• Gli utili record dei padroni del cibo a scapito della sicurezza alimentare

    I cinque principali #trader di prodotti agricoli a livello mondiale hanno fatto registrare utili e profitti record tra il 2021 e il 2023. Mentre il numero di persone che soffrono la fame ha toccato i 783 milioni. Il report “Hungry for profits” della Ong SOMO individua le cause principali di questa situazione. E propone una tassa sui loro extra-profitti

    Tra il 2021 e il 2022 -anni in cui il numero di persone che soffrono la fame nel mondo è tornato ad aumentare, così come i prezzi dei beni agricoli spinti verso l’alto da inflazione e speculazione finanziaria- i profitti dei primi cinque trader di materie prime agricole a livello globale sono schizzati verso l’alto.

    Nel 2022 le multinazionali riunite sotto l’acronimo Abccd (Archer-Daniels-Midland company, Cargill, Cofco e Louis Dreyfus Company) hanno comunicato ai propri stakeholder un aumento degli utili per il 2021 compreso tra il 75% e il 260% rispetto al 2016-2020. “Mentre nel 2022 i profitti netti sono raddoppiati o addirittura triplicati rispetto allo stesso periodo. In base ai rapporti finanziari trimestrali disponibili al pubblico, i profitti netti dei commercianti di materie prime agricole sono rimasti eccessivamente alti nei primi nove mesi del 2023”, si legge nel rapporto “Hungry for profits” curato dalla Ong olandese Somo. Dati che fanno comprendere meglio quali sono i fattori che influenzano l’andamento del costo dei prodotti agricoli e -soprattutto- chi sono i reali vincitori dell’attuale sistema agroindustriale.

    La statunitense Cargill è la prima tra i Big five in termini di ricavi (165 miliardi di dollari nel 2022) e utili (6,6 miliardi), seguita dalla cinese Cofco (che nello stesso anno ha superato i 108 miliardi di dollari e i 3,3 miliardi di utili) e da Archer-Daniels-Midland company (Adm, con 101 miliardi di ricavi e 4,3 miliardi di utili). Nello stesso anno il numero di persone che soffrono la fame ha raggiunto i 783 milioni (122 milioni in più rispetto al 2019) e i prezzi dei prodotti alimentari hanno continuato a crescere, spinti dall’inflazione.

    Complessivamente questi cinque colossi detengono una posizione di oligopolio sul mercato globale dei prodotti di base come i cereali (di cui controllano una quota che va dal 70-90%), soia e zucchero. “Questo alto grado di concentrazione e il conseguente controllo sulle più importanti materie prime agricole del mondo, conferisce loro un enorme potere contrattuale per plasmare il panorama alimentare globale”, spiega Vincent Kiezebrink, ricercatore di Somo e autore della ricerca.

    La posizione dominante che di fatto ricoprono sul mercato globale rappresenta uno dei fattori che ha permesso agli Abccd di registrare profitti e utili da record negli ultimi tre anni. “La sola Cargill è responsabile della movimentazione del 25% di tutti i cereali e i semi di soia prodotti dagli agricoltori statunitensi -si legge nel report-. Anche il principale mercato agricolo per l’approvvigionamento di soia, l’America Latina, è dominato dagli Abccd: oltre la metà di tutte le esportazioni di questo prodotto passano da loro”.

    La situazione non cambia se si guarda a quello che succede in Europa: l’olandese Bunge e la statunitense Cargill da sole sono responsabili di oltre il 30% delle esportazioni di soia dal Brasile verso l’Unione europea. Bunge, in particolare, è il principale fornitore di soia per l’industria della carne dell’Ue con una chiara posizione di monopolio in alcuni mercati come il Portogallo, dove controlla il 90-100% delle vendite di olio di soia grezzo.

    Questa concentrazione è stata costruita nel tempo attraverso fusioni e acquisizioni che non sono state limitate dalle autorità per la concorrenza: quelle europee, ad esempio, hanno valutato un totale di 60 fusioni relative alle società Abccd dal 1990 a oggi. “Tutte le operazioni, tranne una, sono state autorizzate incondizionatamente -si legge nel report-. La prossima grande fusione in arrivo è quella tra la canadese Viterra (specializzata nella produzione e nel commercio di cereali, ndr) e Bunge. Un’operazione senza precedenti nel settore agricolo globale e che avvicinerà la nuova società alle dimensioni di Adm e Cargill”.

    Un secondo elemento che ha permesso a queste Big five di accumulare ricavi senza precedenti in questi anni è poi la loro capacità di influenzare la disponibilità dei beni alimentari attraverso un’enorme potenzialità di stoccaggio. “Il rapporto speciale 2022 del Gruppo internazionale di esperti sui sistemi alimentari sostenibili (Ipes) ha evidenziato che i trader conservano notevoli riserve di cereali -si legge nel report-. E sono incentivati ‘a trattenere le scorte fino a quando i prezzi vengono percepiti come massimi’”. Per avere un’idea delle quantità di materie prime in ballo, basti pensare che la capacità di stoccaggio combinata di Adm, Bunge e Cofco, è pari a circa 68 milioni di tonnellate, è simile al consumo annuo di grano di Stati Uniti, Turchia e Regno Unito messi assieme.

    Terzo e ultimo elemento individuato nel report è il fatto che queste società sono integrate verticalmente e hanno il pieno controllo della filiera produttiva dal campo alla tavola: forniscono cioè agli agricoltori prestiti, sementi, fertilizzanti e pesticidi; immagazzinano, trasformano e trasportano i prodotti alimentari.

    A fronte di questa situazione, Somo ha invitato la Commissione europea a intervenire per porre un freno alla crescente monopolizzazione del comparto: “L’indagine dovrebbe concentrarsi sul potere che può essere esercitato nei confronti dei fornitori per comprimere i loro margini di profitto -concludono i ricercatori-. È preoccupante che alle multinazionali sia stato permesso di triplicare i loro profitti facendo salire i prezzi degli alimenti, mentre le persone in tutto il mondo soffrono di una crisi del costo della vita e i più poveri sono alla fame”. Per questo motivo l’organizzazione suggerisce di applicare un’imposta sugli extra-profitti delle società Abccd che, con un’ipotetica aliquota fiscale del 33%. A fronte di utili che hanno toccato i 5,7 miliardi di dollari nel 2021 e i 6,4 miliardi nel 2022, permetterebbe di generare un gettito fiscale pari rispettivamente a 1,8 e 2 miliardi di dollari.

    https://altreconomia.it/gli-utili-record-dei-padroni-del-cibo-a-scapito-della-sicurezza-aliment
    #agriculture #business #profits #industrie_agro-alimentaire #sécurité_alimentaire #inflation #Archer-Daniels-Midland_company #Cargill #Cofco #Louis_Dreyfus_Company (#Abccd) #oligopole #céréales #soja #sucre

  • Le système alimentaire mondial menace de s’effondrer

    Aux mains de quelques #multinationales et très liée au secteur financier, l’#industrie_agroalimentaire fonctionne en #flux_tendu. Ce qui rend la #production mondiale très vulnérable aux #chocs politiques et climatiques, met en garde l’éditorialiste britannique George Monbiot.

    Depuis quelques années, les scientifiques s’évertuent à alerter les gouvernements, qui font la sourde oreille : le #système_alimentaire_mondial ressemble de plus en plus au système financier mondial à l’approche de 2008.

    Si l’#effondrement de la finance aurait été catastrophique pour le bien-être humain, les conséquences d’un effondrement du #système_alimentaire sont inimaginables. Or les signes inquiétants se multiplient rapidement. La flambée actuelle des #prix des #aliments a tout l’air du dernier indice en date de l’#instabilité_systémique.

    Une alimentation hors de #prix

    Nombreux sont ceux qui supposent que cette crise est la conséquence de la #pandémie, associée à l’#invasion de l’Ukraine. Ces deux facteurs sont cruciaux, mais ils aggravent un problème sous-jacent. Pendant des années, la #faim dans le monde a semblé en voie de disparition. Le nombre de personnes sous-alimentées a chuté de 811 millions en 2005 à 607 millions en 2014. Mais la tendance s’est inversée à partir de 2015, et depuis [selon l’ONU] la faim progresse : elle concernait 650 millions de personnes en 2019 et elle a de nouveau touché 811 millions de personnes en 2020. L’année 2022 s’annonce pire encore.

    Préparez-vous maintenant à une nouvelle bien plus terrible : ce phénomène s’inscrit dans une période de grande #abondance. La #production_alimentaire mondiale est en hausse régulière depuis plus de cinquante ans, à un rythme nettement plus soutenu que la #croissance_démographique. En 2021, la #récolte mondiale de #blé a battu des records. Contre toute attente, plus d’humains ont souffert de #sous-alimentation à mesure que les prix alimentaires mondiaux ont commencé à baisser. En 2014, quand le nombre de #mal_nourris était à son niveau le plus bas, l’indice des #prix_alimentaires [de la FAO] était à 115 points ; il est tombé à 93 en 2015 et il est resté en deçà de 100 jusqu’en 2021.

    Cet indice n’a connu un pic que ces deux dernières années. La flambée des prix alimentaires est maintenant l’un des principaux facteurs de l’#inflation, qui a atteint 9 % au Royaume-Uni en avril 2022 [5,4 % en France pour l’indice harmonisé]. L’alimentation devient hors de prix pour beaucoup d’habitants dans les pays riches ; l’impact dans les pays pauvres est beaucoup plus grave.

    L’#interdépendance rend le système fragile

    Alors, que se passe-t-il ? À l’échelle mondiale, l’alimentation, tout comme la finance, est un système complexe qui évolue spontanément en fonction de milliards d’interactions. Les systèmes complexes ont des fonctionnements contre-intuitifs. Ils tiennent bon dans certains contextes grâce à des caractéristiques d’auto-organisation qui les stabilisent. Mais à mesure que les pressions s’accentuent, ces mêmes caractéristiques infligent des chocs qui se propagent dans tout le réseau. Au bout d’un moment, une perturbation même modeste peut faire basculer l’ensemble au-delà du point de non-retour, provoquant un effondrement brutal et irrésistible.

    Les scientifiques représentent les #systèmes_complexes sous la forme d’un maillage de noeuds et de liens. Les noeuds ressemblent à ceux des filets de pêche ; les liens sont les fils qui les connectent les uns aux autres. Dans le système alimentaire, les noeuds sont les entreprises qui vendent et achètent des céréales, des semences, des produits chimiques agricoles, mais aussi les grands exportateurs et importateurs, et les ports par lesquels les aliments transitent. Les liens sont leurs relations commerciales et institutionnelles.

    Si certains noeuds deviennent prépondérants, fonctionnent tous pareil et sont étroitement liés, alors il est probable que le système soit fragile. À l’approche de la crise de 2008, les grandes banques concevaient les mêmes stratégies et géraient le risque de la même manière, car elles courraient après les mêmes sources de profit. Elles sont devenues extrêmement interdépendantes et les gendarmes financiers comprenaient mal ces liens. Quand [la banque d’affaires] Lehman Brothers a déposé le bilan, elle a failli entraîner tout le monde dans sa chute.

    Quatre groupes contrôlent 90 % du commerce céréalier

    Voici ce qui donne des sueurs froides aux analystes du système alimentaire mondial. Ces dernières années, tout comme dans la finance au début des années 2000, les principaux noeuds du système alimentaire ont gonflé, leurs liens se sont resserrés, les stratégies commerciales ont convergé et se sont synchronisées, et les facteurs susceptibles d’empêcher un #effondrement_systémique (la #redondance, la #modularité, les #disjoncteurs, les #systèmes_auxiliaires) ont été éliminés, ce qui expose le système à des #chocs pouvant entraîner une contagion mondiale.

    Selon une estimation, quatre grands groupes seulement contrôlent 90 % du #commerce_céréalier mondial [#Archer_Daniels_Midland (#ADM), #Bunge, #Cargill et #Louis_Dreyfus]. Ces mêmes entreprises investissent dans les secteurs des #semences, des #produits_chimiques, de la #transformation, du #conditionnement, de la #distribution et de la #vente au détail. Les pays se divisent maintenant en deux catégories : les #super-importateurs et les #super-exportateurs. L’essentiel de ce #commerce_international transite par des goulets d’étranglement vulnérables, comme les détroits turcs (aujourd’hui bloqués par l’invasion russe de l’Ukraine), les canaux de Suez et de Panama, et les détroits d’Ormuz, de Bab El-Mandeb et de Malacca.

    L’une des transitions culturelles les plus rapides dans l’histoire de l’humanité est la convergence vers un #régime_alimentaire standard mondial. Au niveau local, notre alimentation s’est diversifiée mais on peut faire un constat inverse au niveau mondial. Quatre plantes seulement - le #blé, le #riz, le #maïs et le #soja - correspondent à près de 60 % des calories cultivées sur les exploitations. La production est aujourd’hui extrêmement concentrée dans quelques pays, notamment la #Russie et l’#Ukraine. Ce #régime_alimentaire_standard_mondial est cultivé par la #ferme_mondiale_standard, avec les mêmes #semences, #engrais et #machines fournis par le même petit groupe d’entreprises, l’ensemble étant vulnérable aux mêmes chocs environnementaux.

    Des bouleversements environnementaux et politiques

    L’industrie agroalimentaire est étroitement associée au #secteur_financier, ce qui la rend d’autant plus sensible aux échecs en cascade. Partout dans le monde, les #barrières_commerciales ont été levées, les #routes et #ports modernisés, ce qui a optimisé l’ensemble du réseau mondial. On pourrait croire que ce système fluide améliore la #sécurité_alimentaire, mais il a permis aux entreprises d’éliminer des coûts liés aux #entrepôts et #stocks, et de passer à une logique de flux. Dans l’ensemble, cette stratégie du flux tendu fonctionne, mais si les livraisons sont interrompues ou s’il y a un pic soudain de la demande, les rayons peuvent se vider brusquement.

    Aujourd’hui, le système alimentaire mondial doit survive non seulement à ses fragilités inhérentes, mais aussi aux bouleversements environnementaux et politiques susceptibles de s’influencer les uns les autres. Prenons un exemple récent. À la mi-avril, le gouvernement indien a laissé entendre que son pays pourrait compenser la baisse des exportations alimentaires mondiales provoquée par l’invasion russe de l’Ukraine. Un mois plus tard, il interdisait les exportations de blé, car les récoltes avaient énormément souffert d’une #canicule dévastatrice.

    Nous devons de toute urgence diversifier la production alimentaire mondiale, sur le plan géographique mais aussi en matière de cultures et de #techniques_agricoles. Nous devons briser l’#emprise des #multinationales et des spéculateurs. Nous devons prévoir des plans B et produire notre #nourriture autrement. Nous devons donner de la marge à un système menacé par sa propre #efficacité.

    Si tant d’êtres humains ne mangent pas à leur faim dans une période d’abondance inédite, les conséquences de récoltes catastrophiques que pourrait entraîner l’effondrement environnemental dépassent l’entendement. C’est le système qu’il faut changer.

    https://www.courrierinternational.com/article/crise-le-systeme-alimentaire-mondial-menace-de-s-effondrer

    #alimentation #vulnérabilité #fragilité #diversification #globalisation #mondialisation #spéculation

  • Exportations mondiales de graine de soja dans les années 1980
    https://visionscarto.net/exportations-mondiales-soja

    Titre : Exportations mondiales de graine de soja Mots-clés : #archives #géographie #matières_premières #sémiologie #1988 Contexte : Exercice - Recherche cartographique réalisée à l’école supérieure de cartographie géographique de l’Institut de géographie, université de Paris I Sources : - Auteur : Philippe Rekacewicz Date : 1988 #Musée_et_archives

  • Cutting down forests: what are the drivers of #deforestation? - Our World in Data
    https://ourworldindata.org/what-are-drivers-deforestation

    Beef, soy and palm oil are responsible for 60% of tropical deforestation

    If we want to tackle deforestation we also need to know what causes it. That allows us to avoid the foods that drive deforestation or innovate the ways we produce them.

    #élevage #soja #huile_de_palme

  • Violence et déforestation, le prix du soja français
    26 nov. 2020 - Disclose.ngo
    https://disclose.ngo/fr/article/violence-et-deforestation-le-prix-du-soja-francais

    En remontant la filière du soja entre le Brésil et la France, Disclose a découvert qu’une partie de ces importations sont liées à des incendies volontaires et des exactions contre des habitants du Cerrado, l’autre poumon de la planète après l’Amazonie.

    On nous avait prévenus, il y a comme un courant d’air sucré dans le port de Montoir-de-Bretagne (Loire-Atlantique). Les habitants de l’estuaire de la Loire connaissent bien l’odeur du soja qui s’échappe des bateaux. Par dizaines, ces cargos de l’or jaune, véritables géants de mers venus du Brésil, font escale chaque année sur les rives de cette commune de l’ouest de la France. (...)

    https://www.youtube.com/watch?v=AIe6paNCCCc&feature=emb_logo

  • Land grabbing by agribusiness also claims lives in Latin America
    https://www.grain.org/en/article/6419-land-grabbing-by-agribusiness-also-claims-lives-in-latin-america

    The business group Cresud controls 370 thousand hectares in the province of Salta, in the ancestral lands of the Wichi people. There, in the first months of 2020, nine children have died from malnutrition and lack of water. We must not allow agribusiness to keep claiming lives.

    #terres #déforestation #agro-industrie #soja #maïs #eau #malnutrition #peuples_premiers

  • Le gouvernement a créé une #cellule_militaire pour surveiller les opposants à l’agro-industrie

    Le gouvernement veut « faire taire tous ceux qui mènent des actions symboliques contre le système de l’#agriculture_industrielle », dénoncent de multiples défenseurs de l’#agriculture_paysanne et biologique, réunis dans cette tribune. Ils s’inquiètent fortement de la création de la #cellule_de_renseignement #Demeter, lancée fin octobre, soi-disant destinée à lutter contre l’« #agribashing ».

    Il y aura un avant et un après Demeter. Le 13 décembre, le ministre de l’Intérieur de la République française Christophe #Castaner s’est rendu dans le Finistère en compagnie de la présidente de la #FNSEA #Christiane_Lambert. Dans le cadre d’une #convention signée entre son ministère et ce #syndicat_agricole. Cette première anomalie démocratique — depuis quand la #police républicaine est-elle aux ordres d’une structure privée ? — n’est pas la dernière, de loin.

    En effet, ce voyage avait pour but principal de lancer une cellule de la #gendarmerie_nationale appelée Demeter, la déesse grecque des moissons. Et marque reconnue, depuis des lustres, de l’agriculture sans pesticides. Quel en est le but affiché ? La lutte contre « l’agribashing ». Ce terme est une invention des communicants de la FNSEA, qui prétend sans en apporter la moindre preuve qu’on assisterait en #France à une entreprise concertée de dénigrement du monde agricole. Elle permet à ce syndicat de maintenir ce qu’elle fait depuis des dizaines d’années : une pression lobbyiste pour obtenir en retour des avantages économiques.

    Le ministre, confronté avec son gouvernement à une situation politique difficile, a donc décidé de jouer ce rôle dangereux, affirmant par exemple : « Depuis quelques années, un phénomène grandit, inacceptable. De plus en plus, nos agriculteurs sont visés par des intimidations, des dégradations, des insultes. »

    Empêtré dans cette imprudente déclaration, le ministre démontre dans le même texte qu’il est incapable de prouver par le moindre fait la réalité de ce phénomène. Les #chiffres qu’il cite pour 2019 parlent d’eux-mêmes : sur la base de 440.000 exploitations agricoles, les plaintes portent sur 314 tracteurs volés, 24 vols avec violence, 657 voitures dérobées.

    Encore faut-il préciser que les vols avec violences ont diminué en un an de 31,4 %. La plupart des centres urbains se damneraient pour de telles #statistiques. Il est visiblement plus simple de mobiliser la police que de régler la situation dramatique de la #paysannerie française.

    Il y a encore plus grave. Volontairement, n’en doutons pas, M. Castaner mélange dans un stupéfiant gloubi-boulga la #délinquance vile — cambriolages, vols de matériel, incendies, dégradations —, les #occupations_de_terres_agricoles par des #gens_du_voyage, les actions antifourrure ou antichasse. C’est mettre sur le même plan criminel le vol, le droit des populations nomades, celui de la critique sociale et politique.

    Il y a encore plus grave. M.Castaner entend s’attaquer dans le cadre de Demeter, ainsi qu’il l’écrit, aux « actions de nature idéologique, qu’il s’agisse de simples #actions_symboliques de #dénigrement du milieu agricole ou d’#actions_dures ayant des répercussions matérielles ou physiques ». Cette fois, on aura compris : il s’agit de faire taire tous ceux qui mènent des actions symboliques contre le système de l’agriculture industrielle, dont la FNSEA est le principal soutien.

    La #démocratie, ce n’est pas pactiser avec les #lobbies dans le dos de la société

    Qui mène « des actions symboliques » contre ce système ? Le mouvement des #Coquelicots, qui réclame la fin des #pesticides, soutenu par un million de citoyens. Les #maires qui prennent des arrêtés contre ces poisons chimiques. Des dizaines de milliers de paysans qui ont déjà choisi l’agriculture biologique. Beaucoup d’autres, qui défendent le modèle de l’agriculture paysanne contre les projets délirants d’usines à vaches, à cochons ou à poulets. Et au total des centaines de milliers de citoyens engagés contre l’importation massive de #soja_transgénique et donc l’#élevage_industriel, contre la mort des oiseaux et des insectes, pour des rivières débarrassées de la pollution et des rivages sans algues vertes, enfin pour une #alimentation de haute qualité.

    Il ne fait aucun doute, à nos yeux, qu’une ligne a été franchie. La démocratie, ce n’est pas pactiser avec les lobbies dans le dos de la société. Et quand le ministre parle « d’améliorer [la] coopération avec le monde agricole et de recueillir des renseignements », chacun comprend ce que cela veut dire. Cela signifie l’#intimidation accrue de tous les adversaires décidés de la FNSEA, qui passe nécessairement par la #surveillance_électronique et informatique, d’éventuelles #écoutes_téléphoniques, voire des #filatures, des #infiltrations, ou pire encore, la #délation.

    Nous prévenons solennellement le gouvernement que nous refusons cette #criminalisation et que nous demandons le démantèlement de la cellule Demeter. Notre contestation de l’agriculture industrielle, non-violente, se fait et se fera au grand jour, dans la conviction d’exprimer la volonté majoritaire de la société française. Nous voulons beaucoup de paysans, beaucoup plus de paysans, heureux et fiers de leur métier, enfin payés au prix convenable pour leur participation au bien commun. C’est en effet un autre monde que celui de la FNSEA.

    https://m.reporterre.net/Le-gouvernement-cree-une-cellule-militaire-pour-surveiller-les-opposan
    #répression #surveillance #résistance #industrie_agro-alimentaire #agriculture_biologique

    ping @davduf @odilon @fil @etraces
    @mathieup @daphne @albertocampiphoto

    • Présentation de « DEMETER », la cellule nationale de suivi des atteintes au monde agricole

      Edito

      Depuis quelques années, un phénomène grandit, inacceptable. De plus en plus, nos agriculteurs sont visés par des intimidations, des dégradations, des insultes. Des individus s’introduisent dans leurs exploitations agricoles et les bloquent. Ils font des films aux commentaires orduriers, avant de jeter les exploitants en pâture sur les réseaux sociaux. Parfois même, les intrus dégradent, cassent et volent.

      En se multipliant, certains actes confinent à l’absurde. Je pense à ces militants animalistes responsables de la mort de plus de 1 400 animaux dans l’Eure pour leur avoir fait peur en s’introduisant dans un élevage de dindes.

      Ces phénomènes, nous devons les prendre très au sérieux : ils gâchent la vie des agriculteurs, inquiets chaque jour de savoir ce qui peut leur arriver. Ils nourrissent l’agribashing, la défiance et l’hostilité.

      Comme élu des Alpes-de-Haute-Provence, terre d’élevage, j’ai vu tous les sacrifices que doivent accepter nos agriculteurs, toute la passion qu’ils mettent dans leur métier et le soin qu’ils donnent à leurs animaux.

      La réalité, c’est que nos agriculteurs font un travail difficile, exigeant, essentiel. Ils ne connaissent pas de repos, font une partie de la renommée de la France et nous permettent de bénéficier de produits de qualité exceptionnelle. Ils se soumettent à des contrôles stricts et réguliers, s’investissent pour améliorer le bien-être animal. La loi est particulièrement vigilante, c’est elle seule qui doit s’appliquer, et l’État est là pour y veiller. Rien ne justifie une quelconque intimidation.

      Nous devons assurer la sécurité des agriculteurs et les défendre, impérativement.

      J’ai donc décidé d’une série d’actions pour mieux protéger nos agriculteurs et c’est l’objet, notamment, de la Cellule Demeter. Créée au sein de la Gendarmerie nationale, la cellule Demeter va permettre :

      d’améliorer notre coopération avec le monde agricole et de recueillir des renseignements ;
      de mieux connaître les groupes extrémistes à l’origine des atteintes et de pouvoir anticiper et prévenir leurs actions ;
      de pouvoir gagner en efficacité par des actions et des enquêtes mieux coordonnées.

      Cette cellule est un signal fort envoyé aux agriculteurs : les forces de l’ordre se tiennent à leur côté et sont là pour les aider.
      La création de la cellule est également une étape dans un plan plus vaste encore pour la sécurité du monde agricole. Ainsi, par la signature d’une convention entre le ministère de l’Intérieur, la FNSEA et les Jeunes Agriculteurs :

      nous nous assurons que des échanges d’information réguliers se fassent entre agriculteurs et forces de l’ordre ;
      nous renforçons la prévention en garantissant des diagnostics de sécurité pour les exploitations ;
      nous nous engageons à donner priorité aux interventions pour les agriculteurs victimes d’actions violentes.

      Cette convention, tout comme la Cellule Demeter, ce sont des actes forts et concrets. Ils s’inscrivent pleinement dans la stratégie déployée par le Gouvernement en faveur du monde agricole et le ministère de l’Intérieur participe ainsi à la mise en place des Observatoires de l’agribashing créés à l’initiative du ministère de l’agriculture.

      Avec Laurent Nuñez, nous sommes déterminés à combattre de toutes nos forces les atteintes contre les agriculteurs et leurs exploitations. Nous sommes déterminés à ce que chacun puisse exercer sa profession librement. Nous sommes résolus à protéger notre agriculture.

      Christophe Castaner, ministre de l’Intérieur
      Les objectifs de la cellule DEMETER :

      Créée début octobre 2019 par la direction générale de la gendarmerie nationale, la « Cellule nationale de suivi des atteintes au monde agricole » (cellule DEMETER) est destinée à apporter une réponse globale et coordonnée à l’ensemble des problématiques qui touchent le monde agricole en menant collégialement les actions dans les 4 domaines :

      de la prévention et de l’accompagnement des professionnels du milieu agricole par des actions de sensibilisation et de conseils destinées à prévenir la commission d’actes délictueux, en lien avec les organismes de représentation du monde agricole (SDSPSR) ;
      de la recherche et de l’analyse du renseignement en vue de réaliser une cartographie évolutive de la menace et détecter l’émergence de nouveaux phénomènes et/ou groupuscules (SDAO en coordination avec SDPJ) ;
      du traitement judiciaire des atteintes visant le monde agricole par une exploitation centralisée du renseignement judiciaire, un partage ciblé de l’information et une coordination des investigations le nécessitant (SDPJ) ;
      de la communication, en valorisant opportunément toutes les actions menées dans ces différents domaines par la gendarmerie au nom de la cellule DEMETER et par des actions ciblées destinées à rassurer le monde agricole par la prise en compte de ses problématiques par les forces de l’ordre (SIRPA).

      Le périmètre de compétence de la cellule DEMETER :

      La nécessité d’appréhender la globalité du phénomène des atteintes au milieu agricole implique que le périmètre de compétence de la Cellule DEMETER englobe la prévention et le suivi :

      des actes crapuleux, qu’il s’agisse d’une délinquance de proximité et d’opportunité (ex : vol isolé de gasoil ou d’outillage,etc.) ou d’une criminalité organisée voire internationale (ex : filière de vol de GPS agricole, etc.) ;
      des actions de nature idéologique, qu’il s’agisse de simples actions symboliques de dénigrement du milieu agricole ou d’actions dures ayant des répercussions matérielles ou physiques.

      Peuvent ainsi être citées, de manière non exhaustive :

      les vols (d’engins, de matériels, de production, etc.) visant les exploitations agricoles de tous types (élevage, pisciculture, culture, viticulture) ;
      les dégradations (incendies, sabotage de matériel, etc.) commises à l’encontre des exploitations agricoles de tous types ;
      les cambriolages commis aux seins des exploitations agricoles (hangars, etc.) ou aux domiciles des agriculteurs ;
      les violations de domiciles ou intrusions visant des exploitations agricoles ou des professionnels de l’agro-alimentaire aux fins d’y mener des actions symboliques (libération d’animaux, tournage de vidéos clandestines,etc.) ;
      les occupations illégales de terrains agricoles aux fins d’installation temporaire par des groupes
      constitués de gens du voyage ou d’organisation d’événements festifs non autorisés (free-parties) ;
      les dégradations commises à l’encontre de certains professionnels liés aux milieu agricole ou agro-
      alimentaire (boucheries, abattoirs, activités de transport d’animaux d’élevage, etc.) ;
      les actions anti-fourrure liées à des élevages spécifiques ;
      les actions menées par certains groupes antispécistes vis-à-vis du monde de la chasse, intimement
      lié au monde agricole (impact de la régulation cynégétique sur la protection des cultures, identité
      rurale, etc.) peuvent être intégrées à la cellule DEMETER en fonction des circonstances.

      L’organisation de la cellule DEMETER :

      Destinée à garantir une approche transverse et globale, la Cellule DEMETER implique, au niveau central, la participation prioritaire et permanente :

      de la SDSPSR au titre des diverses actions de prévention et de suivi de la convention de partenariat entre la DGGN et la FNSEA/JA ;
      de la SDAO au titre du recueil et de l’exploitation du renseignement et de l’analyse de la menace ;
      de la SDPJ, du SCRC et de l’OCLDI, au titre de l’analyse des phénomènes de délinquance et du suivi et de la coordination des affaires judiciaires ;
      du SIRPA au titre de l’accompagnement médiatique du dispositif.

      À cet effet, la Cellule DEMETER est une structure :

      fonctionnelle, n’imposant pas de mise à disposition co-localisée des personnels des entités impliquées ;
      permanente afin d’assurer néanmoins un suivi constant de la problématique.

      Elle est un réseau de référents (titulaire/suppléant) spécifiquement chargés, au sein de leurs sous-directions ou services, de la centralisation et de l’analyse des informations.
      Signature d’une convention avec la fédération nationale des syndicats d’exploitants agricoles et jeunes agriculteurs

      La signature d’une convention tripartite entre la FNSEA, les JA et le ministère de l’intérieur est destinée à :

      instaurer un échange réciproque et régulier avec la profession
      généraliser les dispositifs de prévention technique de la malveillance (diagnostics de sureté des exploitations)
      à prioriser l’intervention au profit des agriculteurs confrontés à des infractions violentes

      Les atteintes au milieu agricole (Données GN - Actualisation au 30 novembre 2019)

      Les tensions pesant sur le monde agricole ont conduit à la mise en place, le 3 octobre 2019, de la cellule « Demeter », au sein de la GN. Depuis le 1er janvier 2019, les atteintes à l’encontre du milieu agricole sont en hausse (+1,5%). Une étude plus approfondie fait apparaître des disparités géographiques importantes et révèle l’émergence de phénomènes ciblés (vols de matériels agricoles). Le regain d’attention des professionnels du secteur sur les risques auxquels ils sont exposés s’amplifie au regard de la hausse des audits et consultations de sûreté réalisés (+22,4 % soit 333 audits et consultations). Ces actions se poursuivent pour répondre aux inquiétudes des 440.000 exploitants de métropole.
      Un bilan en voie d’amélioration

      Le bilan 2019 des atteintes aux biens commises au préjudice du monde agricole affiche une hausse de +1,5 % (+216 faits) pour un total de 14 498 faits enregistrés (2 atteintes chaque
      heure). Deux tiers d’entre-elles (64,5%) sont constituées de vols simples (sur ou hors exploitations agricoles), en baisse de -2,2 %.

      Dans le détail, les vols avec violences (24 faits) comme les vols dans ou sur véhicules (1 310 faits) reculent respectivement de -31,4 % et -10,1 %. A contrario, on assiste à une recrudescence des destructions et dégradations (+23,3 % pour un total de 1 675 faits), des cambriolages et vols par ruse (+16,2 % pour un total de 1 484 faits) et des vols de véhicules (+10,2 % pour un total de 657 faits). Les crimes et délits dont sont victimes les agriculteurs se caractérisent par une forte logique saisonnière, connaissant leurs pics au printemps et en été. Après un début d’année marqué par la hausse continue de ces actes à l’encontre du monde agricole, une inversion de tendance s’observe à compter du mois d’août 2019, comparé aux mêmes mois 2018. L’étude géographique de l’évolution des AAB dans le milieu agricole témoigne de situations contrastées selon les territoires d’outre-mer ou de métropole. On enregistre en moyenne 133 faits de délinquance/an par département.

      La cartographie des départements les plus impactés par les atteintes dans les exploitations agricoles trouve une certaine cohérence avec celle des grandes zones de culture et d’élevage. Les régions à dominante céréalière sont notamment très concernées. Ce phénomène peut notamment s’expliquer par la présence de nombreux engins agricoles qui sont l’objet de trafics.
      Des vols de matériels agricoles à haute valeur ajoutée en augmentation

      Depuis le 1er janvier, 314 tracteurs et 307 accessoires agricoles ont fait l’objet d’une inscription pour vol dans le FOVES, en hausse par rapport à l’année 2018. Cela représente près d’1 tracteur volé chaque jour. Les préjudices qui résultent de ces vols peuvent s’avérer particulièrement élevés. Selon l’indice mensuel des prix d’achat des moyens de production agricole (Ipampa), publié chaque fin de mois par l’Insee, le prix moyen des tracteurs agricoles a ainsi progressé de +20,8% en 10 ans (2008 à 2018), soit une moyenne de 2% par an.
      Une sensibilisation en hausse

      Depuis le 1er janvier 2019, 264 exploitations agricoles (+24,5%) et 69 (+15%) concessionnaires agricoles ont fait l’objet d’un audit ou d’une consultation de sûreté. L’implication des référents et consultants sûreté est à souligner mais l’effort doit se poursuivre au regard des 440 000 exploitations agricoles installées en métropole.

      https://www.interieur.gouv.fr/Le-ministre/Dossiers-de-presse/Presentation-de-DEMETER-la-cellule-nationale-de-suivi-des-atteintes-a

  • Après le #soja et l’#huile_de_palme… Le #cacao, l’autre culture qui grignote la #forêt
    https://www.20minutes.fr/planete/2617483-20191001-apres-soja-huile-palme-cacao-autre-culture-grignote-foret

    ... plus que la disparition du cacao, le danger immédiat est celui de sa surproduction. Et pour cause, la surface consacrée à cette culture a plus que doublé depuis les années 1970, passant de 4 millions d’hectares à 10 millions aujourd’hui sur la planète, rappelle l’Iddri dans une étude cosignée par les deux chercheurs et publiée ce mardi, à l’occasion de la Journée mondiale du #chocolat. Cet étalement n’est pas sans rappeler le fort développement de la culture de soja au #Brésil ou celle de l’huile de palme en #Indonésie et en #Malaisie, qui se font au détriment de la région de savane du Cerrado pour la première, et des forêts tropicales d’Asie du Sud-Est pour la seconde.

    #déforestation

  • Au menu : steak de boeuf alimenté au soja transgénique cultivé sur coupe rase de forêt amazonienne
    https://www.passerelleco.info/article.php?id_article=2275

    Alors que la canicule étouffe la France, Greenpeace France démontre une nouvelle fois le manque flagrant d’action du gouvernement pour changer de trajectoire. « L’Europe suffoque et avec le réchauffement climatique, cela ne fera qu’empirer. Puisque le gouvernement est incapable de respecter ses engagements pour lutter contre la déforestation et le changement climatique, nous sommes venus le faire à sa place », déclare Cécile Leuba, chargée de campagne forêts chez Greenpeace France. 50 activistes, (...)

    #Alimentation

    https://www.passerelleco.info/IMG/pdf/l_europe_accro_a_la_viande.pdf

  • Lait de Soja
    https://cuisine-libre.fr/lait-de-soja

    Mettre les graines à tremper dans un grande quantité d’eau froide durant 2 jours. Les graines vont doubler leur poids d’origine en 24 h environ. Elles vont changer de forme : de rondes elles deviennent ovales, comme un haricot blanc. Après cette étape de trempage, (la peau doit se détacher facilement sous les doigts si elles ne sont pas dépelliculées), bien rincer le soja. Il n’est pas indispensable d’ôter la pellicule entourant la fève. Mais la présence de la pellicule donnera un goût plus prononcé au…

    #Soja, #Milkshakes, #Lait_végétal / #Végétarien, #Sans_œuf, #Sans_gluten, Végétalien (vegan), #Sans_lactose, #Sans_viande, (...) #Végétalien #vegan #Bouilli

  • Brazil new President will open Amazon indigenous reserves to mining and farming

    Indigenous People Bolsonaro has vowed that no more indigenous reserves will be demarcated and existing reserves will be opened up to mining, raising the alarm among indigenous leaders. “We are in a state of alert,” said Beto Marubo, an indigenous leader from the Javari Valley reserve.

    Dinamam Tuxá, the executive coordinator of the Indigenous People of Brazil Liaison, said indigenous people did not want mining and farming on their reserves, which are some of the best protected areas in the Amazon. “He does not respect the indigenous peoples’ traditions” he said.

    The Amazon and the environment Bolsonaro campaigned on a pledge to combine Brazil’s environment ministry with the agriculture ministry – under control of allies from the agribusiness lobby. He has attacked environmental agencies for running a “fines industry” and argued for simplifying environmental licences for development projects. His chief of staff, Onyx Lorenzoni, and other allies have challenged global warming science.

    “He intends that Amazon stays Brazilian and the source of our progress and our riches,” said Ribeiro Souto in an interview. Ferreira has also said Bolsonaro wants to restart discussions over controversial hydroelectric dams in the Amazon, which were stalled over environmental concerns.

    Bolsonaro’s announcement last week that he would no longer seek to withdraw Brazil from the Paris climate agreement has done little to assuage environmentalists’ fears.

    http://www.whitewolfpack.com/2018/10/brazil-new-president-will-open-amazon.html
    #réserves #Amazonie #Brésil #extractivisme #mines #agriculture #forêt #déforestation (probablement pour amener ENFIN la #modernité et le #progrès, n’est-ce pas ?) #aires_protégées #peuples_autochtones #barrages_hydroélectriques

    • Un leader paysan assassiné dans l’Amazonie brésilienne

      Le leader paysan, #Aluisio_Samper, dit #Alenquer, a été assassiné jeudi après-midi 11 octobre 2018 chez lui, à #Castelo_de_Sonhos, une ville située le long de la route BR-163 qui relie le nord de l’État de #Mato_Grosso, la principale région productrice de #soja du Brésil, aux deux fleuves Tapajós et Amazone.

      Il défendait des paysans qui s’accrochaient à des lopins de terre qu’ils cultivaient pour survivre, alors que le gouvernement les avaient inclues dans un projet de #réforme_agraire et allait les attribuer à des associations de gros producteurs.


      https://reporterre.net/Un-leader-paysan-assassine-dans-l-Amazonie-bresilienne
      #assassinat #terres #meurtre

    • As Brazil’s Far Right Leader Threatens the Amazon, One Tribe Pushes Back

      “Where there is indigenous land,” newly elected President Jair Bolsonaro has said, “there is wealth underneath it.”

      The Times traveled hundreds of miles into the Brazilian Amazon, staying with a tribe in the #Munduruku Indigenous Territory as it struggled with the shrinking rain forest.

      The miners had to go.

      Their bulldozers, dredges and high-pressure hoses tore into miles of land along the river, polluting the water, poisoning the fish and threatening the way life had been lived in this stretch of the Amazon for thousands of years.

      So one morning in March, leaders of the Munduruku tribe readied their bows and arrows, stashed a bit of food into plastic bags and crammed inside four boats to drive the miners away.

      “It has been decided,” said Maria Leusa Kabá, one of the women in the tribe who helped lead the revolt.

      https://www.nytimes.com/2018/11/10/world/americas/brazil-indigenous-mining-bolsonaro.html

    • Indigenous People, the First Victims of Brazil’s New Far-Right Government

      “We have already been decimated and subjected, and we have been victims of the integrationist policy of governments and the national state,” said indigenous leaders, as they rejected the new Brazilian government’s proposals and measures focusing on indigenous peoples.

      In an open letter to President Jair Bolsonaro, leaders of the Aruak, Baniwa and Apurinã peoples, who live in the watersheds of the Negro and Purus rivers in Brazil’s northwestern Amazon jungle region, protested against the decree that now puts indigenous lands under the Ministry of Agriculture, which manages interests that run counter to those of native peoples.

      Indigenous people are likely to present the strongest resistance to the offensive of Brazil’s new far-right government, which took office on Jan. 1 and whose first measures roll back progress made over the past three decades in favor of the 305 indigenous peoples registered in this country.

      Native peoples are protected by article 231 of the Brazilian constitution, in force since 1988, which guarantees them “original rights over the lands they traditionally occupy,” in addition to recognising their “social organisation, customs, languages, beliefs and traditions.”

      To this are added international regulations ratified by the country, such as Convention 169 on Indigenous and Tribal Peoples of the International Labor Organisation, which defends indigenous rights, such as the right to prior, free and informed consultation in relation to mining or other projects that affect their communities.

      It was indigenous people who mounted the stiffest resistance to the construction of hydroelectric dams on large rivers in the Amazon rainforest, especially Belo Monte, built on the Xingu River between 2011 and 2016 and whose turbines are expected to be completed this year.

      Transferring the responsibility of identifying and demarcating indigenous reservations from the National Indigenous Foundation (Funai) to the Ministry of Agriculture will hinder the demarcation of new areas and endanger existing ones.

      There will be a review of the demarcations of Indigenous Lands carried out over the past 10 years, announced Luiz Nabhan García, the ministry’s new secretary of land affairs, who is now responsible for the issue.

      García is the leader of the Democratic Ruralist Union, a collective of landowners, especially cattle ranchers, involved in frequent and violent conflicts over land.

      Bolsonaro himself has already announced the intention to review Raposa Serra do Sol, an Indigenous Land legalised in 2005, amid legal battles brought to an end by a 2009 Supreme Court ruling, which recognised the validity of the demarcation.

      This indigenous territory covers 17,474 square kilometers and is home to some 20,000 members of five different native groups in the northern state of Roraima, on the border with Guyana and Venezuela.

      In Brazil there are currently 486 Indigenous Lands whose demarcation process is complete, and 235 awaiting demarcation, including 118 in the identification phase, 43 already identified and 74 “declared”.

      “The political leaders talk, but revising the Indigenous Lands would require a constitutional amendment or proof that there has been fraud or wrongdoing in the identification and demarcation process, which is not apparently frequent,” said Adriana Ramos, director of the Socio-environmental Institute, a highly respected non-governmental organisation involved in indigenous and environmental issues.

      “The first decisions taken by the government have already brought setbacks, with the weakening of the indigenous affairs office and its responsibilities. The Ministry of Health also announced changes in the policy toward the indigenous population, without presenting proposals, threatening to worsen an already bad situation,” she told IPS from Brasilia.

      “The process of land demarcation, which was already very slow in previous governments, is going to be even slower now,” and the worst thing is that the declarations against rights “operate as a trigger for violations that aggravate conflicts, generating insecurity among indigenous peoples,” warned Ramos.

      In the first few days of the new year, and of the Bolsonaro administration, loggers already invaded the Indigenous Land of the Arara people, near Belo Monte, posing a risk of armed clashes, she said.

      The indigenous Guaraní people, the second largest indigenous group in the country, after the Tikuna, who live in the north, are the most vulnerable to the situation, especially their communities in the central-eastern state of Mato Grosso do Sul.

      They are fighting for the demarcation of several lands and the expansion of too-small areas that are already demarcated, and dozens of their leaders have been murdered in that struggle, while they endure increasingly precarious living conditions that threaten their very survival.

      “The grave situation is getting worse under the new government. They are strangling us by dividing Funai and handing the demarcation process to the Ministry of Agriculture, led by ruralists – the number one enemies of indigenous people,” said Inaye Gomes Lopes, a young indigenous teacher who lives in the village of Ñanderu Marangatu in Mato Grosso do Sul, near the Paraguayan border.

      Funai has kept its welfare and rights defence functions but is now subordinate to the new Ministry of Women, Family and Human Rights, led by Damares Alves, a controversial lawyer and evangelical pastor.

      “We only have eight Indigenous Lands demarcated in the state and one was annulled (in December). What we have is due to the many people who have died, whose murderers have never been put in prison,” said Lopes, who teaches at a school that pays tribute in indigenous language to Marçal de Souza, a Guarani leader murdered in 1982.

      “We look for ways to resist and we look for ‘supporters’, at an international level as well. I’m worried, I don’t sleep at night,” she told IPS in a dialogue from her village, referring to the new government, whose expressions regarding indigenous people she called “an injustice to us.”

      Bolsonaro advocates “integration” of indigenous people, referring to assimilation into the mainstream “white” society – an outdated idea of the white elites.

      He complained that indigenous people continue to live “like in zoos,” occupying “15 percent of the national territory,” when, according to his data, they number less than a million people in a country of 209 million inhabitants.

      “It’s not us who have a large part of Brazil’s territory, but the big landowners, the ruralists, agribusiness and others who own more than 60 percent of the national territory,” countered the public letter from the the Aruak, Baniwa and Apurinã peoples.

      Actually, Indigenous Lands make up 13 percent of Brazilian territory, and 90 percent are located in the Amazon rainforest, the signatories of the open letter said.

      “We are not manipulated by NGOs,” they replied to another accusation which they said arose from the president’s “prejudices.”

      A worry shared by some military leaders, like the minister of the Institutional Security Cabinet, retired General Augusto Heleno Pereira, is that the inhabitants of Indigenous Lands under the influence of NGOs will declare the independence of their territories, to separate from Brazil.

      They are mainly worried about border areas and, especially, those occupied by people living on both sides of the border, such as the Yanomami, who live in Brazil and Venezuela.

      But in Ramos’ view, it is not the members of the military forming part of the Bolsonaro government, like the generals occupying five ministries, the vice presidency, and other important posts, who pose the greatest threat to indigenous rights.

      Many military officers have indigenous people among their troops and recognise that they share in the task of defending the borders, she argued.

      It is the ruralists, who want to get their hands on indigenous lands, and the leaders of evangelical churches, with their aggressive preaching, who represent the most violent threats, she said.

      The new government spells trouble for other sectors as well, such as the quilombolas (Afro-descendant communities), landless rural workers and NGOs.

      Bolsonaro announced that his administration would not give “a centimeter of land” to either indigenous communities or quilombolas, and said it would those who invade estates or other properties as “terrorists.”

      And the government has threatened to “supervise and monitor” NGOs. But “the laws are clear about their rights to organise,” as well as about the autonomy of those who do not receive financial support from the state, Ramos said.

      http://www.ipsnews.net/2019/01/indigenous-people-first-victims-brazils-new-far-right-government

  • #Guerre_commerciale. Le #soja américain dont la Chine ne veut plus finit en… #Iran

    À l’approche de l’entrée en vigueur de #sanctions américaines, le 4 novembre, la République islamique fait des réserves. Elle profite du fait que Pékin ne se fournisse plus aux États-Unis en soja pour en acheter à bas prix.


    https://www.courrierinternational.com/article/guerre-commerciale-le-soja-americain-dont-la-chine-ne-veut-pl
    #USA #Chine #globalisation #mondialisation #agriculture

  • The victory of Mozambican farmers against the soya empire

    In 2011 the Mozambican government launched Africa’s largest agro-industrial development plan. The so-called #ProSavana aimed to turn 14 million hectares of land in the #Nacala corridor, in the north of the country, into a huge #monoculture, mainly soybean for the Chinese market. The development of the area would have been entrusted to Brazilian entrepreneurs coming directly from Mato Grosso.

    When they realized they would have lost their ancestral lands, local farmers put up a great mobilisation, which proved very successful.

    https://www.internazionale.it/video/2018/05/16/mozambican-farmers-soya
    #résistance #Mozambique #agriculture #soja #Chinafrique #Chine #Brésil #terres #accaparement_de_terres #vidéo

    • #Soyalism

      I n a world struck by climate change and overpopulation, food production control is increasingly becoming a huge business for a handful of giant corporations. Following the industrial production chain of pork, from China to Brazil through the United States and Mozambique, the documentary describes the enormous concentration of power in the hands of these Western and Chinese companies. This movement is putting out of business hundreds of thousands of small producers and transforming permanently entire landscapes. Launched in United States at the end of the Seventies, the system has been exported across the world, especially in large-populated countries such as China. From waste-lagoons in North Carolina to soybeans monoculture developed in the Amazon rainforest to feed animals, the movie describes how the expansion of this process is jeopardizing the social and environmental balance of the planet.

      https://www.soyalism.com

      #film #documentaire

      Trailer :
      https://www.youtube.com/watch?v=pwwAqllgwYg

      #Stefano_Liberti

    • La vittoria dei contadini del Mozambico contro l’impero della soia

      “In Mozambico non c’è abbastanza terra, abbiamo già conflitti tra di noi. Se verranno gli investitori stranieri, i conflitti peggioreranno. La terra appartiene ai mozambicani”, dice Costa Estevão, presidente dell’unione contadina di Nampula.

      Nel 2011 il governo mozambicano ha lanciato il più grande piano di sviluppo agroindustriale dell’Africa. Il ProSavana mirava a trasformare 14 milioni di ettari di terreno in monocolture da esportazione. L’area interessata era il corridoio di Nacala, nel nord del paese.

      Il suo sviluppo sarebbe stato affidato a imprenditori brasiliani venuti dal Mato Grosso, lo stato del Brasile trasformato negli anni ottanta nel principale produttore di soia al mondo. I contadini mozambicani, informati che avrebbero perso le proprie terre, hanno messo in piedi una grande mobilitazione e hanno vinto.

      Questo video, disponibile anche in inglese, è stato realizzato con il sostegno del Pulitzer center on crisis reporting. È uno spin-off di Soyalism, un documentario di Stefano Liberti ed Enrico Parenti sull’industria globale della carne e le monocolture correlate in giro per il pianeta.

      https://www.internazionale.it/video/2018/05/16/contadini-mozambico-soia
      #vidéo

  • Global Forest Coalition The Big Four Drivers of Deforestation: Beef, Soy, Wood and Palm Oil
    http://globalforestcoalition.org/forest-cover-55-big-four-drivers-of-deforestation

    Forest Cover 55 looks at trade in just four key commodities—beef, soy, wood, and palm oil—which together are the main drivers of deforestation in the world. Demand for these commodities is leading to huge swathes of forest being replaced by vast monoculture plantations and pasture, especially in the global South. Beef is the worst deforesting culprit and clearing forests to make way for pasture was responsible for 71% of deforestation in seven Latin American countries. Palm oil is second only to beef and is leading to serious deforestation in Southeast Asia—300 football fields of forest are lost in Indonesia for palm oil every hour! This issue brings us stories from around the world where forests and communities face the impacts of the production and trade in these commodities. It also showcases campaigns as communities across the globe struggle to stop these drivers of forest loss.

    #forêt #déforestation #élevage #soja #palmier_à_huile #bois

  • #Accaparement_de_terres : le groupe #Bolloré accepte de négocier avec les communautés locales
    –-> un article qui date de 2014, et qui peut intéresser notamment @odilon, mais aussi d’actualité vue la plainte de Balloré contre le journal pour diffamation. Et c’est le journal qui a gagné en Cour de cassation : https://www.bastamag.net/Bollore-perd-definitivement-son-premier-proces-en-diffamation-intente-a

    Des paysans et villageois du Sierra-Leone, de #Côte_d’Ivoire, du #Cameroun et du #Cambodge sont venus spécialement jusqu’à Paris. Pour la première fois, le groupe Bolloré et sa filiale luxembourgeoise #Socfin, qui gère des #plantations industrielles de #palmiers_à_huile et d’#hévéas (pour le #caoutchouc) en Afrique et en Asie, ont accepté de participer à des négociations avec les communautés locales fédérées en « alliance des riverains des plantations Bolloré-Socfin ». Sous la houlette d’une association grenobloise, Réseaux pour l’action collective transnationale (ReAct), une réunion s’est déroulée le 24 octobre, à Paris, avec des représentants du groupe Bolloré et des communautés touchées par ces plantations.

    Ces derniers dénoncent les conséquences de l’acquisition controversée des terres agricoles, en Afrique et en Asie. Ils pointent notamment du doigt des acquisitions foncières de la #Socfin qu’ils considèrent comme « un accaparement aveugle des terres ne laissant aux riverains aucun espace vital », en particulier pour leurs cultures vivrières. Ils dénoncent également la faiblesse des compensations accordées aux communautés et le mauvais traitement qui serait réservé aux populations. Les représentants africains et cambodgiens sont venus demander au groupe Bolloré et à la Socfin de garantir leur #espace_vital en rétrocédant les terres dans le voisinage immédiat des villages, et de stopper les expansions foncières qui auraient été lancées sans l’accord des communautés.

    https://www.bastamag.net/Accaparement-de-terres-le-groupe-Bollore-accepte-de-negocier-avec-les
    #terres #Sierra_Leone #huile_de_palme

    • Bolloré, #Crédit_agricole, #Louis_Dreyfus : ces groupes français, champions de l’accaparement de terres
      –-> encore un article de 2012

      Alors que 868 millions de personnes souffrent de sous-alimentation, selon l’Onu, l’accaparement de terres agricoles par des multinationales de l’#agrobusiness ou des fonds spéculatifs se poursuit. L’équivalent de trois fois l’Allemagne a ainsi été extorqué aux paysans africains, sud-américains ou asiatiques. Les plantations destinées à l’industrie remplacent l’agriculture locale. Plusieurs grandes entreprises françaises participent à cet accaparement, avec la bénédiction des institutions financières. Enquête.

      Au Brésil, le groupe français Louis Dreyfus, spécialisé dans le négoce des matières premières, a pris possession de près de 400 000 hectares de terres : l’équivalent de la moitié de l’Alsace, la région qui a vu naître l’empire Dreyfus, avec le commerce du blé au 19ème siècle. Ces terres sont destinées aux cultures de canne à sucre et de soja. Outre le Brésil, le discret empire commercial s’est accaparé, via ses filiales Calyx Agro ou LDC Bioenergia [1], des terres en Uruguay, en Argentine ou au Paraguay. Si Robert Louis Dreyfus, décédé en 2009, n’avait gagné quasiment aucun titre avec l’Olympique de Marseille, club dont il était propriétaire, il a fait de son groupe le champion français toute catégorie dans l’accaparement des terres.

      Le Groupe Louis-Dreyfus – 56 milliards d’euros de chiffre d’affaires [2] – achète, achemine et revend tout ce que la terre peut produire : blé, soja, café, sucre, huiles, jus d’orange, riz ou coton, dont il est le « leader » mondial via sa branche de négoce, Louis-Dreyfus Commodities. Son jus d’orange provient d’une propriété de 30 000 ha au Brésil. L’équivalent de 550 exploitations agricoles françaises de taille moyenne ! Il a ouvert en 2007 la plus grande usine au monde de biodiesel à base de soja, à Claypool, au Etats-Unis (Indiana). Il possède des forêts utilisées « pour la production d’énergie issue de la biomasse, l’énergie solaire, la géothermie et l’éolien ». Sans oublier le commerce des métaux, le gaz naturel, les produits pétroliers, le charbon et la finance.

      Course effrénée à l’accaparement de terres

      En ces périodes de tensions alimentaires et de dérèglements climatiques, c’est bien l’agriculture qui semble être l’investissement le plus prometteur. « En 5 ans, nous sommes passés de 800 millions à 6,3 milliards de dollars d’actifs industriels liés à l’agriculture », se réjouissait le directeur du conglomérat, Serge Schoen [3]. Le groupe Louis Dreyfus illustre la course effrénée à l’accaparement de terres agricoles dans laquelle se sont lancées de puissantes multinationales. Sa holding figure parmi les cinq premiers gros traders de matières premières alimentaires, avec Archer Daniels Midland (États-Unis), Bunge (basé aux Bermudes), Cargill (États-Unis) et le suisse Glencore. Ces cinq multinationales, à l’acronyme ABCD, font la pluie et le beau temps sur les cours mondiaux des céréales [4].

      L’exemple de Louis Dreyfus n’est pas isolé. États, entreprises publiques ou privées, fonds souverains ou d’investissements privés multiplient les acquisitions – ou les locations – de terres dans les pays du Sud ou en Europe de l’Est. Objectif : se lancer dans le commerce des agrocarburants, exploiter les ressources du sous-sol, assurer les approvisionnements alimentaires pour les États, voire bénéficier des mécanismes de financements mis en œuvre avec les marchés carbone. Ou simplement spéculer sur l’augmentation du prix du foncier. Souvent les agricultures paysannes locales sont remplacées par des cultures industrielles intensives. Avec, à la clé, expropriation des paysans, destruction de la biodiversité, pollution par les produits chimiques agricoles, développement des cultures OGM... Sans que les créations d’emplois ne soient au rendez-vous.

      Trois fois la surface agricole de la France

      Le phénomène d’accaparement est difficile à quantifier. De nombreuses transactions se déroulent dans le plus grand secret. Difficile également de connaître l’origine des capitaux. Une équipe de la Banque mondiale a tenté de mesurer le phénomène. En vain ! « Devant les difficultés opposées au recueil des informations nécessaires (par les États comme les acteurs privés), et malgré plus d’un an de travail, ces chercheurs ont dû pour l’évaluer globalement s’en remettre aux articles de presse », explique Mathieu Perdriault de l’association Agter.

      Selon la base de données Matrice foncière, l’accaparement de terres représenterait 83 millions d’hectares dans les pays en développement. L’équivalent de près de trois fois la surface agricole française (1,7% de la surface agricole mondiale) ! Selon l’ONG Oxfam, qui vient de publier un rapport à ce sujet, « une superficie équivalant à celle de Paris est vendue à des investisseurs étrangers toutes les 10 heures », dans les pays pauvres [5].

      L’Afrique, cible d’un néocolonialisme agricole ?

      L’Afrique, en particulier l’Afrique de l’Est et la République démocratique du Congo, est la région la plus convoitée, avec 56,2 millions d’hectares. Viennent ensuite l’Asie (17,7 millions d’ha), puis l’Amérique latine (7 millions d’ha). Pourquoi certains pays se laissent-il ainsi « accaparer » ? Sous prétexte d’attirer investissements et entreprises, les réglementations fiscales, sociales et environnementales des pays les plus pauvres sont souvent plus propices. Les investisseurs se tournent également vers des pays qui leur assurent la sécurité de leurs placements. Souvent imposées par les institutions financières internationales, des clauses garantissent à l’investisseur une compensation de la part de l’État « hôte » en cas d’expropriation. Des clauses qui peuvent s’appliquer même en cas de grèves ou de manifestations.

      Les acteurs de l’accaparement des terres, privés comme publics, sont persuadés – ou feignent de l’être – que seul l’agrobusiness pourra nourrir le monde en 2050. Leurs investissements visent donc à « valoriser » des zones qui ne seraient pas encore exploitées. Mais la réalité est tout autre, comme le montre une étude de la Matrice Foncière : 45% des terres faisant l’objet d’une transaction sont des terres déjà cultivées. Et un tiers des acquisitions sont des zones boisées, très rentables lorsqu’on y organise des coupes de bois à grande échelle. Des terres sont déclarées inexploitées ou abandonnées sur la foi d’imageries satellites qui ne prennent pas en compte les usages locaux des terres.

      40% des forêts du Liberia sont ainsi gérés par des permis à usage privés [6] (lire aussi notre reportage au Liberia). Ces permis, qui permettent de contourner les lois du pays, concernent désormais 20 000 km2. Un quart de la surface du pays ! Selon Oxfam, 60% des transactions ont eu lieu dans des régions « gravement touchées par le problème de la faim » et « plus des deux tiers étaient destinées à des cultures pouvant servir à la production d’agrocarburants comme le soja, la canne à sucre, l’huile de palme ou le jatropha ». Toujours ça que les populations locales n’auront pas...

      Quand AXA et la Société générale se font propriétaires terriens

      « La participation, largement médiatisée, des États au mouvement d’acquisition massive de terre ne doit pas masquer le fait que ce sont surtout les opérateurs privés, à la poursuite d’objectifs purement économiques et financiers, qui forment le gros bataillon des investisseurs », souligne Laurent Delcourt, chercheur au Cetri. Les entreprises publiques, liées à un État, auraient acheté 11,5 millions d’hectares. Presque trois fois moins que les investisseurs étrangers privés, propriétaires de 30,3 millions d’hectares. Soit la surface de l’Italie ! Si les entreprises états-uniennes sont en pointe, les Européens figurent également en bonne place.

      Banques et assurances françaises se sont jointes à cette course à la propriété terrienne mondiale. L’assureur AXA a investi 1,2 milliard de dollars dans la société minière britannique Vedanta Resources PLC, dont les filiales ont été accusées d’accaparement des terres [7]. AXA a également investi au moins 44,6 millions de dollars dans le fond d’investissement Landkom (enregistré dans l’île de Man, un paradis fiscal), qui loue des terres agricoles en Ukraine. Quant au Crédit Agricole, il a créé – avec la Société générale – le fonds « Amundi Funds Global Agriculture ». Ses 122 millions de dollars d’actifs sont investis dans des sociétés telles que Archer Daniels Midland ou Bunge, impliquées comme le groupe Louis Dreyfus dans l’acquisition de terres à grande échelle. Les deux banques ont également lancé le « Baring Global Agriculture Fund » (133,3 millions d’euros d’actifs) qui cible les sociétés agro-industrielles. Les deux établissement incitent activement à l’acquisition de terres, comme opportunité d’investissement. Une démarche socialement responsable ?

      Vincent Bolloré, gentleman farmer

      Après le groupe Louis Dreyfus, le deuxième plus gros investisseur français dans les terres agricoles se nomme Vincent Bolloré. Son groupe, via l’entreprise Socfin et ses filiales Socfinaf et Socfinasia, est présent dans 92 pays dont 43 en Afrique. Il y contrôle des plantations, ainsi que des secteurs stratégiques : logistique, infrastructures de transport, et pas moins de 13 ports, dont celui d’Abidjan. L’empire Bolloré s’est développée de façon spectaculaire au cours des deux dernières décennies « en achetant des anciennes entreprises coloniales, et [en] profitant de la vague de privatisations issue des "ajustements structurels" imposés par le Fonds monétaire international », constate le Think tank états-unien Oakland Institute.

      Selon le site du groupe, 150 000 hectares plantations d’huile de palme et d’hévéas, pour le caoutchouc, ont été acquis en Afrique et en Asie. L’équivalent de 2700 exploitations agricoles françaises ! Selon l’association Survie, ces chiffres seraient en deçà de la réalité. Le groupe assure ainsi posséder 9 000 ha de palmiers à huile et d’hévéas au Cameroun, là où l’association Survie en comptabilise 33 500.

      Expropriations et intimidations des populations

      Quelles sont les conséquences pour les populations locales ? Au Sierra Leone,
      Bolloré a obtenu un bail de 50 ans sur 20 000 hectares de palmier à huile et 10 000 hectares d’hévéas. « Bien que directement affectés, les habitants de la zone concernée semblent n’avoir été ni informés ni consultés correctement avant le lancement du projet : l’étude d’impact social et environnemental n’a été rendue publique que deux mois après la signature du contrat », raconte Yanis Thomas de l’association Survie. En 2011, les villageois tentent de bloquer les travaux sur la plantation. Quinze personnes « ont été inculpées de tapage, conspiration, menaces et libérées sous caution après une âpre bataille judiciaire. » Bolloré menace de poursuivre en justice pour diffamation The Oakland Institute, qui a publié un rapport en 2012 sur le sujet pour alerter l’opinion publique internationale.

      Au Libéria, le groupe Bolloré possède la plus grande plantation d’hévéas du pays, via une filiale, la Liberia Agricultural Company (LAC). En mai 2006, la mission des Nations Unies au Libéria (Minul) publiait un rapport décrivant les conditions catastrophiques des droits humains sur la plantation : travail d’enfants de moins de 14 ans, utilisation de produits cancérigènes, interdiction des syndicats, licenciements arbitraires, maintien de l’ordre par des milices privées, expulsion de 75 villages…. La LAC a qualifié les conclusions de la Minul « de fabrications pures et simples » et « d’exagérations excessives ». Ambiance... Plusieurs années après le rapport des Nations Unies, aucune mesure n’a été prise par l’entreprise ou le gouvernement pour répondre aux accusations.

      Une coopératives agricole qui méprise ses salariés

      Autre continent, mêmes critiques. Au Cambodge, la Socfinasia, société de droit luxembourgeois détenue notamment par le groupe Bolloré a conclu en 2007 un joint-venture qui gère deux concessions de plus de 7 000 hectares dans la région de Mondulkiri. La Fédération internationale des Droits de l’homme (FIDH) a publié en 2010 un rapport dénonçant les pratiques de la société Socfin-KCD. « Le gouvernement a adopté un décret spécial permettant l’établissement d’une concession dans une zone anciennement protégée, accuse la FIDH. Cette situation, en plus d’autres violations documentées du droit national et des contrats d’investissement, met en cause la légalité des concessions et témoigne de l’absence de transparence entourant le processus d’approbation de celles-ci. » Suite à la publication de ce rapport, la Socfin a menacé l’ONG de poursuites pour calomnie et diffamation.

      Du côté des industries du sucre, la situation n’est pas meilleure. Depuis 2007, le géant français du sucre et d’éthanol, la coopérative agricole Tereos, contrôle une société mozambicaine [8]. Tereos exploite la sucrerie de Sena et possède un bail de 50 ans (renouvelable) sur 98 000 hectares au Mozambique. Le contrat passé avec le gouvernement prévoit une réduction de 80% de l’impôt sur le revenu et l’exemption de toute taxe sur la distribution des dividendes. Résultat : Tereos International réalise un profit net de 194 millions d’euros en 2010, dont 27,5 millions d’euros ont été rapatriés en France sous forme de dividendes. « De quoi mettre du beurre dans les épinards des 12 000 coopérateurs français de Tereos », ironise le journaliste Fabrice Nicolino. Soit un dividende de 2 600 euros par agriculteur français membre de la coopérative. Pendant ce temps, au Mozambique, grèves et manifestations se sont succédé dans la sucrerie de Sena : bas salaires (48,4 euros/mois), absence d’équipements de protection pour les saisonniers, nappe phréatique polluée aux pesticides... Ce doit être l’esprit coopératif [9].

      Fermes et fazendas, nouvelles cibles de la spéculation

      Connues ou non, on ne compte plus les entreprises et les fonds d’investissement français qui misent sur les terres agricoles. Bonduelle, leader des légumes en conserve et congelés, possède deux fermes de 3 000 hectares en Russie où il cultive haricots, maïs et pois. La célèbre marque cherche à acquérir une nouvelle exploitation de 6 000 ha dans le pays. Fondée en 2007 par Jean-Claude Sabin, ancien président de la pieuvre Sofiproteol (aujourd’hui dirigée par Xavier Beulin président de la FNSEA), Agro-énergie Développement (AgroEd) investit dans la production d’agrocarburants et d’aliments dans les pays en développement. La société appartient à 51% au groupe d’investissement LMBO, dont l’ancien ministre de la Défense, Charles Millon, fut l’un des directeurs. Les acquisitions de terres agricoles d’AgroEd en Afrique de l’Ouest sont principalement destinées à la culture du jatropha, transformé ensuite en agrocarburants ou en huiles pour produits industriels. Mais impossible d’obtenir plus de précisions. Les sites internet de LMBO et AgroED sont plus que discrets sur le sujet. Selon une note de l’OCDE, AgroEd aurait signé un accord avec le gouvernement burkinabé concernant 200 000 hectares de Jatropha, en 2007, et négocient avec les gouvernements du Bénin, de Guinée et du Mali.

      « Compte tenu de l’endettement massif des États et des politiques monétaires très accommodantes, dans une optique de protection contre l’inflation, nous recommandons à nos clients d’investir dans des actifs réels et notamment dans les terres agricoles de pays sûrs, disposant de bonnes infrastructures, comme l’Argentine », confie au Figaro Franck Noël-Vandenberghe, le fondateur de Massena Partners. Ce gestionnaire de fortune français a crée le fond luxembourgeois Terra Magna Capital, qui a investi en 2011 dans quinze fermes en Argentine, au Brésil, au Paraguay et en Uruguay. Superficie totale : 70 500 hectares, trois fois le Val-de-Marne ! [10]

      Le maïs aussi rentable que l’or

      Conséquence de ce vaste accaparement : le remplacement de l’agriculture vivrière par la culture d’agrocarburants, et la spéculation financière sur les terres agricoles. Le maïs a offert, à égalité avec l’or, le meilleur rendement des actifs financiers sur ces cinq dernières années, pointe une étude de la Deutsche Bank. En juin et juillet 2012, les prix des céréales se sont envolés : +50 % pour le blé, +45% pour le maïs, +30 % pour le soja, qui a augmenté de 60 % depuis fin 2011 ! Les prix alimentaires devraient « rester élevés et volatils sur le long terme », prévoit la Banque mondiale. Pendant ce temps, plus d’un milliard d’individus souffrent de la faim. Non pas à cause d’une pénurie d’aliments mais faute d’argent pour les acheter.

      Qu’importe ! Au nom du développement, l’accaparement des terres continuent à être encouragé – et financé ! – par les institutions internationales. Suite aux famines et aux émeutes de la faim en 2008, la Banque mondiale a créé un « Programme d’intervention en réponse à la crise alimentaire mondiale » (GFRP). Avec plus de 9 milliards de dollars en 2012, son fonds de « soutien » au secteur agricole a plus que doublé en quatre ans. Via sa Société financière internationale (SFI), l’argent est distribué aux acteurs privés dans le cadre de programme aux noms prometteurs : « Access to land » (accès à la terre) ou « Land market for investment » (marché foncier pour l’investissement).

      Des placements financiers garantis par la Banque mondiale

      Les deux organismes de la Banque mondiale, SFI et FIAS (Service Conseil pour l’Investissement Étranger) facilitent également les acquisitions en contribuant aux grandes réformes législatives permettant aux investisseurs privés de s’installer au Sierra Leone, au Rwanda, au Liberia ou au Burkina Faso… Quels que soient les continents, « la Banque mondiale garantit nos actifs par rapport au risque politique », explique ainsi l’homme d’affaire états-unien Neil Crowder à la BBC en mars 2012, qui rachète des petites fermes en Bulgarie pour constituer une grosse exploitation. « Notre assurance contre les risques politiques nous protège contre les troubles civils ou une impossibilité d’utiliser nos actifs pour une quelconque raison ou en cas d’expropriation. »

      Participation au capital des fonds qui accaparent des terres, conseils et assistances techniques aux multinationales pour améliorer le climat d’investissement des marchés étrangers, négociations d’accords bilatéraux qui créent un environnement favorable aux transactions foncières : la Banque mondiale et d’autres institutions publiques – y compris l’Agence française du développement – favorisent de fait « la concentration du pouvoir des grandes firmes au sein du système agroalimentaire, (...) la marchandisation de la terre et du travail et la suppression des interventions publiques telles que le contrôle des prix ou les subventions aux petits exploitants », analyse Elisa Da Via, sociologue du développement [11].

      Oxfam réclame de la Banque mondiale « un gel pour six mois de ses investissements dans des terres agricoles » des pays en développement, le temps d’adopter « des mesures d’encadrement plus rigoureuses pour prévenir l’accaparement des terres ». Que pense en France le ministère de l’Agriculture de ces pratiques ? Il a présenté en septembre un plan d’action face à la hausse du prix des céréales. Ses axes prioritaires : l’arrêt provisoire du développement des agrocarburants et la mobilisation du G20 pour « assurer une bonne coordination des politiques des grands acteurs des marchés agricoles » Des annonces bien vagues face à l’ampleur des enjeux : qui sont ces « grands acteurs des marchés agricoles » ? S’agit-il d’aider les populations rurales des pays pauvres à produire leurs propres moyens de subsistance ou de favoriser les investissements de l’agrobusiness et des fonds spéculatifs sous couvert de politique de développement et de lutte contre la malnutrition ? Les dirigeants français préfèrent regarder ailleurs, et stigmatiser l’immigration.

      Nadia Djabali, avec Agnès Rousseaux et Ivan du Roy

      Photos : © Eric Garault
      P.-S.

      – L’ONG Grain a publié en mars 2012 un tableau des investisseurs

      – La rapport d’Oxfam, « Notre terre, notre vie » - Halte à la ruée mondiale sur les terres, octobre 2012

      – Le rapport des Amis de la Terre Europe (en anglais), janvier 2012 : How European banks, pension funds and insurance companies are increasing global hunger and poverty by speculating on food prices and financing land grabs in poorer countries.

      – Un observatoire de l’accaparement des terres

      – A lire : Emprise et empreinte de l’agrobusiness, aux Editions Syllepse.
      Notes

      [1] « En octobre 2009, LDC Bioenergia de Louis Dreyfus Commodities a fusionné avec Santelisa Vale, un important producteur de canne à sucre brésilien, pour former LDC-SEV, dont Louis Dreyfus détient 60% », indique l’ONG Grain.

      [2] Le groupe Louis Dreyfus ne publie pas de résultats détaillés. Il aurait réalisé en 2010 un chiffre d’affaires de 56 milliards d’euros, selon L’Agefi, pour un bénéfice net de 590 millions d’euros. La fortune de Margarita Louis Dreyfus, présidente de la holding, et de ses trois enfants, a été évaluée par le journal Challenges à 6,6 milliards d’euros.

      [3] Dans Le Nouvel Observateur.

      [4] L’ONG Oxfam a publié en août 2012 un rapport (en anglais) décrivant le rôle des ABCD.

      [5] Selon Oxfam, au cours des dix dernières années, une surface équivalente à huit fois la superficie du Royaume-Uni a été vendue à l’échelle mondiale. Ces terres pourraient permettre de subvenir aux besoins alimentaires d’un milliard de personnes.

      [6] D’après les ONG Global Witness, Save My Future Foundation (SAMFU) et Sustainable Development Institute (SDI).

      [7] Source : Rapport des Amis de la Terre Europe.

      [8] Sena Holdings Ltd, via sa filiale brésilienne Açúcar Guaraní.

      [9] Une autre coopérative agricole, Vivescia (Ex-Champagne Céréales), spécialisée dans les céréales, investit en Ukraine aux côtés Charles Beigbeder, fondateur de Poweo (via un fonds commun, AgroGeneration). Ils y disposent de 50 000 hectares de terres agricoles en location.

      [10] La liste des entreprises françaises dans l’accaparement des terres n’est pas exhaustive : Sucres & Denrée (Sucden) dans les régions russes de Krasnodar, Campos Orientales en Argentine et en Uruguay, Sosucam au Cameroun, la Compagnie Fruitière qui cultive bananes et ananas au Ghana…

      [11] Emprise et empreinte de l’agrobusiness, aux Editions Syllepse.


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    • Crime environnemental : sur la piste de l’huile de palme

      L’huile de palme est massivement importée en Europe. Elle sert à la composition d’aliments comme aux agrocarburants. Avec le soutien de la région Languedoc-Roussillon, une nouvelle raffinerie devrait voir le jour à Port-la-Nouvelle, dans l’Aude. À l’autre bout de la filière, en Afrique de l’Ouest, l’accaparement de terres par des multinationales, avec l’expropriation des populations, bat son plein. Basta ! a remonté la piste du business de l’huile de palme jusqu’au #Liberia. Enquête.

      Quel est le point commun entre un résident de Port-la-Nouvelle, petite ville méditerranéenne à proximité de Narbonne (Aude), et un villageois du comté de Grand Cape Mount, au Liberia ? Réponse : une matière première très controversée, l’huile de palme, et une multinationale malaisienne, #Sime_Darby. D’un côté, des habitants de Port-la-Nouvelle voient d’un mauvais œil la création d’« une usine clés en main de fabrication d’huile de palme » par Sime Darby, en partie financée par le conseil régional du Languedoc-Roussillon. À 6 000 km de là, les paysans libériens s’inquiètent d’une immense opération d’accaparement des terres orchestrée par le conglomérat malaisien, en vue d’exploiter l’huile de palme et de l’exporter vers l’Europe, jusqu’à Port-la-Nouvelle en l’occurrence. Un accaparement de terres qui pourrait déboucher sur des déplacements forcés de population et mettre en danger leur agriculture de subsistance.

      Le petit port de l’Aude devrait donc accueillir une raffinerie d’huile de palme. Deux compagnies, la néerlandaise #Vopak et le malaisien #Unimills – filiale du groupe Sime Darby – sont sur les rangs, prêtes à investir 120 millions d’euros, venant s’ajouter aux 170 millions d’euros du conseil régional. La Région promet la création de 200 emplois, quand Sime Darby en annonce 50 pour cette usine qui prévoit d’importer 2 millions de tonnes d’huile de palme par an [1].

      Du Languedoc-Roussillon au Liberia

      Une perspective loin de réjouir plusieurs habitants réunis au sein du collectif No Palme [2]. Ces riverains d’une zone Seveso ont toujours en tête l’importante explosion de juillet 2010 dans la zone portuaire, après qu’un camion transportant du GPL se soit renversé. « La population n’a jamais été consultée ni informée de ce projet de raffinerie, relève Pascal Pavie, de la fédération Nature et Progrès. Ces installations présentent pourtant un risque industriel surajouté. » Le mélange du nitrate d’ammonium – 1 500 tonnes acheminées chaque mois à Port-la-Nouvelle – avec de l’huile végétale constituerait un explosif cocktail. Avec les allers et venues de 350 camions supplémentaires par jour. Cerise sur le gâteau, l’extension du port empièterait sur une zone côtière riche en biodiversité. « Notre collectif s’est immédiatement intéressé au versant international et européen de ce projet », explique Pascal.

      L’opérateur du projet, Sime Darby, est un immense conglomérat malaisien, se présentant comme « le plus grand producteur mondial d’huile de palme ». Présent dans 21 pays, il compte plus de 740 000 hectares de plantations, dont plus d’un tiers au Liberia. Et c’est là que remonte la piste de l’huile que l’usine devra raffiner.

      De Monrovia, la capitale, elle mène à Medina, une ville de Grand Cape Mount. D’immenses panneaux de Sime Darby promettent « un avenir durable ». Scrupuleusement gardés par des forces de sécurité privées recrutées par la compagnie, quelques bâtiments en béton émergent au milieu des pépinières d’huile de palme. C’est là que les futurs employés pourront venir vivre avec leurs familles. 57 « villages de travail » seront construits d’ici à 2025, promet la firme. Mais quid des habitants qui ne travailleront pas dans les plantations ? L’ombre d’un déplacement forcé de populations plane. « Quand Sime Darby a commencé à s’installer, ils ont dit qu’ils nous fourniraient des centres médicaux, des écoles, du logement… Mais nous n’avons rien vu, se désole Radisson, un jeune habitant de Medina qui a travaillé pour l’entreprise. Comment pourraient-ils nous déplacer alors qu’aucune infrastructure n’est prévue pour nous accueillir ? »

      Agriculture familiale menacée

      Le village de Kon Town est désormais entouré par les plantations. Seuls 150 mètres séparent les maisons des pépinières d’huile de palme. « Le gouvernement a accordé des zones de concession à la compagnie sans se rendre sur le terrain pour faire la démarcation », déplore Jonathan Yiah, des Amis de la Terre Liberia. Un accaparement qui priverait les habitants des terres cultivables nécessaires à leur subsistance. Les taux d’indemnisation pour la perte de terres et de cultures sont également sous-évalués. « Comment vais-je payer les frais scolaires de mes enfants maintenant ? », s’insurge une habitante qui ne reçoit qu’un seul sac de riz pour une terre qui, auparavant, donnait du manioc, de l’ananas et du gombo à foison.

      La compagnie Sime Darby se défend de vouloir déplacer les communautés. Pourtant, un extrait de l’étude d’impact environnemental, financée par la compagnie elle-même, mentionne clairement la possibilité de réinstallation de communautés, si ces dernières « entravent le développement de la plantation » [3]. Du côté des autorités, on dément. Cecil T.O. Brandy, de la Commission foncière du Liberia, assure que le gouvernement fait tout pour « minimiser et décourager tout déplacement. Si la compagnie peut réhabiliter ou restaurer certaines zones, ce sera préférable ». Faux, rétorque les Amis de la Terre Liberia. « En laissant une ville au milieu d’une zone de plantations, et seulement 150 mètres autour pour cultiver, plutôt que de leur dire de quitter cette terre, on sait que les habitants finiront par le faire volontairement », dénonce James Otto, de l’ONG. Pour les 10 000 hectares déjà défrichés, l’association estime que 15 000 personnes sont d’ores et déjà affectées.

      Des emplois pas vraiment durables

      L’emploi créé sera-t-il en mesure de compenser le désastre environnemental généré par l’expansion des monocultures ? C’est ce qu’espère une partie de la population du comté de Grand Cape Mount, fortement touchée par le chômage. Sime Darby déclare avoir déjà embauché plus de 2 600 travailleurs permanents, auxquels s’ajouteraient 500 travailleurs journaliers. Quand l’ensemble des plantations seront opérationnelles, « Sime Darby aura créé au moins 35 000 emplois », promet la firme. Augustine, un jeune de Kon Town, y travaille depuis deux ans. D’abord sous-traitant, il a fini par être embauché par la compagnie et a vu son salaire grimper de 3 à 5 dollars US pour huit heures de travail par jour. Tout le monde ne semble pas avoir cette « chance » : 90 % du personnel de l’entreprise disposent de contrats à durée déterminée – trois mois en général – et sous-payés ! Les chiffres varient selon les témoignages, de 50 cents à 3 dollars US par jour, en fonction de la récolte réalisée. « Dans quelle mesure ces emplois sont-ils durables ?, interroge Jonathan, des Amis de la Terre Liberia. Une fois que les arbres seront plantés et qu’ils commenceront à pousser, combien d’emplois l’entreprise pourra-t-elle maintenir ? »

      L’opacité entourant le contrat liant le gouvernement à Sime Darby renforce les tensions [4]. Malgré l’adoption d’une loi sur les droits des communautés, les communautés locales n’ont pas été informées, encore moins consultées. « Sime Darby s’est entretenu uniquement avec les chefs des communautés, raconte Jonathan Yiah. Or, la communauté est une unité diversifiée qui rassemble aussi des femmes, des jeunes, qui ont été écartés du processus de consultation. »

      Contrat totalement opaque

      Même de nombreux représentants d’agences gouvernementales ou de ministères ignorent tout du contenu du contrat, certains nous demandant même de leur procurer une copie. C’est ainsi que notre interlocuteur au ministère des Affaires intérieures a découvert qu’une partie du contrat portait sur le marché des crédits carbone. Des subventions qui iront directement dans la poche de la multinationale, comme le mentionne cet extrait en page 52 du contrat : « Le gouvernement inconditionnellement et irrévocablement (...) renonce, en faveur de l’investisseur, à tout droit ou revendication sur les droits du carbone. »

      « C’est à se demander si les investisseurs son vraiment intéressés par l’huile de palme ou par les crédits carbone », ironise Alfred Brownell, de l’ONG Green Advocates. « Nous disons aux communautés que ce n’est pas seulement leurs terres qui leur sont enlevées, ce sont aussi les bénéfices qui en sont issus », explique Jonathan Yiah.

      La forêt primaire remplacée par l’huile de palme ?

      Les convoitises de la multinationale s’étendent bien au-delà. Le militant écologiste organise depuis des mois des réunions publiques avec les habitants du comté de Gbarpolu, plus au nord. Cette région abrite une grande partie de la forêt primaire de Haute-Guinée. Sime Darby y a obtenu une concession de 159 827 hectares… Du contrat, les habitants ne savaient rien, jusqu’à ce que les Amis de la Terre Liberia viennent le leur présenter. La question de la propriété foncière revient sans cesse. « Comment le gouvernement peut-il céder nos terres à une compagnie alors même que nous détenons des titres de propriété ? », interrogent-ils. La crainte relative à la perte de leurs forêts, de leurs terres agricoles, d’un sol riche en or et en diamants s’installe.

      Lors d’une réunion, au moment où James énonce la durée du contrat, 63 ans – reconductible 30 ans ! –, c’est la colère qui prend le pas. « Que deviendront mes enfants au terme de ces 63 années de contrat avec Sime Darby ? », se désespère Kollie, qui a toujours vécu de l’agriculture, comme 70 % de la population active du pays. Parmi les personnes présentes, certaines, au contraire, voient dans la venue de Sime Darby la promesse d’investissements dans des hôpitaux, des écoles, des routes, mais aussi dans de nouveaux systèmes d’assainissement en eau potable. Et, déjà, la peur de nouveaux conflits germent. « Nous ne voulons de personne ici qui ramène du conflit parmi nous », lance Frederick. Les plaies des deux guerres civiles successives (1989-1996, puis 2001-2003) sont encore ouvertes. Près d’un million de personnes, soit un Libérien sur trois, avaient alors fui vers les pays voisins.

      Mea culpa gouvernemental

      « En signant une série de contrats à long terme accordant des centaines de milliers d’hectares à des conglomérats étrangers, le gouvernement voulait relancer l’économie et l’emploi, analyse James, des Amis de la Terre Liberia. Mais il n’a pas vu toutes les implications ». D’après un rapport de janvier 2012 réalisé par le Centre international de résolution des conflits, près de 40 % de la population libérienne vivraient à l’intérieur de concessions privées ! Aux côtés de Sime Darby, deux autres compagnies, la britannique Equatorial Palm Oil et l’indonésienne Golden Veroleum, ont acquis respectivement 169 000 et 240 000 hectares pour planter de l’huile de palme.

      Dans le comté de Grand Cape Mount, en décembre 2011, des habitants se sont saisis des clés des bulldozers de Sime Darby afin d’empêcher la poursuite de l’expansion des plantations et d’exiger des négociations. Une équipe interministérielle a depuis été mise en place, où siègent des citoyens du comté. « Oui, il y a eu des erreurs dans l’accord », reconnait-on à la Commission foncière. « Nous essayons de trouver des solutions pour que chacun en sorte gagnant », renchérit-on au ministère des Affaires intérieures. Difficile à croire pour les habitants du comté, qui n’ont rien vu, jusque-là, des grandes promesses philanthropes de Sime Darby.

      De l’huile de palme dans les agrocarburants

      Et si le changement venait des pays où l’on consomme de l’huile de palme ? Retour dans l’Aude, au pied du massif des Corbières. En décembre 2011, Sime Darby a annoncé geler pour un an son projet d’implantation de raffinerie à Port-la-Nouvelle. Les prévisions de commandes d’huile de palme sont en baisse, alors que le coût de l’usine grimpe. L’huile de palme commence à souffrir de sa mauvaise réputation, alimentaire et environnementale. De nombreuses marques l’ont retirée de la composition de leurs produits. L’huile de palme contribuerait à la malbouffe. Une fois solidifiée par injection d’hydrogène, elle regorge d’acides gras qui s’attaquent aux artères : un cauchemar pour les nutritionnistes. Dans les enseignes bios, elle commence également à être pointée du doigt comme l’une des causes de la déforestation, en Indonésie, en Afrique ou en Amérique latine. Pourtant, bien que la grande distribution réduise son besoin en huile de palme, cette dernière demeure aujourd’hui, et de loin, la première huile végétale importée en Europe. Merci les agrocarburants…

      « La consommation moyenne d’un Européen est d’environ 12 litres/an d’huile de palme, ce qui représente un accaparement d’environ 25 m2 de plantation de palmiers à huile dans un autre pays », souligne Sylvain Angerand, des Amis de la Terre France. « Relocaliser l’économie, développer les transports en commun, lutter contre l’étalement urbain seraient autant de mesures structurelles permettant de réduire notre consommation de carburant », propose l’écologiste. Réduire nos besoins ici, en Europe, pourrait diminuer partiellement l’accaparement des terres dans le Sud. À Port-la-Nouvelle, le collectif No Palme planche déjà sur des plans de développement alternatif pour le port. Avec en tête, les témoignages de leurs compères libériens.

      https://www.bastamag.net/Crime-environnemental-sur-la-piste

  • #OGM - Mensonges et vérités

    La #controverse entre pro-OGM (organismes génétiquement modifiés) et anti-OGM rend le débat passionnel et parfois incompréhensible. Ce tour d’horizon mondial démêle le vrai du faux, preuves scientifiques à l’appui.

    Depuis plus de vingt ans, les OGM (organismes génétiquement modifiés), en particulier les plantes, ne cessent de s’étendre sur la planète, dans le but d’améliorer les rendements de soja, maïs, coton, colza, riz, etc. Dix pays, sur les vingt-huit qui en cultivent, représentent, à eux seuls, 98 % de la superficie mondiale des cultures transgéniques – soit 11 % des terres cultivées –, essentiellement sur le continent américain, le sous-continent indien et en Chine. Aux États-Unis, où les premières plantations de soja transgénique ont été introduites en 1996, les OGM représentent environ 90 % des cultures de soja, de maïs et de coton. Selon leurs défenseurs, ils sont indispensables pour répondre aux besoins d’une population en forte croissance. C’est l’argument du géant du secteur, le semencier américain Monsanto, qui produit aussi le célèbre Roundup, un herbicide total dont la substance active, le glyphosate, épargne les plantes OGM.


    https://www.arte.tv/fr/videos/057483-000-A/ogm-mensonges-et-verites

    #film #documentaire #reportage #vidéo
    #BT #maïs_BT #rentabilité #TH #soja #Roundup #USA #Etats-Unis #monoculture #agriculture #élevage #Argentine #Monsanto #pommes_De_terre #risques #génie_génétique #toxine_BT #pesticides #industrie_agro-alimentaire #glyphosate #herbicide #super_mauvaises_herbes #darwinisme #soja_roundup_ready #atrazin #business #santé #cancer #Mexique #propriété_intellectuelle #brevets #Percy_Schmeiser #sécurité_alimentaire #Ghana #malformation_congénitale #justice #biodiversité

    #USAID (qui lie #aide_au_développement et utilisation de OGM dans le pays qui va recevoir l’aide)

    #Gates_Foundation (qui finance des tests de plantes OGM au Ghana)

    #biotechnologie_agricole #coton #Bukina_Faso #coton_BT #Sofitex #rendements #Geocoton #Roundup_Ready_Flex_Cotton #néo-colonialisme

    #MON810 #maïs_MON810 #riz_doré #riz #Philippines #golden_rice #Syngenta #technologie #dengue #oxitec #moustiques_transgéniques #AGM #animaux_génétiquement_modifiés

    • Une ONG présentée dans le film, au Ghana :
      #Food_sovereignty_ghana

      Food Sovereignty Ghana is a grass-roots movement of Ghanaians, home and abroad, dedicated to the promotion of food sovereignty in Ghana. Our group believes in the collective control over our collective resources, rather than the control of our resources by multinational corporations and other foreign entities. This movement is a product of Special Brainstorming Session meeting on the 21st of March, 2013, at the Accra Freedom Centre. The meeting was in response to several calls by individuals who have been discussing, writing, or tweeting, about the increasing phenomenon of land grabs, the right to water and sanitation as a fundamental human right, water privatization issues, deforestation, climate change, carbon trading and Africa’s atmospheric space, and in particular, the urgent issue of the introduction of GM food technology into our agriculture, particularly, its implications on food sovereignty, sustainable development, biodiversity, and the integrity of our food and water resources, human and animal health, and our very existence as a politically independent people. These calls insisted that these issues need to be comprehensively addressed in a systematic and an organized manner.

      Foremost in these calls was the need for a comprehensive agricultural policy that respects the multi-functional roles played by agriculture in our daily lives, and resists the avaricious calculations behind the proposition that food is just another commodity or component for international agribusiness. The trade in futures or speculation involving food have pushed food prices beyond the reach of almost a billion of people in the world who go to bed, each day, hungry. Even though we have have doubled the amount of food to feed everybody in the world today, people still don’t have access to food. The primary cause of this is the neo-liberal agenda of the imperialists, such as the SAP, EPA, AGOA, TRIPS, AoA, AFSNA, AGRA, which have the focus on marginalising the small family farm agriculture that continues to feed over 80% of Africa and replacing them with governance structures, agreements and practices that depend on and promote unsustainable and inequitable international trade and give power to remote and unaccountable corporations.

      We came together in order to help turn a new leaf. We see a concerted effort, over the years, to distort our agriculture to such an extent that today, our very survival as a free and independent people crucially depend on how fast we are able to apply the breaks, and to rather urgently promote policies that focus on food for people, and value our local food providers, the arduous role of the resilient small family farm for thousands of years. We need to resist imperialist policies such as the Structural Adjustment Programmes of the World Bank and the IMF which rolled away 30 years of gains towards food sovereignty in the 1970s and 80s. Those African countries that graduated from the SAP were subsequently slammed with HIPIC. In all these years, the imperialist countries fortified their agricultural production with heavy government subsidies, as Africa saw the imposition of stringent conditionality removing all government subsidies on our own agriculture. The effect has been a destruction of our local food production capacity and a dependence on corporations for our daily food needs. This has had a devastating effect on Africa’s agriculture, and our ability to feed ourselves.

      We believe that a proper analysis of the food crisis is a matter that cannot be left with trade negotiators, investment experts, or agricultural engineers. It is essentially a matter of political economy. As Jean Ziegler succinctly puts it, “Every child who dies of hunger in today’s world has been murdered.” Our Food Under Our Control! is determined to make sure that such a crime becomes impossible in Ghana. Our number one mission is to switch the language from food security to food sovereignty as the goal, to repeat the words food sovereignty at every opportunity and say we don’t want food security, that can still be dependence, we want food sovereignty, we need food sovereignty. This is not the same as “food security”. A country can have food security through food imports. Dependence on food imports is precarious and prone to multiple risks — from price risks, to supply risks, to conditionality risks (policy conditions that come with food imports). Food sovereignty, on the other hand, implies ensuring domestic production and supply of food. It means that the nationals of the country (or at the very least nationals within the region) must primarily be responsible for ensuring that the nation and the region are first and foremost dependent on their own efforts and resources to grow their basic foods.

      Aims and objectives:

      1. To help promote the people’s right to healthy and culturally appropriate food produced through ecologically sound and sustainable methods, and to generally ensure the priority of domestic food crops produced by small farms over export crops.

      2. To help create mass awareness about the political, economic, health and environmental impacts of genetically modified food technology and defend the right of the people to define their own food and agricultural systems.

      3. To help ensure small farms are sustained by state provision and facilitation of necessary infrastructure: Security of land tenure, Water, Financial credit, Energy, Fertilizers, Transport, Storage, Extension service, Marketing, Technology and Equipment for production, harvesting, storage and transport, and Insurance against crop failures due to climate changes, or other unforeseen circumstances.

      4. To help resist the theft, destruction, and loss of the Commons, our natural and indigenous resources, by means of laws, commercial contracts and intellectual property rights regimes, and to generally serve as the watch-dog over all aspects of agricultural sustainability in Ghana.

      5. To help protect and preserve public access to and ownership of the Commons: Water, Land, Air, Seeds, Energy, Plants, Animals, and work closely with like-minded local, national, and international organisations in the realization of the foregoing objectives.


      http://foodsovereigntyghana.org

    • Un chercheur, #Damián_Verzeñassi de l’#université_de_Rosario, mentionné il y a une année dans un article de Mediapart :

      Argentine : soja transgénique voisine avec maladies

      Avia Terai, ville de 10 000 habitants, est exposée aux pulvérisations incessantes sur ses champs de soja et de coton de glyphosate, le composant de base de l’herbicide de Monsanto. Un pesticide que l’Organisation mondiale pour la santé a étiqueté cancérogène en 2015. Ici, des enfants naissent avec des malformations, des troubles neurologiques sévères et le taux de cancer est trois fois plus élevé que la moyenne nationale, selon l’étude du docteur argentin Damián Verzeñassi de l’université de Rosario. De son côté, Monsanto nie catégoriquement l’authenticité de ces études et considère que la #toxicité de son produit phare Roundup n’a pas encore été prouvée.

      https://www.mediapart.fr/studio/portfolios/argentine-soja-transgenique-voisine-avec-maladies

      Le chercheur a fait une étude dans laquelle il montrait un lien entre le glyphosate et le développement de cancer :
      “Hay una incidencia del glifosato en los nuevos casos de cáncer”

      Desde 2010 se hicieron relevamientos en 32 localidades de la región pampeana y se relevaron más de 110 mil personas. Según Verzeñassi, si se encontró en estas localidades, donde se aplicó el modelo productivo con transgénicos a base de agrotóxicos, un pico muy importante de casos de cáncer, hipotiroidismo y abortos espontáneos.


      https://rosarionuestro.com/hemos-encontrado-un-incremento-en-la-incidencia-del-glifosato-en-los

    • #Red_de_Médicos_de_Pueblos_Fumigados (Argentine)

      La Red Universitaria de Ambiente y Salud (REDUAS) es una coordinación entre profesionales universitarios, académicos, científicos, miembros de equipos de salud humana en sus distintos niveles y demás estudiosos, preocupados por los efectos deletéreos de la salud humana que genera el ambiente degradado a consecuencias de la actividad productiva humana, especialmente cuando esta se da a gran escala y sustentada en una visión extractivista.

      La REDUAS surge como una de las decisiones tomadas en el 1º Encuentro de Médicos de Pueblos Fumigados, realizado en la Facultad de Ciencias Médicas de la Universidad Nacional de Córdoba y organizado por el Modulo de Determinantes Sociales de la Salud de la Cátedra de Pediatría y por la Cátedra de Medicina I de dicha Facultad; concretado el 26 y 27 de agosto de 2010

      La REDUAS se construye para unir, coordinar y potenciar el trabajo de investigación científica, asistencia sanitaria, análisis epidemiológico y divulgación ,difusión y defensa del derecho a la salud colectiva, que realizan equipos que desarrollan este tipo de actividades en 10 provincias distintas de la Republica Argentina y que se encuentran activados por el problema del daño a la salud que ocasiona la fumigación o aspersión, sistemática de más de 300 millones de litros de plaguicidas sobre casi 12 millones de personas que conviven con los sembradíos de cultivos agroindustriales.

      Para avanzar en ese sentido se propone aportar al debate público por la necesidad de construir prácticas productivas que permitan una supervivencia feliz de la especie humana en la superficie terrestre y de la responsabilidad publica, privada, colectiva e individual en el resguardo de esas condiciones ecológicas.

      Considerando al derecho a la salud, como uno de los valores sociales que debemos tratar de privilegiar en el análisis de las decisiones políticas y económicas que se toman en nuestra sociedad, creemos necesario ampliar la difusión del conocimiento de los datos científicos que se dispone, y que muchas veces se invisibilizan; aportar a la generación de nuevos datos e informaciones experimentales y observacionales – poblacionales; y potenciar la voz de los equipos de salud, investigadores y pobladores en general afectados en sus derechos por agresiones ambiéntales generadas por practicas productivas ecológicamente agresivas.


      http://reduas.com.ar
      #résistance

    • #Madres_de_Ituzaingo_Anexo-Cordoba
      http://madresdeituzaingoanexo.blogspot.fr

      Madres de #Ituzaingó: 15 años de pelea por el ambiente

      En marzo de 2002 salieron a la calle por primera vez para reclamar atención sanitaria ante la cantidad de enfermos en el barrio.Lograron mejorar la zona y alejar las fumigaciones, nuevas normas ambientales y un juicio inédito. Dicen que la lucha continúa. Un juicio histórico


      http://www.lavoz.com.ar/ciudadanos/madres-de-ituzaingo-15-anos-de-pelea-por-el-ambiente
      #Sofia_Gatica

    • Transgenic DNA introgressed into traditional maize landraces in #Oaxaca, Mexico

      Concerns have been raised about the potential effects of transgenic introductions on the genetic diversity of crop landraces and wild relatives in areas of crop origin and diversification, as this diversity is considered essential for global food security. Direct effects on non-target species1,2, and the possibility of unintentionally transferring traits of ecological relevance onto landraces and wild relatives have also been sources of concern3,4. The degree of genetic connectivity between industrial crops and their progenitors in landraces and wild relatives is a principal determinant of the evolutionary history of crops and agroecosystems throughout the world5,6. Recent introductions of transgenic DNA constructs into agricultural fields provide unique markers to measure such connectivity. For these reasons, the detection of transgenic DNA in crop landraces is of critical importance. Here we report the presence of introgressed transgenic DNA constructs in native maize landraces grown in remote mountains in Oaxaca, Mexico, part of the Mesoamerican centre of origin and diversification of this crop7,8,9.

      https://www.nature.com/articles/35107068

    • #Gilles-Éric_Séralini

      Gilles-Éric Séralini, né le 23 août 1960 à Bône en Algérie1, est un biologiste français, professeur de biologie moléculaire à l’université de Caen2. Il est cofondateur, administrateur et membre du conseil scientifique du CRIIGEN3, parrain de l’association Générations Cobayes4 et lanceur d’alerte5. Il est aussi membre du conseil scientifique de The Organic Center6, une association dépendant de l’Organic Trade Association (en)7, « le principal porte-parole du business bio aux États-Unis »8, et parrain de la Fondation d’entreprise Ekibio9.

      Il s’est fait notamment connaître du grand public pour ses études sur les OGM et les pesticides, et en particulier en septembre 2012 pour une étude toxicologique portée par le CRIIGEN mettant en doute l’innocuité du maïs génétiquement modifié NK 603 et du Roundup sur la santé de rats10,11. Cette étude, ainsi que les méthodes utilisées pour la médiatiser, ont été l’objet d’importantes controverses, les auteurs étant accusés d’instrumentaliser de la science, ou même suspectés de fraude scientifique12,13. En réalité, les agences de santé européennes et américaines réagissent sur le tard, indiquant les lacunes et faiblesses méthodologiques rédhibitoires de la publication (notamment un groupe de contrôle comportant un nombre d’individus ridiculement bas). Certains dénoncent aussi un manque de déontologie pour s’assurer d’un « coup de communication ». La revue Food and Chemical Toxicology retire l’étude en novembre 2013.


      https://fr.wikipedia.org/wiki/Gilles-%C3%89ric_S%C3%A9ralini

      Dans le documentaire on parle notamment d’un article qu’il a publié dans la revue « Food and chemical toxicology », que j’ai cherché sur internet... et... suprise suprise... je l’ai trouvé, mais le site de Elsevier dit... « RETRACTED »
      Long term toxicity of a Roundup herbicide and a Roundup-tolerant genetically modified maize
      https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0278691512005637

      Il est par contre dispo sur sci-hub !
      http://sci-hub.tw/https://doi.org/10.1016/j.fct.2012.08.005

      voici la conclusion :

      In conclusion, it was previously known that glyphosate con- sumption in water above authorized limits may provoke hepatic and kidney failures ( EPA ). The results of the study presented here clearly demonstrate that lower levels of complete agricultural gly- phosate herbicide formulations, at concentrations well below offi- cially set safety limits, induce severe hormone-dependent mammary, hepatic and kidney disturbances. Similarly, disruption of biosynthetic pathways that may result from overexpression of the EPSPS transgene in the GM NK603 maize can give rise to com- parable pathologies that may be linked to abnormal or unbalanced phenolic acids metabolites, or related compounds. Other muta- genic and metabolic effects of the edible GMO cannot be excluded. This will be the subject of future studies, including transgene and glyphosate presence in rat tissues. Reproductive and multigenera- tional studies will also provide novel insights into these problems. This study represents the first detailed documentation of long- term deleterious effects arising from the consumption of a GM R- tolerant maize and of R, the most used herbicide worldwide. Altogether, the significant biochemical disturbances and physi- ological failures documented in this work confirm the pathological effects of these GMO and R treatments in both sexes, with different amplitudes. We propose that agricultural edible GMOs and formu- lated pesticides must be evaluated very carefully by long term studies to measure their potential toxic effects.

    • #RiskOGM

      RiskOGM constitue depuis 2010 l’action de recherche du ministère en charge de l’Écologie, du Développement durable et de l’Énergie pour soutenir la structuration d’une communauté scientifique et le développement de connaissances, de méthodes et de pratiques scientifiques utiles à la définition et à la mise en œuvre des politiques publiques sur les OGM.

      Le programme s’appuie sur un Conseil Scientifique et sur un Comité d’Orientation qui réunit des parties prenantes.

      Les axes de recherche prioritaires identifiés portent sur les plans de surveillance générale des OGM, la coexistence des cultures, la gouvernance, les aspects économiques, éthiques et sociaux ou encore la démarche globale d’analyse de la sécurité des aliments contenant des produits transgéniques,

      3 projets en cours ont été soutenus après un 1er appel à proposition fin 2010. Fin 2013, suite à un deuxième appel, le projet (#PGM / #GMO90plus) a été sélectionné et soutenu à hauteur de 2,5 M€. Il vise à une meilleure connaissance des effets potentiels sur la santé de la consommation sur une longue durée de produits issus des plantes génétiquement modifiées.

      http://recherche-riskogm.fr/fr
      #programme_de_recherche

      Un projet dont fait partie #Bernard_Salles, rattaché à l’INRA, interviewé dans le documentaire.
      Lui, semble clean, contrairement au personnage que je vais un peu après, Pablo Steinberg

    • Projet #G-Twyst :

      G-TwYST is the acronym for Genetically modified plants Two Year Safety Testing. The project duration is from 21 April 2014 – 20 April 2018.

      The European Food Safety Authority (EFSA) has developed guidance for the risk assessment of food and feed containing, consisting or produced from genetically modified (GM) plants as well as guidance on conducting repeated-dose 90-day oral toxicity study in rodents on whole food/feed. Nonetheless, the long-term safety assessment of genetically modified (GM) food/feed is a long-standing controversial topic in the European Union. At the present time there are no standardized protocols to study the potential short-, medium- and/or long-term toxicity of GM plants and derived products. Against this backdrop the main objective of the G-TwYST project is to provide guidance on long-term animal feeding studies for GMO risk assessment while at the same time responding to uncertainties raised through the outcomes and reports from recent (long-term) rodent feeding studies with whole GM food/feed.

      In order to achieve this, G-TwYST:

      Performs rat feeding studies for up to two years with GM maize NK603. This includes 90 day studies for subchronic toxicity, 1 year studies for chronic toxicity as well as 2 year studies for carcinogenicity. The studies will be based on OECD Test Guidelines and executed according to EFSA considerations
      Reviews recent and ongoing research relevant to the scope of G-TwYST
      Engages with related research projects such as GRACE and GMO90plus
      Develops criteria to evaluate the scientific quality of long-term feeding studies
      Develops recommendations on the added value of long-term feeding trials in the context of the GMO risk assessment process.
      As a complementary activity - investigates into the broader societal issues linked to the controversy on animal studies in GMO risk assessment.
      Allows for stakeholder engagement in all key steps of the project in an inclusive and responsive manner.
      Provides for utmost transparency of what is done and by whom it is done.

      G-TwYST is a Collaborative Project of the Seventh Framework Programme of the European Community for Research, Technological Development and Demonstration Activities. The proposal for G-TwYST was established in reponse to a call for proposals on a two-year carcinogenicity rat feeding study with maize NK603 that was launched by he European Commission in June 2013 (KBBE.2013.3.5-03).

      https://www.g-twyst.eu

      Attention : ce projet semble être sous forte influence des lobbys de l’OGM...

      Fait partie de ce projet #Pablo_Steinberg, interviewé dans le documentaire.

      Pablo Steinberg est d’origine argentine, il est également le toxicologue du projet « #GRACE : GMO Risk Assessment and communication evidence », financé par l’UE :

      GRACE was a project funded under the EU Framework 7 programme and undertaken by a consortium of EU research institutes from June 2012 - November 2015. The project had two key objectives:

      I) To provide systematic reviews of the evidence on the health, environmental and socio-economic impacts of GM plants – considering both risks and possible benefits. The results are accessible to the public via an open access database and other channels.

      II) GRACE also reconsidered the design, execution and interpretation of results from various types of animal feeding trials and alternative in vitro methods for assessing the safety of GM food and feed.

      The Biosafety Group was involved in the construction of the central portal and database (CADIMA; Central Access Database for Impact Assessment of Crop Genetic Improvement Technologies) that managed the information gathered in the pursuit of the two objectives and in the dissemination of information.

      http://biosafety.icgeb.org/projects/grace

      La conférence finale de présentation du projet GRACE a été organisée à Potsdam... un 9 novembre... date-anniversaire de la chute du mur...
      Voici ce que #Joachim_Schiemann, coordinateur du projet, dit à cette occasion (je transcris les mots prononcés par Schiemann dans le reportage) :

      « Nous aussi, avec nos activités, nous essayons d’abattre certains murs et de faire bouger certaines positions qui sont bloquées. Je trouve que c’est très symbolique d’avoir organisé cette conférence à Potsdam, à proximité de Berlin et des vestiges du mur »

    • Prof. Potrykus on #Golden_Rice

      #Ingo_Potrykus, Professor emeritus at the Institute of Plant Sciences, ETH Zurich, is one of the world’s most renowned personalities in the fields of agricultural, environmental, and industrial biotechnology, and invented Golden Rice with Peter Beyer. In contrast to usual rice, this one has an increased nutritional value by providing provitamin A. According to WHO, 127 millions of pre-school children worldwide suffer from vitamine A deficiency, causing some 500,000 cases of irreversible blindness every year. This deficiency is responsible for 600,000 deaths among children under the age of 5.

      https://blog.psiram.com/2013/09/prof-potrykus-on-golden-rice
      Ce riz, enrichi de #bêtacarotène pour pallier aux carences de #provitamine_A, a valu, à Monsieur #Potrykus, la couverture du Time, une première pour un botaniste :

    • Golden Illusion. The broken promise of GE ’Golden’ rice

      GE ’Golden’ rice is a genetically engineered (GE, also called genetically modified, GM) rice variety developed by the biotech industry to produce pro-vitamin A (beta-carotene). Proponents portray GE ’Golden’ rice as a technical, quick-fix solution to Vitamin A deficiency (VAD), a health problem in many developing countries. However, not only is GE ’Golden’ rice an ineffective tool to combat VAD it is also environmentally irresponsible, poses risks to human health, and compromises food security.

      https://www.greenpeace.org/archive-international/en/publications/Campaign-reports/Genetic-engineering/Golden-Illusion
      #rapport

    • #MASIPAG (#Philippines)

      MASIPAG a constaté que les paysans qui pratiquent la production agricole biologique gagnent en moyenne environ 100 euros par an de plus que les autres paysans, parce qu’ils ne dépensent pas d’argent dans des fertilisants et pesticides chimiques. Dans le contexte local, cela représente une économie importante. En plus, l’agriculture biologique contribue à un milieu plus sain et à une réduction des émissions de gaz à effet de serre. Malgré cela, le gouvernement philippin poursuit une politique ambiguë. En 2010, il a adopté une loi sur la promotion de l’agriculture biologique, mais en même temps il continue à promouvoir les cultures génétiquement modifiées et hybrides nécessitant le recours aux intrants chimiques. La loi actuelle insiste également sur une certification couteuse des produits bio par les tiers, ce qui empêche les #petits_paysans de certifier leurs produits.

      http://astm.lu/projets-de-solidarite/asie/philipinnes/masipag
      #paysannerie #agriculture_biologique

    • #AquAdvantage

      Le saumon AquAdvantage (#AquAdvantage_salmon® pour les anglophones, parfois résumé en « #AA_Salmon » ou « #AAS ») est le nom commercial d’un saumon transgénique et triploïde1.

      Il s’agit d’un saumon atlantique modifié, créé par l’entreprise AquaBounty Technologies (en)2 qui est devenu en mai 2016 le premier poisson génétiquement modifié par transgenèse commercialisé pour des fins alimentaires. Il a obtenu à cette date une autorisation de commercialisation (après son évaluation3) au Canada. En juillet 2017, l’entreprise a annoncé avoir vendu 4,5 tonnes de saumon AquAdvantage à des clients Canadiens qui ont à ce jour gardés leur anonymat4. L’entreprise prévoit de demander des autorisations pour des truites5, des tilapias 5 et de l’omble arctique génétiquement modifiés6.

      Selon les dossiers produits par AquaBounty à la FDA, deux gènes de saumons Chinook et deux séquences provenant d’une autre espèce (loquette d’Amérique) ont été introduits7, (information reprise par un article du New-York Times8 et un article scientifique évoquent aussi un gène provenant d’un autre poisson (loquette d’Amérique9). En 2010, AquaBounty, produirait déjà au Canada sur l’Île-du-Prince-Édouard les œufs de poissons destinés à des élevages en bassins enclavés à terre au Panama10 pour des poissons à exporter (alors que l’étiquetage n’est toujours pas obligatoire aux États-Unis)10.

      Ce poisson est controversé. Des préoccupations scientifiques et environnementalistes portent sur les risques d’impacts environnementaux à moyen et long terme, plus que sur le risque alimentaire. La FDA a considéré que la modification était équivalente à l’utilisation d’un médicament vétérinaire (hormone de croissance et modification transgénique)11 et a donc utilisé son processus (dit « NADA12 ») d’évaluation vétérinaire. Dans ce cadre, la FDA a conclu que ce poisson ne présentait a priori pas de risques pour la santé, et pouvait être cultivé de manière sûre. Mais en 2013, l’opportunité d’élever un tel poisson reste très contestée13 notamment depuis au moins 1986 concernant les risques qu’il pourrait poser à l’égard de l’environnement14, l’autorisation de mise sur le marché pourrait être à nouveau repoussée15.


      https://fr.wikipedia.org/wiki/AquAdvantage
      #saumon #saumon_transgénique #AquaBounty_Technologies

      Aussi appelé...
      #FrankenFish

  • Interpellation de l’industrie française de la viande : les impacts dramatiques de la culture du soja en Amérique latine - SHERPA
    https://www.asso-sherpa.org/interpellation-de-lindustrie-francaise-de-viande-impacts-dramatiques-de

    Une nouvelle enquête internationale, « Quand la #déforestation s’invite à notre table », menée par Mighty Earth, Rainforest Foundation Norway et Fern, révèle que la production mondiale de #viande entraîne en #Argentine et au #Paraguay une déforestation massive, des atteintes à la #santé ainsi que des violations des #droits_humains. Mighty Earth, France Nature Environnement (FNE) et Sherpa interpellent 20 entreprises de l’industrie #agroalimentaire et de la grande distribution française sur les conséquences désastreuses du #soja utilisé dans l’#alimentation des animaux d’#élevages et les rappellent à leur « devoir de vigilance » sur leurs sources d’approvisionnement.

    #forêt

  • Meat industry driving ’astounding’ levels of deforestation, report finds
    https://www.edie.net/news/7/Meat-industry-driving--astounding--levels-of-deforestation--report-finds

    A new investigation by Mighty Earth, Rainforest Foundation Norway, and Fern has linked large-scale deforestation, fires, and human rights abuses in Argentina and Paraguay’s Gran Chaco region to meat producers across the globe.

    Growing demand for soy production has led to cases of deforestation around Gran Chaco, with the new investigation using satellite mapping and drone footage to capture cases of biome being burned and cleared for production.

    Almost 28 million tonnes of soy product was imported to Europe from Latin and South America in 2016, which is used to raise livestock for meat, poultry and dairy products sold at European supermarkets and restaurants.

    #viande #soja #agroindustrie #Argentine #Paraguay #forêt #déforestation

  • La déforestation de l’Amérique du Sud nourrit les élevages européens
    http://www.lemonde.fr/planete/article/2018/03/26/la-deforestation-de-l-amerique-du-sud-nourrit-les-elevages-europeens_5276289

    Ah tiens donc, ça c’est une nouvelle nouvelle vraiment nouvelle

    Ni les images des immenses terres dénudées et fumantes, ni la démesure des millions d’hectares convertis à la culture du #soja et à l’#élevage ne peuvent à elles seules rendre compte de la dévastation qu’engendre la propagation de l’agriculture industrielle en Amérique du Sud. Des membres de l’ONG Mighty Earth s’y sont donc rendus, parcourant plus de 4 000 kilomètres pour prendre la mesure de la #déforestation et de la destruction des #écosystèmes en cours dans le Gran Chaco, pour y entendre les habitants aussi.

    #forêt #industrie_de_la_viande

  • Cerrado: can the empire of soy coexist with savannah conservation?
    https://news.mongabay.com/2018/03/cerrado-can-the-empire-of-soy-coexist-with-savannah-conservation

    Matopiba is an acronym for Maranhão, Tocantins, Piauí and Bahia states. It isn’t a familiar place name to most Brazilians, but is well known to large-scale farmers, as it refers succinctly to the nation’s latest agricultural frontier.

    In #Matopiba, the soybean – due to its inexhaustible global market demand – stands head-and-shoulders above every other crop in importance. Soy experienced an astounding increase of 15 percent in occupied farmland in Matopiba between 2016/2017, with soy acreage likely to top 8.4 million hectares (32,432 square miles) by 2026/2027, says the ministry report.

    Crop #monoculture, hampered by environmental laws in the Amazon, has been expanding rapidly into the #Cerrado, the biodiversity-rich Brazilian tropical savannah which once covered two million square kilometres (772,204 square miles), an area bigger than Great Britain, France and Germany combined.

    More than half of the Cerrado’s native vegetation has been lost already to soy, corn, cotton and cattle, and the pace of deforestation here is far faster than in the Amazon today.

    #Brésil #soja #élevage #déforestation