• Nessuno vuole mettere limiti all’attività dell’Agenzia Frontex

    Le istituzioni dell’Ue, ossessionate dal controllo delle frontiere, sembrano ignorare i problemi strutturali denunciati anche dall’Ufficio europeo antifrode. E lavorano per dispiegare le “divise blu” pure nei Paesi “chiave” oltre confine

    “Questa causa fa parte di un mosaico di una più ampia campagna contro Frontex: ogni attacco verso di noi è un attacco all’Unione europea”. Con questi toni gli avvocati dell’Agenzia che sorveglia le frontiere europee si sono difesi di fronte alla Corte di giustizia dell’Unione europea. Il 9 marzo, per la prima volta in oltre 19 anni di attività (ci sono altri due casi pendenti, presentati dalla Ong Front-Lex), le “divise blu” si sono trovate di fronte a un giudice grazie alla tenacia dell’avvocata olandese Lisa-Marie Komp.

    Non è successo, invece, per le scioccanti rivelazioni del rapporto dell’Ufficio europeo antifrode (Olaf) che ha ricostruito nel dettaglio come l’Agenzia abbia insabbiato centinaia di respingimenti violenti: quell’indagine è “semplicemente” costata la leadership all’allora direttore Fabrice Leggeri, nell’aprile 2022, ma niente di più. “Tutto è rimasto nel campo delle opinioni e nessuno è andato a fondo sui problemi strutturali -spiega Laura Salzano, dottoranda in Diritto europeo dell’immigrazione presso l’Università di Barcellona-. C’erano tutti gli estremi per portare l’Agenzia di fronte alla Corte di giustizia e invece nulla è stato fatto nonostante sia un’istituzione pubblica con un budget esplosivo che lavora con i più vulnerabili”. Non solo l’impunità ma anche la cieca fiducia ribadita più volte da diverse istituzioni europee. Il 28 giugno 2022 il Consiglio europeo, a soli due mesi dalle dimissioni di Leggeri, dà il via libera all’apertura dei negoziati per portare gli agenti di Frontex in Senegal con la proposta di garantire un’immunità totale nel Paese per le loro azioni.

    A ottobre, invece, a pochi giorni dalla divulgazione del rapporto Olaf -tenuto segreto per oltre quattro mesi- la Commissione europea chiarisce che l’Agenzia “si è già assunta piena responsabilità di quanto successo”. Ancora, a febbraio 2023 il Consiglio europeo le assicura nuovamente “pieno supporto”. Un dato preoccupante soprattutto con riferimento all’espansione di Frontex che mira a diventare un attore sempre più presente nei Paesi chiave per la gestione del fenomeno migratorio, a migliaia di chilometri di distanza dal suo quartier generale di Varsavia.

    “I suoi problemi sono strutturali ma le istituzioni europee fanno finta di niente: se già è difficile controllare gli agenti sui ‘nostri’ confini, figuriamoci in Paesi al di fuori dell’Ue”, spiega Yasha Maccanico, membro del centro di ricerca indipendente Statewatch.

    A fine febbraio 2023 l’Agenzia ha festeggiato la conclusione di un progetto che prevede la consegna di attrezzature ai membri dell’Africa-Frontex intelligence community (Afic), finanziata dalla Commissione, che ha permesso dal 2010 in avanti l’apertura di “Cellule di analisi del rischio” (Rac) gestite da analisti locali formati dall’Agenzia con l’obiettivo di “raccogliere e analizzare informazioni strategiche su crimini transfrontalieri” oltre che a “sostenere le autorità nella gestione dei confini”. A partire dal 2021 una potenziata infrastruttura garantisce “comunicazioni sicure e istantanee” tra le Rac e gli agenti nella sede di Varsavia. Questo è il “primo livello” di collaborazione tra Frontex e le autorità di Paesi terzi che oggi vede, come detto, “cellule” attive in Nigeria, Gambia, Niger, Ghana, Senegal, Costa d’Avorio, Togo e Mauritania oltre a una ventina di Stati coinvolti nelle attività di formazione degli analisti, pronti ad attivare le Rac in futuro. “Lo scambio di dati sui flussi è pericoloso perché l’obiettivo delle politiche europee non è proteggere i diritti delle persone, ma fermarle nei Paesi più poveri”, continua Maccanico.

    Un gradino al di sopra delle collaborazioni più informali, come nell’Afic, ci sono i cosiddetti working arrangement (accordi di cooperazione) che permettono di collaborare con le autorità di un Paese in modo ufficiale. “Non serve il via libera del Parlamento europeo e di fatto non c’è nessun controllo né prima della sottoscrizione né ex post -riprende Salzano-. Se ci fosse uno scambio di dati e informazioni dovrebbe esserci il via libera del Garante per la protezione dei dati personali, ma a oggi, questo parere, è stato richiesto solo nel caso del Niger”. A marzo 2023 sono invece 18 i Paesi che hanno siglato accordi simili: da Stati Uniti e Canada, passando per Capo Verde fino alla Federazione Russa. “Sappiamo che i contatti con Mosca dovrebbero essere quotidiani. Dall’inizio del conflitto ho chiesto più volte all’Agenzia se queste comunicazioni sono state interrotte: nessuno mi ha mai risposto”, sottolinea Salzano.

    Obiettivo ultimo dell’Agenzia è riuscire a dispiegare agenti e mezzi anche nei Paesi terzi: una delle novità del regolamento del 2019 rispetto al precedente (2016) è proprio la possibilità di lanciare operazioni non solo nei “Paesi vicini” ma in tutto il mondo. Per farlo sono necessari gli status agreement, accordi internazionali che impegnano formalmente anche le istituzioni europee. Sono cinque quelli attivi (Serbia, Albania, Montenegro e Macedonia del Nord, Moldova) ma sono in via di sottoscrizione quelli con Senegal e Mauritania per limitare le partenze (poco più di 15mila nel 2022) verso le isole Canarie, mille chilometri più a Nord: accordi per ora “fermi”, secondo quanto ricostruito dalla parlamentare europea olandese Tineke Strik che a fine febbraio ha visitato i due Stati, ma che danno conto della linea che si vuole seguire. Un quadro noto, i cui dettagli però spesso restano nascosti.

    È quanto emerge dal report “Accesso negato”, pubblicato da Statewatch a metà marzo 2023, che ricostruisce altri due casi di scarsa trasparenza negli accordi, Niger e Marocco, due Paesi chiave nella strategia europea di esternalizzazione delle frontiere. “Con la ‘scusa’ della tutela della riservatezza nelle relazioni internazionali e mettendo la questione migratoria sotto il cappello dell’antiterrorismo l’accesso ai dettagli degli accordi non è consentito”, spiega Maccanico, uno dei curatori dello studio. Non si conoscono, per esempio, i compiti specifici degli agenti, per cui si propone addirittura l’immunità totale. “In alcuni accordi, come in Macedonia del Nord, si è poi ‘ripiegato’ su un’immunità connessa solo ai compiti che rientrano nel mandato dell’Agenzia -osserva Salzano-. Ma il problema non cambia: dove finisce la sua responsabilità e dove inizia quella del Paese membro?”. Una zona grigia funzionale a Frontex, anche quando opera sul territorio europeo.

    Lo sa bene l’avvocata tedesca Lisa-Marie Komp che, come detto, ha portato l’Agenzia di fronte alla Corte di giustizia dell’Ue. Il caso, su cui il giudice si pronuncerà nei prossimi mesi, riguarda il rimpatrio nel 2016 di una famiglia siriana con quattro bambini piccoli che, pochi giorni dopo aver presentato richiesta d’asilo in Grecia, è stata caricata su un aereo e riportata in Turchia: quel volo è stato gestito da Frontex, in collaborazione con le autorità greche. “L’Agenzia cerca di scaricare le responsabilità su di loro ma il suo mandato stabilisce chiaramente che è tenuta a monitorare il rispetto dei diritti fondamentali durante queste operazioni -spiega-. Serve chiarire che tutti devono rispettare la legge, compresa l’Agenzia le cui azioni hanno un grande impatto sulla vita di molte persone”.

    Le illegittimità nell’attività dei rimpatri sono note da tempo e il caso della famiglia siriana non è isolato. “Quando c’è una forte discrepanza nelle decisioni sulle domande d’asilo tra i diversi Paesi europei, l’attività di semplice ‘coordinamento’ e preparazione delle attività di rimpatrio può tradursi nella violazione del principio di non respingimento”, spiega Mariana Gkliati, docente di Migrazione e Asilo all’università olandese di Tilburg. Nonostante questi problemi e un sistema d’asilo sempre più fragile, negli ultimi anni i poteri e le risorse a disposizione per l’Agenzia sui rimpatri sono esplosi: nel 2022 questa specifica voce di bilancio prevedeva quasi 79 milioni di euro (+690% rispetto ai dieci milioni del 2012).

    E la crescita sembra destinata a non fermarsi. Frontex nel 2023 stima di poter rimpatriare 800 persone in Iraq, 316 in Pakistan, 200 in Gambia, 75 in Afghanistan, 57 in Siria, 60 in Russia e 36 in Ucraina come si legge in un bando pubblicato a inizio febbraio 2023 che ha come obiettivo la ricerca di partner in questi Paesi (e in altri, in totale 43) per garantire assistenza di breve e medio periodo (12 mesi) alle persone rimpatriate. Un’altra gara pubblica dà conto della centralità dell’Agenzia nella “strategia dei rimpatri” europea: 120 milioni di euro nel novembre 2022 per l’acquisto di “servizi di viaggio relativi ai rimpatri mediante voli di linea”. Migliaia di biglietti e un nuovo sistema informatico per gestire al meglio le prenotazioni, con un’enorme mole di dati personali delle persone “irregolari” che arriveranno nelle “mani” di Frontex. Mani affidabili, secondo la Commissione europea.

    Ma il 7 ottobre 2022 il Parlamento, nel “bocciare” nuovamente Frontex rispetto al via libera sul bilancio 2020, dava conto del “rammarico per l’assenza di procedimenti disciplinari” nei confronti di Leggeri e della “preoccupazione” per la mancata attivazione dell’articolo 46 (che prevede il ritiro degli agenti quando siano sistematiche le violazioni dei diritti umani) con riferimento alla Grecia, in cui l’Agenzia opera con 518 agenti, 11 navi e 30 mezzi. “I respingimenti e la violenza sui confini continuano sia alle frontiere terrestri sia a quelle marittime così come non si è interrotto il sostegno alle autorità greche”, spiega la ricercatrice indipendente Lena Karamanidou. La “scusa” ufficiale è che la presenza di agenti migliori la situazione ma non è così. “Al confine terrestre di Evros, la violenza è stata documentata per tutto il tempo in cui Frontex è stata presente, fin dal 2010. È difficile immaginare come possa farlo in futuro vista la sistematicità delle violenze su questo confine”. Su quella frontiera si giocherà anche la presunta nuova reputazione dell’Agenzia guidata dal primo marzo dall’olandese Hans Leijtens: un tentativo di “ripulire” l’immagine che è già in corso.

    Frontex nei confronti delle persone in fuga dal conflitto in Ucraina ha tenuto fin dall’inizio un altro registro: i “migranti irregolari” sono diventati “persone che scappano da zone di conflitto”; l’obiettivo di “combattere l’immigrazione irregolare” si è trasformato nella gestione “efficace dell’attraversamento dei confini”. “Gli ultimi mesi hanno mostrato il potenziale di Frontex di evolversi in un attore affidabile della gestione delle frontiere che opera con efficienza, trasparenza e pieno rispetto dei diritti umani”, sottolinea Gkliati nello studio “Frontex assisting in the ukrainian displacement. A welcoming committee at racialised passage?”, pubblicato nel marzo 2023. Una conferma ulteriore, per Salzano, dei limiti strutturali dell’Agenzia: “La legge va rispettata indipendentemente dalla cornice in cui operi: la tutela dei diritti umani prescinde dagli umori della politica”.

    https://altreconomia.it/nessuno-vuole-mettere-limiti-allattivita-dellagenzia-frontex

    #Frontex #migrations #asile #réfugiés #frontières #contrôles_frontaliers #justice #Lisa-Marie_Komp #OLAF #Sénégal #externalisation #Africa-Frontex_intelligence_community (#Afic) #Rac #Nigeria #Gambie #Niger #Ghana #Côte_d'Ivoire #Togo #Mauritanie #status_agreement #échange_de_données #working_arrangement #Serbie #Monténégro #Albanie #Moldavie #Macédoine_du_Nord #CJUE #cours_de_justice #renvois #expulsions

    • I rischi della presenza di Frontex in Africa: tanto potere, poca responsabilità

      L’eurodeputata #Tineke_Strik è stata in Senegal e Mauritania a fine febbraio 2023: in un’intervista ad Altreconomia ricostruisce lo stato dell’arte degli accordi che l’Ue vorrebbe concludere con i due Paesi ritenuti “chiave” nel contrasto ai flussi migratori. Denunciando la necessità di una riforma strutturale dell’Agenzia.

      A un anno di distanza dalle dimissioni del suo ex direttore Fabrice Leggeri, le istituzioni europee non vogliono mettere limiti all’attività di Frontex. Come abbiamo ricostruito sul numero di aprile di Altreconomia, infatti, l’Agenzia -che dal primo marzo 2023 è guidata da Hans Leijtens- continua a svolgere un ruolo centrale nelle politiche migratorie dell’Unione europea nonostante le pesanti rivelazioni dell’Ufficio europeo antifrode (Olaf), che ha ricostruito nel dettaglio il malfunzionamento nelle operazioni delle divise blu lungo i confini europei.

      Ma non solo. Un aspetto particolarmente preoccupante sono le operazioni al di fuori dei Paesi dell’Unione, che rientrano sempre di più tra le priorità di Frontex in un’ottica di esternalizzazione delle frontiere per “fermare” preventivamente i flussi di persone dirette verso l’Europa. Non a caso, a luglio 2022, nonostante i contenuti del rapporto Olaf chiuso solo pochi mesi prima, la Commissione europea ha dato il via libera ai negoziati con Senegal e Mauritania per stringere un cosiddetto working arrangement e permettere così agli “agenti europei” di operare nei due Paesi africani (segnaliamo anche la recente ricerca pubblicata dall’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione sul tema).

      Per monitorare lo stato dell’arte di questi accordi l’eurodeputata Tineke Strik, tra le poche a opporsi e a denunciare senza sconti gli effetti delle politiche migratorie europee e il ruolo di Frontex, a fine febbraio 2023 ha svolto una missione di monitoraggio nei due Paesi. Già professoressa di Diritto della cittadinanza e delle migrazioni dell’Università di Radboud di Nimega, in Olanda, è stata eletta al Parlamento europeo nel 2019 nelle fila di GroenLinks (Sinistra verde). L’abbiamo intervistata.

      Onorevole Strik, secondo quanto ricostruito dalla vostra visita (ha partecipato alla missione anche Cornelia Erns, di LeftEu, ndr), a che punto sono i negoziati con il Senegal?
      TS La nostra impressione è che le autorità senegalesi non siano così desiderose di concludere un accordo di status con l’Unione europea sulla presenza di Frontex nel Paese. L’approccio di Bruxelles nei confronti della migrazione come sappiamo è molto incentrato su sicurezza e gestione delle frontiere; i senegalesi, invece, sono più interessati a un intervento sostenibile e incentrato sullo sviluppo, che offra soluzioni e affronti le cause profonde che spingono le persone a partire. Sono molti i cittadini del Senegal emigrano verso l’Europa: idealmente, il governo vuole che rimangano nel Paese, ma capisce meglio di quanto non lo facciano le istituzioni Ue che si può intervenire sulla migrazione solo affrontando le cause alla radice e migliorando la situazione nel contesto di partenza. Allo stesso tempo, le navi europee continuano a pescare lungo le coste del Paese (minacciando la pesca artigianale, ndr), le aziende europee evadono le tasse e il latte sovvenzionato dall’Ue viene scaricato sul mercato senegalese, causando disoccupazione e impedendo lo sviluppo dell’economia locale. Sono soprattutto gli accordi di pesca ad aver alimentato le partenze dal Senegal, dal momento che le comunità di pescatori sono state private della loro principale fonte di reddito. Serve domandarsi se l’Unione sia veramente interessata allo sviluppo e ad affrontare le cause profonde della migrazione. E lo stesso discorso può essere fatto su molti dei Paesi d’origine delle persone che cercano poi protezione in Europa.

      Dakar vede di buon occhio l’intervento dell’Unione europea? Quale tipo di operazioni andrebbero a svolgere gli agenti di Frontex nel Paese?
      TS Abbiamo avuto la sensazione che l’Ue non ascoltasse le richieste delle autorità senegalesi -ad esempio in materia di rilascio di visti d’ingresso- e ci hanno espresso preoccupazioni relative ai diritti fondamentali in merito a qualsiasi potenziale cooperazione con Frontex, data la reputazione dell’Agenzia. È difficile dire che tipo di supporto sia previsto, ma nei negoziati l’Unione sta puntando sia alle frontiere terrestri sia a quelle marittime.

      Che cosa sta avvenendo in Mauritania?
      TS Sebbene questo Paese sembri disposto a concludere un accordo sullo status di Frontex -soprattutto nell’ottica di ottenere un maggiore riconoscimento da parte dell’Europa-, preferisce comunque mantenere l’autonomia nella gestione delle proprie frontiere e quindi non prevede una presenza permanente dei funzionari dell’Agenzia nel Paese. Considerano l’accordo sullo status più come un quadro giuridico, per consentire la presenza di Frontex in caso di aumento della pressione migratoria. Inoltre, come il Senegal, ritengono che l’Europa debba ascoltare e accogliere le loro richieste, che riguardano principalmente i visti e altre aree di cooperazione. Anche in questo caso, Bruxelles chiede il mandato più ampio possibile per gli agenti in divisa blu durante i negoziati per “mantenere aperte le opzioni [più ampie]”, come dicono loro stessi. Ma credo sia chiaro che il loro obiettivo è quello di operare sia alle frontiere marittime sia a quelle terrestri.
      Questo a livello “istituzionale”. Qual è invece la posizione della società civile?
      TS In entrambi i Paesi è molto critica. In parte a causa della cattiva reputazione di Frontex in relazione ai diritti umani, ma anche a causa dell’esperienza che i cittadini senegalesi e mauritani hanno già sperimentato con la Guardia civil spagnola, presente nei due Stati, che ritengono stia intaccando la sovranità per quanto riguarda la gestione delle frontiere. È previsto che il mandato di Frontex sia addirittura esecutivo, a differenza di quello della Guardia civil, che può impegnarsi solo in pattugliamenti congiunti in cui le autorità nazionali sono al comando. Quindi la sovranità di entrambi i Paesi sarebbe ulteriormente minata.

      Perché a suo avviso sarebbe problematica la presenza di agenti di Frontex nei due Paesi?
      TS L’immunità che l’Unione europea vorrebbe per i propri operativi dispiegati in Africa non è solo connessa allo svolgimento delle loro funzioni ma si estende al di fuori di esse, a questo si aggiunge la possibilità di essere armati. Penso sia problematico il rispetto dei diritti fondamentali dei naufraghi intercettati in mare, poiché è difficile ottenere l’accesso all’asilo sia in Senegal sia in Mauritania. In questo Paese, ad esempio, l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) impiega molto tempo per determinare il loro bisogno di protezione: fanno eccezione i maliani, che riescono a ottenerla in “appena” due anni. E durante l’attesa queste persone non hanno quasi diritti.

      Ma se ottengono la protezione è comunque molto difficile registrarsi presso l’amministrazione, cosa necessaria per avere accesso al mercato del lavoro, alle scuole o all’assistenza sanitaria. E le conseguenze che ne derivano sono le continue retate, i fermi e le deportazioni alla frontiera, per impedire alle persone di partire. A causa delle attuali intercettazioni in mare, le rotte migratorie si stanno spostando sulla terra ferma e puntano verso l’Algeria: l’attraversamento del deserto può essere mortale. Il problema principale è che Frontex deve rispettare il diritto dell’Unione europea anche se opera in un Paese terzo in cui si applicano norme giuridiche diverse, ma l’Agenzia andrà a operare sotto il comando delle guardie di frontiera di un Paese che non è vincolato dalle “regole” europee. Come può Frontex garantire di non essere coinvolta in operazioni che violano le norme fondamentali del diritto comunitario, se determinate azioni non sono illegali in quel Paese? Sulla carta è possibile presentare un reclamo a Frontex, ma poi nella pratica questo strumento in quali termini sarebbe accessibile ed efficace?

      Un anno dopo le dimissioni dell’ex direttore Leggeri ritiene che Frontex si sia pienamente assunta la responsabilità di quanto accaduto? Può davvero, secondo lei, diventare un attore affidabile per l’Ue?
      TS Prima devono accadere molte cose. Non abbiamo ancora visto una riforma fondamentale: c’è ancora un forte bisogno di maggiore trasparenza, di un atteggiamento più fermo nei confronti degli Stati membri ospitanti e di un uso conseguente dell’articolo 46 che prevede la sospensione delle operazioni in caso di violazioni dei diritti umani (abbiamo già raccontato il ruolo dell’Agenzia nei respingimenti tra Grecia e Turchia, ndr). Questi problemi saranno ovviamente esacerbati nella cooperazione con i Paesi terzi, perché la responsabilità sarà ancora più difficile da raggiungere.

      https://altreconomia.it/i-rischi-della-presenza-di-frontex-in-africa-tanto-potere-poca-responsa

    • «Un laboratorio di esternalizzazione tra frontiere di terra e di mare». La missione di ASGI in Senegal e Mauritania

      Lo scorso 29 marzo è stato pubblicato il rapporto «Un laboratorio di esternalizzazione tra frontiere di terra e di mare» (https://www.asgi.it/notizie/rapporto-asgi-della-senegal-mauritania), frutto del sopralluogo giuridico effettuato tra il 7 e il 13 maggio 2022 da una delegazione di ASGI composta da Alice Fill, Lorenzo Figoni, Matteo Astuti, Diletta Agresta, Adelaide Massimi (avvocate e avvocati, operatori e operatrici legali, ricercatori e ricercatrici).

      Il sopralluogo aveva l’obiettivo di analizzare lo sviluppo delle politiche di esternalizzazione del controllo della mobilità e di blocco delle frontiere implementate dall’Unione Europea in Mauritania e in Senegal – due paesi a cui, come la Turchia o gli stati balcanici più orientali, gli stati membri hanno delegato la gestione dei flussi migratori concordando politiche sempre più ostacolanti per lo spostamento delle persone.

      Nel corso del sopralluogo sono stati intervistati, tra Mauritania e Senegal, più di 40 interlocutori afferenti a istituzioni, società civile, popolazione migrante e organizzazioni, tra cui OIM, UNHCR, delegazioni dell’UE. Intercettare questi soggetti ha consentito ad ASGI di andare oltre le informazioni vincolate all’ufficialità delle dichiarazioni pubbliche e di approfondire le pratiche illegittime portate avanti su questi territori.

      Il report parte dalle già assodate intenzioni di collaborazione tra l’Unione Europea e le autorità senegalesi e mauritane – una collaborazione che in entrambi i paesi sembra connotata nel senso del controllo e della sorveglianza; per quanto riguarda il Senegal, si fa menzione del ben noto status agreement, proposto nel febbraio 2022 a Dakar dalla Commissaria europea agli affari interni Ylva Johansson, con il quale si intende estendere il controllo di Frontex in Senegal.

      L’obiettivo di tale accordo era il controllo della cosiddetta rotta delle Canarie, che tra il 2018 e il 2022 è stata sempre più battuta. Sebbene la proposta abbia generato accese discussioni nella società civile senegalese, preoccupata all’idea di cedere parte della sovranità del paese sul controllo delle frontiere esterne, con tale accordo, elaborato con un disegno molto simile a quello che regola le modalità di intervento di Frontex nei Balcani, si legittimerebbe ufficialmente l’attività di controllo dell’agenzia UE in paesi terzi, e in particolare fuori dal continente europeo.

      Per quanto riguarda la Mauritania, si menziona l’Action Plan pubblicato da Frontex il 7 giugno 2022, con il quale si prospetta una possibilità di collaborare operativamente sul territorio mauritano, in particolare per lo sviluppo di governance in materia migratoria.

      Senegal

      Sin dai primi anni Duemila, il dialogo tra istituzioni europee e senegalesi è stato focalizzato sulle politiche di riammissione dei cittadini senegalesi presenti in UE in maniera irregolare e dei cosiddetti ritorni volontari, le politiche di gestione delle frontiere senegalesi e il controllo della costa, la promozione di una legislazione anti-trafficking e anti-smuggling. Tutto questo si è intensificato quando, a partire dal 2018, la rotta delle Canarie è tornata a essere una rotta molto percorsa. L’operatività delle agenzie europee in Senegal per la gestione delle migrazioni si declina principalmente nei seguenti obiettivi:

      1. Monitoraggio delle frontiere terrestri e marittime. Il memorandum firmato nel 2006 da Senegal e Spagna ha sancito la collaborazione ufficiale tra le forze di polizia europee e quelle senegalesi in operazioni congiunte di pattugliamento; a questo si aggiunge, sempre nello stesso anno, una presenza sempre più intensiva di Frontex al largo delle coste senegalesi.

      2. Lotta alla tratta e al traffico. Su questo fronte dell’operatività congiunta tra forze senegalesi ed europee, la normativa di riferimento è la legge n. 06 del 10 maggio 2005, che offre delle direttive per il contrasto della tratta di persone e del traffico. Tale documento, non distinguendo mai fra “tratta” e “traffico”, di fatto criminalizza la migrazione irregolare tout court, dal momento che viene utilizzato in maniera estensiva (e arbitraria) come strumento di controllo e di repressione della mobilità – fu utilizzato, ad esempio, per accusare di traffico di esseri umani un padre che aveva imbarcato suo figlio su un mezzo che poi naufragato.

      Il sistema di asilo in Senegal

      Il Senegal aderisce alla Convenzione del 1951 sullo status de rifugiati e del relativo Protocollo del 1967; la valutazione delle domande di asilo fa capo alla Commissione Nazionale di Eleggibilità (CNE), che al deposito della richiesta di asilo emette un permesso di soggiorno della durata di 3 mesi, rinnovabile fino all’esito dell’audizione di fronte alla CNE; l’esito della CNE è ricorribile in primo grado presso la Commissione stessa e, nel caso di ulteriore rifiuto, presso il Presidente della Repubblica. Quando il richiedente asilo depone la propria domanda, subentra l’UNHCR, che nel paese è molto presente e finanzia ONG locali per fornire assistenza.

      Il 5 aprile 2022 l’Assemblea Nazionale senegalese ha approvato una nuova legge sullo status dei rifugiati e degli apolidi, una legge che, stando a diverse associazioni locali, sulla carta estenderebbe i diritti cui i rifugiati hanno accesso; tuttavia, le stesse associazioni temono che a tale miglioramento possa non seguire un’applicazione effettiva della normativa.
      Mauritania

      Data la collocazione geografica del paese, a ridosso dell’Atlantico e delle isole Canarie, in prossimità di paesi ad alto indice di emigrazione (Senegal, Mali, Marocco), la Mauritania rappresenta un territorio strategico per il monitoraggio dei flussi migratori diretti in Europa. Pertanto, analogamente a quanto avvenuto in Senegal, anche in Mauritania la Spagna ha proceduto a rafforzare la cooperazione in tema di politiche migratorie e di gestione del controllo delle frontiere e a incrementare la presenta e l’impegno di attori esterni – in primis di agenzie quali Frontex – per interventi di contenimento dei flussi e di riammissione di cittadini stranieri in Mauritania.

      Relativamente alla Mauritania, l’obiettivo principale delle istituzioni europee sembra essere la prevenzione dell’immigrazione lungo la rotta delle Canarie. La normativa di riferimento è l’Accordo di riammissione bilaterale firmato con la Spagna nel luglio 2003. Con tale accordo, la Spagna può chiedere alla Mauritania di riammettere sul proprio territorio cittadini mauritani e non solo, anche altri cittadini provenienti da paesi terzi che “si presume” siano transitati per la Mauritania prima di entrare irregolarmente in Spagna. Oltre a tali interventi, il report di ASGI menziona l’Operazione Hera di Frontex e vari interventi di cooperazione allo sviluppo promossi dalla Spagna “con finalità tutt’altro che umanitarie”, bensì di gestione della mobilità.

      In tale regione, nella fase degli sbarchi risulta molto dubbio il ruolo giocato da organizzazioni come OIM e UNHCR, poiché non è codificato; interlocutori diversi hanno fornito informazioni contrastanti sulla disponibilità di UNHCR a intervenire in supporto e su segnalazione delle ONG presenti al momento dello sbarco. In ogni caso, se effettivamente UNHCR fosse assente agli sbarchi, ciò determinerebbe una sostanziale impossibilità di accesso alle procedure di protezione internazionale da parte di qualsiasi potenziale richiedente asilo che venga intercettato in mare.

      Anche in questo territorio la costruzione della figura del “trafficante” diventa un dispositivo di criminalizzazione e repressione della mobilità sulla rotta atlantica, strumentale alla soddisfazione di richieste europee.
      La detenzione dei cittadini stranieri

      Tra Nouakchott e Nouadhibou vi sono tre centri di detenzione per persone migranti; uno di questi (il Centro di Detenzione di Nouadhibou 2 (anche detto “El Guantanamito”), venne realizzato grazie a dei fondi di un’agenzia di cooperazione spagnola. Sovraffollamento, precarietà igienico-sanitaria e impossibilità di accesso a cure e assistenza legale hanno caratterizzato tali centri. Quando El Guantanamito fu chiuso, i commissariati di polizia sono diventati i principali luoghi deputati alla detenzione dei cittadini stranieri; in tali centri, vengono detenute non solo le persone intercettate in prossimità delle coste mauritane, ma anche i cittadini stranieri riammessi dalla Spagna, e anche le persone presenti irregolarmente su territorio mauritano. Risulta delicato il tema dell’accesso a tali commissariati, dal momento che il sopralluogo ha rilevato che le ONG non hanno il permesso di entrarvi, mentre le organizzazioni internazionali sì – ciò nonostante, nessuna delle persone precedentemente sottoposte a detenzione con cui la delegazione ASGI ha avuto modo di interloquire ha dichiarato di aver riscontrato la presenza di organizzazioni all’interno di questi centri.

      La detenzione amministrativa risulta essere “un tassello essenziale della politica di contenimento dei flussi di cittadini stranieri in Mauritania”. Il passaggio successivo alla detenzione delle persone migranti è l’allontanamento, che si svolge in forma di veri e propri respingimenti sommari e informali, senza che i migranti siano messi nelle condizioni né di dichiarare la propria nazionalità né di conoscere la procedura di ritorno volontario.
      Il ruolo delle organizzazioni internazionali in Mauritania

      OIM riveste un ruolo centrale nel panorama delle politiche di esternalizzazione e di blocco dei cittadini stranieri in Mauritania, tramite il supporto delle autorità di pubblica sicurezza mauritane nello sviluppo di politiche di contenimento della libertà di movimento – strategie e interventi che suggeriscono una connotazione securitaria della presenza dell’associazione nel paese, a scapito di una umanitaria.

      Nonostante anche la Mauritania sia firmataria della Convenzione di Ginevra, non esiste a oggi una legge nazionale sul diritto di asilo nel paese. UNHCR testimonia come dal 2015 esiste un progetto di legge sull’asilo, ma che questo sia tuttora “in attesa di adozione”.

      Pertanto, le procedure di asilo in Mauritania sono gestite interamente da UNHCR. Tali procedure si differenziano a seconda della pericolosità delle regioni di provenienza delle persone migranti; in particolare, i migranti maliani provenienti dalle regioni considerate più pericolose vengono registrati come rifugiati prima facie, quanto non accade invece per i richiedenti asilo provenienti dalle aree urbane, per loro, l’iter dell’asilo è ben più lungo, e prevede una sorta di “pre-pre-registrazione” presso un ente partner di UNHCR, cui segue una pre-registrazione accordata da UNHCR previo appuntamento, e solo in seguito alla registrazione viene riconosciuto un certificato di richiesta di asilo, valido per sei mesi, in attesa di audizione per la determinazione dello status di rifugiato.

      Le tempistiche per il riconoscimento di protezione, poi, sono differenti a seconda del grado di vulnerabilità del richiedente e in taluni casi potevano condurre ad anni e anni di attesa. Alla complessità della procedura si aggiunge che non tutti i potenziali richiedenti asilo possono accedervi – ad esempio, chi proviene da alcuni stati, come la Sierra Leone, considerati “paesi sicuri” secondo una categorizzazione fornita dall’Unione Africana.
      Conclusioni

      In fase conclusiva, il report si sofferma sul ruolo fondamentale giocato dall’Unione Europea nel forzare le politiche senegalesi e mauritane nel senso della sicurezza e del contenimento, a scapito della tutela delle persone migranti nei loro diritti fondamentali. Le principali preoccupazioni evidenziate sono rappresentate dalla prospettiva della conclusione dello status agreement tra Frontex e i due paesi, perché tale ratifica ufficializzerebbe non solo la presenza, ma un ruolo legittimo e attivo di un’agenzia europea nel controllo di frontiere che si dispiegano ben oltre i confini territoriali comunitari, ben oltre le acque territoriali, spingendo le maglie del controllo dei flussi fin dentro le terre di quegli stati da cui le persone fuggono puntando all’Unione Europea. La delegazione, tuttavia, sottolinea che vi sono aree in cui la società civile senegalese e mauritana risulta particolarmente politicizzata, dunque in grado di esprimere insofferenza o aperta contrarietà nei confronti delle ingerenze europee nei loro paesi. Infine, da interviste, colloqui e incontri con diretti interessati e testimoni, il ruolo di organizzazioni internazionali come le citate OIM e UNHCR appare nella maggior parte dei casi “fluido o sfuggevole”; una prospettiva, questa, che sembra confermare l’ambivalenza delle grandi organizzazioni internazionali, soggetti messi innanzitutto al servizio degli interessi delle istituzioni europee.

      Il report si conclude auspicando una prosecuzione di studio e analisi al fine di continuare a monitorare gli sviluppi politici e legislativi che legano l’Unione Europea e questi territori nella gestione operativa delle migrazioni.

      https://www.meltingpot.org/2023/05/un-laboratorio-di-esternalizzazione-tra-frontiere-di-terra-e-di-mare

    • Pubblicato il rapporto #ASGI della missione in Senegal e Mauritania

      Il Senegal e la Mauritania sono paesi fondamentali lungo la rotta che conduce dall’Africa occidentale alle isole Canarie. Nel 2020, dopo alcuni anni in cui la rotta era stata meno utilizzata, vi è stato un incremento del 900% degli arrivi rispetto all’anno precedente. Il dato ha portato la Spagna e le istituzioni europee a concentrarsi nuovamente sui due paesi. La cosiddetta Rotta Atlantica, che a partire dal 2006 era stata teatro di sperimentazioni di pratiche di contenimento e selezione della mobilità e di delega dei controlli alle frontiere e del diritto di asilo, è tornata all’attenzione internazionale: da febbraio 2022 sono in corso negoziazioni per la firma di un accordo di status con Frontex per permettere il dispiegamento dei suoi agenti in Senegal e Mauritania.

      Al fine di indagare l’attuazione delle politiche di esternalizzazione e i loro effetti, dal 7 al 13 maggio 2022 un gruppo di socз ASGI – avvocatз, operatorз legali e ricercatorз – ha effettuato un sopralluogo giuridico a Nouakchott, Mauritania e a Dakar, Senegal.

      Il report restituisce il quadro ricostruito nel corso del sopralluogo, durante il quale è stato possibile intervistare oltre 45 interlocutori tra istituzioni, organizzazioni internazionali, ONG e persone migranti.

      https://www.asgi.it/notizie/rapporto-asgi-della-senegal-mauritania
      #rapport

    • Au Sénégal, les desseins de Frontex se heurtent aux résistances locales

      Tout semblait devoir aller très vite : début 2022, l’Union européenne propose de déployer sa force anti-migration Frontex sur les côtes sénégalaises, et le président Macky Sall y semble favorable. Mais c’était compter sans l’opposition de la société civile, qui refuse de voir le Sénégal ériger des murs à la place de l’Europe.

      Agents armés, navires, drones et systèmes de sécurité sophistiqués : Frontex, l’agence européenne de gardes-frontières et de gardes-côtes créée en 2004, a sorti le grand jeu pour dissuader les Africains de prendre la direction des îles Canaries – et donc de l’Europe –, l’une des routes migratoires les plus meurtrières au monde. Cet arsenal, auquel s’ajoutent des programmes de formation de la police aux frontières, est la pierre angulaire de la proposition faite début 2022 par le Conseil de l’Europe au Sénégal. Finalement, Dakar a refusé de la signer sous la pression de la société civile, même si les négociations ne sont pas closes. Dans un climat politique incandescent à l’approche de l’élection présidentielle de 2024, le président sénégalais, Macky Sall, soupçonné de vouloir briguer un troisième mandat, a préféré prendre son temps et a fini par revenir sur sa position initiale, qui semblait ouverte à cette collaboration. Dans le même temps, la Mauritanie voisine, elle, a entamé des négociations avec Bruxelles.

      L’histoire débute le 11 février 2022 : lors d’une conférence de presse à Dakar, la commissaire aux Affaires intérieures du Conseil de l’Europe, Ylva Johansson, officialise la proposition européenne de déployer Frontex sur les côtes sénégalaises. « C’est mon offre et j’espère que le gouvernement sénégalais sera intéressé par cette opportunité unique », indique-t-elle. En cas d’accord, elle annonce que l’agence européenne sera déployée dans le pays au plus tard au cours de l’été 2022. Dans les jours qui ont suivi l’annonce de Mme Johansson, plusieurs associations de la société civile sénégalaise ont organisé des manifestations et des sit-in à Dakar contre la signature de cet accord, jugé contraire aux intérêts nationaux et régionaux.

      Une frontière déplacée vers la côte sénégalaise

      « Il s’agit d’un #dispositif_policier très coûteux qui ne permet pas de résoudre les problèmes d’immigration tant en Afrique qu’en Europe. C’est pourquoi il est impopulaire en Afrique. Frontex participe, avec des moyens militaires, à l’édification de murs chez nous, en déplaçant la frontière européenne vers la côte sénégalaise. C’est inacceptable, dénonce Seydi Gassama, le directeur exécutif d’Amnesty International au Sénégal. L’UE exerce une forte pression sur les États africains. Une grande partie de l’aide européenne au développement est désormais conditionnée à la lutte contre la migration irrégulière. Les États africains doivent pouvoir jouer un rôle actif dans ce jeu, ils ne doivent pas accepter ce qu’on leur impose, c’est-à-dire des politiques contraires aux intérêts de leurs propres communautés. » Le défenseur des droits humains rappelle que les transferts de fonds des migrants pèsent très lourd dans l’économie du pays : selon les chiffres de la Banque mondiale, ils ont atteint 2,66 milliards de dollars (2,47 milliards d’euros) au Sénégal en 2021, soit 9,6 % du PIB (presque le double du total de l’aide internationale au développement allouée au pays, de l’ordre de 1,38 milliard de dollars en 2021). « Aujourd’hui, en visitant la plupart des villages sénégalais, que ce soit dans la région de Fouta, au Sénégal oriental ou en Haute-Casamance, il est clair que tout ce qui fonctionne – hôpitaux, dispensaires, routes, écoles – a été construit grâce aux envois de fonds des émigrés », souligne M. Gassama.

      « Quitter son lieu de naissance pour aller vivre dans un autre pays est un droit humain fondamental, consacré par l’article 13 de la Convention de Genève de 1951, poursuit-il. Les sociétés capitalistes comme celles de l’Union européenne ne peuvent pas dire aux pays africains : “Vous devez accepter la libre circulation des capitaux et des services, alors que nous n’acceptons pas la libre circulation des travailleurs”. » Selon lui, « l’Europe devrait garantir des routes migratoires régulières, quasi inexistantes aujourd’hui, et s’attaquer simultanément aux racines profondes de l’exclusion, de la pauvreté, de la crise démocratique et de l’instabilité dans les pays d’Afrique de l’Ouest afin d’offrir aux jeunes des perspectives alternatives à l’émigration et au recrutement dans les rangs des groupes djihadistes ».

      Depuis le siège du Forum social sénégalais (FSS), à Dakar, Mamadou Mignane Diouf abonde : « L’UE a un comportement inhumain, intellectuellement et diplomatiquement malhonnête. » Le coordinateur du FSS cite le cas récent de l’accueil réservé aux réfugiés ukrainiens ayant fui la guerre, qui contraste avec les naufrages incessants en Méditerranée et dans l’océan Atlantique, et avec la fermeture des ports italiens aux bateaux des ONG internationales engagées dans des opérations de recherche et de sauvetage des migrants. « Quel est ce monde dans lequel les droits de l’homme ne sont accordés qu’à certaines personnes en fonction de leur origine ?, se désole-t-il. À chaque réunion internationale sur la migration, nous répétons aux dirigeants européens que s’ils investissaient un tiers de ce qu’ils allouent à Frontex dans des politiques de développement local transparentes, les jeunes Africains ne seraient plus contraints de partir. » Le budget total alloué à Frontex, en constante augmentation depuis 2016, a dépassé les 754 millions d’euros en 2022, contre 535 millions l’année précédente.
      Une des routes migratoires les plus meurtrières

      Boubacar Seye, directeur de l’ONG Horizon sans Frontières, parle de son côté d’une « gestion catastrophique et inhumaine des frontières et des phénomènes migratoires ». Selon les estimations de l’ONG espagnole Caminando Fronteras, engagée dans la surveillance quotidienne de ce qu’elle appelle la « nécro-frontière ouest-euro-africaine », entre 2018 et 2022, 7 865 personnes originaires de 31 pays différents, dont 1 273 femmes et 383 enfants, auraient trouvé la mort en tentant de rejoindre les côtes espagnoles des Canaries à bord de pirogues en bois et de canots pneumatiques cabossés – soit une moyenne de 6 victimes chaque jour. Il s’agit de l’une des routes migratoires les plus dangereuses et les plus meurtrières au monde, avec le triste record, ces cinq dernières années, d’au moins 250 bateaux qui auraient coulé avec leurs passagers à bord. Le dernier naufrage connu a eu lieu le 2 octobre 2022. Selon le récit d’un jeune Ivoirien de 27 ans, seul survivant, le bateau a coulé après neuf jours de mer, emportant avec lui 33 vies.

      Selon les chiffres fournis par le ministère espagnol de l’Intérieur, environ 15 000 personnes sont arrivées aux îles Canaries en 2022 – un chiffre en baisse par rapport à 2021 (21 000) et 2020 (23 000). Et pour cause : la Guardia Civil espagnole a déployé des navires et des hélicoptères sur les côtes du Sénégal et de la Mauritanie, dans le cadre de l’opération « Hera » mise en place dès 2006 (l’année de la « crise des pirogues ») grâce à des accords de coopération militaire avec les deux pays africains, et en coordination avec Frontex.

      « Les frontières de l’Europe sont devenues des lieux de souffrance, des cimetières, au lieu d’être des entrelacs de communication et de partage, dénonce Boubacar Seye, qui a obtenu la nationalité espagnole. L’Europe se barricade derrière des frontières juridiques, politiques et physiques. Aujourd’hui, les frontières sont équipées de moyens de surveillance très avancés. Mais, malgré tout, les naufrages et les massacres d’innocents continuent. Il y a manifestement un problème. » Une question surtout le hante : « Combien d’argent a-t-on injecté dans la lutte contre la migration irrégulière en Afrique au fil des ans ? Il n’y a jamais eu d’évaluation. Demander publiquement un audit transparent, en tant que citoyen européen et chercheur, m’a coûté la prison. » L’activiste a été détenu pendant une vingtaine de jours en janvier 2021 au Sénégal pour avoir osé demander des comptes sur l’utilisation des fonds européens. De la fenêtre de son bureau, à Dakar, il regarde l’océan et s’alarme : « L’ère post-Covid et post-guerre en Ukraine va générer encore plus de tensions géopolitiques liées aux migrations. »
      Un outil policier contesté à gauche

      Bruxelles, novembre 2022. Nous rencontrons des professeurs, des experts des questions migratoires et des militants belges qui dénoncent l’approche néocoloniale des politiques migratoires de l’Union européenne (UE). Il est en revanche plus difficile d’échanger quelques mots avec les députés européens, occupés à courir d’une aile à l’autre du Parlement européen, où l’on n’entre que sur invitation. Quelques heures avant la fin de notre mission, nous parvenons toutefois à rencontrer Amandine Bach, conseillère politique sur les questions migratoires pour le groupe parlementaire de gauche The Left. « Nous sommes le seul parti qui s’oppose systématiquement à Frontex en tant qu’outil policier pour gérer et contenir les flux migratoires vers l’UE », affirme-t-elle.

      Mme Bach souligne la différence entre « statut agreement » (accord sur le statut) et « working arrangement » (arrangement de travail) : « Il ne s’agit pas d’une simple question juridique. Le premier, c’est-à-dire celui initialement proposé au Sénégal, est un accord formel qui permet à Frontex un déploiement pleinement opérationnel. Il est négocié par le Conseil de l’Europe, puis soumis au vote du Parlement européen, qui ne peut que le ratifier ou non, sans possibilité de proposer des amendements. Le second, en revanche, est plus symbolique qu’opérationnel et offre un cadre juridique plus simple. Il n’est pas discuté par le Parlement et n’implique pas le déploiement d’agents et de moyens, mais il réglemente la coopération et l’échange d’informations entre l’agence européenne et les États tiers. » Autre différence substantielle : seul l’accord sur le statut peut donner – en fonction de ce qui a été négocié entre les parties – une immunité partielle ou totale aux agents de Frontex sur le sol non européen. L’agence dispose actuellement de tels accords dans les Balkans, avec des déploiements en Serbie et en Albanie (d’autres accords seront bientôt opérationnels en Macédoine du Nord et peut-être en Bosnie, pays avec lequel des négociations sont en cours).

      Cornelia Ernst (du groupe parlementaire The Left), la rapporteuse de l’accord entre Frontex et le Sénégal nommée en décembre 2022, va droit au but : « Je suis sceptique, j’ai beaucoup de doutes sur ce type d’accord. La Commission européenne ne discute pas seulement avec le Sénégal, mais aussi avec la Mauritanie et d’autres pays africains. Le Sénégal est un pays de transit pour les réfugiés de toute l’Afrique de l’Ouest, et l’UE lui offre donc de l’argent dans l’espoir qu’il accepte d’arrêter les réfugiés. Nous pensons que cela met en danger la liberté de circulation et d’autres droits sociaux fondamentaux des personnes, ainsi que le développement des pays concernés, comme cela s’est déjà produit au Soudan. » Et d’ajouter : « J’ai entendu dire que le Sénégal n’est pas intéressé pour le moment par un “statut agreement”, mais n’est pas fermé à un “working arrangement” avec Frontex, contrairement à la Mauritanie, qui négocie un accord substantiel qui devrait prévoir un déploiement de Frontex. »

      Selon Mme Ernst, la stratégie de Frontex consiste à envoyer des agents, des armes, des véhicules, des drones, des bateaux et des équipements de surveillance sophistiqués, tels que des caméras thermiques, et à fournir une formation aux gardes-frontières locaux. C’est ainsi qu’ils entendent « protéger » l’Europe en empêchant les réfugiés de poursuivre leur voyage. La question est de savoir ce qu’il adviendra de ces réfugiés bloqués au Sénégal ou en Mauritanie en cas d’accord.
      Des rapports accablants

      Principal outil de dissuasion développé par l’UE en réponse à la « crise migratoire » de 2015-2016, Frontex a bénéficié en 2019 d’un renforcement substantiel de son mandat, avec le déploiement de 10 000 gardes-frontières prévu d’ici à 2027 (ils sont environ 1 500 aujourd’hui) et des pouvoirs accrus en matière de coopération avec les pays non européens, y compris ceux qui ne sont pas limitrophes de l’UE. Mais les résultats son maigres. Un rapport de la Cour des comptes européenne d’août 2021 souligne « l’inefficacité de Frontex dans la lutte contre l’immigration irrégulière et la criminalité transfrontalière ». Un autre rapport de l’Office européen de lutte antifraude (Olaf), publié en mars 2022, a quant à lui révélé des responsabilités directes et indirectes dans des « actes de mauvaise conduite » à l’encontre des exilés, allant du harcèlement aux violations des droits fondamentaux en Grèce, en passant par le refoulement illégal de migrants dans le cadre d’opérations de rapatriement en Hongrie.

      Ces rapports pointent du doigt les plus hautes sphères de Frontex, tout comme le Frontex Scrutiny Working Group (FSWG), une commission d’enquête créée en février 2021 par le Parlement européen dans le but de « contrôler en permanence tous les aspects du fonctionnement de Frontex, y compris le renforcement de son rôle et de ses ressources pour la gestion intégrée des frontières et l’application correcte du droit communautaire ». Ces révélations ont conduit, en mars 2021, à la décision du Parlement européen de suspendre temporairement l’extension du budget de Frontex et, en mai 2022, à la démission de Fabrice Leggeri, qui était à la tête de l’agence depuis 2015.
      Un tabou à Dakar

      « Actuellement aucun cadre juridique n’a été défini avec un État africain », affirme Frontex. Si dans un premier temps l’agence nous a indiqué que les discussions avec le Sénégal étaient en cours – « tant que les négociations sur l’accord de statut sont en cours, nous ne pouvons pas les commenter » (19 janvier 2023) –, elle a rétropédalé quelques jours plus tard en précisant que « si les négociations de la Commission européenne avec le Sénégal sur un accord de statut n’ont pas encore commencé, Frontex est au courant des négociations en cours entre la Commission européenne et la Mauritanie » (1er février 2023).

      Interrogé sur les négociations avec le Sénégal, la chargée de communication de Frontex, Paulina Bakula, nous a envoyé par courriel la réponse suivant : « Nous entretenons une relation de coopération étroite avec les autorités sénégalaises chargées de la gestion des frontières et de la lutte contre la criminalité transfrontalière, en particulier avec la Direction générale de la police nationale, mais aussi avec la gendarmerie, l’armée de l’air et la marine. » En effet, la coopération avec le Sénégal a été renforcée avec la mise en place d’un officier de liaison Frontex à Dakar en janvier 2020. « Compte tenu de la pression continue sur la route Canaries-océan Atlantique, poursuit Paulina Bakula, le Sénégal reste l’un des pays prioritaires pour la coopération opérationnelle de Frontex en Afrique de l’Ouest. Cependant, en l’absence d’un cadre juridique pour la coopération avec le Sénégal, l’agence a actuellement des possibilités très limitées de fournir un soutien opérationnel. »

      Interpellée sur la question des droits de l’homme en cas de déploiement opérationnel en Afrique de l’Ouest, Paulina Bakula écrit : « Si l’UE conclut de tels accords avec des partenaires africains à l’avenir, il incombera à Frontex de veiller à ce qu’ils soient mis en œuvre dans le plein respect des droits fondamentaux et que des garanties efficaces soient mises en place pendant les activités opérationnelles. »

      Malgré des demandes d’entretien répétées durant huit mois, formalisées à la fois par courriel et par courrier, aucune autorité sénégalaise n’a accepté de répondre à nos questions. « Le gouvernement est conscient de la sensibilité du sujet pour l’opinion publique nationale et régionale, c’est pourquoi il ne veut pas en parler. Et il ne le fera probablement pas avant les élections présidentielles de 2024 », confie, sous le couvert de l’anonymat, un homme politique sénégalais. Il constate que la question migratoire est devenue, ces dernières années, autant un ciment pour la société civile qu’un tabou pour la classe politique ouest-africaine.

      https://afriquexxi.info/Au-Senegal-les-desseins-de-Frontex-se-heurtent-aux-resistances-locales
      #conditionnalité #conditionnalité_de_l'aide_au_développement #remittances #résistance

    • What is Frontex doing in Senegal? Secret services also participate in their network of “#Risk_Analysis_Cells

      Frontex has been allowed to conclude stationing agreements with third countries since 2016. However, the government in Dakar does not currently want to allow EU border police into the country. Nevertheless, Frontex has been active there since 2006.

      When Frontex was founded in 2004, the EU states wrote into its border agency’s charter that it could only be deployed within the Union. With developments often described as the “refugee crisis,” that changed in the new 2016 regulation, which since then has allowed the EU Commission to negotiate agreements with third countries to send Frontex there. So far, four Balkan states have decided to let the EU migration defense agency into the country – Bosnia and Herzegovina could become the fifth candidate.

      Frontex also wanted to conclude a status agreement with Senegal based on this model (https://digit.site36.net/2022/02/11/status-agreement-with-senegal-frontex-wants-to-operate-in-africa-for-t). In February 2022, the EU Commissioner for Home Affairs, Ylva Johansson, announced that such a treaty would be ready for signing by the summer (https://www.france24.com/en/live-news/20220211-eu-seeks-to-deploy-border-agency-to-senegal). However, this did not happen: Despite high-level visits from the EU (https://digit.site36.net/2022/02/11/status-agreement-with-senegal-frontex-wants-to-operate-in-africa-for-t), the government in Dakar is apparently not even prepared to sign a so-called working agreement. It would allow authorities in the country to exchange personal data with Frontex.

      Senegal is surrounded by more than 2,600 kilometers of external border; like neighboring Mali, Gambia, Guinea and Guinea-Bissau, the government has joined the Economic Community of West African States (ECOWAS). Similar to the Schengen area, the agreement also regulates the free movement of people and goods in a total of 15 countries. Senegal is considered a safe country of origin by Germany and other EU member states like Luxembourg.

      Even without new agreements, Frontex has been active on migration from Senegal practically since its founding: the border agency’s first (and, with its end in 2019, longest) mission started in 2006 under the name “#Hera” between West Africa and the Canary Islands in the Atlantic (https://www.statewatch.org/media/documents/analyses/no-307-frontex-operation-hera.pdf). Border authorities from Mauritania were also involved. The background to this was the sharp increase in crossings from the countries at the time, which were said to have declined successfully under “Hera.” For this purpose, Frontex received permission from Dakar to enter territorial waters of Senegal with vessels dispatched from member states.

      Senegal has already been a member of the “#Africa-Frontex_Intelligence_Community” (#AFIC) since 2015. This “community”, which has been in existence since 2010, aims to improve Frontex’s risk analysis and involves various security agencies to this end. The aim is to combat cross-border crimes, which include smuggling as well as terrorism. Today, 30 African countries are members of AFIC. Frontex has opened an AFIC office in five of these countries, including Senegal since 2019 (https://frontex.europa.eu/media-centre/news/news-release/frontex-opens-risk-analysis-cell-in-senegal-6nkN3B). The tasks of the Frontex liaison officer stationed there include communicating with the authorities responsible for border management and assisting with deportations from EU member states.

      The personnel of the national “Risk Analysis Cells” are trained by Frontex. Their staff are to collect strategic data on crime and analyze their modus operandi, EU satellite surveillance is also used for this purpose (https://twitter.com/matthimon/status/855425552148295680). Personal data is not processed in the process. From the information gathered, Frontex produces, in addition to various dossiers, an annual situation report, which the agency calls an “#Pre-frontier_information_picture.”

      Officially, only national law enforcement agencies participate in the AFIC network, provided they have received a “mandate for border management” from their governments. In Senegal, these are the National Police and the Air and Border Police, in addition to the “Department for Combating Trafficking in Human Beings and Similar Practices.” According to the German government, the EU civil-military missions in Niger and Libya are also involved in AFIC’s work.

      Information is not exchanged with intelligence services “within the framework of AFIC activities by definition,” explains the EU Commission in its answer to a parliamentary question. However, the word “by definition” does not exclude the possibility that they are nevertheless involved and also contribute strategic information. In addition, in many countries, police authorities also take on intelligence activities – quite differently from how this is regulated in Germany, for example, in the separation requirement for these authorities. However, according to Frontex’s response to a FOIA request, intelligence agencies are also directly involved in AFIC: Morocco and Côte d’Ivoire send their domestic secret services to AFIC meetings, and a “#Center_for_Monitoring_and_Profiling” from Senegal also participates.

      Cooperation with Senegal is paying off for the EU: Since 2021, the total number of arrivals of refugees and migrants from Senegal via the so-called Atlantic route as well as the Western Mediterranean route has decreased significantly. The recognition rate for asylum seekers from the country is currently around ten percent in the EU.

      https://digit.site36.net/2023/08/27/what-is-frontex-doing-in-senegal-secret-services-also-participate-in-t
      #services_de_renseignement #données #services_secrets

  • L’#asile au prisme du #terrorisme

    Un dernier épisode sur les évolutions récentes des pratiques juridiques en matière de droit d’asile en France en lien avec le terrorisme, et en particulier le traitement politique et médiatique de ce que l’on a appelé, à tort ou à raison, la "#question_tchétchène".

    Autour du témoignage, à Paris puis à Grenoble où il est aujourd’hui assigné à résidence, d’un jeune homme tchétchène accusé de terrorisme et l’analyse de son avocate Lucie Simon – mise en perspective par un professeur de droit public (Thibaut Fleury-Graff) et une historienne spécialiste de la Russie contemporaine (Anne le Huérou) –,ce dernier épisode est consacré à la question des rapports entre droit d’asile et terrorisme.

    Que ressent un jeune homme qui a grandi en France face à la menace d’#expulsion qui plane sur lui ; “Étant arrivé en France à seulement sept ans, devoir me justifier sur des choses de mon pays d’accueil, c’est très compliqué. C’est vraiment dur de se dire qu’il faille se justifier. Parce que j’ai grandi en France et je suis allé à l’école en France. J’ai tout vécu en France. En réalité, si on regarde bien, ma vie a commencé en France, ce n’était pas vraiment une vie avant cela. Donc devoir se justifier, oui, à ce sujet-là, c’est plutôt compliqué.”

    Quelle évolution récente de l’accueil des personnes réfugiées en France au prisme du terrorisme ? Qu’est-ce qu’une note blanche que l’avocat Gilles Piquois qualifie “d’insupportable” et “de #bobard_politique” ? Et dans quelle mesure ce document discrétionnaire des #services_de_renseignement joue-t-il dorénavant un rôle décisif dans l’examen des demandes d’asile formulées auprès de la Cour Nationale du Droit d’Asile (#CNDA) ?

    Plus spécifiquement, peut-on parler d’une #stigmatisation des ressortissants tchétchènes depuis l’assassinat de #Samuel_Patty (octobre 2020) et les affrontements de Dijon (juin 2020) ? Qu’est-ce que l’affaire dite "#Gadaev" ?

    Et enfin, dans quelle mesure peut-on dire, comme l’affirmera Gilles Piquois, que l’importance de la défense du droit des étrangers revient en fin de compte à prendre la défense des droits et du droit plus largement ? En effet, il alerte : “Attention, un train peut en cacher un autre. Il est bien clair que le droit des étrangers est un #laboratoire de ce qui nous attend après nous, les nationaux. On commence les saloperies sur les étrangers et ensuite, ce ne sont plus que les étrangers qui en sont victimes. Et ça, on peut vous démontrer que ça existe, et que ça a toujours existé. C’est pour ça que défendre les #droits_des_étrangers, ce n’est pas un altruisme totalement d’une autre planète, c’est au contraire la défense de nos droits. Nos droits sont les mêmes, il n’y a pas de différence entre national et étranger et c’est la #défense_des_droits et du droit qui doit absolument être menée avec fermeté.”

    https://www.radiofrance.fr/franceculture/podcasts/lsd-la-serie-documentaire/l-asile-au-prisme-du-terrorisme-9657805

    –—

    Où Me Lucie Simon raconte de la résistance d’un steward (à partir de la min 13’20) :

    « On a un steward, en civil, qui était en passager sur le vol, qui est venu nous voir de lui-même et qui nous a dit : ’J’ai compris, je vais appeler le commandant de bord’. C’est là où on a à nouveau foi en l’humanité, parce qu’on voit ce commandant de bord qui arrive et qui nous dit : ’Moi, je fais du transport de passagers, je ne fais pas du transport de bétail’. Et il ajout qu’il n’est pas dans son avion et il ne montera pas dans son avion. »

    –-> ajouté à la métaliste sur la #résistance de #passagers (mais aussi de #pilotes) aux #renvois_forcés :
    https://seenthis.net/messages/725457

    #Djakhar #anti-terrorisme #justice #droit_d'asile #migrations #réfugiés #CRA #rétention #détention_administrative #réfugiés_tchétchènes #podcast #audio #renvois

  • #Terrorisme : au nom de sa #sécurité, la #France expulse toujours plus

    Depuis 2018, l’Hexagone a expulsé plus de la moitié des islamistes radicalisés fichés et en situation de séjour irrégulier en France. Et selon la volonté du ministre de l’Intérieur, le nombre d’expulsions devrait encore augmenter. C’est un des axes du contre-terrorisme français, rapporte la Deutsche Welle.

    Agir plus vite et plus durement avec les immigrés condamnés pour des crimes graves, telle est la consigne donnée aux préfets de France par le ministre de l’Intérieur, Gérald #Darmanin, en juin. Les #titres_de_séjour sont à réexaminer, et des expulsions à prévoir pour les coupables de #crimes graves : homicide, viol, trafic de drogue, violences conjugales ou contre des dépositaires de l’autorité publique. Voilà le dernier cap fixé par la France pour améliorer la sécurité sur le territoire, rapporte la Deutsche Welle, qui fait un point sur la stratégie antiterroriste de la France.

    « En parallèle de cette mesure, le gouvernement a également publié de nouveaux #chiffres sur les expulsions », écrit le site de la radio internationale allemande : sur 23’000 #personnes_fichées, car soupçonnées de radicalisation, dans le #FSPRT - le #Fichier_de_signalements_pour_la_prévention_de_la_radicalisation_à_caractère_terroriste -, 1’115 seraient en situation irrégulière sur le territoire. Parmi elles, environ la moitié - 601 - a été expulsée ces trois dernières années. L’autre moitié serait en passe de l’être ou se trouve actuellement en prison, a précisé le gouvernement.

    Le gouvernement Macron n’est pas le seul à opérer de la sorte. Les exécutifs successifs du pays, où plus de 250 personnes ont été victimes d’attentats terroristes ces dernières années, ont répondu en durcissant les lois d’immigration. Dans ce contexte, le sujet des expulsions « est devenu plus explosif », explique le journaliste allemand, qui s’est entretenu avec un expert en contre-terrorisme français.

    Tensions dans les pays du Maghreb

    « Le profil des #terroristes_actifs en France a changé », a ainsi expliqué #Marc_Hecker, chercheur à l’Institut français des relations internationales, à la radio allemande. Selon lui, ceux qui ont perpétré les dernières attaques étaient souvent des #immigrés, des #demandeurs_d'asile ou des personnes entrées clandestinement dans le pays.

    Le chercheur pointe deux évolutions qui en découlent. Premièrement, la France a modifié sa pratique d’expulsion :

    Même si la France n’expulse pas d’individus vers les zones de guerre, la liste des pays vers lesquels aucune expulsion n’est réalisée s’est réduite au fil des années."

    Les capacités limitées des #services_de_renseignements

    Deuxièmement, dans les pays en question, la situation sécuritaire se trouve sous tension. Cela concerne avant tout les pays du Maghreb, qui ont vu les expulsions de France se multiplier. « Envoyer les personnes radicalisées vers des pays qui ne disposent pas des mêmes capacités de surveillance que la France ne fait qu’accentuer le problème pour ces pays », explique Hecker.

    « Impossible pour le moment de savoir si les expulsions permettront d’améliorer durablement la situation sécuritaire tendue de la France, mais cela devrait au moins décharger temporairement les autorités », estime la Deutsche Welle. Un des problèmes centraux reste qu’un fichier comptant 23’000 noms représente un défi de taille constant pour les services de renseignements. De plus, le #fichage de toutes les personnes qui sont passées sous les radars, comme le meurtrier de Samuel Paty ou l’attaquant de Notre-Dame de l’Assomption, à Nice, demande des moyens supplémentaires.

    Quant au changement de #profil des attaquants, il est impossible d’évaluer s’il est passager ou définitif.

    https://www.courrierinternational.com/article/vu-dallemagne-terrorisme-au-nom-de-sa-securite-la-france-expu
    #expulsions #renvois #asile #migrations #réfugiés #machine_à_expulser #islamisme #radicalisation #criminels_étrangers #statistiques #sans-papiers

    ping @cede @karine4 @isskein

  • Cybersécurité : « Les attaques informatiques peuvent créer le chaos », alerte le patron de l’ANSSI | Public Senat
    https://www.publicsenat.fr/article/politique/cybersecurite-les-attaques-informatiques-peuvent-creer-le-chaos-alerte-l

    Interrogé par le sénateur RDSE, Ludovic Haye, ingénieur en cybersécurité de profession, sur la #surveillance par #algorithme des sites internet (dont la majorité est en protocole HTTPS, donc chiffré et protégé) prévu par la future loi antiterroriste, Guillaume Poupard a rejeté une solution technique qui consiste à supprimer le chiffrement. « Je ne veux pas faire de polémiques, mais il faut éviter les mauvaises solutions […] le chiffrement est une technologie qui est là pour aider. Sans chiffrement on ne peut pas faire de cybersécurité […] Le fait de dire que le chiffrement empêche les #services_de_renseignements de faire leur travail d’enquête donc il faut supprimer le #chiffrement, c’est quelque chose qui me fait bondir, ce n’est pas efficace », a-t-il estimé.

    Pour rappel, sur France Inter, fin avril, Gérald Darmanin avait jugé nécessaire de laisser le gouvernement « rentrer et faire des failles de sécurité » au sein « des messageries cryptées ».

  • Procès de la torture en Syrie : les dossiers "César" pour la première fois devant une cour
    https://www.justiceinfo.net/fr/tribunaux/tribunaux-nationaux/45961-proces-torture-syrie-dossiers-cesar-premiere-devant-cour.html

    La semaine dernière à Coblence, le célèbre dossier « César » a été présenté comme élément de preuve devant un tribunal, pour la première fois. Un expert médico-légal a témoigné dans le procès Al-Khatib, qui a analysé les cadavres photographiés sur plus de 50 000 clichés. Sa conclusion : la torture et les meurtres étaient systématiques dans tous les centres de détention des services de renseignement.

    « Compression de la gorge », « état nutritionnel affaibli », « blessures non compatibles avec le maintien en vie », les mots de l’expert médico-légal résonnent comme des abstractions. Mais les images ramènent à la réalité. Corps après corps, la projection s’enchaîne sur le mur de la salle d’audience. Certains sont minces comme des squelettes, d’autres ont des blessures ouvertes. Un corps est entièrement bleu, tandis que d’autres (...)

    #Tribunaux_nationaux

  • Quand la DGSI traque l’ultragauche dans la communauté scientifique française
    https://www.lepoint.fr/societe/quand-la-dgsi-traque-l-ultragauche-dans-la-communaute-scientifique-francaise

    Sur la seule base de contacts avec l’ultragauche, qu’il nie, un ingénieur du Centre national d’études spatiales (Cnes) a été licencié. Il est question de la protection du potentiel scientifique et technique de la nation. Du risque d’affaiblir les moyens de défense de l’État ; de les détourner « à des fins de terrorisme, de prolifération d’armes, de destruction massive ou de contribution à l’accroissement d’arsenaux militaires ». C’est du moins ce qu’affirment notre Code pénal et notre Code de la sécurité (...)

    #activisme #licenciement #surveillance #DGSI

    • Il est question de la protection du potentiel scientifique et technique de la nation. Du risque d’affaiblir les moyens de défense de l’État ; de les détourner « à des fins de terrorisme, de prolifération d’armes, de destruction massive ou de contribution à l’accroissement d’arsenaux militaires ». C’est du moins ce qu’affirment notre Code pénal et notre Code de la sécurité intérieure, et qui justifie, selon le ministère de l’Enseignement supérieur, d’avoir détruit la vie professionnelle de Mathieu*.

      Docteur en informatique, spécialiste en traduction et en gestion de ressources « termino-ontologiques » (sic), cet ingénieur du Centre national d’études spatiales (Cnes) s’est en effet vu reprocher par la Direction générale de la sécurité intérieure (DGSI) d’avoir eu des contacts en 2010 et 2017 avec l’ultragauche. Des accusations très vagues, mais suffisantes pour que le quadragénaire se voie refuser l’accès à la zone à régime restrictif (ZRR) du #Cnes et, donc, par la suite des choses, à être licencié en octobre 2019.

      Une enquête administrative aux résultats contestés

      L’histoire n’est pas banale. On la connaît pourtant dans un autre contexte, quand des personnes soupçonnées d’accointances djihadistes ou islamistes ont été assignées à résidence pendant l’état d’urgence, sur la base des fameuses notes blanches de la DGSI, des notes non signées, non datées, rarement sourcées, qui mettaient en avant leur dangerosité. Des militants écologistes avaient connu le même sort en novembre 2015, se voyant interdire de manifester par peur qu’ils créent des troubles publics pendant la COP21, dans un contexte élevé de menace terroriste.

      Mais le cas de Mathieu est différent : les autorités, sans fournir la moindre #preuve de sa dangerosité, lui interdisent tout avenir professionnel dans l’#aérospatiale, au nom d’opinions politiques ou d’amitiés à l’ultragauche qu’il est supposément censé avoir. Et qu’il nie. Tout commence en décembre 2017. Mathieu signe un CDD avec un sous-traitant du Cnes et obtient l’autorisation d’accéder à la #zone_à_régime_restrictif (#ZRR), où sont traitées des #données_sensibles.

      L’ingénieur décroche un CDI

      Mathieu travaille bien, ses collègues saluent son implication. Il obtient un CDI en avril 2019. À cette occasion, une nouvelle #enquête_administrative est menée, comme la loi le prévoit, pour vérifier que son « comportement [...] n’est pas incompatible avec l’exercice des fonctions ou des missions envisagées ». Cette enquête est obligatoire pour tout personnel qui souhaite accéder à une ZRR.

      Sans que le ministère de l’Enseignement supérieur et de la Recherche le justifie, et à la surprise générale, un #avis_défavorable va cependant être rendu. Mathieu n’ayant plus accès à la ZRR du Cnes, il ne peut plus exercer ses missions. Il est licencié.

      Une #note_blanche totalement vide

      Le quadragénaire et son avocat, Me Raphaël Kempf, saisissent alors la justice pour tenter d’obtenir l’annulation de cet avis défavorable rendu par le ministère, lequel se cache derrière le « secret de la #défense_nationale » et le « #confidentiel_défense » pour refuser de se justifier. Avant, quelques semaines plus tard, de finalement accepter de livrer la note blanche de la DGSI sur laquelle est appuyée sa décision.

      Cette dernière ne comprend qu’une phrase : « Mathieu X. est connu de la Direction générale de la sécurité intérieure pour être apparu en 2010 et 2017 en relation avec la mouvance de l’#ultragauche_radicale. » De quel mouvement s’agit-il ? Dans quel cadre ? A-t-il bu une bière avec Julien Coupat ou participé à une manifestation violente aux côtés d’Antonin Bernanos ? Les #services_de_renseignements ne disent rien d’autre.

      « Extension du domaine du #soupçon »

      La jurisprudence est claire : pour que ces notes blanches soient prises en considération par le tribunal administratif, elles doivent pourtant apporter des éléments factuels, « précis et circonstanciés », qui puissent être, le cas échéant, contestés. « Or, mon client est ici dans l’incapacité de se défendre, s’insurge Me Kempf. Pour paraphraser Michel Houellebecq, nous sommes dans l’extension la plus totale du domaine du soupçon, soupçon qui n’est absolument pas étayé. »

      L’avocat poursuit : « Qu’est-ce que l’ultragauche ici ? De quoi parle-t-on ? Aucune indication n’est donnée quant aux personnes qui seraient membres de cette mouvance avec lesquelles Mathieu X. aurait été en relation. Il n’est pas plus précisé quelle est la nature de ces relations, si elles étaient voulues, ou seulement fortuites et occasionnelles. »

      Pas de menace

      Dans un jugement du 9 janvier 2020, le tribunal administratif de Toulouse a donné raison à l’ingénieur. « L’accès à une zone à régime restrictif est soumis à l’impératif qui s’attache à protéger les accès aux #savoirs, #savoir-faire et #technologies les plus "sensibles" des établissements publics et privés, dont le détournement et la captation pourraient porter atteinte aux intérêts économiques de la nation, renforcer des arsenaux militaires étrangers ou affaiblir les capacités de défense de la nation, contribuer à la prolifération des armes de destruction massive et de leurs vecteurs, et être utilisés à des fins terroristes sur le territoire national et à l’étranger », peut-on lire dans la décision.

      Et les juges de conclure : « Il résulte de l’instruction et notamment des documents versés au dossier par le ministre de l’Enseignement supérieur, de la Recherche et de l’Innovation dans le cadre du débat contradictoire devant le tribunal de céans que les seuls faits reprochés à Mathieu X. ne relèvent pas du secret-défense et se limitent pour Mathieu X. à "être apparu en relation en 2010 et 2017 avec la mouvance de l’ultragauche radicale". Ces éléments peu précis et circonstanciés ne constituent pas des motifs de nature à faire obstacle à ce que le requérant ne puisse pénétrer dans la zone à régime restrictif du Cnes et n’établissent pas en quoi Mathieu X. constituerait une menace pour le potentiel scientifique ou technique de la nation. »

      Le ministère de l’Enseignement supérieur a fait appel. Une audience aura lieu dans les prochains mois. Contacté, le Cnes explique ne pas avoir de marge de manoeuvre dans cette affaire et être « lié à l’avis de son ministère de tutelle ». Mathieu n’a pour le moment pas retrouvé de travail.

      https://www.lepoint.fr/societe/quand-la-dgsi-traque-l-ultragauche-dans-la-communaute-scientifique-francaise
      #DGSI #France #licenciement #extrême_gauche #ultragauche #chercheurs #liberté_académique #recherche #science #nationalisme #sécurité #MESRI

  • La #Suisse sous couverture - Agents infiltrés (1/5)

    En 1955, les #services_de_renseignement américains et l’entreprise suisse #Crypto_AG concluent un accord confidentiel qui permettra l’#espionnage des communications de 130 pays. Durant des décennies, un pan de l’industrie helvétique sera impliqué dans ces activités, malgré la « #neutralité » du pays et avec la bénédiction du Conseil fédéral.

    https://www.rts.ch/play/tv/la-suisse-sous-couverture/video/la-suisse-sous-couverture-agents-infiltres-15?id=10868165

    #histoire #USA #guerre_froide #Crypto #William_Friedman #cryptographie #technologie #espions #renseignements #Boris_Hagelin #neutralité #espionnage #affaire_Buehler #Hans_Buehler #Nora_Makabee #BND #Siemens #Loèches #Valais

    ping @simplicissimus @etraces

    • La Suisse sous couverture - Les grandes oreilles de la Confédération (2/5)

      A #Loèche, #Swisscom, le Département fédéral de la défense et des entreprises privées proches de la #National_Security_Agency (#NSA) gèrent un parc d’antennes pour les communications satellitaires entre la Suisse et l’étranger. En l’an 2000, ce site stratégique devient la porte d’entrée privilégiée de Washington pour espionner les communications dans le monde entier.

      https://www.rts.ch/play/tv/la-suisse-sous-couverture/video/la-suisse-sous-couverture-les-grandes-oreilles-de-la-confederation-25-?id=108681
      #neutralité #télécommunication #satellites #ONYX #services_de_renseignement #USA #Etats-Unis #Jean-Paul_Rouiller #signalhorn #Treasure_Map serveurs_clandestins #déni

    • La Suisse sous couverture - #Genève, nid d’espions (3/5)

      Des salons de l’#ONU truffés de micros, des antennes camouflées dans les missions diplomatiques et des agents russes ou américains infiltrés partout... A Genève, où Edward Snowden travaillait pour la #CIA, le petit monde du renseignement grenouille discrètement et les espions chassent en meute.

      https://www.rts.ch/play/tv/la-suisse-sous-couverture/video/la-suisse-sous-couverture-geneve-nid-despions-35?id=10868210
      #Snowden #Nations_Unies #Special_collection_service (#SCS) #organisations_internationales #système_d'écoute #site_C #Wiesbaden #Fort_Meade #NSA #Russie

    • La Suisse sous couverture - Le secret bunker suisse (4/5)

      Nos données numériques personnelles sont une mine d’or d’informations qu’il faut protéger des regards indiscrets. En Suisse, une législation déficiente – elle date de 1992 – permet à des puissances étrangères d’accéder à ces données. Dans le dossier du « big data », c’est la souveraineté de la Confédération qui est en jeu.

      https://www.rts.ch/play/tv/la-suisse-sous-couverture/video/la-suisse-sous-couverture-le-secret-bunker-suisse-45?id=10868236

      #big_data #données_numériques #coffre-fort_numérique #réduit_national_4.0 #stockage #RGPD #protection_des_données #cloud_act

    • La Suisse sous couverture - Crypto révolution (5/5)

      D’un côté, Google et consorts contrôlent les canaux et le stockage de l’information. De l’autre, une puissante mouvance de hackers tente de rendre cette information publique, en piratant des systèmes informatiques. L’enjeu de cette guerre ? La défense de libertés fondamentales, aussi bien sur internet que dans la société.

      https://www.rts.ch/play/tv/la-suisse-sous-couverture/video/la-suisse-sous-couverture-crypto-revolution-55?id=10868255

      #activisme #résistance #hackers #Digital_Gesellschaft #droits_humains #chaos_computer #club #surveillance #économie_de_la_surveillance

    • La CIA s’est servie d’une entreprise suisse pour espionner plus de 100 pays

      Une affaire d’espionnage secoue la Suisse : pendant des décennies, les services de renseignement américains et allemands ont secrètement utilisé une entreprise suisse et sa technologie pour espionner de nombreux États. Que savaient les autorités suisses à ce sujet ?

      Vue de l’extérieur, la firme zougoise Crypto AG était une entreprise suisse sérieuse, spécialisée dans la technologie de pointe. Elle fabriquait un produit peu utilisé par la plupart des gens : des appareils de chiffrement. Ses clients étaient des États ainsi que leurs armées et services secrets voulant rendre leurs communications secrètes illisibles, c’est-à-dire les crypter ou les chiffrer.

      Cependant, Crypto AG n’était une entreprise normale et respectant les valeurs ayant cours en Suisse que côté pile. Côté face, elle possédait une structure cryptique – au sens propre – car ses propriétaires agissant dans l’ombre étaient, à partir de 1970, l’agence centrale de renseignement américaine (CIA) et le service de renseignement allemand (BND). Les deux services secrets firent en sorte que la technologie de cryptage « swiss made », réputée infaillible, soit munie d’une porte dérobée.

      Grâce à ces manipulations ciblées, la CIA et le BND ont pu espionner 148 États – ennemis ou alliés – pendant des dizaines d’années. Tous ces pays avait investi des millions pour obtenir la technologie de ce pays neutre et digne de confiance qu’était la Suisse. Autrement dit, ils ont payé eux-mêmes les appareils qui les ont trahis.

      Les faits ont été dévoilés à la mi-février par la télévision suisse alémanique SRF, la chaîne allemande ZDF et le « Washington Post » à l’issue d’une enquête commune. L’équipe de recherche s’est appuyée sur des dossiers de la CIA qu’on lui a fait passer en douce, et sur des entretiens avec d’anciens employés de Crypto AG et leurs proches.

      L’ampleur du « coup du siècle des services secrets » – ce sont les termes de la CIA – paraît énorme. L’affaire met en lumière les tensions de l’époque de la guerre froide. La complicité de la CIA et du BND éclaire d’un nouveau jour bon nombre d’événements historiques de ces 50 dernières années. Jusqu’où faut-il réécrire l’histoire mondiale récente ? Seule une étude approfondie des CryptoLeaks le déterminera. L’histoire suisse doit-elle, elle aussi, être révisée ? C’est la question qui fait tant de vagues aussi en Suisse. On se demande ce que les autorités suisses savaient, et si l’État suisse était au courant des agissements des services de renseignement étrangers sur son sol et les a couverts.
      « Le programme a dépassé les espérances les plus folles »

      Dans quelle mesure les activités d’espionnage de la CIA et du BND, s’appuyant sur la technologie truquée de l’entreprise Crypto AG, ont-elles abouti ? Le succès des espions est toujours un échec pour ceux qui en sont victimes : la réponse dépend donc du point de vue adopté. Celui de la CIA, d’après les sources publiées, est le suivant : « Cela a été le projet d’espionnage à la fois le plus productif et le plus long depuis la Seconde Guerre mondiale. » Ainsi, entre 80 et 90 % des communications secrètes de l’Iran ont pu être déchiffrées. D’après la source de la CIA, « le programme a dépassé les espérances les plus folles de ses inventeurs. »

      Ces écoutes ont permis aux États-Unis d’influencer l’issue de tous les grands conflits ou presque à leur profit. Un exemple : selon l’état actuel des sources, le coup d’État militaire au Chili (1973) a été soutenu par les États-Unis sur la base des écoutes. En même temps, la CIA et le BND ont épié les conversations du régime militaire alors parvenu au pouvoir et n’ont donc jamais rien ignoré des méthodes de persécution et de torture qui coûtèrent la vie à 30 000 opposants au régime.
      Beaucoup de questions, premières réponses

      Les révélations sur Crypto AG font beaucoup de vagues, mais il n’est pas encore possible d’en tirer des conclusions définitives. Les grandes questions qu’elles posent esquissent cependant la portée de l’affaire pour la Suisse.

      Pourquoi la CIA et le BND ont-ils utilisé la couverture discrète d’une entreprise suisse ?

      Crypto AG a été fondée en 1952 par le cryptologue suédois Boris Hagelin. Il n’a pas implanté son entreprise en Suisse par hasard : « Lorsqu’on travaillait dans un domaine aussi sensible que la cryptographie, il valait mieux rechercher la protection d’un pays neutre mais faisant preuve de peu de scrupules moraux », indique la source de la CIA. Boris Hagelin a vendu son entreprise en 1970 à une société-écran de la CIA et du BND.

      Ce sont la CIA et le BND qui se sont livrés à ces activités d’espionnage. Pourquoi l’affaire est-elle perçue en Suisse comme un scandale « suisse » ?

      Du point de vue suisse, il est déterminant de savoir si les autorités du pays connaissaient les intentions, le modus operandi et la portée des activités d’espionnage, et si elles les ont tolérées, voire même favorisées.

      Des employés de Crypto AG soupçonnèrent que des puissances étrangères s’étaient immiscées dans les rouages de leur parfaite technique. Ils en ont informé la justice suisse. Que s’est-il passé ensuite ?

      Il est prouvé qu’au milieu des années 1970, un employé a informé des instances officielles que les appareils vendus étaient « dotés de générateurs de clés manipulés permettant aux services d’espionnage allemands et américains de déchiffrer les messages » : c’est ce que dit une fiche des Archives fédérales du 24 juillet 1977. Le problème est que les dossiers relatifs à cette fiche ont en partie disparu…

      La police fédérale suisse a enquêté sur la base de ces accusations, mais sans résultat. Des témoins de l’époque affirment aujourd’hui que les interrogatoires menés par la police ne l’ont été que « pour la forme »...

      Toute l’affaire ne sent-elle pas un peu le réchauffé de l’époque de la guerre froide ?

      Il est vrai que les premières accusations ont été lancées au milieu des années 1970. Et que Hans Bühler, ancien employé de Crypto, a accusé ouvertement son entreprise de collaborer avec des services secrets étrangers (Hans Bühler, soupçonné d’espionnage, a passé neuf mois dans une geôle iranienne, et a publié ses accusations dans un livre paru en 1994). Mais toute la portée de l’affaire n’éclate au grand jour que maintenant, car des preuves ont été fournies par des sources de la CIA. De plus, les activités d’espionnage ont perduré jusqu’en 2018, soit bien après la fin de la guerre froide. Le BND s’en est toutefois retiré en 1993 déjà, à la suite de la réunification de l’Allemagne.

      Dans l’état actuel des connaissances, que savait le Conseil fédéral de ces activités d’espionnage ?

      C’est une question clé. On ne sait pas encore dans quelle mesure des conseillers fédéraux étaient au courant de ces activités. Les documents de la CIA impliquent l’ancien conseiller fédéral Kaspar Villiger (PLR). Aujourd’hui âgé de 79 ans, ce dernier nie vigoureusement avoir été informé des détails.

      Pourquoi est-ce si important de savoir si le Conseil fédéral était au courant des activités d’espionnage ?

      S’il devait s’avérer que le Conseil fédéral, ou certains conseillers fédéraux, connaissaient ces activités d’espionnage, des questions sérieuses se posent : le gouvernement les a-t-il tolérées ? Ou les a-t-il couvertes ? A-t-il accepté que la neutralité suisse serve de leurre ? Et si la Suisse a été complice, a fermé les yeux ou couvert les faits : comment justifier l’espionnage contre des pays belligérants lorsqu’on affiche une politique de neutralité ?

      Comment le Conseil fédéral et le Parlement réagissent-ils à l’affaire ?

      La présidente de la Confédération, Simonetta Sommaruga, a dit très tôt que le gouvernement allait réunir tous les faits et était favorable à une enquête. La ministre de la Défense Viola Amherd a confirmé que son département abrite des documents laissant penser que son prédécesseur Kaspar Villiger était au courant. Désormais, l’affaire fait l’objet d’une enquête de la Délégation des Commissions de gestion des chambres fédérales. Cet organe de contrôle entend déterminer ce que la Suisse savait de ces activités d’espionnage, et si les renseignements suisses en ont même éventuellement même.

      L’affaire des CryptoLeaks met-elle en péril le rôle actuel de la Suisse ?

      La Suisse joue un rôle d’intermédiaire dans de nombreux conflits. Elle propose même ses « bons offices » dans les régions du monde sous tension. Ainsi, elle joue actuellement le « rôle du facteur » entre les États-Unis et l’Iran. La Suisse ne peut endosser ce rôle diplomatique que si sa crédibilité d’État neutre est intacte. C’est précisément cette crédibilité qui est en jeu maintenant. Ajoutons que l’Iran a été particulièrement touché par l’espionnage permis par la technologie « swiss made » truquée et vendue par le représentant de Crypto, Hans Bühler.

      Ce sont les États-Unis et l’Allemagne qui ont espionné d’autres pays. Pourquoi la réputation de la Suisse en souffrirait-elle ?

      L’avenir dira si la perception extérieure de la Suisse a subi des dommages. Mais la perception intérieure de la Suisse est de toute façon affectée : l’image de pays neutre à laquelle tiennent tant de Suisses est endommagée. L’affaire des CryptoLeaks pourrait jeter un discrédit total sur la neutralité suisse (voir aussi le commentaire de notre invité, p. 15).

      Crédibilité, confiance, image de soi : ce sont des facteurs subjectifs. L’affaire menace-t-elle aussi des intérêts économiques tangibles ?

      La Suisse possède une branche technologique en plein essor, qui dépend aussi de l’image de marque du pays. De plus, la Suisse souhaite se vendre comme une « place numérique propre », et promeut une initiative internationale dans le domaine de l’éthique. L’affaire des #CryptoLeaks tombe très mal.

      https://www.revue.ch/fr/editions/2020/03/detail/news/detail/News/la-cia-sest-servie-dune-entreprise-suisse-pour-espionner-plus-de-100-pays

  • The “Deep State” Is a Political Party | The New Republic
    https://newrepublic.com/article/155629/deep-state-political-party

    ... in practice, the U.S. intelligence community, led by former officials, is developing into an organized political faction. Call it the Intelligence Party. Like other factions, at home and abroad, this faction is seeking to gain public support and influence the 2020 presidential election to advance its institutional and political interests.

    #état_profond #états-unis #services_de_renseignement

  • Rennes, laboratoire de l’ordre En marche - Libération
    http://www.liberation.fr/debats/2017/06/18/rennes-laboratoire-de-l-ordre-en-marche_1577668

    Des intellectuels dénoncent les méthodes de policiers et de magistrats qui, dans la ville bretonne, s’affranchiraient de plus en plus du droit commun.

    Ya pas à dire on va pas rigoler tous les jours sous Macron 1er. On le savait déjà mais c’est pas pour ça que c’est plus facile à accepter.
    #maintien_de_l'ordre #rennes #police #justice #luttes #manifestations

    • Pour quatre d’entre eux la juge a validé l’enquête policière permettant d’identifier les auteurs de l’infraction. Identification que 3 d’entre eux ont contesté au vu de leur non présence au moment des faits. Cette enquête est le fruit d’un travail réalisé par les #services_de_renseignements. Il a été mené sur la base du #fichage préalable des mis en cause et donc de la détention de clichés photographiques antérieurs aux faits (parfois même datant d’il y a un an). Les enquêteurs ont affirmés avoir identifié les personnes masquées autour du motard depuis la comparaison entre des détails sur des vêtements. Ils ont été condamnés pour violence sur agent avec 3 circonstances aggravantes, à savoir : en réunion, avec arme, et visage dissimulé. Le chef d’accusation de « groupement en vue de commettre des dégradations ou des violences » n’a pas été retenu étant donné le manque de fondement d’une entente préalable. Décision contradictoire puisque ceux qui n’étaient pas soupçonnés d’avoir porté des coups ont été condamnés pour violence depuis une jurisprudence qui permet de dire que « la violence d’un seul présume de la violence de tous les membres du groupe ». Ce qui fait dire qu’à la question : alors groupe ou pas groupe ? La juge aura répondu « groupe un petit peu quand même ».

      Prévenu 1 : accusé d’avoir donné un coup de pied, comparaissait sous #bracelet_électronique. Condamné à 9 mois de prison ferme + 2 mois pour refus d’ADN = 11 mois fermes et 3 ans d’interdiction de manifester à Rennes. #Mandat_de_dépôt avec aménagement sous bracelet mis en place sous 5 jours. La personne est sortie sous bracelet aujourd’hui.

      Prévenu 2 : accusé d’être l’homme qui demande au policier de baisser son arme, comparaissait sous bracelet électronique. Condamné à 9 mois fermes et 3 ans d’interdiction de manifester à Rennes. Mandat de dépôt avec aménagement sous bracelet électronique organisé sous 5 jours. Sera libéré sous bracelet dans les jours qui viennent.

      Prévenu 3 : accusé de se trouver à quelques mètres non déterminés de l’agression, et donc de participer aux violences par sa simple présence avec visage dissimulé. Condamné à 9 mois fermes avec mandat de dépôt et 3 ans d’interdiction de manifester à Rennes. Peine aménagée avec port de bracelet sous 5 jours. Sera libéré demain.

      Prévenu 4 : accusé d’avoir porté des coups à l’aide d’un pommeau de douche encore relié à son tuyau de douche. Condamné à 12 mois de prison ferme + 3 mois de révocation de sursis + 2 mois ferme pour #refus_d’ADN = 17 mois ferme avec mandat de dépôt sans aménagement prévu et 3 ans d’interdiction de manifester à Rennes.

      Prévenu 5 : Relaxé. Mais #condamnation pour refus d’ADN, outre une révocation d’un #sursis antérieur, pour 6 mois ferme à exécuter, sans mandat de dépôt. A été libéré hier soir après l’audience. Il pourra demander un aménagement de peine.

      Un compte rendu plus détaillé de ce long procès (de 9h à 22H00) opposant version policière et prévenus, sera publié plus tard.

      https://expansive.info/Des-nouvelles-du-proces-du-21-juin-523

  • #Kazakhgate : l’Elysée de Sarkozy a instrumentalisé la #DGSI au profit d’un oligarque
    https://www.mediapart.fr/journal/france/190417/kazakhgate-l-elysee-de-sarkozy-instrumentalise-la-dgsi-au-profit-dun-oliga

    Sous la présidence Sarkozy, les services secrets français ont été manipulés pour le profit personnel d’un oligarque proche du pouvoir kazakh, selon une enquête du Soir et de Mediapart. Ce milliardaire, #Patokh_Chodiev, aidait à l’époque la #France à vendre des #Hélicoptères à Astana sur fond de #pots-de-vin présumés.

    #Airbus #Armand_de_Decker #Belgique #Corruption #Kazakhstan #Nicolas_Sarkozy #Noursoultan_Nazarbaïev #services_de_renseignement #Sûreté_de_l'Etat #trafic_d'influence

  • Les « #schengen_boys » et le nouvel #ordre_sécuritaire

    Le fonctionnement de la #sécurité nationale est calqué sur le modèle européen. C’est ce que démontre une étude qui plonge pour la première fois au cœur de cet univers traditionnellement secret

    https://www.unige.ch/campus/campus128/recherche2
    #Europe #sécurité #asile #migrations #réfugiés #Schengen #Chicago_Boys #Suisse #armée #diplomatie #gardes-frontière #police_fédérale #terrorisme #migrations #SEM #Services_de_renseignement

  • L’échéance présidentielle bouscule le mercato dans les services secrets
    https://www.mediapart.fr/journal/france/250217/l-echeance-presidentielle-bouscule-le-mercato-dans-les-services-secrets

    Bernard Bajolet, patron de la DGSE sur le départ © Reuters Les principales têtes des #services_de_renseignement partent à la retraite au printemps. Leur remplacement se télescope avec l’échéance présidentielle et aiguise les appétits.

    #France #Benoît_Hamon #élections_présidentielles #Emmanuel_Macron #François_Fillon

  • La vie quotidienne des services secrets (3/3) : Paperasse et politique du chiffre
    https://www.mediapart.fr/journal/france/010616/la-vie-quotidienne-des-services-secrets-33-paperasse-et-politique-du-chiff

    Alors que la commission d’enquête parlementaire sur les attentats de 2015 boucle ses auditions jeudi avec celle du ministre de l’intérieur, Mediapart achève son enquête sur le quotidien des services. Récit d’une année durant laquelle l’apocalyptique a côtoyé le dérisoire. © Jacques Guillet

    #France #Bernard_Cazeneuve #DGSI #état_d'urgence #services_de_renseignement #terrorisme

  • La vie quotidienne des services secrets (2/3) : la gestion chaotique des sources humaines
    https://www.mediapart.fr/journal/france/220516/la-vie-quotidienne-des-services-secrets-23-la-gestion-chaotique-des-source

    © Jacques Guillet Alors que la commission d’enquête parlementaire sur les attentats de 2015 interroge lundi les patrons des principaux #services_de_renseignement français, Mediapart poursuit son enquête sur le quotidien de ceux qui, sur le terrain, luttent contre les terroristes. Aujourd’hui, la gestion, chaotique, des sources humaines après le traumatisme de l’affaire Merah.

    #France #Abdelhamid_Abaaoud #Chérif_Kouachi #Mohamed_Merah #Patrick_Calvar

  • La vie quotidienne des services secrets (2/3) : la source des ennuis
    https://www.mediapart.fr/journal/france/220516/la-vie-quotidienne-des-services-secrets-23-la-source-des-ennuis

    Alors que la commission d’enquête parlementaire sur les attentats de 2015 interroge lundi les patrons des principaux #services_de_renseignement français, Mediapart poursuit son enquête sur le quotidien de ceux qui, sur le terrain, luttent contre les terroristes. Aujourd’hui, la gestion, chaotique, des sources humaines après le traumatisme de l’affaire Merah. © Jacques Guillet

    #France #Abdelhamid_Abaaoud #Chérif_Kouachi #Mohamed_Merah #Patrick_Calvar

  • La vie quotidienne des services secrets (1/3) : James Bond contre Système D
    https://www.mediapart.fr/journal/france/150516/la-vie-quotidienne-des-services-secrets-13-james-bond-contre-systeme-d

    Alors que la commission d’enquête parlementaire sur les attentats de 2015 débute lundi avec les auditions des pontes des #services_de_renseignement, Mediapart dévoile le quotidien de ceux qui, sur le terrain, luttent contre les terroristes. Où il apparaît que, malgré la débauche de moyens alloués au lendemain des attentats contre Charlie Hebdo et du 13-Novembre, les contre-espions français doivent toujours improviser avec des bouts de ficelle. © Jacques Guillet

    #France #DGSI #DRPP #Police #SCRT #terrorisme

  • #Thomas_Drake: We′re all foreigners now when it comes to #surveillance | Americas | DW.DE | 16.05.2015
    http://www.dw.de/thomas-drake-were-all-foreigners-now-when-it-comes-to-surveillance/a-18454577

    It doesn’t matter whether you’re a German citizen or a US citizen, as far as each of the countries’ security services are concerned, we’re all foreigners now. And that’s how we’re treated. That should really alarm people.

    #services_de_renseignement