pour l’immense majorité des demandeurs de logement social à faibles ressources, plus le revenu est élevé, plus le taux d’attribution augmente. Elle souligne également le fait que c’est lors de la sélection des candidats qui seront présentés à la commission d’attribution que ceux ayant les ressources les plus faibles seront, en grande partie, écartés de l’accès au parc social « à travers une série de mécanismes d’exclusion à la fois intentionnels et non-intentionnels. », ajoutant que « le motif de l’insuffisance des ressources constitue en effet un motif absolu de rejet d’un demandeur au moment de la désignation si celui-ci ne répond pas aux critères de solvabilisation fixés. »

      Le rapport indique que la moitié des ménages pauvres sont contraints de faire appel au parc privé, subissant ipso facto des taux d’effort colossaux et souvent, des conditions de logement indignes. Dans son communiqué de presse du 11 juin 2020, la Fondation Abbé Pierre souligne que bien qu’il n’y ait pas de minimum de ressources exigible par les commissions d’attribution, celles-ci « évaluent la capacité du demandeur à supporter le coût de son logement. Or ce coût n’a cessé d’augmenter. En parallèle, la précarité croissante des familles candidates au logement social conduit à une réduction des ressources stables « présentables » au bailleur. De fait, le « taux d’effort » du candidat dépasse de plus en plus souvent le seuil de 25 ou 30 %, synonyme d’exclusion. »

      Les obstacles pour accéder aux logements sociaux que doivent surmonter les personnes aux revenus les plus modestes sont nombreux : « pénurie de logements sociaux, loyers HLM trop élevés, attributions mal ciblées, défaut d’accompagnement, solvabilisation insuffisante par les aides publiques, méconnaissance de leurs obligations par les différents acteurs… à commencer par les préfets. » Les six associations à l’origine du rapport sur les Difficultés d’accès au parc social des ménages à faibles ressources ont également publié 15 propositions pour faciliter cet accès. Peut-être certains élus devraient-ils y jeter un coup d’œil ?

      https://mrmondialisation.org/grenoble-la-mairie-refuse-de-retablir-leau-et-le-chauffage-pour-de

  • Migrants à #Paris : l’#ultimatum aux autorités

    Invité d’« À l’air libre », #Yann_Manzi, cofondateur de l’ONG #Utopia_56 qui vient en aide aux migrants, annonce une nouvelle action, « type place de la République, ou bien différente mais d’ampleur », si les demandes de logement d’urgence ne sont pas acceptées.

    « Tous les soirs, des dizaines de familles, d’enfants, de bébés, de femmes enceintes dorment dehors. » Sur le plateau d’« À l’air libre », mercredi soir, Yann Manzi, cofondateur de l’ONG Utopia 56, qui vient en aide aux migrants à Paris comme à Calais, ne décolère pas. Deux mois après l’évacuation violente de la place de la République, des centaines de migrants sont toujours condamnés à l’errance dans les rues de la capitale et de sa banlieue proche. Et ce malgré les promesses de la ministre du logement, Emmanuelle Wargon. Utopia 56 a donc écrit aux autorités pour leur demander une action concrète. En l’absence de réponse et pour dénoncer cette politique de « non-accueil », Yann Manzi lance donc un ultimatum et promet une nouvelle action d’ampleur en cas de non-réponse.

    https://www.mediapart.fr/journal/france/140121/migrants-paris-l-ultimatum-aux-autorites

    #asile #migrations #réfugiés #hébergement #logement #SDF #sans-abrisme #sans-abris #France

    –—

    En lien avec la destruction du campement à la #Place_de_la_République (23.11.2020) :

    https://seenthis.net/messages/889796

    ping @karine4 @isskein

    • Des extraits de l’interview à Yann Manzi :
      https://www.youtube.com/watch?v=y3ypJdInLZM&feature=emb_logo

      Extrait de la lettre envoyée par Utopia 56 aux autorités :

      « Nous ne pouvons plus tolérer que le passage à la rue soit une étape obligatoire d’un demandeur d’asile qui arrive à Paris »

      Yann Manzi :

      « On a dit au gouvernement qu’on visibiliserai systématiquement toutes les mises à la rue. (...) On va rendre visibles ces invisibles »

      –----

      Collectif citoyens solidaires du 93 a ouvert un lieu pour les personnes qui, après destruction du campement de Saint-Denis ("refuge" pour 3000 personnes), n’a pas été mises à l’abri.

      Denis, membre du collectif :

      « Il y a une espèce de frustration face à des mots qui peuvent être dits par des politiques institutionnelles et traditionnelles qui se disent de gauche et qui ont en leur possession énormément de locaux vides et qui n’en font rien. Le but c’est de leur forcer un peu la main et de faire ce qu’ils devraient faire : d’investir des locaux vides et qui sont appelés à rester vides pendant un certain temps. ça me parait une décision saine, sage et de bon sens. »

      Réaction de la mairie écologiste de Saint-Denis —> elle a lancé une procédure d’#expulsion.
      Communiqué du 6 janvier 2021 :


      Elle précise aussi que

      « dans cette période hivernale, l’Etat doit demander la réquisition de nombreux logements et bureaux vides qui sont d’ailleurs souvent situés dans des villes bien plus riches que la nôtre »

      –-> Réaction de Yann Manzi :

      « C’est le ping-pong, tout le monde se renvoie la patate chaude, comme on dit, et c’est dans toutes les régions de France : ’C’est pas moi, c’est l’Etat, c’est pas aux élus’, alors qu’en fait on peut imaginer... des locaux vides, il y en a partout. Je crois que c’est une politique et une volonté de #non-accueil, et de passer un message à toutes ces populations qui veulent venir : ’Regardez, on ne vous accueille plus’. C’est un vrai #projet_politique et c’est ça qu’on essaie de démontrer et de dire, c’est que tout cela est bien organisé et voulu. On n’est pas envahis, loin de là ! Cette volonté politique de laisser les gens à la rue c’est une réelle volonté politique. Et c’est ça qui est dramatique, ce rendre compte de ça, ça fait peur... c’est des femmes, des bébés, c’est des enfants et c’est aussi, demain, à cause du covid, beaucoup de nos compatriotes qu’on croise dans les rues. Est-ce que la #rue, en France, dans un pays si riche, est une alternative aujourd’hui pour les gens qui n’ont pas de solution, avec tous ces lieux qui existent ? Nous on dit, tout simplement : ça suffit ! Et les citoyens resteront engagés et resteront là pour être vigilants et pour informer le public. »

      Question du journaliste : « Qu’est-ce qui bloque ? »
      Yann Manzi :

      « Il y a une réelle volonté de non-accueil. C’est une politique de non-accueil. ça fait des décennies qu’on dit qu’il manque des places dans les dispositifs d’accueil d’exilés. Des dispositifs ne sont pas mis en place, et c’est pour faire passer un message, pour tous ceux qui veulent venir : ’Regardez, on n’accueille plus !’. C’est le fameux #appel_d'air, une honte. On imagine que si on accueille bien ils vont venir en masse nous envahir, ce qui est totalement faux et fou. Et puis derrière, plus de #points_de_fixation, donc plus de campements dans Paris et on chasse les gens sous les ponts, donc ça devient totalement inhumain. »

      Journaliste : « Il y a beaucoup d’élus de gauche en Île-de-France, comment vous regardez ce qu’ils font par rapport à ça ? »

      « Je ne fais pas de généralité, mais ce qu’on voit et qu’on constate nous sur le terrain... il y a un moment où les élus ils peuvent faire ce qu’ils peuvent, et après il y a des élus qui ont la volonté de faire croire qu’ils font et la réalité est toute autre. C’est toujours le même jeu : ’C’est pas moi, c’est à l’Etat’. Nous, ce qu’on dit, c’est qu’à un moment donné, pendant cette crise humanitaire et pendant cette crise de covid, on dit que les élus ont des responsabilités et ils peuvent prendre des dispositions qu’aujourd’hui ils ne prennent pas. Et c’est ça qui est alarmant, parce qu’à jouer au ping-pong à dire ’Non, c’est pas moi, c’est l’Etat’, on peut imaginer que les élus ont leur part de responsabilité, ils peuvent faire des choses... après c’est des #choix_politiques : on peut mettre 50 millions pour la rénovation de la cathédrale et on met très peu d’argent pour les exilés. C’est des choix politiques, c’est encore de la politique et bien sûr... les exilés ça n’a pas forcément le vent en poupe, donc c’est évident que électoralement ce n’est pas porteur d’en faire trop pour eux. »

      Journaliste : « Et à #Calais, c’est les mêmes blocages ? »

      Yann Manzi : "Non, c’est pire. Paris c’est très violent et compliqué, mais Calais c’est le #laboratoire sur les politiques migratoires en France et de tout ce qu’on peut faire d’inhumain. On teste des politiques de non-accueil là-bas qui sont extrêmement poussées, sur le fait de laisser des gens à l’abandon dans le froid, sur les empêcher de manger, sur l’empêchement des associatifs de pouvoir les aider. Donc, tout est mis en place pour harceler ces populations, les rendre fous. On a beaucoup d’alertes sur le côté psychologique de ces populations qui vivent à la rue pendant des mois avant de pouvoir avoir un hébergement. Donc la situation est assez alarmante, et Calais et Grande-Synthe c’est une #horreur. Ils vivent dans la #boue, saccagés tous les jours. Il y a eu plus de 1000 démantèlements à Calais. Ce qu’on a vu à la Place de la République ça se passe tous les jours à Calais et à Grande-Synthe, avec des femmes et des enfants, et toujours ces politiques qui se renvoient la balle et ces élus qui disent ’c’est intolérable’, mais par contre qui ne font pas grande chose.

      « C’est une #violence_policière à Calais et Grande-Synthe depuis le démantèlement de la jungle de Calais... c’est incroyable ce qui se passe là-bas »

      #in/visibilité #visibilisation #invisibilité #visibilité #inhumanité #responsabilité #violence #harcèlement #santé_mentale

  • De l’usage des #campements dans les #politiques_migratoires

    La litanie des #expulsions de migrants se poursuit, après Paris place de la République fin novembre, les associations alertent sur l’accélération du phénomène à #Calais au cours du mois écoulé. Alors que l’expérience longue pourrait informer de nouvelles pratiques, pourquoi ce recours systématique à l’expulsion perdure-t-il ? Parce que les campements sont un répertoire des politiques migratoires, et non la conséquence d’un trop plein auquel nos capacités d’accueil ne pourraient plus faire face.

    **

    Lundi 23 novembre 2020, vers 19h, plusieurs centaines de personnes exilées issues du campement de St-Denis n’ayant pu bénéficier de “la #mise_à_l’abri” organisée par la préfecture de Paris la semaine précédente, accompagnées d’associations de soutien, d’avocats, d’élus et de journalistes, déploient 200 tentes sur la #place_de_la_République. Malgré la résistance des exilés et de leurs soutiens, la place sera évacuée le soir même. La police pourchassera jusque tard dans la nuit et en dehors de #Paris celles et ceux qui n’ont plus où aller. La #violence déployée fera l’objet de nombreuses images sur les réseaux sociaux.

    Cette opération est loin d’être inhabituelle, contrairement à ce que laisse penser la médiatisation inédite à laquelle elle a donné lieu et qui s’explique par une conjonction de facteurs : le lieu de la scène (le centre de Paris), le moment (montée des critiques sur les violences policières et adoption d’une loi interdisant de les filmer), les acteurs (des journalistes et des élus violentés et non plus seulement des exilés et leurs soutiens). Depuis le 2 juin 2015 et l’évacuation d’un campement dans Paris (sous le métro la Chapelle), on dénombre soixante-six opérations de ce type dans la capitale et sa petite couronne (une moyenne d’un par mois). Dans le Calaisis, elles relèvent de la routine.

    Les évacuations de campement sont ainsi devenues courantes, relayées par des articles de presse qui se suivent et se ressemblent, préférant souvent à l’analyse un alignement de faits bruts immédiats, peu éloignés des communiqués de la préfecture de police. Que révèle donc la litanie dans laquelle s’inscrit cet énième épisode ? Que cristallise-t-il comme phénomènes ?

    Pour le comprendre, nous proposons de revenir sur la manière dont sont fabriqués ces campements et mises en scène ces évacuations en faisant l’effort d’inverser le regard, de le diriger vers les coulisses que la lumière des projecteurs laisse dans l’ombre.

    La fabrique des campements

    À première vue, le campement apparaît comme le signe d’un #trop_plein, preuve que les étrangers seraient trop nombreux et que nous aurions atteint les limites de nos #capacités_d’accueil, d’un point de vue économique comme social. Les campements sont en réalité davantage fabriqués par les choix de politiques migratoires de l’État, que par une submersion par le nombre.

    Ceux qui survivent dans les campements du Nord de Paris sont majoritairement en demande d’asile, certains attendent une réponse, d’autres de pouvoir simplement déposer une demande, une minorité a été déboutée. Ils sont majoritairement Afghans et Soudanais, mais aussi Ethiopiens et Erythréens et dans une moindre mesure Guinéens et Ivoiriens. Pas de Chinois, de Sri-Lankais, de Maliens… qui sont accueillis – bien ou mal – par des compatriotes installés de longue date. Pas non plus de Syriens – qui sont peu venus en France.

    Les campements sont le résultat de #politiques_publiques qui ont précarisé les demandeurs d’asile au lieu de les laisser doucement s’intégrer au tissu économique et social de notre pays. Car en vertu d’une loi adoptée en 1991, les demandeurs d’asile n’ont pas le droit de travailler. En contrepartie, ils sont censés bénéficier d’un #hébergement, d’une #allocation et de l’#accès_aux_soins. En leur interdisant l’accès au marché de l’emploi, on les assigne à une #dépendance, qui leur est ensuite reprochée. Et qui s’est transformée en #précarité extrême – jusqu’à la rue pour certains – à mesure que les réformes successives ont introduit de nombreuses conditions pour accéder et se maintenir dans le #dispositif_d’aide. Des aides par ailleurs attribuées dans la pratique de manière toujours plus tardive, incomplète et fréquemment suspendues sous divers motifs, ou simplement par erreur.

    Les campements sont également fabriqués par le #choix_politique de sous-dimensionner de manière structurelle le #dispositif_d’hébergement dédié aux demandeurs d’asile. Ce choix, car il s’agit bien d’un choix et non d’une fatalité, est spécifiquement français. On ne trouve en effet aucun campement dans les rues des pays européens comparables à la France. Les seuls pays confrontés à ce phénomène sont ceux qui, situés aux portes de l’Europe, conjuguent arrivées massives et contexte économique dégradé, tels la Grèce, la Bulgarie ou l’Italie.

    Au plus fort des mouvements migratoires vers l’Europe en 2015, la France ne recensait que 79 000 demandeurs d’asile (soit 0,1% de sa population) là où l’Allemagne en comptabilisait un million, mais aucun camp de rue. L’#Allemagne a en effet choisi d’ouvrir des #hébergements, réquisitionner des centaines de gymnases et même un ancien aéroport, plutôt que de laisser les exilés dehors. En France, c’est la théorie de l’#appel_d’air, selon laquelle des conditions favorables risqueraient d’attirer les migrants et des conditions défavorables de les dissuader de venir, qui explique le choix de privilégier une politique basée sur l’#insuffisance_structurelle.

    À la fois issu de dynamiques spontanées (des personnes à la rue qui se regroupent pour passer la nuit) et organisées (des soutiens qui apportent nourritures, tentes et vêtements puis qui exigent des pouvoirs publics l’installation de points d’eau et de WC), les campements apparaissent et s’étendent jusqu’au jour où, jugés trop gros et/ou trop visibles, les autorités décident d’une opération d’évacuation. Ces évacuations laissent cependant toujours dans leur sillage les germes du prochain campement.

    Car si une partie des personnes est effectivement mise à l’abri dans des #hôtels pour entrer dans le #dispositif_national_d’accueil, d’autres sont placées dans des #gymnases avant d’être remises à la rue une ou deux semaines plus tard. Un dernier groupe est systématiquement laissé sur le trottoir sans aucune solution, pas même celle de retourner au campement puisque celui-ci a été détruit pour des raisons sanitaires.

    Un sondage organisé par des associations en 2020 a montré qu’une évacuation laisse en moyenne un quart des personnes sans solution le jour même et que près de la moitié de ceux qui sont mis à l’abri se retrouvent à la rue le mois suivant. Les deux-tiers des personnes évacuées l’auraient ainsi déjà été plusieurs fois.

    Rien d’étonnant donc à ce que les campements succèdent aux opérations de mise à l’abri, et inversement. Cela n’empêche pas la préfecture d’annoncer à chaque évacuation, que cette fois c’est la dernière.

    Une question se pose alors. À la soixante-sixième évacuation, alors que l’expérience longue pourrait informer de nouvelles pratiques, pourquoi rien ne change ?

    Est-ce de l’impuissance ? De l’impréparation ? Et si le campement et l’évacuation constituaient des répertoires de l’#action_publique, plutôt que les manifestations d’un phénomène qui la dépassent ? Ils serviraient alors à cadrer le débat en mettant en scène et en image l’immigration comme un problème, un « trop-plein », justifiant selon la théorie – jamais démontrée – de l’appel d’air, une politique de fermeté.

    Le campement : invisible mais pas trop

    Le campement doit pouvoir servir d’illustration sans cependant prendre trop d’ampleur. D’où une gestion subtile par l’État de la visibilité des campements qui nécessite de naviguer habilement entre la #mise_en_scène du débordement et la maîtrise du #désordre.

    Les campements existent de longue date en France (campements Rroms, campements du Calaisis depuis la fin des années 1990) ainsi que les regroupements informels (à Paris, gare de l’Est au début des années 2000, puis à Austerlitz en 2014) mais ne surgissent dans l’espace médiatique qu’à partir de l’été 2015. Leurs images, relayées par les médias et les réseaux sociaux, entrent en résonance avec les messages, différents selon les publics, que les autorités souhaitent faire passer sur l’immigration.

    Aux citoyens français, on montre l’immigration comme problème en mettant en #spectacle des migrants non seulement trop nombreux mais aussi affamés, sales, malades qui suscitent dès lors un mélange d’#empathie, de #dégoût et de #crainte. La persistance des campements malgré les évacuations fait apparaître l’immigration comme un puits sans fond en donnant l’impression qu’on écume, mais que l’inondation est trop importante.

    Aux migrants, c’est le message du #non-accueil (« il n’y a pas de place pour vous ») qu’on espère faire passer par ces images dans l’objectif de faire fuir ceux qui sont déjà là et décourager ceux qui pourraient vouloir venir.

    Mais les campements ne doivent pas non plus être trop visibles car ils peuvent susciter une #solidarité susceptible de se mettre en travers des politiques migratoires restrictives. Pour peu qu’ils soient au cœur des villes, ils peuvent devenir lieux de rencontre, d’apprentissages, d’engagement et de mobilisation. La quasi-totalité des #collectifs_solidaires est ainsi née dans les campements. Leur recrutement dans les milieux non militants et leur mode de fonctionnement agile et horizontal ont largement renouvelé et même bousculé le champ du soutien aux étrangers.

    Les campements, lieux où personne a priori ne souhaite se retrouver, sont ainsi devenus, dans un renversement, un objectif, un moyen d’obtenir quelque chose pour les exilés et leur soutien. Car, paradoxalement, alors que les évacuations avaient pour objectif affiché de faire disparaître les campements, elles ont abouti à en faire une modalité d’accès à l’hébergement, bien souvent la seule.

    « Faire tenir » un campement est devenu dès lors stratégique pour les personnes exilées et les militants. Il constitue non seulement une solution immédiate bien que précaire mais il permet aussi de rendre visible la situation des exilés et susciter par là une solution plus pérenne. Ce n’est dès lors plus seulement le campement mais aussi sa visibilité qui est devenue une ressource, pour les exilés et leurs soutiens. Et c’est bien en retour la lutte contre cette visibilité qui est devenue un enjeu pour les pouvoirs publics.

    D’où l’ambivalence du traitement étatique à l’égard des campements : les laisser se former tant qu’ils restent de petite taille et peu visibles, les évacuer mais jamais complètement ; les tolérer mais pas n’importe où. Surtout pas au centre, à Paris : depuis 2016, la politique de la préfecture de police de la capitale, appuyée en cela par la Mairie, consiste à repousser les campements à la périphérie puis à l’extérieur de la ville. Les consignes des policiers auprès des personnes exilées sont sans ambiguïté : pour espérer poser sa couverture quelque part, il faut partir en dehors de Paris.

    Le campement revient néanmoins sous les feu des projecteurs au moment de l’évacuation organisée comme un spectacle.

    L’évacuation : le spectacle… et ensuite

    L’évacuation est autant une opération de #maintien_de_l’ordre que de #communication. C’est le moment où l’État met en scène sa #responsabilité et sa #fermeté. Son #humanité aussi. Il doit laisser voir un subtil mélange de deux facettes : non, il n’est pas laxiste en matière d’immigration mais oui, il respecte les valeurs républicaines et humanistes. Il doit aussi faire croire aux habitants du campement, comme aux médias, que tout le monde va être mis à l’abri… tout en ayant prévu un nombre de places insuffisant.

    D’où les deux moments de l’évacuation : celui visible du spectacle sur une scène centrale sous les projecteurs, en présence de nombreux acteurs ; puis quand ces derniers sont partis, la suite en coulisses, où la violence peut se déployer à l’abri des regards.

    Après 66 évacuations parisiennes, il est possible d’identifier un #rituel respecté à la lettre. Les mêmes gestes sont répétés avec précision et minutie, sans presque aucune variation.

    D’abord la date : un vrai-faux mystère est savamment entretenu autour du jour de l’évacuation. Certains acteurs, les structures d’hébergement mais aussi les journalistes, doivent être au courant. D’autres, les associations et les personnes exilées, doivent être tenus dans l’ignorance pour limiter les risques d’installations de dernière minute sur le campement. Les collectifs solidaires seront néanmoins les premiers sur place au petit matin pour distribuer boissons chaudes et informations, tenter de récupérer du matériel et surveiller les comportements des policiers.

    Les opérations proprement dites débutent à 5h du matin par l’encerclement du campement par des policiers lourdement équipés ; le préfet arrive, il ouvre la conférence de presse à laquelle assistent les journalistes, les élus et l’opérateur France Terre d’Asile. Il déclare qu’il convient de lutter contre les « #points_de_fixation » que constituent les campements parce qu’ils sont dangereux « pour les riverains comme pour les migrants », il annonce que suffisamment de places ont été mobilisées pour que tout le monde soit hébergé, que c’est la dernière évacuation et que le campement ne se reformera pas. Les journalistes relaient le nombre de places rendues disponibles et interviewent un exilé et un soutien.

    Les exilés montent dans les bus après avoir été fouillés un par un, pendant que leurs tentes, sacs de couchage et autres affaires sont détruites. Les soutiens profitent de la fenêtre d’attention médiatique pour déployer une banderole destinée à être photographiée et relayée sur les réseaux sociaux.

    Alors que les journalistes et les élus sont partis depuis longtemps, on « s’apercevra » qu’il n’y a pas assez de place. Commence alors la seconde partie de l’évacuation. La mise à l’abri prend un sens différent : il s’agit de mettre à l’abri des regards ceux qui demeurent à la rue. Les policiers laissés seuls face à cette pénurie organisée, ayant ordre de faire disparaître « le campement », piochent alors dans leur répertoire : violence verbale et physique, coups de matraque, coups de pied, gaz lacrymo… pour chasser les personnes vers un ailleurs indéfini. Ce que les exilés et les soutiens encore présents s’efforceront de rendre visible par des photos et films sur les réseaux sociaux.

    *

    Comme les « faux mineurs isolés » et les « étrangers qui abusent » (des allocations, du système de soin et d’asile), les campements et leur évacuation sont une figure centrale du #récit_médiatique sur le phénomène migratoire. Pourtant, ils n’en représentent qu’une toute petite partie et nous en disent moins sur ce dernier que sur nos choix politiques. Ce récit sert tout autant à raconter une histoire qu’à en taire une autre.

    Les campements et les évacuations racontent l’immigration comme #problème et les étrangers comme trop nombreux et trop coûteux pour pouvoir être bien accueillis. L’horizon des politiques migratoires est dès lors restreint à une seule question : comment réduire le nombre des arrivées et éviter les « appels d’airs » ? Ainsi racontée, l’histoire interdit de prendre le recul nécessaire à une compréhension fine du phénomène migratoire. Elle dirige toutes les ressources vers le #non_accueil, le #contrôle et la #répression et les détourne de l’investissement dans l’accueil, la formation, l’insertion et tous les autres outils permettant aux étrangers de construire leur place dans notre société.

    Ce #récit laisse dans l’ombre l’histoire d’un #État qui condamne à la misère les nouveaux arrivants en les privant du droit de travailler, substitué par un système d’accueil structurellement sous-dimensionné et de moins en moins accessible. Il permet enfin de continuer à ignorer les recherches qui depuis maintenant plus de 30 ans démontrent de manière presque unanime que l’immigration est très loin de constituer un problème, économique, social ou démographique.

    Les campements sont un répertoire des politiques migratoires et non la conséquence d’un #trop_plein. Ils perdurent jusqu’à ce jour car ils sont non seulement le résultat mais aussi une justification des politiques migratoires restrictives. À rebours du campement et des impasses qui nous tiennent aujourd’hui lieu de politique, les recherches et les pratiques de terrain, vivifiées par l’émergence en 2015 d’un mouvement solidaire inédit, inventent des #alternatives et dessinent des perspectives où l’immigration n’est ni un problème ni une solution, mais bien ce qu’on en fait.

    https://aoc.media/analyse/2021/01/05/de-lusage-des-campements-dans-les-politiques-migratoires
    #campement #migrations #asile #réfugiés #Karen_Akoka #Aubépine_Dahan #précarisation #visibilité #in/visibilité #vide #plein #droit_au_travail #travail #SDF #sans-abris #sans-abrisme #destruction #ressources_pédagogiques

    ping @isskein @karine4

  • « En quête d’hospitalité(s) » - #LALCA

    En quête d’hospitalité(s) est une #traversée de la métropole lyonnaise, à l’écoute des lieux et des personnes en situation d’errance et de précarité. LALCA interroge l’hospitalité par le prisme de l’habiter, et principalement de cet habiter qui se fragmente dans la ville lorsque l’on dort dehors ou dans un logement non conventionnel, et qui impose de se déplacer pour subvenir à l’ensemble de ses #besoins_fondamentaux.
    Cet #essai_radiophonique part donc à la rencontre de quelques lieux d’hospitalité : les #Bains-douches_Delessert, la #péniche-accueil #Balajo, #Ensemble_pour_un_repas, la #Bibliothèque_municipale de Lyon et le #CADA Forum Réfugiés de #Villeurbanne pour tenter de construire ensemble une définition en mouvement de l’hospitalité.

    https://soundcloud.com/radio-traces/en-quete-dhospitalites-lalca

    #Lyon #hospitalité #bains_douche #bains_douches #bains-douche #habiter #se_laver #audio #SDF #sans-abrisme #sans-abris #urban_matter #villes #géographie_urbaine #pauvreté #miroir #douches #hygiène #lieu-ressource #lieu-répit #répit #confinement #solidarité #nourriture #repas #alimentation #femmes #femmes_à_la_rue

  • #Covid-19 : #Grenoble associe des citoyens à la gestion de la pandémie

    La ville pilotée par l’écologiste Éric Piolle expérimente un « #comité_de_liaison_citoyen », réuni samedi pour la première fois. Une réponse à la « gestion de crise descendante » mise en œuvre par le gouvernement et son conseil de défense. Au menu : l’organisation des #marchés et le maintien du #lien_social.

    https://www.mediapart.fr/journal/france/081120/covid-19-grenoble-associe-des-citoyens-la-gestion-de-la-pandemie?onglet=fu

    #démocratie_directe #municipalisme #néo-municipalisme #cogestion #gouvernance_politique #Groupes_d’action_municipale #Hubert_Dubedou #crise_sanitaire #débat_mouvant #violences_conjugales #SDF #sans-abrisme #isolement_social #confinement #parcs #ouverture #fermeture #espace_public #alimentation

  • « Vivre à la rue tue » : 659 morts recensés par un collectif pour l’année #2019

    Depuis 2002, le Collectif des morts de la rue tente de recenser le nombre de personnes sans domicile décédées, de connaître les causes de leur mort, leur âge... Des données très compliquées à rassembler.

    https://www.liberation.fr/france/2020/11/02/vivre-a-la-rue-tue-659-morts-recenses-par-un-collectif-pour-l-annee-2019_
    #décès #morts #SDF #sans-abri #sans-abrisme #statistiques #chiffres #France

  • ’We don’t know what to do’: asylum seekers flown to Spain by Home Office

    The 11 Syrians said they were sitting outside #Madrid airport with no food, water or support

    Eleven Syrian asylum seekers have been abandoned outside the airport in Madrid where a Home Office charter flight deposited them, the Guardian has learned.

    The men, ranging in age from 18-45, said they had been sitting in temperatures of 32 degrees since their flight landed in the Spanish capital at around 10am on Thursday morning.

    The asylum seekers said many of them were removed from the UK without their identity documents.

    One man told the Guardian he has three brothers in the UK, while another said he had two. Family ties in the UK are part of the claim to remain that the Home Office considers under rules known as the Dublin regulation, whereby one European country can return asylum seekers to the first European country they are known to have passed through.

    The men said they had used the same solicitor to try to halt their removal from the UK to Spain, and had paid him thousands of pounds between them, but their enforced removal was not halted.

    They said they all came from the same area in the south of Syria.

    One man said he had worked as a farmer before the conflict in Syria began, and that he had left his wife and four children, hoping to bring them to join him if he was granted refugee status in a safe country.

    Syrian refugee claims are generally accepted in many European countries but the Home Office sent the 11 men back to Spain because all had been fingerprinted by the police there.

    “I spent two years after fleeing Syria trying to reach safety,” said one 45-year-old. “I spent about four months in Calais trying to cross by small boat and finally succeeded in April.”

    He said he had taught himself to speak English on YouTube.

    “I was so happy when I reached the UK but the way I have been treated by the UK has destroyed me. I was held in an underground jail for a year and a half in Syria and when the Home Office arrested me and put me in Brook House detention centre near Gatwick airport it brought back all the memories of that time.”

    He said everyone was told to go quietly to the plane and that if they did not behave, the escorts would use force against them. “Many of the men were crying on the plane,” he said.

    None of them know what they can do now.

    “We don’t know what to do. We are sitting a few hundred yards away from the airport. We have no food, no water, we don’t know where we can go. We are homeless and hopeless,” he said.

    Three brothers from Yemen who were due to be put on Thursday’s flight were granted a last-minute reprieve. A Guardian reader who read about their case and who lives in Spain offered to help them. She is now trying to identify support for the 11 asylum seekers left outside the airport.

    A spokesperson for the Spanish ministry of the interior said they were aware of the case, and that anyone could request international protection in Spain at any time.

    But the Syrian asylum seekers said there were no English or Arabic interpreters at the airport and that they had to leave the building.

    Home Office sources said that the UK is under no obligation to monitor the treatment of asylum seekers who have returned to the EU member state responsible for their claim.

    A Home Office spokesperson said: “Under the Dublin III process, the time and place of the arrival of today’s flight had been carefully worked through between the UK and Spain by mutual agreement – formal requests were made of Spain in advance and they accepted responsibility for the claimants in accordance with the Regulations. Any suggestion that the Home Office has not complied with our obligations is incorrect.

    “A travel or identity document is not required for that country to process an individual as the details of those being returned are shared and agreed in advance.”

    https://www.theguardian.com/uk-news/2020/sep/03/we-dont-know-what-to-do-asylum-seekers-flown-to-spain-by-home-office

    #asile #migrations #réfugiés #UK #Angleterre #Dublin #renvois_Dublin #Espagne #réfugiés_syriens #aéroport #migrerrance #SDF #sans-abris

    ping @isskein @karine4

  • Ce jour-là à #Vintimille. Retour d’un lieu d’exil sans cesse confiné

    Chaque nuit, des dizaines de personnes en situation d’exil dorment dans les rues de Vintimille. Laissées à l’abandon par les pouvoirs publics depuis la fermeture du principal camp d’hébergement, elles sont repoussées du centre-ville par les forces de police. De retour de cette frontière, nous publions ce texte de témoignage afin d’alerter sur la mise en danger institutionnelle des personnes en migration.

    Chaque nuit, des dizaines de personnes en situation d’exil dorment dans les rues de Vintimille. Laissées à l’abandon par les pouvoirs publics depuis la fermeture du principal camp d’hébergement, elles sont repoussées du centre-ville par les forces de police alors que la municipalité prépare la reprise des activités touristiques au lendemain du confinement. De retour de cette frontière franco-italienne, nous publions ce texte de témoignage afin d’alerter sur la mise en danger institutionnelle des personnes en migration.

    Depuis la fin du confinement en Italie, on peut estimer que 200 personnes en migration sont quotidiennement livrées à elles-mêmes à Vintimille. La plupart sont originaires d’Afghanistan, d’Iran, du Pakistan, dans une moindre mesure de pays africains. Nous avons également rencontré une famille kurde accompagnant une femme enceinte. "Bonjour, ça va ?". Suivant les mots que nous adressons à leur rencontre, les discussions s’ouvrent sur les projets passés et présents. La principale destination évoquée à cette étape des parcours est la France. Marseille, Porte de la Chapelle... Certains ont passé plusieurs années dans le pays d’où nous venons, avant de se faire renvoyer vers l’Italie. "Ništa !" : au détour d’une conversation en Pachtoune, on reconnait une expression ramenée des routes balkaniques, qui signifie qu’il n’y a rien à trouver ici. "Racist", "police", "violent" sont d’autres mots transparents que nous glanons en parcourant les rues de Vintimille, ce jeudi 11 juin.

    Surimpressions

    À la veille de la reprise officielle de la saison touristique, plusieurs réalités se superposent. Les arrivées de touristes tant attendues par la municipalité coïncident avec celles de groupes considérés comme irréguliers. Les usagers des terrasses à nouveau animées côtoient les déambulations quotidiennes des personnes exilées pour trouver une stratégie de passage. Les camions de nettoyage sillonnent les rues ; les fourgons des marchands du célèbre marché de Vintimille reprennent place. Cette soudaine effervescence économique est traversée par le ballet des forces de l’ordre : militaires, police municipale, guardia di finanza et carabinieri quadrillent la ville. Nous nous étonnons de voir la police nationale française stationnée devant la gare. La stratégie des autorités italiennes semble moins correspondre à une logique de contrôle de l’immigration qu’à un impératif de tenir à l’écart du centre-ville les migrant-tes indésirables. C’est-à-dire celles et ceux qu’il ne faut pas voir dans ce paysage renaissant de la consommation.

    Ce jour-là, le 12 juin, alors que les interdictions liées aux rassemblements dans les centres commerciaux et lieux de restauration sont progressivement levées, le maire a explicitement interdit aux ONG présentes à la frontière de fournir toute aide matérielle aux personnes exilées.

    Invisibilisations

    Sur cette portion du territoire transalpin, le confinement décidé en mars 2020 a signifié l’arrêt des activités humanitaires, en raison de la fermeture officielle de la frontière et des interdictions de rassemblement en Italie. Les volontaires du collectif Kesha Niya et de Roya Citoyenne ont dû mettre fin aux distributions alimentaires groupées — une activité essentielle pour les personnes exilées en transit dans les rues de Vintimille, assurée quotidiennement depuis trois ans. Alors que de nouvelles arrivées ont été constatées depuis la fin du confinement, les distributions doivent s’effectuer en discrétion.

    Les paquets alimentaires, kits d’hygiène et masques sont fournis aléatoirement, en fonction du nombre de personnes exilées rencontrées au cours des maraudes. Cette situation délétère n’est pas sans rappeler le contexte de l’année 2016, alors qu’un arrêté municipal de la commune de Vintimille interdisait les distributions de repas pour cause de risques sanitaires[I]. Inique autant que cynique, l’argument de la salubrité publique est à nouveau le levier d’une mise en danger des personnes exilées. Bien que l’ONG Médecins du Monde ait constaté en juin des besoins médicaux auprès des personnes en errance dans la ville (tels que des problématiques respiratoires connues pour leur propension à entrainer une forme grave de COVID-19), aucun accès aux soins n’est organisé par les institutions locales ou nationales. Sur la seule après-midi du 18 juin 2020, deux patients ont été admis en hospitalisation d’urgence suite à des signalements de l’ONG (urgence obstétricale et détresse cardiaque).

    Cette nuit-là, le vent est levé. Venus pour assurer une distribution de sacs de couchage et de masques, mis en difficulté dans cet acte simple, nous ressentons l’hypocrisie d’une frontière qui crée ses propres marges. Avec quelques autres volontaires qui tentent d’assurer un relai social et médical, nous devons nous aussi nous cacher, nous rendre invisibles.

    Épuisements

    Il y a quelques semaines, le camp de la Croix-Rouge assurait encore la mise à l’abri d’individus sans papiers. Institué comme bras humanitaire de la Préfecture d’Imperia en 2016, cet établissement situé à 4 kilomètres du centre-ville centralisait l’hébergement des personnes en transit, autant que leur contrôle[II]. Depuis la détection d’un cas de coronavirus le 18 avril, le campo a été fermé aux nouvelles arrivées[III]. Seuls les petits-déjeuners et un service de douche délivrés par Caritas sont assurés aux personnes recalées, ainsi qu’une assistance juridique répartie entre plusieurs associations locales[IV].

    Désormais, pour celles et ceux qui arrivent sur ce territoire, les rares lieux de répit se situent à l’abri des regards, dans quelques marges urbaines tolérées. Corollaire du droit à la mobilité, le droit à la ville est mis à mal dans les interstices urbains de Vintimille. Ces rues sont le théâtre d’un nouveau « game », selon le nom donné dans les Balkans aux tentatives répétées de traversée des frontières, suivies de refoulements violents[V].

    À cette étape des parcours, la France demeure le seul horizon envisageable : tous et toutes parviennent finalement à passer, mais au prix d’épuisements multiples et de nouveaux dangers.

    Ce jour-là, sous le pont de Vintimille, une laie ballade ses marcassins à la recherche de nourriture, à proximité immédiate d’un lieu de campement régulièrement sujet aux déguerpissements policiers. Les voyages nous sont contés avec des mots et des blessures, souvent ramenées de la traversée des Balkans. À cette frontière intérieure de l’Europe, aucun moyen médical institutionnel n’est disponible pour les soigner.

    Des corps confinés

    Confiner, c’est aussi étymologiquement toucher une limite. Bloquées à la frontière italo-française, les personnes exilées se heurtent à des confins au cœur de l’espace Schengen dit « de libre circulation ». Seuls les chiffres de l’activité policière communiqués par la Préfecture des Alpes-Maritimes permettent d’évaluer numériquement l’évolution des arrivées ces derniers mois : alors que 107 refus d’entrée[VI] ont été enregistrés côté français entre le 15 mars et le 15 avril, ce sont environ cinquante personnes qui seraient refoulées chaque jour de la France vers l’Italie, depuis la fin du confinement officiel. Toutefois, ces statistiques n’intègrent ni les tentatives de traversées répétées par une même personne, ni les refoulements non enregistrés par la police française, en dépit des lois en vigueur[VII]. C’est pourquoi le regard d’acteurs non étatiques s’avère nécessaire dans cette phase de déconfinement. Salariée humanitaire, universitaire ou volontaire bénévole, notre présence à Vintimille tient à des raisons diverses, mais nos mots dessinent une même idée : « impératif de mise à l’abri », « inégalité des vies »[VIII], « acharnement dissuasif » …

    Ces deux derniers mois ont fourni l’opportunité de comprendre le caractère essentiel du droit à la mobilité — en particulier pour les personnes qui ont pu se confiner dans des conditions dignes et qui retrouvent depuis le mois de mai les délices de la liberté de circulation[IX]. Que reste-t-il de cette expérience collective ?

    La période post-confinement signale plutôt le renforcement des inégalités à la mobilité. Non seulement la « crise sanitaire » n’a pas amené de véritable réflexion sur la précarité des personnes bloquées aux frontières, mais elle a de plus permis la poursuite des activités de contrôle mortifères à l’écart de l’attention médiatique. C’est le cas en Libye et en Méditerranée[X], mais aussi au cœur de l’Union européenne, à cette frontière franco-italienne.

    Ce jour-là, le train de voyageurs internationaux Vintimille-Cannes fait à nouveau vibrer les rails, à côté du campement improvisé pour la nuit par les exilé-e-s. Le lendemain, nous rejoindrons le bivouac de notre choix sans le moindre contrôle, reconnus à nouveau aptes à circuler, contrairement à ces corps confinés.

    https://blogs.mediapart.fr/mdmonde/blog/240620/ce-jour-la-vintimille-retour-d-un-lieu-d-exil-sans-cesse-confine
    #campement #asile #migrations #réfugiés #frontières #Italie #France #frontière_sud-alpine #SDF #sans-abrisme #in/visibilité #invisibilisation #écart #solidarité #Kesha_Niya #Roya_Citoyenne #distributions_alimentaires #salubrité_publique #accès_aux_soins #hypocrisie #Croix-Rouge #camp #campement #mise_à_l'abri #hébergement #campo #marges #droit_à_l'abri #interstices_urbains #game #the_game #épuisement #droit_à_la_mobilité #libre_circulation #liberté_de_mouvement #liberté_de_circulation #post-covid-19 #post-confinement