• Spoliazione del diritto di essere
    https://scomodo.org/spoliazione-del-diritto-di-essere

    Il numero di suicidi accertati da inizio anno fino al 17 settembre 2024 nelle carceri italiane è pari a settantadue e intorno a metà agosto l’indice di sovraffollamento era pari al 131,06 %. La situazione carceraria italiana è delicata, ma impellente da affrontare. 11 Giorni è una serie documentaristica che porta lo spettatore nella vita e nelle riflessioni di un gruppo di #detenuti della casa circondariale “Nerio Fischione” (già Canton Mombello) di Brescia. Ne abbiamo parlato con il regista Nicola Zambelli. L’articolo Spoliazione del diritto di essere proviene da Scomodo.

    #Marginalità #11giorni #sistema_penitenziario

  • Des milliers de bâtiments menacés d’effondrement au Liban : quid des chiffres et des solutions ? - L’Orient-Le Jour
    https://www.lorientlejour.com/article/1424006/des-milliers-de-batiments-menaces-deffondrement-au-liban-quid-des-chi

    Suite aux secousses de cette semaine, l’Association libanaise des propriétés (ALP) a publié mardi un communiqué dans lequel elle rappelle que, selon les derniers chiffres d’il y a deux ans, provenant d’un recensement de l’armée, il y aurait plus de 16 000 bâtiments en danger plus ou moins imminent d’effondrement, « surtout à Beyrouth et ses environs (plus de 10 000) et dans le Nord, notamment à Tripoli (plus de 4 000) ».

    Des chiffres qui « ne prennent même pas en compte les dégâts occasionnés par l’explosion au port de Beyrouth en 2020, ni les destructions actuelles au Liban-Sud depuis le début de la guerre en octobre 2023 », souligne toutefois Andira Zouhairi, fondatrice de l’ONG en 2014.

    Soha Mneimné, ingénieure experte en urbanisme et chercheuse, qui a participé à un recensement lors d’une initiative baptisée « Meter Moukaab » il y a deux ans, souligne quant à elle que les chiffres sont à prendre avec des pincettes. « Ces données sont anciennes et doivent être actualisées, certains de ces bâtiments peuvent avoir été rénovés, il vaut mieux bâtir ces avertissements sur des chiffres récents et vérifiés pour éviter de semer la panique », affirme-t-elle. Ce qui ne veut pas dire, se ravise-t-elle, qu’il n’existe pas un réel problème de bâtiments menacés.

    Cette prudence n’est pas partagée par Paul Nacouzi, actuel président de la branche des ingénieurs consultants civils à l’ordre des ingénieurs. Il souligne que selon les recensements les plus récents effectués par l’ordre, il y aurait non moins de 20 000 bâtiments en état avancé de délabrement, et que ce serait loin d’être exhaustif, parce que personne n’a encore été en mesure de couvrir toutes les régions, certaines échappant à tout contrôle, à l’instar des camps de réfugiés par exemple.
    [...]
    Les niveaux de gravité sont évidemment ascendants. « Les cas les plus graves sont ceux dont la structure est endommagée, d’autres ont des façades décrépites qui constituent un danger pour les passants, et d’autres encore présentent des dommages à l’intérieur », souligne Paul Nacouzi. Selon les estimations, dit-il, près de 20 % des bâtiments considérés aujourd’hui en danger seraient irrécupérables et devraient être démolis, les autres pouvant être sauvés avec des travaux.

    #délabrament #Liban #bâtiments #sismicité

  • A Lacq, l’injection d’eaux usées industrielles identifiée comme principale responsable des séismes | CNRS
    https://www.cnrs.fr/fr/presse/lacq-linjection-deaux-usees-industrielles-identifiee-comme-principale-responsab

    Chaque année de nombreux séismes sont détectés dans la région de Lacq, dans les Pyrénées-Atlantiques, sans que la cause exacte soit clairement identifiée. Une étude internationale menée par Jean Letort, enseignant-chercheur à l’université Toulouse III – Paul Sabatier au sein de l’Institut de recherche en astrophysique et planétologie (IRAP/OMP – CNES/CNRS/UT3), vient confirmer une hypothèse récente. Les injections d’eaux usées industrielles sont à l’origine de la sismicité de la région. Les résultats ont été publiés le 23 mai dans Geophysical Journal International.

  • Inchiesta su #Ousmane_Sylla, morto d’accoglienza

    A distanza di un mese dal suicidio di Ousmane Sylla nel #Cpr di #Ponte_Galeria, il 4 febbraio 2024, sono emersi nuovi elementi sulla sua triste vicenda, non raccontati nelle prime settimane. La prima cosa che sappiamo ora per certo è che Ousmane voleva vivere. Lo dimostrano i video e le foto che ho avuto da persone che lo hanno conosciuto, che lo ritraggono mentre balla, gioca, canta, sorride e scherza con il suo compagno di stanza. La sua vita però è stata stravolta da una violenza ingiustificabile, che scaturisce dalle dinamiche perverse su cui si basa il nostro sistema di accoglienza (ma non solo) e che impongono di farsi delle domande.

    Già nei primi giorni dopo la morte si venne a sapere che Ousmane aveva denunciato maltrattamenti nella casa famiglia di cui era stato ospite, prima di essere trasferito al Cpr di Trapani. Gli avvocati che si stanno occupando del caso e alcune attiviste della rete LasciateCIEntrare hanno rintracciato la relazione psico-sociale redatta dalla psicologa A.C. del Cpr di Trapani Milo il 14 novembre 2023. Era passato un mese dal suo ingresso nella struttura, a seguito del decreto di espulsione emesso dalla prefettura di Frosinone in data 13 ottobre 2023.

    La relazione dice che Ousmane “racconta di essere arrivato in Italia sei anni fa; inizialmente ha vissuto in una comunità per minori a Ventimiglia in Liguria, poi una volta raggiunta la maggiore età è stato trasferito presso la casa famiglia di Sant’Angelo in Theodice (Cassino). Racconta che all’interno della struttura era solito cantare, ma questo hobby non era ben visto dal resto degli ospiti. Così, un giorno, la direttrice del centro decide di farlo picchiare da un ospite tunisino. In conseguenza delle percosse subite, Sylla si reca al consiglio comunale di Cassino, convinto di trovarsi in Questura, per denunciare la violenza di cui si dichiara vittima”.

    La casa famiglia di Sant’Angelo in Theodice è menzionata anche sulla scritta lasciata da Ousmane – sembrerebbe con un mozzicone di sigaretta – su una parete del Cpr di Roma, prima di impiccarsi a un lenzuolo, la notte tra il 3 e il 4 febbraio 2024.

    “LASCIATEMI PARLARE”
    Sulle cronache locali della Ciociaria, l’8 ottobre 2023 venne pubblicata la notizia di un giovane profugo africano presentatosi in consiglio comunale venerdì 6 ottobre (due giorni prima) per denunciare di aver subito violenze fisiche e maltrattamenti nella casa famiglia di cui era ospite, in questa frazione di Cassino di circa cinquecento abitanti. “Lasciatemi parlare o mi ammazzo”, avrebbe gridato, secondo Ciociaria oggi, che riferiva inoltre che “il giovane adesso ha paura di tornare nella casa famiglia”. La struttura era stata inaugurata sei mesi prima, il 3 aprile 2023, dal sindaco di Cassino Enzo Salera, originario proprio di Sant’Angelo, e dall’assessore con delega alle politiche sociali Luigi Maccaro, alla presenza del funzionario dei servizi sociali, Aldo Pasqualino Matera. Si trovano diversi articoli datati 4 aprile 2023, corredati di foto della cerimonia e della targa con il nome della casa famiglia. La struttura si chiamava Revenge, che significa rivincita ma anche vendetta.

    La casa famiglia è stata chiusa tra dicembre e gennaio per “irregolarità”; le indagini sono ancora in corso. Era gestita dalla società Erregi Progress s.r.l.s. con sede in Spigno Saturnia, in provincia di Latina; la titolare della società e responsabile della casa famiglia è Rossella Compagna (non Campagna, come riportato in alcune cronache), affiancata nella gestione dall’avvocato Michelangiolo Soli, con studio legale a Minturno. Oggi sappiamo che mancavano le autorizzazioni della Asl locale all’apertura, e altri adempimenti; e che la maggior parte degli operatori che si sono succeduti nel corso dei circa nove mesi di apertura non ha mai percepito lo stipendio, né la malattia: almeno quelli che non erano vicini alla responsabile. Alcuni di essi hanno fatto causa alla società e sono in attesa di risarcimento. Altri non avevano neanche le qualifiche per operare in una struttura per minori stranieri non accompagnati.

    Sono stata a Sant’Angelo in Theodice e ho incontrato diverse persone che hanno conosciuto Ousmane, che lo hanno seguito e aiutato durante il mese e mezzo circa della sua permanenza in paese. Grazie a loro ho potuto capire chi era Ousmane e ciò che ha vissuto in quel periodo. Ousmane è arrivato a Sant’Angelo tra la fine di agosto e l’inizio di settembre, insieme a un ragazzo marocchino, oggi maggiorenne. Provenivano da Ventimiglia, dove avevano trascorso insieme circa un mese in un campo della Croce Rossa Italiana, prima di essere trasferiti nella casa famiglia di Cassino. Ousmane non era però “da sei anni in Italia”, come trascritto dalla psicologa del Cpr di Trapani nella sua relazione. Sembrerebbe che fosse arrivato l’estate prima, nel 2023, a Lampedusa, come si intuisce anche dalla sua pagina Fb (“Fouki Fouki”). Il 3 agosto ha pubblicato un video in cui canta sulla banchina di un porto, quasi certamente siciliano. Forse era arrivato nella fase di sovraffollamento, caos e ritardi nei trasferimenti che spesso si verificano sull’isola in questa stagione. Avrebbe poi raggiunto Roma e successivamente Ventimiglia.

    Il suo “progetto migratorio” era quello di arrivare in Francia, dove ha un fratello, cantante rap e animatore d’infanzia, Djibril Sylla, che ho incontrato di recente: è venuto a Roma per riconoscere il corpo di Ousmane e consentirne il ritorno in Africa. Ousmane parlava bene il francese e lo sapeva anche scrivere, come dimostra la scritta che ha lasciato sul muro prima di uccidersi. Con ogni probabilità è stato respinto al confine francese, verso l’Italia. Ousmane non era minorenne; si era dichiarato minorenne probabilmente perché né allo sbarco né al confine con la Francia ha potuto beneficiare di un orientamento legale adeguato che lo informasse dei suoi diritti e delle possibilità che aveva. Il regolamento “Dublino”, in vigore da decenni, prevede che i migranti restino o vengano rinviati nel primo paese in cui risultano le loro impronte (ci sono delle apposite banche dati europee), impedendo loro di raggiungere i luoghi dove hanno legami e comunità di riferimento o semplicemente dove desiderano proseguire la loro vita.

    Una volta respinto, però, anziché fare domanda di protezione internazionale in Italia, Ousmane si è dichiarato minore, pur essendo ventunenne. Non sarà facile ricostruire chi possa averlo consigliato, guidato o influenzato in queste scelte e nei suoi rapporti con le autorità, dal suo arrivo in Italia in poi. Sappiamo, tuttavia, che dichiarandosi “minore” ha determinato l’inizio, incolpevole e inconsapevole, della fine della sua breve vita, non più in mano a lui da quel momento in poi.

    Dichiarandosi maggiorenne, Ousmane avrebbe potuto presentare una domanda di protezione. Nel paese da cui proveniva, la Guinea Conakry, vige una dittatura militare dal 2021. I migranti possono chiedere protezione internazionale se manifestano il timore, ritenuto fondato da chi esamina il loro caso, di poter subire “trattamenti inumani e degradanti”, ovvero un danno grave, nel proprio paese di provenienza, laddove lo Stato di cui sono cittadini non fornisca loro adeguate protezioni. A Ousmane è accaduto l’inverso: i trattamenti inumani e degradanti li ha subiti in Italia.

    Sin dal suo arrivo nella casa famiglia di Cassino, Ousmane ha patito uno stillicidio di vessazioni, minacce e deprivazioni, come ci riferiscono tutte le persone che lo hanno assistito e accompagnato in quel mese e mezzo, che testimoniano delle modalità inqualificabili con cui veniva gestita quella struttura, della brutalità con cui venivano trattati gli ospiti, del clima di squallore e terrore che vigeva internamente. Abbiamo ascoltato i messaggi vocali aggressivi che la responsabile inoltrava ai suoi operatori, sia ai danni degli operatori che degli ospiti, scarsamente nutriti e abbandonati a sé stessi, come appare anche dalle foto. Ousmane, a causa del suo atteggiamento ribelle e “resistente”, sarebbe stato punito ripetutamente con botte, privazione di cibo, scarpe, coperte e indumenti, e di servizi cui aveva diritto, non solo in quanto “minore”, ma in quanto migrante in accoglienza: per esempio, l’accesso ai dispositivi di comunicazione (telefono e scheda per poter contattare i familiari), la scuola di italiano, il pocket money.

    Tutte le persone con cui ho parlato sono concordi nel descrivere Ousmane come un ragazzo rispettoso, intelligente, altruista e sensibile; sano, dinamico, grintoso, si ispirava alla cultura rasta e cantava canzoni di rivolta e di libertà in slang giamaicano e in sousou, la sua lingua madre. La sua unica “colpa” è stata opporsi a quello che vedeva lì, riprendendo con foto e video le ingiustizie che subiva e vedeva intorno a sé. A causa di questo suo comportamento è stato discriminato dalla responsabile e da alcuni personaggi, come un ragazzo tunisino di forse vent’anni. Dopo un mese di detenzione lo stesso Ousmane raccontò alla psicologa del Cpr di Trapani che la responsabile della casa famiglia l’avrebbe fatto picchiare da un “ospite tunisino”.

    Il 6 ottobre 2023, forse indirizzato da qualche abitante del luogo, Ousmane raggiunse il consiglio comunale di Cassino, nella speranza che le autorità italiane potessero proteggerlo. Una consigliera comunale con cui ho parlato mi ha descritto lo stato di agitazione e sofferenza in cui appariva il ragazzo: con ai piedi delle ciabatte malridotte, si alzava la maglietta per mostrare i segni di percosse sul torace. Ousmane non fu ascoltato dal sindaco Salera, tutore legale dei minori non accompagnati della casa famiglia. Ousmane fu ascoltato solo dalla consigliera che comprendeva il francese, in presenza di poche persone, dopo che il sindaco e la giunta si erano allontanati. A quanto pare quel giorno si presentò in consiglio anche una delegazione di abitanti per chiedere la chiusura della struttura, ritenuta mal gestita e causa di tensioni in paese.

    Una settimana dopo, il 13 ottobre, Ousmane tornò al consiglio comunale, dichiarando di essere maggiorenne. Pare che prima avesse provato a rivolgersi alla caserma dei carabinieri – chiedeva dove fosse la “gendarmerie” – per mostrare i video che aveva nel telefono: la sua denuncia non fu raccolta, perché in quel momento mancava il maresciallo. Di nuovo, forse non sapremo mai da chi Ousmane sia stato consigliato, guidato e influenzato, nella sua scelta di rivelare la sua maggiore età. Perché non gli fu mai consentito di esporre denuncia e di ottenere un permesso di soggiorno provvisorio, per esempio per cure mediche, o per protezione speciale, visto che aveva subito danni psicofisici nella struttura di accoglienza, e che voleva contribuire a sventare dei crimini?

    Come in molte strutture per minori migranti, la responsabile era consapevole della possibilità che molti dei suoi ospiti fossero in realtà maggiorenni. “Una volta che scoprono che sono maggiorenni, devono tornare a casa loro, perché le strutture non li vogliono”, spiega in un messaggio audio ai suoi operatori. In un altro dei messaggi che ho sentito, questa consapevolezza assume toni intimidatori: “Quindi abbassassero le orecchie, perché io li faccio neri a tutti quanti”, diceva. “Io chiudo la casa, e poi riapro, con altra gente. Dopo un mese. Ma loro se ne devono andare affanculo. Tutti! Ne salvo due o tre forse. Chiudiamo, facciamo finta di chiudere. Loro se ne vanno in mezzo alla strada, via, e io faccio tutto daccapo, con gente che voglio io. Quindi abbassassero le orecchie perché mi hanno rotto i coglioni”. Nello stesso messaggio, la responsabile aggiunge: “Tu devi essere educato con me; e io forse ti ricarico il telefono; sennò prendi solo calci in culo, e io ti butto affanculo nel tuo paese di merda”.

    La minore età può essere usata come arma di ricatto. I migranti che si dichiarano minori, infatti, entrano nel circuito delle strutture per minori stranieri non accompagnati, e ottengono un permesso di soggiorno per minore età appena nominano un tutore (solitamente il sindaco). In caso di dubbio sulla minore età questi vengono sottoposti ad accertamenti psico-fisici, che consistono nella radiografia del polso e in una serie di visite specialistiche presso una struttura sanitaria.

    Per l’accoglienza di un minore straniero non accompagnato, il ministero dell’interno eroga ai comuni che ne fanno richiesta (tramite le prefetture) dai novanta ai centoventi euro al giorno, che finiscono in buona parte nelle tasche degli enti gestori (che per guadagnare possono risparmiare su cibo, servizi, personale, in quanto non sono previsti controlli davvero efficaci sulla gestione dei contributi statali). Ma anche i comuni hanno da guadagnare sull’accoglienza ai minori. A questo proposito, vale la pena richiamare le parole pronunciate dall’assessore ai servizi sociali Maccaro in occasione dell’apertura della casa famiglia e riportate in un articolo di Radio Cassino Stereo, presente in rete: “Una nuova realtà sociale al servizio del territorio è una ricchezza per tutto il sistema dei servizi sociali che vive della collaborazione tra pubblico e privato sociale. Siamo certi che questa nuova realtà potrà integrarsi in una rete sociale che in questi anni sta mostrando grande attenzione al tema dei minori”.

    Le autorità possono in qualsiasi momento sottoporre i giovani stranieri non accompagnati ad accertamento dell’età. È così che questi ragazzi divengono vulnerabili e costretti a sottostare a qualsiasi condizione venga loro imposta, poiché rischiano di perdere l’accoglienza e finire nei Cpr. Molti migranti ventenni con un viso da adolescente, come Ousmane, vengono incoraggiati a dichiararsi minori: più ce ne sono, più saranno necessarie strutture e servizi ben sovvenzionati (molto più dei servizi per maggiorenni).

    NEL LIMBO DEI CPR
    Dopo la seconda apparizione in consiglio comunale, il 13 ottobre, anziché essere supportato, tutelato e orientato ai suoi diritti, Ousmane è stato immediatamente colpito da decreto di espulsione, e subito trasferito (il 14 ottobre) nel Cpr di Trapani Milo, dove trascorrerà tre mesi. Inutile il tentativo dell’avvocato del Cpr Giuseppe Caradonna di chiederne dopo un mese il trasferimento, con una missiva indirizzata alla questura di Trapani, in cui scriveva “continua purtroppo a mantenere una condotta del tutto incompatibile con le condizioni del Centro [Cpr] (probabilmente per via di disturbi psichici derivanti da esperienze traumatiche) al punto da mettere a serio rischio la propria e l’altrui incolumità. A supporto della presente, allego una relazione psico-sociale, redatta in data odierna dalla dottoressa A.C., psicologa che opera all’interno della struttura, la quale ha evidenziato dettagliatamente la condizione in cui versa Ousmane Sylla. Pertanto, mi permetto di sollecitare un Suo intervento per far sì che quest’ultimo venga trasferito al più presto in una struttura più idonea e compatibile con il suo stato di salute mentale”.

    La psicologa aveva scritto: “Ritengo che l’utente possa trarre beneficio dal trasferimento presso un’altra struttura più idonea a rispondere ai suoi bisogni, in cui siano previsti maggiori spazi per interventi supportivi e una maggiore supervisione delle problematiche esposte”. Richiesta alla quale la questura di Trapani risponderà negativamente, con la motivazione che “lo straniero aveva fatto ingresso nella struttura munito di adeguata certificazione sanitaria che attesta l’idoneità alla vita in comunità ristretta e che costituisce condicio sine qua non per l’accesso all’interno dei Cpr”.

    Chi aveva redatto quella “adeguata certificazione sanitaria” di cui Ousmane era munito all’ingresso nel Cpr di Trapani, se ancora portava addosso i segni delle violenze subite, come testimoniato dalla consigliera cassinese che lo aveva ascoltato nella settimana precedente, rilevandone anche lo stato di estremo disagio psicologico?

    Ousmane affermava, ripetutamente, di voler tornare in Africa. Lo diceva anche alle operatrici della casa famiglia con cui abbiamo parlato: “Gli mancava la mamma”, hanno riferito, con la quale non poteva neanche comunicare, perché privato del telefono. Un’operatrice ricorda che una volta la disegnò, perché Ousmane amava anche disegnare, oltre che cantare e giocare a pallone. Studiava l’italiano con lei ed “era molto bravo”, dice, apprendeva rapidamente.

    Voleva tornare in Africa, non perché volesse rinunciare al sogno di una vita migliore in Europa, in Francia o in Italia, anche per poter aiutare la famiglia che vive in povertà in un sobborgo di Conakry (madre, sorelle e fratelli più piccoli), ma perché non aveva trovato qui alcuna forma di accoglienza degna di chiamarsi tale, se non nelle persone che lo hanno assistito, ascoltato e che testimoniano oggi in suo favore; persone che hanno fatto il possibile per lui, tuttavia non sono “bastate” a salvargli la vita; non per loro responsabilità, ma perché ignorate o sovrastate dalle istituzioni e dalle autorità che avrebbero potuto e dovuto tutelare Ousmane.

    Dopo tre mesi trascorsi nel Cpr di Trapani, Ousmane verrà trasferito a fine gennaio nel Cpr di Roma, per continuare a restare in un assurdo limbo, in condizioni “inumane e degradanti” nelle quali è ben noto versino i Cpr. L’Italia non ha accordi bilaterali con la Guinea Conakry, come con tanti altri paesi di provenienza dei migranti detenuti nei Cpr.

    Il 19 settembre 2023, il sito istituzionale integrazionemigranti.gov.it, informava che il giorno prima il Consiglio dei ministri aveva varato nuove norme contro l’immigrazione irregolare: “Si estende – come consentito dalla normativa euro-unitaria – a diciotto mesi (sei mesi iniziali, seguiti da proroghe trimestrali) il limite massimo di permanenza nei centri per il rimpatrio degli stranieri non richiedenti asilo, per i quali sussistano esigenze specifiche (se lo straniero non collabora al suo allontanamento o per i ritardi nell’ottenimento della necessaria documentazione da parte dei paesi terzi). Il limite attuale è di tre mesi, con una possibile proroga di quarantacinque giorni. […] Inoltre, si prevede l’approvazione, con decreto del presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del ministro della difesa, di un piano per la costruzione, da parte del Genio militare, di ulteriori Cpr, da realizzare in zone scarsamente popolate e facilmente sorvegliabili”. È il cosiddetto Decreto Cutro.

    Secondo la relazione del Garante nazionale per le persone private della libertà personale, sono transitate nei Cpr 6.383 persone, di cui 3.154 sono state rimpatriate. Quelle provenienti da Tunisia (2.308), Egitto (329), Marocco (189) e Albania (58), rappresentano il 49,4%. In base allo scopo dichiarato per cui esistono i Cpr, la maggioranza è stata trattenuta inutilmente.

    Come riporta il Dossier statistico sull’immigrazione 2023, “il governo si ripromette di aprire altri dodici centri, uno per ogni regione, in luoghi lontani dai centri abitati […]. Nei dieci centri attivi in Italia possono essere ospitate 1.378 persone. Tuttavia, complici la fatiscenza delle strutture e le continue sommosse, la cifra reale si dimezza. […] Dal 2019 al 2022, otto persone sono morte nei Cpr, in circostanze diverse. Infiniti sono i casi di autolesionismo e di violenza. Numerose sono le inchieste che confermano come in questi luoghi si pratichi abuso di psicofarmaci a scopo sedativo”.

    Il caso più noto è quello del ventiseienne tunisino Wissem Ben Abdel Latif, deceduto nel novembre 2021, ancora in circostante sospette, dopo essere rimasto legato a un letto per cento ore consecutive nel reparto psichiatrico del San Camillo di Roma. La detenzione amministrativa di Ousmane si sarebbe potuta protrarre molto a lungo, inutilmente. Sono pochissimi i migranti che a oggi beneficiano dei programmi di “rimpatrio assistito”, che prevedono anch’essi accordi e progetti con i paesi di origine per la loro effettiva attuazione. Con la Guinea Conakry non ci risultano accordi neanche sui rimpatri assistiti.
    Ousmane, trovato impiccato a un lenzuolo la mattina del 4 febbraio, non vedeva forse vie di uscita e ha scelto di morire per “liberarsi”, chiedendo, nel messaggio lasciato sul muro prima di togliersi la vita, che il suo corpo venisse riportato in Africa “affinché riposi in pace” e sua madre non pianga per lui. Alcuni migranti che hanno condiviso con lui la detenzione nel Cpr di Trapani, dicono fosse stato “imbottito di psicofarmaci”. A oggi, sono ancora tanti i lati oscuri di questa vicenda, ma sono in molti a invocare verità e giustizia per Ousmane Sylla, come per tutte le persone schiacciate dall’insostenibile peso del “sistema”, al quale alcune di esse – come Ousmane – hanno provato a ribellarsi, con coraggio e dignità.

    https://www.monitor-italia.it/inchiesta-su-ousmane-sylla-morto-daccoglienza
    #migrations #asile #réfugiés #Italie #décès #mourir_aux_frontières #morts_aux_frontières #Trapani #détention_administrative #rétention

    –-

    Vu que Ousmane a été arrêté à Vintimille pour l’amener dans un centre de détention administrative dans le Sud de l’Italie et que, selon les informations que j’ai récolté à la frontière Vintimille-Menton, il avait l’intention de se rendre en France, j’ai décidé de l’inclure dans les cas des personnes décédées à la #frontière_sud-alpine.
    Ajouté donc à cette métaliste des morts à la frontière #Italie-#France (frontière basse, donc #Vintimille / #Alpes_Maritimes) :
    https://seenthis.net/messages/784767

  • À Strasbourg, l’Europe intensifie discrètement le fichage des migrants

    Dans un bâtiment discret, 350 personnes travaillent à renforcer le #contrôle et le #suivi des personnes entrant dans l’#espace_Schengen. Reportage dans l’agence de l’Union européenne qui renforce le fichage des migrants.

    Dans le quartier du Neuhof à Strasbourg, un bâtiment hautement sécurisé attire l’œil. Dissimulée derrière le gymnase du Stockfeld et entourée de terrains vagues, l’#agence_européenne #eu-Lisa est protégée par deux lignes barbelées surplombées de caméras. Aux alentours du bâtiment, les agents de sécurité portent au cœur un petit drapeau bleu aux douze étoiles. Des véhicules immatriculés en France, au Luxembourg, en Belgique et en Allemagne stationnent sur le parking.

    Créée en 2011 et opérationnelle depuis 2012, l’#agence_européenne_pour_la_gestion_opérationnelle_des_systèmes_d’information à grande échelle eu-Lisa développe et fait fonctionner les #bases_de_données de l’Union européenne (UE). Ces dernières permettent d’archiver les #empreintes_digitales des demandeurs et demandeuses d’asile mais aussi les demandes de visa ou les alertes de personnes portées disparues.

    Le siège d’eu-Lisa est à Tallinn, en Estonie. Un bureau de liaison se trouve à Bruxelles et son centre opérationnel a été construit à Strasbourg. Lundi 26 février, le ministre délégué aux affaires européennes, Jean-Noël Barrot, est venu visiter l’endroit, où sont développés les nouveaux systèmes de suivi et de #filtrage des personnes migrantes et des voyageurs et voyageuses non européen·nes. Le « cœur de Schengen », selon la communication de l’agence.

    Sur les écrans de contrôle, des ingénieur·es suivent les requêtes adressées par les États membres aux différents #systèmes_d’information_opérationnels. L’un d’eux raconte que le nombre de cyberattaques subies par l’agence est colossal : 500 000 tentatives par mois environ. La quantité de données gérées est aussi impressionnante : en 2022, le système #VIS (#Visa_Information_System) a enregistré 57 millions de demandes de #visas et 52 millions d’empreintes digitales. La même année, 86,5 millions d’alertes ont été transmises au système #SIS (#Schengen_Information_System).

    Dans l’agence du Neuhof, une vingtaine de nationalités sont représentées parmi les 350 travailleurs et travailleuses. En tout, 500 mètres carrés sécurisés abritent les données confidentielles de dizaines de millions de personnes. 2 500 ordinateurs fonctionnent en permanence pour une capacité de stockage de 13 petabytes, soit 13 milliards de gigabytes. Vingt-quatre heures sur vingt-quatre et sept jours sur sept, l’eu-Lisa répond aux demandes de données des pays membres de l’espace Schengen ou de l’Union européenne.

    Traduire la politique en #technologie

    Au-delà de la salle de réunion, impossible de photographier les murs ou l’environnement de travail. L’enclave européenne est sous haute surveillance : pour entrer, les empreintes digitales sont relevées après un passage des sacs au scanner. Un badge connecté aux empreintes permet de passer un premier sas d’entrée. Au-delà, les responsables de la sécurité suivent les visiteurs de très près, au milieu d’un environnement violet et vert parsemé de plantes de toutes formes.

    Moins de six mois avant le début des Jeux olympiques et paralympiques de Paris et deux mois après l’accord européen relatif au Pacte sur la migration et l’asile, l’agence aux 260 millions d’euros de budget en 2024 travaille à mettre en place le système de contrôle des flux de personnes le plus précis, efficace et complet de l’histoire de l’espace Schengen. Le pacte prévoit, par exemple, que la demande d’asile soit uniformisée à travers l’UE et que les « migrants illégaux » soient reconduits plus vite et plus efficacement aux frontières.

    Pour accueillir le ministre, #Agnès_Diallo, directrice de l’eu-Lisa depuis 2023, diffuse une petite vidéo en anglais dans une salle de réunion immaculée. L’ancienne cadre de l’entreprise de services numériques #Atos présente une « agence discrète » au service de la justice et des affaires intérieures européennes. À l’eu-Lisa, pas de considération politique. « Notre agence a été créée par des règlements européens et nous agissons dans ce cadre, résume-t-elle. Nous remplaçons les frontières physiques par des #frontières_numériques. Nous travaillons à laisser passer dans l’espace Schengen les migrants et voyageurs qui sont légitimes et à filtrer ceux qui le sont moins. »

    L’eu-Lisa invente, améliore et fait fonctionner les sept outils informatiques utilisés en réseau par les États membres et leurs institutions. L’agence s’assure notamment que les données sont protégées. Elle forme aussi les personnes qui utiliseront les interfaces, comme les agents de #Frontex, d’#Europol ou de la #police_aux_frontières. Au Neuhof, les personnes qui travaillent n’utilisent pas les informations qu’elles stockent.

    Fichés dès l’âge de 6 ans

    L’agence eu-Lisa héberge les empreintes digitales de 7,5 millions de demandeurs et demandeuses d’asile et « migrants illégaux » dans le système appelé Eurodac. Pour le moment, les données récoltées ne sont pas liées à l’identité de la personne ni à sa photo. Mais avec l’adoption des nouvelles règles relatives au statut de réfugié·e en Europe, Eurodac est en train d’être complètement refondé pour être opérationnel en 2026.

    La réforme décidée en décembre 2023 prévoit que les demandeurs d’asile et « migrants illégaux » devront fournir d’autres informations biométriques : en plus de leurs empreintes, leur photo, leur nom, prénom et date et lieu de naissance seront enregistrés lors de leur entrée dans Schengen. La procédure vaudra pour toute personne dès l’âge de 6 ans (contre 14 avant la réforme). Les #données qui étaient conservées pour dix-huit mois pourront l’être jusqu’à cinq ans.

    La quantité d’informations stockées va donc croître exponentiellement dès 2026. « Nous aurons énormément de données pour #tracer les mouvements des migrants irréguliers et des demandeurs d’asile », se félicite #Lorenzo_Rinaldi, l’un des cadres de l’agence venant tout droit de Tallinn. Eurodac permettra à n’importe quelle autorité policière habilitée de savoir très précisément par quel pays est arrivée une personne, ainsi que son statut administratif.

    Il sera donc impossible de demander une protection internationale dans un pays, puis de s’installer dans un autre, ou de demander une seconde fois l’asile dans un pays européen. Lorenzo Rinaldi explique : « Aujourd’hui, il nous manque la grande image des mouvements de personnes entre les États membres. On pourra identifier les tendances, recouper les données et simplifier l’#identification des personnes. »

    Pour identifier les itinéraires et contrôler les mouvements de personnes dans l’espace Schengen, l’agence travaille aussi à ce que les sept systèmes d’information fonctionnent ensemble. « Nous avions des bases de données, nous aurons désormais un système complet de gestion de ces informations », se réjouit Agnès Diallo.

    L’eu-Lisa crée donc également un système de #traçage des entrées et des sorties de l’espace Schengen, sobrement appelé #Entry-Exit_System (ou #EES). Développé à l’initiative de la France dès 2017, il remplace par une #trace_numérique le tamponnage physique des passeports par les gardes-frontières. Il permet notamment de détecter les personnes qui restent dans Schengen, après que leur visa a expiré – les #overstayers, celles qui restent trop longtemps.

    Frontières et Jeux olympiques

    « Toutes nos équipes sont mobilisées pour faire fonctionner le système EES [entrées-sorties de l’espace Schengen – ndlr] d’ici à la fin de l’année 2024 », précise Agnès Diallo. Devant le Sénat en 2023, la directrice exécutive avait assuré que l’EES ne serait pas mis en place pendant les Jeux olympiques et paralympiques si son influence était négative sur l’événement, par exemple s’il ralentissait trop le travail aux frontières.

    En France et dans onze autres pays, le système EES est testé depuis janvier 2024. L’agence estime qu’il sera prêt pour juillet 2024, comme l’affirme Lorenzo Rinaldi, chef de l’unité chargé du soutien à la direction et aux relations avec les partenaires de l’eu-Lisa : « Lorsqu’une personne non européenne arrive dans Schengen, elle devra donner à deux reprises ses #données_biométriques. Donc ça sera plus long la première fois qu’elle viendra sur le territoire, mais ses données seront conservées trois ans. Les fois suivantes, lorsque ses données seront déjà connues, le passage sera rapide. »

    Ce système est prévu pour fonctionner de concert avec un autre petit nouveau, appelé #Etias, qui devrait être opérationnel d’ici au premier semestre de 2025. Les personnes qui n’ont pas d’obligation d’avoir de visa pour entrer dans 30 pays européens devront faire une demande avant de venir pour un court séjour – comme lorsqu’un·e citoyen·ne français·e demande une autorisation électronique de voyage pour entrer aux États-Unis ou au Canada. La procédure, en ligne, sera facturée 7 euros aux voyageurs et voyageuses, et l’autorisation sera valable trois ans.

    L’eu-Lisa gère enfin le #système_d’information_Schengen (le #SIS, qui gère les alertes sur les personnes et objets recherchés ou disparus), le système d’information sur les visas (#VIS), la base de données des #casiers_judiciaires (#Ecris-TCN) et le #Codex pour la #coopération_judiciaire entre États membres.

    L’agence travaille notamment à mettre en place une communication par Internet entre ces différents systèmes. Pour Agnès Diallo, cette nouveauté permettra une coordination sans précédent des agents aux frontières et des institutions judiciaires nationales et européennes dans les 27 pays de l’espace Schengen.

    « On pourra suivre les migrants, réguliers et irréguliers », se félicite Fabienne Keller, députée européenne Renew et fervente défenseuse du Pacte sur les migrations. Pour la mise en place de tous ces outils, l’agence eu-Lisa devra former les États membres mais également les transporteurs et les voyageurs et voyageuses. L’ensemble de ces systèmes devrait être opérationnel d’ici à la fin 2026.

    https://www.mediapart.fr/journal/international/050324/strasbourg-l-europe-intensifie-discretement-le-fichage-des-migrants

    #fichage #migrations #réfugiés #biométrie
    via @karine4
    ping @_kg_

  • I rifugiati fuori dal sistema di accoglienza. Anche se ci sono migliaia di posti liberi

    I dati inediti ottenuti da Altreconomia fotografano più di 2mila letti vuoti nel #Sistema_di_accoglienza_e_integrazione (#Sai, ex Sprar) che crescono di mese in mese nonostante l’aumento degli arrivi. Inoltre il 20% dei posti finanziati non risultano occupati. Una “riserva politica” per poter gridare all’emergenza.

    Più di 2mila posti vuoti nonostante migliaia di richieste di inserimento da parte di richiedenti asilo e rifugiati, con solamente l’80% dei posti finanziati dal ministero dell’Interno realmente occupati. I dati ottenuti da Altreconomia a fine ottobre 2023 sono mostrano un fallimento: nell’ultimo anno, mentre nelle città italiane decine di persone dormivano all’addiaccio, il secondo livello di accoglienza per i migranti rimaneva ampiamente sottoutilizzato. “È un dato che necessita di una chiave di interpretazione politica e non meramente tecnica -commenta Michele Rossi, direttore del Centro immigrazione asilo e cooperazione onlus (Ciac) di Parma-: dal 2018 a oggi il sistema invece che essere valorizzato e ampliato in linea con il bisogno reale, è sempre rimasto all’80% del suo potenziale. L’esclusione dell’accoglienza per i richiedenti asilo, fatta prima con il ‘decreto Salvini’ poi nuovamente nel 2023, si dimostra una misura paradossale e la scelta governativa di istituire oggi campi e tendopoli quando ci sarebbero posti disponibili assume una luce ancora più sinistra: smentisce ogni possibile retorica dell’emergenza su cui si fonda il paradigma della segregazione nei campi”.

    Per la prima volta il Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione, in seno al Viminale, ha inviato anche il numero delle richieste pervenute dai Centri di accoglienza straordinaria (Cas), il primo livello d’accoglienza, proprio ai Sai. Il dato è sconcertante. Da gennaio a marzo 2023 le richieste totali sono state 11.218 mentre gli inserimenti 6.482, ovvero il 57% del totale. Mancanza di posti? No, perché i numeri dicono che gli inserimenti sarebbero potuti avvenire per tutti, con ancora 27 posti in disavanzo. Un dato ancora più pesante se si considera che tra questi “posti fruibili”, sono già esclusi quelli “temporaneamente non fruibili” (circa 1.100 di media al mese): nel caso di strutture danneggiate, piuttosto che accoglienze più complesse che richiedono maggior attenzione, gli operatori possono decidere di ridurre temporaneamente il numero di accolti. Quindi i 2mila posti vuoti di media mensili non trovano alcuna spiegazione. Così come i 151 vuoti liberi nel sistema DM-DS, riservati a persone con vulnerabilità psicologiche e psichiatriche, sugli appena 601 occupati (il 75% di quelli finanziati).

    “L’unica motivazione pare essere quella di lasciare posti liberi che rimangono a disposizione per ragioni di natura politica (disporre di una riserva) evitando di utilizzare il sistema per ciò che la legge prevede, ovvero rispondere alle richieste di inserimento fino a esaurimento dei posti disponibili -osserva Gianfranco Schiavone, presidente del Consorzio italiano di solidarietà (Ics) e socio dell’Asgi, l’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione-. Un fatto che si vuole evitare perché aprirebbe un dibattito pubblico sul fabbisogno di posti necessari e sulla radicale mancanza di criteri di programmazione del Sai, come d’altronde avviene per l’intero sistema di accoglienza pubblico. Il sistema Sai presenta dunque tutte insieme nello stesso tempo caratteristiche tra loro contraddittorie: c’è sempre posto per nuovi inserimenti ma nello stesso tempo è sempre insufficiente a rispondere alle esigenze effettive”. Richieste che, tra l’altro, crollano da marzo 2023 in poi con una riduzione nettissima: il numero delle persone che hanno chiesto accoglienza a marzo (4.381) è maggiore di tutte quelle che l’hanno fatto da aprile e giugno (quasi 4mila). Il cosiddetto “decreto Cutro”, del 10 marzo 2023, prevede l’impossibilità per i richiedenti asilo di accedere proprio al sistema Sai e quella delle prefetture sembra essere una “censura preventiva”, prima ancora che quella “regola” diventasse legge. Le segnalazioni sono oggi attribuite alle stesse prefetture che però non hanno spesso un reale polso delle situazioni territoriali complessive.

    Ma, come detto, non è solo problematico il numero di posti vuoti nelle strutture di accoglienza perché la discrepanza tra i “posti finanziati” e quelli “occupati” è costantemente del 20%. Che cosa significa? A luglio 2023, per esempio, a fronte di 43.469 posti attivabili c’erano appena 34.761 persone accolte. Una forbice su cui incidono diversi elementi, come i mancati inserimenti da un lato, ma anche una complessa dinamica che Michele Rossi sintetizza così: “Certamente ci possono essere strutture che necessitano di ristrutturazione, cambi di destinazione che impongono lavori e temporanee sospensioni -spiega- ma nel comprendere perché così tanti posti finanziati non siano poi immediatamente attivati andrebbe indagata anche la tempistica burocratico e amministrativa tra domanda dei Comuni e approvazione del finanziamento da parte del ministero. I progetti devono garantire case a un dato tempo, ma non sono certi della loro approvazione: con tempi molto lunghi di risposta da Roma quei contratti possono perdersi, necessitando di sostituire con altre strutture al momento dell’approvazione effettiva. Ad esempio all’ottobre 2023 non si sa ancora se migliaia di posti in scadenza al 31 dicembre potranno essere rinnovati. Senza tale garanzia c’è il rischio concreto di perdere i contratti di affitto in essere e di perdere a gennaio posti teoricamente finanziati”.

    I dati di Altreconomia ricostruiscono come da gennaio 2022 a luglio 2023 la media dei posti occupati sui finanziati sia del 79%. “Se allarghiamo lo sguardo agli anni precedenti, il dato è lo stesso -aggiunge Rossi- e questo fa riflettere parecchio perché la proporzione di un quinto di posti pieni sui vuoti l’abbiamo ritrovata, negli stessi anni, anche sui Centri di accoglienza straordinaria, unico dato che permane al variare delle diverse ‘emergenze’ e delle diverse configurazioni del sistema stesso”.

    Come ricostruito nell’inchiesta “Accoglienza selettiva”, infatti, nell’agosto 2022 le persone richiedenti asilo dormivano per strada e non venivano inserite nei Cas nonostante ci fossero più di 5mila posti vuoti. Vuoti che via via sarebbero andati -il condizionale è d’obbligo perché i dati in questo caso sono forniti direttamente dal ministero e non dalle singole prefetture- riempiendosi (ne abbiamo scritto qui), ma che evidentemente non sono andati esaurendosi nel Sai. “È un sistema dalle regole di funzionamento non trasparenti che solo in modo parziale opera sulla base di regole predeterminate e finalizzato a dare attuazione a quanto previsto dalla legge, ovvero dare accoglienza ai richiedenti asilo (solo i casi vulnerabili a partire dalla legge 50 del 2023), ai beneficiari di protezione internazionale e speciale e alle altre fattispecie previste dalla normativa”, commenta Schiavone.

    Sono rilevanti anche i dati sulla fine dei percorsi di chi esce dall’ex Sprar. Dal gennaio 2022 al luglio 2023 solo il 22% (media mensile) delle persone che hanno concluso con l’accoglienza l’ha fatto per “inserimento socio-economico”; il 29% ha visto scadere il termine massimo del progetto (quindi potenzialmente è finito per strada) e ben il 47% delle persone che è uscito mensilmente l’ha fatto “volontariamente prima della scadenza dei termini”. “Certamente è un dato che va valutato con molta cautela: se il criterio con cui le diverse ‘uscite’ possono essere attribuite all’inserimento socio-economico è abbastanza evidente, trattandosi nei fatti di casi in cui sussistono formali contratti di lavoro e di affitto non lo è altrettanto per la categoria ‘uscita volontaria prima dei termini’, che -aggiunge Rossi- potrebbe sommare sia persone che decidono di abbandonare il progetto di accoglienza volontariamente per riprendere il loro percorso migratorio, sia situazioni in cui le persone reperiscono lavoro o alloggio, ma questi sono talmente precarie o addirittura irregolari, in nero, da essere incompatibili con la prosecuzione del progetto. In questo caso, se tale ipotesi fosse anche solo parzialmente confermata, manifesterebbe la gravità delle condizioni del mercato del lavoro e degli alloggi per le persone straniere in Italia: un tema da troppo tempo dimenticato e che vede una crescente ricattabilità dei migranti, costretti ad una integrazione subalterna e costretti ad una perdurante invisibilità sociale”.

    A prescindere dalle specifiche motivazioni, infatti, il dato è netto: il 76% delle persone che escono dal sistema non hanno un percorso di inserimento socio-abitativo e lavorativo adeguato. “Per quali motivi non dovremmo definire estremamente grave tale situazione? -si interroga Schiavone-. Gli interventi di inserimento realizzati sono complessivamente inadeguati? C’è un’eccessiva rigidità nella tipologia degli interventi che i progetti sono autorizzati a realizzare e ciò gli impedisce di attuare strategie efficaci? Il tempo di accoglienza è troppo breve rispetto a quello che ragionevolmente sarebbe necessario per il raggiungimento degli obiettivi? Probabilmente tutti questi fattori, con pesi diversi, giocano un ruolo e concorrono a delineare un sistema gravemente fallimentare proprio rispetto al ruolo quasi esclusivo che la legge gli assegna ovvero realizzare percorsi efficaci di inserimento sociale dei beneficiari”. Schiavone sottolinea che le crescenti difficoltà che il Sai incontra nel realizzare percorsi efficaci di inserimento sociale dei beneficiari sono dovute anche al generale peggioramento delle condizioni economiche della popolazione. “Ma è necessario -conclude- evidenziare che un fallimento c’è e onestà intellettuale imporrebbe che se ne parlasse. Ma di una discussione serena e propositiva in tal senso non c’è traccia: la polvere viene messa sotto il tappeto”.

    https://altreconomia.it/i-rifugiati-fuori-dal-sistema-di-accoglienza-anche-se-ci-sono-migliaia-

    #accueil #hébergement #asile #migrations #réfugiés #Italie #statistiques #chiffres #urgence #réserve #réserve_politique #places_vides #places_libres #cas #taux_d'occupation

  • Il sistema delle “coop pigliatutto”

    Per anni hanno dominato il settore dell’accoglienza in Veneto prima di sbarcare nella detenzione amministrativa. Oggi gestiscono due Cpr, tra cui quello di Gradisca d’Isonzo, dove dalla sua riapertura sono morte quattro persone

    Il 16 dicembre del 2019 il Centro di permanenza per il rimpatrio (Cpr) di Gradisca d’Isonzo, in provincia di Gorizia, riapre, a sei anni dalle proteste che hanno portato alla sua chiusura. Tra i primi trattenuti del nuovo corso, c’è un gruppo di circa settanta persone provenienti dal centro di Bari, dove sono stati bruciati tre degli ultimi quattro moduli rimasti dopo le proteste dei mesi precedenti. Bibudi Anthony Nzuzi è tra coloro che sono stati trasferiti «di punto in bianco», dice, in Friuli. L’accoglienza non è stata delle migliori: «Pioveva, faceva freddo, ci siamo ritrovati i poliziotti in tenuta antisommossa. Non avevamo materassi, non c’erano coperte, non avevamo niente per poterci vestire. Ci siamo ritrovati a dormire al freddo perché non c’era il riscaldamento», racconta.

    Nzuzi è nel Cpr friulano anche tra il 17 e il 18 gennaio 2020, quando muore un trattenuto georgiano di 37 anni, Vakhtang Enukidze. I poliziotti di cui parla Nzuzi stanno sedando una protesta. «Hanno inizialmente pestato tutti, solo che lui [Vakhtang Enukidze] era caduto – racconta – ma continuavano a pestarlo e gli altri ragazzi si sono buttati addosso ai poliziotti e l’hanno tirato via».

    Nzuzi si trova nello stesso reparto di Enukidze ma in un’altra cella. «La sera lui [Vakhtang Enukidze] lamentava dolori, non si sentiva bene – ricorda, ripensando ai momenti dopo che la polizia ha lasciato il Cpr -. È andato a dormire e non si è più risvegliato». Questa versione è stata confermata da alcune testimonianze raccolte dal deputato Riccardo Magi durante due visite ispettive subito dopo il decesso. Non dagli investigatori, però.

    –—

    L’inchiesta in breve

    - Ekene nasce nel 2017 come diretta emanazione di Ecofficina ed Edeco, enti che hanno dominato il mercato dell’accoglienza in Veneto guadagnandosi l’appellativo di “coop pigliatutto”
    - A gestirla è Simone Borile, imprenditore padovano che proviene dal business dei rifiuti. Sebbene non compaia mai nella visura camerale, viene considerato dagli inquirenti di Venezia “amministratore di fatto” delle cooperative
    - Nel 2016, Ecofficina-Edeco si aggiudica due centri di accoglienza, a Cona e Bagnoli. Per la gestione dei due hub, sono nati due processi paralleli a Padova e Venezia, dove sono indagati alcuni funzionari delle due prefetture e i vertici della cooperativa, tra cui Simone Borile. Le accuse, a vario titolo, sono di frode nell’esecuzione del contratto, inadempimento e frode degli obblighi contrattuali, rivelazioni di segreto d’ufficio
    - Con la liquidazione di Edeco nasce Ekene, che segna l’ingresso nel mondo della detenzione amministrativa con l’aggiudicazione dei Cpr di Gradisca d’Isonzo, in Friuli-Venezia Giulia, e Macomer, in Sardegna
    – Dalla sua riapertura nel gennaio 2019, nel Cpr friulano sono morte quattro persone. Borile è indagato per omidicio colposo per il decesso di Vakhtang Enukidze, lasciato secondo l’accusa per nove ore senza soccorsi
    – Nell’ottobre 2022, la cooperativa veneta ha vinto la gara per la gestione del Cpr di Caltanissetta. Dopo sette mesi la Prefettura ha annullato l’aggiudicazione per i procedimenti a carico dei vertici

    –—

    A seguito della morte di Enukidze, la procura di Gorizia ha cominciato a indagare. L’autopsia sul deceduto ha stabilito come causa della morte un edema polmonare e cerebrale dovuto non a un pestaggio, ma a un cocktail di farmaci e stupefacenti. Così a essere riviati a giudizio con l’accusa di omicidio colposo sono stati il direttore del centro, Simone Borile, e il centralinista che era di turno quel giorno. La cooperativa che ha in gestione il Cpr si chiama Ekene. È nata dalle ceneri di Ecofficina ed Edeco, conosciute in Veneto come “coop pigliatutto”, per aver dominato per anni la gestione dell’accoglienza in tutta la regione.

    Secondo la ricostruzione degli inquirenti, Enukidze è stato lasciato senza soccorso per diverse ore, nonostante le richieste di aiuto degli altri trattenuti, prima di essere trasferito in ospedale, dove è morto alle 15:37. La sorella, Asmat, ricorda l’ultima telefonata in cui percepiva una voce diversa: «Sembrava che avesse bevuto. Aveva dei dolori e gli avevano dato qualcosa per calmarlo, un antidolorifico. Stava talmente male che non riusciva nemmeno ad andare all’udienza. Mi diceva di contattare l’ambasciata georgiana, per farlo uscire dal Cpr», racconta. Simone Borile, raggiunto al telefono da IrpiMedia, ha una versione diversa dei fatti: «È stato soccorso immediatamente, appena c’è stata la chiamata», il problema «riguarda il mancato funzionamento del sistema di chiamata. Niente a che vedere con il mancato soccorso».
    L’ascesa di Ecofficina tra le coop dell’accoglienza

    Borile ha cominciato a lavorare con i migranti dai tempi di Ecofficina Educational, cooperativa con sede a Battaglia Terme, in provincia di Padova, fondata il 2 agosto 2011. Il direttore del Cpr di Gradisca non appare nella visura camerale in quanto sarebbe stato un semplice consulente esterno. Gli inquirenti di Venezia e Padova che indagheranno sulla società, sosterranno tuttavia che sia lo stesso Borile l’amministratore di fatto delle “coop pigliatutto”.

    I legami tra Borile e i vertici di Ecofficina sono però evidenti: vicepresidente della cooperativa è la moglie Sara Felpati mentre il presidente del consiglio di amministrazione è Gaetano Battocchio, coinvolto con lui nel processo per bancarotta della società di gestione dei rifiuti della Bassa Padovana, Padova Tre srl, ma poi assolto, al contrario di Borile che a marzo 2023 è stato uno dei due condannati in primo grado a quattro anni e otto mesi per peculato perché avrebbe trattenuto illegalmente un importo di oltre tre milioni di euro.

    È nel dicembre 2014 che per la prima volta il nome di Ecofficina viene accostato a un caso di frode nelle pubbliche forniture e maltrattamenti sugli ospiti. Il processo che ne è scaturito si chiuderà otto anni e mezzo dopo, il 12 luglio 2023, con l’assoluzione dei vertici della cooperativa perché il fatto non sussiste.

    Durante gli anni passati a processo, Ecofficina Educational – che nel 2015 ha ceduto parte dell’azienda a un’altra cooperativa, Ecofficina Servizi – si aggiudica diversi appalti per l’accoglienza migranti in particolare nella provincia di Padova, con un monopolio che comprende l’ex Caserma Prandina di Padova, l’Hotel Maxim’s a Montagnana, lo Sprar del comune di Due Carrare e l’accoglienza di più di 700 migranti nelle province di Venezia, Vicenza e Rovigo.

    Nel caso dello Sprar di Due Carrare, uno dei requisiti fondamentali per partecipare era aver svolto in modo continuativo, e per almeno due anni, l’attività di accoglienza. A gennaio 2016, la cooperativa ha depositato una dichiarazione attestante una convenzione con la Prefettura di Padova che provava l’inizio dell’attività il 6 gennaio 2014, nonostante Ecofficina fosse entrata nel settore solo nel maggio dello stesso anno. Grazie alla documentazione falsa, secondo l’ipotesi degli inquirenti di Padova, Ecofficina avrebbe ottenuto l’aggiudicazione provvisoria delle gare per la gestione di centri di accoglienza. Il processo che è scaturito dall’indagine è ancora in corso, riporta il Mattino di Padova. IrpiMedia non ha ricevuto alcuna risposta a domande di chiarimento rivolte via email alla cooperativa su questo e su altri temi.

    –—

    Cpa, Cas, Sai: le sigle dell’accoglienza

    In Italia il sistema di accoglienza dovrebbe svilupparsi su due binari: a un primo livello ci sono i Centri di prima accoglienza (Cpa) e gli hotspot, e a un secondo il Sistema di accoglienza e integrazione (Sai), strutture gestite dagli enti locali su base volontaria, che dovrebbero rappresentare il sistema ordinario. I Centri di accoglienza straordinaria (Cas), invece, dovrebbero essere individuati e istituiti dalle prefetture nel caso in cui i posti negli altri centri fossero esauriti. La maggior parte delle persone che arrivano sul territorio però sono accolte nei Cas, sintomo di una gestione perennemente emergenziale del fenomeno. In base ai dati del rapporto di Actionaid Centri d’Italia del 2022, i posti nei Cas, dove è ospitato oltre il 65% delle persone, e nei Cpa sono infatti quasi 63 mila, a fronte dei 34 mila posti del Sai.

    I centri di prima accoglienza e gli hotspot sono invece strutture nate per identificare, fotosegnalare e assistere dal punto di vista sanitario le persone appena arrivate in Italia. Dovrebbero fornire anche le prime informazioni legali per la richiesta di protezione internazionale.

    Nel Sai – prima conosciuto come Siproimi (Sistema di protezione per titolari di protezione internazionale e per minori stranieri non accompagnati) e prima ancora come Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati) – i servizi assicurati sono solitamente superiori rispetto agli altri centri e mirano ad accompagnare le persone accolte nei loro percorsi di vita e di autonomia: oltre al vitto e all’alloggio, sono infatti assicurate assistenza legale, mediazione linguistica, orientamento lavorativo, insegnamento della lingua italiana, assistenza psicosociale.

    A parte alcune categorie di soggetti, come i minori stranieri non accompagnati, il decreto firmato il 10 marzo 2023 dal ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha escluso i richiedenti asilo dalla possibilità di essere accolti nel sistema ordinario, riservando loro i pochi servizi di base garantiti dal Cas, ulteriormente ridotti: l’assistenza materiale, sanitaria e linguistica, vitto e alloggio, eliminando i servizi di assistenza psicologica, i corsi di italiano e l’orientamento legale.

    –—

    Gli anni di Edeco

    Dopo le vicende di Ecofficina, la cooperativa cambia nome. Spunta dunque un nuovo attore nel mercato dell’accoglienza in Veneto: Edeco. I vertici però rimangono invariati. La cooperativa inizia a partecipare ai bandi per la gestione dell’accoglienza a partire dal 2016, quando il suo organigramma si arricchisce di nuove figure. Tra queste, Annalisa Carraro, che con Battocchio, Felpati e Borile sarà imputata nel processo di Venezia. Quell’anno in Italia il numero dei Centri di accoglienza straordinaria (Cas) cresce di quasi il doppio rispetto all’anno precedente, con 137 mila strutture dove si concentra il 78% dei richiedenti asilo. In particolare, in Veneto questa tendenza si affianca alla resistenza degli amministratori locali verso il sistema di accoglienza diffusa rappresentato dagli Sprar (oggi Sai).

    È in questo contesto che nascono centri come la tendopoli nell’ex base militare di Cona, in provincia di Venezia, gestita provvisoriamente da Ecofficina fino al luglio del 2016. Quel mese sarà proprio Edeco, in un raggruppamento temporaneo d’imprese con Ecos e Food Service, ad aggiudicarsi il nuovo appalto.

    Le denunce sulle condizioni interne emergono già dal giugno dello stesso anno, quando alcune associazioni effettuano una visita al centro evidenziando il sovraffollamento e la carenza dei servizi essenziali. Le proteste successive dei richiedenti asilo spingono il presidente della Confcooperative del Veneto, Ugo Campagnaro, a prendere la decisione di sospendere Ecofficina-Edeco con queste motivazioni: «Non esiste una legge che impedisca di ospitare e gestire centinaia di profughi in un’unica struttura. Questo però è un sistema che non risponde alle logiche della buona accoglienza […]. Si tratta invece di un modello che guarda soprattutto al business».

    I problemi diventano evidenti quando a gennaio 2017 Sandrine Bakayoko, 25enne ivoriana ospite del centro di Cona, muore per trombosi polmonare. Questo episodio porterà ad alcuni lavori di ristrutturazione e alla riduzione degli ospiti da 1.600 a 1.000, misure comunque non sufficienti a evitare la protesta dei richiedenti asilo, che a novembre si mettono in marcia verso Venezia per ottenere un incontro con il prefetto di Venezia, che alla fine deciderà di spostarli in altre strutture, scrive Internazionale.

    Due anni più tardi la Procura di Venezia chiede il rinvio a giudizio per i vertici di Ecofficina-Edeco. Borile, sempre “amministratore di fatto” a quanto afferma l’accusa, e i suoi colleghi avrebbero impiegato un numero di operatori inferiore agli obblighi contrattuali, un’inadempienza che sarebbe stata coperta dai trasferimenti di personale dall’altro grande centro gestito dalla cooperativa, quello di Bagnoli, in provincia di Padova, e dalla falsificazione dei documenti, che avrebbero fatto apparire un numero di operatori superiore. Inoltre, l’impiego di medici e infermieri con turni e orari inferiori rispetto a quanto previsto dal capitolato d’appalto avrebbe procurato un ingiusto profitto di oltre 200 mila euro. Tutto questo sarebbe stato possibile anche grazie alle informazioni fornite dalla Prefettura. Secondo quanto emerge da alcune intercettazioni contenute nelle carte processuali, ex prefetti e funzionari avrebbero preannunciato e in alcuni casi concordato con i responsabili della cooperativa l’orario e la data delle visite ispettive. Una prassi che avrebbe permesso a Ecofficina-Edeco di organizzarsi in anticipo per coprire eventuali falle.

    Per questo motivo, la giudice per le indagini preliminari ha accolto le richieste di rinvio a giudizio, tra gli altri, anche nei confronti dell’ex prefetto pro tempore di Venezia Domenico Cuttaia e dell’allora vice prefetto vicario Vito Cusumano per rivelazione di segreto d’ufficio.

    Raggiunto al telefono, Simone Borile ha commentato in questo modo: «Non si trattava di ispezioni, ma esclusivamente di una visita di cortesia». Il processo è ancora in primo grado, in fase dibattimentale: nell’ultima udienza, un’ex operatrice ha raccontato che era il personale a firmare il foglio presenze per conto dei richiedenti asilo, in modo da poter ricevere dalla Prefettura la quota diaria per ogni persona accolta, riporta Il Gazzettino.

    Un processo molto simile si sta svolgendo a Padova sulla gestione del Cas di Bagnoli. Tra gli imputati ci sono ancora una volta Sara Felpati, Simone Borile, Gaetano Battocchio, oltre all’ex viceprefetto Pasquale Aversa, il vicario Alessandro Sallusto e una funzionaria della Prefettura. Le accuse a vario titolo sono di turbativa d’asta, frode nelle forniture pubbliche, truffa, concussione per induzione, rivelazione di segreti d’ufficio e falso ideologico. Secondo l’accusa, grazie ai contatti con la Prefettura, Borile, Battocchio e Felpati avrebbero ottenuto informazioni sui concorrenti, partecipando a un bando su misura per Edeco. Anche in questo caso viene contestata la presenza di personale in numero inferiore rispetto al capitolato d’appalto e le chiamate di preavviso della Prefettura prima di alcune ispezioni per permettere alla cooperativa di farsi trovare in regola.
    I danni delle indagini

    Le indagini finiscono per danneggiare la “coop pigliatutto” che alla fine del 2018, anno di chiusura delle strutture di Cona e Bagnoli, avvia una procedura di licenziamento collettivo per 57 lavoratori, a cui se ne aggiungono 71 in scadenza di contratto. Si tratta di addetti alle pulizie e custodia, operai, insegnanti, tecnici, psicologi, educatori che riducono sensibilmente la rosa di Edeco, composta fino ad allora da 228 dipendenti. Nel 2020, Edeco inizia il processo di liquidazione, ma comincia a prendere nuova forma, sempre con lo stesso sistema: la creazione di nuove cooperative.

    Questa volta sono due le cooperative che prendono il testimone di Edeco, segnando l’ingresso nel mondo del trattenimento dei cittadini stranieri: Ekene e Tuendelee. La prima è dedicata quasi esclusivamente alla gestione dei Cpr, la seconda all’attività principale di «pulizia generale (non specializzata) di edifici», oltre a servizi educativi e socio-sanitari come le «attività di prima accoglienza per cittadini stranieri».

    Simone Borile, che di nuovo non compare nelle visure camerali, ha giustificato così a La Nuova Venezia la necessità di creare nuovi soggetti: «Era impossibile continuare a lavorare a causa del danno reputazionale che abbiamo subito». Le stesse persone coinvolte nei processi di Padova e Venezia sono presenti anche nei nuovi organigrammi, come Sara Felpati, prima presidente del Cda di Ekene, ruolo passato poi alla sorella Chiara, e Annalisa Carraro, ex consigliera di Edeco, che oggi ricopre il ruolo di vicepresidente di Ekene e di consigliera in Tuendelee.

    Le controversie del passato non hanno quindi impedito l’aggiudicazione di nuove strutture: nell’agosto del 2019 Edeco ottiene in gestione il Cpr di Gradisca d’Isonzo, poi ceduto due anni dopo a Ekene, e nel dicembre 2021 quello di Macomer. In Friuli, la cooperativa si aggiudica una gara da quasi cinque milioni di euro, grazie al ribasso dell’11,9% rispetto alla base d’asta, dopo l’esclusione delle prime quattro società in graduatoria. Ekene a marzo 2023 vince anche un ricorso al Tar per ottenere la gestione di un centro di accoglienza a Oderzo, nel trevigiano, nell’ex caserma Zanusso.

    Ekene ha poi preso in gestione il Cpr di Macomer dopo l’aggiudicazione della gara del 2021. In una visita, l’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi) ha riportato criticità simili a quelle emerse nella struttura friulana, come la violazione del diritto alla salute, all’informazione normativa e alla corrispondenza, poiché «neanche i difensori possono contattare i loro assistiti in caso di comunicazioni urgenti se non attraverso il filtro del gestore», si legge nel rapporto. Inoltre, secondo Asgi la visita medica è spesso assente o viene fatta in modo superficiale.

    La cooperativa veneta ha poi vinto, nell’ottobre 2022, la gara per la gestione del Cpr di Caltanissetta. Ma dopo sette mesi, a maggio 2023, la Prefettura ha annullato l’aggiudicazione per i procedimenti a carico dei vertici: nel decreto di esclusione si riconosce esplicitamente Ekene come diretta emanazione di Edeco. Ricordando i gravi reati contestati nei procedimenti penali in corso, la Prefettura afferma di non poter «valutare favorevolmente l’integrità e l’affidabilità dell’operatore economico». Considerazioni diverse rispetto a quelle della Prefettura di Gorizia, che ha permesso a Simone Borile di mantenere il ruolo di direttore del centro di Gradisca d’Isonzo.

    L’imputazione di Borile per omicidio colposo, secondo i verbali della nuova gara indetta dalla Prefettura di Gorizia per la gestione del Cpr, «può avere rilievo solo al fine di considerare l’affidabilità dell’operatore economico sotto la cui gestione è occorso l’evento morte», dato che Borile non ricopre alcun incarico formale in Ekene. Nella stessa gara, la cooperativa Badia Grande è stata esclusa per il rinvio a giudizio del rappresentante legale per diversi reati, tra cui frode nelle pubbliche forniture per la gestione dei Cpr di Trapani e Bari. Dai verbali della prefettura disponibili in rete risulta che la posizione della cooperativa veneta sia ancora in fase di valutazione.
    Morire di Cpr a Gradisca d’Isonzo

    Dalla riapertura del 2019 ad oggi sono morti quattro trattenuti al Cpr di Gradisca d’Isonzo. Dopo Vakhtang Enukidze, Orgest Turia, cittadino albanese di 28 anni, è morto per overdose da metadone quattro giorni dopo essere entrato nel centro, il 10 luglio 2020, in una cella di isolamento, dove si trovava con altre cinque persone per il periodo di quarantena. Andrea Guadagnini, avvocato di Turia, ha scoperto della sua morte proprio in sede di convalida del trattenimento ed esprime perplessità sulla provenienza di quella sostanza. Altre due persone si sono poi tolte la vita nella struttura: Anani Ezzedine era un cittadino tunisino di 44 anni. Anche lui in isolamento per il periodo di quarantena, si è suicidato nella sua cella nella notte tra il 5 e il 6 dicembre 2021. Arshad Jahangir, un ragazzo 28enne di origine pakistana, si è suicidato il 31 agosto 2022 in camera un’ora dopo essere entrato nel Cpr.

    «È chiaro che per noi i Cpr debbano essere chiusi, ma nel frattempo volevamo instaurare delle prassi virtuose per agevolare la tutela dei diritti dei detenuti», afferma Eva Vigato, che insieme ad altre due colleghe, tra dicembre 2019 e novembre 2020 ha svolto il servizio di assistenza legale per l’ente gestore. Sostiene che anche per lei fosse molto difficile intervenire: i diritti dei trattenuti nei Cpr non sono delineati da una legge, ma da un semplice regolamento ministeriale, di cui non possono essere contestate le violazioni.

    https://www.youtube.com/watch?v=xq-OrG9-V7c&embeds_referring_euri=https%3A%2F%2Firpimedia.irpi.eu%2

    «Sono successe delle cose che ci hanno sconvolto», ricorda l’avvocata Vigato. Dopo la morte di Vakhtang Enukidze, Vigato e le sue colleghe hanno assistito a un’altra serie di irregolarità: «Abbiamo deciso di tener duro e ci siamo date come limite la Convenzione di Ginevra – spiega -. Di fronte a una violazione del trattato internazionale avremmo sporto denuncia».

    L’occasione si è presentata a novembre 2020: le legali si sono rese conto che dal Cpr transitavano cittadini tunisini senza che venisse registrato il loro ingresso nel sistema e senza che riuscissero a incontrarli e a informarli dei loro diritti, tra cui la richiesta di asilo, tutelata proprio dalla Convenzione di Ginevra. Le avvocate avevano dunque incaricato formalmente i mediatori di informare i trattenuti della possibilità di chiedere protezione internazionale e di metterlo per iscritto. In risposta, l’ente gestore ha deciso di diminuire le ore di ufficio legale, portando l’avvocata a inviare una segnalazione per denunciare la violazione della Convenzione di Ginevra alla Prefettura e al Garante nazionale. Ha risposto «il prefetto in persona – racconta Vigato – dicendo che non c’era nulla di irregolare ravvisabile nell’operato. Mi domando come abbia fatto, in così pochi giorni e senza un serio controllo, ad affermare una cosa del genere». La sera stessa Edeco ha rimosso Vigato e le sue colleghe dall’incarico.

    Nella segnalazione inviata alle autorità, Vigato ha evidenziato la violazione di molteplici diritti, tra cui quello alla salute e all’assistenza legale. Sostiene ci fosse un abuso di medicine nella struttura: «A un certo punto ci siamo rese conto che non c’era un controllo reale sui farmaci e potevano essere utilizzati anche in modo improprio dai detenuti». Le legali spesso non riuscivano ad accedere alle informazioni sanitarie e, in alcuni casi, non veniva caricato il resoconto delle visite, soprattutto quelle psicologiche. «L’impressione che è uscita sia dal processo Edeco sia dalla mia esperienza nel Cpr – conclude Vigato – è che ci sia una sorta di soluzione di comodo tra l’ente gestore e l’istituzione, per cui va bene così».

    –—

    La storia di Anthony

    Bibudi Anthony Nzuzi è nato in Libano, da genitori congolesi, nel 1983, in piena guerra civile. «Era la fase del bombardamento massiccio», racconta, ma dopo cinque anni «la situazione era diventata veramente insostenibile». Per questa ragione, sua madre ha deciso di mandare i figli fuori dal Paese: due dei tre fratelli più grandi sono emigrati in Congo Brazzaville, ma lui, il più piccolo, è rimasto con lei. Poi sono fuggiti insieme in Siria e, visto che il conflitto si stava avvicinando, in Turchia, ad Ankara e a Istanbul.

    Infine, hanno deciso di venire in Italia per ricongiungersi con il fratello maggiore, che si trovava nel Paese da diversi anni. «Nel 1998 mia madre, dopo anni di duro lavoro, è riuscita a riunire tutta la famiglia qui a Jesi, nelle Marche», dice Anthony, che ha poi studiato come perito elettrotecnico, mentre uno dei fratelli ha partecipato alle Olimpiadi di Pechino del 2008 con l’Italia nella disciplina delle arti marziali.

    Anthony vive quindi in Italia da quasi trent’anni e ha conosciuto il mondo dei Cpr «per un errore», racconta: «Vivevo a Modena e mi sono fidato di una persona, sbagliando. Mi sono trovato a dover scontare una pena di 11 mesi e 29 giorni in carcere». Mentre era recluso gli è scaduto il permesso di soggiorno senza, sostiene, che gli fosse data la possibilità di rinnovarlo. «A luglio mi è arrivato il foglio di via e il 10 ottobre a mezzanotte sono venuti a prendermi in cella, mi hanno fatto preparare tutte le mie cose perché dovevano espatriarmi in Congo». Ma dopo essere stato trasferito a Fiumicino alle quattro di mattina e alcune ore di attesa, il volo non è partito ed è stato riportato in cella.

    Uscito dal carcere, dopo uno sconto di pena per buona condotta, ha potuto passare un giorno con la famiglia per poi essere recluso in un Cpr. «Era l’unico modo per me per rimanere in Italia – racconta con commozione – non è facile, ma sono riuscito ad andare avanti». È stato portato al Cpr di Bari, ma per la sua avvocata, che esercita nelle Marche, era diventato difficile seguirlo.

    Dopo pochi giorni le condizioni nel centro pugliese erano già critiche: cibo ammuffito, carenze igieniche e, secondo Anthony, negli altri moduli la situazione era anche peggiore. Per questo sono iniziate rivolte interne che hanno reso inagibile la struttura, andata a fuoco. «La mattina dell’incendio ci siamo ritrovati caricati su dei pullman e portati a Gorizia – dice – di punto in bianco».

    Anthony considera il carcere molto meglio del Cpr: «Hai una vita dignitosa, per quanto è possibile. Sei detenuto, ma comunque hai la tua dignità. Nel Cpr ti tolgono tutto, o almeno ci provano». E aggiunge: «Se arrivo a dire una cosa del genere significa che stavo meglio in carcere per davvero. I primi giorni a Gradisca abbiamo patito il freddo, il cibo arrivava gelato e crudo. Non è stato per niente facile».

    Grazie all’assistenza legale della sua avvocata è riuscito a uscire, ma se fosse stato rimpatriato nel Paese di origine dei suoi genitori, dove lui non è mai stato, avrebbe dovuto arrangiarsi senza soldi: «Non mi hanno dato un euro quando sono arrivato in aeroporto», spiega. Anthony rischiava di essere rimpatriato in Congo, dove ha alcuni parenti, «ma non so neanche dove siano, come si chiamino o come contattarli». E, oltre ad avere sempre avuto i documenti in regola, già prima di entrare nel Cpr, aveva un figlio di nazionalità italiana.

    «Metà delle persone che trovi nel Cpr – conclude Anthony – hanno semplicemente voglia di trovare un futuro. Magari c’è chi vorrebbe veramente lavorare, ma non ha possibilità perché lo trattano come un cane. Dagli la possibilità di dimostrarti che può rimanere nel tuo Paese. Non ne vuole tante, gliene basta una».

    –—

    https://irpimedia.irpi.eu/cprspa-coop-ekene-gradisca-isonzo-macomer

    ici aussi : https://seenthis.net/messages/1016060

    #accueil #rétention #détention_administrative #asile #migrations #réfugiés #sans-papiers #business #Gradisca_d'Isonzo #Italie #CPR #Vakhtang_Enukidze #Enukidze #Simone_Borile #Ecofficina-Edeco #Ecofficina #Edeco #Cona #Bagnoli #Ekene #Macomer #coopérative #Ecofficina_Educational #Sara_Felpati #Gaetano_Battocchio #Ecofficina_Servizi #Due_Carrare #CPA #CAS #SAI #centri_di_prima_accoglienza #Sistema_di_accoglienza_e_integrazione #Centri_di_accoglienza_straordinaria #Edeco #Annalisa_Carraro #Ecos #Food_Service #Sandrine_Bakayoko #Tuendelee #Oderzo #caserma_Zanusso #Caltanissetta #Badia_Grande

  • I dati sull’accoglienza in Italia, tra programmazione mancata e un “sistema unico” mai nato

    Ad agosto in Italia sono “accolte” quasi 133mila persone, per la maggioranza nei centri prefettizi. Il sistema diffuso, e sulla carta ordinario, pesa ancora poco. Un confronto con gli anni scorsi smonta l’emergenza e mostra i nodi veri: dalla non programmazione al definanziamento, fino allo squilibrio provinciale tra #Cas e #Sai.

    Al 15 agosto di quest’anno le persone in accoglienza in Italia sono 132.796: 95.436 nei Centri di accoglienza straordinaria che fanno capo alle prefetture, 34.761 nei centri diffusi del Sistema di accoglienza e integrazione (Sai) e 2.599 negli hotspot. Tanti? Pochi? Spia di un’emergenza imprevedibile? Un confronto con gli anni scorsi può aiutare a orientarsi, tenendo sempre la stessa fonte, cioè il ministero dell’Interno, lo stesso che per conto del governo lamenta una situazione “scoppiata” tra le mani, impossibile da programmare e quindi non gestibile per le vie ordinarie, tanto da dichiarare lo stato di emergenza.

    Facciamo un salto indietro alla fine del 2016, quando gli sbarchi furono oltre 180mila. Le persone in accoglienza in Italia allora erano 176.257, il 32,7% in più di oggi. La stragrande maggioranza, proprio come oggi, era nelle strutture temporanee emergenziali (137mila), seguita a distanza dall’accoglienza diffusa e teoricamente strutturale dell’allora Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (Sprar) con 23mila posti, dai centri di prima accoglienza (15mila circa) e dagli hotspot (un migliaio). A fine agosto 2017, anno in cui gli sbarchi alla fine sfiorarono quota 120mila, erano 173.783, di cui nei soli Cas 158.207. Un terzo in più di oggi.

    Un anno dopo, il 31 agosto 2018, erano scesi a 155.619. Attenzione: quell’anno, anche a seguito degli accordi del 2017 tra Italia e Libia e delle forniture garantite a Tripoli per intercettare e respingere i naufraghi con missioni bilaterali di supporto (farina Minniti-Gentiloni), gli sbarchi crolleranno a 23.370.
    Ed è proprio in quell’anno che per decreto (il cosiddetto “Decreto Salvini”, 113/2018) il Governo Conte I smonta il già gracile e incompiuto sistema di accoglienza, pubblicando schemi di capitolato dei Cas che premiano le strutture di grandi dimensioni, riducendo gli standard di accoglienza e mortificando l’operato del Terzo settore. Per non parlare del forte impulso, già in atto da qualche tempo, alla prassi “svuota centri” rappresentata dalle revoche delle misure di accoglienza da parte delle prefetture. È bene infatti ricordare che tra 2016 e 2019, come ricostruito da un’inchiesta di Altreconomia, almeno 100mila tra richiedenti asilo e beneficiari di protezione si sono visti cancellare le condizioni materiali di accoglienza, finendo espulsi dai centri, a discrezione delle singole prefetture e senza che venisse tenuto in minima considerazione alcun principio di gradualità.

    L’anno che ha fatto registrare il dato più basso di sbarchi dell’ultima decade è il 2019: 11.471. A metà agosto di quattro anni fa le persone in accoglienza erano 102.402, di cui 77.128 nei Cas e 25.132 nell’ormai ex Sprar, svuotato della sua natura originaria e rinominato in Siproimi. “Perché immaginare di costruire un sistema di accoglienza per soggetti ritenuti non graditi dalle istituzioni?”, è il ragionamento non detto.

    Ecco perché al 15 agosto 2020, anno di leggera ripresa degli sbarchi (34.200 circa), le persone nei Cas, nel Siproimi e negli hotspot non superano quota 85mila. La metà rispetto al 2016. Crollano i posti nei centri prefettizi (da 77mila del 2019 a 60mila del 2020) così come quelli nel Siproimi (da 25mila a 23mila).

    Ma si è riusciti a far di peggio, riducendo il sistema al lumicino dei 76.902 “immigrati in accoglienza sul territorio”, come li indica il Viminale, del 15 agosto 2021 (anno che registrerà 67.477 sbarchi). Nei centri prefettizi vengono infatti dichiarate 51.128 persone presenti, quasi un terzo di quante erano accolte nel dicembre 2017. Nel circuito del Siproimi c’è una flebile ripresa che però non oltrepassa quota 25mila posti.

    È una sorta di “età di mezzo” (siamo a cavallo dei Governi Conte II e Draghi). Nonostante il positivo intervento della legge 173/2020 che ripristina la logica dello Sprar, denominandolo Sai (Sistema di accoglienza e integrazione), i due esecutivi che precedono l’attuale non riescono a (o non vogliono) frenare la diminuzione dei posti. Si fa finta di non vedere che il sistema di accoglienza è nei fatti sottostimato e che da un momento all’altro può dunque implodere rispetto alle necessità. I capitolati dei Cas vengono di poco corretti ma non in maniera adeguata, e continua a non essere elaborato e tanto meno attuato alcun piano di progressivo assorbimento e riconversione dei Cas (emergenza) nel Sai (ordinario). Il Sistema di accoglienza e integrazione torna debolmente a crescere ma in modo modesto. Perché non è lì che si punta: a occupare l’agenda sono ancora gli accordi con la Libia, che vengono infatti rinnovati, e la direzione politica non cambia rispetto a quella precedente, è solo meno “urlata”.

    È in questo quadro che arriviamo all’anno scorso, quello dei 105mila sbarchi, con le persone in accoglienza che a metà agosto 2022 sono 95.893, di cui 64.117 nei Cas e 31mila circa nei centri Sai.

    Pian piano quella quota è cresciuta fino ai citati 132.796 “accolti” del 15 agosto 2023. Non si tratta, come visto, di un inedito picco ma di un già vissuto trascinarsi di difetti strutturali. Uno su tutti: il Sai, la fase di accoglienza concepita come ordinaria, non riesce ad andare oltre il 30% del numero complessivo dei posti disponibili.

    “Se immaginiamo che tra il 20 e il 30% della popolazione presente nei centri rapidamente li abbandona e lascia l’Italia per andare in altri Paesi dell’Unione europea, l’impatto generale degli arrivi e delle presenze è quanto mai modesto -osserva Gianfranco Schiavone, presidente del Consorzio italiano di solidarietà di Trieste e tra i più esperti conoscitori del sistema di accoglienza del nostro Paese. Nulla giustifica l’ordinario e diffuso allarmismo”. “La popolazione italiana nel solo 2022 è diminuita di 179mila unità, un numero pari a più di tre anni di arrivi (2022, 2021, 2020) -fa notare ancora Schiavone-. Ma di che cosa stiamo parlando?”.

    A questa lettura se ne aggiunge un’altra che riguarda la disomogeneità territoriale dell’accoglienza su scala provinciale. Il ministero dell’Interno rende infatti pubblici ogni 15 giorni i dati aggiornati sulle “presenze di migranti in accoglienza” distinguendoli però solo su base regionale. Così gli squilibri del sistema non emergono nel dettaglio.

    Altreconomia ha ottenuto dal Viminale i dati suddivisi per Provincia al 30 giugno 2023, appena prima che scoppiasse l’ultima “emergenza accoglienza”, quando le persone in accoglienza erano 118.883 di cui 3.682 negli hotspot (Lampedusa su tutti), 80.126 nei Cas e 35.075 nei centri Sai. Il carattere che emerge è la sproporzione. Vale tanto per la distribuzione dei posti del Sai quanto per il “collegamento” tra il sistema emergenziale Cas e l’accoglienza diffusa.

    Schiavone fa qualche esempio pratico. “In alcune Regioni e province le presenze nel Sai sono bassissime, specie se rapportate alla popolazione residente. Veneto, Toscana, la stessa Lombardia. Il divario Nord-Sud è critico. La peggiore si conferma in ogni caso il Friuli-Venezia Giulia, dove peraltro il ministero segnala 63 posti in provincia di Udine senza tenere conto che il progetto Sai che fa capo al Comune di Udine ha chiuso a fine dicembre del 2022. È palese la carenza forte di posti al Nord dove ci sarebbero le maggiori possibilità di integrazione socio-lavorativa”.

    Di fronte a questi dati sorge un interrogativo che il presidente dell’Ics di Trieste riassume così: “A che cosa serve un Sistema di accoglienza integrazione, che ora con la legge 50/2023 è destinato ai soli beneficiari di protezione, così squilibrato, sia per aree geografiche sia in relazione al sistema dei Cas? Trasferiamo i richiedenti asilo appena diventano rifugiati da Nord a Sud per trovare lavoro? Appare evidente che il sistema come è oggi configurato, se si intende mantenere l’irrazionale scelta di avervi sottratto l’accoglienza dei richiedenti asilo, non ha alcun senso e andrebbe interamente riconfigurato con drastiche chiusure di progetti Sai nelle aree interne, specie al Sud, che erano importantissimi in una logica normativa che prevede l’accoglienza diffusa dei richiedenti asilo ma che perdono senso in un nuovo sistema che attribuisce al Sai la sola funzione di sostenere l’integrazione socio-economica dei rifugiati”.

    A riprova del fatto che la vera emergenza in Italia non sono i numeri quanto la non programmazione ministeriale sull’accoglienza, c’è anche la risposta che il capo della Direzione centrale dei servizi civili per l’immigrazione e l’asilo (Francesco Zito) diede al nostro Luca Rondi a inizio gennaio 2023. Alla richiesta di aver copia del “Piano nazionale di accoglienza elaborato dal Ministero dell’Interno”, il Viminale glissò sostenendo che “i trasferimenti dei migranti avvengono in base a quote di volta in volta stabilite tra le diverse province, anche in base ai posti che si rendono disponibili sul territorio”. Come dire: il piano è non avere un piano.

    Chiude il cerchio la cesura netta che c’è tra i posti emergenziali nei Cas e il Sai. “Facciamo l’esempio di Piacenza -riflette Schiavone-. A fine giugno c’erano 505 posti Cas e 34 posti Sai. Se ad esempio ogni anno devo trasferire 200 ex richiedenti asilo divenuti beneficiari di protezione dai Cas di Piacenza al Sai di quella provincia, come si fa? È evidente che le persone verranno trasferite da una delle province a maggior dinamicità economica magari ad Avellino o Cosenza dove ci sono rispettivamente 900 e 1.100 posti SAI. Questo non-sistema produce nello stesso tempo sradicamento delle persone dai percorsi di primo inserimento sociale e totale sperpero di denaro pubblico. A guardare fino in fondo il non-sistema non produce neppure alcuna integrazione sociale, magari con grande lentezza e spreco di energie”.

    La progressiva riduzione dei Cas a parcheggi dove non verrà insegnato neppure l’italiano -come prevede la legge 50/2023 che ha eliminato anche l’orientamento legale e il supporto psicologico- farà il resto. “Il processo è in atto da tempo ma tende ad accelerare sempre di più -dice Schiavone allargando le braccia-. In questo modo anche i sei mesi di accoglienza Sai rischiano di rivelarsi pressoché inutili se non sono un completamento di un percorso di integrazione già avviato. Ma in questo non-sistema il beneficiario di protezione che accede al Sai parte da quasi zero”. Verso una nuova, prevedibile, “emergenza”.

    https://altreconomia.it/i-dati-sullaccoglienza-in-italia-tra-programmazione-mancata-e-un-sistem
    #données #statistiques #chiffres #asile #migrations #réfugiés #Italie #accueil #Sistema_di_accoglienza_e_integrazione #hotspot #2023 #Siproimi #urgence #2022 #2019 #2020 #arrivées #cartographie #Italie_du_Sud #Italie_du_Nord

  • Scarsa programmazione, posti vuoti e persone al freddo: così ai migranti è negata l’accoglienza

    I Centri di accoglienza straordinaria non garantiscono abbastanza posti, nel frattempo il Sistema di accoglienza e integrazione di secondo livello ha oltre 1.600 “letti” disponibili e finanziati ma non utilizzati. Mentre il ministero dell’Interno ammette l’assenza di programmazione, centinaia di persone dormono ancora all’addiaccio.

    Posti vuoti, scarsa programmazione, incapacità di intervenire a fronte dell’emergenza. Mentre diversi tribunali cominciano a richiamare all’ordine prefetture e questure per le procedure illegittime nel fornire un “tetto” e i documenti ai richiedenti asilo, dati aggiornati raccolti da Altreconomia fotografano le inefficienze del sistema di accoglienza italiano per richiedenti asilo e rifugiati.

    Da un lato, da luglio a novembre 2022 si registra nei Centri di accoglienza straordinaria (Cas) un’improvvisa diminuzione dei posti a disposizione senza alcun intervento da parte dell’amministrazione per aumentare la capienza; dall’altro, centinaia di posti “vuoti” nel Sistema di accoglienza e integrazione (Sai), pensato come “secondo livello” di intervento e trampolino per l’autonomia delle persone. A prescindere da quale sia il sistema, dai dati emerge chiaramente la scarsa programmazione da parte del ministero dell’Interno. “È come se in una scuola non si sapesse dove sono le aule, quanti banchi vuoti ci sono, quante sedie mancano. E magari, di fronte al bisogno, si scopre che un’intera aula era libera ma chiusa nell’attesa che, senza un motivo razionale, arrivasse qualcuno ad aprirla. La politica, sul tema dell’accoglienza, sceglie volontariamente di non intervenire”, spiega Michele Rossi, direttore generale del Centro immigrazione asilo e cooperazione onlus (Ciac) di Parma.

    Andiamo con ordine. Tra i posti finanziati e quelli effettivamente attivati nel sistema Sai c’è una differenza molto ampia: all’ottobre 2022 a fronte di 44.591 posti finanziati erano 35.291 quelli attivi. Questa forbice deriva dal fatto che non sempre i Comuni riescono ad attivare tutti i posti per cui avevano fatto domanda e ottenuto il finanziamento, soprattutto per la difficoltà a reperire gli alloggi (qui i dati integrali). Oltre a questa differenza si aggiunge il fatto che anche i posti disponibili non sono tutti riempiti. I “vuoti”, quello stesso mese di ottobre 2022 in cui gli effettivamente disponibili risultavano essere oltre 35mila, erano oltre 1.600 di ottobre (in lieve calo rispetto agli oltre 2.300 del gennaio di un anno fa). Quello di 1.600 posti vuoti nel Sai è un dato rilevante, trattandosi di un sistema che a regime dovrebbe risultare sempre saturo. Come è rilevante il fatto che i posti vuoti, oltre che nel Sai ordinario, sono presenti anche nei progetti dedicati al “disagio mentale e all’assistenza sanitaria specialistica e prolungata” (Dm-Ds), cioè quelli messi a disposizione dei più vulnerabili. Su un totale di 751 posti attivi, sempre a ottobre 2022, solo 598 erano occupati con una disponibilità di oltre 140 posti.

    Mancano le richieste? Tutt’altro, diversi operatori dell’accoglienza sentiti da Altreconomia raccontano altro rispetto all’inserimento nel sistema Sai. Ma il dato delle richieste effettuate e rimaste inevase dagli operatori non è purtroppo quantificabile. Il Servizio centrale, che gestisce il Sai in seno al Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione del ministero dell’Interno, ci ha risposto infatti che il numero di richieste di inserimento non è nella disponibilità degli uffici. “Un paradosso. Con quale criterio le persone vengono inserite? -si chiede Gianfranco Schiavone, presidente del Consorzio italiano di solidarietà (Ics) di Trieste e membro dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione-. Mancano procedure standard e criteri di accesso al sistema che permettano di definire un procedimento che abbia le remote sembianze di quello amministrativo. Il minimo sarebbe la registrazione della richiesta e una risposta, positiva o negativa che sia. Se non è possibile avere il numero delle segnalazioni, invece, il tutto sembra lasciato al caso. Assomigliando di più a una sorta di sistema privato, non tenuto necessariamente a rispondere a logiche di equità, alimentato però da risorse pubbliche”. Anche la “popolazione” di coloro che a oggi occupano il sistema Sai è un dato rilevante.

    Nel 2022 il 24% di chi è stato accolto è richiedente asilo, il 25% titolare di status di rifugiato, il 18% un minore non accompagnato, il 4% è titolare di un documento per “casi speciali”, il 4% per motivi familiari e così via. “Un grosso contenitore che ci racconta di come i servizi sociali territoriali ‘usino’ il Sai per collocare persone di cui non vogliono occuparsi”, sottolinea ancora Schiavone. Il numero di cittadini ucraini presenti nel sistema è relativamente basso: a novembre 2022 circa 3.100, il 14% del totale.

    La disponibilità di posti nel Sai aggiunge un tassello in più rispetto a quanto ricostruito nell’inchiesta pubblicata nel dicembre 2022 su Altreconomia. Concentrandoci sul sistema dei Cas abbiamo raccontato come, nel periodo tra gennaio e giugno dello scorso anno, ai richiedenti asilo che provenivano dalla rotta balcanica venisse negato l’inserimento nei centri nonostante la disponibilità di posti su tutto il territorio nazionale (stimati in circa 9mila). Centinaia di persone dormivano in strada. La “scusa” da parte delle prefetture, allora, era l’assenza di posti, ufficialmente, e “ufficiosamente” una quota di “riserva” da tenere per chi proveniva dagli sbarchi. Abbiamo così chiesto i dati aggiornati al ministero dell’Interno (qui i dati integrali) anche in relazione alla comunicazione del 5 dicembre 2022 con cui, sempre il Dipartimento per le libertà civili, dichiarava di sospendere i trasferimenti per il regolamento di Dublino a causa della “mancanza di posti in accoglienza”.

    I dati aggiornati ottenuti dimostrano che ancora a luglio 2022, nonostante in diversi territori si lamentasse una mancanza di posti, le disponibilità c’erano: quasi 4mila se si considerano i “posti disponibili”, più di 7.600 se si prende in considerazione la differenza tra i “posti in convenzione”, sempre forniti dal ministero, e le presenze. Diversi operatori che operano all’interno dei Centri non hanno saputo fornire una spiegazione di questa differenza così ampia. A prescindere da quale dato si prenda in considerazione, la forbice diminuisce fino ad arrivare, a novembre 2022, rispettivamente a 1.311 disponibilità e 2mila in convenzione. “La diminuzione dei posti è solo in parte spiegabile attraverso l’aumento delle presenze che passano da circa 59.500 a 67.500 in sei mesi -osserva Rossi-. C’è infatti un’incongruenza nei dati forniti da Roma perché non ‘tornano’ rispetto a quanto si osserva sui territori”. Il direttore del Ciac prende come esempio quanto si verifica in Toscana: si passa da circa 2.800 nel primo semestre 2022 a 5.400 presenze nel secondo, stando ai dati forniti dal ministero ma a livello locale questo aumento si ferma a 3.500. Lo stesso succede in Emilia-Romagna: da 2.200 (gennaio-giugno) a 7mila (luglio-novembre), un dato che da indagini sul territorio si ferma a 4.800. “Questo potrebbe significare due cose: i dati erano ‘mal censiti’ prima di luglio, oppure non c’è uniformità nel contare le presenze e i posti disponibili. E quindi i dati raccolti dalle singole prefetture sono difformi rispetto a quelli inviati dal Servizio centrale”.

    A prescindere dalla incongruità dei dati, secondo Schiavone la “mancanza di programmazione è lampante ed evidente”. “Nell’estate il governo pur sapendo che il sistema si stava saturando non ha fatto nulla. Così dal 20% dei posti vuoti tenuti come ‘riserva’ si passa allo ‘zero’”. Uno zero che significa persone per molti giorni abbandonate per strada: da Torino a Trieste passando per Ancona, Parma e Milano. Una “scusa” -l’assenza di posti- non prevista a livello normativo, dato che la legge costringe le istituzioni ad attivare soluzioni d’emergenza per collocare immediatamente le persone in accoglienza. Infatti le pronunce dei giudici chiamati ad esprimersi sul tema -numerose nelle ultime settimane- specificano l’obbligo delle amministrazioni di fornire accoglienza ai richiedenti asilo che formalizzano la propria richiesta in questura. Non a caso il Tribunale di Bologna, a metà gennaio 2023, ha dato torto alla questura e alla prefettura di Parma imponendogli di garantire l’accesso alla richiesta d’asilo e ai centri di accoglienza.

    Un altro tassello fondamentale continua a essere la mancanza di trasferimenti sul territorio nazionale. A Trieste, sul confine orientale, per esempio, l’alto numero di persone presenti in città nasce anche dall’assenza di ricollocamenti dei richiedenti asilo in altre città. Ritorna quanto detto precedentemente: durante la prima fase della nostra inchiesta abbiamo raccontato come gli uffici territoriali del governo più volte rispondevano informalmente a chi chiedeva l’inserimento nei Cas di “tenere liberi” i posti per chi arrivava via mare (o via terra, da altre città). La prefettura di Bolzano ha citato sotto questo aspetto il “Piano nazionale di accoglienza” elaborato dal ministero dell’Interno come “documento” che chiariva quante persone sarebbero state trasferite nei centri di sua competenza. Questo piano è previsto dalla normativa (il decreto legislativo 142 del 2015 che regola la materia), di cui abbiamo chiesto conto al dipartimento competente. Ci è stato risposto che “le quote vengono di volta in volta ripartite tra le diverse prefetture anche in base ai posti disponibili”. Altro che programmazione: il Piano formalmente non esiste. “O il ministero non programma affatto, oppure non vuole dire pubblicamente quali criteri segue. In entrambi i casi è molto grave: non c’è una politica di redistribuzione o un sistema di progressivo riempimento. Il sistema tiene posti liberi per mesi e poi si satura in breve tempo. Significa, tra l’altro, non ottimizzare neanche le risorse disponibili”, sottolinea Schiavone.

    Sia sul sistema dei Cas sia sul Sai si registrano quindi scarsa trasparenza e una gestione carente a livello centrale. “Non avere una mappatura, un controllo di gestione è ben più grave che non riuscire a mettere in convenzione nuovi posti con le prefetture. I dati non sono stabili, difficilmente leggibili e ci raccontano dell’immobilità politica sul tema. Nessuno vuole portare a regime alcun sistema di accoglienza”. Intanto, le persone, aspettano al freddo. E il governo può ripetere il ritornello della saturazione e dell’invasione.

    https://altreconomia.it/scarsa-programmazione-posti-vuoti-e-persone-al-freddo-cosi-ai-migranti-
    #accueil #hébergement #Italie #asile #migrations #réfugiés #SDF #sans_solution #Centri_d'accoglienza_straordinaria (#CAS) #statistiques #chiffres #2022 #sistema_di_accoglienza_e_integrazione (#SAI) #plein #vide #places_vides #places_vacantes

  • Inchiesta su BF, il vero “sovrano” dell’agricoltura industriale italiana

    La holding quotata in Borsa ha ormai inglobato i segmenti chiave del comparto -dalle sementi ai consorzi agrari- e tramite #Bonifiche_Ferraresi è anche la prima azienda agricola del Paese. Chi la controlla, come si muove e perché ci riguarda.

    C’è un acronimo che ben riassume i processi di trasformazione in corso nella filiera agroindustriale italiana: è BF, cioè il nome della holding quotata alla Borsa di Milano che con le sue controllate ha inglobato ormai i segmenti chiave del comparto. Dalla selezione, lavorazione e vendita delle sementi (con la Società italiana sementi Spa) alla proprietà dei terreni attraverso la più grande azienda agricola italiana per superficie utilizzata (Bonifiche Ferraresi, cui si affianca la BF agricola Spa), dalla progettazione di contratti di filiera (ad esempio con la Filiera bovini Italia Srl, in partnership con Coldiretti) alla realizzazione di impianti per la macinazione di cereali (Milling hub Spa, tra le altre), dalla trasformazione dei prodotti (BF agro-industriale Srl) alla loro commercializzazione nei canali della Grande distribuzione organizzata anche tramite un marchio di proprietà (come la pasta, le passate o i legumi de “Le Stagioni d’Italia”). Del conglomerato fa parte anche Consorzi agrari d’Italia Spa, che si occupa della commercializzazione, produzione ed erogazione di servizi e prodotti a favore degli operatori agricoli attraverso la rete dei consorzi agrari.

    Non si tratta di un comparto rilevante solo per addetti ai lavori o appassionati dell’azienda con sede a Jolanda di Savoia (FE). L’agricoltura, così come la filiera alimentare, è infatti tra le principali cause della perdita di biodiversità e dei cambiamenti climatici, come ricorda la coalizione #CambiamoAgricoltura lanciata da organizzazioni ambientaliste e dell’agricoltura biologica e biodinamica per una riforma della fallimentare Politica agricola comune (Pac) in vista del ciclo di programmazione 2023-2027. Terra e cibo rappresentano uno snodo decisivo per una non rinviabile svolta agroecologica finalizzata a proteggere la natura, a invertire il degrado degli ecosistemi e le perdite di sostanze dei suoli, a rendere “sana, equa e sostenibile” la produzione del cibo, come tratteggiato dall’Unione europea attraverso la strategia “Farm to fork” e quella sulla biodiversità per il 2030. È in questo delicato terreno che si muove BF. Non lo fa da comparsa ma da “primario operatore nazionale attivo, a livello integrato, nel settore agroindustriale”, per usare la fredda etichetta dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato (Agcm).

    A metà ottobre 2022 gli “azionisti rilevanti” di BF erano quattro. Il primo, con il 20,13% delle quote, è la Arum Spa, che fa capo a Federico Vecchioni, amministratore delegato di BF e della sua controllata Bonifiche Ferraresi, che in passato è stato anche presidente della Confederazione generale dell’agricoltura italiana (Confagricoltura). Poi c’è la Dompé holdings Srl (al 20,04%), “contenitore” di partecipazioni finanziarie che fa capo a Sergio Dompé, imprenditore al vertice del gruppo multinazionale biofarmaceutico Dompé. Il terzo azionista è Fondazione Cariplo, che detiene il 19,29% di BF, seguita da Cdp equity Spa (in passato Fondo strategico italiano), investitore pubblico di lungo periodo che acquisisce quote in imprese di “rilevante interesse nazionale” per conto di Cassa depositi e prestiti (controllata per circa l’83% dal ministero dell’Economia e per quasi il 16% da diverse fondazioni bancarie).

    Nell’estate 2022 il campo d’azione di BF si è ulteriormente allargato. A metà luglio ha infatti perfezionato l’acquisizione del 100% della Bia Spa, azienda specializzata nella “produzione e commercializzazione di couscous da filiera italiana”, per 20,5 milioni di euro. “L’operazione si inserisce nel più ampio progetto di sviluppo di un polo cerealicolo attraverso l’integrazione delle società Ghigi 1870 Spa, Milling Hub Spa e Pasta Fabianelli Spa, già parti del Gruppo BF, e Bia, con lo scopo di creare sinergie e garantire, insieme a BF, il presidio sull’intera filiera del frumento italiano”, come ha dichiarato l’amministratore delegato Vecchioni. Lo scopo di “presidiare l’intera filiera” torna spesso nella comunicazione del colosso, che con i 7.750 ettari coltivati da Bonifiche Ferraresi tra le province di Ferrara, Arezzo, Oristano e Grosseto è anche il “primo proprietario terriero in Italia” (riso, mais, grano duro e tenero, orzo, barbabietole da zucchero, erba medica, soia, orticole, piante officinali e frutta).

    Questo potere (o “presidio”) si riproduce anche nel segmento dei semi. Come detto, BF ha in mano quasi il 42% della Società italiana sementi (Sis): controlla cioè, dal 2017, l’azienda leader nel settore del frumento e che tratta qualcosa come 600 varietà, 116 delle quali attraverso “diritti di esclusiva”. È Sis ad avere in mano l’esclusiva per la moltiplicazione e la vendita di una nota varietà denominata grano “Cappelli”. Quella stessa varietà di cui l’azienda controllata da BF, come ha denunciato più volte la Rete Semi Rurali, che si occupa di promuovere una gestione davvero dinamica della biodiversità agricola, ne avrebbe “limitato la vendita del seme solo a quegli agricoltori disposti a restituire il raccolto e ha diffuso la voce che chi non compra il loro seme certificato non può più usare il nome ‘Cappelli’ nell’etichetta del prodotto”.

    La rete di vendita su cui si appoggia Sis è prevalentemente quella dei consorzi agrari, un altro ganglio decisivo che porta, nuovamente, a BF. La società guidata da Vecchioni è infatti il primo azionista (con il 35,89%) della Consorzi agrari d’Italia (Cai Spa), veicolo che dal 2019 vorrebbe raccogliere parte di quel che resta dei 72 iniziali consorzi del nostro Paese (oggi poco più di 20), nati oltre un secolo fa sotto forma di cooperative di agricoltori. Gli altri azionisti della Cai sono il Consorzio agrario dell’Emilia-Romagna (4.300 soci), il Consorzio dell’Adriatico (oltre 3mila), il Consorzio del Tirreno (circa mille) e quello del Centro-Sud (284 soci). L’ultimo che si è aggregato in ordine di tempo è stato il Consorzio agrario del Nord-Est, attivo in Lombardia e Veneto e che nel 2021 ha realizzato un fatturato di circa 474 milioni di euro. A fine luglio 2022 il Consorzio del Nord-Est è entrato ufficialmente in Cai con il 23,58% delle quote, ricevendo il benestare dell’Antitrust che in agosto non ha ravvisato “significativi effetti verticali di restrizione della concorrenza sui mercati interessati” e ha dunque dato luce verde. BF ha festeggiato anche perché “le dimensioni raggiunte da Cai con l’ingresso di Consorzio Nord-Est conferiscono al Gruppo capacità competitiva e apportano una ancor più significativa presenza territoriale”.

    Maggiore “presenza territoriale” significa del resto “maggiori ricavi”, come dimostra il fatturato consolidato di BF che include i cosiddetti “apporti” della Cai. Al 30 giugno 2022 i ricavi dalle vendite ammontano a oltre 433,2 milioni di euro contro i 32,5 del primo semestre 2021. L’esplosione (più 1.200% in un anno) è dovuta in larga parte alla vendita all’ingrosso di carburanti per autotrazione e agricoltura (135 milioni) svolta dalla Eurocap Petroli, seguita dalla vendita di concimi antiparassitari (91,2 milioni), dalla vendita di cereali da granella (65,9), di sementi (39,1), o introiti da colture foraggere e mangimi (27,3). Tradotto: l’apporto della Consorzi agrari d’Italia “pesa” sul fatturato di BF per il 91%. È il suo core business.

    A rinforzare la rete del Gruppo BF c’è anche l’alleanza con Coldiretti, la più importante associazione di rappresentanza dell’agricoltura italiana nata nel 1944 che dichiara 1,6 milioni di soci ed è presieduta da Ettore Prandini (da leggere a proposito il saggio “La Coldiretti e la storia d’Italia” di Emanuele Bernardi per Donzelli editore). Questa partnership ha anche risvolti societari. È il caso della Filiera bovini Italia Srl, nata per “sviluppare progetti e contratti di filiera che assicurino una giusta ed equa remunerazione agli allevatori negli anni”. I soci sono due: BF, al 51%, e la Filiera agricola italiana Spa, al 49%. Quest’ultima è una “struttura economica di Coldiretti” -come tra le altre la Germina Campus o la Fondazione Campagna Amica- che detiene quote anche della Società italiana sementi (4,96%).

    Ma Coldiretti non è l’unico alleato di BF. A fine 2021 la capogruppo ha infatti annunciato un accordo strategico “di ampio respiro” con Eni -che è entrata nel capitale di BF- “per lo sviluppo di prodotti agricoli sostenibili per la produzione di biocarburanti”. Eni si è impegnata dal 2030 a non usare più olio di palma nelle sue raffinerie di Gela e Marghera e punterebbe a sostituirlo con “sementi di piante oleaginose da utilizzare come feedstock”. BF dovrebbe occuparsi quindi della ricerca presso i terreni che ha in Sardegna (chiamati nel patto “Laboratori a cielo aperto”), lasciando poi a Eni la “valutazione della possibilità di produrre economicamente le stesse sementi” in alcuni Paesi in cui la multinazionale fossile è presente: Ghana, Congo, Costa d’Avorio e Kenya.

    E poi c’è l’accordo con Intesa Sanpaolo: nel 2021 la banca ha investito in BF circa 20 milioni di euro, garantendosi il 3,32% del capitale, andando a sostenere un “operatore di mercato focalizzato sulla filiera agroalimentare, settore fondamentale per l’economia italiana e il made in Italy”. È la logica del “campione nazionale” che sovrasta qualsiasi altra riflessione, anche critica, sugli impatti di un modello agricolo intensivo e industriale opposto a una gestione dinamica, biologica e collettiva della diversità agricola. Tanto che qualsiasi richiamo alla biodiversità, alla tutela degli impollinatori, alla riduzione dei pesticidi chimici o dei fertilizzanti è vissuto come un attacco al “made in Italy” o alla sovranità alimentare.

    Ne è l’emblema il discorso che Giorgia Meloni ha tenuto al “Villaggio Coldiretti” di Milano a inizio ottobre 2022, in occasione della sua prima uscita pubblica post voto. Dopo aver garantito di non voler “disturbare chi vuole fare e chi vuole creare ricchezza”, la presidente di Fratelli d’Italia, tra applausi e bandiere gialle, si è scagliata contro “l’approccio ideologico spesso assurdo” dell’Unione europea che “non aiuta la sostenibilità e la produttività”. Perché “noi vogliamo difendere l’ambiente ma con l’uomo dentro”, ha detto, salutando con favore la “pausa di riflessione” presa allora dal Consiglio europeo sul “tema dei fitofarmaci”. Come se l’Italia fosse solo la culla, leggera e priva di impatti, di un’eccellenza “minacciata” da fuori e non invece il Paese che vede oltre il 10% dei suoli già classificato come “molto vulnerabile” alla degradazione (fonte Ispra), che ha perso circa 400mila aziende agricole tra 2010 e 2020 (-30%) mentre la superficie si è ridotta del 2,5% (fonte Istat) e che al 30 giugno 2022 ha già importato in valore più prodotti agroalimentari di quanti ne abbia esportati (29,8 miliardi di euro contro 29,4, fonte Ismea): il pesce e l’olio extravergine di oliva dalla Spagna, i bovini vivi e il frumento tenero dalla Francia, i formaggi dalla Germania o i semi di soia dal Brasile.
    Uno strano concetto di “sovranità”.

    https://altreconomia.it/inchiesta-su-bf-il-vero-sovrano-dellagricoltura-industriale-italiana

    #industrie_agro-alimentaire #Italie #BF #agriculture #agriculture_industrielle #semences #Società_italiana_sementi #BF_agricola #Coldiretti #Milling_hub #BF_agro-industriale #Le_Stagioni_d’Italia #supermarchés #grande_distribution #Consorzi_agrari_d’Italia #Arum #Federico_Vecchioni #confagricoltura #Dompé_holdings #Sergio_Dompé #Dompé #Fondazione_Cariplo #Cdp_equity #Fondo_strategico_italiano #Cassa_depositi_e_prestiti #Bia #Ghigi_1870 #Pasta_Fabianelli #Gruppo_BF #blé #terres #graines #Società_italiana_sementi (#Sis) #senatore_cappelli #consorzi_agrari #Consorzi_agrari_d’Italia #Ettore_Prandini #Filiera_bovini_Italia #Eni #biocarburants #Intesa_Sanpaolo

  • EU: Tracking the Pact: Access to criminal records for “screening” of migrants

    Under the Pact on Migration and Asylum, the “screening” of migrants who have entered the EU irregularly or who have applied for asylum will become mandatory. The aim is to establish their identity and to investigate whether they should be considered a “security risk”. To facilitate the screening process, access to the EU’s system of “interoperable” databases is being broadened, with the Council recently approving its negotiating position on new rules granting access to a centralised register of individuals convicted of criminal offences in EU member states.

    Interoperability for screening

    The Commission’s proposal for a criminal records screening Regulation (pdf), one of countless amendments to the “interoperability” framework since it was approved in 2019, was published in March last year with a typically impenetrable, jargon-laden title.

    It was part of a series of new rules that aim to introduce new checks for asylum applicants and individuals making irregular border crossings, that are “at least of a similar level as the checks performed in respect of third country nationals that apply beforehand for an authorisation to enter the Union for a short stay, whether they are under a visa obligation or not.”

    Thus, the “screening” process requires checks against a multitude of databases: the Entry/Exit System (EES), the European Travel Information and Authorisation System (ETIAS), the Schengen Information System (SIS), the Visa Information System (VIS), Europol’s databases, two Interpol databases, and – the subject of the Council’s recently-approved negotiating position – the European Criminal Records Information System for Third-Country Nationals (ECRIS-TCN).

    The ECRIS-TCN contains information on non-EU nationals who have been convicted in one or more EU member states (fingerprints, facial images and certain biographic data), in order to make it easier for national authorities to find information on convictions handed down elsewhere in the EU.

    The Council’s position

    The Council’s position (pdf) was approved by the Committee of Permanent Representatives (COREPER) on 29 June, and makes extensive changes to the Commission’s proposal. However, many of these are deletions that appear to have been made because the text in question has already been added to the original ECRIS-TCN Regulation through one of the two other sets of amendments that have been made, in 2019 and 2021.

    The proposal used the term “threat to internal security or public policy”, which the Council has replaced with “security risk”. This somewhat vaguer term matches the wording approved by the Council in its position on the Screening Regulation, previously published by Statewatch, where the proposal initially referred to individuals that may “constitute a threat to public policy, internal security or international relations for any of the Member States.”

    Currently only visa authorities and those responsible for examining travel authorisation applications are granted access to the ECRIS-TCN for border control and immigration purposes (listed in Article 5(7) of the ECRIS-TCN Regulation and as explained in the Statewatch report Automated Suspicion).

    The criminal records screening Regulation grants new authorities access to the ECRIS-TCN, but does not list those authorities explicitly. Instead, it refers to the Screening Regulation itself, which is set to give member states discretion to determine “the screening authorities” as they see fit, although the Council’s preferred version of that text includes the provision that:

    “Member States shall also ensure that only the screening authorities responsible for the identification or verification of identity and the security check have access to the databases foreseen in Article 10 and Article 11 of this Regulation.”

    The Council’s position on the Screening Regulation, like the original proposal, does not include a requirement that the authorities responsible for the screening process be publicly listed anywhere.

    Whoever those authorities may be, they will be granted access to use the European Search Portal (part of the interoperability framework) to conduct searches in the ECRIS-TCN (and other databases), although will only be granted access to ECRIS-TCN records that have a “flag” attached.

    Those “flags” will be added to records to show whether an individual has been convicted of a terrorist offence in the last 25 years, or (in the last 15 years) one or more of the criminal offences listed in a separate piece of legislation.

    In the case of a “hit” against information stored in the ECRIS-TCN, the new rules will require screening authorities to contact the member state that handed down the conviction and to seek an opinion on the implications of that conviction for an individuals’ potential status as a security risk.

    The Commission wanted that opinion to be provided within two days, but the Council has increased this to three; if no opinion is provided within that time, then “this shall mean there are no security grounds to be taken into account.” The Council’s position also makes it explicit that the convicting authorities are obliged to consult the criminal record before providing their opinion.

    The European Parliament is yet to reach a position on the proposal. The EP rapporteur, Socialists & Democrats MEP Birgit Sippel, told Statewatch:

    “The European Parliament continues to work on all proposals related to the New Pact on Migration and Asylum, including both the Screening and Screening ECRIS-TCN proposals. As rapporteur, I have presented my draft report on both files at the end of 2021. Negotiations continue at political and technical level. Due to the deep links to the other proposals, we aim for a harmonised EP position and there is currently no concrete date foreseen for a debate or vote in the LIBE Committee.”

    However, the Parliament has committed itself to completing work on all the migration and asylum laws currently on the table by February 2024.

    Interoperability marches on

    Many are likely to see the screening process as part of the ongoing “criminalisation” of migration – indeed, the intention with the criminal records screening proposal is to explicitly link aspects of the criminal justice system with the EU’s immigration and asylum systems, in order to increase the possibilities of excluding individuals deemed to pose a security risk – however that may be determined by the authorities.

    The application of these checks to irregular border-crossers and asylum applicants is also a logical consequence of the way the EU’s interoperable databases are being deployed against other categories of individuals: as noted above, it is deemed imperative that everyone entering the EU faces “a similar level” of checks. With the interoperability architecture largely seen as a starting point for future developments, and with EU agencies Europol and Frontex pushing for AI-based profiling of all travellers, future proposals to further expand the types of checks and the individuals to whom they should be applied are almost guaranteed.

    https://www.statewatch.org/news/2022/july/eu-tracking-the-pact-access-to-criminal-records-for-screening-of-migrant

    #screening #identification #migrations #asile #réfugiés #pacte #interopérabilité #Entry_Exit_System (#EES) #European_Travel_Information_and_Authorisation_System (#ETIAS) #Schengen_Information_System (#SIS) #technologie #Visa_Information_System (#VIS) #données #base_de_données #European_Criminal_Records_Information_System_for_Third-Country_Nationals (#ECRIS-TCN)

  • Système de surveillance #SIVE à #Lanzarote prochainement opérationnel

    El SIVE de Lanzarote podría operar en un mes a 10 metros del Mirador de Haría

    El delegado del Gobierno lamenta que en Lanzarote no haya habido «suerte de colaboración en Arrecife», donde se preveía un CATE como el de Barranco Seco para atender a los migrantes en las primeras 72 horas

    El delegado del Gobierno en Canarias, Anselmo Pestana, ha anunciado este lunes que hay acuerdo para instalar en Lanzarote un Sistema Integrado de Vigilancia Exterior (SIVE) que se ubicará a 10 metros del Mirador de Haría, al norte de la isla, y con el que «solventará la carencia» del sistema.

    Tras participar en una rueda de prensa, Pestana ha precisado que este SIVE se ubicará en "un espacio colindante con una instalación de telefonía, lo que permitirá combinar el respeto a un mirador que quiere preservar el Ayuntamiento con la necesidad de contar con esta instalación de detección de embarcaciones usadas por inmigrantes para entrar a España por esta frontera sur de la UE.

    Se encuentra «en fase final, por lo que estará en un mes o algo más de un mes» y hay «acuerdo con la ubicación», por lo que, pese a los retrasos, que ha admitido, ha estimar que «hay que mirar hacia delante», al tiempo que se ha felicitado por que se solventen las deficiencias existentes en este ámbito en esta zona del archipiélago.

    Sobre la necesidad de disponer de más infraestructuras de acogida de migrantes en Lanzarote, ha señalado que «es algo que está en proceso en los ministerios de Interior e Inclusión», desde cuyas responsabilidades «están intentando mejorar las infraestructuras en el Plan Canarias».

    Pestana ha recalcado que hay «una especie de reenfoque de la migración hacia las islas orientales» porque las embarcaciones no llegan tanto del sur de Mauritania o Senegal, como lo han hecho de forma notable a Gran Canaria, Tenerife o El Hierro, sino que ahora parten «desde zonas más cercanas a estas islas» más orientales, lo que hace necesario «reenfocar las necesidades».

    El delegado ha lamentado que en Lanzarote no haya habido «suerte de colaboración en Arrecife», donde se preveía un CATE como el de Barranco Seco (Gran Canaria) para atender a los migrantes en las primeras 72 horas, en las que se procede a su identificación y a la realización de los test de detección de la covid-19.

    Pestana ha subrayado que en esas 72 horas los migrantes «no salen del centro», por lo que «no entiende la oposición del Ayuntamiento de Arrecife».

    En relación al almacén habilitado en la capital lanzaroteña para este cometido, Anselmo Pestana ha dicho que este tipo de espacios «no reúnen las condiciones necesarias», de ahí que el objetivo sea consolidar «una red estable de centros con capacidad para los picos migratorios y con capacidades del Estado» que atienda a estas personas con «la dignidad precisa en las primeras horas» siguientes a su llegada a las Islas.

    Ante la reapertura de las fronteras por parte de Marruecos, ha recordado que el CIE Barranco Seco está abierto y funcionando.

    Pestana ha recordado que «uno de los mecanismos disuasorios para bajar la presión es la capacidad de devolución al país de origen o tránsito», por lo que existe «necesidad de activar cuanto antes este sistema, como antes, con 80 personas semanales y varios vuelos», ya que ello «bajará la presión de Canarias» y «será mejor para todos, también para los migrantes».

    A su juicio, así se evitaría que más personas «acudan a esta ruta tan peligrosa», más aún cuando el tipo de embarcación utilizada haya cambiando en favor de las neumáticas lo que, ante malas condiciones de mar, «provoca la pérdida de vidas humanas», que es algo que «no se puede permitir».

    «Se busca hacer lo posible para cerrar esta ruta hacia Canarias», ha aseverado el delegado del Gobierno de España en las Islas.

    https://www.laprovincia.es/canarias/2022/01/31/sive-lanzarote-operar-mes-10-62151255.html

    #complexe_militaro-industriel #surveillance #technologie #asile #migrations #réfugiés #frontières #contrôles_frontaliers #Espagne #radar #Canaries #îles_Canaries #Sistema_Integrado_de_Vigilancia_Exterior

  • #Frantz_Fanon

    Le nom de Frantz Fanon (1925-1961), écrivain, psychiatre et penseur révolutionnaire martiniquais, est indissociable de la #guerre_d’indépendance algérienne et des #luttes_anticoloniales du XXe siècle. Mais qui était vraiment cet homme au destin fulgurant ?
    Nous le découvrons ici à Rome, en août 1961, lors de sa légendaire et mystérieuse rencontre avec Jean-Paul Sartre, qui a accepté de préfacer Les Damnés de la terre, son explosif essai à valeur de manifeste anticolonialiste. Ces trois jours sont d’une intensité dramatique toute particulière : alors que les pays africains accèdent souvent douloureusement à l’indépendance et que se joue le sort de l’Algérie, Fanon, gravement malade, raconte sa vie et ses combats, déplie ses idées, porte la contradiction au célèbre philosophe, accompagné de #Simone_de_Beauvoir et de #Claude_Lanzmann. Fanon et Sartre, c’est la rencontre de deux géants, de deux mondes, de deux couleurs de peau, de deux formes d’engagement. Mais la vérité de l’un est-elle exactement celle de l’autre, sur fond d’amitié et de trahison possible ?
    Ce roman graphique se donne à lire non seulement comme la biographie intellectuelle et politique de Frantz Fanon mais aussi comme une introduction originale à son œuvre, plus actuelle et décisive que jamais.

    https://www.editionsladecouverte.fr/frantz_fanon-9782707198907

    #BD #bande_dessinée #livre

    #indépendance #Algérie #Organisation_armée_secrète (#OAS) #décolonisation #biographie #colonisation #France #souffrance_psychique #syndrome_nord-africain #violence #bicots #violence_coloniale #lutte_armée #agressivité #domination #contre-violence #violence_politique #violence_pulsionnelle #Jean-Paul_Sartre #Sartre #socialthérapie #club_thérapeutique_de_Saint-Alban #François_Tosquelles #Saint-Alban #Septfonds #narcothérapie #négritude #école_d'Alger #Blida #primitivisme #psychiatrie_coloniale #insulinothérapie #cure_de_Sakel #sismothérapie #choc #autonomie #révolution #Consciences_Maghrébines #André_Mandouze #Amitiés_Algériennes #Wilaya #Association_de_la_jeunesse_algérienne_pour_l'action_sociale (#AJASS) #Alice_Cherki #maquis #montagne_de_Chréa #torture #attentats #ALN #FLN #El_Moudjahid #congrès_de_la_Soummam #pacification_coloniale #Septième_Wilaya #massacre_de_Melouze #opération_Bleuite #histoire

  • #Leonardo sbarca in #Somalia, la sua fondazione promuove l’italiano e addestra l’esercito

    Leonardo punta a rafforzare la propria presenza in Corno d’Africa e affida l’affaire all’ex ministro dell’Interno Marco Minniti (Pd), alla guida della Fondazione Med-Or costituita dall’holding del complesso militare-industriale italiano per promuovere progetti di “cooperazione” e scambi culturali-accademici con i Paesi del cosiddetto Mediterraneo allargato (Med) e del Medio ed Estremo Oriente (Or).

    Il 21 dicembre 2021 è stato firmato a Roma un Memorandum of Understanding tra la Fondazione Med-Or e la Repubblica Federale di Somalia per la “promozione della lingua italiana in Somalia e il sostegno all’alta formazione, attraverso l’erogazione di borse di studio e corsi di formazione professionale”.

    A sottoscrivere l’accordo Marco Minniti e il Ministro degli Affari Esteri somalo Abdisaid Muse Ali, ma all’evento erano presenti pure il Ministro degli Esteri e della Cooperazione Internazionale Luigi Di Maio, il Ministro della Pubblica Istruzione somalo Abdullahi Abukar Haji e l’intero stato maggiore di Leonardo S.p.A., il presidente Luciano Carta (generale ritirato della Guardia di finanza), l’amministratore delegato Alessandro Profumo, il direttore generale Valerio Cioffi e Letizia Colucci, direttrice generale della Fondazione Med-Or.

    “La Somalia è un Paese strategico nei complessi equilibri dell’Africa Orientale ed è un partner fondamentale per noi nel Corno d’Africa”, ha dichiarato l’ex ministro Minniti. “L’interesse e l’impegno di Med-Or verso l’ex colonia italiana sono in linea con quanto fatto nel corso degli ultimi anni. Consolideremo la cooperazione in numerosi campi e le relazioni comuni, insieme alle istituzioni somale”.

    Il Memorandum firmato con la Repubblica di Somalia segue altri due progetti promossi e finanziati in Africa dalla Fondazione di Leonardo: il primo con la Mohammed VI Polytechnic University di Rabat (finanziamento di alcune borse di studio presso la LUISS “Guido Carli” di Roma, destinate a studenti provenienti dal Marocco); il secondo con la consegna alla Repubblica del Niger di una cinquantina di concentratori di ossigeno per alcune strutture sanitarie impegnate nell’assistenza a malati di Covid-19.

    La presenza a Roma alla firma dell’accordo di “cooperazione” dei massimi vertici di Leonardo S.p.A., conferma l’intenzione del gruppo di penetrare nel redditizio mercato dei sistemi d’arma del martoriato Corno d’Africa. Risale a tre anni fa l’ultima importante commessa nella regione, la fornitura al governo federale somalo di sistemi ATC – Air Traffic Control. Nello specifico, la controllata Selex ES Technologies Limited (SETL) con sede in Kenya, ha installato nel 2018 a Mogadiscio un Centro Nazionale ACC (Air Control Centre) per l’integrazione degli strumenti operativi di controllo aereo e tre torri radar in altrettanti aeroporti del Paese per un totale di 16 postazioni operatore, oltre a un sistema radio VHF e una rete satellitare.

    Una trattativa per la fornitura di un sofisticato sistema radar è in corso tra Leonardo e le autorità militari di Gibuti, la piccola enclave tra Eritrea, Etiopia e Somaliland, strategica per il controllo dello Stretto Bab El Mandeb che separa il Mar Rosso dal Golfo di Aden, principale rotta commerciale e petrolifera tra l’Asia e l’Europa.

    Il 30 gennaio 2020 i manager del gruppo italiano hanno accompagnato una delegazione della Repubblica di Gibuti (presenti tra gli altri il ministro della Difesa Hassan Omar Mohamed e l’ambasciatore a Parigi Ayeid Mousseid Yahya) in visita alla 4ª Brigata Telecomunicazioni e Sistemi per la Difesa Aerea e l’Assistenza al Volo dell’Aeronautica Militare di Borgo Piave, l’ente responsabile della realizzazione, installazione e manutenzione dei sistemi radar, di telecomunicazioni e radio assistenze al volo e alla navigazione aerea.

    “Gli ospiti sono stati accolti dal Comandante della 4ª Brigata, generale Vincenzo Falzarano”, riporta la nota dell’ufficio stampa dell’Aeronautica italiana. “La visita ha interessato il Sistema FADR (Fixed Air Defence Radar, modello RAT–31DL, prodotto da Leonardo, nda) che costituisce la struttura portante del sistema di Difesa Aerea. Il FADR è un radar di sorveglianza a lungo raggio (oltre 470 chilometri) e l’Aeronautica Militare, grazie alla sinergia con il mondo industriale nazionale, lo ha utilizzato per il rinnovamento tecnologico di dodici radar fissi a copertura dell’intero spazio aereo nazionale”.

    Come nel caso del Niger, la Fondazione Med-Or di Leonardo S.p.A. sembra voler privilegiare le regioni del continente africano dove operano stabilmente le forze armate italiane. In Corno d’Africa l’Italia è presente nell’ambito di due missioni internazionali, EUTM Somalia (European Union Training Mission to contribute to the training of Somali security forces) e MIADIT.

    L’operazione EUTM ha preso il via nell’aprile 2010 dopo la decisione dell’Unione Europea di “contribuire al rafforzamento del Governo Federale di Transizione della Somalia attraverso l’addestramento delle Forze di sicurezza somale”. Inizialmente il personale militare UE era schierato in Uganda e operava in stretta collaborazione con le forze armate ugandesi.

    Furono costituititi un quartier generale a Kampala, una base addestrativa a Bihanga (250 km a ovest della capitale) e un ufficio di collegamento a Nairobi (Kenya). Quando le condizioni di sicurezza in Somalia sembrarono migliori, EUTM inaugurò un centro di formazione presso l’aeroporto internazionale di Mogadiscio (aprile 2013) e, dall’inizio del 2014, sia il quartier generale sia i centri addestrativi furono trasferiti in territorio somalo.

    “Focus iniziale della Missione EUTM è stato l’addestramento delle reclute somale e la formazione di istruttori delle Somali National Security Forces, capaci di gestire in proprio l’addestramento di sottufficiali e della truppa”, spiega il Ministero della Difesa italiano. “Con il crescente impegno della Comunità Internazionale e dell’UE nel processo di stabilizzazione del Corno d’Africa, è stato previsto un ulteriore sviluppo della missione. Dall’aprile 2015, con il 4° mandato, essa si è concentrata sempre più sulla componente legata alla consulenza operativa, logistica e amministrativa del Ministero della Difesa e dello Stato Maggiore somalo”. Dal 15 febbraio 2014 il Comando di EUTM è assegnato all’Italia e il contingente nazionale impiegato è di 148 militari e 20 mezzi terrestri.

    Dal 2013 le forze armate italiane sono impegnate pure nella Missione Bilaterale di Addestramento delle Forze di Polizia somale e gibutiane – MIADIT. “La missione è volta a favorire la stabilità e la sicurezza della Somalia e dell’intera regione del Corno d’Africa, accrescendo le capacità nel settore della sicurezza e del controllo del territorio da parte delle forze di polizia somale”, spiega ancora il Ministero della Difesa. “L’obiettivo a lungo termine è quello di rigenerare la polizia federale somala mettendola innanzitutto in grado di operare nel complesso scenario e successivamente, con i corsi training of trainers, portarla gradualmente all’autosufficienza formativa”.

    Il contingente nazionale impiegato è di 53 militari e 4 mezzi dell’Arma dei Carabinieri. I moduli addestrativi sono diretti a 150-200 agenti somali e gibutini alla volta e hanno una durata di 12 settimane.

    Le attività spaziano dall’addestramento individuale al combattimento, agli interventi nei centri abitati, alle tecniche di controllo del territorio e gestione della folla, alla ricerca e neutralizzazione di armi ed esplosivi. Sempre secondo la Difesa, gli istruttori dei Carabinieri hanno già addestrato oltre 2.600 unità appartenenti alla Polizia Somala, alla Polizia Nazionale e alla Gendarmeria Gibutiana, contribuendo inoltre alla ristrutturazione dell’Accademia di Polizia di Mogadiscio.

    https://www.africa-express.info/2021/12/24/leonardo-sbarca-in-somalia-la-sua-fondazione-promuove-litaliano-e-a

    #Italie #néo-colonialisme
    #Minniti #Marco_Minniti #Fondazione_Med-Or #complexe_militaro-industriel #Mediterraneo_allargato #Memorandum_of_Understanding #accord #langue #langue_italienne #formation_professionnelle #bourses_d'étude #Abdisaid_Muse_Ali #Luigi_Di_Maio #Abdullahi_Abukar_Haji #Luciano_Carta #Alessandro_Profumo #Valerio_Cioffi #Letizia_Colucci #Corne_d'Afrique #coopération #aide_au_développement #ATC #Air_Traffic_Control #Selex_ES_Technologies_Limited (#SETL) #ACC (#Air_Control_Centre) #radar #système_radar #Bab-el-Mandeb #Vincenzo_Falzarano #Sistema_FADR (#Fixed_Air_Defence_Radar) #RAT–31DL #défense_aérienne #Aeronautica_Militare #armée #EUTM_Somalia #European_Union_Training_Mission_to_contribute_to_the_training_of_Somali_security_forces #MIADIT #Bihanga #Nairobi #Somali_National_Security_Forces #Missione_Bilaterale_di_Addestramento_delle_Forze_di_Polizia_somale_e_gibutiane (#MIADIT) #training_of_trainers #formation #Carabinieri #police

  • Se questa è l’Europa. Una cortina di ferro per i migranti

    La Polonia costruirà da dicembre una barriera per fermare il flusso di profughi spinti verso il confine dal governo della Bielorussia. Negli ultimi 50 anni costruiti 65 muri di confine

    Non sarà facile, quando toccherà agli storici, spiegare che l’epoca dei muri non è più solo quella del Vallo di Adriano o il tempo del cinese Qin Shi Huang, l’imperatore padre della Grande Muraglia. Epoche in cui le fortificazioni servivano a proteggersi dalle incursioni armate. Non nel 2021, quando miliardi di euro vengono investiti per respingere nient’altro che persone disarmate.

    Il 60% delle nuove barriere è stato voluto per ostacolare le migrazioni forzate. Negli ultimi 50 anni (1968-2018) sono stati costruiti oltre 65 muri di confine. L’Europa (26%) è seconda solo all’Asia (56%). A oltre trent’anni dalla caduta del muro di Berlino, il 60% della popolazione mondiale (circa 4,7 miliardi di persone) vive in Paesi che hanno costruito un qualche argine contro i flussi di persone.

    Il centro studi ’Transnational Institute’ ha calcolato che solo dal 1990 al 2019 i Paesi Ue dell’area Schengen si sono dotati di oltre mille chilometri di recinzioni. E presto saranno più del doppio. La spesa totale ha sfiorato il miliardo di euro. A cui andranno aggiunti gli stanziamenti per i 508 chilometri di frontiera che la Lituania ha deciso di puntellare con pali d’acciaio e filo spinato. Come la Polonia, del resto, che con i lituani condivide l’affaccio sulla Bielorussia. Ieri la conferma: da dicembre il governo polacco costruirà una nuova barriera al confine. «È sconcertante quanto avviene in più luoghi ai confini dell’Unione. È sorprendente – ha detto ieri il presidente Sergio Mattarella – il divario tra i grandi principi proclamati e il non tener conto della fame e del freddo cui sono esposti esseri umani ai confini dell’Unione» .

    Per venirne a capo bisogna seguire i soldi. Tanti soldi. Si scopre così che il filo spinato e le armi per ricacciare indietro i poveri sono prima di tutto un colossale giro d’affari. A poco servono le inchieste amministrative e quelle penali sulle operazioni condotte da agenzie come Frontex, nata per supportare la sorveglianza dei confini esterni e finita accusata di malversazioni e di aver cooperato nelle operazioni più cruente nei Balcani, nel Canale di Sicilia e nell’Egeo. Entro il 2027 si passerà dagli attuali 1.500 a 10mila effettivi, di cui 7 mila distaccati dalle forze dell’ordine nazionali, e avrà nel bilancio un budget superiore alla maggior parte delle agenzie dell’Unione Europea: circa 5,6 miliardi di euro fino al 2027.

    Direttamente o attraverso consociate, beneficiano dei cospicui investimenti europei le più importanti aziende del comparto difesa: tra cui #Airbus, #Thales, #Leonardo, #Lockheed_Martin, #General_Dynamics, #Northrop_Grumman, #L3_Technologies, #Elbit, #Indra, #Dat-Con, #Csra, #Leidos e #Raytheon. Tra i principali beneficiari degli appalti per i muri le grandi firme dell’industria bellica. C’è #European_Security_Fencing, produttore spagnolo di filo spinato, utilizzato nelle recinzioni al confine con Spagna/Marocco, Ungheria/Serbia, Bulgaria/Turchia, Auanche stria/Slovenia, Regno Unito/ Francia. Poi la società slovena “#Dat-Con” incaricata di costruire barriere in Croazia, a Cipro, in Macedonia, Moldavia, Slovenia e Ucraina.

    E ancora il costruttore navale olandese #Damen, le cui navi sono state utilizzate in operazioni di frontiera da Albania, Belgio, Bulgaria, Portogallo, Paesi Bassi, Romania, Svezia e Regno Unito, oltre che Libia, Marocco, Tunisia e Turchia. I francesi siedono al tavolo dei grandi appalti con “#Sopra_Steria”, il principale contraente per lo sviluppo e la manutenzione del Sistema d’informazione visti ( #Vis), il Sistema d’informazione Schengen (#Sis_II) e Dattiloscopia europea (#Eurodac). Poi di nuovo una compagnia spagnola, la #Gmv incaricata di implementare #Eurosur, il sistema europeo di sorveglianza delle frontiere esterne.

    Prima di oggi le imprese hanno beneficiato del budget di 1,7 miliardi di euro del Fondo per le frontiere esterne della Commissione europea (2007-2013) e del Fondo per la sicurezza interna – frontiere (2014-2020) di 2,76 miliardi di euro. Per il nuovo bilancio Ue (20212027), la Commissione europea ha stanziato 8,02 miliardi di euro al Fondo per la gestione integrata delle frontiere; 11,27 miliardi di euro a Frontex (di cui 2,2 miliardi di euro saranno utilizzati per acquisire e gestire mezzi aerei, marittimi e terrestri) e almeno 1,9 miliardi di euro di spesa totale (20002027) per le sue banche dati di identità e Eurosur (il sistema europeo di sorveglianza delle frontiere).

    Commentando le ultime notizie dalla frontiera orientale, il presidente della commissione Cei per i migranti, il vescovo Giancarlo Perego, ha usato parole che ben riassumono la deriva del continente dei muri: «Una sconfitta dell’umanesimo su cui si fonda l’Europa, una sconfitta della democrazia. L’Europa dei muri è un’Europa che dimostra di cedere alla paura, un’Europa in difesa da un mondo che cammina». Oppure, per dirla con Papa Francesco, le moderne muraglie sono «una cosa insensata, che separa e contrappone i popoli».

    https://www.avvenire.it/attualita/pagine/una-cortina-di-ferro-per-i-migranti

    #murs #barrières_frontalières #migrations #asile #réfugiés #frontières #complexe_militaro-industriel #business

  • Le ministère de l’Intérieur ressort le système intégral de surveillance extérieur pour "répondre à l’augmentation des arrivées en pateras et cayucos. Il s’agit d’un #radar qui doit détecter les embarcations. Il n’a pas servi depuis 6 ans et dont le fonctionnement reste à confirmer.

    Interior acelera la instalación del #SIVE arrinconado seis años en #Lanzarote

    El Ministerio contrata de urgencia la obra de la estación sensora en Haría por 226.417 euros | El Ayuntamiento confía en que no sea en el #Mirador_de_Guinate

    El Ministerio del Interior acelera en la instalación de una nueva estación sensora completa del #Sistema_Integral_de_Vigilancia_Exterior (SIVE), en Lanzarote, que albergará el radar comprado hace seis años por 5,6 millones de euros y que lleva arrinconado en un almacén de la Guardia Civil en la Isla desde entonces, pese al aumento de la llegada de pateras y cayucos. Las obras fueron adjudicadas el pasado 30 de julio a la empresa Atos IT Solutions and Services Iberia SL por 226.417 euros, después de que el Ministerio del Interior declarara el pasado noviembre de urgencia la instalación de este radar en el Mirador de Guinate en Haría, pero el Ayuntamiento de Haría y el Cabildo de Lanzarote emitieron informes desfavorables a este enclave e hicieron una nueva propuesta para que esta estación se colocara a tan solo 20 metros del Mirador de Guinate. Y por ello , aunque se adjudicó el julio con una ejecución de tres meses, con lo que debe estar terminado en noviembre, el pasado martes en el Consejo de Ministros volvió a declarar de urgencia este SIVE, interpreta el Ayuntamiento de Haría. El segundo teniente de alcalde y concejal de Oficina Técnica de este consistorio, Víctor Robayna, considera que Interior ha aceptado el cambio de enclave y por eso ha hecho esta nueva declaración. Desde el Ministerio no aclaran si es por este motivo o si seguirá en el Mirador de Guinate.

    Al ser una obra de urgencia pueden ubicarla donde quieran sin necesidad de licencia municipal. El Ministerio pretendía instalar el SIVE en el Mirador del Río, y ante la oposición de las instituciones de Lanzarote propuso el Mirador de Guinate.

    Según el proyecto de Interior, la estación sensora del SIVE consiste en la instalación de una caseta de obra para alojar el radar, un pequeño mástil para la cámara optrónica y otro para las comunicaciones. Los equipos necesarios se ubicarán en una caseta de obra de tres metros de altura y 6x3 metros de planta aproximadamente y se integrará totalmente en el paisaje. El problema, según el Ayuntamiento de Haría, es el vallado perimetral de seguridad de esta estación con unos 17 metros por 7 metros medio del Mirador de Guinate «lo que provocará que sea invisitable en el futuro», indica Víctor Robayna.

    «Hemos ido con el contratista cinco veces y alegan que para cambiar esos veinte metros debían pedir otra declaración de urgencia que entendemos que es la que se ha aprobado el pasado martes en Consejo de Ministros», expone. En su defensa del Mirador de Guinate ante el Ministerio, el Ayuntamiento de Haría les explicó que este enclave se sitúa al Noroeste de la isla de Lanzarote y es emblemático por sus vistas hacia el Archipiélago Chinijo, y estar cerca de unas de las rutas más importantes de la denominada Bajada del Risco.

    Está ubicado entre dos espacios protegidos: el del Archipiélago Chinijo y el Espacio Natural Malpaís de la Corona, y es ruta de visitantes que se paran a observar las impresionantes vistas. El Ayuntamiento considera absolutamente necesario contar con el SIVE en esta zona de Lanzarote, para ayudar a paliar las desgracias en el mar con la detección de pateras y cayucos , pero justo al lado del mirador hay una estación transformadora de telecomunicaciones, mimetizada con el espacio, lo que supondría simplemente desplazarlo unos 20 metros. Colocar el SIVE junto a ella evitaría perder la totalidad el espacio tan emblemático como es el Mirador de Guinate.

    La implantación del radar se ha ralentizado sobremanera y afecta al Gobierno de Mariano Rajoy, que compró el radar en 2015 por 5,5 millones de euros y se frenó su instalación porque lo querían poner en el Mirador del Río, y por problemas burocráticos, y al Gobierno de Pedro Sánchez, que lleva en el poder tres años, afirma Sergio Ramos, senador del PP.

    Tanto Robayna, (CC) como Ramos creen de imperiosa necesidad instalar el radar del SIVE, pero temen que el aparato se haya deteriorado o quedado desfasado al estar seis años empaquetado.

    En cualquier caso, después de dos años presentado mociones en el Senado , Ramos celebra que se vaya a ejecutar la instalación y espera que no se vuelva a demorar para que el radar cubra esta zona de la Isla. Expone que es cierto que el PP lo compró y no lo instaló, pero recuerda que entre 2015 y 2018 prácticamente no había embarcaciones. La oleada fuerte se produjo en 2020, con 23.023 migrantes y en este año ya van por unos 12.000. Solo en el fin de semana pasado llegaron a Lanzarote unos 550 migrantes en 18 pateras.

    Sergio Ramos ha presentado una moción en el Senado pidiendo 1a instalación de un destacamento de la Guardia Civil en la Isla de La Graciosa, debido al incremento de llegadas de pateras provenientes de la costa africana y dotar a la Guardia Civil, Policía Nacional y Salvamento Marítimo de un mayor número de medios humanos y materiales, para hacer frente a la llegada de pateras a todas las Islas Canarias.

    Sostiene que cuando llega una patera a La Graciosa solo cuentan con los medios de un policía local, un operario municipal y dos auxiliares de ambulancia. Cruz Roja no se desplaza a esta Isla, y al no haber instalaciones para acogerlos se trasladan en los barcos para el transporte de pasajeros sin tener prueba realizada de PCR y con la única compañía de un policía local.

    https://www.laprovincia.es/canarias/2021/10/02/interior-acelera-instalacion-sive-arrinconado-57923629.html

    #migrations #surveillance #asile #migrations #réfugiés #Espagne #Canaries #contrôles_frontaliers #frontières #complexe_militaro-industriel #militarisation_des_frontières

  • La #numérisation du #contrôle_migratoire européen

    Le contrôle migratoire européen repose aujourd’hui sur la collecte, la sauvegarde et le partage d’#informations_biométriques_numérisées par les polices et consulats des États membres. Du premier fichier dit #SIS (#Système_d’informations_Schengen) issu du rapprochement des polices dans les années 1980 contre la criminalité transfrontalière à l’#Entry_Exit_System qui ambitionne d’enregistrer l’ensemble des voyageurs vers l’Europe à partir de 2022, ces #bases_de_données dessinent un #contrôle_à_distance, en amont dès le pays de départ et en aval au sein même de l’espace Schengen, souvent déconnecté de tout franchissement frontalier. Un tel #contrôle_numérisé nourrit une #industrie de la surveillance et de la #sécurité en pleine expansion. Ce phénomène peut être rapproché de la mise en carte d’antan tout en se singularisant par un #contrôle_individualisé dans un fantasme de #surveillance_généralisée de l’ensemble des #mobilités contemporaines.

    https://ehne.fr/fr/encyclopedie/th%C3%A9matiques/les-migrations-en-europe/surveillance-et-contr%C3%B4le-des-migrations/la-num%C3%A9risation-du-contr%C3%B4le-migratoire-europ%C3%A9en

    #surveillance #frontières #migrations #réfugiés #asile #biométrie #données #privatisation #complexe_militaro-industriel

    ping @isskein @karine4 @etraces

  • EU : One step closer to the establishment of the ’#permission-to-travel' scheme

    The Council and Parliament have reached provisional agreement on rules governing how the forthcoming #European_Travel_Information_and_Authorisation System (#ETIAS) will ’talk’ to other migration and policing databases, with the purpose of conducting automated searches on would-be travellers to the EU.

    The ETIAS will mirror systems such as the #ESTA scheme in the USA, and will require that citizens of countries who do not need a #visa to travel to the EU instead apply for a “travel authorisation”.

    As with visas, travel companies will be required to check an individual’s travel authorisation before they board a plane, coach or train, effectively creating a new ’permission-to-travel’ scheme.

    The ETIAS also includes a controversial #profiling and ’watchlist’ system, an aspect not mentioned in the Council’s press release (full-text below).

    The rules on which the Council and Parliament have reached provisional agreement - and which will thus almost certainly be the final text of the legislation - concern how and when the ETIAS can ’talk’ to other EU databases such as #Eurodac (asylum applications), the #Visa_Information_System, or the #Schengen_Information_System.

    Applicants will also be checked against #Europol and #Interpol databases.

    As the press release notes, the ETIAS will also serve as one of the key components of the “interoperability” scheme, which will interconnect numerous EU databases and lead to the creation of a new, biometric ’#Common_Identity_Repository' on up to 300 million non-EU nationals.

    You can find out more about the ETIAS, related changes to the Visa Information System, and the interoperability plans in the Statewatch report Automated Suspicion: https://www.statewatch.org/automated-suspicion-the-eu-s-new-travel-surveillance-initiatives

    –------

    The text below is a press release published by the Council of the EU on 18 March 2020: https://www.consilium.europa.eu/en/press/press-releases/2021/03/18/european-travel-information-and-authorisation-system-etias-council-

    European travel information and authorisation system (ETIAS): Council Presidency and European Parliament provisionally agree on rules for accessing relevant databases

    The Council presidency and European Parliament representatives today reached a provisional agreement on the rules connecting the ETIAS central system to the relevant EU databases. The agreed texts will next be submitted to the relevant bodies of the Council and the Parliament for political endorsement and, following this, for their formal adoption.

    The adoption of these rules will be the final legislative step required for the setting up of ETIAS, which is expected to be operational by 2022.

    The introduction of ETIAS aims to improve internal security, prevent illegal immigration, protect public health and reduce delays at the borders by identifying persons who may pose a risk in one of these areas before they arrive at the external borders. ETIAS is also a building bloc of the interoperability between JHA databases, an important political objective of the EU in this area, which is foreseen to be operational by the end of 2023.

    The provisionally agreed rules will allow the ETIAS central system to perform checks against the Schengen Information System (SIS), the Visa Information System (VIS), the Entry/Exit System (EES), Eurodac and the database on criminal records of third country nationals (ECRIS-TCN), as well as on Europol and Interpol data.

    They allow for the connection of the ETIAS central system to these databases and set out the data to be accessed for ETIAS purposes, as well as the conditions and access rights for the ETIAS central unit and the ETIAS national units. Access to the relevant data in these systems will allow authorities to assess the security or immigration risk of applicants and decide whether to issue or refuse a travel authorisation.
    Background

    ETIAS is the new EU travel information and authorisation system. It will apply to visa-exempt third country nationals, who will need to obtain a travel authorisation before their trip, via an online application.

    The information submitted in each application will be automatically processed against EU and relevant Interpol databases to determine whether there are grounds to refuse a travel authorisation. If no hits or elements requiring further analysis are identified, the travel authorisation will be issued automatically and quickly. This is expected to be the case for most applications. If there is a hit or an element requiring analysis, the application will be handled manually by the competent authorities.

    A travel authorisation will be valid for three years or until the end of validity of the travel document registered during application, whichever comes first. For each application, the applicant will be required to pay a travel authorisation fee of 7 euros.

    https://www.statewatch.org/news/2021/march/eu-one-step-closer-to-the-establishment-of-the-permission-to-travel-sche

    #interopérabilité #base_de_données #database #données_personnelles #migrations #mobilité #autorisations #visas #compagnies_de_voyage #VIS #SIS #EU #UE #union_européenne #biométrie

    ping @etraces @isskein @karine4

    • L’UE précise son futur système de contrôle des voyageurs exemptés de visas

      Les modalités du futur système de #contrôle_préalable, auquel devront se soumettre d’ici fin 2022 les ressortissants de pays tiers pouvant se rendre dans l’Union #sans_visa, a fait l’objet d’un #accord annoncé vendredi par l’exécutif européen.

      Ce dispositif, baptisé ETIAS et inspiré du système utilisé par les Etats-Unis, concernera les ressortissants de plus de 60 pays qui sont exemptés de visas pour leurs courts séjours dans l’Union, comme les ressortissants des Etats-Unis, du Brésil, ou encore de l’Albanie et des Emirats arabes unis.

      Ce système dit « d’information et d’autorisation », qui vise à repérer avant leur entrée dans l’#espace_Schengen des personnes jugées à #risques, doit permettre un contrôle de sécurité avant leur départ via une demande d’autorisation sur internet.

      Dans le cadre de l’ETIAS, les demandes en ligne coûteront 7 euros et chaque autorisation sera valable trois ans pour des entrées multiples, a indiqué un porte-parole de la Commission.

      Selon les prévisions, « probablement plus de 95% » des demandes « donneront lieu à une #autorisation_automatique », a-t-il ajouté.

      Le Parlement européen avait adopté dès juillet 2018 une législation établissant le système ETIAS, mais dans les négociations pour finaliser ses modalités opérationnelles, les eurodéputés réclamaient des garde-fous, en le rendant interopérable avec les autres systèmes d’information de l’UE.

      Eurodéputés et représentants des Etats, de concert avec la Commission, ont approuvé jeudi des modifications qui permettront la consultation de différentes #bases_de_données, dont celles d’#Europol et d’#Interpol, pour identifier les « menaces sécuritaires potentielles, dangers de migration illégale ou risques épidémiologiques élevés ».

      Il contribuera ainsi à « la mise en oeuvre du nouveau Pacte (européen) sur la migration et l’asile », a estimé le porte-parole.

      « Nous devons savoir qui franchit nos #frontières_extérieures. (ETIAS) fournira des #informations_préalables sur les voyageurs avant qu’ils n’atteignent les frontières de l’UE afin d’identifier les risques en matière de #sécurité ou de #santé », a souligné Ylva Johansson, commissaire aux affaires intérieures, citée dans un communiqué.

      Hors restrictions dues à la pandémie, « au moins 30 millions de voyageurs se rendent chaque année dans l’UE sans visa, et on ne sait pas grand chose à leur sujet. L’ETIAS comblera cette lacune, car il exigera un "#background_check" », selon l’eurodéputé Jeroen Lenaers (PPE, droite pro-UE), rapporteur du texte.

      L’accord doit recevoir un ultime feu vert du Parlement et des Vingt-Sept pour permettre au système d’entrer en vigueur.

      https://www.mediapart.fr/journal/fil-dactualites/190321/l-ue-precise-son-futur-systeme-de-controle-des-voyageurs-exemptes-de-visas
      #smart_borders #frontières_intelligentes

    • Eurodac, la “sorveglianza di massa” per fermare le persone ai confini Ue

      Oggi il database conserva le impronte digitali di richiedenti asilo e stranieri “irregolari”. La proposta di riforma della Commissione Ue vuole inserire più dati biometrici, compresi quelli dei minori. Mettendo a rischio privacy e diritti

      Da più di vent’anni i richiedenti asilo che presentano domanda di protezione in un Paese europeo, così come i cittadini stranieri che attraversano “irregolarmente” i confini dell’Unione, sono registrati con le impronte digitali all’interno del sistema “Eurodac”. L’acronimo sta per “European asylum dactyloscopy database” e al 31 dicembre 2019 contava oltre 5,69 milioni di set di impronte cui se ne sono aggiunti oltre 644mila nel corso del 2020. Le finalità di Eurodac sono strettamente legate al Regolamento Dublino: il database, infatti, era stato istituito nel 2000 per individuare il Paese europeo di primo ingresso dei richiedenti asilo, che avrebbe dovuto valutare la domanda di protezione, ed evitare che la stessa persona presentasse domanda di protezione in più Paesi europei (il cosiddetto asylum shopping). 

      Nei prossimi anni, però, Eurodac potrebbe diventare uno strumento completamente diverso. Il 23 settembre 2020 la “nuova” Commissione europea guidata da Ursula von der Leyen, infatti, ha presentato una proposta di riforma che ricalca un testo presentato nel 2016 e si inserisce all’interno del Patto sull’immigrazione e l’asilo, ampliando gli obiettivi del database: “Eurodac, che era stato creato per stabilire quale sia il Paese europeo competente a esaminare la domanda di asilo, vede affiancarsi alla sua funzione originaria il controllo delle migrazioni irregolari e dei flussi secondari all’interno dell’Unione -commenta Valeria Ferraris, ricercatrice presso il dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Torino (unito.it)-. Viene messa in atto un’estensione del controllo sui richiedenti asilo visti sempre più come migranti irregolari e non come persone bisognose di protezione”.

      “Oggi Eurodac registra solo le impronte digitali. La proposta di riforma prevede di aggiungere i dati biometrici del volto, che possono essere utilizzati per il riconoscimento facciale tramite apposite tecnologie -spiega ad Altreconomia Chloé Berthélémy, policy advisor dell’European digital rights-. Inoltre si prevede di raccogliere anche le generalità dei migranti, informazioni relative a data e luogo di nascita-nazionalità. Sia per gli adulti sia per i minori a partire dai sei anni di età, mentre oggi vengono registrati solo gli adolescenti dai 14 anni in su”. Per Bruxelles l’esigenza di aggiungere nuovi dati biometrici al database è motivata dalle difficoltà di alcuni Stati membri nel raccogliere le impronte digitali a causa del rifiuto da parte dei richiedenti asilo o perché questi si procurano tagli, lesioni o scottature per non essere identificati. La stima dei costi per l’espansione di Eurodac è di 29,8 milioni di euro, necessari per “l’aggiornamento tecnico, l’aumento dell’archiviazione e della capacità del sistema centrale” si legge nella proposta di legge. 

      Le preoccupazioni per possibili violazioni dei diritti di migranti hanno spinto Edri, il principale network europeo di Ong impegnate nella tutela dei diritti e delle libertà digitali, e altre trenta associazioni (tra cui Amnesty International, Statewatch, Terre des Hommes) a scrivere lo scorso settembre una lettera aperta alla Commissione Libe del Parlamento europeo per chiedere di ritardare il processo legislativo di modifica di Eurodac e “concedere il tempo necessario a un’analisi significativa delle implicazioni sui diritti fondamentali della proposta di riforma”. 

      “Lungi dall’essere meramente tecnico, il dossier Eurodac è di natura altamente politica e strategica”, scrivono le associazioni firmatarie nella lettera. Che avvertono: se le modifiche proposte verranno adottate potrebbe venire compromesso “il dovere dell’Unione europea di rispettare il diritto e gli standard internazionali in materia di asilo e migrazione”. Eurodac rischia così di trasformarsi in “un potente strumento per la sorveglianza di massa” dei cittadini stranieri. Inoltre “le modifiche proposte sulla banca dati, che implicano il trattamento di più categorie di dati per una serie più ampia di finalità, sono in palese contraddizione con il principio di limitazione delle finalità, un principio chiave Ue sulla protezione dei dati”.

      “Si rischia di estendere il controllo sui richiedenti asilo visti sempre più come migranti ‘irregolari’ e non come persone bisognose di protezione” – Valeria Ferraris

      Le critiche delle associazioni firmatarie si concentrano soprattutto sul possibile uso del riconoscimento facciale per l’identificazione biometrica che viene definito “sproporzionato e invasivo della privacy” si legge nella lettera. “Le leggi fondamentali sulla protezione dei dati personali in Europa stabiliscono che l’interferenza con il diritto alla privacy deve essere proporzionata e rispondere a un interesse generale -spiega Chloé Berthélémy-. Nel caso di Eurodac, l’utilizzo delle impronte digitali è sufficiente a garantire l’identificazione della persona garantendo così il principio di limitazione dello scopo, che è centrale per la protezione dei dati in Europa”. 

      “Noi siamo contrari all’uso di tecnologie di riconoscimento facciale e siamo particolarmente radicali su questo -aggiungono Davide Del Monte e Laura Carrer dell’Hermes Center, una delle associazioni firmatarie della lettera-. Una tecnologia può anche avere un utilizzo corretto, ad esempio per combattere il terrorismo, ma la potenza di questi strumenti è tale che, a nostro avviso, i rischi e i pericoli sono molto superiori ai potenziali benefici che possono portare. Inoltre è molto difficile fare un passo indietro una volta che le infrastrutture necessarie a implementare queste tecnologie vengono ‘posate’ e messe in funzione: non si torna mai indietro e il loro utilizzo viene sempre ampliato. Per noi sono equiparabili ad armi e per questo la loro circolazione deve essere limitata”. Anche in virtù di queste posizioni, Hermes Center è promotore in Italia della campagna “Reclaim your face” con cui si chiede alle istituzioni di vietare il riconoscimento facciale negli spazi pubblici.

      “La potenza di questi strumenti è tale che, a nostro avviso, i rischi e i pericoli sono molto superiori ai potenziali benefici che possono portare” – Laura Carrer

      Ma non è finita. Se la riforma verrà adottata, all’interno del database europeo finiranno non solo i richiedenti asilo e le persone intercettate mentre attraversano “irregolarmente” le frontiere esterne dell’Unione europea ma anche tutti gli stranieri privi di titolo di soggiorno che venissero fermati all’interno di un Paese europeo e verrebbe anche creata una categoria ad hoc per i migranti soccorsi in mare durante un’operazione di search and rescue. Verranno inoltre raccolti i dati relativi ai bambini a partire dai sei anni di età: ufficialmente, questa (radicale) modifica al funzionamento del database europeo è stata introdotta con l’obiettivo di tutelare i minori stranieri. 

      Ma le associazioni evidenziano come raccogliere e conservare i dati biometrici dei bambini per scopi non legati alla loro protezione rappresenti “una violazione gravemente invasiva e ingiustificata del diritto alla privacy, che lede i principi di proporzionalità e necessità”. Dati e informazioni che verranno conservati più a lungo di quanto non accade oggi: per i “migranti irregolari” si passa dai 18 mesi attuali a cinque anni.

      A complicare ulteriormente la situazione c’è anche l’entrata in vigore nel 2018 del nuovo “Regolamento interoperatività”, che permette di mettere in connessione Eurodac con altri database come il Sistema informativo Schengen (Sis) e il sistema informativo Visti (Vis), il Sistema europeo di informazione e autorizzazione ai viaggi (Etias) e il Sistema di ingressi/uscite (Ees). 

      “In precedenza, questi erano tutti sistemi autonomi, ora si sta andando verso un merging, garantendo una connessione che contraddice la base giuridica iniziale per cui ciascuno di questi sistemi aveva un suo obiettivo -spiega Ferraris-. Nel corso degli anni gli obiettivi attribuiti a ciascun sistema si sono moltiplicati, violando i principi in materia di protezione dei dati personali e diventando progressivamente sempre più focalizzati sul controllo della migrazione”. Inoltre le modifiche normative hanno esteso l’accesso a questi database sempre più integrati tra loro a un numero sempre maggiore di autorità.

      “Quello che chiediamo al Parlamento europeo è di fare un passo indietro e di ripensare l’intero quadro normativo -conclude Berthélémy-. La nostra principale raccomandazione è quella di realizzare e pubblicare una valutazione di impatto sull’estensione dell’applicazione di Eurodac per delineare le conseguenze sui diritti fondamentali o su quelli dei minori causati dalle significative modifiche proposte. Si sta estendendo in maniera enorme l’ambito di applicazione di un database, e questo avrà conseguenze per decine di migliaia di persone”.

      https://altreconomia.it/eurodac-la-sorveglianza-di-massa-per-fermare-le-persone-ai-confini-ue

  • Egypt’s Dystopia Is a Lesson for the World
    https://www.vice.com/en/article/n7v9pd/egypts-dystopia-is-a-lesson-for-the-world


    Protesters fill Cairo’s Tahrir Square in February 2011. Photo: Peter Macdiarmid/Getty Images

    “The narrative that what happened in Egypt was a total failure, that things just returned back to exactly where they started, is pushed by those who are unable to understand or accept the challenge posed by those 18 days,” says Professor Khaled Fahmy, an Egyptian historian now based at the University of Cambridge, referring to the period of revolutionary protest in Tahrir that brought Mubarak’s reign to a close. “It was an effort to imagine an alternative form of society, one that had implications not just for Egypt, but for societies everywhere. It tried to make a space where those conversations could happen, and in that it succeeded. It was possible. And precisely because it was possible, it was dangerous.”


    Tahrir Square, the beating heart of the revolution, pictured in November last year. Photo: Khaled DESOUKI / AFP

    A decade later, with a brief flurry of pro-revolution platitudes now long forgotten – “We should teach the Egyptian revolution in our schools,” remarked then-prime minister David Cameron in February of 2011, shortly before he made an “inspiring” visit to Tahrir Square as part of an arms-sales tour across the region – western leaders have reprised their role as staunch defenders of Egypt’s dictatorship, whose interests are increasingly entwined with their own.

    Sisi, Egypt’s current president and the man who oversaw the massacre of nearly 1,000 protesters during a single day in 2013 (shortly after he deposed Mohamed Morsi, who later died in jail), is a regular presence on the red carpet in European capitals. Considered a bulwark against both violent extremism and mass migration from the region, despite there being scant evidence of his effectiveness on either front, Sisi’s security forces are equipped with French fighter jets, Italian frigates, German submarines and British assault rifles,. Last month, President Emmanuel Macron awarded him France’s highest order of merit, the Légion d’honneur.

    “That year came with so much – so much promise, and so much trauma.”

    But for Sisi, even more vital than cutting-edge weaponry and prestigious photo-calls is the growing entrenchment of his regime in a globalised financial system, which helps ensure that his own stability – and, consequently, the suppression of any future revolutionary challenge – is aligned with the economic concerns of western states and some of the world’s biggest multinational forces. A huge surge in both international loans (Egypt’s external debt has doubled as a proportion of GDP since Sisi assumed power) and foreign direct investment, particularly in the oil and gas sector (BP, Britain’s biggest company, pours more money into Egypt than any other country), has helped drive rising inequality, as ordinary Egyptian taxpayers shoulder a disproportionate strain when it comes to paying back the interest-heavy loans and the related government cuts to social spending. Ten million Egyptians have been newly dragged down into poverty over the past half-decade; meanwhile, the number of “ultra high net worth individuals” in Cairo is rising faster than anywhere else on the planet.

    “The Egyptian government’s fiscal and economic policies are accelerating the transfer of wealth from lower and middle classes to itself and business elites, with likely devastating consequences,” warned Maged Mandour, an analyst for the Carnegie Endowment, in a report last year entitled “Sisi’s war on the poor”. He went on to note that higher levels of deprivation could be detected most clearly in areas like healthcare – where spending as a proportion of GDP has plummeted, leaving less money for doctors, nurses, hospital beds, COVID tests and oxygen tanks. None of this appears to trouble Egypt’s enthusiastic foreign backers; business media giant Bloomberg recently lauded the country as an “emerging market darling”.

    “At best,” says Fahmy, the historian, “we — the Egyptian people — are a nuisance to the regime. At worst, we are a danger. In either case, we are a burden.

    #égypte #révolution #révolutions-arabes #covid-19 #25janvier #sisi #morsi #mubarak #macron

  • En #Géorgie, la #frontière avec l’#Azerbaïdjan au cœur de l’« affaire des cartographes »

    A la veille des élections législatives du 31 octobre, ce scandale impliquant le parti d’opposition pourrait peser sur le scrutin.

    Il y a encore un an et demi, Zviad Naniachvili grimpait chaque matin sur la crête qui sépare la Géorgie de l’Azerbaïdjan pour voir le soleil se lever sur les montagnes. Ce guide géorgien de 37 ans a grandi là, au pied du #monastère orthodoxe de #David_Garedja, un complexe spectaculaire d’églises et de cellules troglodytes fondé au VIe siècle. Le site, creusé dans la roche, s’étire sur plusieurs hectares de part et d’autre de la frontière, dans un paysage désertique. Jusqu’ici, tout le monde pouvait s’y promener librement. C’est désormais impossible.

    Depuis la visite, en avril 2019, de la présidente géorgienne, Salomé Zourabichvili, proche du parti au pouvoir, Rêve géorgien, des #gardes-frontières azerbaïdjanais ont fait leur apparition sur la crête, empêchant touristes et pèlerins de visiter la partie du monastère située de l’autre côté de la frontière. « C’est comme si quelqu’un vivait chez moi », déplore Zviad Naniachvili, en levant les yeux vers la cime.

    La chef de l’Etat, flanquée de deux hommes en armes, avait appelé à régler « de toute urgence » la question de la #délimitation des frontières, ravivant les tensions autour de ce sujet sensible : les Géorgiens affirment que ce site historique, culturel et religieux leur appartient, ce que contestent les Azerbaïdjanais, pour lesquels ces hauteurs ont une importance stratégique.

    Devant la porte en bois gravée de la grotte où vécut David Garedja, l’un des pères assyriens venus évangéliser la Géorgie, trois jeunes filles en jupe plissée entonnent un chant sacré face aux #montagnes. « Dieu va tout arranger », veut croire l’une.

    A l’approche des élections législatives du samedi 31 octobre, le #monastère est désormais au cœur d’un scandale susceptible de peser sur le scrutin. L’histoire, aux ramifications complexes, cristallise les crispations qui traversent la société géorgienne, plus polarisée que jamais, sur fond de « fake news » et de tensions régionales avec le conflit au #Haut-Karabakh, enclave séparatiste en Azerbaïdjan.

    Deux cartographes arrêtés

    L’affaire a éclaté trois semaines avant le premier tour. Le 7 octobre, deux #cartographes, anciens membres de la commission gouvernementale chargée de négocier la démarcation de la frontière, ont été arrêtés et placés en #détention provisoire – une mesure exceptionnellement sévère.

    #Iveri_Melachvili et #Natalia_Ilicheva sont accusés par le procureur général de Géorgie d’avoir voulu céder des terres à l’Azerbaïdjan entre 2005 et 2007, lorsque l’ex-président Mikheïl Saakachvili était au pouvoir. Ils auraient caché la bonne carte, datée de 1938, pour en utiliser une autre à la place, défavorable à la Géorgie, lui faisant perdre 3 500 hectares. Les deux cartographes, qui clament leur innocence, encourent dix à quinze ans de prison.

    Ces #arrestations surprises, survenues en pleine campagne électorale, électrisent le débat à quelques jours du scrutin. Qualifié de « #traître », le parti de l’opposition, emmené par Mikheïl Saakachvili, le Mouvement national uni, dénonce une « manipulation politique » du parti au pouvoir – dirigé par le milliardaire Bidzina Ivanichvili – visant à le discréditer avant le scrutin.

    La nature politique de cette affaire ne fait aucun doute non plus pour les ONG. Quinze d’entre elles, dont Transparency International et Open Society Foundation, ont ainsi conjointement dénoncé, le 9 octobre, une « enquête à motivation politique ». Elles pointent le « timing de l’enquête », en période préélectorale, les commentaires du parti au pouvoir, qui « violent la présomption d’innocence », et « l’approche sélective » des investigations, certains témoins majeurs n’étant pas auditionnés. Ces ONG exhortent ainsi les autorités à « cesser de manipuler des sujets sensibles pour la population avant les élections ».

    « Cette affaire est une tragédie personnelle pour les deux cartographes, mais, au-delà, c’est l’indépendance de la justice, inexistante, qui est en question, souligne Ivane Chitachvili, avocat à Transparency International. Tant que notre système restera un instrument politique aux mains du gouvernement, cela continuera. »

    « Attiser le sentiment nationaliste et religieux »

    Des membres du gouvernement, dont le ministre de la défense, Irakli Garibachvili, et des représentants de l’Eglise orthodoxe, proche de la Russie, accusent même les deux cartographes d’avoir tenté de vendre le monastère de David Garedja lui-même. Le site religieux n’est pourtant mentionné nulle part dans les 1 500 pages du dossier judiciaire. « Ils parlent du monastère pour embrouiller les gens et les prendre par l’émotion, en attisant leur sentiment nationaliste ou religieux, analyse Ivane Chitachvili.

    La stratégie fonctionne auprès d’une partie de la population, qui compte 84 % d’orthodoxes. Tamuna Biszinachvili, une vigneronne de 32 ans venue en famille visiter le monastère, en est convaincue : « Notre ancien gouvernement a fait une énorme connerie. » Ce qu’elle a lu sur Facebook et ses échanges avec un moine l’ont persuadée que cette histoire était vraie. C’est même pour cela qu’elle a tenu à venir avec ses enfants aujourd’hui : « Je veux leur montrer le monastère avant que les Azerbaïdjanais prennent cette terre. Notre terre. »

    Sur les hauteurs du monastère, Goram, un réserviste de 24 ans venu déposer quelques bougies, n’accorde au contraire aucun crédit à ces accusations. « Qui peut croire à cette histoire ? Aucune terre n’a pu être cédée, puisqu’il n’y a même pas d’accord sur la frontière ! », rappelle-t-il.

    De fait, voilà près de trente ans, depuis la chute de l’URSS, que la Géorgie et l’Azerbaïdjan négocient leur frontière, centimètre par centimètre, en exhumant de vieilles cartes. Les deux tiers ont fini par faire l’objet d’un #accord technique, un tiers est toujours en discussion, mais rien n’a encore jamais été ratifié.

    Rôle trouble de la #Russie

    Assis derrière la table à manger de sa cellule troglodyte, un moine orthodoxe en robe noire et à la longue barbe brune se prend la tête à deux mains, affligé par l’affaire des cartographes. Derrière lui, une guirlande « happy birthday » pendille entre deux icônes. Quelques morceaux de pain et un bidon en plastique rempli de vin traînent encore sur la table après les agapes.

    Persuadé d’être surveillé, le père redoute de parler, mais accepte, sous le couvert de l’anonymat, de livrer son point de vue, en rupture avec celui de ses supérieurs. « C’est la visite de la présidente qui a déclenché tout ça », se lamente-t-il. Sans oser le nommer, il soupçonne également « un grand pays » d’avoir « intérêt à créer un #conflit » dans la région. L’affaire des cartographes lui « rappelle les purges soviétiques, quand 60 % des prisonniers étaient des détenus politiques ». La comparaison revient souvent dans ce dossier.

    Plus divisés que jamais, les Géorgiens oscillent entre colère et consternation. « Ceux qui n’ont pas subi un lavage de cerveau savent bien que cette histoire est absurde, soupire Chota Gvineria, chercheur au Centre de recherche sur la politique économique (EPCR), basé à Tbilissi. Le bureau du procureur est directement subordonné au gouvernement, qui utilise deux innocentes victimes pour manipuler l’opinion avant les élections. »

    Cet ancien diplomate pointe également le rôle trouble de la Russie, où la #carte prétendument « dissimulée » par les cartographes a soudain été retrouvée par un homme d’affaire, #David_Khidacheli, ancien vice-président du conglomérat russe #Sistema, qui l’a transférée à la Géorgie. A travers cette affaire, « Moscou veut déstabiliser la région et créer un conflit entre la Géorgie et l’Azerbaïdjan pour renforcer son influence », analyse le chercheur. Malgré ce #différend_frontalier, Bakou garde de bonnes relations avec Tbilissi, son partenaire stratégique.

    Pour Guiorgui Mchvenieradze, directeur de l’ONG Georgian Democracy Initiative et avocat du cartographe Iveri Melachvili, « cette affaire est inacceptable au XXIe siècle ». Devenu à son tour la cible d’une campagne de dénigrement, il affirme qu’il est « clair et net que les activistes et trolls sont extrêmement mobilisés, notamment sur Facebook, pour diffuser des “fake news” » sur ce dossier, et le faire passer lui aussi pour un « traître qui veut vendre le monastère ». Le procès des cartographes doit s’ouvrir le 4 décembre.

    https://www.lemonde.fr/international/article/2020/10/29/en-georgie-la-frontiere-avec-l-azerbaidjan-au-c-ur-de-l-affaire-des-cartogra
    #cartographie #frontières #cartographe #nationalisme

    via @fil

    • EU: Frontex splashes out: millions of euros for new technology and equipment (19.06.2020)

      The approval of the new #Frontex_Regulation in November 2019 implied an increase of competences, budget and capabilities for the EU’s border agency, which is now equipping itself with increased means to monitor events and developments at the borders and beyond, as well as renewing its IT systems to improve the management of the reams of data to which it will have access.

      In 2020 Frontex’s #budget grew to €420.6 million, an increase of over 34% compared to 2019. The European Commission has proposed that in the next EU budget (formally known as the Multiannual Financial Framework or MFF, covering 2021-27) €11 billion will be made available to the agency, although legal negotiations are ongoing and have hit significant stumbling blocks due to Brexit, the COVID-19 pandemic and political disagreements.

      Nevertheless, the increase for this year has clearly provided a number of opportunities for Frontex. For instance, it has already agreed contracts worth €28 million for the acquisition of dozens of vehicles equipped with thermal and day cameras, surveillance radar and sensors.

      According to the contract for the provision of Mobile Surveillance Systems, these new tools will be used “for detection, identification and recognising of objects of interest e.g. human beings and/or groups of people, vehicles moving across the border (land and sea), as well as vessels sailing within the coastal areas, and other objects identified as objects of interest”. [1]

      Frontex has also published a call for tenders for Maritime Analysis Tools, worth a total of up to €2.6 million. With this, Frontex seeks to improve access to “big data” for maritime analysis. [2] The objective of deploying these tools is to enhance Frontex’s operational support to EU border, coast guard and law enforcement authorities in “suppressing and preventing, among others, illegal migration and cross-border crime in the maritime domain”.

      Moreover, the system should be capable of delivering analysis and identification of high-risk threats following the collection and storage of “big data”. It is not clear how much human input and monitoring there will be of the identification of risks. The call for tenders says the winning bidder should have been announced in May, but there is no public information on the chosen company so far.

      As part of a 12-month pilot project to examine how maritime analysis tools could “support multipurpose operational response,” Frontex previously engaged the services of the Tel Aviv-based company Windward Ltd, which claims to fuse “maritime data and artificial intelligence… to provide the right insights, with the right context, at the right time.” [3] Windward, whose current chairman is John Browne, the former CEO of the multinational oil company BP, received €783,000 for its work. [4]

      As the agency’s gathering and processing of data increases, it also aims to improve and develop its own internal IT systems, through a two-year project worth €34 million. This will establish a set of “framework contracts”. Through these, each time the agency seeks a new IT service or system, companies selected to participate in the framework contracts will submit bids for the work. [5]

      The agency is also seeking a ’Software Solution for EBCG [European Border and Coast Guard] Team Members to Access to Schengen Information System’, through a contract worth up to €5 million. [6] The Schengen Information System (SIS) is the EU’s largest database, enabling cooperation between authorities working in the fields of police, border control and customs of all the Schengen states (26 EU member states plus Iceland, Norway, Liechtenstein and Switzerland) and its legal bases were recently reformed to include new types of alert and categories of data. [7]

      This software will give Frontex officials direct access to certain data within the SIS. Currently, they have to request access via national border guards in the country in which they are operating. This would give complete autonomy to Frontex officials to consult the SIS whilst undertaking operations, shortening the length of the procedure. [8]

      With the legal basis for increasing Frontex’s powers in place, the process to build up its personnel, material and surveillance capacities continues, with significant financial implications.

      https://www.statewatch.org/news/2020/june/eu-frontex-splashes-out-millions-of-euros-for-new-technology-and-equipme

      #technologie #équipement #Multiannual_Financial_Framework #MFF #surveillance #Mobile_Surveillance_Systems #Maritime_Analysis_Tools #données #big_data #mer #Windward_Ltd #Israël #John_Browne #BP #complexe_militaro-industriel #Software_Solution_for_EBCG_Team_Members_to_Access_to_Schengen_Information_System #SIS #Schengen_Information_System

    • EU : Guns, guards and guidelines : reinforcement of Frontex runs into problems (26.05.2020)

      An internal report circulated by Frontex to EU government delegations highlights a series of issues in implementing the agency’s new legislation. Despite the Covid-19 pandemic, the agency is urging swift action to implement the mandate and is pressing ahead with the recruitment of its new ‘standing corps’. However, there are legal problems with the acquisition, registration, storage and transport of weapons. The agency is also calling for derogations from EU rules on staff disciplinary measures in relation to the use of force; and wants an extended set of privileges and immunities. Furthermore, it is assisting with “voluntary return” despite this activity appearing to fall outside of its legal mandate.

      State-of-play report

      At the end of April 2020, Frontex circulated a report to EU government delegations in the Council outlining the state of play of the implementation of its new Regulation (“EBCG 2.0 Regulation”, in the agency and Commission’s words), especially relating to “current challenges”.[1] Presumably, this refers to the outbreak of a pandemic, though the report also acknowledges challenges created by the legal ambiguities contained in the Regulation itself, in particular with regard to the acquisition of weapons, supervisory and disciplinary mechanisms, legal privileges and immunities and involvement in “voluntary return” operations.

      The path set out in the report is that the “operational autonomy of the agency will gradually increase towards 2027” until it is a “fully-fledged and reliable partner” to EU and Schengen states. It acknowledges the impacts of unforeseen world events on the EU’s forthcoming budget (Multi-annual Financial Framework, MFF) for 2021-27, and hints at the impact this will have on Frontex’s own budget and objectives. Nevertheless, the agency is still determined to “continue increasing the capabilities” of the agency, including its acquisition of new equipment and employment of new staff for its standing corps.

      The main issues covered by the report are: Frontex’s new standing corps of staff, executive powers and the use of force, fundamental rights and data protection, and the integration into Frontex of EUROSUR, the European Border Surveillance System.

      The new standing corps

      Recruitment

      A new standing corps of 10,000 Frontex staff by 2024 is to be, in the words of the agency, its “biggest game changer”.[2] The report notes that the establishment of the standing corps has been heavily affected by the outbreak of Covid-19. According to the report, 7,238 individuals had applied to join the standing corps before the outbreak of the pandemic. 5,482 of these – over 75% – were assessed by the agency as eligible, with a final 304 passing the entire selection process to be on the “reserve lists”.[3]

      Despite interruptions to the recruitment procedure following worldwide lockdown measures, interviews for Category 1 staff – permanent Frontex staff members to be deployed on operations – were resumed via video by the end of April. 80 candidates were shortlisted for the first week, and Frontex aims to interview 1,000 people in total. Despite this adaptation, successful candidates will have to wait for Frontex’s contractor to re-open in order to carry out medical tests, an obligatory requirement for the standing corps.[4]

      In 2020, Frontex joined the European Defence Agency’s Satellite Communications (SatCom) and Communications and Information System (CIS) services in order to ensure ICT support for the standing corps in operation as of 2021.[5] The EDA describes SatCom and CIS as “fundamental for Communication, Command and Control in military operations… [enabling] EU Commanders to connect forces in remote areas with HQs and capitals and to manage the forces missions and tasks”.[6]

      Training

      The basic training programme, endorsed by the management board in October 2019, is designed for Category 1 staff. It includes specific training in interoperability and “harmonisation with member states”. The actual syllabus, content and materials for this basic training were developed by March 2020; Statewatch has made a request for access to these documents, which is currently pending with the Frontex Transparency Office. This process has also been affected by the novel coronavirus, though the report insists that “no delay is foreseen in the availability of the specialised profile related training of the standing corps”.

      Use of force

      The state-of-play-report acknowledges a number of legal ambiguities surrounding some of the more controversial powers outlined in Frontex’s 2019 Regulation, highlighting perhaps that political ambition, rather than serious consideration and assessment, propelled the legislation, overtaking adequate procedure and oversight. The incentive to enact the legislation within a short timeframe is cited as a reason that no impact assessment was carried out on the proposed recast to the agency’s mandate. This draft was rushed through negotiations and approved in an unprecedented six-month period, and the details lost in its wake are now coming to light.

      Article 82 of the 2019 Regulation refers to the use of force and carriage of weapons by Frontex staff, while a supervisory mechanism for the use of force by statutory staff is established by Article 55. This says:

      “On the basis of a proposal from the executive director, the management board shall: (a) establish an appropriate supervisory mechanism to monitor the application of the provisions on use of force by statutory staff, including rules on reporting and specific measures, such as those of a disciplinary nature, with regard to the use of force during deployments”[7]

      The agency’s management board is expected to make a decision about this supervisory mechanism, including specific measures and reporting, by the end of June 2020.

      The state-of-play report posits that the legal terms of Article 55 are inconsistent with the standard rules on administrative enquiries and disciplinary measures concerning EU staff.[8] These outline, inter alia, that a dedicated disciplinary board will be established in each institution including at least one member from outside the institution, that this board must be independent and its proceedings secret. Frontex insists that its staff will be a special case as the “first uniformed service of the EU”, and will therefore require “special arrangements or derogations to the Staff Regulations” to comply with the “totally different nature of tasks and risks associated with their deployments”.[9]

      What is particularly astounding about Frontex demanding special treatment for oversight, particularly on use of force and weapons is that, as the report acknowledges, the agency cannot yet legally store or transport any weapons it acquires.

      Regarding service weapons and “non-lethal equipment”,[10] legal analysis by “external experts and a regulatory law firm” concluded that the 2019 Regulation does not provide a legal basis for acquiring, registering, storing or transporting weapons in Poland, where the agency’s headquarters is located. Frontex has applied to the Commission for clarity on how to proceed, says the report. Frontex declined to comment on the status of this consultation and any indications of the next steps the agency will take. A Commission spokesperson stated only that it had recently received the agency’s enquiry and “is analysing the request and the applicable legal framework in the view of replying to the EBCGA”, without expanding further.

      Until Frontex has the legal basis to do so, it cannot launch a tender for firearms and “non-lethal equipment” (which includes batons, pepper spray and handcuffs). However, the report implies the agency is ready to do so as soon as it receives the green light. Technical specifications are currently being finalised for “non-lethal equipment” and Frontex still plans to complete acquisition by the end of the year.

      Privileges and immunities

      The agency is also seeking special treatment with regard to the legal privileges and immunities it and its officials enjoy. Article 96 of the 2019 Regulation outlines the privileges and immunities of Frontex officers, stating:

      “Protocol No 7 on the Privileges and Immunities of the European Union annexed to the Treaty on European Union (TEU) and to the TFEU shall apply to the Agency and its statutory staff.” [11]

      However, Frontex notes that the Protocol does not apply to non-EU states, nor does it “offer a full protection, or take into account a need for the inviolability of assets owned by Frontex (service vehicles, vessels, aircraft)”.[12] Frontex is increasingly involved in operations taking place on non-EU territory. For instance, the Council of the EU has signed or initialled a number of Status Agreements with non-EU states, primarily in the Western Balkans, concerning Frontex activities in those countries. To launch operations under these agreements, Frontex will (or, in the case of Albania, already has) agree on operational plans with each state, under which Frontex staff can use executive powers.[13] The agency therefore seeks an “EU-level status of forces agreement… to account for the partial absence of rules”.

      Law enforcement

      To implement its enhanced functions regarding cross-border crime, Frontex will continue to participate in Europol’s four-year policy cycle addressing “serious international and organised crime”.[14] The agency is also developing a pilot project, “Investigation Support Activities- Cross Border Crime” (ISA-CBC), addressing drug trafficking and terrorism.

      Fundamental rights and data protection

      The ‘EBCG 2.0 Regulation’ requires several changes to fundamental rights measures by the agency, which, aside from some vague “legal analyses” seem to be undergoing development with only internal oversight.

      Firstly, to facilitate adequate independence of the Fundamental Rights Officer (FRO), special rules have to be established. The FRO was introduced under Frontex’s 2016 Regulation, but has since then been understaffed and underfunded by the agency.[15] The 2019 Regulation obliges the agency to ensure “sufficient and adequate human and financial resources” for the office, as well as 40 fundamental rights monitors.[16] These standing corps staff members will be responsible for monitoring compliance with fundamental rights standards, providing advice and assistance on the agency’s plans and activities, and will visit and evaluate operations, including acting as forced return monitors.[17]

      During negotiations over the proposed Regulation 2.0, MEPs introduced extended powers for the Fundamental Rights Officer themselves. The FRO was previously responsible for contributing to Frontex’s fundamental rights strategy and monitoring its compliance with and promotion of fundamental rights. Now, they will be able to monitor compliance by conducting investigations; offering advice where deemed necessary or upon request of the agency; providing opinions on operational plans, pilot projects and technical assistance; and carrying out on-the-spot visits. The executive director is now obliged to respond “as to how concerns regarding possible violations of fundamental rights… have been addressed,” and the management board “shall ensure that action is taken with regard to recommendations of the fundamental rights officer.” [18] The investigatory powers of the FRO are not, however, set out in the Regulation.

      The state-of-play report says that “legal analyses and exchanges” are ongoing, and will inform an eventual management board decision, but no timeline for this is offered. [19] The agency will also need to adapt its much criticised individual complaints mechanism to fit the requirements of the 2019 Regulation; executive director Fabrice Leggeri’s first-draft decision on this process is currently undergoing internal consultations. Even the explicit requirement set out in the 2019 Regulation for an “independent and effective” complaints mechanism,[20] does not meet minimum standards to qualify as an effective remedy, which include institutional independence, accessibility in practice, and capacity to carry out thorough and prompt investigations.[21]

      Frontex has entered into a service level agreement (SLA) with the EU’s Fundamental Rights Agency (FRA) for support in establishing and training the team of fundamental rights monitors introduced by the 2019 Regulation. These monitors are to be statutory staff of the agency and will assess fundamental rights compliance of operational activities, advising, assisting and contributing to “the promotion of fundamental rights”.[22] The scope and objectives for this team were finalised at the end of March this year, and the agency will establish the team by the end of the year. Statewatch has requested clarification as to what is to be included in the team’s scope and objectives, pending with the Frontex Transparency Office.

      Regarding data protection, the agency plans a package of implementing rules (covering issues ranging from the position of data protection officer to the restriction of rights for returnees and restrictions under administrative data processing) to be implemented throughout 2020.[23] The management board will review a first draft of the implementing rules on the data protection officer in the second quarter of 2020.

      Returns

      The European Return and Reintegration Network (ERRIN) – a network of 15 European states and the Commission facilitating cooperation over return operations “as part of the EU efforts to manage migration” – is to be handed over to Frontex. [24] A handover plan is currently under the final stage of review; it reportedly outlines the scoping of activities and details of “which groups of returnees will be eligible for Frontex assistance in the future”.[25] A request from Statewatch to Frontex for comment on what assistance will be provided by the agency to such returnees was unanswered at the time of publication.

      Since the entry into force of its new mandate, Frontex has also been providing technical assistance for so-called voluntary returns, with the first two such operations carried out on scheduled flights (as opposed to charter flights) in February 2020. A total of 28 people were returned by mid-April, despite the fact that there is no legal clarity over what the definition “voluntary return” actually refers to, as the state-of-play report also explains:

      “The terminology of voluntary return was introduced in the Regulation without providing any definition thereof. This terminology (voluntary departure vs voluntary return) is moreover not in line with the terminology used in the Return Directive (EBCG 2.0 refers to the definition of returns provided for in the Return Directive. The Return Directive, however, does not cover voluntary returns; a voluntary return is not a return within the meaning of the Return Directive). Further elaboration is needed.”[26]

      On top of requiring “further clarification”, if Frontex is assisting with “voluntary returns” that are not governed by the Returns Directive, it is acting outside of its legal mandate. Statewatch has launched an investigation into the agency’s activities relating to voluntary returns, to outline the number of such operations to date, their country of return and country of destination.

      Frontex is currently developing a module dedicated to voluntary returns by charter flight for its FAR (Frontex Application for Returns) platform (part of its return case management system). On top of the technical support delivered by the agency, Frontex also foresees the provision of on-the-ground support from Frontex representatives or a “return counsellor”, who will form part of the dedicated return teams planned for the standing corps from 2021.[27]

      Frontex has updated its return case management system (RECAMAS), an online platform for member state authorities and Frontex to communicate and plan return operations, to manage an increased scope. The state-of-play report implies that this includes detail on post-return activities in a new “post-return module”, indicating that Frontex is acting on commitments to expand its activity in this area. According to the agency’s roadmap on implementing the 2019 Regulation, an action plan on how the agency will provide post-return support to people (Article 48(1), 2019 Regulation) will be written by the third quarter of 2020.[28]

      In its closing paragraph, related to the budgetary impact of COVID-19 regarding return operations, the agency notes that although activities will resume once aerial transportation restrictions are eased, “the agency will not be able to provide what has been initially intended, undermining the concept of the EBCG as a whole”.[29]

      EUROSUR

      The Commission is leading progress on adopting the implementing act for the integration of EUROSUR into Frontex, which will define the implementation of new aerial surveillance,[30] expected by the end of the year.[31] Frontex is discussing new working arrangements with the European Aviation Safety Agency (EASA) and the European Organisation for the Safety of Air Navigation (EUROCONTROL). The development by Frontex of the surveillance project’s communications network will require significant budgetary investment, as the agency plans to maintain the current system ahead of its planned replacement in 2025.[32] This investment is projected despite the agency’s recognition of the economic impact of Covid-19 on member states, and the consequent adjustments to the MFF 2021-27.

      Summary

      Drafted and published as the world responds to an unprecedented pandemic, the “current challenges” referred to in the report appear, on first read, to refer to the budgetary and staffing implications of global shut down. However, the report maintains throughout that the agency’s determination to expand, in terms of powers as well as staffing, will not be stalled despite delays and budgeting adjustments. Indeed, it is implied more than once that the “current challenges” necessitate more than ever that these powers be assumed. The true challenges, from the agency’s point of view, stem from the fact that its current mandate was rushed through negotiations in six months, leading to legal ambiguities that leave it unable to acquire or transport weapons and in a tricky relationship with the EU protocol on privileges and immunities when operating in third countries. Given the violence that so frequently accompanies border control operations in the EU, it will come as a relief to many that Frontex is having difficulties acquiring its own weaponry. However, it is far from reassuring that the introduction of new measures on fundamental rights and accountability are being carried out internally and remain unavailable for public scrutiny.

      Jane Kilpatrick

      Note: this article was updated on 26 May 2020 to include the European Commission’s response to Statewatch’s enquiries.

      It was updated on 1 July with some minor corrections:

      “the Council of the EU has signed or initialled a number of Status Agreements with non-EU states... under which” replaces “the agency has entered into working agreements with Balkan states, under which”
      “The investigatory powers of the FRO are not, however, set out in any detail in the Regulation beyond monitoring the agency’s ’compliance with fundamental rights, including by conducting investigations’” replaces “The investigatory powers of the FRO are not, however, set out in the Regulation”
      “if Frontex is assisting with “voluntary returns” that are not governed by the Returns Directive, it further exposes the haste with which legislation written to deny entry into the EU and facilitate expulsions was drafted” replaces “if Frontex is assisting with “voluntary returns” that are not governed by the Returns Directive, it is acting outside of its legal mandate”

      Endnotes

      [1] Frontex, ‘State of play of the implementation of the EBCG 2.0 Regulation in view of current challenges’, 27 April 2020, contained in Council document 7607/20, LIMITE, 20 April 2020, http://statewatch.org/news/2020/may/eu-council-frontex-ECBG-state-of-play-7607-20.pdf

      [2] Frontex, ‘Programming Document 2018-20’, 10 December 2017, http://www.statewatch.org/news/2019/feb/frontex-programming-document-2018-20.pdf

      [3] Section 1.1, state of play report

      [4] Jane Kilpatrick, ‘Frontex launches “game-changing” recruitment drive for standing corps of border guards’, Statewatch Analysis, March 2020, http://www.statewatch.org/analyses/no-355-frontex-recruitment-standing-corps.pdf

      [5] Section 7.1, state of play report

      [6] EDA, ‘EU SatCom Market’, https://www.eda.europa.eu/what-we-do/activities/activities-search/eu-satcom-market

      [7] Article 55(5)(a), Regulation (EU) 2019/1896 of the European Parliament and of the Council on the European Border and Coast Guard (Frontex 2019 Regulation), https://eur-lex.europa.eu/legal-content/en/TXT/?uri=CELEX:32019R1896

      [8] Pursuant to Annex IX of the EU Staff Regulations, https://eur-lex.europa.eu/legal-content/EN/TXT/?uri=CELEX:01962R0031-20140501

      [9] Chapter III, state of play report

      [10] Section 2.5, state of play report

      [11] Protocol (No 7), https://eur-lex.europa.eu/legal-content/EN/TXT/?uri=uriserv:OJ.C_.2016.202.01.0001.01.ENG#d1e3363-201-1

      [12] Chapter III, state of play report

      [13] ‘Border externalisation: Agreements on Frontex operations in Serbia and Montenegro heading for parliamentary approval’, Statewatch News, 11 March 2020, http://statewatch.org/news/2020/mar/frontex-status-agreements.htm

      [14] Europol, ‘EU policy cycle – EMPACT’, https://www.europol.europa.eu/empact

      [15] ‘NGOs, EU and international agencies sound the alarm over Frontex’s respect for fundamental rights’, Statewatch News, 5 March 2019, http://www.statewatch.org/news/2019/mar/fx-consultative-forum-rep.htm; ‘Frontex condemned by its own fundamental rights body for failing to live up to obligations’, Statewatch News, 21 May 2018, http://www.statewatch.org/news/2018/may/eu-frontex-fr-rep.htm

      [16] Article 110(6), Article 109, 2019 Regulation

      [17] Article 110, 2019 Regulation

      [18] Article 109, 2019 Regulation

      [19] Section 8, state of play report

      [20] Article 111(1), 2019 Regulation

      [21] Sergio Carrera and Marco Stefan, ‘Complaint Mechanisms in Border Management and Expulsion Operations in Europe: Effective Remedies for Victims of Human Rights Violations?’, CEPS, 2018, https://www.ceps.eu/system/files/Complaint%20Mechanisms_A4.pdf

      [22] Article 110(1), 2019 Regulation

      [23] Section 9, state of play report

      [24] ERRIN, https://returnnetwork.eu

      [25] Section 3.2, state of play report

      [26] Chapter III, state of play report

      [27] Section 3.2, state of play report

      [28] ‘’Roadmap’ for implementing new Frontex Regulation: full steam ahead’, Statewatch News, 25 November 2019, http://www.statewatch.org/news/2019/nov/eu-frontex-roadmap.htm

      [29] State of play report, p. 19

      [30] Matthias Monroy, ‘Drones for Frontex: unmanned migration control at Europe’s borders’, Statewatch Analysis, February 2020, http://www.statewatch.org/analyses/no-354-frontex-drones.pdf

      [31] Section 4, state of play report

      [32] Section 7.2, state of play report
      Next article >

      Mediterranean: As the fiction of a Libyan search and rescue zone begins to crumble, EU states use the coronavirus pandemic to declare themselves unsafe

      https://www.statewatch.org/analyses/2020/eu-guns-guards-and-guidelines-reinforcement-of-frontex-runs-into-problem

      #EBCG_2.0_Regulation #European_Defence_Agency’s_Satellite_Communications (#SatCom) #Communications_and_Information_System (#CIS) #immunité #droits_fondamentaux #droits_humains #Fundamental_Rights_Officer (#FRO) #European_Return_and_Reintegration_Network (#ERRIN) #renvois #expulsions #réintégration #Directive_Retour #FAR (#Frontex_Application_for_Returns) #RECAMAS #EUROSUR #European_Aviation_Safety_Agency (#EASA) #European_Organisation_for_the_Safety_of_Air_Navigation (#EUROCONTROL)

    • Frontex launches “game-changing” recruitment drive for standing corps of border guards

      On 4 January 2020 the Management Board of the European Border and Coast Guard Agency (Frontex) adopted a decision on the profiles of the staff required for the new “standing corps”, which is ultimately supposed to be staffed by 10,000 officials. [1] The decision ushers in a new wave of recruitment for the agency. Applicants will be put through six months of training before deployment, after rigorous medical testing.

      What is the standing corps?

      The European Border and Coast Guard standing corps is the new, and according to Frontex, first ever, EU uniformed service, available “at any time…to support Member States facing challenges at their external borders”.[2] Frontex’s Programming Document for the 2018-2020 period describes the standing corps as the agency’s “biggest game changer”, requiring “an unprecedented scale of staff recruitment”.[3]

      The standing corps will be made up of four categories of Frontex operational staff:

      Frontex statutory staff deployed in operational areas and staff responsible for the functioning of the European Travel Information and Authorisation System (ETIAS) Central Unit[4];
      Long-term staff seconded from member states;
      Staff from member states who can be immediately deployed on short-term secondment to Frontex; and

      A reserve of staff from member states for rapid border interventions.

      These border guards will be “trained by the best and equipped with the latest technology has to offer”.[5] As well as wearing EU uniforms, they will be authorised to carry weapons and will have executive powers: they will be able to verify individuals’ identity and nationality and permit or refuse entry into the EU.

      The decision made this January is limited to the definition of profiles and requirements for the operational staff that are to be recruited. The Management Board (MB) will have to adopt a new decision by March this year to set out the numbers of staff needed per profile, the requirements for individuals holding those positions, and the number of staff needed for the following year based on expected operational needs. This process will be repeated annually.[6] The MB can then further specify how many staff each member state should contribute to these profiles, and establish multi-annual plans for member state contributions and recruitment for Frontex statutory staff. Projections for these contributions are made in Annexes II – IV of the 2019 Regulation, though a September Mission Statement by new European Commission President Ursula von der Leyen urges the recruitment of 10,000 border guards by 2024, indicating that member states might be meeting their contribution commitments much sooner than 2027.[7]

      The standing corps of Frontex staff will have an array of executive powers and responsibilities. As well as being able to verify identity and nationality and refuse or permit entry into the EU, they will be able to consult various EU databases to fulfil operational aims, and may also be authorised by host states to consult national databases. According to the MB Decision, “all members of the Standing Corps are to be able to identify persons in need of international protection and persons in a vulnerable situation, including unaccompanied minors, and refer them to the competent authorities”. Training on international and EU law on fundamental rights and international protection, as well as guidelines on the identification and referral of persons in need of international protection, will be mandatory for all standing corps staff members.

      The size of the standing corps

      The following table, taken from the 2019 Regulation, outlines the ambitions for growth of Frontex’s standing corps. However, as noted, the political ambition is to reach the 10,000 total by 2024.

      –-> voir le tableau sur le site de statewatch!

      Category 2 staff – those on long term secondment from member states – will join Frontex from 2021, according to the 2019 Regulation.[8] It is foreseen that Germany will contribute the most staff, with 61 expected in 2021, increasing year-by-year to 225 by 2027. Other high contributors are France and Italy (170 and 125 by 2027, respectively).

      The lowest contributors will be Iceland (expected to contribute between one and two people a year from 2021 to 2027), Malta, Cyprus and Luxembourg. Liechtenstein is not contributing personnel but will contribute “through proportional financial support”.

      For short-term secondments from member states, projections follow a very similar pattern. Germany will contribute 540 staff in 2021, increasing to 827 in 2027; Italy’s contribution will increase from 300 in 2021 to 458 in 2027; and France’s from 408 in 2021 to 624 in 2027. Most states will be making less than 100 staff available for short-term secondment in 2021.

      What are the profiles?

      The MB Decision outlines 12 profiles to be made available to Frontex, ranging from Border Guard Officer and Crew Member, to Cross Border Crime Detection Officer and Return Specialist. A full list is contained in the Decision.[9] All profiles will be fulfilled by an official of the competent authority of a member state (MS) or Schengen Associated Country (SAC), or by a member of Frontex’s own statutory staff.

      Tasks to be carried out by these officials include:

      border checks and surveillance;
      interviewing, debriefing* and screening arrivals and registering fingerprints;
      supporting the collection, assessment, analysis and distribution of information with EU member and non-member states;
      verifying travel documents;
      escorting individuals being deported on Frontex return operations;
      operating data systems and platforms; and
      offering cultural mediation

      *Debriefing consists of informal interviews with migrants to collect information for risk analyses on irregular migration and other cross-border crime and the profiling of irregular migrants to identify “modus operandi and migration trends used by irregular migrants and facilitators/criminal networks”. Guidelines written by Frontex in 2012 instructed border guards to target vulnerable individuals for “debriefing”, not in order to streamline safeguarding or protection measures, but for intelligence-gathering - “such people are often more willing to talk about their experiences,” said an internal document.[10] It is unknown whether those instructions are still in place.

      Recruitment for the profiles

      Certain profiles are expected to “apply self-safety and security practice”, and to have “the capacity to work under pressure and face emotional events with composure”. Relevant profiles (e.g. crew member) are required to be able to perform search and rescue activities in distress situations at sea borders.

      Frontex published a call for tender on 27 December for the provision of medical services for pre-recruitment examinations, in line with the plan to start recruiting operational staff in early 2020. The documents accompanying the tender reveal additional criteria for officials that will be granted executive powers (Frontex category “A2”) compared to those staff stationed primarily at the agency’s Warsaw headquarters (“A1”). Those criteria come in the form of more stringent medical testing.

      The differences in medical screening for category A1 and A2 staff lie primarily in additional toxicology screening and psychiatric and psychological consultations. [11] The additional psychiatric attention allotted for operational staff “is performed to check the predisposition for people to work in arduous, hazardous conditions, exposed to stress, conflict situations, changing rapidly environment, coping with people being in dramatic, injure or death exposed situations”.[12]

      Both A1 and A2 category provisional recruits will be asked to disclose if they have ever suffered from a sexually transmitted disease or “genital organ disease”, as well as depression, nervous or mental disorders, among a long list of other ailments. As well as disclosing any medication they take, recruits must also state if they are taking oral contraceptives (though there is no question about hormonal contraceptives that are not taken orally). Women are also asked to give the date of their last period on the pre-appointment questionnaire.

      “Never touch yourself with gloves”

      Frontex training materials on forced return operations obtained by Statewatch in 2019 acknowledge the likelihood of psychological stress among staff, among other health risks. (One recommendation contained in the documents is to “never touch yourself with gloves”). Citing “dissonance within the team, long hours with no rest, group dynamic, improvisation and different languages” among factors behind psychological stress, the training materials on medical precautionary measures for deportation escort officers also refer to post-traumatic stress disorder, the lack of an area to retreat to and body clock disruption as exacerbating risks. The document suggests a high likelihood that Frontex return escorts will witness poverty, “agony”, “chaos”, violence, boredom, and will have to deal with vulnerable persons.[13]

      For fundamental rights monitors (officials deployed to monitor fundamental rights compliance during deportations, who can be either Frontex staff or national officials), the training materials obtained by Statewatch focus on the self-control of emotions, rather than emotional care. Strategies recommended include talking to somebody, seeking professional help, and “informing yourself of any other option offered”. The documents suggest that it is an individual’s responsibility to prevent emotional responses to stressful situations having an impact on operations, and to organise their own supervision and professional help. There is no obvious focus on how traumatic responses of Frontex staff could affect those coming into contact with them at an external border or during a deportation. [14]

      The materials obtained by Statewatch also give some indication of the fundamental rights training imparted to those acting as deportation ‘escorts’ and fundamental rights monitors. The intended outcomes for a training session in Athens that took place in March 2019 included “adapt FR [fundamental rights] in a readmission operation (explain it with examples)” and “should be able to describe Non Refoulement principle” (in the document, ‘Session Fundamental rights’ is followed by ‘Session Velcro handcuffs’).[15] The content of the fundamental rights training that will be offered to Frontex’s new recruits is currently unknown.

      Fit for service?

      The agency anticipates that most staff will be recruited from March to June 2020, involving the medical examination of up to 700 applicants in this period. According to Frontex’s website, the agency has already received over 7,000 applications for the 700 new European Border Guard Officer positions.[16] Successful candidates will undergo six months of training before deployment in 2021. Apparently then, the posts are a popular career option, despite the seemingly invasive medical tests (especially for sexually active women). Why, for instance, is it important to Frontex to know about oral hormonal contraception, or about sexually transmitted infections?

      When asked by Statewatch if Frontex provides in-house psychological and emotional support, an agency press officer stated: “When it comes to psychological and emotional support, Frontex is increasing awareness and personal resilience of the officers taking part in our operations through education and training activities.” A ‘Frontex Mental Health Strategy’ from 2018 proposed the establishment of “a network of experts-psychologists” to act as an advisory body, as well as creating “online self-care tools”, a “psychological hot-line”, and a space for peer support with participation of psychologists (according to risk assessment) during operations.[17]

      One year later, Frontex, EASO and Europol jointly produced a brochure for staff deployed on operations, entitled ‘Occupational Health and Safety – Deployment Information’, which offers a series of recommendations to staff, placing the responsibility to “come to the deployment in good mental shape” and “learn how to manage stress and how to deal with anger” more firmly on the individual than the agency.[18] According to this document, officers who need additional support must disclose this by requesting it from their supervisor, while “a helpline or psychologist on-site may be available, depending on location”.

      Frontex anticipates this recruitment drive to be “game changing”. Indeed, the Commission is relying upon it to reach its ambitions for the agency’s independence and efficiency. The inclusion of mandatory training in fundamental rights in the six-month introductory education is obviously a welcome step. Whether lessons learned in a classroom will be the first thing that comes to the minds of officials deployed on border control or deportation operations remains to be seen.

      Unmanaged responses to emotional stress can include burnout, compassion-fatigue and indirect trauma, which can in turn decrease a person’s ability to cope with adverse circumstance, and increase the risk of violence.[19] Therefore, aside from the agency’s responsibility as an employer to safeguard the health of its staff, its approach to internal psychological care will affect not only the border guards themselves, but the people that they routinely come into contact with at borders and during return operations, many of whom themselves will have experienced trauma.

      Jane Kilpatrick

      Endnotes

      [1] Management Board Decision 1/2020 of 4 January 2020 on adopting the profiles to be made available to the European Border and Coast Guard Standing Corps, https://frontex.europa.eu/assets/Key_Documents/MB_Decision/2020/MB_Decision_1_2020_adopting_the_profiles_to_be_made_available_to_the_

      [2] Frontex, ‘Careers’, https://frontex.europa.eu/about-frontex/careers/frontex-border-guard-recruitment

      [3] Frontex, ‘Programming Document 2018-20’, 10 December 2017, http://www.statewatch.org/news/2019/feb/frontex-programming-document-2018-20.pdf

      [4] The ETIAS Central Unit will be responsible for processing the majority of applications for ‘travel authorisations’ received when the European Travel Information and Authorisation System comes into use, in theory in late 2022. Citizens who do not require a visa to travel to the Schengen area will have to apply for authorisation to travel to the Schengen area.

      [5] Frontex, ‘Careers’, https://frontex.europa.eu/about-frontex/careers/frontex-border-guard-recruitment

      [6] Article 54(4), Regulation (EU) 2019/1896 of the European Parliament and of the Council of 13 November 2019 on the European Border and Coast Guard and repealing Regulations (EU) No 1052/2013 and (EU) 2016/1624, https://eur-lex.europa.eu/legal-content/en/TXT/?uri=CELEX:32019R1896

      [7] ‘European Commission 2020 Work Programme: An ambitious roadmap for a Union that strives for more’, 29 January 2020, https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/en/IP_20_124; “Mission letter” from Ursula von der Leyen to Ylva Johnsson, 10 September 2019, https://ec.europa.eu/commission/sites/beta-political/files/mission-letter-ylva-johansson_en.pdf

      [8] Annex II, 2019 Regulation

      [9] Management Board Decision 1/2020 of 4 January 2020 on adopting the profiles to be made available to the European Border and Coast Guard Standing Corps, https://frontex.europa.eu/assets/Key_Documents/MB_Decision/2020/MB_Decision_1_2020_adopting_the_profiles_to_be_made_available_to_the_

      [10] ‘Press release: EU border agency targeted “isolated or mistreated” individuals for questioning’, Statewatch News, 16 February 2017, http://www.statewatch.org/news/2017/feb/eu-frontex-op-hera-debriefing-pr.htm

      [11] ‘Provision of Medical Services – Pre-Recruitment Examination’, https://etendering.ted.europa.eu/cft/cft-documents.html?cftId=5841

      [12] ‘Provision of medical services – pre-recruitment examination, Terms of Reference - Annex II to invitation to tender no Frontex/OP/1491/2019/KM’, https://etendering.ted.europa.eu/cft/cft-document.html?docId=65398

      [13] Frontex training presentation, ‘Medical precautionary measures for escort officers’, undated, http://statewatch.org/news/2020/mar/eu-frontex-presentation-medical-precautionary-measures-deportation-escor

      [14] Ibid.

      [15] Frontex, document listing course learning outcomes from deportation escorts’ training, http://statewatch.org/news/2020/mar/eu-frontex-deportation-escorts-training-course-learning-outcomes.pdf

      [16] Frontex, ‘Careers’, https://frontex.europa.eu/about-frontex/careers/frontex-border-guard-recruitment

      [17] Frontex, ‘Frontex mental health strategy’, 20 February 2018, https://op.europa.eu/en/publication-detail/-/publication/89c168fe-e14b-11e7-9749-01aa75ed71a1/language-en

      [18] EASO, Europol and Frontex, ‘Occupational health and safety’, 12 August 2019, https://op.europa.eu/en/publication-detail/-/publication/17cc07e0-bd88-11e9-9d01-01aa75ed71a1/language-en/format-PDF/source-103142015

      [19] Trauma Treatment International, ‘A different approach for victims of trauma’, https://www.tt-intl.org/#our-work-section

      https://www.statewatch.org/analyses/2020/frontex-launches-game-changing-recruitment-drive-for-standing-corps-of-b
      #gardes_frontières #staff #corps_des_gardes-frontières

    • Drones for Frontex: unmanned migration control at Europe’s borders (27.02.2020)

      Instead of providing sea rescue capabilities in the Mediterranean, the EU is expanding air surveillance. Refugees are observed with drones developed for the military. In addition to numerous EU states, countries such as Libya could also use the information obtained.

      It is not easy to obtain majorities for legislation in the European Union in the area of migration - unless it is a matter of upgrading the EU’s external borders. While the reform of a common EU asylum system has been on hold for years, the European Commission, Parliament and Council agreed to reshape the border agency Frontex with unusual haste shortly before last year’s parliamentary elections. A new Regulation has been in force since December 2019,[1] under which Frontex intends to build up a “standing corps” of 10,000 uniformed officials by 2027. They can be deployed not just at the EU’s external borders, but in ‘third countries’ as well.

      In this way, Frontex will become a “European border police force” with powers that were previously reserved for the member states alone. The core of the new Regulation includes the procurement of the agency’s own equipment. The Multiannual Financial Framework, in which the EU determines the distribution of its financial resources from 2021 until 2027, has not yet been decided. According to current plans, however, at least €6 billion are reserved for Frontex in the seven-year budget. The intention is for Frontex to spend a large part of the money, over €2 billion, on aircraft, ships and vehicles.[2]

      Frontex seeks company for drone flights

      The upgrade plans include the stationing of large drones in the central and eastern Mediterranean. For this purpose, Frontex is looking for a private partner to operate flights off Malta, Italy or Greece. A corresponding tender ended in December[3] and the selection process is currently underway. The unmanned missions could then begin already in spring. Frontex estimates the total cost of these missions at €50 million. The contract has a term of two years and can be extended twice for one year at a time.

      Frontex wants drones of the so-called MALE (Medium Altitude Long Endurance) class. Their flight duration should be at least 20 hours. The requirements include the ability to fly in all weather conditions and at day and night. It is also planned to operate in airspace where civil aircraft are in service. For surveillance missions, the drones should carry electro-optical cameras, thermal imaging cameras and so-called “daylight spotter” systems that independently detect moving targets and keep them in focus. Other equipment includes systems for locating mobile and satellite telephones. The drones will also be able to receive signals from emergency call transmitters sewn into modern life jackets.

      However, the Frontex drones will not be used primarily for sea rescue operations, but to improve capacities against unwanted migration. This assumption is also confirmed by the German non-governmental organisation Sea-Watch, which has been providing assistance in the central Mediterranean with various ships since 2015. “Frontex is not concerned with saving lives,” says Ruben Neugebauer of Sea-Watch. “While air surveillance is being expanded with aircraft and drones, ships urgently needed for rescue operations have been withdrawn”. Sea-Watch demands that situation pictures of EU drones are also made available to private organisations for sea rescue.

      Aircraft from arms companies

      Frontex has very specific ideas for its own drones, which is why there are only a few suppliers worldwide that can be called into question. The Israel Aerospace Industries Heron 1, which Frontex tested for several months on the Greek island of Crete[4] and which is also flown by the German Bundeswehr, is one of them. As set out by Frontex in its invitation to tender, the Heron 1, with a payload of around 250 kilograms, can carry all the surveillance equipment that the agency intends to deploy over the Mediterranean. Also amongst those likely to be interested in the Frontex contract is the US company General Atomics, which has been building drones of the Predator series for 20 years. Recently, it presented a new Predator model in Greece under the name SeaGuardian, for maritime observation.[5] It is equipped with a maritime surveillance radar and a system for receiving position data from larger ships, thus fulfilling one of Frontex’s essential requirements.

      General Atomics may have a competitive advantage, as its Predator drones have several years’ operational experience in the Mediterranean. In addition to Frontex, the European Union has been active in the central Mediterranean with EUNAVFOR MED Operation Sophia. In March 2019, Italy’s then-interior minister Matteo Salvini pushed through the decision to operate the EU mission from the air alone. Since then, two unarmed Predator drones operated by the Italian military have been flying for EUNAVFOR MED for 60 hours per month. Officially, the drones are to observe from the air whether the training of the Libyan coast guard has been successful and whether these navy personnel use their knowledge accordingly. Presumably, however, the Predators are primarily pursuing the mission’s goal to “combat human smuggling” by spying on the Libyan coast. It is likely that the new Operation EU Active Surveillance, which will use military assets from EU member states to try to enforce the UN arms embargo placed on Libya,[6] will continue to patrol with Italian drones off the coast in North Africa.

      Three EU maritime surveillance agencies

      In addition to Frontex, the European Maritime Safety Agency (EMSA) and the European Fisheries Control Agency (EFCA) are also investing in maritime surveillance using drones. Together, the three agencies coordinate some 300 civil and military authorities in EU member states.[7] Their tasks include border, fisheries and customs control, law enforcement and environmental protection.

      In 2017, Frontex and EMSA signed an agreement to benefit from joint reconnaissance capabilities, with EFCA also involved.[8] At the time, EMSA conducted tests with drones of various sizes, but now the drones’ flights are part of its regular services. The offer is not only open to EU Member States, as Iceland was the first to take advantage of it. Since summer 2019, a long-range Hermes 900 drone built by the Israeli company Elbit Systems has been flying from Iceland’s Egilsstaðir airport. The flights are intended to cover more than half of the island state’s exclusive economic zone and to detect “suspicious activities and potential hazards”.[9]

      The Hermes 900 was also developed for the military; the Israeli army first deployed it in the Gaza Strip in 2014. The Times of Israel puts the cost of the operating contract with EMSA at €59 million,[10] with a term of two years, which can be extended for another two years. The agency did not conclude the contract directly with the Israeli arms company, but through the Portuguese firm CeiiA. The contract covers the stationing, control and mission control of the drones.

      New interested parties for drone flights

      At the request of the German MEP Özlem Demirel (from the party Die Linke), the European Commission has published a list of countries that also want to use EMSA drones.[11] According to this list, Lithuania, the Netherlands, Portugal and also Greece have requested unmanned flights for pollution monitoring this year, while Bulgaria and Spain want to use them for general maritime surveillance. Until Frontex has its own drones, EMSA is flying its drones for the border agency on Crete. As in Iceland, this is the long-range drone Hermes 900, but according to Greek media reports it crashed on 8 January during take-off.[12] Possible causes are a malfunction of the propulsion system or human error. The aircraft is said to have been considerably damaged.

      Authorities from France and Great Britain have also ordered unmanned maritime surveillance from EMSA. Nothing is yet known about the exact intended location, but it is presumably the English Channel. There, the British coast guard is already observing border traffic with larger drones built by the Tekever arms company from Portugal.[13] The government in London wants to prevent migrants from crossing the Channel. The drones take off from the airport in the small town of Lydd and monitor the approximately 50-kilometre-long and 30-kilometre-wide Strait of Dover. Great Britain has also delivered several quadcopters to France to try to detect potential migrants in French territorial waters. According to the prefecture of Pas-de-Calais, eight gendarmes have been trained to control the small drones[14].

      Information to non-EU countries

      The images taken by EMSA drones are evaluated by the competent national coastguards. A livestream also sends them to Frontex headquarters in Warsaw.[15] There they are fed into the EUROSUR border surveillance system. This is operated by Frontex and networks the surveillance installations of all EU member states that have an external border. The data from EUROSUR and the national border control centres form the ‘Common Pre-frontier Intelligence Picture’,[16] referring to the area of interest of Frontex, which extends far into the African continent. Surveillance data is used to detect and prevent migration movements at an early stage.

      Once the providing company has been selected, the new Frontex drones are also to fly for EUROSUR. According to the invitation to tender, they are to operate in the eastern and central Mediterranean within a radius of up to 250 nautical miles (463 kilometres). This would enable them to carry out reconnaissance in the “pre-frontier” area off Tunisia, Libya and Egypt. Within the framework of EUROSUR, Frontex shares the recorded data with other European users via a ‘Remote Information Portal’, as the call for tender explains. The border agency has long been able to cooperate with third countries and the information collected can therefore also be made available to authorities in North Africa. However, in order to share general information on surveillance of the Mediterranean Sea with a non-EU state, Frontex must first conclude a working agreement with the corresponding government.[17]

      It is already possible, however, to provide countries such as Libya with the coordinates of refugee boats. For example, the United Nations Convention on the Law of the Sea stipulates that the nearest Maritime Rescue Coordination Centre (MRCC) must be informed of actual or suspected emergencies. With EU funding, Italy has been building such a centre in Tripoli for the last two years.[18] It is operated by the military coast guard, but so far has no significant equipment of its own.

      The EU military mission “EUNAVFOR MED” was cooperating more extensively with the Libyan coast guard. For communication with European naval authorities, Libya is the first third country to be connected to European surveillance systems via the “Seahorse Mediterranean” network[19]. Information handed over to the Libyan authorities might also include information that was collected with the Italian military ‘Predator’ drones.

      Reconnaissance generated with unmanned aerial surveillance is also given to the MRCC in Turkey. This was seen in a pilot project last summer, when the border agency tested an unmanned aerostat with the Greek coast guard off the island of Samos.[20] Attached to a 1,000 metre-long cable, the airship was used in the Frontex operation ‘Poseidon’ in the eastern Mediterranean. The 35-meter-long zeppelin comes from the French manufacturer A-NSE.[21] The company specializes in civil and military aerial observation. According to the Greek Marine Ministry, the equipment included a radar, a thermal imaging camera and an Automatic Identification System (AIS) for the tracking of larger ships. The recorded videos were received and evaluated by a situation centre supplied by the Portuguese National Guard. If a detected refugee boat was still in Turkish territorial waters, the Greek coast guard informed the Turkish authorities. This pilot project in the Aegean Sea was the first use of an airship by Frontex. The participants deployed comparatively large numbers of personnel for the short mission. Pictures taken by the Greek coastguard show more than 40 people.

      Drones enable ‘pull-backs’

      Human rights organisations accuse EUNAVFOR MED and Frontex of passing on information to neighbouring countries leading to rejections (so-called ‘push-backs’) in violation of international law. People must not be returned to states where they are at risk of torture or other serious human rights violations. Frontex does not itself return refugees in distress who were discovered at sea via aerial surveillance, but leaves the task to the Libyan or Turkish authorities. Regarding Libya, the Agency since 2017 provided notice of at least 42 vessels in distress to Libyan authorities.[22]

      Private rescue organisations therefore speak of so-called ‘pull-backs’, but these are also prohibited, as the Israeli human rights lawyer Omer Shatz argues: “Communicating the location of civilians fleeing war to a consortium of militias and instructing them to intercept and forcibly transfer them back to the place they fled from, trigger both state responsibility of all EU members and individual criminal liability of hundreds involved.” Together with his colleague Juan Branco, Shatz is suing those responsible for the European Union and its agencies before the International Criminal Court in The Hague. Soon they intend to publish individual cases and the names of the people accused.

      Matthias Monroy

      An earlier version of this article first appeared in the German edition of Le Monde Diplomatique: ‘Drohnen für Frontex Statt sich auf die Rettung von Bootsflüchtlingen im Mittelmeer zu konzentrieren, baut die EU die Luftüberwachung’.

      Note: this article was corrected on 6 March to clarify a point regarding cooperation between Frontex and non-EU states.

      Endnotes

      [1] Regulation of the European Parliament and of the Council on the European Border and Coast Guard, https://data.consilium.europa.eu/doc/document/PE-33-2019-INIT/en/pdf

      [2] European Commission, ‘A strengthened and fully equipped European Border and Coast Guard’, 12 September 2018, https://ec.europa.eu/commission/sites/beta-political/files/soteu2018-factsheet-coast-guard_en.pdf

      [3] ‘Poland-Warsaw: Remotely Piloted Aircraft Systems (RPAS) for Medium Altitude Long Endurance Maritime Aerial Surveillance’, https://ted.europa.eu/udl?uri=TED:NOTICE:490010-2019:TEXT:EN:HTML&tabId=1

      [4] IAI, ‘IAI AND AIRBUS MARITIME HERON UNMANNED AERIAL SYSTEM (UAS) SUCCESSFULLY COMPLETED 200 FLIGHT HOURS IN CIVILIAN EUROPEAN AIRSPACE FOR FRONTEX’, 24 October 2018, https://www.iai.co.il/iai-and-airbus-maritime-heron-unmanned-aerial-system-uas-successfully-complet

      [5] ‘ European Maritime Flight Demonstrations’, General Atomics, http://www.ga-asi.com/european-maritime-demo

      [6] ‘EU agrees to deploy warships to enforce Libya arms embargo’, The Guardian, 17 February 2020, https://www.theguardian.com/world/2020/feb/17/eu-agrees-deploy-warships-enforce-libya-arms-embargo

      [7] EMSA, ‘Heads of EMSA and Frontex meet to discuss cooperation on European coast guard functions’, 3 April 2019, http://www.emsa.europa.eu/news-a-press-centre/external-news/item/3499-heads-of-emsa-and-frontex-meet-to-discuss-cooperation-on-european-c

      [8] Frontex, ‘Frontex, EMSA and EFCA strengthen cooperation on coast guard functions’, 23 March 2017, https://frontex.europa.eu/media-centre/news-release/frontex-emsa-and-efca-strengthen-cooperation-on-coast-guard-functions

      [9] Elbit Systems, ‘Elbit Systems Commenced the Operation of the Maritime UAS Patrol Service to European Union Countries’, 18 June 2019, https://elbitsystems.com/pr-new/elbit-systems-commenced-the-operation-of-the-maritime-uas-patrol-servi

      [10] ‘Elbit wins drone contract for up to $68m to help monitor Europe coast’, The Times of Israel, 1 November 2018, https://www.timesofisrael.com/elbit-wins-drone-contract-for-up-to-68m-to-help-monitor-europe-coast

      [11] ‘Answer given by Ms Bulc on behalf of the European Commission’, https://netzpolitik.org/wp-upload/2019/12/E-2946_191_Finalised_reply_Annex1_EN_V1.pdf

      [12] ‘Το drone της FRONTEX έπεσε, οι μετανάστες έρχονται’, Proto Thema, 27 January 2020, https://www.protothema.gr/greece/article/968869/to-drone-tis-frontex-epese-oi-metanastes-erhodai

      [13] Morgan Meaker, ‘Here’s proof the UK is using drones to patrol the English Channel’, Wired, 10 January 2020, https://www.wired.co.uk/article/uk-drones-migrants-english-channel

      [14] ‘Littoral: Les drones pour lutter contre les traversées de migrants sont opérationnels’, La Voix du Nord, 26 March 2019, https://www.lavoixdunord.fr/557951/article/2019-03-26/les-drones-pour-lutter-contre-les-traversees-de-migrants-sont-operation

      [15] ‘Frontex report on the functioning of Eurosur – Part I’, Council document 6215/18, 15 February 2018, http://data.consilium.europa.eu/doc/document/ST-6215-2018-INIT/en/pdf

      [16] European Commission, ‘Eurosur’, https://ec.europa.eu/home-affairs/what-we-do/policies/borders-and-visas/border-crossing/eurosur_en

      [17] Legal reforms have also given Frontex the power to operate on the territory of non-EU states, subject to the conclusion of a status agreement between the EU and the country in question. The 2016 Frontex Regulation allowed such cooperation with states that share a border with the EU; the 2019 Frontex Regulation extends this to any non-EU state.

      [18] ‘Helping the Libyan Coast Guard to establish a Maritime Rescue Coordination Centre’, https://www.europarl.europa.eu/doceo/document/E-8-2018-000547_EN.html

      [19] Matthias Monroy, ‘EU funds the sacking of rescue ships in the Mediterranean’, 7 July 2018, https://digit.site36.net/2018/07/03/eu-funds-the-sacking-of-rescue-ships-in-the-mediterranean

      [20] Frontex, ‘Frontex begins testing use of aerostat for border surveillance’, 31 July 2019, https://frontex.europa.eu/media-centre/news-release/frontex-begins-testing-use-of-aerostat-for-border-surveillance-ur33N8

      [21] ‘Answer given by Ms Johansson on behalf of the European Commission’, 7 January 2020, https://www.europarl.europa.eu/doceo/document/E-9-2019-002529-ASW_EN.html

      [22] ‘Answer given by Vice-President Borrell on behalf of the European Commission’, 8 January 2020, https://www.europarl.europa.eu/doceo/document/E-9-2019-002654-ASW_EN.html

      https://www.statewatch.org/analyses/2020/drones-for-frontex-unmanned-migration-control-at-europe-s-borders

      #drones

    • Monitoring “secondary movements” and “hotspots”: Frontex is now an internal surveillance agency (16.12.2019)

      The EU’s border agency, Frontex, now has powers to gather data on “secondary movements” and the “hotspots” within the EU. The intention is to ensure “situational awareness” and produce risk analyses on the migratory situation within the EU, in order to inform possible operational action by national authorities. This brings with it increased risks for the fundamental rights of both non-EU nationals and ethnic minority EU citizens.

      The establishment of a new ’standing corps’ of 10,000 border guards to be commanded by EU border agency Frontex has generated significant public and press attention in recent months. However, the new rules governing Frontex[1] include a number of other significant developments - including a mandate for the surveillance of migratory movements and migration “hotspots” within the EU.

      Previously, the agency’s surveillance role has been restricted to the external borders and the “pre-frontier area” – for example, the high seas or “selected third-country ports.”[2] New legal provisions mean it will now be able to gather data on the movement of people within the EU. While this is only supposed to deal with “trends, volumes and routes,” rather than personal data, it is intended to inform operational activity within the EU.

      This may mean an increase in operations against ‘unauthorised’ migrants, bringing with it risks for fundamental rights such as the possibility of racial profiling, detention, violence and the denial of access to asylum procedures. At the same time, in a context where internal borders have been reintroduced by numerous Schengen states over the last five years due to increased migration, it may be that he agency’s new role contributes to a further prolongation of internal border controls.

      From external to internal surveillance

      Frontex was initially established with the primary goals of assisting in the surveillance and control of the external borders of the EU. Over the years it has obtained increasing powers to conduct surveillance of those borders in order to identify potential ’threats’.

      The European Border Surveillance System (EUROSUR) has a key role in this task, taking data from a variety of sources, including satellites, sensors, drones, ships, vehicles and other means operated both by national authorities and the agency itself. EUROSUR was formally established by legislation approved in 2013, although the system was developed and in use long before it was subject to a legal framework.[3]

      The new Frontex Regulation incorporates and updates the provisions of the 2013 EUROSUR Regulation. It maintains existing requirements for the agency to establish a “situational picture” of the EU’s external borders and the “pre-frontier area” – for example, the high seas or the ports of non-EU states – which is then distributed to the EU’s member states in order to inform operational activities.[4]

      The new rules also provide a mandate for reporting on “unauthorised secondary movements” and goings-on in the “hotspots”. The Commission’s proposal for the new Frontex Regulation was not accompanied by an impact assessment, which would have set out the reasoning and justifications for these new powers. The proposal merely pointed out that the new rules would “evolve” the scope of EUROSUR, to make it possible to “prevent secondary movements”.[5] As the European Data Protection Supervisor remarked, the lack of an impact assessment made it impossible: “to fully assess and verify its attended benefits and impact, notably on fundamental rights and freedoms, including the right to privacy and to the protection of personal data.”[6]

      The term “secondary movements” is not defined in the Regulation, but is generally used to refer to journeys between EU member states undertaken without permission, in particular by undocumented migrants and applicants for internal protection. Regarding the “hotspots” – established and operated by EU and national authorities in Italy and Greece – the Regulation provides a definition,[7] but little clarity on precisely what information will be gathered.

      Legal provisions

      A quick glance at Section 3 of the new Regulation, dealing with EUROSUR, gives little indication that the system will now be used for internal surveillance. The formal scope of EUROSUR is concerned with the external borders and border crossing points:

      “EUROSUR shall be used for border checks at authorised border crossing points and for external land, sea and air border surveillance, including the monitoring, detection, identification, tracking, prevention and interception of unauthorised border crossings for the purpose of detecting, preventing and combating illegal immigration and cross-border crime and contributing to ensuring the protection and saving the lives of migrants.”

      However, the subsequent section of the Regulation (on ‘situational awareness’) makes clear the agency’s new internal role. Article 24 sets out the components of the “situational pictures” that will be visible in EUROSUR. There are three types – national situational pictures, the European situational picture and specific situational pictures. All of these should consist of an events layer, an operational layer and an analysis layer. The first of these layers should contain (emphasis added in all quotes):

      “…events and incidents related to unauthorised border crossings and cross-border crime and, where available, information on unauthorised secondary movements, for the purpose of understanding migratory trends, volume and routes.”

      Article 26, dealing with the European situational picture, states:

      “The Agency shall establish and maintain a European situational picture in order to provide the national coordination centres and the Commission with effective, accurate and timely information and analysis, covering the external borders, the pre-frontier area and unauthorised secondary movements.”

      The events layer of that picture should include “information relating to… incidents in the operational area of a joint operation or rapid intervention coordinated by the Agency, or in a hotspot.”[8] In a similar vein:

      “The operational layer of the European situational picture shall contain information on the joint operations and rapid interventions coordinated by the Agency and on hotspots, and shall include the mission statements, locations, status, duration, information on the Member States and other actors involved, daily and weekly situational reports, statistical data and information packages for the media.”[9]

      Article 28, dealing with ‘EUROSUR Fusion Services’, says that Frontex will provide national authorities with information on the external borders and pre-frontier area that may be derived from, amongst other things, the monitoring of “migratory flows towards and within the Union in terms of trends, volume and routes.”

      Sources of data

      The “situational pictures” compiled by Frontex and distributed via EUROSUR are made up of data gathered from a host of different sources. For the national situational picture, these are:

      national border surveillance systems;
      stationary and mobile sensors operated by national border agencies;
      border surveillance patrols and “other monitoring missions”;
      local, regional and other coordination centres;
      other national authorities and systems, such as immigration liaison officers, operational centres and contact points;
      border checks;
      Frontex;
      other member states’ national coordination centres;
      third countries’ authorities;
      ship reporting systems;
      other relevant European and international organisations; and
      other sources.[10]

      For the European situational picture, the sources of data are:

      national coordination centres;
      national situational pictures;
      immigration liaison officers;
      Frontex, including reports form its liaison officers;
      Union delegations and EU Common Security and Defence Policy (CSDP) missions;
      other relevant Union bodies, offices and agencies and international organisations; and
      third countries’ authorities.[11]

      The EUROSUR handbook – which will presumably be redrafted to take into account the new legislation – provides more detail about what each of these categories may include.[12]

      Exactly how this melange of different data will be used to report on secondary movements is currently unknown. However, in accordance with Article 24 of the new Regulation:

      “The Commission shall adopt an implementing act laying down the details of the information layers of the situational pictures and the rules for the establishment of specific situational pictures. The implementing act shall specify the type of information to be provided, the entities responsible for collecting, processing, archiving and transmitting specific information, the maximum time limits for reporting, the data security and data protection rules and related quality control mechanisms.” [13]

      This implementing act will specify precisely how EUROSUR will report on “secondary movements”.[14] According to a ‘roadmap’ setting out plans for the implementation of the new Regulation, this implementing act should have been drawn up in the last quarter of 2020 by a newly-established European Border and Coast Guard Committee sitting within the Commission. However, that Committee does not yet appear to have held any meetings.[15]

      Operational activities at the internal borders

      Boosting Frontex’s operational role is one of the major purposes of the new Regulation, although it makes clear that the internal surveillance role “should not lead to operational activities of the Agency at the internal borders of the Member States.” Rather, internal surveillance should “contribute to the monitoring by the Agency of migratory flows towards and within the Union for the purpose of risk analysis and situational awareness.” The purpose is to inform operational activity by national authorities.

      In recent years Schengen member states have reintroduced border controls for significant periods in the name of ensuring internal security and combating irregular migration. An article in Deutsche Welle recently highlighted:

      “When increasing numbers of refugees started arriving in the European Union in 2015, Austria, Germany, Slovenia and Hungary quickly reintroduced controls, citing a “continuous big influx of persons seeking international protection.” This was the first time that migration had been mentioned as a reason for reintroducing border controls.

      Soon after, six Schengen members reintroduced controls for extended periods. Austria, Germany, Denmark, Sweden and Norway cited migration as a reason. France, as the sixth country, first introduced border checks after the November 2015 attacks in Paris, citing terrorist threats. Now, four years later, all six countries still have controls in place. On November 12, they are scheduled to extend them for another six months.”[16]

      These long-term extensions of internal border controls are illegal (the upper limit is supposed to be two years; discussions on changes to the rules governing the reintroduction of internal border controls in the Schengen area are ongoing).[17] A European Parliament resolution from May 2018 stated that “many of the prolongations are not in line with the existing rules as to their extensions, necessity or proportionality and are therefore unlawful.”[18] Yves Pascou, a researcher for the European Policy Centre, told Deutsche Welle that: “"We are in an entirely political situation now, not a legal one, and not one grounded in facts.”

      A European Parliament study published in 2016 highlighted that:

      “there has been a noticeable lack of detail and evidence given by the concerned EU Member States [those which reintroduced internal border controls]. For example, there have been no statistics on the numbers of people crossing borders and seeking asylum, or assessment of the extent to which reintroducing border checks complies with the principles of proportionality and necessity.”[19]

      One purpose of Frontex’s new internal surveillance powers is to provide such evidence (albeit in the ideologically-skewed form of ‘risk analysis’) on the situation within the EU. Whether the information provided will be of interest to national authorities is another question. Nevertheless, it would be a significant irony if the provision of that information were to contribute to the further maintenance of internal borders in the Schengen area.

      At the same time, there is a more pressing concern related to these new powers. Many discussions on the reintroduction of internal borders revolve around the fact that it is contrary to the idea, spirit (and in these cases, the law) of the Schengen area. What appears to have been totally overlooked is the effect the reintroduction of internal borders may have on non-EU nationals or ethnic minority citizens of the EU. One does not have to cross an internal Schengen frontier too many times to notice patterns in the appearance of the people who are hauled off trains and buses by border guards, but personal anecdotes are not the same thing as empirical investigation. If Frontex’s new powers are intended to inform operational activity by the member states at the internal borders of the EU, then the potential effects on fundamental rights must be taken into consideration and should be the subject of investigation by journalists, officials, politicians and researchers.

      Chris Jones

      Endnotes

      [1] The new Regulation was published in the Official Journal of the EU in mid-November: Regulation (EU) 2019/1896 of the European Parliament and of the Council of 13 November 2019 on the European Border and Coast Guard and repealing Regulations (EU) No 1052/2013 and (EU) 2016/1624, https://eur-lex.europa.eu/legal-content/en/TXT/?uri=CELEX:32019R1896

      [2] Article 12, ‘Common application of surveillance tools’, Regulation (EU) No 1052/2013 of the European Parliament and of the Council of 22 October 2013 establishing the European Border Surveillance System (Eurosur), https://eur-lex.europa.eu/legal-content/EN/TXT/?uri=CELEX:32013R1052

      [3] According to Frontex, the Eurosur Network first came into use in December 2011 and in March 2012 was first used to “exchange operational information”. The Regulation governing the system came into force in October 2013 (see footnote 2). See: Charles Heller and Chris Jones, ‘Eurosur: saving lives or reinforcing deadly borders?’, Statewatch Journal, vol. 23 no. 3/4, February 2014, http://database.statewatch.org/article.asp?aid=33156

      [4] Recital 34, 2019 Regulation: “EUROSUR should provide an exhaustive situational picture not only at the external borders but also within the Schengen area and in the pre-frontier area. It should cover land, sea and air border surveillance and border checks.”

      [5] European Commission, ‘Proposal for a Regulation on the European Border and Coast Guard and repealing Council Joint Action no 98/700/JHA, Regulation (EU) no 1052/2013 and Regulation (EU) no 2016/1624’, COM(2018) 631 final, 12 September 2018, http://www.statewatch.org/news/2018/sep/eu-com-frontex-proposal-regulation-com-18-631.pdf

      [6] EDPS, ‘Formal comments on the Proposal for a Regulation on the European Border and Coast Guard’, 30 November 2018, p. p.2, https://edps.europa.eu/sites/edp/files/publication/18-11-30_comments_proposal_regulation_european_border_coast_guard_en.pdf

      [7] Article 2(23): “‘hotspot area’ means an area created at the request of the host Member State in which the host Member State, the Commission, relevant Union agencies and participating Member States cooperate, with the aim of managing an existing or potential disproportionate migratory challenge characterised by a significant increase in the number of migrants arriving at the external borders”

      [8] Article 26(3)(c), 2019 Regulation

      [9] Article 26(4), 2019 Regulation

      [10] Article 25, 2019 Regulation

      [11] Article 26, 2019 Regulation

      [12] European Commission, ‘Commission Recommendation adopting the Practical Handbook for implementing and managing the European Border Surveillance System (EUROSUR)’, C(2015) 9206 final, 15 December 2015, https://ec.europa.eu/home-affairs/sites/homeaffairs/files/what-we-do/policies/securing-eu-borders/legal-documents/docs/eurosur_handbook_annex_en.pdf

      [13] Article 24(3), 2019 Regulation

      [14] ‘’Roadmap’ for implementing new Frontex Regulation: full steam ahead’, Statewatch News, 25 November 2019, http://www.statewatch.org/news/2019/nov/eu-frontex-roadmap.htm

      [15] Documents related to meetings of committees operating under the auspices of the European Commission can be found in the Comitology Register: https://ec.europa.eu/transparency/regcomitology/index.cfm?do=Search.Search&NewSearch=1

      [16] Kira Schacht, ‘Border checks in EU countries challenge Schengen Agreement’, DW, 12 November 2019, https://www.dw.com/en/border-checks-in-eu-countries-challenge-schengen-agreement/a-51033603

      [17] European Parliament, ‘Temporary reintroduction of border control at internal borders’, https://oeil.secure.europarl.europa.eu/oeil/popups/ficheprocedure.do?reference=2017/0245(COD)&l=en

      [18] ‘Report on the annual report on the functioning of the Schengen area’, 3 May 2018, para.9, https://www.europarl.europa.eu/doceo/document/A-8-2018-0160_EN.html

      [19] Elpseth Guild et al, ‘Internal border controls in the Schengen area: is Schengen crisis-proof?’, European Parliament, June 2016, p.9, https://www.europarl.europa.eu/RegData/etudes/STUD/2016/571356/IPOL_STU(2016)571356_EN.pdf

      https://www.statewatch.org/analyses/2019/monitoring-secondary-movements-and-hotspots-frontex-is-now-an-internal-s

      #mouvements_secondaires #hotspot #hotspots

  • Avec la moitié de l’humanité confinée, les vibrations de la Terre sont plus perceptibles
    https://www.lemonde.fr/big-browser/article/2020/04/13/avec-la-moitie-de-l-humanite-confinee-les-vibrations-de-la-terre-sont-plus-p

    Depuis quelques semaines, les vibrations au sol se sont drastiquement réduites, et avec elles ce que les spécialistes appellent le « bruit sismique ». Ce phénomène décrit les ondes provoquées par les activités humaines, comme le trafic ou l’industrie, et celles dues à des causes naturelles, à l’instar des phénomènes atmosphériques, comme le vent ou encore des vagues océaniques, qui provoquent de légers mouvements de la croûte terrestre.

    Coronavirus lockdowns have changed the way Earth moves
    https://www.nature.com/articles/d41586-020-00965-x

    #covid19 #sismographie

  • #Entre-deux, de #Enayat_Asadi

    Été 2018. Un jeune Afghan soutient son compagnon de route, au bord de l’#épuisement. Il leur aura fallu cinq heures de #marche en #montagne, plongés dans une nuit noire, pour atteindre la frontière iranienne. Cette étape migratoire est l’une des plus meurtrières au monde. Affaiblis, les deux jeunes hommes attendent de monter dans l’une des remorques surchargées qui les mènera vers la Turquie.

    Pour documenter le #périple des exilés afghans qui rallient son pays, le photographe iranien Enayat Asadi a élu domicile dans la région du #Sistan-Baloutchistan. Pendant deux ans, il s’est mêlé à ces marcheurs forcés et à leurs « prédateurs » : « La majorité des habitants des villages traversés vivent du trafic de drogue, de carburant ou de la traite humaine. Les migrants sont à la merci des contrebandiers, mais aussi de la police des frontières. Les arrestations peuvent mener à du travail forcé. »

    Décembre 2019 a marqué le triste anniversaire du début de la crise migratoire afghane. Depuis l’entrée des forces soviétiques sur Kaboul en 1979, trois millions d’Afghans ont trouvé refuge en Iran. De jeunes hommes pour la plupart, happés par la perspective d’un avenir pacifié, vidant le pays de ses forces vives. « Ils fuient les séquelles de la guerre et les persécutions religieuses pour la loi de la jungle, décrit le photographe. On les prive de toute dignité humaine. Ils n’ont qu’une idée en tête, survivre, mais une fois la frontière franchie, l’espoir se lit à nouveau dans leurs regards. »

    Cette photo est issue de la série « Rising from the Ashes of War » (« Renaître des Cendres de la Guerre »).

    http://www.6mois.fr/Entre-deux
    #photographie #Iran #réfugiés_afghans #réfugiés #Afghanistan #réfugiés_afghans #frontières

    –---------

    Le reportage Rising from the Ashes of War :

    https://www.leica-oskar-barnack-award.com/en/series-finalists/2019/enayat-asadi.html

    ping @albertocampiphoto @philippe_de_jonckheere
    signalé par @karine4

  • L’organizzazione Gladio

    Wikiradio del 24/10/2017 - Rai Radio 3
    https://www.raiplayradio.it/audio/2017/10/LOrganizzazione-Gladio---Wikiradio-del-24102017-861d2451-d5c6-4c03-845f

    Il 24 ottobre 1990 #GiulioAndreotti, all’epoca presidente del Consiglio italiano, rivela alla Camera dei Deputati l’esistenza dell’organizzazione #Gladio con Gianni Barbacetto

    Repertorio:

    –Frammenti da STORIA DELLA PRIMA REPUBBLICA - 2005 Testimonianza di Giulio Andreotti - Archivio Rai;
    – TG3 SPECIALE Senato: dichiarazioni Andreotti alla Camera dei Deputati sull’Organizzazione Gladio - Archivio Rai;
    – TV7 2013 - ricordi di F. Cossiga e G.Andreotti sulla questione Gladio - Archivio Rai;
    – Tribuna Politica 1990 - intervista speciale ad Andreotti - dicembre 1990 Archivio RAI

    #podcast #wikiradio #RaiRadio3 #italie #Staybehind #cia #sisme #anticommunisme #europe #francescoCossiga #GiovanniDeLorenzo #PageNoirItalie #terrorisme