• La Tunisia rifiuta i respingimenti collettivi e le deportazioni di migranti irregolari proposti da #Meloni e #Piantedosi

    1.Il risultato del vertice di Tunisi era già chiaro prima che Giorgia Meloni, la presidente della Commissione europea Von del Leyen ed il premier olandese Mark Rutte incontrassero il presidente Saied. Con una operazione di immagine inaspettata, il giorno prima del vertice, l’uomo che aveva lanciato mesi fa la caccia ai migranti subsahariani presenti nel suo paese, parlando addirittura del rischio di sostituzione etnica, si recava a Sfax, nella regione dalla quale si verifica la maggior parte delle partenze verso l’Italia, e come riferisce Il Tempo, parlando proprio con un gruppo di loro, dichiarava : “ Siamo tutti africani. Questi migranti sono nostri fratelli e li rispettiamo, ma la situazione in Tunisia non è normale e dobbiamo porre fine a questo problema. Rifiutiamo qualsiasi trattamento disumano di questi migranti che sono vittime di un ordine mondiale che li considera come ‘numeri’ e non come esseri umani. L’intervento su questo fenomeno deve essere umanitario e collettivo, nel quadro della legge”. Lo stesso Saied, secondo quanto riportato dalla Reuters, il giorno precedente la visita, aggiungeva che di fronte alla crescente mobilità migratoria “La soluzione non sarà a spese della Tunisia… non possiamo essere una guardia per i loro paesi”.

    Alla fine del vertice non c’è stata una vera e propria conferenza stampa congiunta, ma è stata fatta trapelare una Dichiarazione sottoscritta anche da Saied che stabilisce una sorta di roadmap verso un futuro Memorandum d’intesa (MoU) tra la Tunisia e l’Unione europea, che si dovrebbe stipulare entro il prossimo Consiglio europeo dei capi di governo che si terrà a fine giugno. L’Ue e la Tunisia hanno dato incarico, rispettivamente, al commissario europeo per l’Allargamento Oliver Varheliy e al ministro degli Esteri tunisino Nabil Ammar di stilare un memorandum d’intesa (Memorandum of Understanding, MoU) sul pacchetto di partnership allargata, che dovrebbe essere sottoscritto dalla Tunisia e dall’Ue “prima di fine giugno”. Una soluzione che sa tanto di rinvio, nella quale certamente non si trovano le richieste che il governo Meloni aveva cercato di fare passare, già attraverso il Consiglio dei ministri dell’Unione europea di Lussemburgo, restando poi costretto ad accettare una soluzione di compromesso, che non prevedeva affatto -come invece era stato richiesto- i respingimenti collettivi in alto mare, delegati alla Guardia costiera tunisina, e le deportazioni in Tunisia di migranti irregolari o denegati, dopo una richiesta di asilo, giunti in Italia dopo un transito temporaneo da quel paese.

    Secondo Piantedosi, “la Tunisia è già considerata un Paese terzo sicuro da provvedimenti e atti ufficiali italiani” e “La Farnesina ha già una lista formale di Stati terzi definiti sicuri. Sia in Africa, penso al Senegal, così come nei Balcani”. Bene che nella sua conferenza stampa a Catania, censurata dai media, non abbia citato la Libia, dopo avere chiesto la collaborazione del generale Haftar per bloccare le partenze verso l’Italia. Ma rimane tutto da dimostrare che la Tunisia sia un “paese terzo sicuro”, soprattutto per i cittadini non tunisini, generalmente provenienti dall’area subsahariana, perchè il richiamo strumentale che fa il ministro dell’interno alla lista di “paesi terzi sicuri” approvata con decreti ministeriali ed ampliata nel corso del tempo, riguarda i cittadini tunisini che chiedono asilo in Italia, e che comunque possono fare valere una richiesta di protezione internazionale, non certo i migranti provenienti da altri paesi e transitati in Tunisia, che si vorrebbero deportare senza troppe formalità, dopo procedure rapide in frontiera. Una possibilità che ancora non è concessa allo stato della legislazione nazionale e del quadro normativo europeo (in particolare dalla Direttiva Rimpatri 2008/115/CE), che si dovrebbe comunque modificare prima della entrata in vigore, ammsso che ci si arrivi prima delle prossime elezioni europee, del Patto sulla migrazione e l’asilo recentemente approvato a Lussemburgo.

    La Presidente della Comissione Europea, nella brevissima conferenza stampa tenuta dopo la chiusura del vertice di Tunisi ha precisato i punti essenziali sui quali si dovrebbe trovare un accordo tra Bruxelles e Tunisi, Fondo monetario internazionale permettendo. Von der Leyen ha confermato che la Ue è pronta a mobilitare 900 milioni di euro di assistenza finanziaria per Tunisi. I tempi però non saranno brevi. “La Commissione europea valuterà l’assistenza macrofinanziaria non appena sarà trovato l’accordo (con il Fmi) necessario. E siamo pronti a mobilitare fino a 900 milioni di euro per questo scopo di assistenza macrofinanziaria. Come passo immediato, potremmo fornire subito un ulteriore sostegno al bilancio fino a 150 milioni di euro”. Come riferisce Adnkronos, “Tunisi dovrebbe prima trovare l’intesa con il Fondo Monetario Internazionale su un pacchetto di aiuti, a fronte del quale però il Fondo chiede riforme, che risulterebbero impopolari e che la leadership tunisina esita pertanto ad accollarsi”. Secondo Adnkronos, L’Ue intende “ripristinare il Consiglio di associazione” tra Ue e Tunisia e l’Alto Rappresentante Josep Borrell “è pronto ad organizzare il prossimo incontro entro la fine dell’anno”, ha sottolineato la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen al termine dell’incontro. L’esecutivo comunitario è pronto ad aiutare la Tunisia con un pacchetto basato su cinque pilastri, il principale dei quali è costituito da aiuti finanziari per oltre un miliardo di euro. Il primo è lo sviluppo economico. “Sosterremo la Tunisia, per rafforzarne l’economia. La Commissione Europea sta valutando un’assistenza macrofinanziaria, non appena sarà trovato l’accordo necessario. Siamo pronti a mobilitare fino a 900 milioni di euro per questo scopo. E, come passo immediato, potremmo fornire altri 150 milioni di euro di sostegno al bilancio“. “Il secondo pilastro – continua von der Leyen – sono gli investimenti e il commercio. L’Ue è il principale investitore straniero e partner commerciale della Tunisia. E noi proponiamo di andare oltre: vorremmo modernizzare il nostro attuale accordo commerciale. C’è molto potenziale per creare posti di lavoro e stimolare la crescita qui in Tunisia. Un focus importante per i nostri investimenti è il settore digitale. Abbiamo già una buona base“. Sempre secondo quanto riferito da Adnkronos, “La Commissione Europea sta lavorando ad un memorandum di intesa con la Tunisia nelle energie rinnovabili, campo nel quale il Paese nordafricano ha un potenziale “enorme”, mentre l’Ue ne ha sempre più bisogno, per alimentare il processo di elettrificazione e decarbonizzazione della sua economia, spiega la presidente. L’energia è “il terzo pilastro” del piano in cinque punti che von der Leyen ha delineato al termine della riunione”.

    Quest’anno l’Ue “fornirà alla Tunisia 100 milioni di euro per la gestione delle frontiere, ma anche per la ricerca e il soccorso, la lotta ai trafficanti e il rimpatrio”, annuncia ancora la presidente. Il controllo dei flussi migratori è il quarto pilastro del programma che von der Leyen ha delineato per i rapporti bilaterali tra Ue e Tunisia. Per la presidente della Commissione europea, l’obiettivo “è sostenere una politica migratoria olistica radicata nel rispetto dei diritti umani. Entrambi abbiamo interesse a spezzare il cinico modello di business dei trafficanti di esseri umani. È orribile vedere come mettono deliberatamente a rischio vite umane, a scopo di lucro. Lavoreremo insieme su un partenariato operativo contro il traffico di esseri umani e sosterremo la Tunisia nella gestione delle frontiere”.

    Nel pacchetto di proposte comprese nel futuro Memorandum d’intesa UE-Tunisia, che si dovrebbe sottoscrivere entro la fine di giugno, rientrerebbero anche una serie di aiuti economici all’economia tunisina, in particolare nei settori dell’agricoltura e del turismo, e nuove possibilità di mobilità studentesca, con programmi tipo Erasmus. Nulla di nuovo, ed anche una dotazione finanziaria ridicola, se si pensa ai 200 milioni di euro stanziati solo dall’Italia con il Memorandum d’intesa con la Tunisia siglato da Di Maio per il triennio 2021-2023. Semmai sarebbe interessante sapere come stati spesi quei soldi, visti i risultati sulla situazione dei migranti in transito in Tunisia, nelle politiche di controllo delle frontiere e nei soccorsi in mare.

    2. Non è affatto vero dunque che sia passata la linea dell’Italia per due ragioni fondamentali. L’Italia chiedeva una erogazione immediata degli aiuti europei alla Tunisia e una cooperazione operativa nei respingimenti collettivi in mare ed anche la possibilità di riammissione in Tunisia di cittadini di paesi terzi ( non tunisini) giunti irregolarmente nel nostro territorio, o di cui fosse stata respinta la domanda di protezione nelle procedure in frontiera. Queste richieste della Meloni (e di Piantedosi) sono state respinte, e non rientrano nel Memorandum d’intesa che entro la fine del mese Saied dovrebbe sottoscrivere con l’Unione Europea (il condizionale è d’obbligo).

    Gli aiuti europei sono subordinati all’accettazione da parte di Saied delle condizioni poste dal Fondo Monetario internazionale per l’erogazione del prestito fin qui rifiutato dal presidente. Un prestito che sarebbe condizionato al rispetto di paramentri monetari e di abbattimento degli aiuti pubblici, e forse anche al rispetto dei diritti umani, che in questo momento non sono accettati dal presidente tunisino, ormai di fatto un vero e proprio autocrate. Con il quale la Meloni, ormai lanciata verso il presidenzialismo all’italiana, si riconosce più di quanto non facciano esponenti politici di altri paesi europei. Al punto che persino Mark Rutte, che nel suo paese ha attuato politiche migratorie ancora più drastiche di quelle propagandate dal governo italiano, richiama, alla fine del suo intervento, l’esigenza del rispetto dei diritti umani delle persone migranti, come perno del nuovo Memorandum d’intesa tra la Tunisia e l’Unione Europea.

    Per un altro verso, la “lnea dell’Italia”, dunque la politica dei “respingimenti su delega”, che si vorrebbe replicare con la Tunisia, sul modello di quanto avviene con le autorità libiche, delegando a motovedette, donate dal nostro paese e coordinate anche dall’agenzia europea Frontex, i respingimenti collettivi in acque internazionali, non sembra di facile applicazione per evidenti ragioni geografiche e geopolitiche.

    La Tunisia non e’ la Libia (o la Turchia), le autorità centrali hanno uno scarso controllo dei punti di partenza dei migranti e la corruzione è molto diffusa. Sembra molto probabile che le partenze verso l’Italia continueranno ad aumentare in modo esponenziale nelle prossime settimane. Aumentare le dotazioni di mezi e i supporti operativi in favore delle motovedette tunisine si è già dimostrata una politica priva di efficacia e semmai foriera di stragi in mare. Sulle stragi in mare neppure una parola dopo il vertice di Tunisi. Non è vero che la diminuzione delle partenze dalla Tunisia nel mese di maggio sia conseguenza della politica migratoria del governo Meloni, risultando soltanto una conseguenza di un mese caratterizzato da condizioni meteo particolarmente sfavorevoli, come ha riconosciuto anchel’OIM e l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR), e come tutti hanno potuto constatare anche in Italia. Vedremo con il ritorno dell’estate se le partenze dalla Tunisia registreranno ancora un calo.

    La zona Sar (di ricerca e salvataggio) tunisina si limita alle acque territoriali (12 miglia dalla costa) ed i controlli affidati alle motovedette tunisine non si possono svolgere oltre. Difficile che le motovedette tunisine si spingano nella zona Sar “libica” o in quella maltese. Continueranno ad intercettare a convenienza, quando i trafficanti non pagheranno abbastanza per corrompere, ed i loro interventi, condotti spesso con modalità di avvicinamento che mettono a rischio la vita dei naufraghi, non ridurranno di certo gli arrivi sulle coste italiane di cittadini tunisini e subsahariani. Per il resto il futuribile Memorandum d’intesa Tunisia-Libia, che ancora e’ una scatola vuota, e che l’Unione europea vincola al rispetto dei diritti umani, dunque anche agli obblighi internazionali di soccorso in mare, non può incidere in tempi brevi sui rapporti bilaterali tra Roma e Tunisi, che sono disciplinati da accordi bilaterali che si dovrebbero modificare successivamente, sempre in conformità con la legislazione ( e la Costituzione) italiana e la normativa euro-unitaria. Dunque non saranno ogettto di nuovi accordi a livello europeo con la Tunisia i respingimenti collettivi vietati dall’art.19 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e non si potranno realizzare, come vorrebero la Meloni e Piantedosi, deportazioni in Tunisia di cittadini di altri paesi terzi, peraltro esclusi dai criteri di “connessione” richiesti nella “proposta legislativa” adottata dal Consiglio dei ministri dell’interno di Lussemburgo. E si dovranno monitorare anche i respingimenti di cittadini tunisini in Tunisia, dopo la svolta autoritaria impressa dall’autocrate Saied che ha fatto arrestare giornalisti e sindacalisti, oltre che numerosi membri dei partiti di opposizione. In ogni caso non si dovranno dimenticare le condanne ricevute dall’Italia da parte della Corte europea dei diritti dell’Uomo, proprio per i respingimenti differiti effettuati ai danni di cittadini tunisini (caso Khlaifia). Faranno morire ancora centinaia di innocenti. Dare la colpa ai trafficanti non salva dal fallimento politico e morale nè l’Unione Europea nè il governo Meloni.

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    Saied, inaccettabili centri migranti in Tunisia

    (ANSA) – TUNISI, 11 GIU – Il presidente tunisino Kais Saied, nel suo incontro con la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, della presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen e del primo ministro olandese Mark Rutte “ha fatto notare che la soluzione che alcuni sostengono segretamente di ospitare in Tunisia migranti in cambio di somme di denaro è disumana e inaccettabile, così come le soluzioni di sicurezza si sono dimostrate inadeguate, anzi hanno aumentato le sofferenze delle vittime della povertà e delle guerre”. Lo si legge in un comunicato della presidenza tunisina, pubblicato al termine dell”incontro. (ANSA).

    2023-06-11 18:59

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    ANSA/Meloni e l”Ue incassano prima intesa ma Saied alza posta

    (dell”inviato Michele Esposito)

    (ANSA) – TUNISI, 11 GIU – Una visita lampo, una dichiarazione congiunta che potrebbe portare ad un cruciale memorandum d”intesa, un orizzonte ancora confuso dal continuo alzare la posta di Kais Saied. Il vertice tra Ursula von der Leyen, Giorgia Meloni, Mark Rutte e il presidente tunisino potrebbe segnare un prima e un dopo nei rapporti tra l”Ue e il Paese nordafricano. Al tavolo del palazzo presidenziale di Cartagine, per oltre due ore, i quattro hanno affrontato dossier a dir poco spigolosi, dalla gestione dei migranti alla necessità di un”intesa tra Tunisia e Fmi. La luce verde sulla prima intesa alla fine si è accesa. “E” un passo importante, dobbiamo arrivare al Consiglio europeo con un memorandum già siglato tra l”Ue e la Tunisia”, è l”obiettivo fissato da Meloni, che ha rilanciato il ruolo di prima linea dell”Italia nei rapporti tra l”Europa e la sponda Sud del Mediterraneo. Nel Palazzo voluto dal padre della patria tunisino, Habib Bourguiba, von der Leyen, Meloni e Rutte sono arrivati con l”ideale divisa del Team Europe. I tre, di fatto, hanno rappresentato l”intera Unione sin da quando, a margine del summit in Moldavia della scorsa settimana, è nata l”idea di accelerare sul dossier tunisino. I giorni successivi sono stati segnati da frenetici contatti tra gli sherpa. Il compromesso, iniziale e generico, alla fine è arrivato. L”Ue sborserà sin da subito, e senza attendere il Fondo Monetario Internazionale, 150 milioni di euro a sostegno del bilancio tunisino. E” un primo passo ma di certo non sufficiente per Saied. Sulla seconda parte del sostegno europeo, il pacchetto di assistenza macro-finanziaria da 900 milioni, l”Ue tuttavia non ha cambiato idea: sarà sborsato solo dopo l”intesa tra Saied e l”Fmi. Intesa che appare ancora lontana: poco dopo la partenza dei tre leader europei, la presidenza tunisina ha infatti invitato il Fondo a “rivedere le sue ricette” ed evitare “diktat”, sottolineando che gli aiuti da 1,9 miliardi, sotto forma di prestiti, “non porteranno benefici” alla popolazione. La difficoltà di mettere il punto finale al negoziato tra Ue e Tunisia sta anche in un altro dato: la stessa posizione europea è frutto di un compromesso tra gli Stati membri. Non è un caso, ad esempio, che sia stato Rutte, portatore delle istanze dei Paesi del Nord, a spiegare come la cooperazione tra Ue e Tunisia sulla gestione dei flussi irregolari debba avvenire “in accordo con i diritti umani”. La dichiarazione congiunta, in via generica, fa riferimento ai principali nodi legati ai migranti: le morti in mare, la necessità di aumentare i rimpatri dell”Europa degli irregolari, la lotta ai trafficanti. Von der Leyen ha messo sul piatto sovvenzioni da 100 milioni di euro per sostenere i tunisini nel contrasto al traffico illegale e nelle attività di search & rescue. Meloni, dal canto suo, ha annunciato “una conferenza su migrazione e sviluppo in Italia, che sarà un ulteriore tappa nel percorso del partenariato” tra l”Ue e Tunisi. Saied ha assicurato il suo impegno sui diritti umani e nella chiusura delle frontiere sud del Paese, ma sui rimpatri la porta è aperta solo a quella per i tunisini irregolari. L”ipotesi che la Tunisia, come Paese di transito sicuro, ospiti anche i migranti subsahariani, continua a non decollare. “L”idea, che alcuni sostengono segretamente, che il Paese ospiti centri per i migranti in campo di somme di danaro è disumana e inaccettabile”, ha chiuso Saied. La strada, insomma, rimane in salita. La strategia dell”Ue resta quella adottata sin dalla prima visita di un suo commissario – Paolo Gentiloni – lo scorso aprile: quella di catturare il sì di Saied con una partnership economica ed energetica globale e di lungo periodo, in cui la migrazione non è altro che un ingranaggio. Ma Tunisi, su diritti e rule of law, deve fare di più. “L”Ue vuole investire nella stabilità tunisina. Le difficoltà del suo percorso democratico si possono superare”, ha detto von der Leyen. Delineando la mano tesa dell”Europa ma anche la linea rossa entro la quale va inquadrata la nuova partnership. (ANSA).

    2023-06-11 19:55

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    Statement 11 June 2023 Tunis
    The European Union and Tunisia agreed to work together on a comprehensive partnership package (https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/en/statement_23_3202)

    European Commission – Statement
    The European Union and Tunisia agreed to work together on a comprehensive partnership package
    Tunis, 11 June 2023

    Building on our shared history, geographic proximity, and strong relationship, we have agreed towork together on a comprehensive partnership package, strengthening the ties that bind us in a mutually beneficial manner.
    We believe there is enormous potential to generate tangible benefits for the EU and Tunisia. The comprehensive partnership would cover the following areas:

    - Strengthening economic and trade ties ,

    - A sustainable and competitive energy partnership

    - Migration

    - People-to-people contacts

    The EU and Tunisia share strategic priorities and in all these areas, we will gain from working together more closely.
    Our economic cooperation will boost growth and prosperity through stronger trade and investment links, promoting opportunities for businesses including small and medium sized enterprises. Economic support, including in the form of Macro Financial Assistance, will also be considered. Our energy partnership will assist Tunisia with the green energy transition, bringing down costs and creating the framework for trade in renewables and integration with the EU market.
    As part of our joint work on migration, the fight against irregular migration to and from Tunisia and the prevention of loss of life at sea, is a common priority, including fighting against smugglers and human traffickers, strengthening border management, registration and return in full respect of human rights.
    People-to-people contacts are central to our partnership and this strand of work will encompass stronger cooperation on research, education, and culture, as well as developing Talent Partnerships, opening up new opportunities for skills development and mobility, especially for youth.

    Enhanced political and policy dialogue within the EU-Tunisia Association Council before the end of the year will offer an important opportunity to reinvigorate political and institutional ties, with the aim of addressing common international challenges together and preserving the rules-based order.
    We have tasked the Minister of Foreign Affairs, Migration and Tunisians Abroad and the
    Commissioner for Neighbourhood and Enlargement to work out a Memorandum of Understanding on the comprehensive partnership package, to be endorsed by Tunisia and the European Union before the end of June.

    https://www.a-dif.org/2023/06/11/la-tunisia-rifiuta-i-respingimenti-collettivi-e-le-deportazioni-di-migranti-i

    #Tunisie #externalisation #asile #migrations #réfugiés #Memorandum_of_Understanding (#MoU) #Italie #frontières #externalisation_des_frontières #réadmission #accord_de_réadmission #refoulements_collectifs #pays_tiers_sûr #développement #aide_au_développement #conditionnalité_de_l'aide #énergie #énergies_renouvelables

    #modèle_tunisien

    • EU offers Tunisia over €1bn to stem migration

      Brussels proposes €255mn in grants for Tunis, linking longer-term loans of up to €900mn to reforms

      The EU has offered Tunisia more than €1bn in a bid to help the North African nation overcome a deepening economic crisis that has prompted thousands of migrants to cross the Mediterranean Sea to Italy.

      The financial assistance package was announced on Sunday in Tunis after Ursula von der Leyen, accompanied by the prime ministers of Italy and the Netherlands, Giorgia Meloni and Mark Rutte, met with Tunisian president Kais Saied. The proposal still requires the endorsement of other EU governments and will be linked to Tunisian authorities passing IMF-mandated reforms.

      Von der Leyen said the bloc is prepared to mobilise €150mn in grants “right now” to boost Tunisia’s flagging economy, which has suffered from surging commodity prices linked to Russia’s invasion of Ukraine. Further assistance in the form of loans, totalling €900mn, could be mobilised over the longer-term, she said.

      In addition, Europe will also provide €105mn in grants this year to support Tunisia’s border management network, in a bid to “break the cynical business model of smugglers and traffickers”, von der Leyen said. The package is nearly triple what the bloc has so far provided in migration funding for the North African nation.

      The offer of quick financial support is a boost for Tunisia’s embattled president, but longer-term support is contingent on him accepting reforms linked to a $1.9bn IMF package, a move Saied has been attempting to defer until after presidential elections next year.

      Saied has refused to endorse the IMF loan agreement agreed in October, saying he rejected foreign “diktats” that would further impoverish Tunisians. The Tunisian leader is wary of measures such as reducing energy subsidies and speeding up the privatisation of state-owned enterprises as they could damage his popularity.

      Meloni, who laid the groundwork for the announcement after meeting with Saied on Tuesday, has been pushing Washington and Brussels for months to unblock financial aid for Tunisia. The Italian leader is concerned that if the north African country’s economy imploded, it would trigger an even bigger wave of people trying to cross the Mediterranean.

      So far this year, more than 53,000 migrants have arrived in Italy by boat, more than double compared with the same period last year — with a sharp increase in boats setting out from Tunisia one factor behind the surge.

      The agreement was “an important step towards creating a true partnership to address the migration crisis,” Meloni said on Sunday.

      In February, Saied stoked up racist violence against people from sub-Saharan African countries by saying they were part of a plot to change Tunisia’s demographic profile.

      His rhetoric has softened in an apparent bid to improve the image of the deal with the EU. Visiting a camp on Saturday, he criticised the treatment of migrants “as mere numbers”. However, he added, “it is unacceptable for us to play the policeman for other countries”.

      The Tunisian Forum for Economic and Social Rights think-tank criticised the EU’s visit on Sunday as “an attempt to exploit [Tunisia’s] political, economic and social fragility”.

      The financial aid proposal comes days after European governments agreed on a long-awaited migration package that will speed up asylum proceedings and make it easier for member states to send back people who are denied asylum.

      The package also includes proposals to support education, energy and trade relations with the country, including by investing in Tunisia’s renewable energy network and allowing Tunisian students to take part in student exchange programme Erasmus+.

      The presence of the Dutch prime minister, usually a voice for fiscally conservative leaders in the 27-strong bloc, indicated that approval of the package would not be as difficult to achieve as other foreign funding requests. The Netherlands, while not a frontline country like Italy, has also experienced a spike in so-called secondary migration, as many of the people who arrive in southern Europe travel on and apply for asylum in northern countries.

      Calling the talks “excellent”, Rutte said that “the window is open, we all sense there’s this opportunity to foster this relationship between the EU and Tunisia”.

      https://www.ft.com/content/82d6fc8c-ee95-456a-a4e1-8c2808922da3

    • Migrations : les yeux doux de #Gérald_Darmanin au président tunisien

      Pour promouvoir le Pacte sur la migration de l’Union européenne, le ministre de l’Intérieur en visite à Tunis a flirté avec les thèses controversées de Kais Saied, présentant le pays comme une « victime » des flux de réfugiés.

      Quand on sait que l’on n’obtiendra pas ce que l’on désire de son hôte, le mieux est de porter la faute sur un tiers. Le ministre français de l’Intérieur, Gérald Darmanin, a fait sienne cette stratégie durant sa visite dimanche 18 et lundi 19 juin en Tunisie. Et tant pis pour les pays du Sahel, victimes collatérales d’un échec annoncé.

      Accompagné de son homologue allemande, Nancy Faeser, le premier flic de France était en Tunisie pour expliquer au président tunisien Kais Saied le bien-fondé du Pacte sur la migration et l’asile en cours de validation dans l’Union européenne. Tel quel, il pourrait faire de la Tunisie un pays de transit ou d’établissement pour les migrants refoulés au nord de la Méditerranée. La Tunisie n’a jamais accepté officiellement d’être le gardien des frontières de l’Europe, même du temps du précédent président de la République, Béji Caïd Essebsi – officieusement, les gardes-côtes ont intercepté plus de 23 000 migrants de janvier à mai. Ce n’est pas le très panarabisant Kais Saied qui allait céder.

      Surtout que le chef de l’Etat aux méthodes autoritaires avait déjà refusé pareille proposition la semaine dernière, lors de la visite de la présidente de la Commission européenne, Ursula von der Leyen, accompagnée de Giorgia Meloni et Mark Rutte, chefs du gouvernement italien et néerlandais, malgré les promesses de plus d’un milliard d’euros d’aides à long terme (des projets budgétés de longue date pour la plupart). Kais Saied avait encore réitéré son refus au téléphone le 14 juin à Charles Michel, le président du Conseil européen.
      « Grand remplacement »

      Peu de chance donc que Gérald Darmanin et Nancy Faeser, « simples » ministres de l’Intérieur aient plus de succès, bien que leurs pays pèsent « 40 % du budget de l’Union européenne », comme l’a malicieusement glissé le ministre français. Alors pour ne pas repartir complètement bredouille, le locataire de la place Beauvau a promis du concret et flirté avec les thèses très controversées de Kais Saied.

      La France a promis une aide bilatérale de 25,8 millions d’euros pour « acquérir les équipements nécessaires et organiser les formations utiles, des policiers et des gardes-frontières tunisiens pour contenir le flux irrégulier de migrants ». Darmanin a surtout assuré que la Tunisie ne deviendra pas « la garde-frontière de l’Union européenne, ce n’est pas sa vocation ». Au contraire, il a présenté l’ancienne puissance carthaginoise comme une « victime » du flux migratoire.

      « Les Tunisiens qui arrivent de manière irrégulière sur le territoire européen sont une portion très congrue du nombre de personnes qui traversent à partir de la Tunisie la Méditerranée pour venir en Europe. Il y a beaucoup de Subsahariens notamment qui prennent ces routes migratoires », a ajouté le ministre de l’Intérieur français. Un argument martelé depuis des mois par les autorités tunisiennes. Dans un discours reprenant les thèses du « grand remplacement », Kais Saied, le 21 février, avait provoqué une campagne de haine et de violence contre les Subsahariens. Ces derniers avaient dû fuir par milliers le pays. Sans aller jusque-là, Gérald Darmanin a joué les VRP de Kais Saied, déclarant qu’« à la demande de la Tunisie », la France allait jouer de ses « relations diplomatiques privilégiées » avec ces pays (Côte d’Ivoire, Sénégal, Cameroun, notamment) pour « prévenir ces flux ». Si les migrants arrivant par bateaux en Italie sont, pour beaucoup, des Subsahariens – le nombre d’Ivoiriens a été multiplié par plus de 7 depuis le début de l’année par rapport à l’an dernier à la même période –, les Tunisiens demeurent, selon le HCR, la première nationalité (20 %) à débarquer clandestinement au sud de l’Europe depuis 2021.
      Préférence pour Giorgia Meloni

      Gérald Darmanin a quand même soulevé un ancien contentieux : le sort de la vingtaine de Tunisiens radicalisés et jugés dangereux actuellement présents sur le territoire français de façon illégale. Leur retour en Tunisie pose problème. Le ministre français a affirmé avoir donné une liste de noms (sans préciser le nombre) à son homologue tunisien. En attendant de savoir si son discours contribuera à réchauffer les relations avec le président tunisien – ce dernier ne cache pas sa préférence pour le franc-parler de Giorgia Meloni, venue deux fois ce mois-ci – Gérald Darmanin a pu profiter de prendre le café avec Iheb et Siwar, deux Tunisiens réinstallés dans leur pays d’origine via une aide aux retours volontaires mis en place par l’Office français de l’immigration et de l’intégration. En 2022, les Tunisiens ayant eu recours à ce programme étaient… 79. Quand on est envoyé dans une guerre impossible à gagner, il n’y a pas de petite victoire.

      https://www.liberation.fr/international/afrique/migrations-les-yeux-doux-de-gerald-darmanin-au-president-tunisien-2023061
      #Darmanin #France

    • Crisi economica e rimpatri: cosa stanno negoziando Ue e Tunisia

      Con l’economia del Paese nordafricano sempre più in difficoltà, l’intreccio tra sostegno finanziario ed esternalizzazione delle frontiere si fa sempre più stretto. E ora spunta una nuova ipotesi: rimpatriare in Tunisia anche cittadini di altri Paesi

      Durante gli ultimi mesi di brutto tempo in Tunisia, il governo italiano ha più volte dichiarato di aver compiuto «numerosi passi avanti nella difesa dei nostri confini», riferendosi al calo degli arrivi di migranti via mare dal Paese nordafricano. Ora che il sole estivo torna a splendere sulle coste del Sud tunisino, però, le agenzie stampa segnalano un nuovo «aumento delle partenze». Secondo l’Ansa, durante le notti del 18 e 19 giugno, Lampedusa ha contato prima dodici, poi altri quindici sbarchi. Gli arrivi sono stati 18, con 290 persone in totale, anche tra la mezzanotte e le due del 23 giugno. Come accadeva durante i mesi di febbraio e marzo, a raggiungere le coste siciliane sono soprattutto ivoriani, malesi, ghanesi, nigeriani, sudanesi, egiziani. I principali porti di partenza delle persone che raggiungono l’Italia via mare, nel 2023, si trovano soprattutto in Tunisia.

      È durante questo giugno piovoso che la presidente del Consiglio Giorgia Meloni è atterrata a Tunisi non una ma ben due volte, con l’intento di negoziare quello che ha tutta l’aria di uno scambio: un maggior sostegno finanziario al bilancio di una Tunisia sempre più in crisi in cambio di ulteriori azioni di militarizzazione del Mediterraneo centrale. Gli aiuti economici promessi da Bruxelles, necessari perché la Tunisia eviti la bancarotta, sono condizionati alla firma di un nuovo accordo con il Fondo monetario internazionale. Il prezzo da pagare, però, sono ulteriori passi avanti nel processo di esternalizzazione della frontiera dell’Unione europea. Un processo già avviato da anni che, come abbiamo raccontato nelle precedenti puntate di #TheBigWall, si è tradotto in finanziamenti alla Tunisia per un valore di 59 milioni di euro dal 2011 a oggi, sotto forma di una lunga lista di equipaggiamenti a beneficio del ministero dell’Interno tunisino.

      Che l’Italia si stia nuovamente muovendo in questo senso, è stato reso noto dalla documentazione raccolta tramite accesso di richiesta agli atti da IrpiMedia in collaborazione con ActionAid sull’ultimo finanziamento di 12 milioni di euro approvato a fine 2022. A dimostrarlo, è anche l’ultima gara d’appalto pubblicata da Unops, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Servizi di Progetto, che dal 2020 fa da intermediario tra il inistero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale italiano (Maeci) e il ministero dell’Interno tunisino, per la fornitura di sette nuove motovedette, in scadenza proprio a giugno.

      Le motovedette si sommano al recente annuncio, reso noto da Altreconomia a marzo 2023, della fornitura di 100 pick-up Nissan Navara alla Guardia nazionale tunisina. Con una differenza, però: Roma non negozia più da sola con Tunisi, ma si impone come mediatrice tra il Paese nordafricano e l’Unione europea. Secondo le informazioni confidenziali diffuse da una fonte diplomatica vicina ai negoziati Tunisia-Ue, la lista più recente sottoposta dalla Tunisia alla Commissione europea includerebbe anche «droni, elicotteri e nuove motovedette per un totale di ulteriori 200 milioni di euro». Durante la visita del 19 giugno, anche la Francia ha annunciato un nuovo sostegno economico a Tunisi del valore di 26 milioni di euro finalizzato a «contrastare la migrazione».

      Il prezzo del salvataggio dalla bancarotta sono i migranti

      Entro fine giugno è attesa la firma del nuovo memorandum tra Unione europea e Tunisia. Ad annunciarlo è stata la presidente della Commissione Ue Ursula Von der Leyen, arrivata a Tunisi l’11 giugno insieme a Giorgia Meloni e a Mark Rutte, il primo ministro olandese.

      La visita ha fatto seguito al Consiglio dell’Ue, il vertice che riunisce i ministri competenti per discutere e votare proposte legislative della Commissione in cui sono stati approvati alcuni provvedimenti che faranno parte del Patto sulla migrazione e l’asilo. L’intesa, che dovrebbe sostituire anche il controverso Regolamento di Dublino ma deve ancora essere negoziata con l’Europarlamento, si lega alle trattative con la Tunisia. Tra i due dossier esiste un parallelismo tracciato dalla stessa Von Der Leyen che, a seguito del recente naufragio di fronte alle coste greche, ha dichiarato: «Sulla migrazione dobbiamo agire in modo urgente sia sul quadro delle regole che in azioni dirette e concrete. Per esempio, il lavoro che stiamo facendo con la Tunisia per stabilizzare il Paese, con l’assistenza finanziaria e investendo nella sua economia».

      Nel frattempo, in Tunisia, la situazione economica si è fatta sempre più complicata. Il 9 giugno, infatti, l’agenzia di rating Fitch ha declassato il Paese a “-CCC” per quanto riguarda l’indice Idr, Issuer default ratings, ovvero il misuratore della capacità di solvenza di aziende e fondi sovrani. Più è basso, più è alta la possibilità, secondo Fitch, che il Paese (o la società, quando l’indice Idr si applica alle società) possa finire in bancarotta. Colpa principalmente delle trattative fallite tra il governo di Tunisi e il Fondo monetario internazionale (Fmi): ad aprile 2023, il presidente Kais Saied ha rifiutato pubblicamente un prestito da 1,9 miliardi di dollari.

      Principale ragione del diniego tunisino sono stati i «diktat», ha detto Saied il 6 aprile, imposti dal Fmi, cioè una serie di riforme con possibili costi sociali molto alti. Al discorso, sono seguite settimane di insistente lobbying da parte italiana, a Tunisi come a Washington, perché si tornasse a discutere del prestito. Gli aiuti promessi da Von Der Leyen in visita a Tunisi (900 milioni di euro di prestito condizionato, oltre ai 150 milioni di sostegno bilaterale al bilancio) sono infatti condizionati al sì dell’Fmi.

      La Tunisia, quindi, ha bisogno sempre più urgentemente di sostegno finanziario internazionale per riuscire a chiudere il bilancio del 2023 e a rispettare le scadenze del debito pubblico estero. E le trattative per fermare i flussi migratori si intensificano. A giugno 2023, come riportato da AnsaMed, Meloni ha dichiarato di voler «risolvere alla partenza» la questione migranti, proprio durante la firma del Patto sull’asilo a Bruxelles. Finanziamenti in cambio di misure di controllo delle partenze, quindi. Ma di che tipo? Per un’ipotesi che tramonta, un’altra sembra prendere corpo.
      I negoziati per il nuovo accordo di riammissione

      La prima ipotesi è trasformare la Tunisia in un hotspot, una piattaforma esterna all’Unione europea per lo smistamento di chi avrebbe diritto a una forma di protezione e chi invece no. È un’idea vecchia, che compariva già nelle bozze di accordi Ue-Tunisia fermi al 2018, dove si veniva fatto esplicito riferimento ad «accordi regionali di sbarco» tra Paesi a Nord del Mediterraneo e Paesi a Sud, e a «piattaforme di sbarco […] complementari a centri controllati nel territorio Ue». All’epoca, la Tunisia rispose con un secco «no» e anche oggi sembra che l’esito sarà simile. Secondo una fonte vicina alle trattative in corso per il memorandum con l’Ue, «è improbabile che la Tunisia accetti di accogliere veri e propri centri di smistamento sul territorio».

      L’opinione del presidente tunisino Kais Saied, infatti, è ben diversa dai toni concilianti con i quali ha accolto i rappresentanti politici europei, da Meloni ai ministri dell’Interno di Francia (Gérald Darmanin) e Germania (Nancy Faeser), questi ultimi incontrati lo scorso 19 giugno. Saied ha più volte ribadito che «non saremo i guardiani dell’Europa», provando a mantenere la sua immagine pubblica di “anti-colonialista” e sovranista.

      Sotto la crescente pressione economica, esiste comunque la possibilità che il presidente tunisino scenda a più miti consigli e rivaluti l’idea della Tunisia come hotspot. In questo scenario, i Paesi Ue potrebbero rimandare in Tunisia non solo persone tunisine a cui è negata la richiesta d’asilo, ma anche persone di altre nazionalità che hanno qualche tipo di legame (ancora tutto da definire nei dettagli) con la Tunisia. Il memorandum Tunisia-Ue, quindi, potrebbe includere delle clausole relative non solo ai rimpatri dei cittadini tunisini, ma anche alle riammissioni di cittadini di altri Paesi.

      A sostegno di questa seconda ipotesi ci sono diversi elementi. Il primo è un documento della Commissione europea sulla cooperazione estera in ambito migratorio, visionato da IrpiMedia, datato maggio 2022, ma anticipato da una bozza del 2017. Nel documento, in riferimento a futuri accordi di riammissione, si legge che la Commissione avrebbe dovuto lanciare, «entro la fine del 2022», «i primi partenariati con i Paesi nordafricani, tra cui la Tunisia». Il secondo elemento è contenuto nell’accordo raggiunto dal Consiglio sul Patto. Su pressione dell’Italia, la proposta di legge prevede la possibilità di mandare i richiedenti asilo in un Paese terzo considerato sicuro, sulla base di una serie di fattori legati al rispetto dei diritti umani in generale e dei richiedenti asilo più nello specifico.
      I dubbi sulla Tunisia, Paese terzo sicuro

      A marzo 2023 – durante il picco di partenze dalla Tunisia a seguito di un violento discorso del presidente nei confronti della comunità subsahariana nel Paese – la lista dei Paesi di origine considerati sicuri è stata aggiornata, e include ormai non solo la Tunisia stessa, sempre più insicura, come raccontato nelle puntate precedenti, ma anche la Costa d’Avorio, il Ghana, la Nigeria. Che rappresentano ormai le prime nazionalità di sbarco.

      In questo senso, aveva attirato l’attenzione la richiesta da parte delle autorità tunisine a inizio 2022 di laboratori mobili per il test del DNA, utilizzati spesso nei commissariati sui subsahariani in situazione di regolarità o meno. Eppure, nel contesto la situazione della comunità subsahariana nel Paese resta estremamente precaria. Solo la settimana scorsa un migrante di origine non chiara, ma subsahariano, è stato accoltellato nella periferia di Sfax, dove la tensione tra famiglie tunisine in situazioni sempre più precarie e subsahariani continua a crescere.

      Malgrado un programma di ritorno volontario gestito dall’Organizzazione internazionale delle migrazioni (Oim), continua a esistere una tendopoli di fronte alla sede dell’organizzazione internazionale. La Tunisia, dove manca un quadro legale sul diritto di asilo che tuteli quindi chi viene riconosciuto come rifugiato da UNHCR, continua a non essersi dotata di una zona Sar (Search & Rescue). Proprio a questo fa riferimento esplicito la bozza del nuovo patto sull’asilo firmato a Bruxelles. Una delle condizioni richieste, allora, potrebbe essere proprio quella di notificare all’Organizzazione marittima internazionale (Imo) una zona Sar una volta ottenuti tutti gli equipaggiamenti richiesti dal ministero dell’Interno tunisino.

      https://irpimedia.irpi.eu/thebigwall-crisi-economica-rimpatri-cosa-stanno-negoziando-ue-tunisia
      #crise_économique #UE #externalisation

    • Pour garder ses frontières, l’Europe se précipite au chevet de la Tunisie

      Alors que le régime du président #Kaïs_Saïed peine à trouver un accord avec le #Fonds_monétaire_international, la Tunisie voit plusieurs dirigeants européens — notamment italiens et français — voler à son secours. Un « soutien » intéressé qui vise à renforcer le rôle de ce pays comme garde-frontière de l’Europe en pleine externalisation de ses frontières.

      C’est un fait rarissime dans les relations internationales. En l’espace d’une semaine, la présidente du Conseil italien, Giorgia Meloni, aura effectué deux visites à Tunis. Le 7 juin, la dirigeante d’extrême droite n’a passé que quelques heures dans la capitale tunisienne. Accueillie par son homologue Najla Bouden, elle s’est ensuite entretenue avec le président Kaïs Saïed qui a salué, en français, une « femme qui dit tout haut ce que d’autres pensent tout bas ». Quatre jours plus tard, c’est avec une délégation européenne que la présidente du Conseil est revenue à Tunis.

      Accompagnée de la présidente de la Commission européenne #Ursula_von_der_Leyen et du premier ministre néerlandais #Mark_Rutte, Meloni a inscrit à l’agenda de sa deuxième visite les deux sujets qui préoccupent les leaders européens : la #stabilité_économique de la Tunisie et, surtout, la question migratoire, reléguant au second plan les « #valeurs_démocratiques ».

      Un pacte migratoire

      À l’issue de cette rencontre, les Européens ont proposé une série de mesures en faveur de la Tunisie : un #prêt de 900 millions d’euros conditionné à la conclusion de l’accord avec le Fonds monétaire international (#FMI), une aide immédiate de 150 millions d’euros destinée au budget, ainsi que 105 millions pour accroitre la #surveillance_des_frontières. Von der Leyen a également évoqué des projets portant sur l’internet à haut débit et les énergies vertes, avant de parler de « rapprochement des peuples ». Le journal Le Monde, citant des sources bruxelloises, révèle que la plupart des annonces portent sur des fonds déjà budgétisés. Une semaine plus tard, ce sont #Gérald_Darmanin et #Nancy_Faeser, ministres français et allemande de l’intérieur qui se rendent à Tunis. Une #aide de 26 millions d’euros est débloquée pour l’#équipement et la #formation des gardes-frontières tunisiens.

      Cet empressement à trouver un accord avec la Tunisie s’explique, pour ces partenaires européens, par le besoin de le faire valoir devant le Parlement européen, avant la fin de sa session. Déjà le 8 juin, un premier accord a été trouvé par les ministres de l’intérieur de l’UE pour faire évoluer la politique des 27 en matière d’asile et de migration, pour une meilleure répartition des migrants. Ainsi, ceux qui, au vu de leur nationalité, ont une faible chance de bénéficier de l’asile verront leur requête examinée dans un délai de douze semaines. Des accords devront également être passés avec certains pays dits « sûrs » afin qu’ils récupèrent non seulement leurs ressortissants déboutés, mais aussi les migrants ayant transité par leur territoire. Si la Tunisie acceptait cette condition, elle pourrait prendre en charge les milliers de subsahariens ayant tenté de rejoindre l’Europe au départ de ses côtes.

      Dans ce contexte, la question des droits humains a été esquivée par l’exécutif européen. Pourtant, en mars 2023, les eurodéputés ont voté, à une large majorité, une résolution condamnant le tournant autoritaire du régime. Depuis le mois de février, les autorités ont arrêté une vingtaine d’opposants dans des affaires liées à un « complot contre la sûreté de l’État ». Si les avocats de la défense dénoncent des dossiers vides, le parquet a refusé de présenter sa version.

      L’allié algérien

      Depuis qu’il s’est arrogé les pleins pouvoirs, le 25 juillet 2021, Kaïs Saïed a transformé la Tunisie en « cas » pour les puissances régionales et internationales. Dans les premiers mois qui ont suivi le coup de force, les pays occidentaux ont oscillé entre « préoccupations » et compréhension. Le principal cadre choisi pour exprimer leurs inquiétudes a été celui du G 7. C’est ainsi que plusieurs communiqués ont appelé au retour rapide à un fonctionnement démocratique et à la mise en place d’un dialogue inclusif. Mais, au-delà des proclamations de principe, une divergence d’intérêts a vite traversé ce groupement informel, séparant les Européens des Nord-Américains. L’Italie — et dans une moindre mesure la France — place la question migratoire au centre de son débat public, tandis que les États-Unis et le Canada ont continué à orienter leur communication vers les questions liées aux droits et libertés. En revanche, des deux côtés de l’Atlantique, le soutien à la conclusion d’un accord entre Tunis et le FMI a continué à faire consensus.

      La fin de l’unanimité occidentale sur la question des droits et libertés va faire de l’Italie un pays à part dans le dossier tunisien. Depuis 2022, Rome est devenue le premier partenaire commercial de Tunis, passant devant la France. Ce changement coïncide avec un autre bouleversement : la Tunisie est désormais le premier pays de départ pour les embarcations clandestines en direction de l’Europe, dans le bassin méditerranéen. Constatant que la Tunisie de Kaïs Saïed a maintenu une haute coopération en matière de #réadmission des Tunisiens clandestins expulsés du territoire italien, Rome a compris qu’il était dans son intérêt de soutenir un régime fort et arrangeant, en profitant de son rapprochement avec l’Algérie d’Abdelmadjid Tebboune, qui n’a jamais fait mystère de son soutien à Kaïs Saïed. Ainsi, en mai 2022, le président algérien a déclaré qu’Alger et Rome étaient décidées à sortir la Tunisie de « son pétrin ». Les déclarations de ce type se sont répétées sans que les autorités tunisiennes, d’habitude plus promptes à dénoncer toute ingérence, ne réagissent publiquement. Ce n’est pas la première fois que l’Italie et l’#Algérie — liées par un #gazoduc traversant le territoire tunisien — s’unissent pour soutenir un pouvoir autoritaire en Tunisie. Déjà, en 1987, Zine El-Abidine Ben Ali a consulté Rome et Alger avant de déposer le président Habib Bourguiba.

      L’arrivée de Giorgia Meloni au pouvoir en octobre 2022 va doper cette relation. La dirigeante d’extrême droite, élue sur un programme de réduction drastique de l’immigration clandestine, va multiplier les signes de soutien au régime en place. Le 21 février 2023, un communiqué de la présidence tunisienne dénonce les « menaces » que font peser « les hordes de migrants subsahariens » sur « la composition démographique tunisien ». Alors que cette déclinaison tunisienne de la théorie du « Grand Remplacement » provoque l’indignation, — notamment celle de l’Union africaine (UA) — l’Italie est le seul pays à soutenir publiquement les autorités tunisiennes. Depuis, la présidente du Conseil italien et ses ministres multiplient les efforts diplomatiques pour que la Tunisie signe un accord avec le FMI, surtout depuis que l’UE a officiellement évoqué le risque d’un effondrement économique du pays.

      Contre les « diktats du FMI »

      La Tunisie est en crise économique au moins depuis 2008. Les dépenses sociales engendrées par la révolution, les épisodes terroristes, la crise du Covid et l’invasion de l’Ukraine par la Russie n’ont fait qu’aggraver la situation du pays.

      L’accord avec l’institution washingtonienne est un feuilleton à multiples rebondissements. Fin juillet 2021, avant même la nomination d’un nouveau gouvernement, Saïed charge sa nouvelle ministre des Finances Sihem Namsia de poursuivre les discussions en vue de l’obtention d’un prêt du FMI, prélude à une série d’aides financières bilatérales. À mesure que les pourparlers avancent, des divergences se font jour au sein du nouvel exécutif. Alors que le gouvernement de Najla Bouden semble disposé à accepter les préconisations de l’institution financière (restructuration et privatisation de certaines entreprises publiques, arrêt des subventions sur les hydrocarbures, baisse des subventions sur les matières alimentaires), Saïed s’oppose à ce qu’il qualifie de « diktats du FMI » et dénonce une politique austéritaire à même de menacer la paix civile. Cela ne l’empêche pas de promulguer la loi de finances de l’année 2023 qui reprend les principales préconisations de l’institution de Bretton Woods.

      En octobre 2022, un accord « technique » a été trouvé entre les experts du FMI et ceux du gouvernement tunisien et la signature définitive devait intervenir en décembre. Mais cette dernière étape a été reportée sine die, sans aucune explication.

      Ces dissensions au sein d’un exécutif censé plus unitaire que sous le régime de la Constitution de 2014 trouvent leur origine dans la vision économique de Kaïs Saïed. Après la chute de Ben Ali, les autorités de transition ont commandé un rapport sur les mécanismes de corruption du régime déchu. Le document final, qui pointe davantage un manque à gagner (prêts sans garanties, autorisations indument accordées…) que des détournements de fonds n’a avancé aucun chiffre. Mais en 2012, le ministre des domaines de l’État Slim Ben Hmidane a avancé celui de 13 milliards de dollars (11,89 milliards d’euros), confondant les biens du clan Ben Ali que l’État pensait saisir avec les sommes qui se trouvaient à l’étranger. Se saisissant du chiffre erroné, Kaïs Saïed estime que cette somme doit être restituée et investie dans les régions marginalisées par l’ancien régime. Le 20 mars 2022, le président promulgue une loi dans ce sens et nomme une commission chargée de proposer à « toute personne […] qui a accompli des actes pouvant entraîner des infractions économiques et financières » d’investir l’équivalent des sommes indument acquises dans les zones sinistrées en échange de l’abandon des poursuites.

      La mise en place de ce mécanisme intervient après la signature de l’accord technique avec le FMI. Tandis que le gouvernement voulait finaliser le pacte avec Washington, Saïed mettait la pression sur la commission d’amnistie afin que « la Tunisie s’en sorte par ses propres moyens ». Constatant l’échec de sa démarche, le président tunisien a préféré limoger le président de la commission et dénoncer des blocages au sein de l’administration. Depuis, il multiplie les appels à un assouplissement des conditions de l’accord avec le FMI, avec l’appui du gouvernement italien. Le 12 juin 2023, à l’issue d’une rencontre avec son homologue italien, Antonio Tajani, le secrétaire d’État américain Anthony Blinken s’est déclaré ouvert à ce que Tunis présente un plan de réforme révisé au FMI.

      Encore une fois, les Européens font le choix de soutenir la dictature au nom de la stabilité. Si du temps de Ben Ali, l’islamisme et la lutte contre le terrorisme étaient les principales justifications, c’est aujourd’hui la lutte contre l’immigration, devenue l’alpha et l’oméga de tout discours politique et électoraliste dans une Europe de plus en plus à droite, qui sert de boussole. Mais tous ces acteurs négligent le côté imprévisible du président tunisien, soucieux d’éviter tout mouvement social à même d’affaiblir son pouvoir. À la veille de la visite de la délégation européenne, Saïed s’est rendu à Sfax, deuxième ville du pays et plaque tournante de la migration clandestine. Il est allé à la rencontre des populations subsahariennes pour demander qu’elles soient traitées avec dignité, avant de déclarer que la Tunisie ne « saurait être le garde-frontière d’autrui ». Un propos réitéré lors de la visite de Gérald Darmanin et de son homologue allemande, puis à nouveau lors du Sommet pour un nouveau pacte financier à Paris, les 22 et 23 juin 2023.

      https://orientxxi.info/magazine/pour-garder-ses-frontieres-l-europe-se-precipite-au-chevet-de-la-tunisie

    • Perché oggi Meloni torna in Tunisia

      È la terza visita da giugno: l’obiettivo è un accordo per dare al paese aiuti economici europei in cambio di più controlli sulle partenze di migranti

      Nella giornata di domenica è previsto un viaggio istituzionale in Tunisia della presidente del Consiglio italiana Giorgia Meloni, insieme alla presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen e al primo ministro olandese #Mark_Rutte. Per Meloni è la terza visita in Tunisia in poco più di un mese: era andata da sola una prima volta il 6 giugno, e poi già insieme a von der Leyen e Rutte l’11 giugno.

      Il motivo delle visite è stata una serie di colloqui con il presidente tunisino, l’autoritario Kais Saied, per firmare un “memorandum d’intesa” tra Unione Europea e Tunisia che ha l’obiettivo di fornire un aiuto finanziario al governo tunisino da circa un miliardo di euro. Questi soldi si aggiungerebbero al prestito del Fondo Monetario Internazionale (#FMI) da 1,7 miliardi di euro di cui si parla da tempo e che era stato chiesto dalla Tunisia per provare a risolvere la sua complicata situazione economica e sociale.

      Il memorandum, di cui non sono stati comunicati i dettagli, secondo fonti a conoscenza dei fatti impegnerebbe la Tunisia ad applicare alcune riforme chieste dall’FMI, e a collaborare maggiormente nel bloccare le partenze di migranti e richiedenti asilo che cercano di raggiungere l’Italia via mare.

      Nell’incontro dell’11 giugno le discussioni non erano andate benissimo, e avevano portato solo alla firma di una dichiarazione d’intenti. La visita di domenica dovrebbe invece concludersi con una definizione degli accordi, almeno nelle intenzioni dei leader europei. «Speriamo di concludere le discussioni che abbiamo iniziato a giugno», aveva detto venerdì la vice portavoce della Commissione Europea Dana Spinant annunciando il viaggio di domenica.

      Il memorandum d’intesa prevede che l’Unione Europea offra alla Tunisia aiuti finanziari sotto forma di un prestito a tassi agevolati di 900 milioni di euro – da erogare a rate nei prossimi anni – oltre a due contributi a fondo perduto rispettivamente da 150 milioni di euro, come contributo al bilancio nazionale, e da 100 milioni di euro per impedire le partenze delle imbarcazioni di migranti. Quest’ultimo aiuto di fatto replicherebbe su scala minore quelli dati negli anni scorsi a Libia e Turchia affinché impedissero con la forza le partenze di migranti e richiedenti asilo.

      Dell’accordo si è parlato molto criticamente nelle ultime settimane per via delle violenze in corso da tempo nel paese, sia da parte della popolazione locale che delle autorità, nei confronti dei migranti subsahariani che transitano nel paese nella speranza di partire via mare verso l’Europa (e soprattutto verso l’Italia). Da mesi il presidente Kais Saied – che negli ultimi tre anni ha dato una svolta autoritaria al governo del paese – sta usando i migranti come capro espiatorio per spiegare la pessima situazione economica e sociale in cui si trova la Tunisia.

      Ha più volte sostenuto che l’immigrazione dai paesi africani faccia parte di un progetto di «sostituzione demografica per rendere la Tunisia un paese unicamente africano, che perda i suoi legami con il mondo arabo e islamico». Le sue parole hanno causato reazioni razziste molto violente da parte di residenti e polizia nei confronti dei migranti, con arresti arbitrari e varie aggressioni. L’ultimo episodio è stato segnalato all’inizio di luglio, quando le forze dell’ordine tunisine hanno arrestato centinaia di migranti provenienti dall’Africa subsahariana e li hanno portati con la forza in una zona desertica nell’est del paese al confine con la Libia.

      https://www.ilpost.it/2023/07/16/tunisia-meloni

    • Firmato a Tunisi il memorandum d’intesa tra Tunisia e Ue, Meloni: «Compiuto passo molto importante»

      Saied e la delegazione Ue von der Leyen, Meloni e #Rutte siglano il pacchetto complessivo di 255 milioni di euro per il bilancio dello Stato nordafricano e per la gestione dei flussi migratori. 5 i pilastri dell’intesa

      E’ stato firmato il Memorandum d’intesa per una partnership strategica e globale fra Unione europea e Tunisia. L’Ue ha diffuso il video della cerimonia di firma, alla quale erano presenti la presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, il premier dell’Olanda Mark Rutte e il presidente tunisino Kais Saied. Al termine della cerimonia di firma è iniziato l’incontro fra i tre leader europei e Saied, a seguito del quale sono attese dichiarazioni alla stampa. L’incontro si svolge nel palazzo presidenziale tunisino di Cartagine, vicino Tunisi. Per raggiungere questo obiettivo Bruxelles ha proposto un pacchetto di aiuti (150 milioni a sostegno del bilancio dello Stato e 105 milioni come supporto al controllo delle frontiere), su cui era stato avviato un negoziato.

      «Il Team Europe torna a Tunisi. Eravamo qui insieme un mese fa per lanciare una nuova partnership con la Tunisia. E oggi la portiamo avanti». Lo scrive sui social la Presidente della Commissione Ue, Ursula Von der Leyen, postando foto con lei, Meloni, Rutte e Saied.

      E nella conferenza stampa congiunta con Saied, Meloni e Rutte la presidente ha affermato che la Ue coopererà con la Tunisia contro i trafficanti di migranti.

      «Abbiamo raggiunto un obiettivo molto importante che arriva dopo un grande lavoro diplomatico. Il Memorandum è un importante passo per creare una vera partnership tra l’Ue e la Tunisia». Lo ha detto la premier Giorgia Meloni al termine dell’incontro con Kais Saied nel palazzo di Cartagine. L’intesa va considerata «un modello» perle relazioni tra l’Ue e i Paesi del Nord Africa.

      L’obiettivo iniziale era di firmare un Memorandum d’intesa entro lo scorso Consiglio europeo, del 29 e 30 giugno, ma c’è stato uno slittamento. L’intesa con l’Europa, nelle intenzioni di Bruxelles, dovrebbe anche facilitare lo sblocco del finanziamento del Fondo monetario internazionale da 1,9 miliardi al momento sospeso, anche se in questo caso la trattativa è tutta in salita.

      Anche oggi, nel giorno della firma del Memorandum di Intesa tra Unione europea e Tunisia, a Lampedusa - isola simbolo di migrazione e di naufragi - sono sbarcati in 385 (ieri quasi mille). L’obiettivo dell’accordo voluto dalla premier Meloni e il presidente Saied è soprattutto arginare il flusso incontrollato di persone che si affidano alla pericolosa via del mare per approdare in Europa. Un problema che riguarda i confini esterni meridionali dell’Unione europea, come ha sempre sottolineato la presidente del Consiglio, che oggi arriverà a Tunisi per la seconda volta, con la presidente della Commissione Ursula von der Leyen e con il collega olandese Mark Rutte.

      Le dichiarazioni della premier Giorgia Meloni

      «Oggi abbiamo raggiunto un risultato estremamente importante, il memorandum firmato tra Tunisia e Ue è un ulteriore passo verso la creazione di un vero partenariato che possa affrontare in modo integrato la crisi migratoria e lo sviluppo per entrambe le sponde del Mediterraneo».

      Così la presidente del Consiglio Giorgia Meloni nel punto stampa dopo la firma del Memorandum.

      «Il partenariato con la Tunisia- ha aggiunto Meloni- rappresenta per noi un modello per costruire nuove relazioni con i vicini del Nord Africa. Il memorandum è un punto di partenza al quale dovranno conseguire diversi accordi per mettere a terra gli obiettivi che ci siamo dati».

      Infine la presidente del Consiglio ha ricordato che «domenica prossima 23 luglio a Roma ci sarà la conferenza internazionale sull’immigrazione che avrà come protagonista il presidente Saied e con lui diversi capi di Stato e governo dei paesi mediterranei. E’ un altro importante passo per affrontare la cooperazione mediterranea con un approccio integrato e io lo considero come l’inizio di un percorso che può consentire una partnership diversa da quella che abbiamo avuto nel passato».

      Le dichiarazioni della Presidente della Commisisone Europea

      Per Ursula Von der Leyen l’accordo odierno è «un buon pacchetto di misure», da attuare rapidamente «in entrambe le sponde del Mediterraneo» ma ha anche precisato che «L’ assistenza macrofinanziaria sarà fornita quando le condizioni lo permetteranno».

      La Presidente ha elencato i 5 pilastri del Memorandum con la Tunisia:

      1) creare opportunità per i giovani tunisini. Per loro «ci sarà una finestra in Europa con l’#Erasmus». Per le scuole tunisine stanziati 65 milioni;

      2) sviluppo economico della Tunisia. La Ue aiuterà la crescita e la resilienza dell’economia tunisina;

      3) investimenti e commercio: "La Ue è il più grande partner economico della Tunisia. Ci saranno investimenti anche per migliorare la connettività della Tunisia, per il turismo e l’agricoltura. 150 milioni verranno stanziati per il ’#Medusa_submarine_cable' tra Europa e Tunisia;

      4) energia pulita: la Tunisia ha «potenzialità enormi» per le rinnovabili. L’ Europa ha bisogno di «fonti per l’energia pulita. Questa è una situazione #win-win. Abbiamo stanziato 300 milioni per questo progetto ed è solo l’inizio»;

      5) migranti: «Bisogna stroncare i trafficanti - dice Von der Leyen - e distruggere il loro business». Ue e Tunisia coordineranno le operazioni Search and Rescue. Per questo sono stanziati 100 milioni di euro.

      Le dichiarazioni del Presidente Kais Saied

      «Dobbiamo trovare delle vie di collaborazione alternative a quelle con il Fondo Monetario Internazionale, che è stato stabilito dopo la seconda Guerra mondiale. Un regime che divide il mondo in due metà: una metà per i ricchi e una per i poveri eche non doveva esserci». Lo ha detto il presidente tunisino Kais Saied nelle dichiarazioni alla stampa da Cartagine.

      «Il Memorandum dovrebbe essere accompagnato presto da accordi attuativi» per «rendere umana» la migrazione e «combattere i trafficanti. Abbiamo oggi un’assoluta necessità di un accordo comune contro la migrazione irregolari e contro la rete criminale di trafficanti».

      «Grazie a tutti e in particolare la premier Meloni per aver risposto immediatamente all’iniziativa tunisina di organizzare» un vertice sulla migrazione con i Paesi interessati.

      https://www.rainews.it/articoli/2023/07/memorandum-dintesa-tra-unione-europea-e-tunisia-la-premier-meloni-von-der-le
      #memorandum_of_understanding #développement #énergie #énergie_renouvelable #économie #tourisme #jeunes #jeunesse #smugglers #traficants_d'êtres_humains #aide_financière

    • La Tunisie et l’Union européenne signent un partenariat sur l’économie et la politique migratoire

      La présidente de la Commission européenne s’est réjouie d’un accord destiné à « investir dans une prospérité partagée », évoquant cinq piliers dont l’immigration irrégulière. La Tunisie est un point de départ pour des milliers de migrants vers l’Europe.

      L’Union européenne (UE) et la Tunisie ont signé dimanche 16 juillet à Tunis un protocole d’accord pour un « partenariat stratégique complet » portant sur la lutte contre l’immigration irrégulière, les énergies renouvelables et le développement économique de ce pays du Maghreb. La présidente de la Commission européenne, Ursula von der Leyen, s’est réjouie d’un accord destiné à « investir dans une prospérité partagée », évoquant « cinq piliers », dont les questions migratoires.

      La Tunisie est un point de départ pour des milliers de migrants qui traversent la Méditerranée vers l’Europe. Les chefs de gouvernement italien, Giorgia Meloni, et néerlandais, Mark Rutte, accompagnaient la dirigeante européenne après une première visite il y a un mois, pendant laquelle ils avaient proposé ce partenariat.

      Il s’agit « d’une nouvelle étape importante pour traiter la crise migratoire de façon intégrée », a dit Mme Meloni, qui a invité le président tunisien, Kais Saied, présent à ses côtés, à participer dimanche à Rome à un sommet sur les migrations. Celui-ci s’est exprimé à son tour pour insister sur le volet de l’accord portant sur « le rapprochement entre les peuples ».

      « Nouvelles relations avec l’Afrique du Nord »

      Selon Mme Meloni, le partenariat entre la Tunisie et l’UE « peut être considéré comme un modèle pour l’établissement de nouvelles relations avec l’Afrique du Nord ». M. Rutte a pour sa part estimé que « l’accord bénéficiera aussi bien à l’Union européenne qu’au peuple tunisien », rappelant que l’UE est le premier partenaire commercial de la Tunisie et son premier investisseur. Sur l’immigration, il a assuré que l’accord permettra de « mieux contrôler l’immigration irrégulière ».

      L’accord prévoit une aide de 105 millions d’euros pour lutter contre l’immigration irrégulière et une aide budgétaire de 150 millions d’euros alors que la Tunisie est étranglée par une dette de 80 % de son produit intérieur brut (PIB) et est à court de liquidités. Lors de sa première visite, la troïka européenne avait évoqué une « assistance macrofinancière de 900 millions d’euros » qui pouvait être fournie à la Tunisie sous forme de prêt sur les années à venir.

      Mme von der Leyen a affirmé dimanche que Bruxelles « est prête à fournir cette assistance dès que les conditions seront remplies ». Cette « assistance » de l’UE est conditionnée à un accord entre la Tunisie et le Fonds monétaire international (FMI) pour un nouveau crédit du Fonds, un dossier qui est dans l’impasse depuis des mois.

      https://www.lemonde.fr/afrique/article/2023/07/16/la-tunisie-et-l-union-europeenne-signent-un-partenariat-sur-l-economie-et-la

    • Les députés reprochent à la Commission européenne d’avoir signé un accord avec un « cruel dictateur » tunisien

      Des eurodéputés ont dénoncé mardi le protocole d’accord signé par l’UE avec la Tunisie.

      L’accord a été conclu dimanche après une réunion à Tunis entre le président tunisien Kaïs Saïed et la présidente de la Commission européenne Ursula von der Leyen, accompagnée de la Première ministre italienne Giorgia Meloni et du Premier ministre néerlandais Mark Rutte.

      Le texte, qui doit encore être précisé, prévoit l’allocation d’au moins 700 millions d’euros de fonds européens, dont certains sous forme de prêts, dans le cadre de cinq piliers : la stabilité macroéconomique, l’économie et le commerce, la transition verte, les contacts interpersonnels et les migrations.

      Ursula von der Leyen a présenté le mémorandum comme un « partenariat stratégique et global ». Mais les eurodéputés ont adopté un point de vue très critique sur la question. Ils dénoncent les contradictions entre les valeurs fondamentales de l’Union européenne et le recul démocratique en cours en Tunisie. Ils ont également déploré l’absence de transparence démocratique et de responsabilité financière.

      La figure de Kaïs Saïed, qui a ouvertement diffusé des récits racistes contre les migrants d’Afrique subsaharienne a fait l’objet des reproches de la part des parlementaires.

      https://twitter.com/sylvieguillaume/status/1681221845830230017

      « Il est très clair qu’un accord a été conclu avec un dictateur cruel et peu fiable », a dénoncé Sophie in ’t Veld (Renew Europe). « Le président Saïed est un dirigeant autoritaire, ce n’est pas un bon partenaire, c’est un dictateur qui a augmenté le nombre de départs ».

      S’exprimant au nom des sociaux-démocrates (S&D), Birgit Sippel a accusé les autorités tunisiennes d’abandonner les migrants subsahariens dans le désert « sans nourriture, sans eau et sans rien d’autre », un comportement qui a déjà été rapporté par les médias et les organisations humanitaires.

      « Pourquoi la Tunisie devrait-elle soudainement changer de comportement ? Et qui contrôle l’utilisation de l’argent ? » interroge Birgit Sippel, visiblement en colère.

      « Nous finançons à nouveau un autocrate sans contrôle politique et démocratique au sein de cette assemblée. Ce n’est pas une solution. Cela renforcera un autocrate en Tunisie », a-t-elle ajouté.

      https://twitter.com/NatJanne/status/1680982627283509250

      En face, la Commissaire européenne en charge des Affaires intérieures Ylva Johansson, a évité toute controverse et a calmement défendu le mémorandum UE-Tunisie. La responsable suédoise a souligné que le texte introduit des obligations pour les deux parties.

      « Il est clair que la Tunisie est sous pression. Selon moi, c’est une raison de renforcer et d’approfondir la coopération et d’intensifier le soutien à la Tunisie », a-t-elle répondu aux députés européens.

      Selon Ylva Johansson, 45 000 demandeurs d’asile ont quitté la Tunisie cette année pour tenter de traverser la « route très meurtrière » de la Méditerranée centrale. Cette « augmentation considérable » suggère un changement du rôle de la Tunisie, de pays d’origine à pays de transit, étant donné que « sur ces 45 000, seuls 5 000 étaient des citoyens tunisiens ».

      « Il est très important que notre objectif principal soit toujours de sauver des vies, d’empêcher les gens d’entreprendre ces voyages qui finissent trop souvent par mettre fin à leur vie, c’est une priorité », a poursuivi la Commissaire.

      Les députés se sont concentrés sur les deux enveloppes financières les plus importantes de l’accord : 150 millions d’euros pour l’aide budgétaire et 105 millions d’euros pour la gestion des migrations, qui seront toutes les deux déboursées progressivement. Certains eurodéputés ont décrit l’aide budgétaire, qui est censée soutenir l’économie fragile du pays, comme une injection d’argent dans les coffres privés de Kaïs Saïed qui serait impossible à retracer.

      « Vous avez financé un dictateur qui bafoue les droits de l’homme, qui piétine la démocratie tunisienne que nous avons tant soutenue. Ne nous mentez pas ! », s’est emporté Mounir Satouri (les Verts). « Selon nos analyses, les 150 et 105 millions d’euros sont une aide au Trésor (tunisien), un versement direct sur le compte bancaire de M. Kaïs Saïed ».

      https://twitter.com/alemannoEU/status/1680659154665340928

      Maria Arena (S&D) a reproché à la Commission européenne de ne pas avoir ajouté de dispositions supplémentaires qui conditionneraient les paiements au respect des droits de l’homme.

      « Nous donnons un chèque en blanc à M. Saïed, qui mène actuellement des campagnes racistes et xénophobes, soutenues par sa police et son armée », a déclaré l’eurodéputée belge.

      « Croyez-vous vraiment que M Saïed, qui a révoqué son parlement, qui a jeté des juges en prison, qui a démissionné la moitié de sa juridiction, qui interdit maintenant aux blogueurs de parler de la question de l’immigration et qui utilise maintenant sa police et son armée pour renvoyer des gens à la frontière (libyenne), croyez-vous vraiment que M. Saïed va respecter les droits de l’homme ? Madame Johansson, soit vous êtes naïve, soit vous nous racontez des histoires ».

      Dans ses réponses, Ylva Johansson a insisté sur le fait que les 105 millions d’euros affectés à la migration seraient « principalement » acheminés vers des organisations internationales qui travaillent sur le terrain et apportent une aide aux demandeurs d’asile, comme l’Organisation internationale pour les migrations (OIM), bien qu’elle ait admis que certains fonds seraient en fait fournis aux agents tunisiens sous la forme de navires de recherche et de sauvetage et de radars.

      https://twitter.com/vonderleyen/status/1680626156603686913

      « Permettez-moi d’insister sur le fait que la Commission européenne, l’UE, n’est pas impliquée dans le refoulement de ressortissants de pays tiers vers leur pays d’origine. Ce que nous faisons, c’est financer, par l’intermédiaire de l’OIM, les retours volontaires et la réintégration des ressortissants de pays tiers », a souligné la Commissaire.

      « Je ne suis pas d’accord avec la description selon laquelle la Tunisie exerce un chantage. Je pense que nous avons une bonne coopération avec la Tunisie, mais il est également important de renforcer cette coopération et d’augmenter le soutien à la Tunisie. Et c’est l’objectif de ce protocole d’accord ».

      https://fr.euronews.com/my-europe/2023/07/18/les-deputes-reprochent-a-la-commission-europeenne-davoir-signe-un-accor

  • Les mineurs de bitcoin se préparent à quitter la Chine
    https://www.lemonde.fr/economie/article/2021/06/19/les-mineurs-de-bitcoin-se-preparent-a-quitter-la-chine_6084808_3234.html

    La Chine n’est plus l’eldorado du bitcoin. Les entreprises nationales sont prêtes à déménager vers les Etats-Unis ou le Canada – même si les coûts y sont jusqu’à trois fois plus élevés –, car ils jouissent de la stabilité politique. Depuis la mi-mai, le bitcoin est pris sous un double feu dans l’empire du Milieu.

    #bitcoin #chine #prohibition #minage #cryptomonnaies #déménagement #électricité #politique #stabilité #économie

  • La crise sanitaire aggrave les troubles psy des jeunes migrants

    Les « migrants » sont une population composite recouvrant des #statuts_administratifs (demandeurs d’asile, réfugiés, primo-arrivants…) et des situations sociales disparates. Certains appartiennent à des milieux sociaux plutôt aisés et éduqués avec des carrières professionnelles déjà bien entamées, d’autres, issus de milieux sociaux défavorisés ou de minorités persécutées, n’ont pas eu accès à l’éducation dans leur pays d’origine.

    Et pourtant, une caractéristique traverse ce groupe : sa #jeunesse.

    Ainsi, selon les chiffres d’Eurostat, au premier janvier 2019, la moitié des personnes migrantes en Europe avait moins de 29 ans ; l’âge médian de cette population se situant à 29,2 ans, contre 43,7 pour l’ensemble de la population européenne. Cette particularité est essentielle pour comprendre l’état de santé de cette population.

    En effet, on constate que, du fait de sa jeunesse, la population migrante en Europe est globalement en #bonne_santé physique et parfois même en meilleure #santé que la population du pays d’accueil. En revanche, sa santé mentale pose souvent problème.

    Des #troubles graves liés aux #parcours_migratoires

    Beaucoup de jeunes migrants – 38 % de la population totale des migrants selon une recherche récente – souffrent de #troubles_psychiques (#psycho-traumatismes, #dépressions, #idées_suicidaires, #perte_de_mémoire, #syndrome_d’Ulysse désignant le #stress de ceux qui vont vivre ailleurs que là où ils sont nés), alors que la #psychiatrie nous apprend que le fait migratoire ne génère pas de #pathologie spécifique.

    Les troubles dont souffrent les jeunes migrants peuvent résulter des #conditions_de_vie dans les pays d’origine (pauvreté, conflits armés, persécution…) ou des #conditions_du_voyage migratoire (durée, insécurité, absence de suivi médical, en particulier pour les migrants illégaux, parfois torture et violences) ; ils peuvent également être liés aux #conditions_d’accueil dans le pays d’arrivée.

    De multiples facteurs peuvent renforcer une situation de santé mentale déjà précaire ou engendrer de nouveaux troubles : les incertitudes liées au #statut_administratif des personnes, les difficultés d’#accès_aux_droits (#logement, #éducation ou #travail), les #violences_institutionnelles (la #répression_policière ou les #discriminations) sont autant d’éléments qui provoquent un important sentiment d’#insécurité et du #stress chez les jeunes migrants.

    Ceci est d’autant plus vrai pour les #jeunes_hommes qui sont jugés comme peu prioritaires, notamment dans leurs démarches d’accès au logement, contrairement aux #familles avec enfants ou aux #jeunes_femmes.

    Il en résulte des périodes d’#errance, de #dénuement, d’#isolement qui détériorent notablement les conditions de santé psychique.

    De nombreuses difficultés de #prise_en_charge

    Or, ainsi que le soulignent Joséphine Vuillard et ses collègues, malgré l’engagement de nombreux professionnels de santé, les difficultés de prise en charge des troubles psychiques des jeunes migrants sont nombreuses et réelles, qu’il s’agisse du secteur hospitalier ou de la médecine ambulatoire.

    Parmi ces dernières on note l’insuffisance des capacités d’accueil dans les #permanences_d’accès_aux_soins_de_santé (#PASS), l’incompréhension des #procédures_administratives, le besoin d’#interprétariat, des syndromes psychotraumatiques auxquels les professionnels de santé n’ont pas toujours été formés.

    Les jeunes migrants sont par ailleurs habituellement très peu informés des possibilités de prise en charge et ne recourent pas aux soins, tandis que les dispositifs alternatifs pour « aller vers eux » (comme les #maraudes) reposent essentiellement sur le #bénévolat.
    https://www.youtube.com/watch?v=Pn29oSxVMxQ&feature=emb_logo

    Dans ce contexte, le secteur associatif (subventionné ou non) tente de répondre spécifiquement aux problèmes de santé mentale des jeunes migrants, souvent dans le cadre d’un accompagnement global : soutien aux démarches administratives, logement solidaire, apprentissage du français, accès à la culture.

    Organisateurs de solidarités, les acteurs associatifs apportent un peu de #stabilité et luttent contre l’isolement des personnes, sans nécessairement avoir pour mission institutionnelle la prise en charge de leur santé mentale.

    Ces #associations s’organisent parfois en collectifs inter-associatifs pour bénéficier des expertises réciproques. Malgré leur implantation inégale dans les territoires, ces initiatives pallient pour partie les insuffisances de la prise en charge institutionnelle.

    Des situations dramatiques dans les #CRA

    Dans un contexte aussi fragile, la #crise_sanitaire liée à la #Covid-19 a révélé au grand jour les carences du système : si, à la suite de la fermeture de nombreux #squats et #foyers, beaucoup de jeunes migrants ont été logés dans des #hôtels ou des #auberges_de_jeunesse à l’occasion des #confinements, nombreux sont ceux qui ont été livrés à eux-mêmes.

    Leur prise en charge sociale et sanitaire n’a pas été pensée dans ces lieux d’accueil précaires et beaucoup ont vu leur situation de santé mentale se détériorer encore depuis mars 2020.

    Les situations les plus critiques en matière de santé mentale sont sans doute dans les #Centres_de_rétention_administrative (CRA). Selon le rapport 2019 de l’ONG Terre d’Asile, sont enfermés dans ces lieux de confinement, en vue d’une #expulsion du sol national, des dizaines de milliers de migrants (54 000 en 2019, dont 29 000 en outremer), y compris de nombreux jeunes non reconnus comme mineurs, parfois en cours de #scolarisation.

    La difficulté d’accès aux soins, notamment psychiatriques, dans les CRA a été dénoncée avec véhémence dans un rapport du Contrôleur général des lieux de privation de liberté (CGLPL) en février 2019, suivi, à quelques mois d’écart, d’un rapport tout aussi alarmant du Défenseur des droits.

    La #rupture de la #continuité des #soins au cours de leur rétention administrative est particulièrement délétère pour les jeunes migrants souffrant de pathologies mentales graves. Pour les autres, non seulement la prise en charge médicale est quasi-inexistante mais la pratique de l’isolement à des fins répressives aggrave souvent un état déjà à risque.

    La déclaration d’#état_d’urgence n’a pas amélioré le sort des jeunes migrants en rétention. En effet, les CRA ont été maintenus ouverts pendant les périodes de #confinement et sont devenus de facto le lieu de placement d’un grand nombre d’étrangers en situation irrégulière sortant de prison, alors que la fermeture des frontières rendait improbables la reconduite et les expulsions.

    Un tel choix a eu pour conséquence l’augmentation de la pression démographique (+23 % en un an) sur ces lieux qui ne n’ont pas été conçus pour accueillir des personnes psychologiquement aussi vulnérables et pour des périodes aussi prolongées.

    Des espaces anxiogènes

    De par leur nature de lieu de #privation_de_liberté et leur vocation de transition vers la reconduction aux frontières, les CRA sont de toute évidence des #espaces_anxiogènes où il n’est pas simple de distinguer les logiques de #soins de celles de #contrôle et de #répression, et où la consultation psychiatrique revêt bien d’autres enjeux que des enjeux thérapeutiques. Car le médecin qui apporte un soin et prend en charge psychologiquement peut aussi, en rédigeant un #certificat_médical circonstancié, contribuer à engager une levée de rétention, en cas de #péril_imminent.

    Les placements en CRA de personnes atteintes de pathologies psychologiques et/ou psychiatriques sont en constante hausse, tout comme les actes de #détresse (#automutilations et tentatives de #suicide) qui ont conduit, depuis 2017, cinq personnes à la mort en rétention.

    La prise en charge effective de la santé mentale des jeunes migrants se heurte aujourd’hui en France aux contradictions internes au système. Si les dispositifs sanitaires existent et sont en théorie ouverts à tous, sans condition de nationalité ni de régularité administrative, l’état d’incertitude et de #précarité des jeunes migrants, en situation irrégulière ou non, en fait un population spécialement vulnérable et exposée.

    Sans doute une plus forte articulation entre la stratégie nationale de prévention et lutte contre la pauvreté et des actions ciblées visant à favoriser l’intégration et la stabilité via le logement, l’éducation et l’emploi serait-elle à même de créer les conditions pour une véritable prévention des risques psychologiques et une meilleure santé mentale.

    https://theconversation.com/la-crise-sanitaire-aggrave-les-troubles-psy-des-jeunes-migrants-152

    #crise_sanitaire #asile #migrations #réfugiés #jeunes_migrants #santé_mentale #troubles_psychologiques #genre #vulnérabilité #bénévolat #rétention #détention_administrative #sans-papiers

    ping @isskein @karine4

  • Le néo-populisme est un néo- libéralisme

    Comment être libéral et vouloir fermer les frontières ? L’histoire du néolibéralisme aide à comprendre pourquoi, en Autriche et en Allemagne, extrême droite et droite extrême justifient un tel grand écart : oui à la libre-circulation des biens et des richesses, non à l’accueil des migrants.

    https://aoc.media/analyse/2018/07/03/neo-populisme-neo-liberalisme

    –-> je re-signale ici un article publié dans AOC media qui date de 2018, sur lequel je suis tombée récemment, mais qui est malheureusement sous paywall

    #populisme #libéralisme #néo-libéralisme #néolibéralisme #fermeture_des_frontières #frontières #histoire #extrême_droite #libre-circulation #migrations #Allemagne #Autriche

    ping @karine4 @isskein

    • #Globalists. The End of Empire and the Birth of Neoliberalism

      Neoliberals hate the state. Or do they? In the first intellectual history of neoliberal globalism, #Quinn_Slobodian follows a group of thinkers from the ashes of the Habsburg Empire to the creation of the World Trade Organization to show that neoliberalism emerged less to shrink government and abolish regulations than to redeploy them at a global level.

      Slobodian begins in Austria in the 1920s. Empires were dissolving and nationalism, socialism, and democratic self-determination threatened the stability of the global capitalist system. In response, Austrian intellectuals called for a new way of organizing the world. But they and their successors in academia and government, from such famous economists as Friedrich Hayek and Ludwig von Mises to influential but lesser-known figures such as Wilhelm Röpke and Michael Heilperin, did not propose a regime of laissez-faire. Rather they used states and global institutions—the League of Nations, the European Court of Justice, the World Trade Organization, and international investment law—to insulate the markets against sovereign states, political change, and turbulent democratic demands for greater equality and social justice.

      Far from discarding the regulatory state, neoliberals wanted to harness it to their grand project of protecting capitalism on a global scale. It was a project, Slobodian shows, that changed the world, but that was also undermined time and again by the inequality, relentless change, and social injustice that accompanied it.

      https://www.hup.harvard.edu/catalog.php?isbn=9780674979529

      #livre #empire #WTO #capitalisme #Friedrich_Hayek #Ludwig_von_Mises #Wilhelm_Röpke #Michael_Heilperin #Etat #Etat-nation #marché #inégalités #injustice #OMC

    • Quinn Slobodian : « Le néolibéralisme est travaillé par un conflit interne »

      Pour penser les hybridations contemporaines entre néolibéralisme, #autoritarisme et #nationalisme, le travail d’historien de Quinn Slobodian, encore peu connu en France, est incontournable. L’auteur de Globalists nous a accordé un #entretien.

      L’élection de Trump, celle de Bolsonaro, le Brexit… les élites des partis de #droite participant au #consensus_néolibéral semblent avoir perdu le contrôle face aux pulsions nationalistes, protectionnistes et autoritaires qui s’expriment dans leur propre camp ou chez leurs concurrents les plus proches.

      Pour autant, ces pulsions sont-elles si étrangères à la #doctrine_néolibérale ? N’assisterait-on pas à une mutation illibérale voire nativiste de la #globalisation_néolibérale, qui laisserait intactes ses infrastructures et sa philosophie économiques ?

      Le travail de Quinn Slobodian, qui a accordé un entretien à Mediapart (lire ci-dessous), apporte un éclairage précieux à ces questions. Délaissant volontairement la branche anglo-américaine à laquelle la pensée néolibérale a souvent été réduite, cet historien a reconstitué les parcours de promoteurs du néolibéralisme ayant accompli, au moins en partie, leur carrière à #Genève, en Suisse (d’où leur regroupement sous le nom d’#école_de_Genève).

      Dans son livre, Globalists (Harvard University Press, 2018, non traduit en français), ce professeur associé au Wellesley College (près de Boston) décrit l’influence croissante d’un projet intellectuel né « sur les cendres de l’empire des Habsbourg » à la fin de la Première Guerre mondiale, et qui connut son apogée à la création de l’#Organisation_mondiale_du_commerce (#OMC) en 1995.

      À la suite d’autres auteurs, Slobodian insiste sur le fait que ce projet n’a jamais été réductible à un « #fondamentalisme_du_marché », opposé par principe à la #puissance_publique et au #droit. Selon lui, l’école de Genève visait plutôt un « #enrobage » ( encasement ) du #marché pour en protéger les mécanismes. L’objectif n’était pas d’aboutir à un monde sans #frontières et sans lois, mais de fabriquer un #ordre_international capable de « sauvegarder le #capital », y compris contre les demandes des masses populaires.

      Dans cette logique, la division du monde en unités étatiques a le mérite d’ouvrir des « voies de sortie » et des possibilités de mise en #concurrence aux acteurs marchands, qui ne risquent pas d’être victimes d’un Léviathan à l’échelle mondiale. Cela doit rester possible grâce à la production de #règles et d’#institutions, qui protègent les décisions de ces acteurs et soustraient l’#activité_économique à la versatilité des choix souverains.

      On l’aura compris, c’est surtout la #liberté de l’investisseur qui compte, plus que celle du travailleur ou du citoyen – Slobodian cite un auteur se faisant fort de démontrer que « le #libre_commerce bénéficie à tous, même sans liberté de migration et si les peuples restent fermement enracinés dans leurs pays ». Si la compétition politique peut se focaliser sur les enjeux culturels, les grandes orientations économiques doivent lui échapper.

      L’historien identifie dans son livre « trois #ruptures » qui ont entretenu, chez les néolibéraux qu’il a étudiés, la hantise de voir s’effondrer les conditions d’un tel ordre de marché. La guerre de 14-18 a d’abord interrompu le développement de la « première mondialisation », aboutissant au morcellement des empires de la Mitteleuropa et à l’explosion de revendications démocratiques et sociales.

      La #Grande_Dépression des années 1930 et l’avènement des fascismes ont constitué un #traumatisme supplémentaire, les incitant à rechercher ailleurs que dans la science économique les solutions pour « sanctuariser » la mobilité du capital. Les prétentions au #protectionnisme de certains pays du « Sud » les ont enfin poussés à s’engager pour des accords globaux de #libre_commerce.

      L’intérêt supplémentaire de Globalists est de nous faire découvrir les controverses internes qui ont animé cet espace intellectuel, au-delà de ses objectifs communs. Une minorité des néolibéraux étudiés s’est ainsi montrée sinon favorable à l’#apartheid en #Afrique_du_Sud, du moins partisane de droits politiques limités pour la population noire, soupçonnée d’une revanche potentiellement dommageable pour les #libertés_économiques.

      Le groupe s’est également scindé à propos de l’#intégration_européenne, entre ceux qui se méfiaient d’une entité politique risquant de fragmenter le marché mondial, et d’autres, qui y voyaient l’occasion de déployer une « Constitution économique », pionnière d’un « modèle de gouvernance supranationale […] capable de résister à la contamination par les revendications démocratiques » (selon les termes du juriste #Mestmäcker).

      On le voit, la recherche de Slobodian permet de mettre en perspective historique les tensions observables aujourd’hui parmi les acteurs du néolibéralisme. C’est pourquoi nous avons souhaité l’interroger sur sa vision des évolutions contemporaines de l’ordre politique et économique mondial.

      Dans votre livre, vous montrez que les néolibéraux donnent beaucoup d’importance aux #règles et peuvent s’accommoder des #frontières_nationales, là où cette pensée est souvent présentée comme l’ennemie de l’État. Pourriez-vous éclaircir ce point ?

      Quinn Slobodian : Quand on parle d’ouverture et de fermeture des frontières, il faut toujours distinguer entre les biens, l’argent ou les personnes. Mon livre porte surtout sur le #libre_commerce, et comment des #lois_supranationales l’ont encouragé. Mais si l’on parle des personnes, il se trouve que dans les années 1910-1920, des néolibéraux comme #von_Mises étaient pour le droit absolu de circuler.

      Après les deux guerres mondiales, cette conception ne leur est plus apparue réaliste, pour des raisons de #sécurité_nationale. #Hayek a par exemple soutenu l’agenda restrictif en la matière de #Margaret_Thatcher.

      Même si l’on met la question de l’immigration de côté, je persiste à souligner que les néolibéraux n’ont rien contre les frontières, car celles-ci exercent une pression nécessaire à la #compétitivité. C’est pourquoi l’existence simultanée d’une économie intégrée et de multiples communautés politiques n’est pas une contradiction pour eux. De plus, une « #gouvernance_multiniveaux » peut aider les dirigeants nationaux à résister aux pressions populaires. Ils peuvent se défausser sur les échelons de gouvernement qui leur lient les mains, plus facilement que si on avait un véritable #gouvernement_mondial, avec un face-à-face entre gouvernants et gouvernés.

      Cela pose la question du rapport entre néolibéralisme et #démocratie

      Les néolibéraux voient la démocratie de manière très fonctionnelle, comme un régime qui produit plutôt de la #stabilité. C’est vrai qu’ils ne l’envisagent qu’avec des contraintes constitutionnelles, lesquelles n’ont pas à être débordées par la volonté populaire. D’une certaine façon, la discipline que Wolfgang Schaüble, ex-ministre des finances allemand, a voulu imposer à la Grèce résulte de ce type de pensée. Mais c’est quelque chose d’assez commun chez l’ensemble des libéraux que de vouloir poser des bornes à la #démocratie_électorale, donc je ne voudrais pas faire de mauvais procès.

      Les élections européennes ont lieu le 26 mai prochain. Pensez-vous que l’UE a réalisé les rêves des « globalists » que vous avez étudiés ?

      C’est vrai que la #Cour_de_justice joue le rôle de gardienne des libertés économiques au centre de cette construction. Pour autant, les règles ne se sont pas révélées si rigides que cela, l’Allemagne elle-même ayant dépassé les niveaux de déficit dont il était fait si grand cas. Plusieurs craintes ont agité les néolibéraux : celle de voir se développer une #Europe_sociale au détriment de l’#intégration_négative (par le marché), ou celle de voir la #monnaie_unique empêcher la #concurrence entre #monnaies, sans compter le risque qu’elle tombe aux mains de gens trop peu attachés à la stabilité des prix, comme vous, les Français (rires).

      Plus profondément, les néolibéraux sceptiques se disaient qu’avec des institutions rendues plus visibles, vous créez des cibles pour la #contestation_populaire, alors qu’il vaut mieux des institutions lointaines et discrètes, produisant des règles qui semblent naturelles.

      Cette opposition à l’UE, de la part de certains néolibéraux, trouve-t-elle un héritage parmi les partisans du #Brexit ?

      Tout à fait. On retrouve par exemple leur crainte de dérive étatique dans le #discours_de_Bruges de Margaret Thatcher, en 1988. Celle-ci souhaitait compléter le #marché_unique et travailler à une plus vaste zone de #libre-échange, mais refusait la #monnaie_unique et les « forces du #fédéralisme et de la #bureaucratie ».

      Derrière ce discours mais aussi les propos de #Nigel_Farage [ex-dirigeant du parti de droite radicale Ukip, pro-Brexit – ndlr], il y a encore l’idée que l’horizon de la Grande-Bretagne reste avant tout le #marché_mondial. Sans préjuger des motivations qui ont mené les citoyens à voter pour le Brexit, il est clair que l’essentiel des forces intellectuelles derrière cette option partageaient des convictions néolibérales.

      « L’hystérie sur les populistes dramatise une situation beaucoup plus triviale »

      De nombreux responsables de droite sont apparus ces dernières années, qui sont à la fois (très) néolibéraux et (très) nationalistes, que l’on pense à Trump ou aux dirigeants de l’#Alternative_für_Deutschland (#AfD) en Allemagne. Sont-ils une branche du néolibéralisme ?

      L’AfD est née avec une plateforme ordo-libérale, attachée à la #stabilité_budgétaire en interne et refusant toute solidarité avec les pays méridionaux de l’UE. Elle joue sur l’#imaginaire de « l’#économie_sociale_de_marché », vantée par le chancelier #Erhard dans les années 1950, dans un contexte où l’ensemble du spectre politique communie dans cette nostalgie. Mais les Allemands tiennent à distinguer ces politiques économiques du néolibéralisme anglo-saxon, qui a encouragé la #financiarisation de l’économie mondiale.

      Le cas de #Trump est compliqué, notamment à cause du caractère erratique de sa prise de décision. Ce qui est sûr, c’est qu’il brise la règle néolibérale selon laquelle l’économie doit être dépolitisée au profit du bon fonctionnement de la concurrence et du marché. En ce qui concerne la finance, son agenda concret est complètement néolibéral.

      En matière commerciale en revanche, il est sous l’influence de conseillers qui l’incitent à une politique agressive, notamment contre la Chine, au nom de l’#intérêt_national. En tout cas, son comportement ne correspond guère à la généalogie intellectuelle de la pensée néolibérale.

      Vous évoquez dans votre livre « l’#anxiété » qui a toujours gagné les néolibéraux. De quoi ont-ils #peur aujourd’hui ?

      Je dirais qu’il y a une division parmi les néolibéraux contemporains, et que la peur de chaque camp est générée par celui d’en face. Certains tendent vers le modèle d’une intégration supranationale, avec des accords contraignants, que cela passe par l’OMC ou les méga-accords commerciaux entre grandes régions du monde.

      Pour eux, les Trump et les pro-Brexit sont les menaces contre la possibilité d’un ordre de marché stable et prospère, à l’échelle du globe. D’un autre côté figurent ceux qui pensent qu’une #intégration_supranationale est la #menace, parce qu’elle serait source d’inefficacités et de bureaucratie, et qu’une architecture institutionnelle à l’échelle du monde serait un projet voué à l’échec.

      Dans ce tableau, jamais la menace ne vient de la gauche ou de mouvement sociaux, donc.

      Pas vraiment, non. Dans les années 1970, il y avait bien le sentiment d’une menace venue du « Sud global », des promoteurs d’un nouvel ordre économique international… La situation contemporaine se distingue par le fait que la #Chine acquiert les capacités de devenir un acteur « disruptif » à l’échelle mondiale, mais qu’elle n’en a guère la volonté. On oublie trop souvent que dans la longue durée, l’objectif de l’empire chinois n’a jamais consisté à étendre son autorité au-delà de ses frontières.

      Aucun des auteurs que je lis n’est d’ailleurs inquiet de la Chine à propos du système commercial mondial. Le #capitalisme_autoritaire qu’elle incarne leur paraît tout à fait convenable, voire un modèle. #Milton_Friedman, dans ses derniers écrits, valorisait la cité-État de #Hong-Kong pour la grande liberté économique qui s’y déploie, en dépit de l’absence de réelle liberté politique.

      Le débat serait donc surtout interne aux néolibéraux. Est-ce qu’il s’agit d’un prolongement des différences entre « l’école de Genève » que vous avez étudiée, et l’« l’école de Chicago » ?

      Selon moi, le débat est un peu différent. Il rappelle plutôt celui que je décris dans mon chapitre sur l’intégration européenne. En ce sens, il oppose des « universalistes », partisans d’un ordre de marché vraiment global construit par le haut, et des « constitutionnalistes », qui préfèrent le bâtir à échelle réduite, mais de façon plus sûre, par le bas. L’horizon des héritiers de l’école de Chicago reste essentiellement borné par les États-Unis. Pour eux, « l’Amérique c’est le monde » !

      On dirait un slogan de Trump.

      Oui, mais c’est trompeur. Contrairement à certains raccourcis, je ne pense pas que Trump veuille un retrait pur et simple du monde de la part des États-Unis, encore moins un modèle autarcique. Il espère au contraire que les exportations de son pays s’améliorent. Et si l’on regarde les accords qu’il a voulu renégocier, quels sont les résultats ?

      Avec le Mexique, on a abouti à quelque chose de très proche de ce qui existait déjà. Dans le débat dont j’ai esquissé les contours, il serait plutôt du côté des constitutionnalistes, avec des accords de proximité qui s’élargiraient, mais garderaient la Chine à distance. De façon générale, l’hystérie sur les populistes au pouvoir me semble dramatiser une situation beaucoup plus triviale, qui oppose des stratégies quant à la réorganisation de l’économie mondiale.

      Est-ce que le rejet de la Chine s’inscrit dans la même logique que les positions hostiles à l’immigration de Hayek en son temps, et de Trump ou des pro-Brexit aujourd’hui ? En somme, y aurait-il certains pays, comme certains groupes, qui seraient soupçonnés d’être culturellement trop éloignés du libre marché ?

      On retrouve chez certains auteurs l’idée que l’homo œconomicus, en effet, n’est pas universel. Les règles du libre marché ne pourraient être suivies partout dans le monde. Cette idée d’une altérité impossible à accommoder n’est pas réservée à des ressentiments populaires. Elle existe dans le milieu des experts et des universitaires, qui s’appuient sur certains paradigmes scientifiques comme le #néo-institutionnalisme promu par des auteurs comme #Douglass_North. Cette perspective suppose qu’à un modèle socio-économique particulier, doivent correspondre des caractéristiques culturelles particulières.

      https://www.mediapart.fr/journal/culture-idees/100319/quinn-slobodian-le-neoliberalisme-est-travaille-par-un-conflit-interne #WWI #première_guerre_mondiale

  • « La déconsidération des universités par le milieu politique est un élément structurel »

    Pour #Mathias_Bernard, président de l’université Clermont Auvergne, la promulgation de la #loi_de_programmation_de_la_recherche (#LPR) est une « #occasion_manquée ». Il revient sur la LPR pour « Libération », mais aussi sur dix ans de politique des universités.

    Ça y est. La si polémique loi de programmation de la recherche a été promulguée le jeudi 24 décembre, et publiée ce samedi au journal officiel. Elle lisse sur dix ans une hausse de 5 milliards d’euros du #budget annuel de la recherche et prévoit une hausse des #primes des personnels scientifiques. Mais plusieurs éléments sont critiqués par la communauté universitaire.

    L’une des mesures les plus contestée, la pénalisation des #mobilisations_étudiantes, a été retoquée par le Conseil constitutionnel le 21 décembre. Les « sages » ont aussi émis des réserves sur la proposition d’une nouvelle voie de #recrutement_dérogatoire pour les #professeurs, les « #chaires_de_professeurs_juniors », qui permettrait aux présidents d’université de s’immiscer dans l’appréciation des mérites des futurs candidats.

    Pour le reste, le texte accentue la #compétition entre les chercheurs et entre les établissements en prolongeant la logique de financement par #appels_à_projets, en vogue depuis plus de dix ans. Président de l’université Clermont Auvergne, Mathias Bernard connaît bien le sujet. Pour Libération, il revient sur ce texte et sur les réformes successives des universités depuis plus de dix ans.

    La loi de programmation de la recherche a été promulguée. Quel est votre sentiment sur ce texte ?

    C’est une occasion manquée. Quand l’annonce d’une loi de programmation a été faite, en février 2019 par le Premier ministre, je me suis réjoui, comme beaucoup de collègues. Notre secteur a besoin de #stabilité pour se projeter dans le temps long. J’espérais que cette loi permette de rééquilibrer la part des #financements_récurrents par rapport à ceux distribués par appels à projets. Ce n’est pas le cas. Les nouveaux #moyens sont en majorité conditionnés.

    C’est problématique. Cette loi n’aborde ni la question des #investissements en #équipements_scientifiques ni celle de l’#emploi. Les seules mesures de #ressources_humaines visent à faciliter le recrutement de #contractuels. C’est une #déception.

    Dans quelle mesure la LPR s’inscrit-elle dans le train de #réformes_universitaires depuis dix, quinze ans ?

    La LPR est clairement dans la ligne de ce qui se fait depuis le milieu des années 2000 avec la création de l’#Agence_nationale_de_la_recherche [chargée d’animer la politique d’appels à projets, ndlr]. Ce qui est prôné, c’est la différenciation des universités. L’Etat nous demande de mettre en avant « la #signature » de l’établissement. Cela passe par la réponse aux appels à projets nationaux, internationaux, territoriaux… Le nombre de guichets s’est multiplié.

    En parallèle de cela, notre #dotation_de_base stagne alors que le nombre d’étudiants augmente. Je ne dis pas qu’il y a quinze ans le système était idéal, mais le point d’équilibre est largement dépassé.

    Quelles sont les conséquences pour les établissements ?

    C’est d’abord un #coût. Nous avons besoin de recruter des équipes pour suivre ces appels et aider nos chercheurs à y répondre. J’ai plusieurs dizaines de personnes qui travaillent à cela.

    Ensuite, c’est un changement dans le #statut des personnes employées. Si ma dotation de base stagne, je ne peux pas recruter de #fonctionnaires. La progression du nombre d’employés des universités augmente uniquement grâce aux contractuels. Là encore, avoir une part de contractuels dans nos personnels n’est pas problématique mais ils sont recrutés pour conduire des missions pérennes.

    C’est notamment le cas pour des #contrats_d’enseignants qui, il faut bien le reconnaître, sont payés au lance-pierre.

    La stagnation des financements récurrents attribués aux universités n’est-elle pas la conséquence d’une défiance du milieu politique vis-à-vis du monde académique ?

    Je dirais une #défiance et une #méconnaissance. Les deux vont de pair. Cela vient d’un système de formation des #élites qui ne les amène jamais à l’université. Ils la connaissent mal et en ont une représentation fantasmée et négative.

    Le secteur a dû aborder beaucoup de lois, en 2007, 2013, 2018 et maintenant 2020, et pourtant, aucune n’a reconnu les universités pour ce qu’elles sont, à savoir les opérateurs principaux en matière d’#enseignement_supérieur et de #recherche. Les arbitrages ne nous sont jamais favorables et ce quelle que soit la législature. Les moyens de l’Etat sont dispersés sur une multitude d’opérateurs. Malheureusement, le fait d’avoir une ministre, #Frédérique_Vidal, issue de nos rangs, n’a rien changé au problème de la #déconsidération des universités par le milieu politique qui est un élément structurel.

    La #loi_LRU de 2007 promettait l’#autonomie des universités…

    Mais cette promesse n’a jamais été tenue. L’autonomie a consisté à déléguer la gestion des mécontentements. S’est installée une forme de #bureaucratisation qui subordonne le conseil d’administration des universités à d’autres instances, comme les jurys des appels à projets ou l’administration du ministère, qui s’est investie dans une forme de #micro-management.
    Vous faites référence à la création par ce gouvernement des #recteurs_académiques_de_région qui sont aux universités ce que le recteur est à l’enseignement scolaire. Comment ce micromanagement s’illustre-t-il ?

    Par exemple, pendant la crise sanitaire, les universités ont le droit d’ouvrir des séances de travaux pratiques. Si je décide d’ouvrir un TP d’optique pour 20 étudiants le mardi de 17 heures à 19 heures, je dois obtenir un arrêté du recteur académique à Lyon. Je lui ai, en tout, transmis plusieurs centaines de demandes d’autorisation. C’est de la #bureaucratisation inutile.

    De même, dans le cadre de ce que nous appelons le « #dialogue_stratégique_de_gestion » que nous menons avec l’Etat, une petite partie du budget est conditionnée à la manière dont l’université met en œuvre les #politiques_publiques.

    Pourquoi n’êtes-vous ni membre de l’#Alliance_des_universités_de_recherche_et_de_formation (#Auref) ni de l’#Udice, qui réunit les dix universités dites « de recherche » de France ?

    Je suis contre l’idée d’un système universitaire à #deux_vitesses. Il me semble donc dangereux de l’institutionnaliser à travers des associations. Je suis très attaché aux dimensions de #formation et de recherche des universités. Nous devons concilier une mission de #service_public et une exigence d’#excellence. Le risque avec l’existence de ces deux associations est d’encourager les pouvoirs publics à acter cette division, et à différencier les moyens budgétaires et les outils législatifs attribués aux établissements en fonction de leur appartenance à une organisation ou à une autre.

    Cette différenciation pourrait passer, par exemple, par des droits d’inscription différenciés ?

    On sent bien que cela va être tenté. Une brèche a été entrouverte par le gouvernement en introduisant un droit d’entrée différencié pour les #étudiants_internationaux. Une mesure qui pourrait profiter économiquement à un petit nombre d’universités, qui ont la notoriété pour justifier des droits plus élevés. Mais elle pourrait vider les autres établissements de leurs étudiants internationaux.

    C’est une première tentative qui pourrait être prolongée par une différenciation des #droits_d’entrée pour les étudiants français. Certains présidents pourraient y voir une ressource supplémentaire. Pour ma part, je suis attaché à notre modèle d’un accès le plus ouvert possible à l’enseignement supérieur.

    Vos étudiants, justement, comment vont-ils ?

    Mal. Si j’en juge par le nombre d’entre eux qui se signalent auprès de notre bureau d’accompagnement psychologique, je dirais qu’il y a beaucoup de souffrances.

    Pourtant, dans le plan de #déconfinement du gouvernement, les universités sont les dernières à rouvrir. Comment expliquez-vous cela ?

    Cette annonce a suscité beaucoup d’émotion au sein de la communauté. C’est révélateur d’une forme de #déconsidération des universités qui ne rouvrent qu’après les lycées, les classes prépa, les églises…

    Le principal problème pour nous, dans cette gestion de crise, c’est le décalage systématique entre les décisions gouvernementales, qui créent de l’attente, et la notification précise de leur application. Cela nous met, nous, présidents, en porte-à-faux. Par exemple, il y a eu des annonces sur le recrutement de tuteurs pour accompagner les étudiants en difficulté en janvier, mais nous n’avons reçu ni les budgets ni les modalités avant les congés de fin d’année. De même, l’Etat s’est engagé à soutenir la prolongation des contrats doctoraux décalés par le Covid-19. Nous avons fait les avances dès septembre, mais les crédits ne sont arrivés qu’en toute fin d’année.

    https://www.liberation.fr/france/2020/12/26/la-deconsideration-des-universites-par-le-milieu-politique-est-un-element

    #université #ESR #France #LPPR

    Métaliste sur la LPPR :
    https://seenthis.net/messages/820330

  • Un futur incertain attend les migrants extra-européens en Suisse

    Terre d’immigration depuis des décennies, la Suisse ne fait pourtant pas figure de bon élève en matière d’intégration. Elle se classe toujours parmi les pays d’Europe qui font le moins d’efforts pour offrir une #stabilité à #long_terme aux immigrés non européens, selon une étude comparative internationale.

    La Suisse n’offre pas aux immigrés un avenir sûr, conclut une étude. Publié mercredi, le #MIPEX (Migrant Intergration Policy Index) compare les #politiques_d’intégration de 52 pays et établit un #classement. La Confédération termine au 25e rang, derrière la France, l’Allemagne, l’Italie ou encore le Royaume-Uni. Elle obtient 50 points sur 100, soit sept à huit points de moins que la moyenne des autres pays d’Europe occidentale.

    Plus de 80% de la #population_étrangère vivant en Suisse est originaire d’un pays européen. Elle bénéficie de l’accord sur la libre circulation des personnes et est ainsi libre de venir travailler ou s’établir en Suisse. C’est pour les ressortissants extra-européens que la situation se complique.

    L’étude place la Suisse parmi les pays qui proposent aux migrants de pays tiers des possibilités d’intégration temporaires, mais pas la garantie de pouvoir s’établir de manière permanente. Une position similaire à celle de l’Autriche et du Danemark. « Ces pays ne font que la moitié du chemin pour accorder aux migrants des droits fondamentaux et l’égalité des chances. Leurs politiques encouragent la population à considérer les immigrés comme des étrangers et non comme des égaux et des voisins à part entière », commentent les chercheurs.

    La #politique_d’intégration de la Confédération n’a pas évolué au cours de la dernière décennie, montre également l’index. « L’approche suisse s’inscrit dans une forme de continuité », relève Gianni D’Amato, le directeur du Forum suisse pour l’étude des migrations (SFM), qui participe à l’élaboration du MIPEX. La Suisse veut bénéficier des avantages économiques de la migration, mais l’intégration sur le long terme n’est pas son objectif, analyse ce dernier. « Le message que le pays adresse aux migrants est le suivant : vous êtes les bienvenus, mais pas trop nombreux et pas pour toute votre vie. Il faut maintenir le contrôle pour pouvoir limiter le nombre d’immigrés », dit-il.

    L’étude identifie deux principales lacunes dans la politique suisse d’intégration : la faiblesse de la protection contre les #discriminations et la difficulté d’accès à la #naturalisation.

    Une protection lacunaire contre la discrimination

    Les victimes de discriminations sont moins protégées et soutenues en Suisse que partout ailleurs sur le continent, montre la comparaison internationale. La Confédération apparaît comme le seul pays européen à ne pas disposer d’une loi nationale contre la discrimination et d’un organisme d’aide aux victimes.

    Le problème n’est pas nouveau. Depuis plusieurs années, la Commission européenne contre le racisme et l’intolérance (ECRI) recommande aux autorités suisses de renforcer, en droit civil et administratif, la protection des victimes de #discrimination_raciale. Le Centre suisse de compétences des droits humains émet également des propositions similaires.

    Si la Suisse se montre réticente à prendre des mesures supplémentaires dans ce domaine, les discriminations que subissent les migrants touchent tous les domaines de la vie quotidienne. « Elles se manifestent entre autres sur le #marché_du_travail ou la recherche d’un logement », déplore Didier Ruedin, maître d’enseignement et de recherche au SFM. 

    La norme pénale antiraciste (art.261bis du Code pénal) punit certes toute discrimination basée sur l’appartenance raciale, ethnique, religieuse ou sur l’orientation sexuelle. « Son champ d’application est cependant restreint. La preuve en est que les cas de discriminations sont nombreux, mais ils donnent lieu à peu de jugements », souligne Didier Ruedin.

    Un passeport difficile à obtenir

    La politique restrictive de la Suisse en matière de naturalisation est également mise en évidence par la recherche. En 2017, les citoyens suisses ont certes accepté de faciliter la naturalisation de quelque 25’000 jeunes étrangers de troisième génération. L’étude souligne cependant que le passeport suisse reste plus difficile à obtenir que celui de la plupart des pays d’Europe occidentale. En outre, les conditions de naturalisation ont encore été durcies en 2018, avec l’entrée en vigueur de la nouvelle Loi sur la nationalité.

    Un taux de naturalisation plus élevé favorise une meilleure intégration des étrangers, relèvent pourtant les experts. Il renforce l’acceptation des migrants, leur statut socio-économique, leur participation politique, ainsi que leur sentiment d’appartenance et leur confiance en leur pays d’accueil, détaille le rapport.

    Des prestations de #santé adaptées

    Si la politique d’intégration de la Suisse est loin d’être avant-gardiste, le pays offre certains avantages aux immigrés. Il se distingue en particulier grâce à son système de santé accessible à toutes les catégories de migrants. Celui-ci permet à la Confédération de se hisser à la deuxième place du classement dans ce domaine, aux côtés de l’Irlande, de la Nouvelle-Zélande et de la Suède. Le rapport salue entre autres le portail pour l’égalité des chances en matière de santé « migesplus », qui met à disposition des informations sur la santé en 56 langues.

    Le marché du travail helvétique offre également d’intéressantes opportunités à une partie des citoyens non européens disposant d’un permis de travail. Ils peuvent accéder à une activité indépendante, à un emploi dans le service public, à l’aide sociale et à la formation. Sur ce point, le pays se situe dans la moyenne européenne.

    https://www.swissinfo.ch/fre/un-futur-incertain-attend-les-migrants-extra-europ%C3%A9ens-en-suisse/46215416

    #Suisse #migrations #intégration

    ping @cede

  • #Hong_Kong : la #loi controversée sur la #sécurité_nationale a été adoptée, selon des médias locaux

    Le parlement chinois a adopté mardi la loi controversée sur la sécurité nationale à Hong Kong, ont annoncé des médias du territoire semi-autonome, faisant craindre une #répression de toute #opposition_politique dans l’ex-colonie britannique.

    Le parlement national à Pékin a voté ce texte à l’unanimité, ont affirmé mardi matin Now TV, RTHK et le South China Morning Post.

    Cette loi, qui entend réprimer le « #séparatisme », le « #terrorisme », la « #subversion » et la « collusion avec des forces extérieures et étrangères », vise à ramener la #stabilité dans l’ex-colonie britannique secouée l’an passé par des #manifestations monstres contre le pouvoir central.

    Les opposants redoutent qu’elle serve à museler toute dissidence et à enterrer la semi-autonomie et les libertés dont jouissent les habitants de Hong Kong.

    Ce texte, élaboré en seulement six semaines et dont le contenu n’est pas connu des près de 7,5 millions de Hongkongais, contourne le conseil législatif local.

    Lors de sa conférence de presse hebdomadaire du mardi matin, la cheffe de l’exécutif local, Carrie Lam, a refusé de dire si ce texte a été effectivement adopté.

    « Je pense qu’en ce moment, il ne me revient pas de commenter les questions relatives à la loi sur la sécurité nationale », a déclaré Mme Lam.

    Pour l’opposition pro-démocratie de Hong Kong et pour plusieurs pays occidentaux dont les Etats-Unis, le G7 ou encore l’Union européenne (UE), cette loi est au contraire une attaque contre l’#autonomie et les #libertés du territoire.

    https://www.courrierinternational.com/depeche/hong-kong-la-loi-controversee-sur-la-securite-nationale-ete-a

  • The #Climate-Migration-Industrial_Complex

    Thirty years ago there were fifteen border walls around the world. Now there are seventy walls and over one billion national and international migrants. International migrants alone may even double in the next forty years due to global warming. It is not surprising that over the past two decades, we have also seen the rise of an increasingly powerful global climate-security market designed to profit from (and help sustain) these crises. The construction of walls and fences to block rising sea levels and incoming people has become one of the world’s fastest growing industries, alongside the detention and deportation of migrants, and is projected to reach $742 billion by 2023. I believe we are witnessing the emergence of what we might call a “climate-migration-industrial complex.”

    This complex is composed of private companies who profit by securitizing nation-states from the effects of climate-related events, including migration. This includes private detention centers, border construction companies, surveillance technology consultants and developers, deportation and transportation contractors, and a growing army of other subcontractors profiting from insecurity more broadly. Every feature of this crisis complex is an opportunity for profit. For example, even when security measures “fail” and migrants cross borders illegally, or remain beyond their visas to live without status as “criminals,” there is an entire wing of private companies paid to hunt them down, detain them, and deport them just across the border, where they can return and begin the market cycle all over again. Each step in the “crimmigration” process now has its own cottage industry and dedicated army of lobbyists to perpetuate the laws that support it.

    Here is the incredible double paradox that forms the backbone of the climate-migration-industrial complex: right-wing nationalists and their politicians claim they want to deport all undocumented migrants, but if they did, they would destroy their own economy. Capitalists, on the other hand, want to grow the economy with migrant labor (any honest economist will tell you that immigration almost always leads to growth in GDP), but if that labor is too expensive, then it’s not nearly as profitable.

    Trump is the Janus-faced embodiment of this anti-immigrant, pro-economy dilemma and the solution to it — not that he necessarily knows it. With one hand, migrant labor is strategically criminalized and devalorized by a xenophobic state, and with the other, it is securitized and hyper-exploited by the economy. It is a win-win situation for right-wing capitalists but a crucial element is still missing: what will continue to compel migrants to leave their homes and work as exploited criminals in an increasingly xenophobic country?

    This is where the figure of the climate migrant comes in. What we call “climate migrants” or “climate refugees” are not the victims of merely “natural disasters,” because climate change is not a strictly natural process — it is also highly political. The causes of climate-related migration are disproportionately produced by rich Western countries and the effects are disproportionately suffered by poorer countries. The circumstances that determine who is forced to migrate are also influenced by the history of colonialism, global inequality, and the same conditions that have propelled economic migration for decades. In short, the fact that climate change benefits the perpetrators of climate destruction by producing an increasing supply of desperate, criminalized, physically and economically displaced laborers is no coincidence. In fact, it is the key to the Trump “solution.”

    Another key is the use of climate change to acquire new land. When people are forced to migrate out of a territory, or when frozen territories thaw, new lands, waters, and forests become open to extractive industries like mining, drilling, fishing, and logging. Trump’s recent (and ridiculous) bid to buy the thawing territory of Greenland for its oil and gas reserves is one example of this. Climate-stricken urban areas open up new real estate markets, as the gentrification of New Orleans after hurricane Katrina illustrated. In other words, climate change might not mean the end of capitalism, but rather could actually signal its resurgence from current falling rates of ecological profit. During colonialism, everything and everyone that could be easily appropriated (oil, slaves, old-growth forests, etc.), was gobbled up. The workers who are left today under post-colonialism demand more money and more rights. The minerals left are more expensive to extract. This is why capitalists have increasingly retreated to financial speculation, and now to monetizing their own crises.

    If only there were new ways, the capitalist dreams, to kick start the economy and cheaply dislodge huge numbers of people from their land, devalorize their labor, and then appropriate that labor extremely cheaply. In other words, if climate change did not exist, capitalism would have to create it. Luckily for the capitalists, it does exist, because they did create it. Climate migrants now form what we might call a “disposable climate labor army,” conscripted out of a standing reserve of global poverty from wherever the next climate-related disaster strikes, and deployed wherever capitalism demands precarious, securitized, and criminalized labor to be exploited.

    We need to rethink the whole framing of the climate migration “crisis.” Among other things, we need a more movement-oriented political theory to grapple better with the highly mobile events of our time — what I call a “kinopolitics.” The advent of the Capitalocene/Kinocene makes possible today the insight that nature, humans, and society have always been in motion. Humans are and have always been fundamentally migratory, just as the climate and the earth are. These twin insights might sound obvious today, but if taken seriously, they offer a complete inversion of the dominant interpretive paradigms of the climate and migration crises.

    Humans and Earth have always been in motion, but not all patterns of motion are the same. There is no natural, normal, or default state of the earth or of human society. Therefore, we have to study the patterns of circulation that make possible these metastable states and not take them as given. This is what I have tried to work out in The Figure of the Migrant (2015) and Theory of the Border (2016). Unfortunately, the dominant framework for thinking about the climate and migrant crises is currently upside down. It starts from the perspective of a triple stasis: 1) that the earth and human society are in some sense separable and static, or at least stable, structures; 2) that the future should continue to be stable as well; and 3) that if there is not stability, then there is a “crisis.” Mobility, then, is a crisis only if we assume that there was or should be stasis in the first place. For example, migrants are said to destabilize society, and climate change is said to destabilize the earth.

    From a kinopolitical perspective, we can see that the opposite is, in fact, true: Humans were first migratory, and only later settled into more metastable patterns of social-circulation (made historically possible by the social expulsion and dispossession of others). Migrants are not outside society but have played a productive and reproductive role throughout history. Migrant movements are constitutive and even transformative elements of society, rather than exceptional or marginal phenomena. The real question is how we ever came to act and think as if societies were not processes of social circulation that relied on migration as their conditions of reproduction. The earth, too, was first migratory, and only later did it settle into metastable patterns of geological and atmospheric circulation (e.g. the Holocene). Why did we ever think of the earth as a stable surface, immune from human activity in the first place?

    The problem with the prevailing interpretation of climate change and migration is that the flawed paradigm that has defined the “crisis,” the notion of stasis, is also proposed as the solution “Let’s just get things back to normal stability again.” In short, I think a new paradigm is needed that does not use the same tools that generated the “crisis” to solve it — i.e. capitalism, colonialism, and the nation-state.

    Today’s migrant “crisis” is a product of the paradox at the heart of the capitalist, territorial nation-state form, just as the climate crisis is an expression of the paradox at the heart of anthropocentrism. The solutions, therefore, will not come from the forms in crisis but only from the birth of new forms-in-motion that begin with the theoretical primacy of the very characteristic that is dissolving the old forms: the inherent mobility of the migrant climate and the climate migrant.

    https://publicseminar.org/essays/the-climate-migration-industrial-complex

    #complexe_militaro-industriel #réfugiés_environnementaux #réfugiés_climatiques #murs #barrières_frontalières #business #climat #changement_climatique #sécurité #rétention #détention_administrative #privatisation #contrôles_frontaliers #kinopolitics #kinopolitique #kinocène #mobilité #circulation #crise #stabilité #philosophie #ressources_pédagogiques #Etat-nation

    –—

    #catastrophes_naturelles :

    What we call “climate migrants” or “climate refugees” are not the victims of merely “natural disasters,” because climate change is not a strictly natural process — it is also highly political. The causes of climate-related migration are disproportionately produced by rich Western countries and the effects are disproportionately suffered by poorer countries. The circumstances that determine who is forced to migrate are also influenced by the history of colonialism, global inequality, and the same conditions that have propelled economic migration for decades. In short, the fact that climate change benefits the perpetrators of climate destruction by producing an increasing supply of desperate, criminalized, physically and economically displaced laborers is no coincidence.

    –-> @karine4

    #terres #accaparement_des_terres :

    Another key is the use of climate change to acquire new land. When people are forced to migrate out of a territory, or when frozen territories thaw, new lands, waters, and forests become open to extractive industries like mining, drilling, fishing, and logging.

    –-> @odilon
    #extractivisme #colonialisme

    –---------

    @sinehebdo, un nouveau mot :
    –-> #crimmigration
    #mots #terminologie #vocabulaire

    Et aussi... la #kinocène

    –---

    Lien avec le #capitalisme :

    If only there were new ways, the capitalist dreams, to kick start the economy and cheaply dislodge huge numbers of people from their land, devalorize their labor, and then appropriate that labor extremely cheaply. In other words, if climate change did not exist, capitalism would have to create it. Luckily for the capitalists, it does exist, because they did create it. Climate migrants now form what we might call a “disposable climate labor army,” conscripted out of a standing reserve of global poverty from wherever the next climate-related disaster strikes, and deployed wherever capitalism demands precarious, securitized, and criminalized labor to be exploited.

    #expoitation #travail #disposable_climate_labor_army #pauvreté

    signalé par @isskein

    ping @fil @reka

  • Partners in crime ? The impacts of Europe’s outsourced migration controls on peace, stability and rights

    Migration into Europe has fallen since 2015, when more than one million people fleeing conflict and hardship attempted sea crossings. But deaths and disappearances in the central Mediterranean have shot up, exposing the ‘fight against migration’ as flawed and dangerous.

    While leaders in Europe and elsewhere claim that clamping down on migration saves lives by deterring people from undertaking dangerous journeys, the reality is that European governments’ outsourced migration policies are feeding into conflict and abuse – and reinforcing the drivers of migration.

    Drawing on extensive research, this report analyses the European Union’s and European governments’ outsourcing of migration controls in ‘partner’ countries such as Turkey, Libya and Niger. It explores who benefits from this system, exposes its risks and explains who bears the costs. It also provides recommendations for European leaders on how to move toward a humane model for migration that refocuses on EU commitments to human rights, conflict prevention and sustainable development.


    https://www.saferworld.org.uk/resources/publications/1217-partners-in-crime-the-impacts-of-europeas-outsourced-migration-c
    #asile #migrations #réfugiés #externalisation #frontières #paix #stabilité #droits #EU #UE #Europe #rapport #Turquie #Libye #Niger

    Ajouté à la métaliste sur l’externalisation :
    https://seenthis.net/messages/731749

  • Le monde selon #Xi_Jinping

    Depuis 2012, le désormais « président à vie » Xi Jinping a concentré tous les pouvoirs sur sa personne, avec l’obsession de faire de la #Chine la superpuissance du XXIe siècle. Plongée au coeur de son « rêve chinois ».

    Derrière son apparente bonhomie se cache un chef redoutable, prêt à tout pour faire de la Chine la première puissance mondiale, d’ici au centenaire de la République populaire, en 2049. En mars dernier, à l’issue de vastes purges, Xi Jinping modifie la Constitution et s’intronise « président à vie ». Une concentration des pouvoirs sans précédent depuis la fin de l’ère maoïste. Né en 1953, ce fils d’un proche de Mao Zedong révoqué pour « complot antiparti » choisit à l’adolescence, en pleine tourmente de la Révolution culturelle, un exil volontaire à la campagne, comme pour racheter la déchéance paternelle. Revendiquant une fidélité aveugle au Parti, il gravira en apparatchik « plus rouge que rouge » tous les degrés du pouvoir.
    Depuis son accession au secrétariat général du Parti en 2012, puis à la présidence l’année suivante, les autocritiques d’opposants ont réapparu, par le biais de confessions télévisées. Et on met à l’essai un système de surveillance généralisée censé faire le tri entre les bons et les mauvais citoyens. Inflexible sur le plan intérieur, Xi Jinping s’est donné comme objectif de supplanter l’Occident à la tête d’un nouvel ordre mondial. Son projet des « routes de la soie » a ainsi considérablement étendu le réseau des infrastructures chinoises à l’échelle planétaire. Cet expansionnisme stratégique, jusque-là développé en silence, inquiète de plus en plus l’Europe et les États-Unis.

    Impériale revanche
    Dans ce portrait très documenté du leader chinois, Sophie Lepault et Romain Franklin donnent un aperçu inédit de sa politique et montrent que l’itinéraire de Xi Jinping a façonné ses choix. De Pékin à Djibouti – l’ancienne colonie française est depuis 2017 la première base militaire chinoise à l’étranger – en passant par la mer de Chine méridionale et l’Australie, les réalisateurs passent au crible les projets et les stratégies d’influence du nouvel homme fort de la planète. Nourrie d’images d’archives et de témoignages (de nombreux experts et de dissidents, mais aussi d’un haut gradé proche du pouvoir), leur enquête montre comment Xi Jinping a donné à la reconquête nationaliste de la grandeur impériale chinoise, projet nourri dès l’origine par la République populaire, une spectaculaire ampleur.

    https://www.arte.tv/fr/videos/078193-000-A/le-monde-selon-xi-jinping
    #biographie #démocratie #trauma #traumatisme #Mao #révolution_culturelle #Terres_Jaunes #exil #Prince_Rouge #nationalisme #rêve_chinois #renaissance_nationale #histoire_nationale #totalitarisme #stabilité #idéologie #anti-corruption #lutte_contre_la_corruption #purge #dictature #investissements_à_l'étranger #prêts #dette #KUKA #ports #droits_humains #Australie #infiltration_chinoise #Nouvelle-Zélande #David_Cameron #Jean-Pierre_Raffarin #matières_premières #capitalisme_autoritaire #Ouïghours #arrestations #répression #censure #liberté_d'expression #défilés_militaires #armée #puissance_militaire #Mer_de_Chine_méridionale #îles_de_Spratleys #liberté_de_la_presse #prisonniers_politiques #Hong_Kong

    #Djibouti #base_militaire (de Djibouti)

    #Sri_Lanka —> Au Sri Lanka, le #port de #Hambantota est sous contrôle chinois, ceci pour au moins 99 ans (accord signé avec le Sri Lanka qui n’a pas pu rembourser le prêt que la Chine lui a accorder pour construire le port...)
    #dépendance
    v. aussi :
    Comment la Chine a fait main basse sur le Sri Lanka
    https://www.courrierinternational.com/article/comment-la-chine-fait-main-basse-sur-le-sri-lanka

    Histoire semblable pour le #Port_du_Pirée à #Athènes, en #Grèce ou l’#aéroport de #Toulouse, en #France.

    #Organisation_de_coopération_de_Shangaï :


    https://fr.wikipedia.org/wiki/Organisation_de_coop%C3%A9ration_de_Shanghai
    #Grande_unité_mondiale #enrichissement_pour_tous

    Quelques cartes et images tirées du #film #documentaire.

    La #nouvelle_route_de_la_soie et autres investissements chinois dans les infrastructures mondiales de #transport :

    La #Chinafrique :


    #Afrique
    Afrique où la Chine propose la « #solution_chinoise », programme de #développement basé sur le #développement_économique —> « #modèle_chinois de développement »

    Le programme de #surveillance_de_masse :

    Outre la surveillance, mise en place d’un programme appelé « #crédit_social » :

    Le #Système_de_crédit_social est un projet du gouvernement chinois visant à mettre en place d’ici 2020 un système national de #réputation_des_citoyens. Chacun d’entre eux se voit attribuer une note, échelonnée entre 350 et 950 points, dite « crédit social », fondée sur les données dont dispose le gouvernement à propos de leur statut économique et social. Le système repose sur un outil de surveillance de masse et utilise les technologies d’analyse du #big_data. Il est également utilisé pour noter les entreprises opérant sur le marché chinois.

    https://fr.wikipedia.org/wiki/Syst%C3%A8me_de_cr%C3%A9dit_social

    Voici ce que cela donne :


    #surveillance #contrôle_de_la_population #vidéosurveillance #reconnaissance_faciale #contrôle_social
    #cartographie #visualisation
    ping @etraces

    ping @reka

  • #métaliste (qui va être un grand chantier, car il y a plein d’information sur seenthis, qu’il faudrait réorganiser) sur :
    #externalisation #contrôles_frontaliers #frontières #migrations #réfugiés

    Des liens vers des articles généraux sur l’externalisation des frontières de la part de l’ #UE (#EU) :
    https://seenthis.net/messages/569305
    https://seenthis.net/messages/390549
    https://seenthis.net/messages/320101

    Ici une tentative (très mal réussie, car évidement, la divergence entre pratiques et les discours à un moment donné, ça se voit !) de l’UE de faire une brochure pour déconstruire les mythes autour de la migration...
    La question de l’externalisation y est abordée dans différentes parties de la brochure :
    https://seenthis.net/messages/765967

    Petit chapitre/encadré sur l’externalisation des frontières dans l’ouvrage "(Dé)passer la frontière" :
    https://seenthis.net/messages/769367

    Les origines de l’externalisation des contrôles frontaliers (maritimes) : accord #USA-#Haïti de #1981 :
    https://seenthis.net/messages/768694

    L’externalisation des politiques européennes en matière de migration
    https://seenthis.net/messages/787450

    "#Sous-traitance" de la #politique_migratoire en Afrique : l’Europe a-t-elle les mains propres ?
    https://seenthis.net/messages/789048

    Partners in crime ? The impacts of Europe’s outsourced migration controls on peace, stability and rights :
    https://seenthis.net/messages/794636
    #paix #stabilité #droits #Libye #Niger #Turquie

    Proceedings of the conference “Externalisation of borders : detention practices and denial of the right to asylum”
    https://seenthis.net/messages/880193

    Brochure sur l’externalisation des frontières (passamontagna)
    https://seenthis.net/messages/952016

    • Voyage d’études dans les #ports_francs

      Deux expertes de l’université de Stanford et leurs étudiants sont venus en Suisse fin août pour mieux saisir le rôle des ports francs dans les stratégies d’évitement fiscal. Entretien.

      Votée par le Congrès américain en 2010 et appliquée dès juillet 2014, la nouvelle loi sur la conformité fiscale des comptes étrangers (Foreign Account Tax Compliance Act – FATCA) oblige tous les établissements bancaires et financiers étrangers à déclarer aux autorités fiscales américaines l’ensemble des flux financiers relatifs à un compte bancaire détenu par un citoyen des Etats-Unis. Des experts universitaires américains ont dès lors commencé à étudier les effets de cette loi sur le comportement des sociétés privées et des investisseurs cherchant à échapper aux taxes.

      Certains rapports pointent le rôle de plus en plus attractif des ports francs de Genève et Zurich, comme moyen de mettre à l’abri des biens, et de les faire fructifier en toute discrétion. Les ports francs seraient-ils destinés à attirer les fortunes privées étrangères, après la fin officielle du secret bancaire en Suisse et la règle de l’échange automatique d’informations bancaires avec les autorités de Washington ? Cette question de recherche était au centre d’un singulier voyage d’études à Zurich, organisé par des professeures de comptabilité de l’université de Stanford (Californie), avec leur trentaine d’étudiants. Explications de Rebecca Lester, à l’origine du projet.

      Quel est votre champ d’expertise, et sur quoi portent vos recherches ?

      Rebecca Lester : Ma collègue Lisa De Simone et moi sommes professeures assistantes en comptabilité à la Graduate School of Business de Stanford. Nos recherches sont avant tout focalisées sur les réactions des entreprises face aux règles de taxation. Lisa De Simone s’intéresse principalement aux stratégies déployées par les firmes pour « dérouter » leurs revenus (vers des paradis fiscaux par exemple, ndlr). De mon côté, j’étudie comment les multinationales « optimisent » leurs investissements, mais aussi leur rôle d’employeurs, en fonction des taxes en présence.

      Quelles sont les principales conclusions de vos derniers travaux sur l’évasion fiscale, concernant la Suisse ? En termes de moyens de contournements, et de perte pour le budget des Etats-Unis ?

      Notre dernier rapport réalisé avec notre collègue Kevin Markle – en cours de publication –, analyse les changements de localisation des investissements privés de nos concitoyens, depuis la mise en oeuvre du FATCA. Nous avons d’abord trouvé des preuves tangibles de transfert d’investissements jusque-là placés dans des banques étrangères, vers des paradis fiscaux (Suisse incluse), pour la période 2012-2015. D’autres fonds d’investissements ont été transférés dans des secteurs échappant au monitoring du FACTA, comme l’immobilier ou l’art.

      Ce rapport signale un écart pour le Trésor américain estimé entre 40 et 125 milliards de dollars par an, du seul fait de pratiques d’évasion fiscale de particuliers… Pourquoi et comment avez-vous commencé à centrer votre attention sur les ports francs en Suisse, plaques tournantes du marché mondial de l’art et des antiquités ?

      Tandis que nous étudiions les alternatives choisies par les investisseurs pour transférer les avoirs afin échapper au FACTA, nous avons compris que les ports francs étaient devenus un lieu très prisé des investisseurs cherchant à diversifier et à stocker leurs biens, aussi dans le secteur du luxe par exemple. Il y a très peu d’informations disponibles sur ce type d’avoirs, leur quantité, leur valeur exacte, leurs réels détenteurs, etc. L’accès aux informations est aussi difficile concernant les ports francs qui ont été créés ces dernières années. Ceux-ci essaiment et « gagnent en popularité » ailleurs en Europe, mais aussi en Asie ou en Amérique.

      D’autres ports francs ont en effet été ouverts sur le modèle de Genève, comme à Singapour, au Luxembourg et plus récemment, au Delaware aux Etats-Unis… Qu’avez-vous découvert de singulier lors de votre séjour à Zurich ?

      Le fait que les autorités fiscales, au niveau cantonal en particulier, entretiennent un rapport très étroit avec les entreprises privées, les investisseurs, et leurs conseillers fiscaux. Nous avons découvert qu’il était très courant que ces différents acteurs en présence cherchent à obtenir des arrangements spécifiques, avant toute transaction, afin de minimiser les coûts et les conséquences possibles de l’application des lois en vigueur. C’est très différent du contexte que nous connaissons aux Etats-Unis, dans les rapports entre sociétés privées, investisseurs et autorités fiscales.

      https://lecourrier.ch/2018/09/12/voyage-detudes-dans-les-ports-francs

  • Japan expands military operations in Asia - World Socialist Web Site
    http://www.wsws.org/en/articles/2017/03/15/japa-m15.html

    Japan expands military operations in Asia
    By Peter Symonds
    15 March 2017

    As the Trump administration ramps up its confrontation with North Korea and heightens tensions, especially with China, throughout the region, the Japanese government is significantly extending the activities of its military. While operating under the umbrella of its strategic alliance with the US, Tokyo is exploiting the opportunity to rearm militarily so as to pursue its own imperialist ambitions.

    In another menacing warning to Pyongyang, a Japanese guided-missile destroyer yesterday began two days of joint exercises with similar vessels from South Korea and the US. The warships, all equipped with Aegis anti-ballistic missile systems, are operating in the area where four North Korean test missiles landed last week.

    #japon #conflit #asie #stabilité_régionale #Militarisation

  • Israeli-Arab Relations : Muddling Through by the Sword
    http://nationalinterest.org/blog/paul-pillar/israeli-arab-relations-muddling-through-by-the-sword-17521

    Israel could have had full and normal relations with its Arab neighbors long ago. Many years have passed since most Arab government in effect accepted Zionism.[...]

    More recently, as an editorial in the New York Times observes, there has been de facto development of ties, in the absence of full diplomatic relations, between Israel and some Sunni Arab states, especially Saudi Arabia and the United Arab Emirates. There also has been a warming of relations with Egypt, a relationship that had mostly been a cold peace since Sadat’s time. As the editorial correctly notes, such developments reflect how the political status of the Palestinians is not a top priority for most Arab governments, and indeed it has long had to compete with more parochial concerns of those governments. But the plight of their Palestinian brethren still is a salient issue for most Arabs, [...]

    The kind of de facto and semi-secret relationships that have been developing are the wrong kind of Israeli-Arab relations. They are not in the best interests of the United States or of anyone else. Far from being a basis for peace and prosperity, they are themselves based on conflict, regional divisions, authoritarianism, and the threat or use of force. With regard to Egypt, the warming of ties with the regime of strongman Abdel Fattah el-Sisi has to do with el-Sisi’s harsh internal crackdown and especially his bashing of the Muslim Brotherhood, which is related to his willingness to cooperate with Israel in bashing the Brotherhood’s Hamas cousins in the Gaza Strip. With regard to the Gulf Arab monarchies, the dealings with Israel have to do with the determination of those regimes to expand their regional influence and to pursue their rivalry with Iran. That determination has become so strong in the Saudi case that it has led to the reckless aerial assault and consequent humanitarian disaster in Yemen—a situation that has gotten so bad that a bipartisan group of U.S. congressmen is urging the Obama administration to delay a major sale of arms to the Saudis.

    In short, the recently developing Israeli ties with these authoritarian Sunni Arab regimes are a matter of more regional conflict and instability, not more peace and prosperity.

    Ce que ne dit pas l’auteur, c’est que pour #Israel, ces régimes sont au contraire « #modérés » et sont les garants de la « #stabilité »

    #arabie_saoudite #saoud

  • Qui sont les #insiders ? - Une heure de peine...
    http://uneheuredepeine.blogspot.fr/2016/04/qui-sont-les-insiders.html

    Ce qui hiérarchise ces différents #marchés est, on l’aura compris, la #sécurité beaucoup plus que la #stabilité de l’#emploi. Or, on peut prendre cette question au sérieux : qu’est-ce qui confère à un individu une certaine sécurité ? La réponse de Robert Castel est à la fois simple et extrêmement puissante : c’est la "propriété. Celle-ci « apporte à la fois des #ressources matérielles permettant de s’assurer contre les aléas de la vie, et un statut, une reconnaissance ». Propriété des moyens de #production, du #capital bien sûr, mais aussi ce que Castel appelle la « propriété sociale » :

    En reprenant une intuition d’Henri Hatzfeld , j’ai appelé propriété sociale les ressources et les droits que l’on a progressivement attachés au travail (sécurité sociale, droit du travail...), et qui sont une sorte de propriété pour les non-propriétaires, de propriété pour la sécurité, qui s’adresse à tous. Le droit à la #retraite, par exemple, n’est pas une propriété privée au sens strict, mais une #prestation construite à partir du travail qui est une condition de votre #indépendance sociale. Avec cela, le travailleur ne devient pas un riche propriétaire, mais en termes de sécurité, de #protections, sa situation peut se comparer à celle d’un petit rentier. Il est en mesure de demeurer un individu apte à se diriger par lui-même.

  • Israel has 115 nuclear warheads: Report | Middle East Eye
    http://www.middleeasteye.net/news/report-israel-has-115-nuclear-warheads-1915845762

    The report by the Washington DC-based Institute for Science and International Security (ISIS), indicates that the arsenal is larger than previously thought, with most previous estimates suggesting Israel had around 80 warheads, which brought it roughly on par with the nuclear capabilities of India and Pakistan. Other estimates have put the figure much higher, at closer to 200, highlighting the secrecy that continues to shroud Israel’s nuclear programme. 

    The ISIS report, which was based on previous reports and investigations, also states that Israel has produced about 660 kilograms of plutonium at the Dimona reactor in the Negev desert.

    The site includes a heavy water reactor, a fuel fabrication plant and a plutonium separation plant, all of which were secretly provided by France in the 1950s and early 1960s. 

    The US, France, Germany, Britain and even Norway are also widely believed to have supplied Israel with nuclear materials at the time, allowing it to build up a clandestine and as yet never officially declared nuclear arsenal, neither confirming nor denying its stockpiles.

    #stabilité#moyen-Orient#équilibre_des_forces#armes #nucléaire #Israël #Israel #dirigeants_occidentaux #foutage_de_gueule

  • Edward Snowden interview with Dagens Nyheter - DN Fokus
    http://fokus.dn.se/edward-snowden-english

    Is it about fighting terrorists or about winning elections?
    – It’s just it’s still politically beneficial. They can show that they’re doing something. When they use the word security, they’re not talking about safety. What they’re talking about is stability. Like when they’re saying that they’re saving lives by bombing them. Stability is the new highest value. It’s not about freedom, it’s not about liberty, it’s not even about safety. It’s about avoiding change. It’s about ensuring that things are predictable, shapeable, because then they are controllable.
    At least you think they are.
    – Right. You think they are controllable.
    Until IS comes along and destroys the whole idea.
    – Right. Like with the drone program, which creates more terrorists than it kills. There was no Islamic State until we started bombing these states. The biggest threat we face in the region was born from our own policies.

    • The announcement of the laureates, which usually is held in the Swedish Foreign Ministry, was temporarily banned last year by former Foreign Minister Carl Bildt. Edward Snowden’s father, Lon, attended the award ceremony in his son’s place.

      Your father said he wishes Sweden would give you asylum. Would you feel safe in Sweden?
      – It depends on the circumstances. But it would be important symbolically.

      It’s clear that he’s proud of you.
      He laughs.
      – Yes, he’s a little radical now. He never used to be radical.

      Seriously?
      – Yeah! I mean he worked for the military for 30 years. He’s as conservative as it gets.

      It was the same with Daniel Ellsberg’s father. Who later supported him.
      – Right, right. Well, it was the same with Daniel Ellsberg, he led the marines and I signed up for the war in Iraq when everybody else was protesting against it.

      Intéressant de lire l’évolution progressive du père, Lonnie, vers un #radicalisme. Au début des révélations, Lonnie avait déclaré aux médias à propos de son fils :

      EXCLUSIVE: Father of Edward Snowden urges son not to commit ’treason,’ to return home

      Published June 17, 2013FoxNews.com

      Lon Snowden spoke at length with Fox News about his son Edward’s decision to leak sensitive security details about U.S. intelligence-gathering operations. While defending his son’s integrity and criticizing the government, he pleaded with his son — who is thought to be weathering the political storm from a location in Hong Kong — to return home and not to leak more information.

      “I hope, I pray and I ask that you will not release any secrets that could constitute treason,” Snowden told Fox News, in a message meant for his son’s ears. He added: “I sense that you’re under much stress [from] what I’ve read recently, and [ask] that you not succumb to that stress ... and make a bad decision.”

      Further, Snowden said he would rather see his son return to the U.S. and face the U.S. justice system than stay abroad.

      “I would like to see Ed come home and face this. I shared that with the government when I spoke with them. I love my son,” he told Fox News’ Eric Bolling.

      http://www.foxnews.com/politics/2013/06/17/exclusive-father-edward-snowden-urges-son-to-stop-leaking-come-home

  • The Pentagon plan to ‘divide and rule’ the Muslim world
    http://www.middleeasteye.net/columns/pentagon-plan-divide-and-rule-muslim-world-1690265165

    Davidson points out that there is precedent for this: “There have been repeated references in the Reagan era to the usefulness of sectarian conflict in the region to US interests.”

    One post-Reagan reiteration of this vision was published by the Jerusalem-based Institute for Strategic and Political Advanced Studies for Benjamin Netanyahu. The 1996 paper, A Clean Break, by Douglas Feith, David Wurmser and Richard Perle – all of whom went on to join the Bush administration – advocated regime-change in Iraq as a precursor to forging an Israel-Jordan-Turkey axis that would “roll back” Syria, Lebanon and Iran. The scenario is surprisingly similar to US policy today under Obama.

    Twelve years later, the US Army commissioned a further RAND report suggesting that the US “could choose to capitalise on the Shia-Sunni conflict by taking the side of the conservative Sunni regimes in a decisive fashion and working with them against all Shiite empowerment movements in the Muslim world… to split the jihadist movement between Shiites and Sunnis.” The US would need to contain “Iranian power and influence” in the Gulf by “shoring up the traditional Sunni regimes in Saudi Arabia, Egypt, and Pakistan”. Simultaneously, the US must maintain “a strong strategic relationship with the Iraqi Shiite government” despite its Iran alliance.

    Around the same time as this RAND report was released, the US was covertly coordinating Saudi-led Gulf state financing to Sunni jihadist groups, many affiliated to al-Qaeda, from Iraq to Syria to Lebanon. That secret strategy accelerated under Obama in the context of the anti-Assad drive.

    The widening Sunni-Shia sectarian conflict would “reduce the al-Qaeda threat to US interests in the short term,” the report concluded, by diverting Salafi-jihadist resources toward “targeting Iranian interests throughout the Middle East,” especially in Iraq and Lebanon, hence “cutting back… anti-Western operations”.

    By backing the Iraqi Shiite regime and seeking an accommodation with Iran, while propping up al-Qaeda sponsoring Gulf states and empowering local anti-Shia Islamists across the region, this covert US strategy would calibrate levels of violence to debilitate both sides, and sustain “Western dominance”.

    Le rapport de la Rand : Unfolding the Future of the Long War, 2008 :
    http://www.rand.org/content/dam/rand/pubs/monographs/2008/RAND_MG738.pdf

    Nafeez Ahmed avait déjà cité longuement ce document en août 2013 dans le Guardian (repris à l’époque sur Seenthis par Kassem) :
    http://www.theguardian.com/environment/earth-insight/2013/aug/30/syria-chemical-attack-war-intervention-oil-gas-energy-pipelines

    (via Angry Arab)

    • Ca, que les Etats-Unis aient aidé l’Arabie et les autres émirats à financer des groupes djihadistes, y a-t-il de véritables preuves ?

      “Around the same time as this RAND report was released, the US was covertly coordinating Saudi-led Gulf state financing to Sunni jihadist groups, many affiliated to al-Qaeda, from Iraq to Syria to Lebanon. That secret strategy accelerated under Obama in the context of the anti-Assad drive.”

    • #Israël – Palestine – Liban : Le chemin le plus long vers la paix-
      Auteur(s) :
      Pailhe Caroline
      08 Août 2006
      http://www.grip.org/fr/node/296

      Cette nouvelle guerre contre le Liban [2006] correspond en effet à la deuxième phase d’ un plan stratégique rédigé en 1996 au sein de l’ Institute for Advanced Strategic and Political Studies de Jérusalem, par un groupe d’ experts sous la direction de #Richard_Perle, qui deviendra conseiller du Pentagone dans la présente Administration et jouera un rôle majeur dans la conception de la guerre en Irak.

      Soumis à l’ époque au Premier ministre israélien Benjamin #Netanyahu, le document, intitulé « A Clean Break : A New Strategy for Securing the Realm » (Un changement radical : Une nouvelle stratégie pour sécuriser le territoire), préconise un revirement de la stratégie israélienne[28].

      Au niveau des concepts, le plan prône l’ abandon de la stratégie « terre contre paix » poursuivie jusqu’ alors et plaide pour « #la_paix_par_la_force », une politique fondée sur le rapport de force (balance of power). Il recommande également l’ instauration du principe de #préemption, à côté de celui de #punition, dans la doctrine stratégique israélienne.

      Plus concrètement, le changement de stratégie visait à rompre avec le processus de paix d’ Oslo et fournir à Israël la possibilité d’ étendre une fois pour toutes son empire au-delà des frontières actuelles. Certaines des recommandations sont déjà des faits acquis : changement de régime en Irak, durcissement vis-à-vis des Palestiniens et affaiblissement d’ Arafat. Pour assurer la sécurité d’ Israël à sa frontière nord, le rapport recommande de « prendre l’ initiative stratégique » afin de combattre le Hezbollah, la Syrie et l’ Iran. C’ est ce qui se joue actuellement.

      A la base de ce document, le groupe d’ experts chargé d’ étudier la « Nouvelle stratégie israélienne pour 2000 » n’ était pratiquement constitué que d’ Américains qui, depuis, ont occupé des positions clés dans l’ Administration Bush et singulièrement dans la définition de sa politique étrangère au Moyen-Orient.

      Plus récemment, #Robert_Satloff, directeur d’ un autre think tank néoconservateur influent sur la politique moyen-orientale de Washington, louait la stratégie américaine d’ « #instabilité_constructive » au Liban et en Syrie[29].

      Il constate que, si la recherche de la #stabilité a été un trait caractéristique de la politique des #Etats-Unis dans la région, « George W. Bush a été le premier président à considérer que la stabilité en tant que telle était un obstacle à l’ avancement des intérêts américains au Moyen-Orient. (...) A cet effet, les Etats-Unis ont employé un éventail de mesures coercitives ou non coercitives, allant de l’ usage de la force militaire pour changer les régimes en Afghanistan et en Irak, en passant par une politique de la carotte et du bâton (...) pour isoler Yasser Arafat et encourager une nouvelle et pacifique direction palestinienne, jusqu’ aux encouragements courtois à l’ Egypte et à l’ Arabie saoudite pour les engager sur la voie des réformes. » Sur cet échiquier, le Liban et la Syrie seraient, pour M. Satloff, « un premier test » de cette politique d’ ’ instabilité constructive car « Israël et l’ Iran, l’ Europe et les Etats-Unis, la Syrie et les Palestiniens, tous ces chemins convergent à Beyrouth ». Il reconnaît que les Etats-Unis et leurs alliés locaux devront certes subir « quelques défaites tactiques » mais « avec de la persévérance, des changements positifs continus ne manqueront pas de se produire ».

    • The Redirection - Seymour Hersh, 2007
      http://www.newyorker.com/magazine/2007/03/05/the-redirection

      In the past few months, as the situation in Iraq has deteriorated, the Bush Administration, in both its public diplomacy and its covert operations, has significantly shifted its Middle East strategy. The “redirection,” as some inside the White House have called the new strategy, has brought the United States closer to an open confrontation with Iran and, in parts of the region, propelled it into a widening sectarian conflict between Shiite and Sunni Muslims.

      To undermine Iran, which is predominantly Shiite, the Bush Administration has decided, in effect, to reconfigure its priorities in the Middle East. In Lebanon, the Administration has cooperated with Saudi Arabia’s government, which is Sunni, in clandestine operations that are intended to weaken Hezbollah, the Shiite organization that is backed by Iran. The U.S. has also taken part in clandestine operations aimed at Iran and its ally Syria. A by-product of these activities has been the bolstering of Sunni extremist groups that espouse a militant vision of Islam and are hostile to America and sympathetic to Al Qaeda

  • En Chine, le taux de condamnation atteint 99,93 % en 2014
    http://www.lemonde.fr/asie-pacifique/article/2015/03/12/plus-de-700-condamnations-pour-terrorisme-ou-separatisme-en-2014-en-chine_45

    La Cour suprême chinoise a publié jeudi 12 mars des statistiques confirmant que le système judiciaire de la Chine, soumis à l’autorité du Parti communiste, se résume à une machine à condamner de façon quasi systématique. En 2014, le taux de #condamnation a en effet atteint 99,93 % : 1,184 million de personnes ont été reconnues coupables des faits qui leur étaient reprochés et seulement 825 ont été acquittées.

    Ces données viennent contredire le discours officiel du régime, qui affirme vouloir remédier aux erreurs judiciaires, à l’#arbitraire, aux #aveux extorqués et à la quasi-absence de #droits_de_la_défense. Le Parti communiste chinois s’est efforcé ces derniers mois de redorer le blason de la #justice en révisant quelques verdicts prononcés dans des affaires qui avaient rencontré un large écho. Reste qu’il est rarissime que la justice chinoise accepte de revenir sur une condamnation, en particulier dans le domaine pénal.

    La Cour suprême a en outre présenté devant l’Assemblée nationale populaire (ANP) les chiffres concernant des faits de #terrorisme ou de #séparatisme, révélant qu’en 2014, 712 personnes ont été condamnées pour de tels faits. La quasi-totalité de ces condamnations concernent des personnes d’origine tibétaine ou du #Xinjiang, vaste région notamment peuplée de Ouïgours, musulmans turcophones qui se disent victimes de discriminations.

    Les verdicts concernant des faits de terrorisme ou de séparatisme ont connu une augmentation de 13,3 % en 2014, selon ce document. Il s’agit d’une tendance en hausse correspondant aux #objectifs prioritaires de #répression que la Chine s’est fixés pour 2015, précise le rapport.
    La Cour suprême chinoise a placé en tête de ses priorités cette année le « maintien de la #sécurité nationale et de la #stabilité_sociale ». Pékin est par ailleurs en train d’élaborer sa première #loi_antiterroriste.

    #État_pénal #incarcération_de_masse #peine_de_mort

  • Le #Royaume-Uni va installer une nouvelle #base_militaire au #Bahreïn
    http://www.rfi.fr/moyen-orient/20141206-royaume-uni-nouvelle-base-militaire-bahrein-etat-islamique-golfe-persiq

    Et aux frais du roitelet s’il vous plaît.

    Le Bahreïn devrait payer une grosse partie des 15 millions de livres nécessaire pour construire la base, soit un peu plus de 19 millions d’euros. (...)

    Le secrétaire à la Défense, Michael Fallon, a déclaré que cette nouvelle base « permettra de dépêcher des bâtiments plus importants et en plus grand nombre pour renforcer la #stabilité du #Golfe ». (...)

    « #nos_valeurs »

  • La crise traversée par l’Equateur après la constitutionnalisation de l’indépendance de sa banque centrale en 1998 devrait sembler bien familière aux Européens. A une semaine des #élections dans l’Union, l’avertissement du président Rafael Correa s’adresse autant à la Banque centrale européenne qu’au Parlement et à la Commission qui surgiront du vote des citoyens des vingt-huit : une politique qui se donne pour priorité la stabilisation des prix doit savoir qu’elle renonce, « en pratique, [au] plein emploi des ressources dans l’économie ».

    « L’Europe endettée reproduit nos erreurs », par Rafael Correa (décembre 2013)
    http://www.monde-diplomatique.fr/2013/12/CORREA/49902

    Equateur, 1998 http://www.monde-diplomatique.fr/2013/12/CORREA/49910

    Enquête dans le temple de l’euro http://www.monde-diplomatique.fr/2011/11/DUMINI/46897

    • • Autre extrait :

      Les banques européennes ont prêté à la Grèce en prétendant ne pas voir que son déficit budgétaire était près de trois fois supérieur à celui déclaré par l’Etat. Se pose à nouveau le problème d’un surendettement dont on omet d’évoquer la contrepartie : l’excès de crédit. Comme si le capital financier n’avait jamais la moindre part de responsabilité.

      #dette #austérité #stabilité #économie #politique

      Gouverner par la dette, de Maurizio Lazzarato (Les prairies ordinaires)
      http://www.lesprairiesordinaires.com/gouverner-par-la-dette.html

      « Que devient l’homme endetté pendant la crise ? Quelle est sa principale activité ? La réponse est très simple : il paye. »

      Les 20 premières pages du #livre : http://www.lesprairiesordinaires.com/uploads/2/1/0/6/21065838/lazzarato.pdf

      • Bruxelles : trois fonctionnaires pour surveiller la France (Le Parisien)
      http://www.arretsurimages.net/breves/2014-05-19/Bruxelles-trois-fonctionnaires-pour-surveiller-la-France-Le-Parisien

      L’objectif est connu : la France doit ramener son déficit à 3% du PIB. Les moyens pour y parvenir sont également connus : ce sont les 50 milliards d’euros d’économies du plan Hollande/Valls. Mais quand on dit que la France est sous la surveillance de Bruxelles, de qui s’agit-il ? "D’une armée de technocrates diplômés jusqu’aux dents, intraitables et froids comme une ligne budgétaire ?", se demande Le Parisien. Pas vraiment : le journal a rencontré la cellule chargée du suivi. Celle-ci n’est composée que... de trois hauts fonctionnaires.

      (...)

      Le Parisien raconte : "La journée d’un analyste-prévisionniste de l’unité France débute la plupart du temps vers 9 heures, « par la lecture de la presse hexagonale ». La suite est généralement consacrée « à des réunions avec d’autres unités pour mutualiser les informations ». L’après-midi est occupée par le cœur du métier : l’analyse économique". Une après-midi pour analyser les comptes à partir de documents envoyés par Bercy ? "Je continue souvent à travailler chez moi, par mail", s’empresse de préciser l’un des fonctionnaires qui quitte le bureau vers 20h. Et avec la crise, ils ont même fait des heures supplémentaires : "Ces dernières années, je crois avoir explosé mon record d’heures travaillées", ajoute ce fonctionnaire.

      Et si ces hauts fonctionnaires passent leur temps à analyser des données chiffrées, ils vont aussi sur le terrain. "Trois fois par an, les technocrates bruxellois montent dans le Thalys pour un studieux voyage de deux-trois jours à Paris, raconte Le Parisien. Direction Bercy bien sûr, siège du ministère des Finances, mais aussi les locaux de la Banque de France, de l’OCDE, la Cour des comptes et différents instituts de recherche économique". Histoire de récupérer un peu de doc.

  • D’après la « RAND » (et blague à part) le régime étasunien est confronté à un gros casse-tête dans sa nouvelle stratégie #MENA : si l’avènement des soulèvements #arabes lui a fait prendre conscience que trop de « #stabilité » (comprendre : aider les #tyrans arabes à brimer leurs #populations) est in fine source d’#instabilité, l’instabilité qui a résulté de la « stabilité » l’amène à soutenir les tyrans dans leur effort à ramener la « stabilité »...
    http://www.rand.org/content/dam/rand/pubs/research_reports/RR600/RR605/RAND_RR605.pdf#page22

    Prioritizing Stability over Democracy in MENA

    The Arab uprisings that began in 2010 have thrown into stark relief a longstanding dictum governing U.S. conduct in the Arab world— namely, the idea that there is both an inherent tension and a zero- sum relationship between U.S. strategic interests and U.S. support for reform in the region. Moreover, the general assumption has been that the former always takes precedence over the latter.

    (...)

    In the aftermath of the popular revolutions that toppled dictators in Tunisia, Egypt, and Libya—not to mention a leadership change in Yemen, some measure of constitutional reform in Morocco, and violent protests in Bahrain and Syria—the United States has sought to emphasize the need to find a “new way of doing business” in the Middle East. Successive policy statements and speeches by U.S. government principals since 2011 have emphasized renewed U.S. support for democracy in the region.

    (...)

    The idea here is that the Arab uprisings have demonstrated that authoritarian regimes are ultimately unstable because they refuse to be responsive and accountable to populations increasingly unwilling to remain silent. By not initiating processes of political reform now, regional governments increase the likelihood that they will face internal opposition—potentially violent in nature—in the future. It is therefore in the interest of the United States to encourage these countries down the path of democracy before they become increasingly unstable.

    The U.S. administration, however, has faced considerable challenges in operationalizing this new approach. Ongoing instability and violence in the region, continued skepticism about U.S. support for democracy and civil society, and a generalized sense that American influence in the Middle East is waning have dampened U.S. government efforts to significantly alter the strategic orientation in the Arab world. But there are also drag effects generated by very real U.S. con- cerns, such as Gulf security imperatives (Iran) and political violence in Sinai and parts of North Africa.

    To date, much of the debate about how the United States can influence outcomes in the region has centered on foreign assistance—particularly the sizable amounts of military aid that go to countries such as Egypt and Israel (more than $1 billion per year) and, to a lesser extent, Iraq and Jordan.

    While the U.S. Congress has sought to enforce some measure of democratic conditionality over these funds, ongoing regional uncertainties as well as concerns about the structure of U.S. defense contracts with Egypt have twice led the U.S. administration to exercise national security waivers and allow military aid to Egypt to continue flowing despite clear authoritarian actions on the part of the Muslim Brotherhood-led government.5 In July 2013, the same government was overthrown in what was widely perceived as a military coup.

    The subsequent violent crackdown on the Muslim Brotherhood at the hands of Egypt’s security forces led the United States to first cancel the Bright Star joint military exercises and eventually to suspend several components of U.S. military aid. The controversy and debate surrounding these decisions illustrate the challenges that Washington faces today in calibrating its MENA security cooperation policies. Speaking at the United Nations General Assembly in September 2013, President Obama seemed to summarize the dilemma faced by the United States when he said that the “United States will at times work with governments that do not meet . . . the highest international expectations, but who work with us on our core interests.”

    #Etats-Unis #démocratie

  • Son état est stable, critique, mais stable.

    Les mots « #stabilité » et « stabiliser » sont prononcés pas moins de sept fois dans un entretien paru fin décembre dans le JDD. Les « incertitudes refluent », dit-il, invitant les gouvernements à « continuer sur le chemin des réformes ».

    Désobéir à l’Union européenne - regards.fr
    http://www.regards.fr/politique/Desobeir-a-l-Union-europeenne,7338

    cultes de la stabilité et du spread évoqués là (modèle allemand à l’italienne) : http://blog.mondediplo.net/2013-12-08-L-Italie-apres-Berlusconi

    #stratégie #politique

    Au cas où elle connaîtrait des succès électoraux dans un ou plusieurs pays, ce qui est tout à fait possible, une #gauche en rupture avec le néolibéralisme sera donc placée devant une alternative implacable : ravaler ses ambitions de transformation écologique et sociale afin de devenir euro-compatible, ou désobéir et in fine rompre avec l’#UE. Il n’y a pas de troisième possibilité. Ce n’est qu’une fois la rupture avec l’UE consommée que la vraie politique pourra commencer : politique de plein emploi, réorientation de l’économie en fonction des besoins sociaux, intégration internationale solidaire, planification de la transition écologique…

    Laisser imaginer, comme le font des secteurs majoritaires de la "gauche de la gauche", qu’une « autre #Europe est possible » à partir de celle qui existe, comporte un risque : celui de susciter le pessimisme et la désespérance parmi les militants et les électeurs. D’ici aux élections européennes de juin prochain, clarifier cette question est donc une nécessité. Un seul mot d’ordre s’impose pour cette campagne : désobéissance à l’Union européenne !

    cc @pguilli

  • #Tunisie : l’ #ONU sollicitée sur l’ #enquête « #ChokriBélaïd »
    http://www.argotheme.com/organecyberpresse/spip.php?article1674
    #Ennahdha et les #auteurs du #crime restés sans #noms, ni #visages !

    Le premier #échec des #islamistes, en #Tunisia et en #Egypt après le « Printemps Arabe », est de ne pas axer leurs premiers efforts sur la #sécurité . Voire de ne pas pousser à la #tendance de #stabilité des pays sortis de #troubles #historiques. La préoccupation majeure des nouveaux dirigeants est de sauver leur prise du #pouvoir, acquise par la manipulation de la foi religieuse, recherchant la consolidation de la vérité des urnes électorales...