• La « mondialisation » de l’économie
    https://www.lutte-ouvriere.org/documents/archives/cercle-leon-trotsky/article/la-mondialisation-de-l-economie
    #conférenceLO du 14 mars 1997

    Sommaire :

    De la guerre à la crise (1945-1975)
    – La remise en route de l’économie...
    – ...sous l’égide des États-Unis
    – Le mythe des « Trente glorieuses »
    – Les origines du marché commun
    – La crise monétaire, une des formes de la crise du système capitaliste

    Crise économique internationale et « mondialisation »
    – Le commerce international est-il plus « mondialisé » ?
    – Les entraves au développement du commerce international
    – Le cas des impérialismes européens
    – Les problèmes monétaires de l’#Union européenne
    – L’Union européenne : une construction fragile basée sur des rapports de force
    – Le #commerce_international : réglementé et inégal

    L’hypertrophie des marchés financiers
    – L’endettement des États à l’origine de la croissance des marchés financiers
    – Qu’est-ce que le #PIB ?
    – Les États déréglementent les marchés financiers
    – La #spéculation sur les emprunts d’État
    – La spéculation sur les actions
    – La spéculation sur les « produits dérivés »
    – La spéculation monétaire
    – Les profits spéculatifs détournent les capitaux de la production
    – Un marché monétaire international mais instable

    Concurrence étrangère, délocalisations : ne pas se tromper d’ennemi
    – Les #délocalisations sont-elles responsables du chômage ?
    – Bas salaires et investissements
    – Les capitaux se concentrent dans les pays riches
    – La croissance des #multinationales
    – Les #capitaux ne développent pas la planète, ils la pillent

    La « mondialisation » de la misère
    – Les inégalités s’accroissent
    – La #pauvreté se répand même dans les pays riches
    #Capitalisme et mondialisation
    – La base internationale du développement capitaliste
    – Le capitalisme a transformé le monde

    L’impérialisme, « stade suprême du #capitalisme » depuis un siècle
    – La dictature du capitalisme financier
    – Le monde entier partagé
    – L’#impérialisme n’a pas supprimé les contradictions du système, bien au contraire
    – Une première guerre mondiale pour le repartage du monde
    – Les bases objectives de la corruption du #mouvement_ouvrier...
    – ... et le pourrissement de toute la société

    L’impérialisme, un danger mortel pour l’humanité
    – La #crise_de_1929
    – Le #fascisme et la #guerre
    – La responsabilité des dirigeants socialistes et staliniens
    – L’humanité a payé cher le maintien du capitalisme au XXe siècle...
    – ... et paiera plus cher encore au XXIe siècle s’il se perpétue

    Nationalisme contre #mondialisation : un piège mortel pour les travailleurs
    – Le « #social-chauvinisme » du #PCF

    La mondialisation au service de l’humanité, c’est la société communiste
    – Mettre fin au capitalisme...
    – ... en mettant l’économie au service de tous
    – Seul le prolétariat en est capable

    #stalinisme #social-démocratie #réformisme #communisme_révolutionnaire

  • La corsa ai suoli agricoli italiani dei nuovi “lupi solari”: una speculazione da fermare

    Mediatori immobiliari senza troppi scrupoli vanno alla caccia di terreni assediando agricoltori, meglio se vecchi, stanchi o indebitati, offrendo loro cifre più alte del valore di mercato. È il risultato di una transizione energetica impostata male e gestita peggio. E che favorisce i ricchi a scapito dei poveri. L’analisi-appello di Paolo Pileri.

    “Professore, come comportarsi quando aziende del fotovoltaico contattano offrendo cifre parecchio allettanti per acquisire suoli agricoli per installarci pannelli (non “agrivoltaico”)? Grazie”. È il messaggio che ho ricevuto una mattina di marzo alle dieci. Non è il primo che ricevo e temo non sarà l’ultimo.

    Diciamo però che sono la minima parte della minima parte dei casi che ci saranno in giro per le nostre campagne, letteralmente assaltate da mediatori immobiliari senza troppi scrupoli che vanno alla caccia di terreni assediando agricoltori, meglio se vecchi o stanchi o indebitati, così sono più facili da convincere a vendere offrendo loro cifre più alte del valore di mercato dei terreni agricoli.

    È quanto abbiamo sempre temuto e detto fin dall’inizio delle prime versioni del Piano nazionale di ripresa e resilienza. È il risultato di una transizione energetica fatta partire sgommando e sbandando alla prima curva. Una corsa partita sciaguratamente senza regole (ma probabilmente hanno voluto così) che ha fatto drizzare le antenne a tutti gli speculatori dell’energia che hanno a loro volta sguinzagliato mediatori, geometri, architetti e perfino sindaci a cercare terre da comprare.

    Per convincere gli agricoltori stanno usando la leva della fretta. Mostrano tanti soldi e gli dicono che è questo e solo questo il momento giusto per vendere, inducendo il proprietario a decidere senza pensarci troppo. Questo sarebbe il libero mercato? Ho saputo di funzionari di società energetiche che si sono presentati negli uffici di piccoli Comuni facendo pressione per ottenere segnalazioni di terreni e di possibili persone facilmente convincibili a vendere. Pazzesco, eppure accade. E continuerà ad accadere dappertutto.

    Il messaggio di stamattina arrivava dal Friuli. Quando tutti questi speculatori solari avranno acquistato terre per fare i loro comodi, cominceranno a bussare minacciosi alle porte delle Regioni e del governo (che nel frattempo hanno emesso solo leggi deboli e regolamenti colabrodo) per chiedere facilitazioni e norme che deroghino alle poche regole che esistono, che non mettano loro i bastoni tra le ruote così da poter mettere a terra i pannelli che vogliono nel tempo che vogliono. Loro vogliono metterli a terra, non gli interessa l’agrivoltaico che, comunque (e lo ribadisco) è un dramma lo stesso per l’agricoltura, il paesaggio e il suolo.

    Agli speculatori solari non basta massimizzare i loro guadagni, vorranno anche essere celebrati come eroi green: non mi stupirà vederli sponsorizzare il prossimo festival di Sanremo o il campionato di calcio o magari le Olimpiadi 2026. E puntualmente la politica li porterà in trionfo.

    Possibile che non riusciamo in questo Paese a fare una cosa bene e nell’interesse di tutti e dell’ambiente? Possibile che non riusciamo a proteggere i deboli e frenare quelli che tirano fuori sempre le unghie per graffiare? Qui ci vuole poco. Essendo in clamoroso ritardo sulla pannellizzazione, avevamo (e forse abbiamo ancora) il vantaggio di costruire una regia pubblica forte, intelligente e senza stupidi compromessi, in grado di orientare il mercato nella direzione zero impattante e zero esclusiva. Già perché questo far west della caccia alle terre solari è tutto a vantaggio dei ricchi che hanno i soldi contanti contro i poveri cristi agricoltori che, alla fine, cederanno. Non sono i piccoli e poveri risparmiatori che stanno cercando terre per mettere pannelli. Non siamo davanti a una transizione energetica che sta proteggendo i più poveri.

    Per non parlare delle lunghe mani delle mafie, della ‘ndrangheta. Chissà che non stia già accadendo. Il governo e i governi regionali stanno monitorando? Oppure sono presi dal dare la caccia ai lupi che si aggirano per Courmayeur o nel Monferrato o in Val Seriana? Perché questo fa notizia anche se quei lupi naturali non fanno alcun male, se non a qualche gallina o pecora (che puntualmente mamma Stato ripaga), mentre i lupi solari non fanno notizia eppure sono pericolosissimi, famelici e ridurranno in brandelli paesaggi e agricolture.

    Dobbiamo tutti insieme stanare questi lupi solari e non smettere di denunciare questa assurda pratica che inoltre spopolerà le terre agricole più di quanto già sono spopolate. Dobbiamo chiedere ai governi, regionali e statale, di intervenire per disciplinare la questione una volta per tutte e in modo uniforme sul territorio nazionale. Non possiamo permetterci consumi di suolo solari, né possiamo permetterci di ferire mortalmente l’agricoltura, non possiamo permettere di perdere produzione alimentare, non possiamo perdere agricoltori. I pannelli solari vanno posizionati sui tetti dei capannoni logistici, commerciali e industriali prima di tutto, su tettoie da realizzare in tutti i posteggi pubblici con più di 50 auto, sopra gli impianti di depurazione, nelle stazioni di rifornimento carburanti, lungo le autostrade, e così via. Solo quando avremo finito di piazzarli da quelle parti, potremo pensare a nuove superfici. Ma non l’inverso. Non è possibile che in questo Paese si opti sempre per il “vincere facile”, aprendo sempre nuovi fronti alle speculazioni e alla insostenibilità. Bisogna opporsi. Bisogna parlarne. Bisogna stanare queste pratiche.

    https://altreconomia.it/la-corsa-ai-suoli-agricoli-italiani-dei-nuovi-lupi-solari-una-speculazi
    #spéculation #terres #énergie #transition_énergétique #compétition #agriculture #photovoltaïque #énergie_solaire #panneaux_solaires #sol #agrivoltaico #fermes_solaires #ferme_solaire

    • Le tante zone d’ombra lasciate dal boom dell’agri-fotovoltaico

      La transizione verso le energie rinnovabili è una necessità globale, ma non per questo esente da scelte. In Sicilia i progetti di una multinazionale sono l’occasione per chiedersi se la direzione presa sia quella giusta.

      Verde in primavera, dorato d’estate, l’entroterra della Sicilia offre panorami a perdita d’occhio. Agrumeti, campi di grano, colline lasciate a foraggio. Spostarsi da Catania a Trapani significa attraversare l’isola da una parte all’altra: la prima con le sue testimonianze greco-romane, la seconda che risuona ancora oggi delle influenze arabe. A collegarle c’è un’autostrada che sembra tutt’altro, tra cantieri infiniti, cambi di corsia e lunghi tratti in cui non ci si sente granché sicuri. L’andatura forzatamente lenta permette di accorgersi di come questi territori stiano a poco a poco cambiando. Bianche pale eoliche a incoronare le colline e scintillanti pannelli solari che costeggiano il guard rail sono una presenza a cui, con il passare dei chilometri, l’occhio si abitua.

      D’altra parte non è un mistero che la Sicilia stia vivendo un nuovo boom legato alle energie rinnovabili: a inizio anni Duemila a farla da padrone furono gli investimenti nell’eolico, con tanto di tentativi di lucrarci sopra da parte di Cosa nostra; da qualche tempo, invece, è diventata terra d’elezione per i campi solari.

      Le emergenze internazionali legate alla crisi climatica e i riflessi geopolitici del conflitto russo-ucraino costituiscono la cornice entro cui, oggi, le istituzioni sono chiamate a definire le strategie energetiche. L’impegno dell’Ue sul fronte delle rinnovabili è forte: il Pnrr prevede miliardi di euro di finanziamento per la produzione di energia verde. In quest’ottica – regioni come la Sicilia – diventano ricettori naturali degli investimenti: l’isola è terra di vento e, soprattutto, di sole.

      Ma quali sono le conseguenze a livello territoriale dei crescenti interessi legati alle rinnovabili e ai fondi stanziati per la loro promozione?

      IrpiMedia, con il supporto di Journalismfund Europe, ha deciso di andare sui territori, nel tentativo di capire meglio gli impatti sociali di un fenomeno destinato a segnare il futuro dei luoghi che viviamo. Per farlo abbiamo scelto di concentrare l’attenzione su due progetti – uno in fase di realizzazione a #Paternò, in provincia di Catania, e l’altro a #Mazara_del_Vallo (Trapani) – che nell’ultimo anno hanno attirato l’interesse dell’opinione pubblica.

      A realizzarli è #Engie, multinazionale del settore che ha da poco chiuso un accordo con #Amazon. Il colosso dell’e-commerce da tempo è impegnato a portare avanti, a livello internazionale, un programma di finanziamento degli impianti di produzione di energia rinnovabile. «Questi con Engie rappresentano i nostri primi progetti su larga scala in Italia, ci daranno una mano nel percorso che ci porterà a usare il cento per cento di energia rinnovabile entro il 2030», ha detto, a fine 2020, il direttore di #Amazon_Energy #Nat_Sahlstrom. La dichiarazione, a una prima lettura, potrebbe far pensare che tra qualche anno le attività di Amazon in tutto il pianeta saranno alimentate direttamente da energia verde. In realtà tra la multinazionale che fa capo a #Jeff_Bezos e le aziende produttrici, come Engie, sono stati sottoscritti dei #power_purchase_agreement (#Ppa).

      Un mare di silicio

      Carcitella è il nome di una contrada che si trova al confine tra i comuni di Mazara del Vallo e Marsala. Immersa nelle campagne trapanesi, è solcata da un reticolo di piccole strade provinciali. È da queste parti che si trova uno degli impianti realizzati da Engie. Dietro una recinzione metallica, ci sono filari e filari di pannelli solari: 122 mila moduli fotovoltaici per una potenza complessiva di 66 megawatt.

      «Sole, énergie». La voce – un italiano stentato che ripiega presto nel francese – arriva dalle nostre spalle. Un uomo ci viene incontro, pochi passi per distaccarsi dalle decine di pecore che lo attorniano. Si chiama Mohamed ed è arrivato in gommone dalla Tunisia, l’Africa da qui dista poche ore. Non ha ancora quarant’anni, ma ne dimostra molti di più: Mohamed è arrivato in Italia sperando di spostarsi in Francia e fare il cuoco, ma si è ritrovato a fare il pastore. «Neuf euros par jour. La casa? Petite», spiega, descrivendo il misero compenso ricevuto in cambio della disponibilità di portare al pascolo le pecore dall’alba al tramonto. Mohamed è uno dei tanti che hanno assistito al lento cambiamento di #contrada_Carcitella.

      L’impianto di Mazara del Vallo è stato inaugurato a fine maggio da Engie alla presenza delle autorità. La notizia, che ha trovato spazio sui media nazionali, è di quelle che colpiscono: «Avviato il più grande impianto agrovoltaico d’Italia». Oltre alla partnership con Amazon e alle dimensioni – sommando i progetti su Mazara e Paternò si superano i 200 mila moduli solari su una superficie di 185 ettari – il principale motivo che ha attirato l’attenzione generale sta infatti nella tecnologia utilizzata da Engie. L’agrovoltaico (o agri-fotovoltaico) prevede l’installazione dei pannelli su terreni agricoli, con accorgimenti tali – a partire dalla loro altezza rispetto al suolo – da dare la possibilità di impiantare colture nella parte sottostante. Nel caso di Mazara e Paternò si parla di piante officinali e per fienagioni e l’uso di alberi di mandorlo e ulivo per delimitare i perimetri dell’impianto. «I nostri progetti – fa sapere Engie a IrpiMedia – puntano a valorizzare i terreni mediante l’attuazione del piano agronomico che ha accompagnato il progetto autorizzato dalla Regione».

      L’obiettivo dichiarato è quello di salvaguardare il consumo di suolo e ottimizzare le aree utilizzate. «La Sicilia vanta le maggiori superfici coltivate a biologico in Italia e gli impianti con tecnologia agro-fotovoltaica soddisfano la strategia regionale per lo sviluppo sostenibile», ha dichiarato nella primavera del 2021 Nello Musumeci, oggi ministro del governo Meloni ma all’epoca presidente della Regione Siciliana.

      Ma per quanto le parole di Musumeci potrebbero portare a pensare a un ruolo centrale delle istituzioni nella gestione della transizione verso le rinnovabili, la realtà è che mentre a livello sovranazionale l’Ue ha definito le risorse a disposizione per intraprendere il percorso, fino a oggi l’Italia ha rinunciato alla possibilità di governare il fenomeno. Legiferando, semmai, nella direzione opposta: verso una normativa che renda ancora più libera l’iniziativa imprenditoriale dei leader di settore, lasciando al mercato l’onere della pianificazione. Ma ciò, così come accaduto tante altre volte in passato e in molti altri campi, comporta il rischio di vedere affermarsi le logiche della massimizzazione del profitto, a discapito di aspetti fondamentali per il benessere collettivo a medio-lungo termine.
      Tra maglie sempre più larghe e rinunce

      Le richieste di autorizzazione che hanno portato alla costruzione degli impianti di Paternò e Mazara del Vallo sono state presentate alla Regione, nel 2018, dalla FW Turna, società successivamente acquisita da Engie. Entrambi i progetti sono stati sottoposti al vaglio della commissione chiamata a valutare l’impatto ambientale, ottenendo il via libera condizionato al rispetto di alcune modifiche da apportare.

      A partire dal 2019, al vertice della commissione Via-Vas c’è stato #Aurelio_Angelini. Professore ordinario di Sociologia dell’ambiente e del territorio all’Università di Enna, Angelini è stato incaricato dal governatore Musumeci in seguito a uno scandalo che aveva travolto i precedenti vertici della commissione, accusati di avere piegato il proprio operato agli interessi di #Vito_Nicastri e #Paolo_Arata. Il primo è un trapanese accusato di essere uno dei principali volti imprenditoriali del boss di Cosa nostra Matteo Messina Denaro, l’altro un ex parlamentare nazionale di Forza Italia e successivamente consulente della Lega. In coppia, Nicastri e Arata avrebbero pagato mazzette per corrompere funzionari regionali e ottenere vantaggi su progetti per la realizzazione di impianti per biometano, mini-eolico e fotovoltaico.

      Angelini ha guidato la commissione fino a dicembre scorso, quando è stato rimosso dal nuovo governatore Renato Schifani. Una decisione arrivata dopo mesi di frizioni, con il docente che era stato accusato di fare da tappo agli investimenti sulle rinnovabili in Sicilia per i troppi no dati dalla commissione. «Sono stato vittima di una campagna diffamatoria partita con alcune dichiarazioni di Confindustria e divulgando numeri di fantasia», commenta Angelini.

      «Hanno raccontato frottole a ripetizione. Uno studio indipendente di Public Affairs Advisors e Elemens ma anche il rapporto Fer di Terna – continua – hanno dimostrato che in questi anni la Sicilia è stata in vetta alle classifiche sull’efficienza delle pubbliche amministrazioni per il rilascio delle autorizzazioni ambientali».

      Una cosa è certa: a essere interessati alla Sicilia per la realizzazione di parchi solari sono tanti. Per accorgersene basta navigare nel portale che raccoglie le richieste di autorizzazione. Sono centinaia i progetti finiti sui tavoli della Regione. Un flusso costante interrotto soltanto dalla modifica alla normativa che per gli impianti di una certa dimensione ha disposto che le valutazioni ambientali vengano fatte non più dalle Regioni, ma dal ministero.

      Tra i proponenti si trovano società spagnole, tedesche, ma anche altre con sedi in Cina e nelle isole Cayman. L’obiettivo della Regione è quello di passare dalla potenza di 1,8 gigawatt del 2018 a 4 gigawatt entro il 2030. «Il percorso verso la decarbonizzazione è obbligatorio a meno di non voler pregiudicare definitivamente il futuro del pianeta, ma ciò non può prescindere dalla considerazione di altri fattori», mette in guardia Angelini. Il riferimento va in primo luogo alla localizzazione degli impianti, che il più delle volte interessano aree a destinazione agricola, e chiama in causa direttamente il ruolo delle istituzioni. «La terra serve innanzitutto a produrre cibo – commenta -. Viviamo in un’epoca in cui gli effetti dei cambiamenti climatici, come la siccità e la desertificazione, sono destinati a determinare una drastica riduzione delle produzioni. Per questo – sottolinea – bisognerebbe capire che non possiamo permetterci di ipotecare i terreni per la produzione di energia. E questo non significa rinunciare alla transizione ecologica. Le alternative esistono, serve la volontà di adottarle».

      A inizio 2022, la Regione Siciliana ha approvato il nuovo piano energetico che delinea le strategie per lo sviluppo delle rinnovabili. In precedenza, la commissione guidata da Angelini, esaminando la bozza di piano, aveva dato una serie di prescrizioni rimaste però inattuate. Tra queste c’era la definizione delle aree non idonee all’installazione degli impianti. «L’indirizzo era quello di garantire maggiori tutele per le aree agricole di pregio, ma la politica ha deciso di non raccogliere le nostre indicazioni – commenta l’ex presidente della Cts – Questa non è l’unica stortura: il piano dice chiaramente che la localizzazione degli impianti debba avvenire privilegiando le discariche e le cave dismesse, i siti già compromessi dal punto di vista ambientale e le aree industriali e artigianali. Invece assistiamo alla continua presentazione di progetti fotovoltaici su zone agricole».

      Parlando della grandezza dei progetti – quelli di Engie non sono neanche i più vasti – Angelini ne fa anche una questione socio-economica. «Dovremmo ragionare sul tipo di futuro che vogliamo. Parlare genericamente di rinnovabili non basta. La storia ci dice che l’energia, la sua produzione, è legata a doppio filo con la libertà. Si fanno le guerre per garantirsi l’autonomia energetica. Siamo certi che la scelta migliore sia quella di andare verso un futuro con nuovi monopolisti dell’energia, anziché favorire lo sviluppo delle comunità energetiche?»

      Le comunità energetiche e l’autoconsumo collettivo sono pratiche che permettono a soggetti privati e pubblici di costruire e gestire impianti di produzione di energia rinnovabile pensati principalmente per uno “in loco”. In particolare l’autoconsumo collettivo è portato avanti dagli abitanti di un unico edificio mentre le comunità energetiche sono delle entità più ampie, solitamente un complesso di condomini, piccole e medie imprese ed enti pubblici, purché siano allacciati alla stessa cabina di trasformazione d’energia. In pratica la comunità energetica investe nella costruzione di un impianto, come ad esempio un fotovoltaico sui tetti dei condomini, così da iniziare l’autoproduzione e l’autoconsumo dell’energia rinnovabile.

      «Queste collettività sono pensate per produrre e consumare energia da fonti rinnovabili in loco, così da ridurre le bollette, e non per scopi di lucro, ecco perché la legge dispone che per poter prendere parte alle comunità energetiche sia necessario dimostrare che la produzione e la commercializzazione di energia non sia la fonte principale di guadagno», puntualizza Gianni Girotto, che da parlamentare nazionale del Movimento 5 Stelle è stato il promotore delle comunità energetiche in Italia.

      Il concetto alla base delle comunità energetiche è la produzione di energia diffusa e distribuita su un territorio molto più vasto ma allo stesso tempo molto meno impattante rispetto alle classiche centrali o ai campi eolici e fotovoltaici. I benefici principali, oltre ad una riduzione delle bollette, riguardano anche le spese nazionali del trasporto di energia. Produrre e condurre l’energia da un luogo a un altro ha dei costi ingenti per lo Stato e avere più comunità energetiche sparse in tutto il territorio alleggerirebbe la rete nazionale. Secondo i dati aggiornati a fine 2022, esistono solo 46 attività di autoconsumo collettivo e 21 comunità energetiche. «Un risultato ancora scarso – ammette Girotto – in parte dovuto al Covid che ha cancellato l’argomento dalle discussioni, in parte da una mancanza di reale volontà politica di promuovere le comunità».

      Ad oggi infatti si aspettano ancora i decreti attuativi per definire alcuni che regolamentano, ad esempio, le comunità energetiche più grandi. Per ora sono possibili comunità energetiche basate sulle cabine di trasformazione secondarie, che sono circa 600 mila in tutta Italia, su cui si possono costituire comunità grandi quanto un piccolo isolato o una via per le città più grandi. «Ma se si regolamentassero le comunità energetiche che si allacciano alle cabine primarie, si potrebbero formare comunità grandi quanto diversi comuni così da contribuire significativamente alla riduzione delle necessità di importazioni energetiche che sono più costose ed estremamente più inquinanti», conclude Girotti.

      Quale futuro spetterà alle comunità energetiche è un capitolo ancora tutto da scrivere. Quel che finora pare evidente è che a dettare legge sono ancora i colossi del settore. Aziende che, per loro natura, hanno come obiettivo primario quello di sfruttare economicamente al meglio le opportunità offerte dalle leggi.

      Da questo punto di vista, uno dei primi effetti lo si è notato sul mercato immobiliare dei terreni. Le aziende, infatti, preferiscono trattare con i privati. «Rinunciando ad avere un ruolo centrale nella pianificazione dello sviluppo energetico dell’isola, la Regione sta perdendo l’opportunità di avere introiti da questi investimenti – spiega il professore Aurelio Angelini -. Se si lavorasse alla promozione della realizzazione degli impianti nelle discariche pubbliche o nelle cave dismesse, si potrebbero indire gare per l’affidamento di queste aree ai privati, ottenendo in cambio un canone annuale». Così, però, non sta avvenendo e ad accorgersene è innanzitutto chi con la compravendita degli immobili ci lavora.

      «Fino a qualche anno fa, da queste parti un ettaro di terreno agricolo veniva venduto intorno ai 15 mila euro a ettaro. Oggi per meno di 35 mila non lo si trova», racconta un professionista del settore. Lo incontriamo nel suo studio di Mazara del Vallo, a meno di dieci chilometri dall’impianto di Engie. Ha accettato di parlarci soltanto a condizione di mantenere l’anonimato. «La domanda di terreni per installare pannelli solari è cresciuta in maniera spropositata e l’innalzamento dei prezzi è stata la naturale conseguenza – spiega – Per molti proprietari si tratta di cifre che difficilmente guadagnerebbero lavorando la terra».

      Si potrebbe pensare che per gli immobiliaristi siano periodi di vacche grasse. «Ma non è così, io negli ultimi anni sono riuscito a vendere soltanto un terreno destinato a fotovoltaico. Chi ci guadagna davvero sono i sensali». La senseria è l’attività di mediazione portata avanti spesso in maniera informale da soggetti non qualificati. «Per le società che arrivano da fuori, magari dal Nord Italia o dall’estero, sono dei veri procacciatori di affari e non importa se non siano professionisti del settore, si sanno muovere». Quando gli chiediamo in cosa consista tale capacità, chiarisce: «Spesso sono allevatori, conoscono molto bene le campagne e chi sono i proprietari. Come guadagnano? Si dice che prendano una percentuale dal venditore».

      Ancora oggi in Sicilia il legame con la terra è forte. Può capitare per esempio che un terreno, passando di generazione in generazione nelle mani di sempre più eredi, resti incolto ma comunque ben saldo all’interno del patrimonio di famiglia. La nuova propensione a cederli, e il coinvolgimento di intermediari di fortuna, è un fenomeno che non è passato inosservato anche negli ambienti investigativi. Inevitabile chiedersi se dietro l’attività dei procacciatori possa esserci anche il peso della criminalità: «A oggi non sono emerse evidenze che portino a sostenere un coinvolgimento delle famiglie mafiose nella fase di individuazione dei terreni da destinare alle rinnovabili, ma è chiaro – sottolinea – che quella del sensale è una figura ambigua. Si tratta spesso di soggetti che si muovono in zone grigie. D’altra parte storicamente la mafia siciliana ha avuto un legame forte con la terra, basti pensare al ruolo dei campieri, che si occupavano della guardiania».
      Di chi sono le aree utilizzate da Engie

      «I terreni sono stati acquisiti direttamente dai proprietari». A negare il coinvolgimento di intermediari di fortuna nelle trattative per l’acquisizione delle aree su cui realizzare gli impianti di Mazara del Vallo e Paternò è la stessa Engie. «Nel primo caso il terreno è stato in larga parte acquistato da una singola proprietà, mentre i terreni di Paternò erano frazionati su pochi proprietari terrieri locali», specificano dagli uffici della multinazionale.

      Una versione che trova conferma anche nelle parole di Francesca Adragna, 54enne originaria di Trapani ma residente in Toscana che, insieme al fratello, era la proprietaria dei terreni scelti da Engie per installare i pannelli. «Non abbiamo avuto sensali che si sono interessati alla trattativa, so bene che in Sicilia girano molti sedicenti intermediatori, ma nel nostro caso non è accaduto». Dai documenti visionati da IrpiMedia risulta che a chiedere al Comune di Mazara del Vallo la certificazione di destinazione urbanistica da presentare alla Regione è stata una terza persona. «È stato incaricato da mio fratello, ritengo sia un tecnico», chiosa la donna. Per poi specificare di avere deciso «di vendere questi terreni perché si tratta di un’eredità e, vivendo io fuori dalla Sicilia, occuparsene era sempre più complicato».

      Continuando a scorrere le centinaia di pagine di documenti che accompagnano il progetto presentato alla Regione, ci si imbatte anche su un’altra serie di proprietari. I loro terreni vengono tirati in ballo nella parte riguardante i lavori per la stazione elettrica e i relativi raccordi alla rete di trasmissione nazionale (Rtn) al servizio del campo fotovoltaico. Anche in questo caso sono nomi che per motivi diversi, in alcuni casi legati a passate vicende giudiziarie che nulla hanno a che vedere con l’iter che ha portato alla realizzazione dell’impianto di Engie, sono noti all’opinione pubblica.

      Tra loro ci sono Maria e Pietro Maggio. I due sono discendenti della famiglia Poiatti, rinomati industriali della pasta. Maria attualmente è presidente del consiglio d’amministrazione della società. A loro sono intestate due vaste particelle indicate come vigneti e terreni seminativi utilizzate per la realizzazione della stazione elettrica e per i raccordi alla Rtn. Dai documenti emerge che quest’ultima parte ha interessato anche alcuni terreni di proprietà di Marina Scimemi. La donna, 47 anni, è figlia di Baldassarre Scimemi, l’ex presidente della Banca Agraria di Marsala e vicepresidente dell’Istituto Bancario Siciliano che a inizio anni Novanta venne accusato di essere a disposizione di Cosa nostra. Gli inquirenti accusavano l’uomo di avere elargito crediti a condizioni di favore e fornito una sponda per il riciclaggio del denaro. Per quelle vicende, Scimemi è stato condannato per concorso esterno in associazione mafiosa.

      Nei documenti presentati da Engie compare anche il nome del 41enne Francesco Giammarinaro. Il padre, Pino, è stato deputato regionale della Democrazia Cristiana nella prima metà degli anni Novanta. Una carriera politica costruita all’ombra della corrente andreottiana e vicino a Nino e Ignazio Salvo, i cugini di Salemi – lo stesso paese di Giammarinaro – che per decenni hanno avuto in mano la riscossione dei tributi in Sicilia, grazie anche ai legami con Cosa nostra. Anche per Pino Giammarinaro i problemi con la giustizia non sono mancati: arrestato nel 1994, ha patteggiato i reati di concussione e corruzione, mentre è stato assolto dall’accusa di concorso esterno. A partire dagli anni Duemila, il suo patrimonio è stato sottoposto a misure di prevenzione che hanno portato alla confisca. Tra i beni su cui sono stati posti i sigilli c’è anche il terreno di contrada San Nicola di Corsone. Nel progetto presentato da Engie si menziona l’appezzamento quando si fa riferimento al tracciato dell’elettrodotto aereo; area che per questo sarebbe stata sottoposta a vincolo preordinato all’esproprio.

      «Non ne so nulla, quel terreno ormai non è né di mio figlio né tantomeno mio. Rientra tra quelli sequestrati, da oltre dieci anni non ci appartiene», taglia corto Pino Giammarinaro, raggiunto telefonicamente da IrpiMedia. Sul punto, però, fa chiarezza Engie specificando che, per quanto nella documentazione presentata alla Regione si menzioni la particella 4, «il terreno confina con la nuova stazione elettrica ma non è interessato dalla nostra opera».

      Uva pregiata a basso costo

      Girare per la provincia di Trapani senza imbattersi in qualche vigneto è praticamente impossibile. Rosso, bianco o rosè, da queste parti si beve bene. Tuttavia, chi la terra la lavora praticamente da sempre si è accorto che qualcosa sta cambiando. Anzi, che forse è già cambiato. «Un tempo questa era una delle zone con più vigneti al mondo. Di questo passo, invece, continuare a coltivare viti non varrà più la pena». A parlare è il titolare di una delle tante aziende agricole che hanno sede nell’estremità occidentale della Sicilia. Ci accoglie in un ampio salone per parlare di come in meno di un decennio la redditività delle produzioni sia crollata. «Non è una sensazione, lo dicono i numeri e i bilanci – spiega l’uomo – Chi produce uva da vino da queste parti guadagna molto meno che altrove. Io non so se c’entri qualcosa, ma questo problema è coinciso con il periodo in cui hanno iniziato a costruire impianti per le rinnovabili. Prima c’è stato il boom dell’eolico, adesso sembra che tutti vogliano fare parchi fotovoltaici».

      L’imprenditore suggerisce di confrontare i listini delle cantine sociali. In provincia di Trapani ce ne sono tante, c’è chi lavora con proprie etichette e chi vende il vino sfuso ad altre aziende. Una delle più affermate è Cantine Ermes, attiva non solo nell’isola. Guardando il bilancio del 2022, in cui sono contenuti i dati relativi agli acconti pagati ai soci per i conferimenti effettuati nel corso della vendemmia 2021, si legge che l’uva Chardonnay è stata pagata da 10 a 38 euro al quintale, mentre chi ha portato uva Frappato ha incassato come acconto un massimo di 40 euro al quintale. Per le stesse tipologie di vitigno, una cantina di Riesi, in provincia di Caltanissetta, nella stessa annata ha elargito ai propri soci 60 euro al quintale per lo Chardonnay e da 47 a 52 euro per il Frappato. Le differenze sono marcate anche se si confrontano altri vitigni.

      Stabilire una diretta correlazione tra la bassa redditività dell’uva trapanese e il boom del fotovoltaico non è semplice, ma il calo dei profitti ha fatto crescere il numero di produttori che si chiedono se sia il caso andare avanti. A pensarla così è Giovanni Di Dia, segretario Flai Cgil in provincia di Trapani e a sua volta piccolo produttore. «La specificità del caso trapanese rende difficile pensare che sia determinata soltanto da logiche di mercato – afferma – La tentazione di pensare all’influenza di fattori esterni c’è, perché davvero non si capisce come in altre province si possano liquidare decine di euro in più a quintale. Non si tratta di fare confronti con l’altra parte del Paese, ma di spostarsi di un centinaio di chilometri».

      Quella dei produttori di uva è solo una delle tante perplessità che accompagnano, non solo in Sicilia e non solo in Italia, la corsa al fotovoltaico. E come in tutte le occasioni in cui bisogna fare di fretta, i rischi di perdersi qualcosa per strada sono alti. Chiedersi cosa ne sarà di aree come contrada Carcitella da qui in avanti è fondamentale, perché ne va del modo in cui immaginiamo il futuro e il rapporto con i luoghi che viviamo. In questo senso, il caso Engie dimostra come a essere favoriti, anche sul fronte della remunerazione dei terreni ceduti alle multinazionali, siano spesso grossi proprietari terrieri. Famiglie che in qualche modo ancora oggi rappresentano il volto del latifondo. Per il professore Angelini il discorso, dunque, va oltre la scelta tra rinnovabili – in questo caso il fotovoltaico – e fonti fossili. «Vogliamo sostituire i padroni dell’energia con nuovi monopolisti o vogliamo una società di produttori più equa e democratica?»

      #Sicile #corruption

      voir aussi:
      https://seenthis.net/messages/1007935

  • Affaire Palmade : la caste veut garder ses privilèges - Vu du Droit Régis de Castelnau - vududroit.com

    L’affaire Palmade qui ne quitte pas la première page des gazettes nous donne finalement une leçon très politique. Nous avions dit dans ces colonnes ce que l’on pouvait en penser moins en ce qui concernait la dimension « faits divers » et les conséquences judiciaires de la tragédie que sur ce qu’elle pouvait révéler concernant certaines mœurs des couches supérieures de la société, pas seulement dans le domaine du show-business. Et puis il y a eu également la réaction de la caste face à la réaction de l’opinion publique.

    On assista d’abord à un regroupement visant à minorer la responsabilité du comédien en le présentant comme une victime. Puis devant l’horreur des conséquences de l’accident et l’avalanche de révélations témoignant d’une manifeste dépravation physique et morale, la peur de l’amalgame provoquait l’abandon en rase campagne de Pierre Palmade, présenté comme indéfendable. Nettoyage urgent des réseaux sociaux pour faire disparaître toutes les photos compromettantes, déclarations vengeresses, compassion surjouée pour les victimes : vite, vite, prenons nos distances avec le boulet. C’est qu’il ne fallait surtout pas que le bon peuple s’imagine que la consommation de cocaïne et de stimulants chimiques pour accompagner des pratiques sexuelles (« chemsex ») étaient généralisées et monnaie courante dans certains milieux, et pas seulement dans le showbiz.

    Peine perdue, parce que la première question qui venait à l’esprit à poser aux belles âmes était simple : vous saviez tout, pourquoi n’avez-vous rien fait, alors que vous prétendez aujourd’hui être étrangers à ces pratiques et ses comportements ? Et en fait, la réponse est tout aussi simple, les couches supérieures de la société et en particulier celles du monde politique, des médias et du spectacle sont profondément gangrenées. D’abord par des modes de vie ou la transgression est considérée comme normale. Ensuite parce que cette transgression est traitée comme telle par un système qui nourrit un sentiment d’impunité, les comportements illégaux étant vécus comme un privilège lié à la position sociale. Alors certes, Pierre Palmade usait de ces dérives de façon paroxystique, mais son milieu semblé n’y voir d’inconvénient puisqu’il tolérait ça très bien et se gardait surtout d’intervenir. Dans l’enchaînement de ses responsabilités, finalement, la chose la plus choquante, c’est qu’alors qu’il était sous l’emprise de drogues multiples, il avait fait le choix ce soir-là de prendre le volant. Sans bien sûr qu’aucune des personnes qui l’accompagnaient ne l’en dissuade. Comme aucun de ses amis ne s’était ému qu’il le fasse régulièrement et constitue un danger public. Car ce n’était pas seulement une tolérance mais également une protection car nombreux dans ces milieux sont ceux qui font exactement la même chose.

    Deux exemples récents établissent l’existence de cette protection est de ces privilèges, y compris sur le plan judiciaire. C’est Emmanuel Pellerin, parlementaire macroniste, cocaïnomane avéré et reconnu, qui fait l’objet d’un signalement pour avoir mis son fils en danger, et qui voit l’enquête sur ses infractions prestement classées sans suite par le parquet, pendant que le ministère de la Justice viole la loi sur le secret de l’enquête, en le faisant prévenir de l’existence de celle-ci ! Affaire proprement ahurissante, et rapidement étouffée par les médias dits « mainstream ». Quelques jours après la tragédie provoquée par Pierre Palmade, ce sera la cérémonie des Césars consacrant triomphalement Benoît Magimel, autre consommateur de cocaïne et d’héroïne. Celui-ci a été deux fois condamné pour conduite sous l’emprise de stupéfiants, dont une fois après avoir provoqué un accident et renversé un piéton. Le quantum des peines infligées par la justice était simplement risible. Dans le milieu du cinéma, et d’ailleurs dans bien d’autres, être l’objet d’une accusation, fût-elle fantaisiste, de sexisme, vaut proscription perpétuelle. Renverser des gens sur des passages cloutés sous l’emprise de la cocaïne semble à l’inverse considéré comme vétille à oublier.

    Même si les addictions dont il souffre sont assimilables à une maladie, il est désormais peu probable que Pierre Palmade rencontre la même indulgence judiciaire que Benoît Magimel. Utilisée jusqu’à l’écœurement par des médias soucieux d’audimat et pas fâchés de la diversion médiatique en ces temps de lutte contre la réforme des retraites, son affaire a pris trop d’importance. Et comme tous ses amis l’ont lâché, la justice va devoir faire normalement son travail, et c’est tant mieux. C’est la seule voie qui doit être utilisée pour traiter cette affaire. Mais pour autant, le bloc élitaire ne devrait pas se tenir pour quitte.

    Alors face à la colère populaire, les belles âmes souhaitant conserver privilèges et impunité passent leur temps pour dénoncer cet horrible « populisme », cette terrible tentation du lynchage qu’ils prétendent voir dans ce qui est qu’on le veuille ou non une colère contre la France d’en haut. On ne les entend pas lorsque les médias font de la surenchère dans le traitement des faits divers dès lors que les cibles des campagnes n’appartiennent pas à leur monde. Mais là une des incarnations de cette connivence entre le showbiz et la politique s’est précipitée pour condamner sans appel ceux qui s’indignent de cette corruption étalée.

    Roselyne Bachelot, sorte de rombière tantôt ministre, tantôt chroniqueuse, toujours soucieuse de montrer qu’elle appartient à la France d’en haut en mélangeant politique et showbiz, est venue se plaindre des réactions de l’opinion. « La société française est traversée par une sorte de haine des riches ». Vous avez raison, Madame Bachelot, les couches populaires, qui sont sûrement pleines de défauts, sont quand même attachées à ce que Jean-Claude Michéa, reprenant l’expression de George Orwell, appelle la « décence ordinaire ». Et elles ont parfaitement compris tout ce que l’affaire Palmade révèle de turpitudes et de corruption, et par conséquent de détestable. L’aversion qu’elles ressentent et qui vous chagrine tant renvoie, que vous le vouliez ou non, à quelque chose qui s’appelle la lutte des classes.

    Et dont les manifestations vont se loger partout.

    Source : https://www.vududroit.com/2023/03/affaire-palmade-la-caste-veut-garder-ses-privileges

    #caste #haute_bourgeoisie #moeurs #chemsex #cocaïne #drogue #pratiques_sexuelles #monde_politique #médias #riches #spectacle #turpitudes #corruption #impunité #privilèges #émmanuel_pellerin #benoît_magimel #roselyne_bachelot #lutte_des_classes

  • Continuer la lutte jusqu’à faire reculer Macron et le grand patronat !
    https://www.lutte-ouvriere.org/editoriaux/continuer-la-lutte-jusqua-faire-reculer-macron-et-le-grand-patronat-

    #editorial des bulletins d’entreprise LO #éditoLO (5 mars 2023)

    Pour s’opposer à la retraite à 64 ans, toutes les confédérations syndicales appellent à faire du 7 mars « une #journée_morte dans les entreprises, les administrations, les services, les commerces, les lieux d’études, les transports ». Il faut en être, Macron ne nous laisse pas le choix !

    Alors que cette attaque a suscité des manifestations massives, le gouvernement poursuit, comme si de rien n’était, le train-train parlementaire. Avec l’appui de la droite, il devrait parvenir à faire voter sa contre-réforme au Sénat. En cas de difficulté, il pourra toujours dégainer l’article 49.3.

    Ces gens-là prétendent être les représentants du peuple. Mais ils se moquent de savoir si les ouvriers, les caissières et les manutentionnaires, les infirmières et les aides-soignantes, les aides à domicile et les auxiliaires de vie tiendront le coup jusqu’à 64 ans. Ils se moquent de savoir combien d’entre eux termineront leur carrière à Pôle emploi, en invalidité ou au RSA.

    Et ils nous mentent. Pendant des semaines, le gouvernement a mené tout le monde en bateau en disant qu’il assurerait un minimum retraite à 1200 euros. Maintenant, #Dussopt, le ministre du Travail, avoue que ce dispositif ne concernerait qu’entre 10 000 et 20 000 personnes.

    Depuis le début, #Macron a un seul objectif : trouver de l’argent dans la poche des travailleurs pour continuer d’arroser le grand patronat. Après avoir rogné sur les APL et les droits au chômage et mis à la diète la santé publique, l’éducation et les transports, il restait à prendre sur les retraites.

    Le déficit des caisses, 12 à 20 milliards par an, n’est qu’un alibi pour voler deux ans de pension aux travailleurs. Il suffit de comparer. L’État accorde 160 milliards par an d’exonérations aux entreprises. Cette année, il a même ajouté 50 milliards d’aides au titre de la relance économique. Pour augmenter le #budget_militaire, il a prévu d’en dépenser 14 de plus chaque année et ce, pendant sept ans…

    Quand il s’agit de trouver des milliards pour aider le grand patronat, ça ne fait ni une ni deux. Ce n’est pourtant pas l’argent qui manque de ce côté-là puisqu’en 2022, Total a gagné près de 20 milliards, Stellantis près de 17 milliards et CMA-CGM 23 milliards, etc.

    C’est la même histoire avec l’#inflation. Le gouvernement trouve normal que les industriels augmentent leurs prix. Il n’a pas levé le petit doigt contre #TotalEnergies et les autres #spéculateurs et profiteurs de guerre qui ont fait flamber le prix de l’énergie et de certaines matières premières. Et nous voilà avec des prix alimentaires qui ont grimpé de 20, 30, voire 50 % ! Mais, quand les travailleurs demandent que les #salaires suivent la #hausse_des_prix, #gouvernement et #patronat expliquent, la bouche en cœur, que c’est dangereux pour l’#économie.

    Tant que nous ne revendiquerons pas notre dû, nous serons sacrifiés sur l’autel des #profits et condamnés à voir les milliards s’accumuler à un pôle, alors que de plus en plus de travailleuses et de travailleurs sont forcés de recourir aux Restos du cœur. Alors, il faut se battre et le faire avec la conscience que nous pouvons gagner.

    Depuis le 19 janvier, le mouvement puise sa force dans la participation massive des travailleurs du privé comme du public, des petites entreprises comme des grandes. Même la tentative de division de la droite qui a mis les projecteurs sur les #régimes_spéciaux fait pschitt, tant il est évident que les véritables privilégiés sont du côté des capitalistes et des grands actionnaires parasites !

    Il faut donc continuer notre #mobilisation et passer à la vitesse supérieure.

    « Il faut bloquer le pays », entend-on. Mais s’il s’agit de se reposer sur les cheminots ou les travailleurs des raffineries pour gagner le bras de fer, c’est une illusion.

    Ces derniers peuvent jouer un rôle d’entraînement, en même temps qu’ils exercent une pression importante sur le gouvernement. Mais c’est avec les salariés du privé que nous pourrons, ensemble, mettre le grand patronat sous pression, si les grèves se développent.

    Pour gagner, notre camp a besoin de mobiliser tout le monde et d’utiliser les armes qui ont fait leur preuve dans le passé : la grève, les #manifestations_de_masse et l’#occupation_des_entreprises.

    Unis et déterminés, nous pourrons non seulement stopper cette attaque, mais aussi repartir à l’offensive sur le reste : l’inflation, les salaires, les conditions de travail et toutes les menaces que le capitalisme fait planer sur nos têtes.

    Alors, soyons le plus nombreux possible dans la grève mardi 7 mars et prenons conscience de notre force collective pour continuer jusqu’au recul du gouvernement !

    #lutte_de_classe #gouvernement_borne #Emmanuel_Macron #régression_sociale #prédation_sociale #réforme_des_retraites

  • "Free Nelson Mandela". Quand les musiciens appelaient à la libération de Mandela et à la fin de l’apartheid.

    https://lhistgeobox.blogspot.com/2023/02/free-nelson-mandela-quand-les-musiciens.html

    "Une frange de la jeunesse blanche libérale hostile à l’apartheid se réfugie dans la musique de Sixto Rodriguez, un guitariste et chanteur talentueux, originaire de Detroit (Michigan). Son album Cold Fact, composé en 1971, ne rencontre aucun succès aux Etats-Unis, mais une copie pirate introduite en Afrique du Sud entre en résonance avec les attentes de la jeunesse. Le disque évoque « la révolution sexuelle, la liberté politique ou l’absurdité du monde moderne ». (source D p432) Censuré par les autorités, il devient un objet culte pour tous ceux qui ne supportent plus l’apartheid."

  • La crise actuelle de l’économie capitaliste et ses origines

    #conférenceLO #archiveLO (22 février 2013)

    https://www.lutte-ouvriere.org/documents/archives/cercle-leon-trotsky/article/la-crise-actuelle-de-l-economie

    Sommaire :

    Introduction

    Les crises du capitalisme : de la période de la « #libre_concurrence » à celle de la domination des monopoles
    – Crises et expansions : le mode de fonctionnement du #capitalisme
    – La domination des #monopoles et l’impérialisme
    – D’une guerre mondiale à l’autre : la première période de convulsions de l’#impérialisme

    L’économie capitaliste depuis la fin de la Seconde Guerre mondiale aux années 1970 : de la reconstruction à la #financiarisation
    – La béquille des États pour reconstruire l’économie
    – Le tournant des années 1970
    – La #crise_de_1974 et l’intervention des États

    D’une crise à l’autre, le capitalisme financier toujours plus parasitaire
    – Ces capitaux qui cherchent à s’investir partout sauf dans la production
    – Le règne de la spéculation
    – Une #économie de crédits et d’endettements fondée sur le socle de l’endettement des États

    La crise de 2008 et ses conséquences
    – De la #spéculation sur l’#immobilier aux #États-Unis à la crise de l’euro
    – Les contradictions de la situation économique actuelle

    #marxisme #crise_économique #concentration_du_capital #trotsky #Rosa_Luxemburg #réformisme #révolution_prolétarienne #révolution_sociale #réformisme #chômage

  • Spécisme : l’exploitation ignorée ? – PLL X Comme un poisson dans l’eau
    https://radioparleur.net/2023/02/14/specisme-antispecisme-exploitation-animaux

    Création du Parti animaliste, dénonciation des abattoirs par l’association L214 ou encore proposition de loi sur la corrida… Les engagements antispécistes ce sont fait une place dans le paysage des luttes en France. Ils souffrent pourtant d’une réputation de cause « auxiliaire » dans les milieux de gauche. Chez Radio Parleur par exemple, on n’avait […] L’article Spécisme : l’exploitation ignorée ? – PLL X Comme un poisson dans l’eau est apparu en premier sur Radio Parleur.

  • INFOGRAPHIES. Panier de courses franceinfo : le prix de nos 37 produits du quotidien en forte augmentation en janvier, découvrez la situation dans votre département
    https://www.francetvinfo.fr/economie/inflation/le-panier-de-courses-franceinfo/infographies-panier-de-courses-franceinfo-le-prix-de-nos-37-produits-du

    Panier de courses franceinfo : le prix de nos 37 produits du quotidien en forte augmentation en janvier, découvrez la situation dans votre département
    L’inflation a continué de progresser en janvier. Elle est de 15,6% sur un an sur notre panier de courses franceinfo, soit un point de plus en un mois. Consultez la situation dans votre département sur notre carte interactive.

    #inflation #prix #spéculation

    Ce sont les produits « premier prix » et les marques distributeurs qui subissent les plus fortes hausses par rapport à leurs prix. Il n’y a pas de raison que les gueux soient « épargnés ».

  • « Nous n’en avons probablement pas fini avec l’inflation » | Alternatives Economiques
    https://www.alternatives-economiques.fr/nen-avons-probablement-fini-linflation/00105874

    L’Insee vient de rendre son verdict : la croissance française a été de 2,6 % en 2022. Si l’activité a ralenti au dernier trimestre, l’économie française résiste plutôt bien à la conjugaison de la guerre, de la forte inflation et des tensions créées par la reprise après les moments forts de la pandémie.

    Comment explique-t-on cette résistance ? Va-t-elle se poursuivre ? Que nous réservent les mois qui viennent ? Entretien avec l’économiste Véronique Riches-Flores

    https://justpaste.it/d8md7

    A mon (humble) avis, il y a beaucoup d’incertitudes dans cette analyse.

    Juste que ça, ça me paraît inévitable :

    J’ajoute que les banques centrales, en particulier la BCE, n’ont pas commencé à sérieusement réduire leur bilan, c’est-à-dire à récupérer de manière conséquente les liquidités qu’elles ont distribuées ces dernières années. Cela nourrit des comportements spéculatifs sur les marchés financiers, concernant les matières premières en tout premier lieu.

    #spéculation #marchés_financiers #BCE #banques centrales

  • L’enquête : La #spéculation, l’une des causes de la montée des prix

    En 2022, des #banques et des fonds d’investissement ont spéculé sur les matières premières, ce qui a fait monter artificiellement les prix. Enquête sur ces acteurs qui s’abritent derrière la #guerre en #Ukraine et la crise de l’énergie pour réaliser de gros #profits .

    https://media.radiofrance-podcast.net/2023/1/5/NET_MFC_d2fed1ad-ca48-4c7e-9681-0ebdbafe806d.mp3


    https://www.radiofrance.fr/franceinter/inflation-qui-sont-les-profiteurs-de-guerre-5815129

    • Mais qu’apprends-je ce matin même ? Les négociants de produits raffinés dérivés du pétrole avaient déjà anticipé les mesures prises par l’UE concernant le boycott du gazole russe (nième train de sanctions à l’égard de l’état poutinien) et avaient orienté les cours à la hausse. M’est avis qu’ils vont se gaver une deuxième fois (et en même temps la Macronie). Je suis inquiet pour mon prochain achat de fioul domestique.

      Et j’en profite aussi pour corriger les âneries des journalistes des médias mainstream : ils parlent d’une éventuelle pénurie de « diesel ». Alors ce n’est pas le risque de pénurie sur le diesel mais sur le GAZOLE, carburant qui fait fonctionner les moteurs DIESEL (du nom de l’inventeur de cette « merveille » technologique) ...

  • Ce mardi 31 janvier, tous en grève et en manifestation ! | #éditorial des bulletins d’entreprise #LO (23 janvier 2023)

    Après les grèves et les #manifestations massives du 19 janvier, celles du 31 doivent encore faire monter la pression sur le gouvernement et le grand patronat. Cela dépend de chacun d’entre nous .

    Quels que soient les métiers, les statuts et les secteurs professionnels, le ras-le-bol est général. Le 19 janvier, il s’est exprimé à l’échelle du pays, dans le privé comme dans le public, dans les petites entreprises comme dans les grandes.

    Le #recul_de_l’âge_de_la_retraite n’est qu’un aspect de ce ras-le-bol. Les salaires restent au centre de toutes les préoccupations. Malgré la flambée des prix, plus de 12 % pour les produits alimentaires, les augmentations salariales dépassent rarement les 4 %. Comment ne pas être écœuré quand on voit, dans le même temps, les profits crever les plafonds ? #inflation #salaires

    Et puis, il y a, bien sûr, les #conditions_de_travail. Partout, dans les usines, les bureaux, les hôpitaux… elles deviennent plus dures, avec du sous-effectif permanent, une #flexibilité et une #précarité de plus en plus grandes. Et aujourd’hui, #Macron s’attaque à nos retraites. Eh bien, la coupe est pleine !

    Mais puisque cette attaque des retraites nous concerne tous, elle nous permet d’exprimer notre ras-le-bol d’une même voix. Alors, exprimons-le en dehors de l’atelier, du service et de l’entreprise ! Transformons-le en une contestation commune ! #réforme_des_retraites

    Le bras de fer sur les retraites pose les problèmes fondamentaux du monde du travail. À qui doivent profiter les richesses que nous contribuons tous à créer ? À ceux qui nous exploitent au prétexte qu’ils ont apporté les capitaux ? À une poignée de milliardaires prêts, avec le gouvernement, à pourrir la vie de millions de travailleurs en leur volant une partie de leur retraite pour accumuler quelques milliards de plus ? Il ne faut pas l’accepter ! #grande_bourgeoisie #capitalisme #parasitisme

    Où allons-nous si nous continuons de nous plier aux diktats des politiciens et de la #bourgeoisie qui dirigent aujourd’hui ? Que ce soit sur le plan économique ou politique, toute la société évolue dans un sens catastrophique.

    La #recherche_du_profit, la #concurrence et la #spéculation agissent comme des rouleaux compresseurs, provoquant le saccage des services publics et toujours plus de crises .

    Plus grave encore, il y a les bruits de bottes qui se rapprochent avec l’escalade guerrière en cours en #Ukraine.

    Il suffit de voir comment Macron veut passer en force sur les retraites pour comprendre qu’il ne nous demandera pas notre avis pour entrer en guerre. Et pour acheter des missiles, des chars d’assaut et des avions de combat, il ne manquera pas d’argent. Le gouvernement a déjà porté le budget militaire à 413 milliards, soit 100 milliards de plus sur sept ans ! S’il y a la guerre, le gouvernement ne nous volera pas seulement deux ans de retraite, il volera les 20 ans de la jeunesse qu’il enverra au combat.

    Plus d’#injustice, plus d’#inégalités, plus de guerres, voilà ce que les capitalistes et leurs serviteurs politiques nous réservent, à nous et à nos enfants !

    La voie à suivre est là, devant nous. C’est de reprendre le chemin de la #lutte_collective et de la #solidarité_ouvrière. C’est de nous battre pour que la société ne soit plus gouvernée par les intérêts des capitalistes, l’#exploitation, la guerre économique et la suprématie de quelques-uns sur le monde entier.

    Il n’est jamais facile de se lancer dans le combat, surtout dans un combat dont on sait qu’il sera long. Car il ne suffira pas d’un ou deux jours de manifestations : le seul moyen de faire reculer le gouvernement est de le confronter à des grèves qui se multiplient et deviennent contagieuses.

    Le 19 janvier, des centaines de milliers de travailleurs ont découvert ou redécouvert la force du nombre et l’unité du monde du travail. Plus nous serons nombreux mardi, plus nous reprendrons confiance en nos forces collectives, et plus notre camp gagnera en combativité et en détermination.

    Au soir du 31, les #confédérations_syndicales annonceront un calendrier de mobilisations, suivant leur propre logique. Et des syndicats, dans plusieurs secteurs, appellent déjà à des grèves reconductibles. C’est dans ce sens-là qu’il faudra aller pour espérer renverser le #rapport_de_forces.

    Mais quels que soient les appels syndicaux, c’est à chacun d’entre nous de faire vivre la mobilisation, d’apprendre à l’organiser et à la contrôler. Une chose est sûre, pour l’emporter, il faut réussir à mettre toutes nos forces dans ce combat. Ensemble, montrons-leur que nous pouvons, nous aussi, mener la #lutte_de_classe, mettre cette réforme en échec et nous faire respecter !

  • Saccages sociaux obligent, tout va très bien pour #Larry_Fink et la masse des parasites qui s’enrichissent en spéculant sur les fonds indiciels cotés (#ETF)…

    L’année 2022 aura consacré #BlackRock comme leader mondial incontesté du marché des fonds indiciels cotés (ETF). Avec 2.910 milliards de $ (2.682,5 milliards €) d’encours à fin décembre, soit un tiers du marché, le numéro un de la gestion d’actifs reste le premier gérant d’ETF au monde.
    Surtout, après s’être fait damer le pion deux années de suite par son rival #Vanguard, il a obtenu la plus forte collecte nette du marché l’an dernier, avec 221 milliards de dollars de flux, contre 214 milliards de dollars pour le groupe mutualiste de Pennsylvanie, en recul par rapport aux deux années précédentes.
    Avec #State_Street, les trois premiers gérants d’ETF couvrent les deux tiers du marché mondial pour ce type de supports, gérés essentiellement de manière passive, c’est-à-dire en répliquant des indices de marché. Parce qu’ils permettent, notamment aux particuliers, d’investir à peu de frais sur de grands marchés, les ETF ont connu un essor considérable ces dernières années.
    En Europe, BlackRock reste de très loin le premier pourvoyeur d’ETF, avec 586 milliards d’encours pour ses produits #iShares (la marque du groupe pour les ETF). Suivent Amundi, champion français et numéro six mondial, mais avec trois fois moins d’encours d’ETF que BlackRock, puis #DWS, #Vanguard, et #UBS.
    Du côté des fonds, c’est à SPDR S&P 500 ETF Trust de State Street que revient l’honneur d’être à la fois le doyen et le plus large ETF au monde avec 370 milliards de dollars d’encours. Comme son nom l’indique, il réplique l’indice #S&P_500 et s’est donc replié de 16 % l’an dernier, après six années de hausse. Il est suivi par deux indices de BlackRock et Vanguard calquant eux aussi l’indice américain des 500 plus grandes sociétés cotées à New York.
    Plus de la moitié de la collecte de BlackRock l’an dernier provient des ETF, ce qui lui a permis de limiter la fonte de ses actifs sous gestion et d’afficher un chiffre d’affaires supérieur aux attentes du marché à 17.873 milliards de dollars sur l’année, en recul de 8 % par rapport à l’année précédente.
    De leur côté, les #résultats se sont repliés de 12 % à 5.178 milliards de dollars, grâce à une bonne maîtrise des coûts. Quelques jours avant la publication de ses résultats, le groupe avait annoncé une vague de 500 #licenciements, soit 2,5 % des effectifs, pour la première fois depuis 2019. Après s’être repliée de 23 % l’an dernier, l’action de BlackRock a repris 6,4 % depuis le début de l’année

    (Les Échos)

    #parasitisme #spéculation_boursière #spéculation #capitalisme #finance

  • A qui profitent les crises alimentaires ?
    https://www.cncd.be/a-qui-profitent-les-crises-alimentaires

    Dans les pays du Sud mais aussi en Europe, le droit à l’alimentation de centaines de millions de personnes est menacé par la flambée des prix. Cependant, certains acteurs du système tirent leur épingle du jeu. Parmi ceux-ci, les multinationales céréalières, les producteurs d’engrais chimiques et les spéculateurs.

    La faim progresse encore et toujours. Parler de crise alimentaire peut sembler inadéquat car le terme crise implique une manifestation soudaine d’un phénomène. Or, depuis des décennies, la faim n’est pas un problème conjoncturel, c’est une injustice structurelle. Cependant, il y a bel et bien des phénomènes qui viennent exacerber l’insécurité alimentaire permanente et qui nécessitent de sonner l’alerte en parlant de crise alimentaire.

    #famines #crise_alimentaire_structurelle #spéculation #ABCD (pour ADM, Bunge, Cargill et Louis Dreyfus)

  • Douceur angevine : selon que vous serez puissant ou misérable ...

    Angers est la ville où le pouvoir d’achat immobilier s’est le plus effondré entre 2019 et 2022
    https://www.ouest-france.fr/pays-de-la-loire/angers-49000/angers-est-la-ville-ou-le-pouvoir-d-achat-immobilier-s-est-le-plus-effo

    Depuis la crise du Covid-19, les Français ne peuvent plus acheter un bien aussi grand, révèle une étude de Meilleurtaux, relayée par nos confrères du Parisien . Toutes les villes françaises enregistrent une chute du pouvoir d’achat immobilier. Et pour Angers (Maine-et-Loire), la baisse est conséquente : en 2019, des acquéreurs pouvaient s’acheter un 94 m2, avec le même budget aujourd’hui, ils ne peuvent s’offrir qu’un 52 m2. Soit une perte de 42 m2.

    #spéculation #ville_TGV #gentrification (pour les uns) #précarité (pour les autres)

  • Cette menace à 2.200 milliards de dollars qui plane sur les devises… (Les Échos)

    Le risque de non-livraison d’une monnaie concerne potentiellement 2.200 milliards de $ par jour.

    Soit près du 1/3 des volumes quotidiens mondiaux, selon la Banque des règlements internationaux.

    Le plus grand marché au monde, celui des #monnaies, recèle en son sein une #bombe_à_retardement. Les #devises ne circulent entre les intervenants que s’ils honorent leurs engagements dans les temps. La liquidité peut s’interrompre brutalement, notamment lors des crises. Si un acteur important fait défaut, un effet domino peut se produire pour le système financier international. Entre le moment où une monnaie est achetée contre une autre puis effectivement livrée, il s’écoule deux jours, le délai standard sur les changes. Si le vendeur (#banque, institution financière, fonds…) fait faillite ou n’est pas en mesure d’honorer son engagement, l’acheteur se retrouve privé de sa devise, avec des conséquences néfastes en cascade si le montant est important. En 2008, la banque allemande KfW enregistra ainsi 300 millions de dollars, du fait de la faillite de sa contrepartie, la banque Lehman Brothers.

    En 2022, pas moins de 2.200 milliards de dollars, soit 31 % des volumes quotidiens, comportaient un risque plus ou moins grand de non-règlement et d’échec de livraison des monnaies dans les temps, selon un rapport de la Banque des règlements internationaux (#BRI). Ce risque a augmenté de 15 % en trois ans. Il est le plus important dans les pays émergents où jusqu’aux 3/4 des transactions peuvent connaître des retards, voire l’échec de la réception des monnaies. Plus les devises sont exotiques et peu traitées, plus ce risque est élevé. […]

    #marché_des_devises #spéculation #bourse #marché_financier #capitalisme

  • Les licenciements dans la tech mettent à mal les finances de l’Irlande Laura Taouchanov et Eric Guevara Frey - RTS
    https://www.rts.ch/info/economie/13602858-les-licenciements-dans-la-tech-mettent-a-mal-les-finances-de-lirlande.h

    L’Irlande, qui accueille de nombreuses entreprises technologiques sur son territoire, est particulièrement touchée par les récentes vagues de licenciements dans le secteur. Cette crise pourrait néanmoins être l’occasion pour le milieu de transformer son modèle économique.

    Les licenciements se sont multipliés ces derniers mois chez les géants du numérique et dans les entreprises de la tech en général. Elles ont licencié aux Etats-Unis un total de plus de 144’000 personnes depuis le début de l’année, selon le décompte tenu par le site layoffs.fyi.


    Cette crise n’est pas sans conséquences sur l’économie irlandaise, puisque le secteur de la tech représente 6% de l’emploi sur l’île. Il s’agit du plus fort taux dans l’UE. Au total, ces suppressions de postes pourraient coûter l’équivalent de 10 milliards de francs à l’Irlande.

    Rory O’Farrell, économiste à l’Université technologique de Dublin, a expliqué cette semaine dans l’émission Tout un monde que le boom de recrutements qui a eu lieu pendant la pandémie est maintenant terminé.

    « C’était des emplois bien payés, on va donc perdre leur impôt sur le revenu. L’impôt sur les sociétés est aussi très important. Ces multinationales étrangères du secteur de la tech représentaient 20% de notre impôt sur les sociétés. Cela va creuser un gros trou dans les finances irlandaises qui sera difficile à combler. »

    « Un mal pour un bien »
    Frédéric Fréry, professeur de management à l’ESCP Business School, estime néanmoins que cette crise est un mal pour un bien. « Les investisseurs considéraient la tech comme une sorte d’oasis merveilleuse, et cela a donné lieu à des comportements assez surprenants. Quand je vois des entrepreneurs qui créent des entreprises non pas pour qu’elles soient rentables, mais uniquement pour qu’elles fassent un gros chiffre d’affaires, je m’interroge. »

    C’est une remise à zéro des compteurs qui est plutôt bénéfique sur certains points
    Frédéric Fréry, professeur de management à l’ESCP Business School

    « Un modèle économique qui n’a pas pour nature de dégager de la rentabilité un jour, c’est assez étrange. Personnellement, je trouve que c’est une remise à zéro des compteurs qui est plutôt bénéfique sur certains points », fait-il valoir.

    L’économiste développe son analyse : « La croissance jouait un peu le rôle de la rentabilité auprès des investisseurs. Je rappelle qu’un investissement se rentabilise soit avec des dividendes, soit avec de la plus-value, et si vous êtes dans une sorte de croissance effrénée et perpétuelle, vous pouvez quand même attirer des investisseurs qui eux-mêmes font l’hypothèse qu’ils revendront plus cher ce qu’ils ont acheté, même si dans les faits il n’y a pas vraiment de rentabilité. »

    Vendre « une croissance perpétuelle »
    Frédéric Fréry prend l’exemple d’Uber : « Le groupe accumule des pertes en milliards, il n’empêche que sa valorisation boursière continue d’être extrêmement plantureuse parce qu’il vend une espèce de croissance perpétuelle. »

    Ce retour à la ’normale’ marque peut-être la fin d’une période euphorique qui par moments a plus eu l’air d’un rêve collectif qu’autre chose

    Frédéric Fréry, professeur de management à l’ESCP Business School
     "Je ne peux pas m’empêcher de voir ça comme une sorte d’anomalie par rapport à ce qu’on enseigne normalement. Une entreprise doit dégager une forme de rentabilité pour pouvoir couvrir ses dépenses sans devoir en permanence demander l’aumône à des investisseurs. Ce retour à la ’normale’ marque peut-être la fin d’une période euphorique qui par moments a plus eu l’air d’un rêve collectif qu’autre chose."

    Nouvelles opportunités
    Ce rééquilibrage peut également servir d’opportunité pour de nouvelles entreprises. Le plus gros incubateur de start-ups en Irlande, Dog Patch Labs, compte bien en tirer profit. « Ils suppriment ces postes principalement à cause de la bourse américaine », explique un employé de l’incubateur.

    « Donc nous, on n’a aucun licenciement, bien au contraire. Des gens viennent à nous en disant : ’Une de ces grandes entreprises m’a laissé partir, je vais prendre du temps pour moi à Noël et quand je reviens je veux créer mon entreprise, quelle est la prochaine étape ?’ »

    Fonds de réserve
    Il se montre optimiste : « Ces talents ne peuvent qu’être bénéfiques. Ces personnes très qualifiées trouveront toujours du travail. Ce ne sont pas de simples entreprises, ce sont nos amis. Chaque semaine, des gens de ces groupes viennent aider nos start-ups et on essaie de leur rendre comme on peut. On a de la chance parce que nous avons bâti un écosystème technologique incroyable en Irlande, donc ceux qui cherchent du travail en trouveront. »

    Pour amortir de futurs chocs, le gouvernement irlandais va transférer d’urgence 6 milliards d’euros dans un fonds de réserve. L’objectif est de réduire progressivement la dépendance à ces multinationales et diversifier l’économie.

    #économie #spéculation #tech #Irlande #start-ups #paradis_fiscaux #startup #multinationales #crise #bourse #multinationales #croissance #dividendes #rentabilité

  • Gérard Wertheimer en tête des plus grandes fortunes de Suisse Théo Jeannet/furr/ats
    https://www.rts.ch/info/economie/13572304-gerard-wertheimer-en-tete-des-plus-grandes-fortunes-de-suisse.html

    Il reste beaucoup de milliardaires en Suisse. Le magazine Bilan sort vendredi son classement des 300 plus grandes fortunes du pays. Les milliardaires ont vu leur fortune varier au gré de la pandémie et de l’invasion russe de l’Ukraine.

    Derrière les murs d’une villa de Cologny, à Genève, la nouvelle plus grosse fortune de Suisse, celle du Français Gérard Wertheimer, propriétaire avec son frère Alain de la maison Chanel, s’élève à 38 milliards de francs, en hausse de pas moins de 9 milliards, selon les estimations du magazine Bilan. https://interactif.bilan.ch/300-plus-riches


    Le luxe ne connaît ainsi pas la crise et vole la première place aux familles Hoffmann-Oeri-Duschmalé, à la tête de l’empire pharmaceutique Roche, avec ses plus de 30 milliards de francs. Sur la troisième marche du podium, on retrouve Klaus-Michael Kühne, du groupe de logistique du même nom, avec plus de 23 milliards de francs (-6 milliards sur un an).

    Domiciliée à Bâle et Genève et active dans la banque, l’immobilier et l’agroalimentaire, la famille Safra conserve son 4e rang, sa fortune restant stable à environ 22 à 23 milliards de francs.

    Santé « insolente » du luxe
    D’après Andrea Machalova, rédactrice en chef adjointe de Bilan, responsable du département « Bilan luxe », le secteur affiche une santé « insolente ». Dans le luxe, il y a en effet beaucoup de « valeurs refuges », explique-t-elle.

    « Il y a aussi de plus en plus de personnes fortunées autour du monde, donc des nouveaux marchés qui s’ouvrent, notamment pour l’horlogerie, comme aux Etats-Unis, au Moyen-Orient et en Inde. Avec le développement du marché de deuxième main, ce sont en plus des objets qu’on peut revendre », développe encore la rédactrice en chef adjointe.

    Classement bouleversé par le Covid-19
    Plusieurs mois d’enquête des journalistes de Bilan ont abouti à un classement bouleversé par la crise du Covid-19. Un exemple frappant est la famille d’armateurs italiens Aponte, géant du fret maritime et des croisières, propriétaire du géant maritime Mediterranean Shipping Company (MSC).

    Elle a gagné 14 places et entre à la cinquième place du top des plus fortunés du pays, à la faveur d’un bond de son patrimoine de 10 milliards à quelque 20 milliards de francs.

    Selon Julien de Weck, rédacteur en chef de Bilan, le Covid a perturbé toutes les chaînes d’approvisionnement et a eu pour conséquence une explosion du prix du transport de marchandises.

    « Les propriétaires du secteur et les armateurs en ont bénéficié avec deux exercices exceptionnels (...) On estime que ces deux dernières années, les Aponte ont gagné autant que sur la dernière décennie », détaille encore Julien de Weck.

    Entre 16 et 17 milliards pour les Bertarelli
    Domicilié depuis vingt ans à Rapperswil, sur la rive saint-galloise du lac de Zurich, Jorge Lemann, binational brésilien et suisse, reste solidement installé au 6e rang de la hiérarchie des fortunes les mieux dotées de Suisse, son patrimoine pesant 16 à 17 milliards de francs.

    Agé de 82 ans, l’homme d’affaires, qui a aussi joué pour la Suisse en Coupe Davis de tennis, détient notamment des participations dans Burger King et le numéro un mondial de la bière AB inBev.

    Jorge Lemann précède la famille Bertarelli, dont le patrimoine se monte à 16-17 milliards de francs, puis l’entrepreneur genevois domicilié à Dubaï, Guillaume Pousaz et sa société de paiements Checkout.com. En l’espace d’un an, sa fortune s’est envolée de 4 milliards, l’une des dix plus fortes croissances, à 15-16 milliards.

    Rôle de la géopolitique
    Ce classement n’est d’ailleurs pas hermétique à la géopolitique mondiale. La guerre en Ukraine et la flambée des matières premières ont fait entrer de nouveaux acteurs dans le classement.

    « On voit que le patrimoine des négociants en matières premières a vraiment explosé. Ils ont eu des résultats astronomiques », conclut Julien de Weck.

    Ce contexte inédit redistribue aussi les cartes pour les proches du Kremlin, comme l’homme d’affaires Andrey Melnickenko, ou l’oligarque arméno-russo-finlandais Guennadi Timtchenko, patron de la société de négoce de pétrole Gunvor. Habitués du haut du classement, ils font aujourd’hui les frais des sanctions économiques envers la Russie.

    Guennadi Timtchenko, 5e en 2021, rétrograde en effet au 9e rang. Estimée à 15-16 milliards et en partie bloquée, sa fortune a fondu de 4 milliards.

    #luxe #fortune #richesse #pauvreté #capitalisme #dividendes #argent #guerre_aux_pauvres #fric #artiche le #flouz le #jonc #la #fraiche #bénéfices #marge #capitalisme #spéculations #Suisse

  • Greece Using Other Migrants to Expel Asylum Seekers
    (un article qui date d’avril 2022)

    Stripped, Robbed, and Forced Back to Turkey; No Chance to Seek Asylum.

    Greek security forces are employing third country nationals, men who appear to be of Middle Eastern or South Asian origin, to push asylum seekers back at the Greece-Turkey land border, Human Rights Watch said in a report released today.

    The 29-page report “‘Their Faces Were Covered’: Greece’s Use of Migrants as Police Auxiliaries in Pushbacks,” found that Greek police are detaining asylum seekers at the Greece-Turkey land border at the Evros River, in many cases stripping them of most of their clothing and stealing their money, phones, and other possessions. They then turn the migrants over to masked men, who force them onto small boats, take them to the middle of the Evros River, and force them into the frigid water, making them wade to the riverbank on the Turkish side. None are apparently being properly registered in Greece or allowed to lodge asylum claims.

    “There can be no denying that the Greek government is responsible for the illegal pushbacks at its borders, and using proxies to carry out these illegal acts does not relieve it of any liability,” said Bill Frelick, refugee and migrant rights director at Human Rights Watch. “The European Commission should urgently open legal proceedings and hold the Greek government accountable for violating EU laws prohibiting collective expulsions.”

    Human Rights Watch interviewed 26 Afghan migrants and asylum seekers, 23 of whom were pushed back from Greece to Turkey across the Evros River between September 2021 and February 2022. The 23 men, 2 women, and a boy said they were detained by men they believed to be Greek authorities, usually for no more than 24 hours with little to no food or drinking water, and pushed back to Turkey. The men and boy provided firsthand victim or witness accounts of Greek police or men they believed to be Greek police beating or otherwise abusing them.
    Sixteen of those interviewed said the boats taking them back to Turkey were piloted by men who spoke Arabic or the South Asian languages common among migrants. They said most of these men wore black or commando-like uniforms and used balaclavas to cover their faces. Three people interviewed were able to talk with the men ferrying the boats. The boat pilots told them they were also migrants who were employed by the Greek police with promises of being provided with documents enabling them to travel onward.

    A 28-year-old former commander in the Afghan army who was pushed back to Turkey in late December, said he had a conversation in Pashto with the Pakistani man ferrying the boat that took him back to Turkey: “The boat driver said, ‘We are … here doing this work for three months and then they give us … a document. With this, we can move freely inside Greece and then we can get a ticket for … another country.’”

    An 18-year-old Afghan youth described his experience after the Greek police transported him from the detention center to the river: “At the border, there were other people waiting for us.… From their language, we could recognize they were Pakistanis and Arabs. These men took our money and beat us. They beat me with sticks. They dropped us in the middle of the river. The water was to my chest, and we waded the rest of the way [to Turkey].”

    Pushbacks violate multiple human rights norms, including the prohibition of collective expulsion under the European Convention on Human Rights, the right to due process in the International Covenant on Civil and Political Rights, the right to seek asylum under EU asylum law and the EU Charter of Fundamental Rights, and the principle of nonrefoulement under the 1951 Refugee Convention.

    The Greek government routinely denies involvement in pushbacks, labeling such claims “fake news” or “Turkish propaganda” and cracking down, including through the threat of criminal sanctions, against those reporting on such incidents. On March 29, Greece’s independent authority for transparency tasked by the government to investigate pushbacks “found no basis for reports that Greek authorities have illegally turned back asylum-seekers entering the country from Turkey.”

    Major General Dimitrios Mallios, chief of the Aliens & Border Protection Branch in Hellenic Police Headquarters, denied the Human Rights Watch allegations. He said that “police agencies and their staff will continue to operate in a continuous, professional, lawful and prompt way, taking all necessary measures to effectively manage the refugees/migration flows, in a manner that safeguards on the one hand the rights of the aliens and on the other hand the protection of citizens especially in the first line border regions.”

    Greece should immediately halt all pushbacks from Greek territory, and stop using third country nationals for collective expulsions, Human Rights Watch said. The European Commission, which provides financial support to the Greek government for migration control, should require Greece to end all summary returns and collective expulsions of asylum seekers to Turkey, press the authorities to establish an independent and effective border monitoring mechanism that would investigate allegations of violence at borders, and ensure that none of its funding contributes to violations of fundamental rights and EU laws. The European Commission should also open legal proceedings against Greece for violating EU laws prohibiting collective expulsions.

    Frontex, the European Border and Coast Guard Agency, which is under increased scrutiny for complicity in migrant pushbacks in Greece, should trigger article 46 of its regulation, under which the agency has a duty to suspend or terminate operations in case of serious abuses, if no concrete improvements are made by Greece to end these abuses within three months.

    On March 1, Greece’s migration minister, Notis Mitarachi, declared before the Hellenic Parliament that Ukrainians were the “real refugees,” implying that those on Greece’s border with Turkey are not.

    “At a time when Greece welcomes Ukrainians as ‘real refugees,’ it conducts cruel pushbacks on Afghans and others fleeing similar war and violence,” Frelick said. “The double standard makes a mockery of the purported shared European values of equality, rule of law, and human dignity.”

    https://www.hrw.org/news/2022/04/07/greece-using-other-migrants-expel-asylum-seekers

    #Grèce #asile #migrations #réfugiés #pushback_helpers #Evros #frontières

    • Pushback helpers: A new level of violence

      In October 2020, Salam*, together with 15 people from Syria and Afghanistan, crossed the Evros River from #Edirne, Turkey to Greece. They walked until the next morning through the forest on the Greek side of the border area. When they rested for a few hours, they were discovered by the Greek border police.

      “At 10 a.m., after two hours, I was very tired. When I slept, the ’commando’ [Greek border police] told us ’Wake-up! Wake-up!’ They had sticks. One of our group ran away and two ’commandos’ caught him and struck him again and again.”

      The Greek police officers threatened the group, beat them, and robbed them of all their belongings. After an hour all were brought to a prison. There the group was searched again and threatened with being killed if they hid any belongings. There were about 70 to 80 people in the prison none of the detainees was provided with water or food.

      “The prison was not a [real] prison. It was a waiting room. No Food, no water, no beds. There were only two toilets, which were not clean. We stayed there from 1 p.m. and waited until midnight.”

      At midnight, armed officers whom the respondent identified not as police but rather as a private army force, came to the prison. Using brutal violence, the people were forced to undress down to their underwear and all 70 to 80 were crammed into a van without windows. For an hour the group had to wait in the overloaded van until they were taken back to the river Evros.

      Back at the river, the group had to sit in a row, still stripped to their underwear and without shoes, and were not allowed to look up. The officers tortured people for at least one hour.

      „He [the ’commando’] told us: ’If you come back, another time to Greece, I will kill you! We will kill you!’ We were around 80 and there were two [officers] on each side of us. [They struck us] for one hour or two hours, I don’t remember about this.“

      They were then forced back onto a boat driven by two people who did not appear to be members of the Greek police:

      „Two people were talking in Arabic and Turkish languages. They were not from the ’commandos’ or the Greek police. They [drove] the boat across to the other side to Turkey. One took a rope from the trees on the Turkish side to the tree on the Greek side. He didn’t have to row, he could just pull the boat with the rope. […] When we got inside the boat, the ’commando’ struck us and when we were in the boat, this person struck us. Struck, struck, struck us. All the time they struck us. My eye was swollen, and my leg, and my hand all were bad from this. After we crossed the river, he went back to the ’commandos’.“

      Back on the Turkish side, Salam and others of the group were discovered by the Turkish police. The officers chased the group. Fortunately, Salam was able to escape.

      The Pushback Helper System

      Salam’s experience of a pushback by the Greek police assisted by migrants is not an isolated case. The exploitation of the so-called Pushback Helpers, migrants who are coerced to work for the Greek police at the Turkish-Greek border and illegally push back other migrants, has been known for a long time.

      Since 2020, the Border Violence Monitoring Network has been publishing testimonies from people on the move who have had similar experiences to Salam. In April 2022, Human Rights Watch published a report based on the experiences of 16 pushback survivors on the Evros River. They reported that the boats that brought them back to Turkey were steered by non-Greek men who spoke Arabic or South Asian languages common among migrants in this area. They all reported that Greek police were nearby when the men forced the migrants onto small boats. These non-Greek men were often described as wearing black or commando uniforms, as well as balaclavas to disguise their identities. An investigation by Der Spiegel published in June 2022 came to similar findings. The testimonies of six men who reported being forced to participate in pushbacks to Turkey were affirmed with the help of the reporter team.

      The numerous testimonies of pushback survivors and the published investigations on the topic reveal a very precise pattern. The system behind the so-called pushback helpers is as follows:

      When the Greek authorities arrest a group of people on the move who have just crossed the border into Greece from Turkey, they usually choose young men who speak English, but also Arabic or Turkish. They offer them money, reportedly around $200 per month, sometimes more, and a so-called “exit document” that allows them to stay in Greece or leave for another European country. In exchange, they have to help the Greek border police with illegal pushbacks for about three to six months. For many people on the move, the fear of another pushback to Turkey and the lack of prospects to get Asylum in Greece eventually leads them to cooperate with the Greek authorities. However, most have no choice but to accept, because if migrants refuse this offer, they are reportedly beaten up and deported back to Turkey. Also, not all people receive money for such “deals”, but are forced to work for the Greek border police without payment. There are reports that people cannot move freely because the Greek police is controlling them. Some people are detained by the Greek police almost all the time and were only released at night to carry out pushbacks.

      Their task is to push other migrants who have been caught by the Greek authorities and are detained in Greek security points or -centres back across the border. The pushback helpers drive the boats to cross the river Evros and bring the protection seekers back to Turkey. They are often forced to rob the helpless people and take their money, their mobile phones and their clothes or they get to keep the stolen things that the Greek authorities have taken beforehand. When the helpers are released after a few months, some get the promised papers and make their way to Europe. However, some migrants are reported to work for the Greek border police on a long-term basis. Gangs are formed to take care of the pushback of people on the move. They also serve as a deterrent for people who are still in Turkey and considering crossing the border.

      This is a cruel, but profitable business for the Greek border police. The Greek officers do not have to cross the river Evros themselves. Firstly, it is life-threatening to cross the wide river with a small boat, and secondly, they do not have to go near the Turkish border themselves, which would lead to conflicts with the Turkish military during the pushbacks. The two countries have been in a territorial conflict for a long time.

      Modern slavery of people on the move

      Forcing people seeking protection back over a border is not only inhumane but also illegal. Pushbacks violate numerous human rights norms, such as the prohibition of collective expulsion, the right to asylum, and the principle of non-refoulment. This practice has become a regular pattern of human rights violations against people on the move by the European border regime. Although it has been proven several times in Greece that pushbacks are regularly carried out by the Hellenic Coast Guard and the Greek Border Police, the Greek government categorically denies that pushbacks exist, calling such claims “fake news” or “Turkish propaganda”.

      The fact that people on the move themselves are forced to carry out pushbacks represents a new level of brutality in the Greek pushback campaign. Not only are migrants systematically denied human rights, but they are also forced to participate in these illegal practices. Those seeking protection are exploited by the Greek authorities to carry out illegal operations on other people seeking protection. The dimension of the deployment is unknown. What is clear is that the Greek authorities are using the fear of pushbacks to Turkey by people on the move and the repressive asylum system to force people seeking protection to do their dirty work. This practice is effectively modern slavery and the dreadful reality of migrants trying to seek safety in Europe.

      Since there are no safe and legal corridors into the EU and the asylum system in Greece is extremely restrictive, most people seeking protection have no choice but to try to cross the border between Turkey and Greece clandestinely. This lack of safe and legal corridors thus makes spaces for abuse of power and exploitation of people on the move possible in the first place. Those responsible for these human rights crimes must be held accountable immediately for these human rights crimes.

      *Name changed

      https://mare-liberum.org/en/pushback-helpers-a-new-level-of-violence

      #refoulement #push-backs #refoulements #exploitation

    • Engineered migration at the Greek–Turkish border: A spectacle of violence and humanitarian space

      In February 2020, Turkey announced that the country would no longer prevent refugees and migrants from crossing into the European Union. The announcement resulted in mass human mobility heading to the Turkish border city of Edirne. Relying on freshly collected data through interviews and field visits, this article argues that the 2020 events were part of a state-led execution of ‘engineered migration’ through a constellation of actors, technologies and practices. Turkey’s performative act of engineered migration created a spectacle in ways that differ from the spectacle’s usual materialization at the EU’s external borders. By breaking from its earlier role as a partner, the Turkish state engaged in a countermove fundamentally altering the dyadic process through which the spectacle routinely materializes at EU external borders around the hypervisibilization of migrant illegality. Reconceptualizing the spectacle through engineered migration, the article identifies two complementary acts by Turkish actors: the spectacularization of European (Greek) violence and the creation of a humanitarian space to showcase Turkey as the ‘benevolent’ actor. The article also discusses how the sort of hypervisibility achieved through the spectacle has displaced violence from its points of emergence and creation and becomes the routinized form of border security in Turkey.

      https://journals.sagepub.com/doi/10.1177/09670106231194911
      #spectacle #violence #engineered_migration #ingénierie_migratoire #technologie #performativité #matérialisation #visibilité #hyper-visibilisation #espace_humanitaire

  • Quand l’élite cambodgienne ensable les lacs de Phnom Penh et que le reste de la population s’enlise dans la pauvreté - Nouvelles de l’environnement
    https://fr.mongabay.com/2022/11/quand-lelite-cambodgienne-ensable-les-lacs-de-phnom-penh-et-que-le-rest

    Les lacs de Phnom Penh sont remblayés et morcelés pour laisser place à des projets immobiliers de luxe qui profitent à quelques nantis jouissant de bonnes relations politiques.
    Les familles, qui depuis des générations pratiquent la pêche et l’aquaculture dans les lacs et les zones marécageuses environnantes risquent l’expulsion et la perte de leur gagne-pain.
    Les experts mettent en garde contre l’assèchement de ces réservoirs naturels de stockage des eaux de pluie qui augmente les risques d’inondation dans la capitale cambodgienne.
    La publication de ce récit a été soutenue par le Rainforest Investigations Network (RIN) du Centre Pulitzer, dont Gerald Flynn est membre.

    #Cambodge #terres #prédation #oligarchie

  • Pourquoi Hanouna a t-il pété un câble contre Louis Boyard ?
    https://www.frustrationmagazine.fr/pourquoi-hanouna-a-t-il-pete-un-cable-contre-louis-boyard

    Lors de l’émission Touche Pas à Mon Poste du 10 novembre 2022, le célèbre animateur Cyril Hanouna s’est emporté contre le jeune député Louis Boyard avec une violence rarement atteinte, dans une émission pourtant habituée aux coups d’éclats. Que s’est-il passé ? 4 points pour comprendre. 1- La séquence : ce qu’il s’est passé Le […]

    • Il faut dire que Louis Boyard a fait quelque chose de très rare à la télévision : il a violé plusieurs des règles implicites fondamentales de l’invitation à un débat sur un plateau de télévision. A savoir : ne jamais évoquer qui possède la chaîne qui nous invite, pour quels intérêts et pour quel milliardaire travaillent les animateurs de l’émission, ne jamais parler des activités en Afrique des capitalistes français.

      Hanouna, via une technique de corruption classique, a bien tenté de rappeler à Louis Boyard qu’il avait été lui-même chroniqueur par le passé et que cela devrait lui interdire de parler de son ancien employeur, qu’ils seraient, au fond, tous dans le même bateau. Ce dernier ne s’est pas laissé démonter, achevant de rendre furieux le présentateur. Hanouna, les yeux exorbités, se plaçant à quelques centimètres de son visage, lui disant littéralement, “moi je ne crache pas dans la main qui me nourrit, et toi tu ne devrais pas cracher dans la main qui t’a nourrit”(à partir de 7’10 dans cet extrait). Comme ça c’est clair.

  • LNG tankers idle off Europe’s coast as traders wait for gas price rise | Financial Times
    https://www.ft.com/content/19ad9f9f-e1cb-40f9-bae3-082e533423ab

    More than 30 ships seek to maximise the return on their combined $2bn cargo

    More than 30 tankers holding liquefied natural gas are floating just off Europe’s shoreline as energy traders bet the autumn price reprieve prompted by robust supplies and warm weather will prove to be fleeting.

    The ships, which are hauling $2bn combined worth of LNG, are idling or sailing slowly around north-west Europe and the Iberian peninsula, according to shipping analytics company Vortexa. The number of LNG vessels on European waters has doubled in the past two months.

    The traders who control the tankers are holding out for higher prices in the coming months, when temperatures cool over the winter and the glut of natural gas in Europe’s storage now begins to be drawn down. Another 30 vessels are on their way, currently crossing the Atlantic and expected to join the queue ahead of the winter, Vortexa data show.

    The queue has come as European countries have filled their storage tanks to near their limits ahead of the winter. This has been achieved through voracious purchases of LNG to substitute for Russian gas that has been cut off in retaliation for western sanctions.

    Higher than usual temperatures for this time of year have also reduced heating demand, helping keep storage sites full and prices falling. As of end of October, European storage sites were at 94 per cent capacity, with Belgium reaching 100 per cent, France 99 per cent, and Germany 98 per cent, according to Gas Infrastructure Europe.
    […]
    With gas storage capacities full, “LNG vessels have been queued up outside European LNG receiving terminals, chasing what they expected to be the premium market for this LNG,” said Felix Booth, head of LNG at Vortexa, adding that it will probably take another month for the cargoes to find a terminal to offload.

    “For now these vessels have incentive to hold positions” in anticipation of higher prices as the weather gets colder, he said.
    […]
    But the market is now in a situation known in the industry as #contango, in which prices for delivery in the future are trading higher than for immediate delivery. TTF contracts for delivery in December are roughly 30 per cent higher than the level the November contract closed at, and January some 35 per cent higher, incentivising traders holding cargoes to deliver as late as possible.

    The hold up of cargoes has led to a scarcity in available vessels, leading to higher freight prices that has made LNG further out of reach for Asian buyers, which have been competing with Europe for cargoes throughout the year.

  • La moda della “natura in città” e l’ombra di nuove diseguaglianze

    La professoressa #Isabelle_Anguelovski studia la green gentrification: i progetti “ambientali” che mirano ad aumentare le aree verdi nel contesto cittadino rischiano infatti di diventare strumenti per accelerare speculazioni immobiliari.

    Dalla seconda metà degli anni Novanta la città Boston, nel Nord-Est degli Stati Uniti, ha iniziato a investire nella realizzazione di parchi e aree verdi in diverse aree affacciate sull’oceano. Tra le zone della città interessate c’è anche East Boston, storico quartiere operaio, abitato principalmente dalle comunità latina e italiana, che per decenni è stato pesantemente segnato dall’attività industriale sul suo lungomare e nell’area più vicina all’aeroporto internazionale Logan. Più recentemente questo sforzo “verde” è stato guidato dalla città con una serie di interventi volti a mitigare gli impatti del cambiamento climatico, tra cui il “Resilient Boston harbor” del 2018: un progetto che prevede la realizzazione di terrapieni rialzati, greenways, parchi e litorali “resilienti” per proteggere 75 chilometri di lungomare da inondazioni, erosione delle coste e innalzamento del livello del mare.

    Interventi verdi e certamente utili per la città, ma che stanno accelerando e peggiorando il processo di gentrificazione del quartiere: con la costruzione di edifici di lusso e una maggiore attrattività dell’area per nuovi investimenti immobiliari, i prezzi delle abitazioni stanno diventando insostenibili per coloro che oggi ci abitano. “Nonostante la potenzialità di generare enormi benefici sociali e sanitari per i residenti ‘storici’, alcuni di questi nuovi progetti verdi sono diventati strumenti per accelerare gli investimenti immobiliari di lusso, il che ha suscitato preoccupazione e critiche da parte dei leader della comunità”, spiega ad Altreconomia Isabelle Anguelovski, direttrice del Barcelona Laboratory for urban environmental justice and sustainability (Bcnuej) dell’Universitat autonoma de Barcelona.

    Professoressa Anguelovski, quello di Boston rappresenta un esempio lampante di quello che lei definisce green gentrification. Può spiegarci meglio questo fenomeno?
    IA Quando parliamo di green gentrification ci riferiamo a progetti e a infrastrutture realizzati con l’obiettivo di riportare la natura in città e che sono associati alla creazione di nuove diseguaglianze sociali. Questo avviene perché le nuove aree verdi aumentano le opportunità di investimento e fanno crescere i prezzi delle proprietà. Se da un lato questi progetti portano benefici ecologici e per la salute, dall’altro producono anche un valore economico soprattutto per le élite locali e globali. Di fronte a questi cambiamenti alcuni abitanti delle zone interessate continueranno a viverci e ne avranno dei benefici: il verde, ad esempio, permette di abbassare la temperatura durante i mesi estivi e contrastare le isole di calore. Mentre altri, in particolare gli appartenenti ai ceti popolari e ai gruppi etnici marginalizzati, saranno costretti ad andarsene verso zone più “grigie” della città, spesso più economiche, dove non hanno accesso a infrastrutture che li possano proteggere dalle conseguenze dei cambiamenti climatici.

    Anche gli interventi di adattamento alla crisi climatica possono innescare “gentrificazione verde”?
    IA Molte città stanno lavorando per creare nuovi parchi, aumentare il numero di alberi o riqualificare i waterfront per affrontare meglio le isole di calore, la gestione delle acque piovane o altri eventi estremi provocati dal cambiamento climatico. Sono strategie di adattamento che permettono anche di ridurre le emissioni di carbonio e spesso hanno un costo minore rispetto ad altre infrastrutture. Interventi da cui possono trarre vantaggio anche gli investitori del settore immobiliare di lusso: pubblicizzare un palazzo immerso nel verde è molto più efficace rispetto a un edificio costruito a ridosso di una diga. È inoltre possibile ottenere condizioni di finanziamento migliori se si costruisce in un’area più sicura e adattata al clima, che dispone delle infrastrutture giuste per proteggere i nuovi residenti e la casa dagli impatti climatici. In questo senso, i due fenomeni sono correlati.

    Ogni volta che un quartiere povero o marginale diventa più verde finisce sempre nelle mire di un progetto di speculazione e gentrificazione con l’espulsione degli abitanti?
    IA No, per fortuna non è automatico. Lo scorso luglio abbiamo pubblicato sulla rivista Nature lo studio “Green gentrification in European and North American cities” in cui abbiamo osservato che questa tendenza si è verificata in 17 città sulle 28 del nostro campione. Il fenomeno, quindi, esiste e osserviamo i luoghi in cui tende a manifestarsi con maggiore continuità nel tempo, come ad esempio a Seattle o Atlanta negli Stati Uniti, o in luoghi con una forte identità verde come Vancouver o Copenhagen. In Europa, lo abbiamo registrato a Barcellona dove la gentrificazione era meno evidente negli anni Duemila ma con i nuovi interventi “green” avviati attorno al 2010 è aumentata in maniera significativa. Mentre a Nantes, in Francia, il verde ha avuto un ruolo nella gentrificazione solo nell’ultimo decennio. Ci sono poi città in cui questo non è avvenuto: a Vienna, sono stati messi in atto interventi di edilizia sociali e forme di tutela per le fasce di popolazione più marginalizzate che hanno permesso loro di restare a vivere nei loro quartieri.

    Quali tipologie di intervento possono essere messe in atto per evitare che le persone siano costrette a lasciare le proprie case?
    IA Ad aprile 2021 abbiamo pubblicato un rapporto dal titolo “Policy and planning tools for urban justice” in cui sosteniamo l’importanza di due diverse tipologie di intervento. Da una parte ci sono quelli che potremmo definire come anti-gentrification che riguardano la pianificazione urbanistica o la tassazione. Ad esempio la riduzione delle tasse nei quartieri in via di sviluppo per proteggere i residenti a reddito medio-basso, come ha fatto Filadelfia. Oppure meccanismi di pianificazione che obbligano i costruttori a costruire il 15-20% o addirittura il 55% delle unità abitative come alloggi sociali all’interno di complessi a prezzo di mercato, in modo da evitare lo sfratto o il trasferimento dei residenti meno abbienti, ottenendo al contempo risorse per gli alloggi popolari. Inoltre troviamo città che hanno imposto tasse sugli appartamenti vuoti, come ad esempio Vancouver, in Canada, per prevenire la speculazione immobiliare. Un altro esempio di interventi sono quelli di inclusive greening che consentono un processo di progettazione degli spazi verdi più inclusivo o la protezione degli orti urbani e degli appezzamenti che i residenti coltivano come orti comunitari. Gli spazi pubblici e le aree verdi possono essere utilizzati anche per interventi “riparativi” o anti-trauma nelle comunità, come nei quartieri con alti livelli di segregazione o sfratto, rendendoli luoghi di guarigione e rifugio.

    ”Le aree verdi possono essere utilizzate anche per interventi ‘riparativi’ nei quartieri con alti livelli di segregazione o sfratto rendendoli luoghi di guarigione e rifugio”

    Quali sono, a suo avviso, alcuni esempi di green gentrification particolarmente negativi?
    IA Penso che uno di questo sia il “Bosco verticale” di Milano. Nonostante gli oltre 2.500 nuovi alberi e piante che adornano le facciate e i balconi di due grattacieli, questo nuovo verde è solo un’illusione perché dietro c’è l’estrazione e l’utilizzo di enormi quantità di materiali per la loro costruzione. Inoltre, le unità immobiliari sono tutt’altro che accessibili alla classe media milanese -essendo vendute a prezzi superiori al milione di euro- per non parlare dei ceti popolari. Se invece guardiamo agli Stati Uniti c’è “Atlanta Beltline”: un percorso circolare che corre intorno alla città seguendo la linea di un vecchio tracciato ferroviario trasformato in un’area verde con percorsi a piedi e in bicicletta. Lungo la Beltline sono stati costruiti complessi residenziali di lusso che hanno fatto lievitare i prezzi delle abitazioni nelle aree circostanti, in particolare nei quartieri abitati da persone di colore, rendendo impossibile per loro restare nelle case e nelle strade dove avevano vissuto per decenni.

    Che cosa succede alle persone che sono costrette a lasciare il quartiere in cui vivevano a causa di questi processi?
    IA Abbiamo osservato diverse ricadute sulla loro salute, sia fisica sia mentale, a causa della disgregazione delle reti di relazioni, dello stress e della depressione. Spesso queste persone sono costrette a trasferirsi in quartieri periferici, lontani da quelli in cui hanno vissuto per anni e dal posto di lavoro: questo è particolarmente vero per gli Stati Uniti dove, tra l’altro, sono ancora più dipendenti dall’automobile, dal momento che le reti di trasporto pubblico sono insufficienti. A questo si aggiunge un profondo senso di lontananza e solitudine, che colpisce soprattutto le minoranze etniche che hanno un forte senso di coesione nei quartieri in cui vivono. L’ansia e le difficoltà vissute dalle famiglie che non riescono a pagare gli affitti e sono a rischio sfratto si riflettono sui bambini e sui ragazzi, che spesso vivono un profondo senso di angoscia. Nella nostra ricerca, alcune scuole e associazioni giovanili riferiscono addirittura un senso di profondo lutto e perdita per i bambini costretti a lasciare le proprie case.

    https://altreconomia.it/la-moda-della-natura-in-citta-e-lombra-di-nuove-diseguaglianze
    #nature_en_ville #inégalités #gentrification #green_gentrification #spéculation #spéculation_immobilière #urban_matters #villes
    #TRUST #Master_TRUST

  • At the heart of Fortress Europe: A new study about Austria’s role in border externalization policies in the Balkans

    On the 28th of September 2020, Ayoub N. and six of his friends were chain pushed back from Austria to Slovenia, Croatia, and eventually back to Bosnia and Herzegovina (BiH), from where Ayoub had begun his journey to Austria a few weeks earlier. Ayoub, like many others, had been stuck for years in between the EU member states, in the Balkans, and this was just another attempt to reach the Schengen Zone. He continued trying even after this push-back. In July 2022, Ayoub was still stuck inside the Balkan Circuit (Stojić Mitrović and Vilenica 2019), a region of transit with many loops, within which movement is circular, going forward and backwards because of border violence.

    Exactly one year after Ayoub and his group of friends experienced the chain push-back, Austrian Interior Minister, Karl Nehammer, finished his trip to Kosovo, Albania, and Montenegro meant to coordinate joint frameworks for fighting what he calls illegal migration, terrorism, and organized crime. During the trip, he announced that a “Return Conference” would take place a few months later in Vienna. The gathering in February 2022 brought together high-ranking officials from more than 22 countries, including representatives of EU agencies and think tanks. The main focus of the event was supporting Western Balkan[1] states with effective deportation practices through the newly established “Joint Coordination Platform against irregular migration.” BiH was mentioned as one of the platform’s main partners, and during the press conference organized after the event BiH Security Minister Selmo Cikotić stated that “With the support of the EU and some proactive partners, like Austria, we could move from a crisis situation to migration management.”

    It is not known to the public how the “return mechanisms” discussed would materialize and on what legal grounds the return of people would take place. In 2021, a parliamentary request for information focused specifically on Austria’s plans to return people to the Western Balkans, while another asked details about the role of BiH. In response to the queries, the interior minister emphasized that Austria is “only” providing good practice, expertise, and training, while partner countries can state their specific needs and are, in the end, responsible for ensuring that the human rights of those concerned will be upheld. This is a common rhetorical practice in the context of EU border externalization policies, with EU countries only providing knowledge and equipment, while “accession” countries in the Balkans have to fulfil the dark side of Europeanization.

    Austria took over a key role in building up a network of multilateral stakeholders that enables the fortification of Europe on diplomatic and informal levels, while states and locations near and far from Central Europe face the consequences of these policies; BiH is one example.

    Lobbying for Externalization

    In July 1998, Austria took over the EU presidency. As its first intervention on the issue of EU-migration policy, it introduced the Strategy Document on Immigration and Asylum Policies, which was sent to the European Council for further discussion. In this document, Austria advocated for a unified approach to migration in the Schengen area, which at that moment comprised 15 countries. It proposed the “Europeanization of migration policy,” while describing the existing approach and structures dealing with migration as “relatively clumsy.” The document called for more cooperation with “third states” in exchange for economic and other benefits. The Strategy envisaged that “Fortress Europe” should be replaced by the “concentric circles of the migration policy,” which included EU neighboring countries. Further, the neighboring partners “should be gradually linked into a similar system” that would eventually be similar to the “first circle,” meaning the EU member states. As for “transit countries,” the main approach would be to “eliminate push factors” in them. The Strategy called for the “tightening of the pre-accession strategy… as far as migration policies are concerned.” In addition, it stressed the need for agreements with third countries that would allow the return of people whose asylum applications were rejected, as well as the introduction of policies that would deter migration in general. The paper also argued that the Geneva Convention was outdated and that individual rights should be replaced with “political offers” of EU membership, or other types of cooperation.

    By the end of the year, this proposal had been amended twice, but in the end it was rejected. A number of non-governmental organizations, including the International Federation for Human Rights, condemned the document on account of its harsh language and the restrictive measures proposed. Even though it was never adopted, the document remains a guideline, and some of its measures were put in place, especially in Austria. Along with several Balkan neighboring countries, Austria became more involved in security-related questions in the region, establishing various organizations and groups that are visibly active in the field, including the Salzburg Forum as one key intergovernmental group. Since the early 1990s, the forum functioned as a lobbying group, not only within the framework of the EU and on a regional level between its partners, but also on an often invisible level that reaches far beyond the EU. Austria played a key role in establishing the forum and is also one of its leading members. While the forum did not always achieve its strategic goals (Müller 2016, 28), it became a testing ground for fueling anti-Muslim and anti-migrant sentiments in Europe, and spearheaded plans for the dark future of EU border externalization policies. The multilateral cooperation within the Forum was based on debate, dialogue, exchange of ideas, and strategic planning; the establishment of its operative tool, the Joint Coordination Platform, is another step in cementing the externalization of border management to the Balkans.

    Coordinating “Migration Management”

    The Joint Coordination Platform (JCP) is a network that coordinates political and strategic intervention outside the Schengen Area, monitoring and controlling the EU’s external borders, as well as actions in third countries. Although it was already in the planning for several years, the JCP was inaugurated in Vienna after the Return Conference in February 2022. The JCP office is led by former Frontex Vice-President Berndt Körner and by lawyer Bohumil Hnidek,[2] and will provide a hinge function for Frontex operations in the Balkans (Monroy 2022). As the Frontex agency is not allowed to organize deportations to third countries, in the future it may support deportations from different EU countries to the Balkans, while the JCP would coordinate and monitor the rest of the “local” operations. In September 2022, the first deportations from Bosnia to Morocco with the support of the JCP already took place.

    The investigative journalist Matthias Monroy further links the Vienna-based think tank ICMPD, led by former Austrian Vice-Chancellor Michael Spindelegger (ÖVP), to the operational implementation of regional return mechanisms to the Balkans. As early as 2020, the JCP started training police officers from BiH for conducting deportations. The training of 50 “return specialists” was recently described by Austrian Interior Minister Karner: “We help with training, impart standards, but that doesn’t change the responsibility that remains in the respective countries. It is about observing all international standards.”

    To understand ICMPD’s practices on the ground, it is worth reviewing the project descriptions of its Western Balkans and Turkey office in recent years. The long-standing partner of the Salzburg Forum implements migration management, border management, and capacity building in the Balkans, for example by providing the border police in Kosovo[3] with technical and biometric equipment to register people on the move; and supporting the border police in Albania[4] with equipment for land border surveillance and maritime border surveillance and control. Capacity building in Albania means in particular providing patrol boats and surveillance vehicles. The regional capacity building projects further cover information campaigns for people in Afghanistan, Iraq, and people on the move in the Western Balkans.[5] Labelled as protection and support for migrants, ICMPD invests in the enhancement of migrant information systems[6] for authorities in BiH to implement entry control, registration, and data collection mechanisms. The “electronic biometric residence permit cards,” which should be made available through such projects, point not only to the on-ground preparation but also to the implementation of what investigative journalists call “extra-European Dublin.” This includes for example “Balkandac,” a fingerprint database in the Balkans that would allow countries to deport third-country nationals to countries with readmission agreements before entering the EU Schengen area.

    It is important to highlight that ICMPD has entered the Joint Coordination Platform with years of experience in implementing EU border externalization projects in Africa and the Middle East (Naceur 2021).

    Another active regional partner of the Joint Coordination Platform is Hilfswerk International. Next to the 1 million Euro in Austrian Development Aid that was used as an emergency relief fund through IOM in BiH in 2021, the Upper Austrian Federal Government donated 100,000 Euro to support the construction of a water system in the Lipa camp.[7] The project was implemented by Hilfswerk International, which has been working in the Balkans and especially in BiH as a humanitarian aid organization since 1996. While the organization covers a broad range of services in BiH, it recently joined the niche of network and capacity building in the field of “migration management” in BiH, Serbia, North Macedonia, and Montenegro.

    Hilfswerk International has joined the field of migration management in Bosnia and Herzegovina as a player that can offer extensive experience on the ground. Considering the top-down and dysfunctional approach implemented by IOM in the region, Hilfswerk International is an organization that is closely linked to Austria-based actors and accessible for unbureaucratic and, according to its managing director, pragmatic solutions. As Regional Director Jašarević stated in an interview about their most recent project:

    … we all know, and it is not a secret, that the EU does not want migrants on their territory. And what now? Should we leave them here to suffer or to disappear? It’s not possible.

    They [the JCP] can use our infrastructure here if needed, but they also organize some events themselves. They are connecting donors and infrastructure. They know what is going on at a much deeper level than we do. And we are happy to contribute. They are working very hard as far as I know. Very few people and very big plans, but very capable people. I think it will be more visible this year. But it has only just started.[8]

    Balkan Route: better coordination with Austrian aid

    Even at the end of the 1990s, Austria’s political landscape paved the way for defining the Western Balkans as a strategic buffer zone for Europe’s increasingly restrictive migration and asylum policies. What has been drafted as a strategy to contain migration in “concentric circles” has since developed into the full-scale implementation of land and sea border zones that legitimate legislation, control, tracking, management of, and violence against people moving in circuits while trying to reach the EU Schengen zone.

    Our study can be used as a tool to further investigate Austrian-based and Austrian-initiated organizations, security corporations, and individual actors that are heavily involved in violent EU border externalization from Vienna to Sarajevo and beyond.

    The full study can be accessed here.

    References:

    Müller, Patrick. 2016. “Europeanization and regional cooperation initiatives: Austria’s participation in the Salzburg Forum and in Central European Defence Cooperation.” Österreichische Zeitschrift für Politikwissenschaft 45, no. 2: 24-34.

    Stojić Mitrović, Marta, and Ana Vilenica. 2019. “Enforcing
    and disrupting circular movement in an EU
    Borderscape: housingscaping in Serbia.” Citizenship Studies 23, no. 6: 540-55.

    Stojić Mitrović, Marta, Nidzara Ahmetašević, Barbara Beznec, and Andrej Kurnik. 2020. The Dark Sides of Europeanisation: Serbia, Bosnia and Herzegovina, and the European Border Regime. Belgrade: Rosa-Luxemburg Stiftung Southeast Europe; and Ljubljana: Inštitut Časopis za kritiko znanosti. https://rosalux.rs/wp-content/uploads/2022/04/169_the-dark-side-of-europeanisation-_vladan_jeremic_and_wenke_christoph_rls.

    [1] The authors only use the term Western Balkans in relation to the process of EU border externalization and accession plans of Albania, BiH, Kosovo, Montenegro, North Macedonia, and Serbia. See Stojić Mitrović et al. 2020, 20-22.

    [2] Bohumil Hnidek is a lawyer and the former Director for International Cooperation and EU Affairs to the Ministry of interior of the Czech Republic.

    [3] MIK: Manage increased influx of migrants in Kosovo, April, March 2021 (Fact Sheet ICMPD, 4).

    [4] EU4SAVEALB: EU Support for the Effective Management of Green and Blue Borders in Albania, February 2019-April 2022 (Fact Sheet ICMPD, 7-8).

    [5] IKAM: Information and capacity building on asylum, legal and irregular migration in Afghanistan, Iraq and the Western Balkans, March 2021-March 2022 (ICMPD Fact Sheet, 9).

    [6] MiS BiH: Enhancement of Migration Information System for Strengthening Migration, Asylum and Border Management in Bosnia and Herzegovina, November 2021-March 2023 (ICMPD Fact Sheet, 9-10).

    [7] In mid-June 2022, people living in Lipa reached out to local volunteers in BiH to inform them that for a week they did not have running water. At that moment, the temperatures were over 40 degrees. Even though less than 400 people were in the camp (capacity is 1,500), people were crammed in containers (six in each) with one small fan, and were receiving a gallon of water per person a day. Every day, one cistern was used. According to the testimony, there was no water in the bathrooms and toilets, either. After the information was published on social media, people in the camp told local volunteers that the employees in the camp threatened some of the residents, warning them that they cannot talk about the camp and saying that if they did not like the place they could leave.

    [8] Interview Suzana Jašarević online, 15 March 2022.

    https://lefteast.org/fortress-europe-austria-border-externalization

    #Autriche #externalisation #asile #migrations #réfugiés #frontières #contrôles_frontaliers #Balkans #route_des_Balkans #push-backs #refoulements #refoulements_en_chaîne #Slovénie #Croatie #migrerrance #violence #Balkan_Circuit #Return_Conference #Joint_Coordination_Platform_against_irregular_migration #renvois #expulsions #Joint_Coordination_Platform (#JCP) #Frontex #ICMPD #Michael_Spindelegger #return_specialists #spécialistes_du_retour #Salzburg_Forum #Kosovo #militarisation_des_frontières #complexe_militaro-industriel #Albanie #surveillance #surveillance_des_frontières #biométrie #Balkandac #empreintes_digitales #réadmission #Hilfswerk_International #Lipa #Bosnie #Bosnie_et_Herzégovine #Serbie #Macédoine_du_Nord #Monténégro

    • At the Heart of Fortress Europe

      The study provides a broad mapping of Austrian-based multilateral cooperation, actors, and or­ganisations that are heavily involved in EU border externalisation policies far beyond Austrian borders – and therefore in the violent and sometimes lethal approach to people on the move.

      Since the ‘long summer of migration’ in 2015 and the sealing of the Balkan Route in 2016, people on the move are trying to make their way to the European Schengen area via Bosnia-Herzegovina. According to Frontex, the Western Balkans has become one of the main migrant routes to Europe. The actors examined here are therefore of particular importance.

      https://www.transform-network.net/publications/issue/at-the-heart-of-fortress-europe

      #rapport

    • Balkans : la #Serbie, la #Hongrie et l’Autriche s’unissent contre l’immigration illégale

      La Serbie a accepté mercredi, en concertation avec la Hongrie et l’Autriche, de déployer des forces de police supplémentaires à sa frontière Sud avec la Macédoine du Nord, afin de lutter contre l’immigration illégale. L’Autriche va envoyer 100 policiers en renfort dans cette zone.

      La Serbie est parvenue à un accord avec la Hongrie et l’Autriche, mercredi 16 novembre, sur le déploiement de patrouilles de police conjointes le long de sa frontière Sud.

      « Nous avons convenu d’engager plus de police (...) à la frontière avec la Macédoine du Nord », a déclaré le président serbe Aleksandar Vucic, lors d’une conférence de presse organisée après la signature de l’accord avec les Premiers ministres hongrois et autrichien, Viktor Orban et Karl Nehammer.

      L’accord vise à freiner en amont les arrivées dans l’Union européenne (UE), la Serbie étant utilisée comme un pays de transit par les migrants. La route des Balkans occidentaux, via la Turquie, la Bulgarie, la Macédoine du Nord et la Serbie, reste la principale porte d’entrée dans l’UE pour les migrants. Près de 130 000 entrées irrégulières dans l’UE à partir de la route des Balkans occidentaux ont été enregistrées sur les dix premiers mois de l’année 2022, soit le nombre le plus fort depuis le pic de la crise migratoire de 2015, selon Frontex.
      « La migration illégale ne devrait pas être gérée, elle devrait être stoppée »

      Karl Nehammer a annoncé que son pays allait déployer 100 officiers de police pour aider son voisin serbe à patrouiller la frontière avec la Macédoine du Nord. Ces patrouilles seront secondées par des moyens techniques tels que « des caméras à vision thermique, des drones et des véhicules », a précisé le Premier ministre autrichien. Le même genre de matériel est déjà utilisé à la frontière serbo-hongroise où, depuis 2017, une clôture s’étend sur 160 km.

      Viktor Orban a, de son côté, affirmé que, depuis le début de l’année 2022, la Hongrie avait empêché 250 000 franchissements illégaux de frontières, dont beaucoup organisés par des passeurs armés. « La migration illégale ne devrait pas être gérée, elle devrait être stoppée », a-t-il ajouté, décrivant la situation à la frontière avec la Serbie comme « difficile ».

      Conséquence du mur érigé entre la Serbie et la Hongrie : les migrants se tournent vers les passeurs, seuls espoirs pour les aider à franchir. Résultat, dans la zone, leur mainmise s’exerce partout, dans les camps informels comme à l’intérieur des centres officiels, comme a pu le constater InfoMigrants sur place en octobre.
      En finir avec le « tourisme de l’asile »

      Toujours mercredi, Aleksandar Vucic a déclaré que son pays imposait désormais des visas aux ressortissants de la Tunisie et du Burundi, une mesure déjà annoncée en octobre mais qui entre ces jours-ci en vigueur.

      L’UE et la Suisse avaient fait pression pendant plusieurs semaines sur la Serbie afin qu’elle modifie sa politique des visas. Ces pays avaient reproché à la Serbie de servir de porte d’entrée vers l’UE à des migrants turcs, indiens, tunisiens, cubains et burundais, dispensés de visas jusque là pour venir dans le pays. C’est maintenant chose faite.

      Le président de la Serbie, du pays candidat à l’UE depuis 2012, avait promis que Belgrade alignerait sa politique des visas sur celle de Bruxelles « d’ici la fin de l’année » en commençant par la révocation des dispenses accordées aux Tunisiens, Burundais et Indiens. « Bientôt, deux autres pays seront soumis à cette même mesure car nous devrons avoir le même régime de visas que l’UE », a-t-il prévenu, sans préciser de quels pays il s’agissait.

      « Je suis reconnaissant envers le président de la Serbie pour tout ce qu’il fait pour en finir avec le ’tourisme de l’asile’ », a réagi, mercredi, Karl Nehammer.

      Ensemble, les Tunisiens, les Burundais, les Indiens, les Cubains et les Turcs représentent seulement 20% des migrants passés par la route des Balkans occidentaux depuis janvier 2022. La grande majorité des personnes qui transitent par la Serbie ne sont donc pas des exilés exemptés de visas. La plupart sont originaires d’Afghanistan et de Syrie.

      http://www.infomigrants.net/fr/post/44816/balkans--la-serbie-la-hongrie-et-lautriche-sunissent-contre-limmigrati