• Lettre ouverte : #Simone_Weil et les anarchistes
    https://www.partage-noir.fr/lettre-ouverte-simone-weil-et-les-anarchistes

    Dans son supplément littéraire du 24 mars [1988], Libération publiait un texte de trois pages de M. Robert Maggiori sur la philosophe Simone Weil, sous le titre : L’Ange rouge. Mystique et révoltée, morte à 34 ans en 1943. Simone Weil a illuminé la philosophie. Cela à propos de l’édition des œuvres com­plètes de Simone Weil. Ce texte, notamment sur l’engagement de Simone Weil dans la guerre d’Espagne aux côtés des anarchistes, méritait quelques précisions et rectifications qui ont fait l’objet d’une lettre de Lucien Feuillade en date du 27 mars à la rédaction de Libération. Cette lettre a valu à l’auteur une carte de M. Maggiori, avec ses remerciements pour les compléments d’information sur Simone Weil. Mais il n’y est pas question d’une publica­tion par Libération. Voici donc le texte de la lettre en (...)

    #Le_Monde_Libertaire #Louis_Mercier-Vega #CNT #Révolution_espagnole_1936-1939 #Mohamed_Saïl #François-Charles_Carpentier
    https://www.partage-noir.fr/IMG/pdf/ml0706_1988-5-mai.pdf

    • Un ouvrage où est évoqué la présence de Simone Weil, pendant la guerre d’Espagne, aux côtés des anarchistes :
      Antoine Gimenez & les Giménologues
      Les Fils de la nuit
      Souvenirs de la guerre d’Espagne. 19 juillet 1936 – 9 février 1939. - Libertalia

      https://editionslibertalia.com/catalogue/ceux-d-en-bas/les-fils-de-la-nuit

      J’avoue que ce livre m’a laissé quelques malaises par le mélange des genres – récit historique et fantasmes érotiques – mais je garde quand même un bon souvenir de ce témoignage, car on arrive à faire assez facilement le tri.

      Sinon, la fin de l’article du Monde libertaire où il est question de « l’amitié entre Nétchaïev et Bakounine » me semble pour le moins surprenante.

      Sauf erreur de ma part, il y a un consensus parmi les anarchistes pour reconnaître que Nétchaïev, loin d’avoir été un ami de Bakounine, a abusé de la confiance de ce dernier, notamment sur l’affaire de la traduction du Capital (voir à ce sujet le volume idoine de l’œuvre complète de Bakounine). Cette affaire ayant été instrumentalisée, comme on le sait, au moment du « congrès de la Haye ».

      De plus, l’histoire de la photo de Nétchaïev sur le bureau de Camus, j’ai beau essayer de l’imaginer, mais, honnêtement, ça le fait pas.

      Ceci étant, l’auteur évoque un souvenir datant de 1950. À ce moment-là, on n’avait pas encore connaissance de tous les écrits de Bakounine, y compris parmi les anarchistes. Ceci expliquerait cela ?

      En tous cas merci pour cette évocation de la mémoire de Simone Weil.

  • « (…) maman croit qu’avec ses excès d’alcool, papa se libère de ses cauchemars, mais quels cauchemars ?, c’est la question que nous avions posée, Nomi et moi, un soir de Saint-Sylvestre où papa avait bu presque jusqu’à en perdre conscience. Mais quelle histoire ?, maman a hésité comme si nous avions posé une de ces questions embarrassantes que posent les enfants : Derrière le soleil, il y a quoi ? Pourquoi n’avons-nous pas de rivière dans notre jardin ? Les communistes ont détruit sa vie, a répondu maman avec une intonation que nous ne lui avions encore jamais entendues, mais votre père vous racontera lui-même un jour, quand vous serez grandes. Grandes, c’est quand ? Un jour, quand le moment sera venu, dans quelques années, quand vous pourrez mieux comprendre tout ça. »
    #communisme #tabou #traumatisme #silence #violence #mémoire #yougoslavie #répression #enfance #famille

    Pigeon vole p. 23

  • Così l’Italia ha svuotato il diritto alla trasparenza sulle frontiere

    Il Consiglio di Stato ha ribadito la inaccessibilità “assoluta” degli atti che riguardano genericamente la “gestione delle frontiere e dell’immigrazione”. Intanto le forniture milionarie del governo a Libia, Tunisia ed Egitto continuano.

    L’Italia fa un gigantesco e preoccupante passo indietro in tema di trasparenza sulle frontiere e di controllo democratico dell’esercizio del potere esecutivo. Su parte delle nostre forniture milionarie alla Libia, anche di natura militare, per bloccare le persone rischia infatti di calare un velo nero. A fine 2023 il Consiglio di Stato ha pronunciato una sentenza che riconosce come non illegittima la “assoluta” inaccessibilità di quegli atti della Pubblica amministrazione che ricadono genericamente nel settore di interesse della “gestione delle frontiere e dell’immigrazione”, svuotando così di fatto l’istituto dell’accesso civico generalizzato che è a disposizione di tutti i cittadini (e non solo dei giornalisti). Non è un passaggio banale dal momento che la conoscenza dei documenti, dei dati e delle informazioni amministrative consente, o meglio, dovrebbe consentire la partecipazione alla vita di una comunità, la vicinanza tra governanti e governati, il consapevole processo di responsabilizzazione della classe politica e dirigente del Paese. Ma la teoria traballa. E ne siamo testimoni.

    Breve riepilogo dei fatti. Il 21 ottobre 2021 l’Agenzia industrie difesa (Aid) -ente di diritto pubblico controllato dal ministero della Difesa- stipula un “Accordo di collaborazione” con la Direzione centrale dell’Immigrazione e della polizia delle frontiere in seno al ministero dell’Interno. Fu il Viminale -allora guidato dalla prefetta Luciana Lamorgese, che come capo di gabinetto ebbe l’attuale ministro, Matteo Piantedosi- a rivolgersi all’Agenzia, chiedendole “la disponibilità a fornire collaborazione per iniziative a favore dei Paesi non appartenenti all’Unione europea finalizzate al rafforzamento delle capacità nella gestione delle frontiere e dell’immigrazione e in materia di ricerca e soccorso in mare”. L’accordo dell’ottobre di tre anni fa riguardava una cooperazione “da attuarsi anche tramite la fornitura di mezzi e materiali” per dare impulso alla seconda fase del progetto “Support to integrated border and migration management in Libya”.

    Il Sibmmil è legato finanziariamente al Fondo fiduciario per l’Africa, istituito dalla Commissione europea a fine 2015 al dichiarato scopo di “affrontare le cause profonde dell’instabilità, degli spostamenti forzati e della migrazione irregolare e per contribuire a una migliore gestione della migrazione”. La prima “fase” del progetto è dotata di un budget di 46,3 milioni di euro, la seconda, quella al centro dell’accordo tra Aid e ministero dell’Interno, di 15 milioni. A beneficiare di queste forniture (navi, formazione, equipaggiamenti, tecnologie), come abbiamo ricostruito in questi anni, sono state soprattutto le milizie costiere libiche, che si sono rese responsabili di gravissime violazioni dei diritti umani. Nel 2022, pochi mesi dopo la stipula dell’accordo, abbiamo inoltrato come Altreconomia un’istanza di accesso civico alla Aid -allora guidata dall’ex senatore Nicola Latorre, sostituito dal dicembre scorso dall’accademica Fiammetta Salmoni- per avere la copia del testo e degli allegati.

    La richiesta fu negata richiamando a mo’ di “sostegno normativo” un decreto del ministero dell’Interno datato 16 marzo 2022 (ancora a guida Lamorgese). L’oggetto di quel provvedimento era l’aggiornamento della “Disciplina delle categorie di documenti sottratti al diritto di accesso ai documenti amministrativi”. Un’apparente formalità. Il Viminale, però, agì di sostanza, includendo tra i documenti ritenuti “inaccessibili per motivi attinenti alla sicurezza, alla difesa nazionale ed alle relazioni internazionali” anche quelli “relativi agli accordi intergovernativi di cooperazione e alle intese tecniche stipulati per la realizzazione di programmi militari di sviluppo, di approvvigionamento e/o supporto comune o di programmi per la collaborazione internazionale di polizia, nonché quelli relativi ad intese tecnico-operative per la cooperazione internazionale di polizia inclusa la gestione delle frontiere e dell’immigrazione”.

    Il 16 gennaio 2023 Roma e Ankara hanno firmato un memorandum per “procedure operative standard” per il distacco in Italia di “esperti della polizia nazionale turca”

    Non solo. In quel decreto si schermava poi un altro soggetto sensibile: Frontex. Vengono infatti classificati come inaccessibili anche i “documenti relativi alla cooperazione con l’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera (appunto Frontex, ndr), per la sorveglianza delle frontiere esterne dell’Unione europea coincidenti con quelle italiane e che non siano già sottratti all’accesso dall’applicazione di classifiche di riservatezza Ue”. Così come le “relazioni, rapporti ed ogni altro documento relativo a problemi concernenti le zone di confine […] la cui conoscenza possa pregiudicare la sicurezza, la difesa nazionale o le relazioni internazionali”.

    È per questo motivo che lo definimmo il “decreto che azzera la trasparenza sulle frontiere”, promuovendo di lì a poco un ricorso al Tar -grazie agli avvocati Giulia Crescini, Nicola Datena, Salvatore Fachile e Ginevra Maccarone dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione e membri del progetto Sciabaca&Oruka- contro i ministeri dell’Interno, della Difesa, della Pubblicazione amministrazione, oltreché l’Agenzia industrie difesa (Aid), proprio per vedere riconosciuto il diritto all’accesso civico generalizzato. In primo grado, però, il Tar del Lazio ci ha dato torto.

    Ed eccoci arrivati al Consiglio di Stato, il cui pronunciamento, pubblicato a metà novembre 2023, ha ritenuto infondato il nostro appello, riconoscendo come “fonte di un divieto assoluto all’accesso civico generalizzato”, non sorretto perciò da alcuna motivazione, proprio quel decreto ministeriale firmato Luciana Lamorgese del marzo 2022. “All’ampliamento della platea dei soggetti che possono avvalersi dell’accesso civico generalizzato corrisponde un maggior rigore normativo nella previsione delle eccezioni poste a tutela dei contro-interessi pubblici e privati”, hanno scritto i giudici della quarta sezione.

    I legali che ci hanno accompagnato in questo percorso non la pensano allo stesso modo. “Il Consiglio di Stato ha affermato che il decreto ministeriale del 16 marzo 2022, una fonte secondaria, non legislativa, adottata in attuazione della disciplina del diverso istituto dell’accesso documentale, abbia introdotto nell’ordinamento un limite assoluto all’accesso civico, che può essere invocato dalla Pubblica amministrazione senza che questa sia tenuta a fornire alcuna motivazione in merito alla sua ricorrenza.

    Si tratta di un’evidente elusione del dettato normativo, che prevede in materia una riserva assoluta di legge”, osservano le avvocate Crescini e Maccarone. Che aggiungono: “I giudici hanno respinto anche la censura relativa all’assoluta genericità del limite introdotto con il decreto ministeriale, che non individua precisamente le categorie di atti sottratti all’accesso, ma al contrario solo il settore di interesse, cioè la gestione delle frontiere e dell’immigrazione, essendo idoneo a ricomprendere qualunque tipologia di atto, documento o dato, di fatto svuotando di contenuto l’istituto”. Questa sentenza del Consiglio di Stato rischia di rappresentare un precedente preoccupante. “L’accesso civico è uno strumento moderno che avrebbe potuto garantire la trasparenza degli atti della Pubblica amministrazione secondo canoni condivisibili che rispecchiano le esigenze che si sono cristallizzate in tutta Europa nel corso degli ultimi anni -riflettono le avvocate-. Tuttavia con questa interpretazione l’istituto viene totalmente svuotato di significato, costringendoci a fare un passo indietro di notevole importanza in tema di trasparenza, che è chiamata ad assicurare l’effettivo andamento democratico di un ordinamento giuridico”.

    I mezzi guardacoste che l’Italia si appresta a cedere quest’anno alla Guardia nazionale del ministero dell’Interno tunisino sono sei

    Le forniture italiane per ostacolare i transiti, intanto, continuano. Negli ultimi mesi la Direzione centrale dell’Immigrazione e della polizia delle frontiere del Viminale -retta da Claudio Galzerano, già a capo di Europol- ha ripreso con forza a bandire gare o pubblicare, a cose fatte, affidamenti diretti. Anche per trasferte o distacchi in Italia di “ufficiali” libici, tunisini, ivoriani o “esperti della polizia nazionale turca”. La delegazione della Libyan coast guard and port security, ad esempio, è stata portata dal 15 al 18 gennaio di quest’anno alla base navale della Guardia di Finanza a Capo Miseno (NA) per una “visita tecnica”. Nei mesi prima altre “autorità libiche” erano state formate alle basi di Gaeta (LT) o Capo Miseno. Gli ufficiali della Costa d’Avorio sono stati in missione dal 30 ottobre scorso al 20 gennaio 2024 “in materia di rimpatri”. Sono stati portati nei punti caldi di Lampedusa e Ventimiglia.

    Al dicembre 2023 risale invece la firma dell’accordo tra la Direzione centrale e il Comando generale della Gdf per la fornitura di navi, assistenza, manutenzione, supporto tecnico-logistico a beneficio di Libia, Tunisia ed Egitto. Obiettivo: il “rafforzamento delle capacità nella gestione delle frontiere e dell’immigrazione e in materia di ricerca e soccorso in mare”. Proprio alla Guardia nazionale del ministero dell’Interno di Tunisi finiranno sei guardacoste litoranei della classe “G.L. 1.400”, con servizi annessi del tipo “consulenza, assistenza e tutoraggio”, per un valore di 4,8 milioni di euro (i soldi li mette il Viminale, i mezzi e la competenza la Guardia di Finanza). Navi ma anche carburante. A inizio gennaio di quest’anno il direttore Galzerano, dietro presunta richiesta di non ben precisate “autorità tunisine”, ha approvato la spesa di “nove milioni di euro circa” (testualmente) per “il pagamento del carburante delle unità navali impegnate nella lotta all’immigrazione clandestina e nelle operazioni di ricerca e di soccorso” nelle acque tunisine. Dove hanno recuperato le risorse? Da un fondo ministeriale dedicato a “misure volte alla prevenzione e al contrasto della criminalità e al potenziamento della sicurezza nelle strutture aeroportuali e nelle principali stazioni ferroviarie anche attraverso imprescindibili misure di cooperazione internazionale”. Chissà quale sarà la prossima fermata.

    https://altreconomia.it/cosi-litalia-ha-svuotato-il-diritto-alla-trasparenza-sulle-frontiere
    #Tunisie #Egypte #transparence #Agenzia_industrie_difesa (#Aid) #Support_to_integrated_border_and_migration_management_in_Libya (#Sibmmil) #Fonds_fiduciaire_pour_l'Afrique #gardes-côtes_libyens #Frontex

  • Israel Held 82-year-old Gaza Woman With Alzheimer’s for Two Months as an ’Unlawful Combatant’
    https://www.haaretz.com/israel-news/2024-02-01/ty-article/.premium/israel-held-gaza-woman-82-with-alzheimers-for-two-months-as-an-unlawful-combatant/0000018d-613a-de6e-a79f-73bbc94d0000

    The Israel Defense Forces and the Israel Prison Authority arrested and imprisoned for almost two months an 82-year-old Gaza woman who suffers from Alzheimer’s disease. She was jailed under the Incarceration of Unlawful Combatants Law. Because she was considered an unlawful combatant, Damon Prison in Israel’s north also refused a request by a lawyer from the Israeli organization Physicians for Human Rights to meet with her. She was released two weeks ago after an appeal was filed over the refusal to permit her to meet with the lawyer.

  • Robin Myers sur X :
    https://twitter.com/robin_ep_myers/status/1752486974315700527

    Comment distraire un enfant de Gaza dont la blessure nécessite d’être suturée sans anesthésie ?

    Lui demander quel est son meilleur ami ? Et s’il était mort ?

    Quel est son plat favori ? Mais quand a-t-il mangé pour la dernière fois ?

    Quelle est sa matière préférée à l’école ? Il n’y va plus depuis 3 mois.

    #Gaza #enfants #génocide #sionisme

  • « Pas un #euro aux #nazis d’#Israël » :-D :-D :-D

    Ca vole pas très haut, au niveau des interlocuteurs... particulièrement les #fanatiques #sionistes

    « Pas un #shekel aux nazis de #Gaza » : Israël gèle une partie des fonds de l’#Autorité_palestinienne

    « Israël a gelé le remboursement de plus de 100 millions de dollars appartenant à l’Autorité palestinienne en affirmant que ces fonds auraient pu servir au #Hamas, le mouvement #islamiste qui contrôle la bande de Gaza.

    En Israël, le gouvernement de Benyamin #Netanyahou s’est livré à tour de passe-passe financier. Sous la pression constante de #Bezalel_Smotrich, le ministre des #Finances et chef d’un parti d’#ultradroite, le remboursement de 120 millions de dollars à l’Autorité palestinienne a été gelé sur un compte en Norvège. (...) »

    #politique #occident #monde #marchands_du_temple #marchandage #confiscation #l_argent_ca_va_ca_vient #seenthis #vangauguin

    https://www.marianne.net/monde/proche-orient/pas-un-shekel-aux-nazis-de-gaza-israel-gele-une-partie-des-fonds-de-l-auto

    • Così l’Italia ha svuotato il diritto alla trasparenza sulle frontiere

      Il Consiglio di Stato ha ribadito la inaccessibilità “assoluta” degli atti che riguardano genericamente la “gestione delle frontiere e dell’immigrazione”. Intanto le forniture milionarie del governo a Libia, Tunisia ed Egitto continuano.

      https://seenthis.net/messages/1039671

  • Introducing #Compressonator v4.5 with up to 20% improvement in #brotli-g #compression
    https://gpuopen.com/learn/compressonator-v4-5-improved-brotli-g-compression

    AMD GPUOpen - Graphics and game developer resources Compressonator v4.5 introduces improved BC1-BC5 compression that reduces file sizes on average by 10%-15% using a new Brotli-G zip packaging feature, mipmap changes, ETC codec fixes, and more.

    #Article #Single_Blog #compressonator_v4.5_is_available_now #SDK

  • Palestinians are eating grass and drinking polluted water as famine looms across #Gaza | CNN
    https://www.cnn.com/2024/01/30/middleeast/famine-looms-in-gaza-israel-war-intl/index.html
    https://media.cnn.com/api/v1/images/stellar/prod/240130141129-rafah-food-aid-122123.jpg

    As Gaza spirals toward full-scale famine, displaced civilians and health workers told CNN they go hungry so their children can eat what little is available. If Palestinians find water, it is likely undrinkable. When relief trucks trickle into the strip, people clamber over each other to grab aid. Children living on the streets, after being forced from their homes by Israel’s bombardment, cry and fight over stale bread. Others reportedly walk for hours in the cold searching for food, risking exposure to Israeli strikes.

    Even before the war, two out of three people in Gaza relied on food support, Arif Husain, the chief economist at the World Food Programme (WFP), told CNN. Palestinians have lived through 17 years of partial blockade imposed by Israel and Egypt.

    #génocide #famine ##communauté_internationale #sionisme #genocide_joe

  • Vivre et lutter dans un monde toxique. #Violence_environnementale et #santé à l’âge du #pétrole

    Pour en finir avec les success stories pétrolières, voici une histoire des territoires sacrifiés à la transformation des #hydrocarbures. Elle éclaire, à partir de sources nouvelles, les #dégâts et les #luttes pour la santé au XXe siècle, du #Japon au #Canada, parmi les travailleurs et travailleuses des enclaves industrielles italiennes (#Tarento, #Sardaigne, #Sicile), auprès des pêcheurs et des paysans des « #Trente_Ravageuses » (la zone de #Fos / l’étang de# Berre, le bassin gazier de #Lacq), ou encore au sein des Premières Nations américaines et des minorités frappées par les #inégalités_environnementales en #Louisiane.
    Ces différents espaces nous racontent une histoire commune : celle de populations délégitimées, dont les plaintes sont systématiquement disqualifiées, car perçues comme non scientifiques. Cependant, elles sont parvenues à mobiliser et à produire des savoirs pour contester les stratégies entrepreneuriales menaçant leurs #lieux_de_vie. Ce livre expose ainsi la #tension_sociale qui règne entre défense des #milieux_de_vie et #profits économiques, entre santé et #emploi, entre logiques de subsistance et logiques de #pétrolisation.
    Un ouvrage d’une saisissante actualité à l’heure de la désindustrialisation des #territoires_pétroliers, des #conflits sur la #décarbonation des sociétés contemporaines, et alors que le désastre de #Lubrizol a réactivé les interrogations sur les effets sanitaires des dérivés pétroliers.

    https://www.seuil.com/ouvrage/vivre-et-lutter-dans-un-monde-toxique-collectif/9782021516081

    #peuples_autochtones #pollution #toxicité #livre

    • Ces territoires sacrifiés au pétrole

      La société du pétrole sur laquelle s’est bâtie notre prospérité ne s’est pas faite sans sacrifices. Gwenola Le Naour et Renaud Bécot, co-directeurs d’un ouvrage sur ce sujet, lèvent le voile sur les dégâts causés par cette « pétrolisation » du monde, en France et à l’étranger.

      Si le pétrole et ses produits ont permis l’émergence de notre mode de vie actuel, l’activité des raffineries et autres usines de la pétrochimie a abîmé les écosystèmes et les paysages et a des effets de long terme sur la santé humaine. Dans le livre qu’ils ont coordonné, Vivre et lutter dans un monde toxique (Seuil, septembre 2023), Gwénola Le Naour et Renaud Bécot lèvent le voile sur les dégâts causés par cette « pétrolisation » du monde, selon leurs propres mots. Ils ont réuni plusieurs études de cas dans des territoires en France et à l’étranger pour le démontrer. Un constat d’autant plus actuel que la société des hydrocarbures est loin d’être révolue : la consommation de pétrole a atteint un record absolu en 2023, avec plus de 100 millions de barils par jour en moyenne.

      À la base de votre ouvrage, il y a ce que vous appelez « la pétrolisation du monde ». Que recouvre ce terme ?
      Gwenola Le Naour1. Dans les années 1960, s’est développée l’idée que le pétrole était une énergie formidable, rendant possible la fabrication de produits tels que le plastique, les textiles synthétiques, les peintures, les cosmétiques, les pesticides, qui ont révolutionné nos modes de vie et décuplé les rendements agricoles. La pétrolisation désigne cette mutation de nos systèmes énergétiques pendant laquelle les hydrocarbures se sont imposés partout sur la planète et ont littéralement métamorphosé nos territoires physiques et mentaux.

      L’arrivée du pétrole et de ses dérivés nous est le plus souvent présentée comme une épopée, une success story. On a mis de côté la face sombre de cette pétrolisation, avec ses territoires sacrifiés comme Fos-sur-Mer, qui abrite depuis 1965 une immense raffinerie représentant aujourd’hui 10 % de la capacité de raffinage de l’Hexagone, ou Tarente, dans le sud de l’Italie, où se côtoient une raffinerie, une usine pétrochimique, un port commercial, une décharge industrielle et la plus grande aciérie d’Europe.

      Comment des territoires entiers ont-ils pu être ainsi abandonnés au pétrole ?
      Renaud Bécot2. L’industrie du pétrole et des hydrocarbures n’est pas une industrie comme les autres. Les sociétés pétrolières ont été largement accompagnées par les États. Comme pour le nucléaire, l’histoire de l’industrie pétrolière est étroitement liée à l’histoire des stratégies énergétiques des États et à la manière dont ils se représentent leur indépendance énergétique. L’État a soutenu activement ces installations destinées à produire de la croissance et des richesses. Pour autant, ces industries ne se sont pas implantées sans résistance, malgré les discours de « progrès » qui les accompagnaient.

      Des luttes ont donc eu lieu dès l’installation de ces complexes ?
      G. L. N. Dès le début, les populations locales, mais aussi certains élus, ont compris l’impact que ces complexes gigantesques allaient avoir sur leur environnement. Ces mobilisations ont échoué à Fos-sur-Mer ou au sud de Lyon, où l’installation de la raffinerie de Feyzin et de tout le complexe pétrochimique (le fameux « couloir de la chimie ») a fait disparaître les bras morts du Rhône et des terres agricoles... Quelques-unes ont cependant abouti : un autre projet de raffinerie, envisagé un temps dans le Beaujolais, a dû être abandonné. Il est en revanche plus difficile de lutter une fois que ces complexes sont installés, car l’implantation de ce type d’infrastructures est presque irréversible : le coût d’une dépollution en cas de fermeture est gigantesque et sans garantie de résultat

      Les habitants qui vivent à côté de ces installations finissent ainsi par s’en accommoder… En partie parce qu’ils n’ont pas d’autre choix, et aussi parce que les industriels se sont efforcés dès les années 1960-1970 et jusqu’à aujourd’hui de se conduire en « bons voisins ». Ils négocient leur présence en finançant par exemple des infrastructures culturelles et/ou sportives. Sans oublier l’éternel dilemme entre les emplois apportés par ces industries et les nuisances qu’elles génèrent. Dans le livre, nous avons qualifié ces arrangements à l’échelle des districts pétrochimiques de « compromis fordistes territorialisés ».

      Que recouvre ce terme de compromis ?
      R. B. En échange de l’accaparement de terres par l’industrie et du cortège de nuisances qui l’accompagne, les collectivités locales obtiennent des contreparties qui correspondent à une redistribution partielle des bénéfices de l’industrie. Cette redistribution peut être régulière (via la taxe professionnelle versée aux communes jusqu’en 2010, notamment), ou exceptionnelle, après un accident par exemple. Ainsi, en 1989, après une pollution spectaculaire qui marque les habitants vivant près de Lubrizol en Normandie, l’entreprise a versé 100 000 francs à la municipalité du Petit-Quevilly pour qu’elle plante quatre-vingts arbres dans la ville...

      Mais ce type de compromis a également été très favorable aux industries en leur offrant par exemple des allégements fiscaux de long terme, comme en Sicile près de Syracuse où se situe l’un des plus grands sites chimiques et pétrochimiques qui emploie plus de 7 000 personnes, voire une totale exonération fiscale comme en Louisiane, sur les rives du Mississippi. Des années 1950 aux années 1980, pas moins de 5 000 entreprises sur le sol américain – majoritairement pétrochimiques, pétrolières, métallurgiques ainsi que des sociétés gazières – ont demandé à bénéficier de ces exonérations, parmi lesquelles les sociétés les plus rentables du pays telles que DuPont, Shell Oil ou Exxon...

      Ces pratiques, qui se sont développées surtout lors des phases d’expansion de la pétrochimie, rendent plus difficile le retrait de ces industries polluantes. Les territoires continuent de penser qu’ils en tirent un bénéfice, même si cela est de moins en moins vrai.

      On entend souvent dire, concernant l’industrie pétrolière comme le nucléaire d’ailleurs, que les accidents sont rares et qu’on ne peut les utiliser pour remettre en cause toute une industrie… Est-ce vraiment le cas ?
      G. L. N. On se souvient des accidents de type explosions comme celle de la raffinerie de Feyzin, qui fit 18 morts en 1966, ou celle d’un stock de nitrates d’ammonium de l’usine d’engrais AZF à Toulouse en 2001, qui provoqua la mort de 31 personnes – car ils sont rares. Mais si l’on globalise sur toute la chaîne des hydrocarbures, les incidents et les accidents – y compris graves ou mortels pour les salariés – sont en réalité fréquents, même si on en entend rarement parler au-delà de la presse locale (fuites, explosions, incendies…). Sans oublier le cortège des nuisances liées au fonctionnement quotidien de ces industries, telles que la pollution de l’air ou de l’eau, et leurs conséquences sur la santé.

      Pour qualifier les méfaits des industries pétrochimiques, sur la santé notamment, vous parlez de « violence lente ». Pouvez-vous expliquer le choix de cette expression ?
      G. L. N. Cette expression, créée par l’auteur nord-américain Rob Nixon, caractérise une violence graduelle, disséminée dans le temps, caractéristique de l’économie fossile. Cette violence est également inégalitaire car elle touche prioritairement des populations déjà vulnérables : je pense notamment aux populations noires américaines de Louisiane dont les générations précédentes étaient esclaves dans les plantations…

      Au-delà de cet exemple particulièrement frappant, il est fréquent que ces industries s’installent près de zones populaires ou touchées par la précarité. On a tendance à dire que nous respirons tous le même air pollué, or ce n’est pas vrai. Certains respirent un air plus pollué que d’autres. Et ceux qui habitent sur les territoires dévolus aux hydrocarbures ont une qualité de vie bien inférieure à ceux qui sont épargnés par la présence de ces industries.

      Depuis quand la nocivité de ces industries est-elle documentée ?
      G. L. N. Longtemps, les seules mesures de toxicité dont on a disposé étaient produites par les industriels eux-mêmes, sur la base des seuils fixés par la réglementation. Pourtant, de l’aveu même de ceux qui la pratiquent, la toxicologie est une science très imparfaite : les effets cocktails ne sont pas recherchés par la toxicologie réglementaire, pas plus que ceux des expositions répétées à faibles doses sur le temps long. De plus, fixer des seuils est à double tranchant : on peut invoquer les analyses toxicologiques pour protéger les populations, l’environnement, ou les utiliser pour continuer à produire et à exposer les gens, les animaux, la nature à ces matières dangereuses. Ainsi, ces seuils peuvent être alternativement présentés comme des seuils de toxicité, ou comme des seuils de tolérance… Ce faisant, la toxicologie produit de l’imperceptibilité.

      R. B. Des études alternatives ont cependant commencé à émerger, avec des méthodologies originales. Au Canada, sur les territoires des Premières Nations en Ontario, au Saskatchewan précisément, une étude participative a été menée au cours de la décennie 2010 grâce à un partenariat inédit entre un collectif de journalistes d’investigation et un groupe de chercheurs. En distribuant très largement des kits de mesure, peu coûteux et faciles d’utilisation, elle a permis de démontrer que les populations étaient exposées aux sulfures d’hydrogène, un gaz toxique qui pénètre par les voies respiratoires. Grâce à cette démarche participative, des changements de règlementation et une meilleure surveillance des pollutions ont été obtenus. Il s’agit d’une réelle victoire qui change la vie des gens, même si l’industrie n’a pas été déplacée.

      Qu’en est-il des effets sur la santé de tous ces polluants ? Sont-ils documentés ?
      G. L. N. En France, les seuls travaux menés à ce jour l’ont été autour du gisement de gaz naturel de Lacq, exploité de 1957 à 2013 dans les Pyrénées. Une première étude, conduite en 2002 par l’université, concluait à un surrisque de cancer. Deux autres études ont été lancées plus récemment : une étude de mortalité dévoilée en 2021, qui montre une plus forte prévalence des décès par cancer, et une étude de morbidité toujours en cours. À Fos-sur-Mer, l’étude « Fos Epseal », conduite entre 2015 et 20223, s’est basée sur les problèmes de santé déclarés par les habitants. Ses résultats révèlent que près des deux-tiers des habitants souffrent d’au moins une maladie chronique – asthme, diabète –, ainsi que d’un syndrome nez-gorge irrités toute l’année qui n’avait jamais été identifié jusque-là.

      R. B. Ce que soulignent les collectifs qui évoquent des problèmes de santé liés à l’industrie pétrochimique – maladies chroniques de la sphère ORL, diabètes, cancers, notamment pédiatriques, etc. –, c’est la difficulté de prouver un lien de corrélation entre ces maladies et telle ou telle exposition toxique.

      L’épidémiologie conventionnelle ne le permet pas, en tout cas, car elle travaille à des échelles larges, sur de grands nombres, et est mal adaptée à un déploiement sur de plus petits territoires. C’est pourquoi les collectifs militants et les scientifiques qui travaillent avec eux doivent faire preuve d’inventivité, en faisant parfois appel aux sciences humaines et sociales, avec des sociologues qui vont recueillir des témoignages et trajectoires d’exposition, des historiens qui vont documenter l’histoire des lieux de production…

      Cela suppose aussi la mise au point de technologies, d’outils qui permettent de mesurer comment et quand les gens sont exposés. Cela nécessite enfin une coopération de longue haleine entre chercheurs de plusieurs disciplines, militants et populations. Car l’objectif est d’établir de nouveaux protocoles pour mieux documenter les atteintes à la santé et à l’environnement avec la participation active de celles et ceux qui vivent ces expositions dans leurs chairs.

      https://lejournal.cnrs.fr/articles/ces-territoires-sacrifies-au-petrole

  • The Latest Scapegoat in Israel’s Witch-hunt Against Its Arab Citizens - Haaretz Editorial - Haaretz.com
    https://www.haaretz.com/opinion/editorial/2024-01-29/ty-article-opinion/the-latest-scapegoat-in-israels-witch-hunt-against-its-arab-citizens/0000018d-51eb-d5c3-a9fd-75ff5d670000

    Singer and neuroscientist Dalal Abu Amneh was a victim of political persecution. Haaretz’s Hebrew edition published a chilling account that reveals this persecution, from the first informer through the incited masses and the neighbors to the police, the justice system and the Afula municipality.

    It all began with something she posted after Hamas’ attack on October 7 – “God is the only victor,” along with a Palestinian flag. That was enough to ignite the persecution reserved for Arabs labeled as supporters of terrorism, even though only anti-Arab prejudice could explain seeing this post as support for Hamas.

    The post was shared, and as it spread, so did the public onslaught and the threats. When Abu Amneh complained to the police, it turned out that they were already on her trail.

    In times of crisis, there is no freedom of expression in Israel, especially not for Arabs. At the start of the war, State Prosecutor Amit Aisman gave the police sweeping permission to open investigations into anyone suspected of supporting the October 7 massacre.

    The result was a wave of arrests, many of them unjustified, of Arabs who dared to criticize the war or express solidarity with the suffering of the Palestinian residents of the Gaza Strip.

    At the police station, the officers verbally abused Abu Amneh, subjected her to a body search, shackled her wrists and ankles and detained her for three days before releasing her to five days of house arrest. The case was referred to the prosecution, which viewed it as quite weak, and it is expected to be closed. But the damage has already been done.

    For more than two and a half months, Abu Amneh has suffered from daily demonstrations outside her home in Afula. Dozens of protesters, led by Mayor Avi Elkabetz, show up every evening and demand that she and her family be kicked out. The water supply to the house has been cut off and a dumpster has been placed outside the house. And when she turned to the police, she said, the officers ignored her complaints and sided with the demonstrators.

    “They chose me as a scapegoat precisely because I’m a normative person – educated, an academic,” she said. “They want to break my spirit in order to intimidate all of us – all the Arabs.”

    That’s the way things are when you’re an Arab citizen of Israel. It’s enough for one Facebook post to be misunderstood to have your life and that of your family turned upside down.
    Everything you were before that post, everything you did, all your achievements, your status, your relations with your neighbors, the life you thought you had – all of it vanishes. And the agencies that are supposed to protect you – the police, the justice system, the municipality – turn against you.

    Abu Amneh’s case reveals the rot in the police, the prosecution and the municipality. Everyone she encountered abused their positions, and all of them were party to this baseless political harassment.

    #vitrine_de_la_jungle #sionisme

  • #Einstein, l’État et le #sionisme
    https://www.lemonde.fr/archives/article/1970/11/30/einstein-l-etat-et-le-sionisme_2658063_1819218.html

    (1970)

    J’ai été très étonné de lire dans le Monde du 14 novembre 1970 que le rabbin Grune-wald appréciait la fameuse citation d’Albert Einstein contre l’État. Il est vrai que, dans cette publicité, elle était dirigée contre l’État français. Si elle avait été appliquée à l’État juif, le rabbin Grunewald n’aurait pas manqué de crier à l’#antisémitisme et même à la résurgence du #nazisme ; et dans son journal, Tribune juive, les intellectuels juifs antisionistes tels que Maxime Rodinson, Ania Francos, Nathan Weinstock, Elie Lobel, Isaac Deutscher, Alain Krivine, Mlle Hadamard et moi-même sont appelés « traitres » et « apostats ». (Voir dans Tribune juive du mois d’août 1970, no 109, l’article de J. Elhadad : « Les juifs d’El Fath »). On ne comprend pas pourquoi le nom d’Albert Einstein ne figure pas sur cette liste noire, car pour cet illustre savant il n’y avait pas lieu de faire d’exception pour l’État juif, qu’il a condamné plus explicitement que tout autre État, comme le prouve cette citation :

    « J’aimerais infiniment mieux un accord raisonnable avec les Arabes sur la base de vivre ensemble en paix que la création d’un État juif. A part les considérations pratiques, la manière dont je conçois la nature essentielle du judaïsme résiste à l’idée d’un État juif, avec des frontières, une armée et une certaine mesure de pouvoir temporel, quelque modeste qu’il soit. J’ai peur des dégâts internes que cela entraînera pour le judaïsme - et surtout du développement d’un nationalisme étroit dans nos propres rangs, contre lequel nous avons déjà eu à lutter fortement, avant même l’existence d’un État juif. » Nous ne sommes plus les juifs de l’époque de Macchabée. Un retour à une nation, au sens politique du terme, équivaudrait à se détourner de la spiritualité de notre communauté, spiritualité à laquelle nous devons le génie de nos prophètes."

    • (Au fil de mes dernières années, pages 262-264, cité et traduit de l’anglais par Maxime Rodinson dans le bulletin du GRAPP, no 5, mars 1970).

      S’il est donc possible de se référer à Albert Einstein pour combattre l’État gaulliste, comme le fait le rabbin Grunewald, à bien plus forte raison pour s’opposer à l’État sioniste, comme nous le faisons - et ce que ce même rabbin ne tolère pas. Et il semblerait moins choquant de voir un rabbin dénoncer les excès du nationalisme et du militarisme israéliens et ses conséquences désastreuses pour la spiritualité juive, à l’exemple d’Albert Einstein, plutôt que de partir en guerre contre le gouvernement français, dont le crime véritable est surtout de ne pas livrer d’armes à l’État d’#Israël et de ne pas approuver sa politique. Et si tout #nationalisme risque d’aboutir à une forme de nazisme, ce danger menace beaucoup plus les sionistes, qui occupent des territoires étrangers, que les gaullistes, qui ont accompli la décolonisation.

      (une lettre de M. Emmanuel Lévyne adressé à Le Monde)

      #sionisme #État #État_juif #juifs_antisionistes

  • #FOUTAGE_DE_GUEULE

    Malgré un appel à cesser les envois d’#armes vers #Israël, la #France continuera d’en livrer... Et en #Ukraine... Mais les caisses sont vides... :-D :-D :-D

    SORTEZ LES #TARTUFFES ! #macron et associés

    #France #diplomatie #irresponsable #responsable #va_t_en_guerre #de_qui_se_moque_t_on #Israel_uber_alles #sionisme #totalitarisme

    https://www.mediapart.fr/journal/international/240124/malgre-un-appel-cesser-les-envois-d-armes-vers-israel-la-france-continuera

    "Des ONG ont lancé un appel à suspendre les transferts d’armes à l’État hébreu et aux groupes armés palestiniens, mercredi 24 janvier. Le ministère des armées assume d’exporter des équipements militaires à Israël « afin de lui permettre d’assurer sa défense ». (...)"

    • population d’Israel (worldometer) : 9.2 million

      S’ils ont pas spécialement besoin d’être au bord de la Méditerranée, de Jérusalem et du désert, un spot tranquille aux US, quitte à s’arranger avec eux pour faire un état embedded style Vatican, ça réalise le rêve Sioniste version « a safe place for the people of Israël » bien mieux que de rester à côté des [méchants] Arabes.

      @kassem @loutre jamais personne en a parlé ?

      Pour les aspects pratiques de l’auto-déplacement de 9 millions de personnes, ça doit pouvoir se faire en quelques mois, vu les moyens a dispo, c’est encore plus facile que d’envoyer 2 millions d’indigènes en Afrique :-)

    • Ben non : cette idée est totalement incompatible avec le sionisme chrétien, selon lequel rassembler tous les juifs en Palestine provoquera le retour de Djizouss, et ainsi le Jugement dernier. Selon le texte de Apocalypse, si tu fais ça dans le Kansas et le Nebraska, hé ben ça marche pas.

    • Alon Mizrahi | without equality there’s no freedom sur X :
      https://twitter.com/alon_mizrahi/status/1749334458484879653

      If a Saudi, Egyptian or Lebanese newspaper ran an article saying there are no innocent Jews in Israel, all hell would break loose. Every Muslim interviewee anywhere, forever, would be required to condemn these remark and distance themselves for it.

      They would be asked to understand the distress of Jews and Israel; they would be asked if they understand why it needs to defend itself like it doe, namely killing tens or hundreds of thousands of Arabs.

      Netanyahu would dig up from their graves a thousand imaginary Arab-Jewish personal ancestors lynched by mufti this and imam that (and everybody in western media would uphold this farce as fact).

      If a Palestinian, in any diaspora, or anyone of a Muslim background, suggested anything like it - there are no innocent Jews - they would be sacked, denounced and arrested the same day.

      But Jewish people have been given a license to openly call for the extermination of Palestinians, and some are happy to use it, to the horror of many other Jews (myself included) and much of humanity.

      Much can and should be said about why this license is given, and the fundamentally sick and rotten sense of morality among colonizing powers.

      But I will just say this, as clearly as I can: people who call for the annihilation and extermination of collectives don’t do it because they excel at being Jewish. They do it because they are an utter, complete and abysmal failure as human beings.

      And the fact that the next time a holocaust was promoted in German was done by Jews, in the name of Judaism - that’s enough of a lesson in how ironic history can be, and how morally bankrupt people get when showered with excessive privilege.

  • Delenda Israelo ?

    Je suis gentil d’accorder à #Israël le statut de #Carthage..

    Il est loin le temps de l’enthousiasme de certain/es à partir au #kibboutz... (il y a 45a / 50a) :-D :-D :-D

    #politique #international #sionisme #fascisme #race_supérieure #histoire #superstition #religion #suprématisme #monde #seenthis #monde

    "La Catapulte, peinture d’Edward Poynter, 1868. Sur la machine de guerre au siège de Carthage à la fin de la troisième guerre punique, les mots de Caton l’Ancien sont gravés : « delend a est Ca rthago » " (source Wiki)

    https://fr.wikipedia.org/wiki/Delenda_Carthago

    • Mohammed El-Kurd sur X :
      https://twitter.com/m7mdkurd/status/1749088737533821215

      I was investigated by Britain’s counterterrorism police, which succumbed to political pressure from top Israeli propagandists, diplomats, lobby-affiliated British government officials, and countless right-wing media outlets, who demanded I be arrested and charged over a recent anti-zionist speech I gave in London.
      The interrogation, which I attended with counsel, proved to be a great waste of time and public funds, and the police promptly closed the case and pursued no further action. If anything, it was a mere inconvenience. This is but one of the many recent instances that reveal the political bankruptcy of Zionists, who have to rely on duplicitous and ridiculous measures to distract from the colonial violence they defend and perpetuate.
      It should also serve as a reminder that, in the ‘civilized world,’ those opposing war crimes are more likely to be scrutinized and persecuted than war crimes themselves. In the last 107 days, the Israeli occupation forces have murdered a daily average of 250 Palestinians; 1 in every 20 Palestinians in the besieged Gaza Strip has been killed, wounded, or dispossessed by the Israeli regime. Genocide is the crime and Zionism is the culprit. That is the only headline that matters.