• Inchiesta sul gestore del #Cpr di Milano: tra falsi protocolli e servizi non erogati

    Altreconomia ha potuto visionare l’offerta tecnica presentata dalla società Martinina Srl alla prefettura di Milano per aggiudicarsi l’appalto da oltre 1,2 milioni di euro per la gestione della struttura in #via_Corelli: alcuni degli accordi stretti con associazioni e Ong “esterne” per migliorare la vita dei trattenuti non sarebbero autentici

    Lenzuola non distribuite, raro utilizzo dei mediatori culturali, tutela legale inesistente, assistenza sanitaria carente. Ma soprattutto falsi protocolli d’intesa “siglati” per svolgere servizi e attività all’interno del Centro di permanenza per il rimpatrio (Cpr) di via Corelli a Milano.

    Altreconomia ha potuto visionare l’offerta tecnica presentata dalla società Martinina Srl alla prefettura di Milano per aggiudicarsi l’appalto da oltre 1,2 milioni di euro per la gestione della struttura: oltre alla discordanza tra quanto scritto nei documenti e la realtà nella struttura di reclusione, alcuni degli accordi stretti con associazioni e Ong “esterne” per migliorare la vita dei trattenuti sarebbero falsi.

    Altri invece sarebbero stati siglati con soggetti di cui non è stato possibile trovare alcuna traccia online. “Viene da chiedersi in che cosa consista il controllo effettuato dalla prefettura, essendo risultata evidente l’assenza di servizi all’interno del centro oltre che palesi le incongruenze negli atti e nei documenti versati nella gara di appalto”, osserva l’avvocato Nicola Datena dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi), che ha visionato la documentazione insieme a chi scrive.

    Alcuni snodi temporali. Martinina Srl nell’ottobre 2022 si è aggiudicata l’appalto per un anno (scadenza il 31 ottobre 2023, rinnovabile di un anno in assenza di nuove gare pubbliche) indetto dalla prefettura di Milano presentando un’offerta in cui garantiva, tra le altre cose, la collaborazione con diverse associazioni e società profit, finalizzata ad assicurare l’erogazione di “servizi” da integrare nella gestione del Cpr.

    L’offerta tecnica consiste nella documentazione da presentare in sede di gara d’appalto che descrive come l’impresa intende eseguire il lavoro per l’ente che richiede la prestazione, ovvero il piano di lavoro, le fasi e le risorse impiegate, la durata e le ore di lavoro previste, eventuali migliorie richieste o proposte

    Protocolli forniti in sede di gara ed esaminati dalla Commissione giudicatrice, la quale, nella decisione di assegnare l’appalto alla società domiciliata in provincia di Salerno, sottolinea l’importanza del “valore delle proposte migliorative dell’offerta tecnica”. Un “dettaglio” sfugge però ai funzionari della prefettura: almeno otto sarebbero falsi. Eccoli.

    Secondo la documentazione contrattuale, il Vis (Volontariato internazionale per lo sviluppo), una delle più importanti organizzazioni del Terzo settore del nostro Paese, avrebbe firmato un protocollo con Martinina l’8 agosto 2022 volto alla formazione del personale del Cpr. Il nome del responsabile legale non corrisponde però ad alcun referente dell’organizzazione: “Ribadiamo l’assoluta estraneità del Vis e l’assenza di qualsiasi tipo di contatto o accordo, passato e presente, relativo alla gestione del Cpr di via Corelli. E ci tengo a precisare che come Ong salesiana abbiamo una visione della migrazione fondata sui diritti umani, distante dall’approccio applicato nei Cpr, con cui in ogni caso le nostre policy ci impedirebbero di collaborare”, spiega ad Altreconomia Michela Vallarino, presidente del Vis.

    Sono 59 invece le pagine dell’accordo tra Martinina e la cooperativa sociale BeFree, uno dei più importanti enti antitratta italiani con sede a Roma, per la realizzazione del progetto “Inter/rotte” per l’assistenza per vittime di tratta e violenza. “Non avremmo mai potuto firmare un simile protocollo -spiega Francesca De Masi (qui la sua presa di posizione integrale)- perché siamo fortemente critiche nei confronti della stessa esistenza dei Cpr”. Il presunto protocollo è talmente grossolano che il nome del legale rappresentante è sbagliato e di conseguenza anche il codice fiscale generato.

    Ala Milano Onlus secondo l’accordo dovrebbe invece garantire “prestazioni di natura di mediazione linguistica/culturale”. Il presidente, contattato da Altreconomia, dichiara però di non aver mai siglato quel protocollo. Così come Don Stefano Venturini, l’allora parroco della comunità pastorale delle parrocchie di San Martino in Lambrate e SS Nome di Maria, che si sarebbe impegnato, secondo le carte consultate, “a orientare, aiutare gli ospiti prestando attenzione specifica a quanto le persone esprimono”. “Ho incontrato una volta chi gestisce la struttura ma non ho mai siglato un protocollo”, spiega Venturini ad Altreconomia, aggiungendo, tra l’altro, come sia di competenza della curia diocesana un eventuale accordo formale. Nell’offerta inviata alla prefettura, Martinina ha allegato il decreto di nomina di Venturini emesso dall’arcivescovo Mario Enrico Delpini. “Non so come abbiano fatto ad averlo”, spiega ancora l’interessato.

    L’accordo con la società sportiva Scarioni 1925 risulta stipulato il 24 agosto 2022 dall’ex presidente, che però è morto nel febbraio 2020: un post sulla pagina Facebook della società stessa, datato 31 marzo 2020, porge le condoglianze alla famiglia per la sua scomparsa. Il Centro islamico di Milano e Lombardia avrebbe siglato un accordo con Martinina per garantire il sostegno spirituale all’interno del centro. “La carta intestata è di un centro di Roma, la firma del protocollo di un centro di Cologno Monzese -spiega il presidente Ali Abu Shwaima-. Noi non abbiamo mai visto quel protocollo”. L’associazione Dianova Onlus garantirebbe assistenza per i trattenuti con tossicodipendenza: la prefettura sembra non essersi accorta però che il protocollo risulta firmato nell’agosto 2022 solo da Martinina Srl. “Non ho mai sentito questa società -spiega il presidente Pierangelo Buzzo, a cui è intestato l’accordo- e tra l’altro dal febbraio 2021 siamo cooperativa sociale, non più associazione. Il protocollo è falso”.

    Diverso è il caso della Associazione di Volontariato “Il Paniere Alimentare”, dell’Organizzazione “Musica e Teatro” e dell’Associazione “Fiore di Donna”, dei quali non solo non è stato possibile riscontrare alcun riferimento online, ma di cui i codici fiscali inseriti nei protocolli risultano inesistenti, così come gli indirizzi mail di riferimento. La “Bondon grocery” dovrebbe riconoscere “agli ospiti del Cas e agli operatori della Martinina Srl che acquistano per conto delle persone trattenute nel Cpr uno sconto del 5% sulla spesa effettuata”: il protocollo firmato nell’agosto 2022 reca in intestazione la denominazione della società, che ha però cessato l’attività il primo luglio 2021.

    Dianova, BeFree, l’Organizzazione “Musica e Teatro” vengono citati tra i protocolli di intesa presentati anche nell’offerta tecnica presentata da Engel Srl il 26 maggio 2021 per l’aggiudicazione del bando precedente a quello in essere. La prefettura di Milano ha pubblicato i documenti integrali -contratto siglato dalla società e offerta tecnica- il 10 novembre 2023.

    Tornando ai protocolli siglati da Martinina Srl, questi danno uno spaccato della vita nel centro che appare molto distante della realtà. Attività ludico-ricreative, per “impegnare le giornate degli ospiti e rendere più piacevole il trascorrere del tempo”, cineforum, laboratori di teatro, musicali, sport. Addirittura “campagne di prevenzione della salute”. Ma niente di tutto questo si sarebbe mai verificato nella struttura. Sia per i numerosi report prodotti nel tempo da diversi soggetti, dall’Asgi al Garante dei diritti delle persone private della libertà personale, fino agli stessi verbali delle visite di monitoraggio redatti proprio dalla prefettura.

    Così l’accesso ai servizi di mediazione linguistica-culturale, previsto nell’offerta, non si riscontra affatto nella realtà: in questo caso è l’Asgi, durante una delle visite d’accesso, a non incontrare alcun mediatore e dal Naga, che ha recentemente pubblicato un dettagliato report sulla situazione all’interno del centro. Oppure l’orientamento legale, anche questo assicurato sulla carta da Martinina Srl, addirittura con la “diffusione di materiale informativo tradotto nelle principali lingue parlate dagli stranieri presenti nel centro” ma che non trova riscontri. È il Garante, questa volta, a scrivere nel febbraio 2023 che l’informativa cartacea “non viene consegnata alle persone trattenute”. Problematico anche l’accesso ai servizi sanitari: nell’offerta tecnica si assicura “al ricorrere delle esigenze la somministrazione di farmaci e altre spese mediche” ma al di fuori degli psicofarmaci -che, come raccontato da Altreconomia nell’inchiesta “Rinchiusi e sedati”, su cinque mesi di spesa rappresentano il 60% degli acquisti in farmaci- sempre il Garante scrive che “l’assistenza sanitaria in caso di bisogno si limita alla distribuzione della tachipirina”. E c’è uno scarso accesso alle visite specialistiche. Emergono poi acquisti di distributori di tabacchi non presenti nel centro, colloqui con lo psicologo non documentati, addirittura la fornitura di “cestini da viaggio” in caso di trasferimenti da un Cpr all’altro, discrepanze anche relative alla qualità del cibo distribuito.

    All’impatto sulla vita delle persone se ne aggiunge uno di natura economica. Secondo dati inediti consultati Altreconomia, infatti, la prefettura di Milano avrebbe già versato a Martinina Srl oltre 943mila euro per la gestione della struttura di via Corelli. Ed è rilevante anche l’avvicendamento delle società gestite dall’imprenditore Alessandro Forlenza. Lui, nel 2012 fonda la Engel Italia Srl, ex gestore del “Corelli” di Milano e del Cpr di Palazzo San Gervasio a Potenza: oggi quella società non esiste più perché il 20 ottobre 2023 è stata definitivamente “inglobata” nella Martinina Srl, a cui inizialmente era stato ceduto il ramo d’azienda che si occupava della detenzione amministrativa. La società è formalmente in mano a Paola Cianciulli, moglie di Forlenza, che è attualmente l’amministratrice unica dopo l’uscita di scena di Consiglia Caruso (la firmataria di tutti i protocolli d’intesa sopra citati), che il 31 agosto 2023 ha ceduto i mille euro di capitale sociale. A lei restano intestate due società con sede a Milano: l’Edil Coranimo Srl, che si occupa di costruzioni, e dal febbraio 2023 l’Allupo Srl che ha sede proprio in via Corelli, nel numero civico successivo al Centro per il rimpatrio. Una dinamica che desta interesse: l’oggetto sociale della Allupo Srl è molto diversificato e oltre alla ristorazione in diverse forme (da asporto o somministrazione diretta) è inclusa anche la possibilità di “gestione di case di riposo per anziani, case famiglia per minori, Cas, Sprar, Cara e Cpr”.

    La Martinina Srl ha altre due sedi attive: una a Palazzo San Gervasio, a Potenza, dove è arrivata seconda nella gara di assegnazione della nuova gestione del Cpr precedentemente dalla Engel, vinto da Officine Solidali nel marzo 2023, un’altra a Taranto, per la gestione del Cas Mondelli che accoglie minori stranieri non accompagnati. L’ultimo bilancio disponibile è del 31 dicembre 2021 con importi ridottissimi: appena 2.327 euro di utili “portati a nuovo”. A quella data ancora non era attivo il Cpr di via Corelli. C’è un terzo soggetto, però, nella “sfera Martinina” con ben altri risultati: si tratta della Engel Family Srl nata nell’ottobre 2020 con in “dotazione” 250mila euro derivanti da Engel Srl. Paola Cianciulli è nuovamente amministratrice e socia unica della società che si occupa di “locazione immobiliare di beni propri o in leasing” che al 31 dicembre 2021 (l’ultimo disponibile) conta un valore della produzione complessivo di poco superiore a 372mila euro.

    Ai milioni di euro per la gestione se ne aggiungono altri (ne hanno parlato anche ActionAid e l’Università degli studi di Bari nel recente dettagliato rapporto “Trattenuti. Una radiografia del sistema detentivo per stranieri”) se si prende in considerazione, documenti ottenuti da Altreconomia alla mano, anche l’esborso dovuto alla costante manutenzione che si rende necessaria anche a causa delle ricorrenti proteste dei trattenuti. Da inizio 2020 al marzo 2023 in totale sono stati spesi più di 3,3 milioni di euro di cui il 58% è stato impiegato per lavori di adeguamento della struttura, manutenzione o interventi di ripristino dei luoghi danneggiati. Anche perché, spesso, le strutture già in partenza sono spesso fatiscenti: il 15 settembre 2021 Invitalia, l’Agenzia nazionale di proprietà del ministero dell’Economia (già attiva nel campo delle migrazioni sul “fronte libico”), ha pubblicato un bando da 11,3 milioni di euro su mandato del Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione, in seno al ministero dell’Interno, proprio per la manutenzione straordinaria dei Centri di permanenza per il rimpatrio di tutta Italia. Ad aggiudicarsi i lavori del Cpr di Milano in via Corelli -di cui abbiamo inserito le foto inserite nel progetto di ristrutturazione- è stata la Tek Infrastructure, società con sede a Palermo da 1,6 milioni di euro di fatturato nel 2021, con un ribasso del 20%. Ma tra i pagamenti effettuati dalla prefettura fino al marzo 2023 a fare da “padrona” sulle manutenzioni è la Masteri Srl -non è possibile escludere perciò un subappalto- con quasi 620mila euro ricevuti in tre anni.

    Fiumi di denaro pubblico che richiederebbero controlli estremamente approfonditi. Dai verbali delle ispezioni prefettizie, però, non emerge una verifica dettagliata di quanto avviene nella struttura. In uno dei verbali, infatti, alla domanda “La fornitura degli effetti letterecci avviene regolarmente e secondo le tempistiche e modalità previste dallo Schema di Capitolato vigente?”, il funzionario della prefettura barra “Sì”. Ma nella nota integrativa sottostante, riportata in calce al verbale, si legge che “ai 25 trattenuti non viene richiesto di firmare la consegna/ritiro degli effetti letterecci”. Risultano perciò incomprensibili le basi su cui viene affermata l’effettiva consegna di questi oggetti.

    Assente qualsiasi considerazione sul rispetto dei diritti fondamentali e sulla corretta esecuzione dei servizi presenti nell’offerta tecnica. “Il monitoraggio da parte della società civile si conferma essere uno strumento fondamentale. Se quanto emerso verrà confermato nelle sedi opportune viene da chiedersi chi controlla i controllori”, conclude l’avvocato Datena. Intanto, le claudicanti promesse di Martinina Srl hanno potuto circolare a piede libero, a differenza dei reclusi. Con il rischio che alla sofferenza si sia aggiunta la beffa del racconto di una quotidianità inesistente.

    https://altreconomia.it/inchiesta-sul-gestore-del-cpr-di-milano-tra-falsi-protocolli-e-servizi-
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  • Inchiesta su BF, il vero “sovrano” dell’agricoltura industriale italiana

    La holding quotata in Borsa ha ormai inglobato i segmenti chiave del comparto -dalle sementi ai consorzi agrari- e tramite #Bonifiche_Ferraresi è anche la prima azienda agricola del Paese. Chi la controlla, come si muove e perché ci riguarda.

    C’è un acronimo che ben riassume i processi di trasformazione in corso nella filiera agroindustriale italiana: è BF, cioè il nome della holding quotata alla Borsa di Milano che con le sue controllate ha inglobato ormai i segmenti chiave del comparto. Dalla selezione, lavorazione e vendita delle sementi (con la Società italiana sementi Spa) alla proprietà dei terreni attraverso la più grande azienda agricola italiana per superficie utilizzata (Bonifiche Ferraresi, cui si affianca la BF agricola Spa), dalla progettazione di contratti di filiera (ad esempio con la Filiera bovini Italia Srl, in partnership con Coldiretti) alla realizzazione di impianti per la macinazione di cereali (Milling hub Spa, tra le altre), dalla trasformazione dei prodotti (BF agro-industriale Srl) alla loro commercializzazione nei canali della Grande distribuzione organizzata anche tramite un marchio di proprietà (come la pasta, le passate o i legumi de “Le Stagioni d’Italia”). Del conglomerato fa parte anche Consorzi agrari d’Italia Spa, che si occupa della commercializzazione, produzione ed erogazione di servizi e prodotti a favore degli operatori agricoli attraverso la rete dei consorzi agrari.

    Non si tratta di un comparto rilevante solo per addetti ai lavori o appassionati dell’azienda con sede a Jolanda di Savoia (FE). L’agricoltura, così come la filiera alimentare, è infatti tra le principali cause della perdita di biodiversità e dei cambiamenti climatici, come ricorda la coalizione #CambiamoAgricoltura lanciata da organizzazioni ambientaliste e dell’agricoltura biologica e biodinamica per una riforma della fallimentare Politica agricola comune (Pac) in vista del ciclo di programmazione 2023-2027. Terra e cibo rappresentano uno snodo decisivo per una non rinviabile svolta agroecologica finalizzata a proteggere la natura, a invertire il degrado degli ecosistemi e le perdite di sostanze dei suoli, a rendere “sana, equa e sostenibile” la produzione del cibo, come tratteggiato dall’Unione europea attraverso la strategia “Farm to fork” e quella sulla biodiversità per il 2030. È in questo delicato terreno che si muove BF. Non lo fa da comparsa ma da “primario operatore nazionale attivo, a livello integrato, nel settore agroindustriale”, per usare la fredda etichetta dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato (Agcm).

    A metà ottobre 2022 gli “azionisti rilevanti” di BF erano quattro. Il primo, con il 20,13% delle quote, è la Arum Spa, che fa capo a Federico Vecchioni, amministratore delegato di BF e della sua controllata Bonifiche Ferraresi, che in passato è stato anche presidente della Confederazione generale dell’agricoltura italiana (Confagricoltura). Poi c’è la Dompé holdings Srl (al 20,04%), “contenitore” di partecipazioni finanziarie che fa capo a Sergio Dompé, imprenditore al vertice del gruppo multinazionale biofarmaceutico Dompé. Il terzo azionista è Fondazione Cariplo, che detiene il 19,29% di BF, seguita da Cdp equity Spa (in passato Fondo strategico italiano), investitore pubblico di lungo periodo che acquisisce quote in imprese di “rilevante interesse nazionale” per conto di Cassa depositi e prestiti (controllata per circa l’83% dal ministero dell’Economia e per quasi il 16% da diverse fondazioni bancarie).

    Nell’estate 2022 il campo d’azione di BF si è ulteriormente allargato. A metà luglio ha infatti perfezionato l’acquisizione del 100% della Bia Spa, azienda specializzata nella “produzione e commercializzazione di couscous da filiera italiana”, per 20,5 milioni di euro. “L’operazione si inserisce nel più ampio progetto di sviluppo di un polo cerealicolo attraverso l’integrazione delle società Ghigi 1870 Spa, Milling Hub Spa e Pasta Fabianelli Spa, già parti del Gruppo BF, e Bia, con lo scopo di creare sinergie e garantire, insieme a BF, il presidio sull’intera filiera del frumento italiano”, come ha dichiarato l’amministratore delegato Vecchioni. Lo scopo di “presidiare l’intera filiera” torna spesso nella comunicazione del colosso, che con i 7.750 ettari coltivati da Bonifiche Ferraresi tra le province di Ferrara, Arezzo, Oristano e Grosseto è anche il “primo proprietario terriero in Italia” (riso, mais, grano duro e tenero, orzo, barbabietole da zucchero, erba medica, soia, orticole, piante officinali e frutta).

    Questo potere (o “presidio”) si riproduce anche nel segmento dei semi. Come detto, BF ha in mano quasi il 42% della Società italiana sementi (Sis): controlla cioè, dal 2017, l’azienda leader nel settore del frumento e che tratta qualcosa come 600 varietà, 116 delle quali attraverso “diritti di esclusiva”. È Sis ad avere in mano l’esclusiva per la moltiplicazione e la vendita di una nota varietà denominata grano “Cappelli”. Quella stessa varietà di cui l’azienda controllata da BF, come ha denunciato più volte la Rete Semi Rurali, che si occupa di promuovere una gestione davvero dinamica della biodiversità agricola, ne avrebbe “limitato la vendita del seme solo a quegli agricoltori disposti a restituire il raccolto e ha diffuso la voce che chi non compra il loro seme certificato non può più usare il nome ‘Cappelli’ nell’etichetta del prodotto”.

    La rete di vendita su cui si appoggia Sis è prevalentemente quella dei consorzi agrari, un altro ganglio decisivo che porta, nuovamente, a BF. La società guidata da Vecchioni è infatti il primo azionista (con il 35,89%) della Consorzi agrari d’Italia (Cai Spa), veicolo che dal 2019 vorrebbe raccogliere parte di quel che resta dei 72 iniziali consorzi del nostro Paese (oggi poco più di 20), nati oltre un secolo fa sotto forma di cooperative di agricoltori. Gli altri azionisti della Cai sono il Consorzio agrario dell’Emilia-Romagna (4.300 soci), il Consorzio dell’Adriatico (oltre 3mila), il Consorzio del Tirreno (circa mille) e quello del Centro-Sud (284 soci). L’ultimo che si è aggregato in ordine di tempo è stato il Consorzio agrario del Nord-Est, attivo in Lombardia e Veneto e che nel 2021 ha realizzato un fatturato di circa 474 milioni di euro. A fine luglio 2022 il Consorzio del Nord-Est è entrato ufficialmente in Cai con il 23,58% delle quote, ricevendo il benestare dell’Antitrust che in agosto non ha ravvisato “significativi effetti verticali di restrizione della concorrenza sui mercati interessati” e ha dunque dato luce verde. BF ha festeggiato anche perché “le dimensioni raggiunte da Cai con l’ingresso di Consorzio Nord-Est conferiscono al Gruppo capacità competitiva e apportano una ancor più significativa presenza territoriale”.

    Maggiore “presenza territoriale” significa del resto “maggiori ricavi”, come dimostra il fatturato consolidato di BF che include i cosiddetti “apporti” della Cai. Al 30 giugno 2022 i ricavi dalle vendite ammontano a oltre 433,2 milioni di euro contro i 32,5 del primo semestre 2021. L’esplosione (più 1.200% in un anno) è dovuta in larga parte alla vendita all’ingrosso di carburanti per autotrazione e agricoltura (135 milioni) svolta dalla Eurocap Petroli, seguita dalla vendita di concimi antiparassitari (91,2 milioni), dalla vendita di cereali da granella (65,9), di sementi (39,1), o introiti da colture foraggere e mangimi (27,3). Tradotto: l’apporto della Consorzi agrari d’Italia “pesa” sul fatturato di BF per il 91%. È il suo core business.

    A rinforzare la rete del Gruppo BF c’è anche l’alleanza con Coldiretti, la più importante associazione di rappresentanza dell’agricoltura italiana nata nel 1944 che dichiara 1,6 milioni di soci ed è presieduta da Ettore Prandini (da leggere a proposito il saggio “La Coldiretti e la storia d’Italia” di Emanuele Bernardi per Donzelli editore). Questa partnership ha anche risvolti societari. È il caso della Filiera bovini Italia Srl, nata per “sviluppare progetti e contratti di filiera che assicurino una giusta ed equa remunerazione agli allevatori negli anni”. I soci sono due: BF, al 51%, e la Filiera agricola italiana Spa, al 49%. Quest’ultima è una “struttura economica di Coldiretti” -come tra le altre la Germina Campus o la Fondazione Campagna Amica- che detiene quote anche della Società italiana sementi (4,96%).

    Ma Coldiretti non è l’unico alleato di BF. A fine 2021 la capogruppo ha infatti annunciato un accordo strategico “di ampio respiro” con Eni -che è entrata nel capitale di BF- “per lo sviluppo di prodotti agricoli sostenibili per la produzione di biocarburanti”. Eni si è impegnata dal 2030 a non usare più olio di palma nelle sue raffinerie di Gela e Marghera e punterebbe a sostituirlo con “sementi di piante oleaginose da utilizzare come feedstock”. BF dovrebbe occuparsi quindi della ricerca presso i terreni che ha in Sardegna (chiamati nel patto “Laboratori a cielo aperto”), lasciando poi a Eni la “valutazione della possibilità di produrre economicamente le stesse sementi” in alcuni Paesi in cui la multinazionale fossile è presente: Ghana, Congo, Costa d’Avorio e Kenya.

    E poi c’è l’accordo con Intesa Sanpaolo: nel 2021 la banca ha investito in BF circa 20 milioni di euro, garantendosi il 3,32% del capitale, andando a sostenere un “operatore di mercato focalizzato sulla filiera agroalimentare, settore fondamentale per l’economia italiana e il made in Italy”. È la logica del “campione nazionale” che sovrasta qualsiasi altra riflessione, anche critica, sugli impatti di un modello agricolo intensivo e industriale opposto a una gestione dinamica, biologica e collettiva della diversità agricola. Tanto che qualsiasi richiamo alla biodiversità, alla tutela degli impollinatori, alla riduzione dei pesticidi chimici o dei fertilizzanti è vissuto come un attacco al “made in Italy” o alla sovranità alimentare.

    Ne è l’emblema il discorso che Giorgia Meloni ha tenuto al “Villaggio Coldiretti” di Milano a inizio ottobre 2022, in occasione della sua prima uscita pubblica post voto. Dopo aver garantito di non voler “disturbare chi vuole fare e chi vuole creare ricchezza”, la presidente di Fratelli d’Italia, tra applausi e bandiere gialle, si è scagliata contro “l’approccio ideologico spesso assurdo” dell’Unione europea che “non aiuta la sostenibilità e la produttività”. Perché “noi vogliamo difendere l’ambiente ma con l’uomo dentro”, ha detto, salutando con favore la “pausa di riflessione” presa allora dal Consiglio europeo sul “tema dei fitofarmaci”. Come se l’Italia fosse solo la culla, leggera e priva di impatti, di un’eccellenza “minacciata” da fuori e non invece il Paese che vede oltre il 10% dei suoli già classificato come “molto vulnerabile” alla degradazione (fonte Ispra), che ha perso circa 400mila aziende agricole tra 2010 e 2020 (-30%) mentre la superficie si è ridotta del 2,5% (fonte Istat) e che al 30 giugno 2022 ha già importato in valore più prodotti agroalimentari di quanti ne abbia esportati (29,8 miliardi di euro contro 29,4, fonte Ismea): il pesce e l’olio extravergine di oliva dalla Spagna, i bovini vivi e il frumento tenero dalla Francia, i formaggi dalla Germania o i semi di soia dal Brasile.
    Uno strano concetto di “sovranità”.

    https://altreconomia.it/inchiesta-su-bf-il-vero-sovrano-dellagricoltura-industriale-italiana

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  • Consommation : les Français ne croient pas aux promesses écologiques des industriels Par Julien Da Sois
    https://www.lefigaro.fr/conso/consommation-les-francais-ne-croient-pas-aux-promesses-ecologiques-des-indu

    Une large majorité juge que les entreprises ne sont pas suffisamment impliquées dans les enjeux écologiques, sociaux et sociétaux.

    Des Français sensibles aux enjeux environnementaux et sociaux dans leurs choix de consommation, mais critiques envers les efforts des entreprises dans ces domaines. C’est ce qui ressort du Baromètre de l’engagement des entreprises, réalisé par l’ObSoCo (Observatoire Société & Consommation) et Trusteam Finance, dévoilé mardi 7 septembre.

    Les sondés sont en effet une majorité à affirmer que l’impact environnemental (62%) et social et sociétal (52%) est un critère d’achat important entre des produits concurrents. Si le prix reste, de loin, le premier critère de choix, près d’un quart des personnes interrogées (24 %) indique avoir renoncé à un achat au cours des 12 derniers mois en raison d’une insuffisance de la marque ou de l’enseigne sur le plan environnemental, social ou sociétal.


    Près d’un quart des personnes interrogées affirme avoir renoncé à un achat au cours de l’année écoulée en raison d’une insuffisance de la marque sur le plan environnemental, social ou sociétal. CHARLY TRIBALLEAU / AFP

    Et à en croire ce sondage, effectué auprès d’un échantillon de 2.000 personnes représentatif de la population de France métropolitaine âgée de 18 à 75 ans, les Français sont cependant sévères vis-à-vis des efforts entrepris par les sociétés. Ils sont en effet environ sept sur dix à juger qu’elles ne sont pas suffisamment impliquées dans la réponse à la crise écologique et dans les grandes questions sociales et sociétales de notre époque (discriminations, pauvreté, équilibre territorial...).

    Soupçon de « greenwashing » et de « social washing »
    Plus de huit sur dix (84%) sont même incapables de citer spontanément la moindre entreprise particulièrement engagée. Ils sont malgré tout plus nombreux à observer une évolution positive sur ces sujets : 21% estiment que l’engagement des entreprises a eu tendance à progresser au cours des 12 derniers mois, contre 13 % à penser qu’il a reculé.

    Les campagnes de communication des entreprises autour de ces problématiques sont par ailleurs jugées peu crédibles par les consommateurs. En effet, 68% sont d’accord avec l’affirmation selon laquelle « les engagements des entreprises en faveur du bien commun (respect de l’environnement, lutte contre le gaspillage, les discriminations ou en faveur du pouvoir d’achat…) ont pour seul objectif d’améliorer leur image ».

    Le baromètre montre également que la méfiance est plus importante entourant les grandes entreprises. Lorsqu’elles mettent en avant des actions en vue de réduire l’impact environnemental et sociétal de ses produits, une majorité de sondés (56%) disent considérer qu’il ne s’agit que « de belles paroles et que rien de significatif n’a changé en réalité ». Une proportion qui tombe à 39% dans le cas d’une petite ou d’une moyenne entreprise.

    #écologie #agriculture #industrie #promesse #publicité #publicitaires #greenwashing #social_washing #croyances #multinationales #sociétal #engagement #discriminations #pauvreté #promesses #enjeux_écologiques

  • Sulle tracce del marmo della discordia

    Le montagne sventrate, le falde inquinate, il viavai di camion, i morti sul lavoro, le infiltrazioni criminali, la mancata distribuzione di una ricchezza collettiva. Carrara è schiacciata dai signori del marmo. Non sono cave: sono miniere. La roccia estratta qui non nisce in sculture e non alimenta più la liera artigianale locale. Parte per l’Asia oppure, in gran percentuale, finisce nei dentifrici, nella carta e in altre decine di prodotti. È il business del carbonato di calcio. Un’attività dominata dalla multinazionale svizzera #Omya che qui possiede un grosso stabilimento industriale.


    https://www.wereport.fr/articles/sulle-tracce-del-marmo-della-discordia-area
    #marbre #extractivisme #Carrara #Italie #pollution #carbonate_de_calcium #multinationales #Suisse #mondialisation #géographie_de_la_mondialisation #globalisation

    • A Carrara, sulle tracce del marmo della discordia

      Le montagne sventrate, le falde inquinate, il via vai di camion, i morti sul lavoro, la mancata distribuzione di una ricchezza collettiva. Carrara è schiacciata dai signori del marmo. Non sono cave: sono miniere. La roccia estratta qui non finisce in sculture e non alimenta più la filiera artigianale locale. Parte per l’Asia oppure, in gran percentuale, finisce nei dentifrici, nella carta e in altre decine di prodotti. È il business del carbonato di calcio. Un’attività dominata dalla multinazionale svizzera Omya che qui possiede un grosso stabilimento industriale.

      Sembra un ghiacciaio ma è un bacino minerario. Tutto è bianco sporco. Le rocce, le strade, la polvere. Le montagne sono divorate dalle ruspe. Decine di camion, carichi di blocchi o di detriti, scendono a valle da stradine improvvisate. Persino la nostra Panda 4X4 fatica sul ripido pendio sterrato. Stiamo salendo alla cava Michelangelo, una delle più pregiate del bacino marmifero di Carrara, in Toscana. Qui viene estratto lo statuario, il marmo venduto anche a 4.600 franchi la tonnellata. In questa grossa cava lavorano circa una dozzina di persone.

      Riccardo, 52 anni di cui trenta passati a estrarre roccia, sta manovrando un blocco con il filo diamantato. Il sole che batte a picco sul marmo dà l’effetto di un forno. «D’estate è così mentre d’inverno è freddo e umido» ci racconta questo figlio e nipote di cavatori. Riccardo spiega con orgoglio il suo lavoro. Poi conclude: «Spero che mio figlio faccia qualcos’altro nella vita».

      Un lavoro rischioso

      La situazione nelle cave è sicuramente migliorata rispetto a qualche anno fa, ma il lavoro qui resta rischioso. L’ultimo decesso è dello scorso mese di luglio: Luca Savio, 37 anni, papà di un piccolo bambino, è stato travolto da un blocco in un deposito. Aveva un contratto di lavoro di sei giorni. A maggio, Luciano Pampana, un operaio di 58 anni, è invece morto schiacciato sotto una pala meccanica. «Qui i servi della gleba versano sangue» ha esclamato don Raffaello, il parroco di Carrara che nella sua omelia dopo questa morte si è scagliato contro il business del marmo: «Le Apuane sono sfregiate e pochi si arricchiscono!»

      «Le Apuane sono sfregiate e pochi si arricchiscono!».

      Don Raffaele, parroco di Carrara
      Fine della citazione

      I sindacati hanno indetto un giorno di sciopero e chiesto la chiusura delle cave non in regola. Negli ultimi dodici anni vi sono stati undici incidenti mortali, di cui sei tra il 2015 e il 2016. «È decisamente troppo se si calcola che in tutta la provincia i cavatori sono circa 600» esclama Roberto Venturini, segretario della Fillea Cgil di Massa Carrara che ci accompagna nella visita. Per il sindacalista vi è un solo modo per rendere compatibile questa attività con l’ambiente e con una cittadinanza che sempre meno tollera le cave: «Bisogna rallentare la produzione e aumentare il numero di dipendenti».
      «Monocoltura del marmo»

      Carrara e la vicina Massa sono un microcosmo rappresentativo delle attuali problematiche dell’economia: l’automatizzazione, la maledizione delle risorse, la concentrazione delle ricchezze, il conflitto tra ambiente e lavoro. Un conflitto, questo, che è emerso in queste zone già negli anni 80 attorno al polo chimico situato nella piana, verso il mare. Nel 1987 ci fu il primo referendum consultivo d’Europa con cui i cittadini si espressero a favore della chiusura dello stabilimento Farmoplant della Montedison. Ciò che avvenne, però, solo un anno dopo, a seguito dell’esplosione di un serbatoio di Rogor, pesticida cui già il nome dà inquietudine.

      In pochi anni, a catena, tutti gli stabilimenti cessarono le attività lasciando come eredità terreni inquinati e una schiera di disoccupati. Oggi la zona industriale si è trasferita dal mare alle montagne.

      L’unico settore che tira è quello estrattivo tanto che qui si parla di “monocultura del marmo”, in comparazione a quei paesi che hanno fatto di un prodotto destinato all’esportazione la sola attività economica. E così in pochi ci guadagnano mentre alla collettività rimangono le briciole e gli effetti nocivi.

      I ricavi crescono, gli impieghi no

      Nello scorso triennio il settore, dal punto di vista del ricavo, è cresciuto all’incirca del 5% all’anno. Difficile trovare un altro comparto in così rapida crescita. I profitti, però, sono sempre più concentrati.

      Gli addetti sono sempre meno e una crescente percentuale dell’attività di trasformazione è ormai svolta all’estero: dall’inizio degli anni duemila gli impieghi diretti sono diminuiti di oltre il 30%, passando da quasi 7’000 a circa 4’750 unità. Negli ultimi anni nelle cave sempre più meccanizzate sono stati persi più di 300 posti di lavoro; altri 300 sono scomparsi nelle attività di trasformazione e nella lavorazione.

      Ma anche attorno a queste cifre vi è scontro. Da un lato gli ambientalisti, dall’altro i rappresentanti del mondo imprenditoriale con i primi che tendono a sminuirne l’impatto economico e i secondi che mettono in valore l’effetto occupazionale del settore. La sola certezza, qui, è che quel marmo che ha plasmato l’identità ribelle dei carrarrini e fatto conoscere la città nel mondo intero è oggi sinonimo di conflitto.
      «Una comunità arrabbiata e ferita»

      «Dal marmo il territorio si aspetterebbe molto di più», ci spiega Paolo Gozzani, segretario della Cgil di Massa e Carrara. Il quale aggiunge: «Questa è una comunità arrabbiata e ferita che vede i signori del marmo come un potere arrogante, che si accaparra la ricchezza derivata da questa materia prima senza dare al territorio la possibilità di migliorarsi da un punto di vista sociale, dei servizi e senza fare in modo che, attorno al marmo, si sviluppi una vera e propria filiera».

      Un’opinione condivisa da Giulio Milani, uno scrittore che ha dedicato un libro alla devastazione territoriale di questa terra, dalla chimica al marmo: «L’industria del marmo c’è sempre stata in questa zona, ma negli ultimi anni è diventata una turboindustria che sta mettendo in crisi il territorio».

      Milani s’interroga sul presente e sul futuro dei suoi tre figli in un luogo che ha già sofferto per le conseguenze dell’inquinamento della chimica: «Tutte le volte in cui piove i fiumi diventano bianchi come latte a causa della marmittola, la polvere di marmo; a Carrara vi sono state quattro gravi alluvioni in nove anni legate al dissesto idrogeologico del territorio. Per questo parlo di costi sociali di questa attività. Dobbiamo ormai considerare che questo è diventato un distretto minerario vero e proprio e noi ci viviamo dentro».

      A supporto di questa situazione vi è la netta presa di posizione del procuratore capo di Massa, Aldo Giubilaro, che lo scorso mese di maggio ha illustrato l’entità di un’operazione effettuata presso diverse società attive nella lavorazione del marmo dalla quale è emerso uno spaccato di irregolarità ambientali diffuse: «Salvo rari casi, sicuramente encomiabili, sembra essere una regola per le aziende del lapideo al piano, quella di non rispettare le normative sull’impatto ambientale con conseguenze decisamente deleterie per chi vive in questa zona (…). Non si tratta solo di un problema ambientale, ma riguarda anche e soprattutto la salute dei cittadini che vivono in questa provincia, purtroppo maglia nera per il numero di tumori in tutta la Toscana» ha affermato questo magistrato noto per aver più volte criticato l’omertà del settore.
      Il carbonato svizzero

      Lasciata la cava, con la nostra Panda 4X4 ridiscendiamo a valle. Ai lati della strada diversi ravaneti, le vallate dove una volta si riversavano i detriti derivati dalla scavazione.

      Sotto numerosi camion sono in fila per scaricare le loro benne cariche di sassi. Il rumore degli scarichi e della frantumazione è incessante. Siamo di fronte a quello che è chiamato «il mulino»: i sassi qui vengono frantumati in scaglie.

      Una volta effettuata l’operazione, i camion imboccano la Strada dei marmi – sei chilometri di gallerie costati 138 milioni di franchi pubblici e destinati solo al trasporto del marmo – che sbuca verso il mare, a pochi passi da un grosso stabilimento industriale. È la fabbrica della Omya Spa dove le scaglie di marmo vengono lavorate fino a renderle carbonato di calcio, un prodotto sempre più richiesto.

      Questa farina di marmo la si trova dappertutto, nei dentifrici, nella carta e in altre decine di prodotti. La Omya Spa è una filiale della Omya Schweiz, che ha sede nel Canton Argovia. Pur essendo un’impresa familiare, poco nota al grande pubblico e non quotata in borsa, stiamo parlando di una vera e propria multinazionale: con 180 stabilimenti in 55 paesi Omya è il leader mondiale del carbonato di calcio. In Toscana ha campo libero. Nel 2014 il gruppo elvetico ha acquistato lo stabilimento del principale concorrente, la francese Imerys. Non solo: Omya ha preso importanti partecipazioni in quattro aziende attive nell’estrazione che la riforniscono di materia prima.

      Le polveri del boom

      A Carrara e dintorni si respirano le polveri di questo boom. Si stima che i blocchi di marmo rappresentino soltanto il 25% del materiale estratto: il restante 75% sono detriti. Una volta le scaglie erano considerate un rifiuto fastidioso, che impediva l’avanzata degli scavi e che veniva liberato nei ravaneti.

      Poi, nel 1987, arrivò Raul Gardini che con la sua Calcestruzzi Spa entrò nel business delle cave e ottenne un maxi contratto per la desolforazione delle centrali a carbone della Enel: un’attività in cui il carbonato di calcio era essenziale. L’industriale Raul Gardini morì suicida sulla scia di Tangentopoli, ma a Carrara rimase e si sviluppò questa nuova attività.

      Il business del carbonato di calcio ha dato un’accelerata all’attività estrattiva e ha permesso di tenere aperte cave che altrimenti sarebbero già state chiuse. Lo abbiamo visto alle pendici del Monte Sagro, all’interno del Parco delle Apuane, marchio Unesco: questa montagna, come ci ha mostrato Eros Tetti, dell’associazione Salviamo le Apuane, continua ad essere scarnificata per alimentare proprio il commercio del carbonato.

      La corsa alla polvere di marmo tocca anche il versante lucano. A Seravezza, un paesino a mezz’ora di auto da Carrara, abbiamo incontrato un gruppo di cittadini che si batte contro l’aumento incontrollato dell’attività di scavo: «Il comitato – ci spiegano i promotori – nasce proprio in risposta alla riapertura di tre cave di marmo sul Monte Costa. Siamo preoccupati per il nostro territorio e ci siamo interrogati sugli effetti che questi siti estrattivi avranno sulla nostra cittadinanza».
      Le parti nobili partono all’estero

      Se gran parte della roccia viene sbriciolata, la parte nobile – i blocchi di marmo – partono per il mondo. Così, interi e grezzi. Verranno poi lavorati direttamente all’estero, dove la manodopera costa meno.

      Se prima la regione di Massa e Carrara era un centro mondiale dell’arte e dell’artigianato legato al marmo, oggi la filiera legata all’estrazione è praticamente scomparsa. Ce lo racconta Boutros Romhein, un rinomato scultore siriano, da 35 anni a Carrara dove, oltre a realizzare enormi sculture, insegna agli studenti di tutto il mondo i segreti di questa nobile roccia: «Non ci sono ormai più artigiani sulla via Carriona, che parte dalle cave e va fino al mare. Una volta era un tutt’uno di piccole e grandi aziende che producevano sculture o materiale per l’architettura. Oggi possiamo dire che non c’è più nessuno».

      Una percezione confermata dai dati. Nel 2017 l’esportazione dei blocchi di marmo italiano è aumentata del 37%. È stata, in particolare, la provincia di Massa Carrara a realizzare il fatturato estero più alto con un export del valore di circa 212 milioni di euro. In calo, invece, i lavorati di marmo: per la provincia, nel 2017, la diminuzione è stata del 6,6%. I blocchi partono interi per gli Stati Uniti, la Cina, l’India e per i Paesi arabi.
      Il marmo dei Bin Laden

      Significativo di questa dinamica mondiale è lo sbarco a Carrara della famiglia saudita dei Bin Laden. Già grandi acquirenti di marmo per le loro attività edili, i Bin Laden sono ora entrati direttamente nell’attività estrattiva.

      Nel 2014 la famiglia saudita ha investito 45 milioni di euro per assicurarsi il controllo della società Erton che detiene il 50% della Marmi Carrara, il gruppo più importante del comprensorio del marmo, che attraverso la Società Apuana Marmi (Sam) controlla un terzo delle concessioni. Quattro famiglie carraresi si sono così riempite le tasche e messo parte delle cave nelle mani della CpC Holding, società controllata dalla Saudi Binladin Group.
      Un bacino minerario vero e proprio

      A Carrara siamo davanti non più a un’economia di cava, ma ad un bacino minerario vero e proprio. Così come nelle Ande e in Africa, nelle zone cioè dove l’estrazione di minerali è più selvaggia, il lato oscuro di questo business – mischiato alla pesante eredità lasciata dall’industria chimica e al fatto di non aver saputo sviluppare alternative economiche al marmo – hanno generato tutta una serie di effetti negativi: inquinamento, malattie, disoccupazione e disagio sociale.

      Nella graduatoria sulla qualità di vita 2017 curata dal dipartimento di statistiche dell’Università La Sapienza di Roma, la provincia di Massa-Carrara figura al 98esimo posto su 110. Se guardiamo i dettagli di questa classifica, la provincia è addirittura penultima per il fattore ambiente, 107esima per disagio sociale, 103esima per il superamento quotidiano della media di polveri sottili disperse nell’aria e 95esima per gli infortuni sul lavoro.

      Anche se non è possibile fare un legame diretto con il marmo, in questa terra vi è inoltre un’incidenza di malattie oncologiche fra le più elevate in Italia. In particolare vi un indice molto elevato nei mesoteliomi pleurici, la cui causa è quasi certamente dovuta alle tipologie di lavorazioni svolte in passato e all’eredità di prodotti tossici tuttora da smaltire. Per quanto riguarda il lavoro: nel 2017, Massa Carrara è stata la seconda provincia d’Italia con l’incremento più grande di disoccupazione (+36,7%). Il business del marmo e del suo derivato, il carbonato di calcio, sembra anch’esso continuare a crescere.


      https://www.tvsvizzera.it/tvs/cultura-e-dintorni/economia-mineraria_a-carrara--sulle-tracce-del-marmo-della-discordia/44377160
      #décès #risque #accident #morts #travail #Farmoplant #Montedison #Rogor #mécanisation #inondations #environnement #cancer #santé #Strad_dei_marmi #suisse #dentifrice #Argovie #Imerys #Calcestruzzi_Spa #Raul_Gardini #Monte_Sagro #Parco_delle_Apuane #résistance #Salviamo_le_Apuane #Seravezza #Monte_Costa #Bin_Laden #Arabie_Saoudite #Erton #Società_Apuana_Marmi (#Sam) #CpC_Holding #Saudi_Binladin_Group #chômage #pollution

    • “La terra bianca. Marmo, chimica e altri disastri” di #Giulio_Milani

      Mi balena in mente un quadro, come un’epifania, intercettato anni fa nel vivaio del d’Orsay, perché quelle opere respirano e non venitemi a dire che non assorbono luce e non emettono ossigeno. Sono creature folte e sempre assetate. Le spigolatrici di Jean-François Millet incastra tre donne su un lenzuolo di terra. Sono chinate, sono ingobbite, sono stanche e senza volto. La fatica rivendica il possesso feudale di quelle facce. Ma malgrado le loro schiene lontane da ogni verticale, malgrado tutte le ore inarcate e incallite, quelle lavoratrici sanno che il suolo non sputa. Che dal ventre di semi e raccolte dipende la loro vita. E anche quella che non conoscono. Non esiste(va) legame più forte. Perché il tempo presente fa pensare all’imperfetto.

      Il libro di Giulio Milani La terra bianca (Laterza, 2015) è l’ennesimo emblema della frattura, l’ulteriore dolente puntata di una serie d’inchieste sullo stupro più o meno inconsapevole subito dal nostro Paese.

      Siamo avvezzi ai fuochi campani, allo sfregio dell’agro aversano, all’idea che i rifiuti si sommergano, oppure che s-fumino altissimi a ingozzare le nuvole. Tutto già digerito. Il potere dei media gonfia il clamore e poi lo normalizza. Ci anestetizza. Ma la tragedia ambientale cambia dialetto. E in questo caso parla toscano. Nell’enclave assoluta del marmo.

      «Un’onda pietrificata, una sterminata scogliera di fossili» nella zona di confine tra la bassa Liguria e l’Emilia, che comprende la doppia provincia di Massa Carrara, le Alpi Apuane e una costola di Mar Tirreno.

      Giulio Milani, scrittore e direttore responsabile della casa editrice Transeuropa, ha sempre abitato qui, il bacino delle cave, un poligono colonizzato dalle industrie fin dagli anni Cinquanta. «Ex Farmoplant-Montedison. Ex Rumianca-Enichem. Ex Bario-Solvay. Ex Italiana Coke».

      Una sequela di sposalizi chimici e divorzi malconci che hanno divelto, macellato, svuotato un territorio rendendolo una tra le aree più inquinate d’Italia «anche per le polveri sottili prodotte dal traffico incessante dei mezzi pesanti, tra i quali i sempre più numerosi e caratteristici camion coi pianali per il trasporto di blocchi di marmo grandi alle volte come interi container e, in misura molto maggiore, i ribaltabili carichi fino al colmo di scaglie detritiche per i mille usi non ornamentali della pietra». «Fumi di latte», un impasto pestifero sbriciolato nell’aria, che la gente del luogo ingurgita ogni giorno, pensando non sia immaginabile un ipotetico altrimenti. Perché le cave sono lavoro e senza lavoro si muore. Ma a quanto pare anche a causa del lavoro.

      L’inchiesta di Milani parte da un episodio miliare: Il 17 luglio del 1988 il serbatoio di un pesticida (il Rogor), occultato malamente tra i Formulati liquidi per eludere la legge, scoppia come un attentato nello stabilimento Farmoplant- Montedison, partorendo una nube tossica diluita per 2000 kmq, soprattutto su Marina di Massa e Marina di Carrara. Nessun morto e chissà quante vittime. Perché il disastro più maligno è quello che s’incassa tardi, che s’incista nelle crepe, acquattato nelle vie respiratorie, nell’alcova dei polmoni, tra reni e vescica.

      Dopo proteste di ogni tipo la fabbrica fu chiusa, ma non la scia di condanne pronta a chiedere asilo dentro troppi cittadini. Il motivo? Le pratiche più diffuse da molte di quelle aziende riguardavano lo smaltimento “sportivo” dei rifiuti. Ovviamente tossico-nocivi, tramite la termodistruzione per opera dell’inceneritore Lurgi nel caso della Farmoplant, attraverso interramenti silenziosi e consenzienti in tutti gli altri. Abbuffare le zolle di veleni e poi coprirle di ulivi e ammalarsi d’olio e non capirlo mai per tempo.

      Ma il libro di Milani procede oltre, traccia una geometria spazio-temporale molto complessa, diagonali d’analisi che scavalcano il singolo episodio e pennellano il profilo di una provincia abusata attraverso la Storia, in prima istanza dalla fatica delle cave, dove i dispositivi di protezione sono stati per decenni fantasmi senza guanti. Operai falciati come insetti per un cumulo distratto, schiacciati da un peso sfuggito al controllo. Poi il vespaio furioso dell’industria estrattiva e dei suoi sversamenti. E la smania noncurante di usare la terra come un tappeto. Come un sepolcro ben ammobiliato.

      Milani ci racconta per salti, di uomini capaci di opporsi al male, dello stormo partigiano della Resistenza Apuana, negli echi di guerra nelle steppe di Russia (suo argomento di laurea). «Si erano battuti per tre giorni di seguito. Per tre giorni e due notti si erano sacrificati, a turno, ai piedi di una quota da riconquistare». Poi di altri uomini anni in anni più vicini, intenti a riagguantare la pulizia dei fatti, a denunciare gli illeciti, a spingere forze, a non tacere. Come Marcello Palagi, principale esponente del movimento per la chiusura della Farmoplant; come Alberto Grossi, regista del documentario Aut Out.«Se si altera la morfologia di un luogo non ne vengono modificati solo i caratteri distintivi, ma anche quelli invisibili, come l’alimentazione degli acquiferi e il clima. Sono a rischio le sorgenti, si perdono i fiori, e forse anche la poesia». E lo scempio continua.

      Chi pagherà per ogni verso bruciato, per lo sguardo rappreso in un cucchiaio d’orrore? Per la strage travestita da capitolo ordinario, senza nessun dittatore da offendere? Per le diagnosi neoplastiche di cui smettiamo di stupirci? Sempre noi, che se restiamo fermi avremo solo terre sane dipinte in un museo.

      http://www.flaneri.com/2016/05/25/la-terra-bianca-giulio-milani

      #livre

    • La malédiction du marbre de Carrare

      Le fameux marbre de Carrare n’est pas seulement symbole de luxe. Le site est surtout devenu un des hauts lieux de l’extraction du carbonate de calcium, utilisé notamment dans la fabrication des dentifrices. Une exploitation industrielle qui défigure le paysage et s’accompagne de morts sur les chantiers, de pollution et d’accaparement des ressources par une élite locale et par des acteurs internationaux, dont la famille Ben Laden et la multinationale suisse Omya.


      https://www.swissinfo.ch/fre/economie/pollution--maladies-et-gros-profits_la-mal%C3%A9diction-du-marbre-de-carrare/44416350

    • Gli affari sul marmo delle #Apuane e i riflessi su salute e ambiente

      A Massa e Carrara la “#marmettola” prodotta dalla lavorazione della roccia nelle cave impatta sulle falde. Diverse realtà locali denunciano la gestione problematica delle aziende e le ricadute ambientali del settore. Ecco perché

      Sopra la vallata del fiume Frigido, nel Comune di Massa, c’è una cava inattiva da circa tre anni. Ci avviciniamo in un giorno di sole, risalendo il sentiero che si inerpica nel canale tra cumuli di massi bianchi. Dal tunnel scavato nel marmo si sente l’acqua che scroscia. “Le #Alpi_Apuane sono come un serbatoio, è il famoso carsismo: l’acqua penetra in abbondanza nella roccia, in direzioni che non conosciamo perché non seguono quelle dello spartiacque di superficie, e poi scende formando le sorgenti. Quella che senti, però, alla sorgente del Frigido non arriverà mai”, spiega Nicola Cavazzuti del Club alpino italiano (Cai), che da anni denuncia gli impatti ambientali delle circa ottanta cave attive a Carrara alle quali si aggiungono le quindici di Massa. Tra quest’ultime, molte rientrano all’interno del Parco regionale delle Alpi Apuane.

      L’ultima denuncia risale all’inizio di giugno quando il Cai e altre realtà come il Gruppo d’Intervento Giuridico (GrIG) e Italia Nostra hanno presentato un’istanza di accesso civico a una serie di soggetti istituzionali, tra i quali la Regione Toscana, il ministero dell’Ambiente e i carabinieri forestali, per ottenere informazioni sulle azioni intraprese a tutela dell’ambiente, inviando anche un esposto alla procura di Massa. Al centro della denuncia c’è il fenomeno della “marmettola”, la polvere prodotta dall’estrazione e dalla lavorazione del marmo. Per le associazioni, produce un inquinamento “gravissimo, conclamato e ormai cronico delle acque destinate all’uso potabile”.

      Il problema è noto da decenni e anche se oggi viene gestita come un rifiuto e sono aumentate le prescrizioni per evitare che si diffonda nell’ambiente, le realtà del territorio denunciano che spesso è ancora abbandonata sui piazzali delle cave. Così quando piove viene trascinata nei fiumi cementificandone il letto e riducendo l’habitat di microflora e piccoli organismi. “Le situazioni più critiche sono state osservate nel fiume Frigido e nel torrente Carrione”, si legge nelle conclusioni del “#Progetto_Cave” dell’#Agenzia_regionale_per_la_protezione_ambientale_della_Toscana (#Arpat), monitoraggio durato dal 2017 al 2019. In quegli anni l’Arpat ha effettuato una serie di controlli nelle cave di Massa, Carrara e Lucca, anche in merito alla gestione della marmettola, che “hanno evidenziato una diffusa illegalità e dato luogo a un consistente numero di sanzioni amministrative e di notizie di reato all’autorità giudiziaria”. Nel 2018, scrive Arpat, 18 cave su 60 hanno avuto un “controllo regolare”.

      La marmettola finisce anche nelle falde. Secondo un articolo scientifico del 2019, redatto da docenti e ricercatori dell’università di Firenze, dell’Aquila e del Cnr, si è “accumulata negli acquiferi” con effetti “non ancora noti nel dettaglio” ma che potrebbero modificare “l’idrodinamica delle reti carsiche riducendone la capacità di accumulo”.

      A Forno, frazione di Massa dove nasce il Frigido, il problema è esploso il 19 novembre 2022. “La sorgente è diventata bianca e per dieci giorni l’erogazione dell’acqua è stata sospesa -racconta Cavazzuti-. È un problema costante, tanto che negli anni Novanta è stato costruito questo impianto di depurazione”, dice indicando le sue grandi vasche. Pochi metri più a monte, tra i massi di un fosso in secca, si è accumulato uno strato di marmettola. Le immagini di fiumi e torrenti di colore bianco sono una costante sui giornali locali. Quelle del Carrione che attraversa Carrara, scattate il 13 aprile 2023, sono arrivate anche sulla scrivania del ministero dell’Ambiente che ha chiesto all’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) di valutare se si tratti di danno ambientale.

      A Forno, frazione di Massa dove nasce il Frigido, il problema è esploso il 19 novembre 2022. “La sorgente è diventata bianca e per dieci giorni l’erogazione dell’acqua è stata sospesa -racconta Cavazzuti-. È un problema costante, tanto che negli anni Novanta è stato costruito questo impianto di depurazione”, dice indicando le sue grandi vasche. Pochi metri più a monte, tra i massi di un fosso in secca, si è accumulato uno strato di marmettola. Le immagini di fiumi e torrenti di colore bianco sono una costante sui giornali locali. Quelle del Carrione che attraversa Carrara, scattate il 13 aprile 2023, sono arrivate anche sulla scrivania del ministero dell’Ambiente che ha chiesto all’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) di valutare se si tratti di danno ambientale.

      Il problema della marmettola si è aggravato con l’introduzione di strumenti più efficienti, come il filo diamantato, che ha reso possibile la lavorazione dei blocchi anche a monte. Le nuove tecnologie hanno anche generato un’impennata della quantità di materiale estratto, che oggi ammonta a quattro milioni di tonnellate all’anno. “Le montagne spariscono davanti ai nostri occhi”, commenta Grossi. Nonostante Carrara sia famosa per il suo marmo, secondo dati forniti dal Comune alla sezione locale di Legambiente, nel 2022 solo il 18,6% del materiale è stato estratto in blocchi (utilizzato quindi per uso ornamentale). “Il danno alla montagna viene inferto per ricavare detriti di carbonato di calcio che dagli anni Novanta è diventato un affare perché impiegato per vari usi industriali, dall’alimentazione alle vernici -denuncia Paola Antonioli, presidente di Legambiente Carrara che da 15 anni raccoglie i dati comunali-. Purtroppo non possiamo collegare i dati alle rispettive cave, perché l’amministrazione li ha secretati fornendoli solo in modo anonimo. Ma è importante saperli: alcune aziende estraggono il 90% di detriti e vorremmo che venissero chiuse”. Il Piano regionale cave del 2020 ha affrontato il nodo fissando il quantitativo minimo di blocchi, introducendo però delle deroghe. Per Antonioli “la norma è stata stravolta e le cave che non rispettano i parametri non sono mai state chiuse”.

      Per gli imprenditori del marmo il territorio non può fare a meno di un settore che, secondo un report di Confindustria con dati del 2017, vale il 15% del Pil provinciale per un fatturato totale di quasi un miliardo, di cui 560 milioni di export e rappresenta il 7% degli occupati. Per gli ambientalisti però il marmo grezzo che parte per l’estero, in particolare per la Cina, è sempre di più e i lavoratori sono sempre meno. Dal 1994 al 2020, secondo Fondo Marmo, ente che riunisce industriali e sindacati, il numero di dipendenti è sceso del 36%. Il calo più marcato riguarda i lavoratori impiegati “al piano”: meno 50,9%. Laboratori e segherie, invece, sono crollati del 55%.

      Gli incidenti sul lavoro però non si fermano. Nonostante l’Inail abbia certificato un calo del rischio infortunistico, la provincia di Massa Carrara vanta il primato per gli incidenti mortali nel settore tra il 2015 e il 2019, sette in totale. Anche il 2023 ha già avuto la sua vittima nel bacino apuano, anche se in provincia di Lucca: il 13 maggio Ugo Antonio Orsi, 55 anni, è rimasto schiacciato da un masso che si è staccato dal costone in una cava a Minucciano, in Garfagnana. “Questa è una storia di sfruttamento di beni comuni che arricchiscono le tasche di pochi privati. Ammesso che si possa compensare un simile danno, quasi nulla viene risarcito alla comunità -commenta Paolo Pileri, docente di Pianificazione urbanistica al Politecnico di Milano-. Comparando i canoni di concessione e il contributo di estrazione incassato ogni anno dal comune di Carrara con la quantità di blocchi prodotti, ho calcolato che per ogni tonnellata di marmo rimangono al territorio circa 25 euro a fronte di un prezzo di vendita che va da 800 a 8mila euro. Preciso che si tratta di dati parziali, ottenuti grazie al lavoro di attivisti locali, che non sono resi accessibili così che tutti possano conoscere la situazione. Un pezzo di Paese viene così distrutto per alimentare un modello di sviluppo tossico”.

      https://altreconomia.it/gli-affari-sul-marmo-delle-apuane-e-i-riflessi-su-salute-e-ambiente

  • L’insulte de macron est voulue…

    #Macron insulte les ouvriers très sciemment, il s’adresse aux « diplômés », aux #gagnants s’il y en a, à une jeunesse qu’il veut égoïste et superficielle, aux #couches_moyennes haïssant plus pauvre qu’eux, à ceux apeurés qui craignent le désordre, à la petite bourgeoisie vestimentaire, celle qui n’a que ses habits faussement à la mode pour se distinguer des pauvres, tous ceux chez qui on peut cultiver une conception très réactionnaire de l’avenir, et il leur dit vous vous n’avez rien avoir avec ces brutes incapables. Ces gens là sont des #vaincus, des #minables, des #assistés et vous vous êtes l’avenir. C’est pour cela qu’il cultive l’opposition de Mélenchon, les forts en gueule, les débraillés et il leur parle ce qu’il estime être leur langage pour les renvoyer à ces gens sans éducation, ces « #inutiles » qui foutent le bordel. Il veut la scission au sein des couches populaires, il la joue, il la provoque et tout ce qui contribue à cette scission est du pain béni.

    Il s’adresse bien sûr aux mentalités de #droite et d’#extrême-droite, mais il table aussi sur le travail opéré sur le #PS, sur la rupture de la gauche avec la question sociale, comment cette « #gauche » a fait passer ou a tenté de faire passer la revendication salariale aux bonnes oeuvres de la dame patronnesse du #sociétal, celle qui isole la femme, l’immigré, cherche la fusion du même pour éviter de considérer les véritables antagonismes politiques, ceux entre le capital et le travail.

    Feignant, fouteurs de bordel… Pour ceux qui s’étonnent que le président qui affirme vouloir prendre de la hauteur se commette ainsi, il y a de la naïveté dans cette découverte. Le maître du château, le bourgeois qui se prend pour un #aristocrate, celui à qui le dédain tient lieu de légitimité a toujours employé un langage grossier pour désigner les subordonnés, c’est le sens que Macron donne à « jupitérien », l’arbitraire face aux « petits ». Il opère un clivage, il créé une #haine_de_classe tout à fait consciemment et il espère même que cette haine trouvera ses exutoires #racistes et #sexistes. C’est une image de la société française qu’il est en train de construire pour tenter de durer en s’appropriant les petits diplômés, voués à la précarité, mais que l’on incite à mépriser les ouvriers, les employés, les petites gens, les vieux, les faibles, ceux à qui l’on peut flanquer des coups en toute impunité, les édentés comme disait Hollande. Il n’en est pas à son premier « dérapage » et quand il va prononcer sa phrase, il cherche la caméra pour être sûr que le « message » passera.

    . . . . . . .
    https://histoireetsociete.wordpress.com/2017/10/06/linsulte-de-macron-est-voulue

  • Le #Social-libéralisme : un oxymore mystificateur Bilan à mi-parcours de la deuxième droite (2)
    http://terrainsdeluttes.ouvaton.org/?p=3399

    Dans cette deuxième partie de son bilan de la « deuxième-droite » à mi parcours, J-P #garnier revient notamment sur la fonction politique du terme ambigu de « social-libéralisme ». Un « tournant » en ligne droite « Il est un peu désolant intellectuellement de voir la plupart des commentateurs parler d’un tournant “social-démocrate” de François Hollande …

    #Blogs #La_chronique_de_Jean-Pierre_Garnier #deuxième-droite #petite_bourgeoisie_intellectuelle #sociétal

  • Tout est politique - Le blog de Seb Musset : Sociétal-libéral, tu perds ton sang-froid
    http://sebmusset.blogspot.fr/2014/02/social-liberal-societal.html

    Le social-démocrate est un gars sympa, un peu austère, un peu rigoureux, mais pas complètement foutu. On peut encore discuter. Il est juste obsédé par des impossibilités : le remboursement de la dette et la croissance. Un jour, peut-être, il comprendra (il lui faudra le temps) qu’on ne remboursera jamais la dette et que du boulot, il y en aura de moins en moins (et que ce n’est pas une mauvaise nouvelle à moins de repenser la société de fond en comble). D’ici là, tant qu’il peut faire carrière, il appliquera encore et toujours, les recettes d’hier à la situation d’aujourd’hui avec le même échec pour demain.

    Quid du « social-libéral » ?

    Bon là c’est plus grave. On est dans l’imposture intellectuelle à fort potentiel marketing. Rapport qu’il y a un mot de trop à la base, social (protéger le plus faible) étant l’oxymore économique du libéralisme (que le plus fort gagne).

    En fait, le vrai terme pour qualifier le gouvernement en place serait plutôt « sociétal-libéral ». Là c’est plus cohérent : une politique économique orientée à droite enrobée de réformes sociétales fortement marquées à gauche (mais compatibles avec le libéralisme, chacune créant potentiellement de nouveaux marchés). Le mariage pour tous, le droit à l’euthanasie, l’égalité homme-femme, la dépénalisation du cannabis (si si vous verrez)… Autant de combats nobles, que je partage, parfois urgents, mais qui ne sont pas considérés comme prioritaires pour les Français et ne répondant pas à la mesure du pessimisme et de la détresse sociale rongeant ce pays : chômage, précarisation du salariat (en fait, ce libéralisme mal assumé accélérera ce mouvement au nom du principe de « compétitivité ») et mal-logement (la fondation Abbé Pierre publie son rapport annuel, une fois de plus accablant)...

    #sociétal-libéral
    #dette
    #croissance
    #finance
    #économie

  • Plein de cartes géographiques (et autres documents) accessibles online sur le site de la bibliothèque de la société de géo italienne :

    http://www.internetculturale.it/opencms/opencms/it/ricerca_metaindice.jsp?semplice.y=0&semplice.x=0&q=carta+geografic

    #archive #cartes #cartes_géographiques #Società_geografica_italiana #cartographie #histoire

    http://it.wikipedia.org/wiki/Biblioteca_della_Societ%C3%A0_geografica_italiana

    (moi je n’arrive pas à les ouvrir car il me manque un plugin, mais il devrait être simple de voir l’avant-première des cartes pour la majorité d’entre vous)

  • http://ragemag.fr/on-arrete-pas-le-progres-les-enfants-doivent-pouvoir-changer-de-sexe

    À force de défendre tous les enfants des niches marketing de la revendication à l’heure de l’ultra-libéralisme, dans le culte normé de la consommation distinctive et identitaire, on en oublie que chaque jour la précarité gagne et fait peser le même poids d’indignité sur toutes les générations qui la subissent. C’est elle qui conduit à la plus grande privation de droit et, finalement, tout le monde semble s’en satisfaire, tremblant pourtant de figurer bientôt sur la liste des oubliés d’un système où la différence est une économie et l’argent la seule valeur louable. Parce qu’aussi nobles soient certains combats pour l’égalité, leur négation de la question sociale rend la société plus inégalitaire.

    Comme l’écrivait justement Walter Benn-Michaels, l’auteur de La Diversité contre l’égalité : « La question évidente est : comment comprendre le fait qu’il y ait eu autant de progrès dans un domaine (le sociétal, ndlr) pendant que nous reculions dans d’autres ? Une réponse presque aussi évidente est que les domaines dans lesquels nous avons progressé sont ceux qui sont en accord avec les valeurs profondes du néolibéralisme, et que ceux dans lesquels il n’y a pas eu de progrès ne le sont pas. Concrètement, la croissance simultanée de la tolérance à l’égard des inégalités économiques et de l’intolérance face au racisme, au sexisme et à l’homophobie est une caractéristique fondamentale du néolibéralisme. Ce qui explique les extraordinaires avancées dans la lutte contre les discriminations et les difficultés à en intégrer les acquis dans une politique de gauche. Les inégalités croissantes du néolibéralisme n’étant pas causées par le racisme ou le sexisme, elles ne seront donc pas réduites par l’antiracisme ou l’antisexisme – qui, d’ailleurs, ne les vise pas. Je ne dis pas que l’antiracisme et l’antisexisme ne sont pas de justes causes. Plutôt qu’elles n’ont actuellement rien à voir avec des politiques de gauche, et que c’est dans la mesure où elles s’y substituent qu’elles peuvent être nocives. »

    Tout est là : dans un système où le renversement des valeurs a conduit de manière surréaliste à un accroissement de la tolérance à l’égard de la plus inique des sources de discriminations, la pauvreté, l’imaginaire restera intarissable en nouvelles causes exutoires à même d’étouffer la culpabilité. Un jour, pourtant, la lumière se fera sur cette supercherie, tandis que la rage submergera et renversera cette forfaiture du libéralisme.

    #social #sociétal

    • Je suis partagé à la lecture de cet article. Oui les évolutions de société peuvent occulter la régression néolibérale qui frappe matériellement les individus. Mais peut-on les mettre en concurrence ? En d’autres termes, certains progrès vampirisent-ils l’énergie qui manque au progrès social ? Ce serait des vases communicants ?

      Pour moi le problème ne vient pas des luttes qui seraient hiérarchiquement secondaires vis à vis de la lutte contre le capitalisme, mais du fait que l’idéologie néolibérale a réussi à absorber tous les partis de gouvernements au point de neutraliser toute velléité de transformation économique, et de ne leur laisser que ces sujets de « société » comme terrain de jeu minimal du spectacle démocratique.