• Quelle politique de la #marche après les confinements ?
    https://metropolitiques.eu/Quelle-politique-de-la-marche-apres-les-confinements.html

    Très répandue mais sous-exploitée, la marche dispose d’un fort potentiel comme mobilité de demain. Les confinements l’ont-elle rendue plus visible ? Jenny Leuba, de l’association Mobilité piétonne #Suisse, livre un éclairage nuancé de la situation dans divers pays européens. Dossier : Les #mobilités post-Covid : un monde d’après plus écologique ? Dans notre vie quotidienne, nous marchons beaucoup moins que nos parents et nos grands-parents. Pourtant la marche reste le mode de déplacement le plus répandu, #Podcasts

    / mobilité, marche, #Covid-19, #espace_public, #transition_écologique, Suisse, #pratiques, #piéton, qualité de (...)

    #qualité_de_vie

  • Bercy enfonce la lanceuse d’alerte de l’affaire UBS | Mediapart
    https://www.mediapart.fr/journal/economie-et-social/140923/bercy-enfonce-la-lanceuse-d-alerte-de-l-affaire-ubs

    Stéphanie Gibaud a permis à l’État de récupérer 1,8 milliard d’euros dans l’affaire UBS. Mais cette lanceuse d’alerte a tout perdu et vit au RSA. Bercy s’oppose pourtant fermement à ce qu’elle touche une indemnisation. Récit d’audience.

  • Ors, la multinazionale della detenzione amministrativa sbarca in Italia

    Con alle spalle denunce di malagestione, la multinazionale arriva in Italia nel 2018 vincendo i primi appalti da società inattiva. Al suo interno, ex politici e imprenditori contribuiscono al suo ruolo come leader nel settore dell’accoglienza. Oggi gestisce il Cpr di Roma, dopo la chiusura di quello di Torino.

    Appena insediatosi come amministratore delegato del gruppo Ors – Organisation for Refugees Services – nel 2017, Jürg Rötheli si trova a dover gestire una situazione complessa. La multinazionale, leader in Europa nei settori dell’accoglienza e della detenzione amministrativa, ha una presenza consolidata in Svizzera, il Paese natio, ma la perdita di alcuni appalti e una riduzione sostanziale del numero di richiedenti asilo in Svizzera, portano il Ceo a dover ridefinire la strategia del gruppo. Rötheli assume così le vesti di innovatore e avvia un processo strategico per ristrutturare la società e lanciarla verso nuovi mercati, guardando in modo particolare al Mediterraneo e l’Italia.

    «L’assegnazione di appalti a fornitori di servizi privati consente di sgravare notevolmente le strutture statali. L’Italia rappresenta un primo importante passo per la nostra espansione nel Mediterraneo», scrive il gruppo elvetico. Il motto della multinazionale è, come specifica nel proprio sito, «neutrali, flessibili, affidabili». In un’intervista Jürg Rötheli afferma: «Grazie agli standard e ai processi che abbiamo integrato nel nostro sistema di gestione della qualità, possiamo costruire e aprire strutture praticamente durante la notte» (https://www.sqs.ch/de/blog/unser-kollektives-know-how-staendig-und-ueberall-verfuegbar-machen).

    Ors lavora in questo settore da oltre 30 anni e, oltre ad aver gestito centri di accoglienza in un regime quasi di monopolio in Svizzera, ha filiali in Austria, Germania, Spagna e Grecia. Negli anni ‘90 la Svizzera conferisce ai privati l’onere di gestire l’accoglienza e Ors, già attiva dal 1977 con altre denominazioni, si fa trovare pronta. Entra nel settore con Ors Service AG, società creata nel 1992 a Zurigo. Rötheli, prima di prendere la guida di Ors, era stato Ceo della società pubblicitaria elvetica Clear Channel Svizzera, e membro della direzione della principale società di telecomunicazioni del Paese, il Gruppo Swisscom.

    –—

    L’inchiesta in breve

    - Ors è una multinazionale svizzera nata nel 1977 a Zurigo. Dalla fornitura di servizi a pubblico e privato è poi entrata nel mondo dell’accoglienza, espandendosi anche in Germania, Austria e più di recente in Italia e Spagna
    - Dopo diverse denunce di malagestione in centri di accoglienza in Svizzera e Austria, e il calo dei richiedenti asilo nel Paese natio, decide di espandersi nel Mediterraneo e aprire una filiale in Italia nel 2018, Ors Italia srl
    – La società però inizia la sua attività solo nel gennaio 2020, riuscendo comunque ad aggiudicarsi il Cpr di Macomer e il centro di prima accoglienza Casa Malala, pur essendo inattiva, ma il Tar del Friuli Venezia-Giulia revoca l’assegnazione del centro nei pressi di Trieste proprio per il suo stato di inattività
    - Ors è l’unica, tra le società che gestiscono i Cpr in Italia, a essere rappresentata in Parlamento da una società di lobbying, la Telos Analisi e Strategie
    – All’inizio del 2022 Ors Italia inizia la gestione dei Cpr di Roma, che continua ancora oggi, e Torino, chiuso dopo le proteste dei detenuti a febbraio per le condizioni di trattenimento
    - A fine 2022 è stata acquisita dal colosso britannico Serco e può vantare la collaborazione di un comitato consultivo composto da ex politici e imprenditori, come Ruth Metzler, attuale presidente della Fondazione della Guardia svizzera pontificia.

    –—

    I centri gestiti dalla multinazionale, e dalle diverse filiali, sono stati nel tempo oggetto di inchieste e di accuse di mala gestione. Un rapporto di Amnesty International ha denunciato nel 2015 le condizioni inumane in cui le persone migranti erano costrette a vivere nel centro di #Traiskirchen, in Austria (https://www.amnesty.at/media/1928/research-traiskirchen.pdf). La struttura, «progettata per 1.800 persone, era arrivata a ospitarne 4.600». In questo modo Ors, secondo l’Ong, puntava a «un taglio dei costi e alla massimizzazione del profitto con “risparmi” su visite sanitarie, corsi di formazione, cibo e qualità degli alloggi». Un’inchiesta giornalistica del 2018 ha raccontato come Ors avesse ottenuto dal Governo austriaco un finanziamento di circa 250 milioni di euro, in netto rialzo rispetto al passato (https://www.addendum.org/asyl/ors).

    Anche in Svizzera è stato messo in dubbio il corretto operato della multinazionale, che è stata accusata, nel 2016, di non disporre di alimenti per bambini a sufficienza e di attuare punizioni collettive e vessazioni alle persone accolte nel centro federale d’asilo di Aesch (Basilea), allestito in una sorta di bunker, e poi chiuso, alla fine del 2016 (https://www.bazonline.ch/wie-asylsuchende-schikaniert-werden-921469837455).

    –—

    L’assetto societario

    La storia societaria di Ors è molto ramificata. Nel 1977 a Zurigo nasce la casa madre Ors Service SA, con l’obiettivo di offrire servizi generici a pubblico e privato. Cambia nome definitivamente nel 1992 in Ors Service AG, un anno dopo aver preso in carico il primo appalto nel centro di registrazione per richiedenti asilo di Kreuzlingen. Nel 1999 viene creata la OX Holding AG (oggi Ors Group AG) che agisce come società fiduciaria, gestendo beni, titoli e obbligazioni della casa madre. Il 26 giugno 2009 la casa madre viene venduta a un fondo di private equity di Zurigo, la Invision AG, che ha la funzione di finanziare progetti in settori come l’informatica, le telecomunicazioni e i servizi sanitari.

    Nel 2013, viene creato il fondo di private equity OXZ Holding AG che acquista delle azioni della fiduciaria Ors Group AG. In questo modo, la società elvetica consolida lo svolgimento di operazioni speculative per attrarre capitali. Nello stesso momento è la Equistone Partners, una delle più grandi società di investimento di Londra, a finanziare la Ors Group AG, di fatto togliendo la società dalle mani della svizzera Invision. Equistone ha l’obiettivo di acquisire aziende o asset di imprese non quotate attraverso una serie di fondi di private equity a loro volta partecipati da investitori istituzionali come gli americani California State Teachers’ Retirement System e il Maryland State Retirement and Pension System e l’agenzia governativa di previdenza sociale dell’Arabia Saudita. Sarà la società londinese a portare Ors nel mercato tedesco e italiano.

    Oggi, le tre società più grandi del gruppo, Ors Group AG, Ors Service AG e la OXZ Holding AG hanno tutte lo stesso indirizzo a Zurigo, e condividono anche i vertici. Nel settembre del 2022, Equistone ha venduto le sue quote a Serco Group Plc per 44 milioni di franchi svizzeri. Soprannominata “the biggest company you’ve never heard of”, la più grande compagnia di cui avete mai sentito parlare, Serco è un gruppo britannico che fornisce servizi di outsourcing al settore pubblico in tutto il mondo. Ora che è proprietaria del gruppo Ors, la multinazionale inglese si è detta pronta a fornire i suoi servizi anche al nostro Paese.

    –—

    L’espansione nel Mediterraneo

    Per espandersi verso nuovi mercati, Rötheli nomina un gruppo di personalità di alto profilo strategico, tra cui ex politici ed ex membri dei consigli di amministrazione del settore finanziario privato, riunite in un comitato consultivo che avrebbe il compito di raccomandare «soluzioni per la messa in atto della strategia e l’ulteriore sviluppo delle decisioni», si legge nella relazione 2021 (https://www.yumpu.com/it/document/read/66997937/ors-relazione-annuale-2021). A guidare il comitato è Ruth Mezler Arnold, avvocata, esponente per lungo tempo del Partito Popolare Democratico ed ex ministra della Giustizia in Svizzera, nonché dal 2018 presidente della Fondazione della guardia svizzera pontificia del Vaticano.

    La multinazionale approda in Italia il 25 luglio 2018, iscrivendosi al registro delle imprese con il nome di Ors Italia srl, totalmente controllata dalla casa madre. Il momento è favorevole. Il 1 giugno 2018 entra in carica il governo “Giallo-Verde” con Matteo Salvini ministro dell’Interno.

    Il segretario della Lega da anni pone al centro della sua politica il tema migratorio, in nome della chiusura dei confini e della sicurezza. Simbolo della sua azione da ministro, i decreti sicurezza, con cui ha permesso il taglio dei fondi all’accoglienza, l’abolizione della protezione umanitaria e il potenziamento del sistema dei rimpatri. I decreti hanno, ancora una volta, favorito il sistema emergenziale dei Centri di accoglienza straordinaria a scapito del modello virtuoso di accoglienza diffusa, che dovrebbe costituire il sistema principale. La riduzione dei fondi per l’accoglienza «va evidentemente a penalizzare i centri più piccoli e a incentivare quelli medi e soprattutto grandi, per i quali sono possibili economie di scala», si legge nel rapporto del 2019 Centri d’Italia di ActionAid. Una politica che ha creato un terreno fertile per grandi centri di accoglienza gestiti da grandi società che, risparmiando sui servizi offerti, operano con l’obiettivo di fare profitto, creando paradossalmente maggiore insicurezza.

    Il Ceo Rötheli si trova anche ai vertici di Ors Italia srl. Allo stesso modo, un’altra figura con una lunga esperienza nella multinazionale ricopre più di una carica: Maurizio Reppucci, membro del consiglio di amministrazione del gruppo e amministratore delegato della filiale italiana. Reppucci da Managing director di una sussidiaria di Ors, ABS Betreuungsservice AG, per cinque anni si è occupato di rifugiati, programmi di impiego e assistenza. La gestione di Abs è stata però criticata dal quotidiano svizzero Obersee Nachrichten, che ha denunciato le condizioni critiche di alcuni centri. Consigliere del ramo italiano è invece il cugino di Maurizio, Antonio Reppucci, ex sindaco di un paese nella zona di Avellino e in passato assessore ai lavori pubblici, oltre ad essere stato per un periodo consulente del Parlamento italiano.

    L’attività economica di Ors Italia inizierà a gennaio 2020 ma già nel periodo di inattività riesce a vincere importanti appalti: il Centro di permanenza per i rimpatri di Macomer, in Sardegna, e un centro di prima accoglienza in Friuli Venezia Giulia, Casa Malala. Si aggiudicherà poi il centro di accoglienza di Monastir e i Cpr di Roma e Torino. Per essere sicura di imporsi politicamente nel contesto italiano, la nuova srl si serve di una società di lobbying, e della sua agenda di contatti e relazioni: Telos Analisi e Strategie, studio professionale che si occupa di rappresentare gli interessi dei propri assistiti in Parlamento e si posiziona tra le prime 10 società nel campo del lobbismo italiano.

    Nell’accordo firmato nel 2020, la multinazionale elvetica delega alla lobby l’organizzazione di meeting con rappresentanti istituzionali. Lo scopo principale, secondo la relazione annuale di Telos (https://rappresentantidiinteressi.camera.it/sito/legal_32/scheda-persona-giuridica.html), sarebbe quello di «innalzare il livello di consapevolezza dei parlamentari sulle difficoltà nella gestione del Centro di accoglienza straordinaria (Cas) di Monastir e del Centro di permanenza per il rimpatrio (Cpr) di Macomer […]», nonché per sollecitare nel 2021 risposte sull’emergenza Covid nei centri. Su questi temi si sarebbero svolte due videochiamate con due deputati: Marco Di Maio, di Italia Viva, e Andrea Vallascas, all’epoca nel Movimento 5 Stelle, lo stesso che l’anno precedente aveva presentato un’interrogazione al ministero dell’Interno per chiedere conto delle violazioni all’interno del Cpr sardo. Ors è l’unica tra le cooperative e società multinazionali che hanno gestito o gestiscono un Cpr ad avere consulenti come Telos a rappresentare i loro interessi alla Camera dei Deputati.

    In pochi anni la società si aggiudica importanti appalti

    La multinazionale sembra mettere in campo diverse strategie per assicurarsi il maggior numero di appalti in Italia. In una gara indetta dalla Prefettura di Trieste ha dichiarato, infatti, di fronte alle perplessità di un’offerta estremamente bassa, che «l’assestamento nel mercato italiano riveste una maggiore importanza rispetto a un maggiore utile di impresa», dicendo di fatto di essere disposta ad andare in perdita o rinunciare all’utile pur di assicurarsi il mercato italiano, producendo una distorsione della concorrenza. L’appalto in questione era per la gestione di Casa Malala, un centro di prima accoglienza al confine con la Slovenia, fino a quel momento gestito dal Consorzio Italiano di Solidarietà (Ics) e Caritas, organizzazioni no profit presenti sul territorio da oltre vent’anni.

    Ors Italia il 15 settembre 2020 si aggiudica il centro con un ribasso del 14%. Ics, nel ricorso presentato al Tar del Friuli, ha però evidenziato che al momento del bando, nell’agosto 2019, Ors risultava inattiva, elemento che dovrebbe escludere una società dalla gara pubblica.

    Nella sua offerta, la casa madre svizzera aveva assicurato la «disponibilità piena e incondizionata a sopperire alle mancanze di capacità tecnica e professionale di Ors Italia», tramite la filiale austriaca, senza però indicare quali mezzi e risorse sarebbero state coperte. Dal ricorso emerge poi come sia stato possibile proporre un ribasso del 14%: da un lato, Ors ha inquadrato tutto il personale, compresi gli operatori diurni e notturni, in un contratto collettivo riservato alle «posizioni di lavoro relative all’esecuzione di attività semplici ed elementari di tipo manuale», non prendendo neanche in considerazione le ore potenziali di ferie, malattia e permessi. Dall’altro, nell’offerta della multinazionale i costi per colazione, pranzo, cena, compresi i costi del personale, ammontano a 4,88 euro pro die pro capite. Ics invece per la somministrazione del pranzo e della cena spende 9-10 euro. Il Tar ha accolto il ricorso, stabilendo che «lo stato di inattività di un’impresa è preclusivo alla possibilità di concorrere a una gara per l’aggiudicazione di un pubblico appalto» e affidando la gestione alle due no profit.

    Il primo appalto ottenuto in Italia da Ors, con un ribasso del 3%, è invece il Cpr sardo di Macomer, che ha gestito per un anno da gennaio 2020 al 2021. Inizialmente la multinazionale era arrivata solo seconda alla gara, è però riuscita a vincerla dopo l’intervento della Cabina di regia del ministero dell’Interno. Le varie richieste di Ors alla Prefettura di Nuoro di annullare la gara «per presunte irregolarità nella valutazione dell’offerta presentata dalla ditta» non avevano infatti ottenuto risposta affermativa, fino a che la decisione non è stata demandata al ministero. La Prefettura ha alla fine stipulato il contratto con Ors, per «l’urgenza di attivare il servizio», avvalendosi però della facoltà di risolverlo perché l’informazione antimafia – necessaria per il sistema di prevenzione dell’infiltrazione criminale – era ancora in «fase di istruttoria/verifica», come ha evidenziato anche il deputato Erasmo Palazzotto in un’interrogazione all’allora Ministra dell’interno Luciana Lamorgese. Le verifiche si sono poi concluse in assenza di interdittive antimafia il 28 ottobre 2020, tre mesi prima della scadenza dell’appalto.
    Le condizioni di trattenimento nei Cpr

    L’arrivo di Ors nel Cpr di Macomer è segnato fin da subito da un rapporto del Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale Mauro Palma (https://www.garantenazionaleprivatiliberta.it/gnpl/resources/cms/documents/b7b0081e622c62151026ac0c1d88b62c.pdf), che effettua una visita al Cpr nell’aprile del 2020, riscontrando un numero inadeguato di lavoratori. Subito dopo, la Prefettura di Nuoro annuncia un incremento dei servizi sanitari nel centro. Solo due mesi dopo, sono gli stessi detenuti a protestare per la qualità dei servizi e la violazione dei diritti fondamentali.

    La rivolta è «scatenata il 18.06.2020 da un gruppo di migranti saliti sul tetto della struttura di Macomer per protestare contro le condizioni di vita all’interno della struttura. Il culmine della ribellione si è verificato quando un uomo si è cucito le labbra ed è stato trasferito in infermeria», scrivono le consigliere regionali Maria Laura Orrù e Laura Caddeo in un’interrogazione dopo una visita nel luglio 2020 (https://www.consregsardegna.it/xvilegislatura/interrogazioni/614). Le consigliere segnalano poi un uso diffuso dei sedativi, confermato anche da un’avvocata che prestava assistenza legale ad alcuni trattenuti, e che ha denunciato il trattenimento di persone affette da gravi forme di diabete. Per finire, l’interrogazione ricorda la violazione del diritto alla difesa, sia perché le comunicazioni sulle nomine dei difensori sarebbero arrivate solo pochi minuti prima delle udienze di convalida, sia per l’assenza di mediatori linguistici durante i colloqui.

    L’esperienza di Ors in Sardegna finisce con l’arrivo del nuovo gestore Ekene a gennaio 2022, ma nello stesso periodo inizia quella a Roma, nel Cpr di Ponte Galeria. A fine novembre era morto Wissem Ben Abdel Latif, un ragazzo tunisino di 26 anni rimasto legato per tre giorni in un corridoio del reparto psichiatrico dell’Ospedale San Camillo. Era stato trasferito lì dopo alcuni giorni passati nella struttura detentiva di Roma, diretta da Vincenzo Lattuca che è stato confermato da Ors quando è subentrata nella gestione del centro. Anche nella capitale si lamenta l’insufficienza di operatori, spesso assunti da agenzie interinali, che in alcuni casi si sarebbero licenziati per le condizioni di lavoro estenuanti. A testimoniare problemi molto simili a quelli riscontrati a Macomer, ci sono l’ex Garante delle persone private della libertà personale di Roma Gabriella Stramaccioni, la senatrice Ilaria Cucchi e il deputato Aboubakar Soumahoro. Ors, raggiunta via mail, sui dipendenti ha risposto: «La decisione di accettare o meno un lavoro è a discrezione dell’individuo».

    Di nuovo, ci sarebbero stati trattenimenti di persone non adatte alla vita in comunità ristrette, come il caso di un ragazzo che ha ingoiato un pezzo di vetro durante una visita della garante a ottobre 2022, poi dimesso dal Cpr. O la detenzione, denunciata da Soumahoro, di tre ragazzi minorenni, che secondo la normativa non potrebbero essere reclusi nei centri. Lo stesso Lattuca, direttore del centro, avrebbe confermato al deputato che al momento della visita il 65% delle persone trattenute aveva problemi di tossicodipendenza.

    Ma ciò che rende Ponte Galeria un unicum nella detenzione amministrativa italiana è la sezione femminile. A fine marzo 2023, Cucchi ha denunciato la presenza di cinque donne, nonostante il capitolato d’appalto non menzioni la presenza femminile tra la popolazione detenuta e, di conseguenza, neanche la presenza di personale femminile, necessario per «assicurare l’equilibrio di genere e tenere conto delle esigenze di carattere culturale e religioso», come si specificava nel precedente appalto.
    Le proteste di Torino

    A febbraio 2022 Ors assume la gestione del Cpr di Torino, raccogliendo l’eredità lasciata dalla multinazionale francese Gepsa, segnata dalle morti di Hossain Faisal e Moussa Balde. La multinazionale elvetica tenta un cambio di rotta rispetto alla precedente gestione ma emergono da subito criticità. Il medico convenzionato di Ors segnala, durante una visita della Coalizione italiana libertà e diritti civili (Cild), a giugno 2022, la presenza di detenuti sottoposti a terapia con metadone, casi di autolesionismo (che a marzo 2022 erano arrivati a quota 10-12 al giorno), abuso di psicofarmaci e tranquillanti. A luglio dello stesso anno, ci è stato permesso di entrare a visitare la struttura, scortati da 11 militari. Durante la nostra permanenza, diversi trattenuti hanno denunciato disagi psicologici: «Hanno sbagliato a chiamarlo centro, questo è il braccio della morte», ha detto uno di loro.

    Passa ancora qualche mese quando, il 4 febbraio di quest’anno, scoppiano le rivolte dei trattenuti. Secondo il blog No Cpr Torino (https://nocprtorino.noblogs.org/articoli), che ha raccolto testimonianze dall’interno, la protesta è partita dalle condizioni di detenzione: «Il cibo è avariato e contiene psicofarmaci, le celle sono fredde, non c’è acqua calda e le sezioni sono piene di spazzatura», si legge. Durante la nostra visita, un trattenuto si è rivolto al funzionario della Prefettura segnalando che lo shampoo e la carta igienica non venivano forniti da due settimane. La visita non ci ha fornito elementi per confermare o smentire le altre violazioni, ma è necessario evidenziare che il nostro ingresso era annunciato da diverse settimane e l’ente gestore era a conoscenza del nostro arrivo.
    Il racconto di No Cpr Torino continua: tre persone sarebbero state portate in ospedale dopo aver subito un pestaggio da parte delle forze dell’ordine. Uno di loro ha raccontato: «Ti colpiscono alla testa. Questo è un luogo pericoloso, qui non picchiano bene. Magari in carcere ti picchiano ma alle gambe. Qui, no. Non arrivano a picchiarti i singoli ma una squadra intera». Le proteste tornano a riaccendersi il 20 febbraio, questa volta per un’epidemia di scabbia secondo quanto riportato da No Cpr Torino, seguite da uno sciopero della fame di circa 20 reclusi.

    https://www.youtube.com/watch?v=qbHsMTNG6_0&embeds_referring_euri=https%3A%2F%2Firpimedia.irpi.eu%2

    A inizio marzo il centro viene chiuso perché inagibile. La Commissione Legalità e diritti delle persone private della libertà personale, in seduta congiunta con la Commissione speciale per il contrasto dei fenomeni di intolleranza e razzismo del Comune di Torino, convocano per un’audizione Ors, con l’obiettivo di riferire su quanto si è verificato nel centro, ma l’ente gestore comunica che non avrebbe partecipato. Durante la seduta, il presidente della Commissione Legalità, Luca Pidello, si reputa «non soddisfatto» della relazione e, dopo la notizia sui lavori di ristrutturazione della struttura, scrive:

    «La domanda è […] se abbia senso continuare ad investire in una struttura di questo tipo […] o se magari queste risorse non possano essere impiegate in altro genere di politiche che possano portare ad un livello di integrazione maggiore».

    Dieci giorni dopo, la relazione arriva al Consiglio comunale di Torino. Nella seduta viene approvato un ordine del giorno che auspica la definitiva chiusura del Cpr e impegna il Sindaco e la giunta a farsi portavoci dell’istanza al Governo nazionale (www.comune.torino.it/cittagora/altre-notizie/sala-rossa-non-riapra-il-cpr-le-risorse-per-le-politiche-migratorie.html). Ad oggi, ancora nessuna istanza è stata presentata al Governo da parte dell’amministrazione torinese.

    L’attività di Ors all’estero

    Un anno dopo l’approdo in Italia, nel 2019 il gruppo apre una filiale in Spagna, Ors España Servicios Sociales. Sul sito della multinazionale, il motivo dell’apertura ai Paesi del sud del Mediterraneo è giustificato dal costante aumento dei flussi migratori che apre a sua volta nuove opportunità di mercato. Sempre nel 2019, in un post su Linkedin, Jürg Rötheli pubblicava una foto con l’attuale ministro degli Esteri italiano Antonio Tajani e annunciava così l’apertura di una rappresentanza di Ors a Bruxelles.

    Ora che la società svizzera è stata venduta al gruppo Serco, anche Jürg Rötheli è entrato a far parte del colosso britannico: è stato nominato direttore operativo della sezione immigrazione. Si prospetta quindi una nuova fase per Ors, forte del sostegno di una multinazionale come Serco.

    Stando ai dati del 2022, Ors gestisce in tutti i Paesi in cui opera 120 strutture, di cui 95 solo in Svizzera, con un fatturato di oltre 173 milioni di franchi, pari a più di 180 milioni di euro. L’arrivo di Rötheli alla guida della società non ha frenato però le accuse di mala gestione. Nel 2018 alcune associazioni svizzere hanno svolto inchieste e successivamente denunciato Ors per le condizioni di vita all’interno delle strutture gestite a Friburgo. I testimoni raccontano di difficoltà o totale mancanza di accesso alle cure, violenze verbali e talvolta fisiche, molestie sessuali e acqua fredda nelle docce in pieno inverno. Nel centro federale di Basilea è stato denunciato l’uso sistematico delle celle di isolamento e di pestaggi nei confronti dei richiedenti asilo. A Boudry, si racconta invece di un «sistema punitivo»: i testimoni parlano di un costante uso dello spray al peperoncino, placcaggi a terra e insulti omofobi.

    Con l’invasione russa dell’Ucraina nel febbraio 2022, quasi sei milioni di persone hanno chiesto asilo in Europa e gli appalti di Ors sono aumentati di un terzo: nel 2021 erano 80, con 1.400 dipendenti, 900 in meno dell’anno successivo.

    Come ricorda Rötheli nella relazione annuale del 2022, la Svizzera ha accolto 85.000 rifugiati ucraini e 30.000 richiedenti asilo legati alla migrazione regolare fino al marzo 2023. La maggior parte di loro, specifica il Ceo della società, è stata seguita da Ors. Per questo la perdita di molti appalti in Austria e di 19 centri in Svizzera non sembra preoccupare il gruppo elvetico. Rötheli, all’indomani dell’acquisizione da parte di Serco, ha commentato: «La partnership con Serco ci apre nuove prospettive. Allo stesso tempo, garantiamo continuità ai nostri clienti in tutti i Paesi in cui operiamo e in tutti i settori di attività» (https://it.ors-group.org/press-release-serco-it).

    https://irpimedia.irpi.eu/cprspa-roma-torino-multinazionale-ors
    #CPR #rétention #détention_administrative #Rome #asile #migrations #réfugiés #ORS #privatisation #Jürg_Rötheli #Italie

    –—

    ajouté au fil de discussion sur la présence d’ORS en Italie :
    https://seenthis.net/messages/884112

    lui-même ajouté à la métaliste autour de #ORS, une #multinationale #suisse spécialisée dans l’ « #accueil » de demandeurs d’asile et #réfugiés :
    https://seenthis.net/messages/802341

  • Mille situations d’#abus_sexuels documentées dans l’#Eglise_catholique en Suisse

    L’Université de Zurich a documenté 1002 situations d’abus sexuels dans l’Eglise catholique en Suisse depuis le milieu du XXe siècle, dans une étude inédite qui a eu accès pour la première fois à la quasi totalité des archives. Il ne s’agirait que de la pointe de l’iceberg, la plupart des cas n’ayant pas été signalés et des documents ayant été détruits.

    L’étude présentée mardi par le département d’histoire de l’Université de Zurich constitue la première étape des recherches mandatées par trois organes catholiques dont la Conférence des évêques suisses. Jamais une équipe indépendante n’avait encore recherché sur ce sujet. Ce projet pilote a impliqué tous les diocèses du pays, les structures de droit public ecclésiastique et les communautés religieuses.

    Historiennes et historiens ont obtenu presque toujours les accès nécessaires aux archives, indique l’Université de Zurich. Des dizaines de milliers de pages de documents secrets, constitués par les responsables de l’Église catholique depuis le milieu du XXe siècle, ont pu être consultées. L’équipe a aussi mené de nombreux entretiens, notamment avec des personnes concernées.

    Les victimes : des mineurs, garçons en tête

    Il en ressort que 1002 situations d’abus sexuels ont été identifiées jusqu’à présent dans toute la Suisse sur l’ensemble de la période étudiée. On déplore au moins 921 victimes dont 74% de mineurs, 14% d’adultes et 12% de personnes à l’âge non établi. Au total, 510 personnes – presque uniquement des hommes – ont commis ces abus. 56% des victimes sont de sexe masculin, 39% de sexe féminin. On ignore le sexe de la victime pour les cas restants.

    La grande majorité des abus ont été commis dans le cadre de la pastorale. Tel était le cas surtout en situation de confession ou de consultation, de service de servants et servantes de messe, d’enseignement religieux ou encore d’activités avec des groupes d’enfants ou d’ados.

    Le deuxième domaine touché par les abus sexuels est celui de la formation et de l’aide sociale. Ainsi, environ 30% des cas se sont déroulés dans des foyers, des écoles et des internats catholiques ou établissements similaires.

    Les ordres religieux et les communautés nouvelles constituent le troisième domaine avec moins de 2% des cas documentés. La recherche de sources y a été particulièrement difficile, soulignent l’équipe historique.

    Des documents détruits dans deux diocèses

    De manière générale, historiennes et historiens ont trouvé des preuves d’un large éventail de situations d’abus sexuels, du franchissement problématique des limites aux abus systématiques les plus graves et ayant duré des années. Pourtant, ces situations « ne représentent sans doute que la pointe de l’iceberg », selon les professeures Monika Dommann et Marietta Meier, qui ont dirigé l’étude.

    En effet, de nombreuses archives susceptibles de documenter d’autres situations d’abus sexuels n’ont pas encore été étudiées. Tel est le cas des archives des communautés religieuses, des documents des instances diocésaines et des archives des écoles, internats et foyers catholiques, ainsi que des archives étatiques.

    De plus, les historiens ont pu prouver la destruction de documents dans deux diocèses. En outre, tous les signalements d’abus n’ont pas été documentés par écrit et archivés systématiquement. Seule une petite partie des cas a donc été signalée, supposent chercheuses et chercheurs.
    Un grand nombre de cas dissimulés

    Si les abus sexuels sur des mineurs constituent depuis longtemps un délit grave dans le droit canonique, ce dernier n’a pourtant guère été appliqué en la matière durant une longue partie de la période étudiée par l’Université de Zurich. Un grand nombre de cas ont même été dissimulés, couverts ou minimisés. En règle générale, les sanctions étaient inexistantes ou légères.

    L’Église catholique transférait systématiquement les clercs accusés et condamnés à l’interne, parfois même à l’étranger, dans le but d’éviter des poursuites pénales séculières et d’assurer aux clercs une réaffectation. Ils privilégiaient ainsi les intérêts de l’Eglise et de leurs représentants par rapport à la protection des paroissiennes et paroissiens, constatent l’équipe de recherche.

    Cette pratique n’a changé qu’au début du XXIe siècle, alors que la gestion des abus dans l’Eglise catholique suscitait de plus en plus de scandales. La Conférence des évêques suisses a publié alors des directives claires et a fondé des commissions d’experts, dont la façon de travailler et le degré de professionnalisation sont toutefois variables, selon les historiennes et les historiens.
    De nouvelles accusations

    Dans la dernière édition du SonntagsBlick toutefois, l’évêque de Fribourg Charles Morerod et l’évêque de Sion Jean-Marie Lovey sont accusés de dissimulation. Présent lui aussi face aux médias, l’évêque de Coire Joseph Bonnemain, chargé de l’enquête interne, s’est dit « certain » que des plaintes ont été déposées à ce sujet.

    L’Eglise catholique aurait dû commencer à laisser les historiens travailler indépendamment sur ses archives il y a vingt ans, déplore Monika Dommann. L’Université de Zurich va poursuivre et élargir son travail de 2024 à fin 2026, en accord avec les mandataires pour établir l’ampleur réelle des abus, la responsabilité de l’Etat dans le placement de mineurs et les liens entre les spécificités catholiques et les abus.

    https://www.rts.ch/info/suisse/14306183-mille-situations-dabus-sexuels-documentees-dans-leglise-catholique-en-s
    #Eglise #Suisse #histoire #rapport #archives #dissimulation #violences_sexuelles

    • Projet pilote sur l’histoire des abus sexuels dans le contexte de l’Église catholique romaine en Suisse depuis le milieu du 20ème siècle

      But du projet

      Le projet pilote d’une année pose les bases pour des futurs projets de recherche sur l’histoire des violences sexuelles commises en Suisse par des membres du clergé catholique, des employés de l’Église et les religieux depuis le milieu du 20ème siècle. L’accent est mis sur les structures qui ont permis les abus sexuels de mineurs et d’adultes et qui ont rendu difficiles leur mise à jour et leur sanction. Toutes les régions linguistiques sont prises en compte.

      Le projet à orientation historique, mené par Monika Dommann et Marietta Meier, poursuit deux buts. Premièrement, il convient de clarifier quelles sources existent et sont accessibles. Pour atteindre ce but, des organisations de victimes et de témoins seront contactées. Deuxièmement, des questions et des méthodes possibles pour des projets de recherche ultérieurs seront proposées.

      Lorsque le projet pilote sera terminé, les résultats seront consignés dans un rapport. Ce rapport précisera dans quelle mesure les institutions de l’Église catholique auront soutenu l’équipe de recherche dans la collecte d’informations et l’accès aux archives, aux dossiers et aux témoins.

      D’autres projets de recherche sur l’histoire des abus sexuels dans le contexte ecclésial en Suisse pourront s’appuyer sur les résultats du projet pilote. C’est dans ce cadre que se tiennent l’étude empirique complète, éventuellement interdisciplinaire, des questions de recherche ainsi que la présentation, l’analyse et l’interprétation approfondie des structures, des événements et des expériences à reconstituer.

      https://www.abuscontexteecclesial.ch

      Pour télécharger le rapport :

      Lors d’une conférence de presse à Zurich (https://www.youtube.com/watch?v=AUy3aBeS3tA

      ), les responsables de projet et les représentants de l’Église catholique romaine ont présenté le rapport final du projet pilote sur l’histoire des abus sexuels dans le cadre de l’Église catholique romaine en Suisse depuis le milieu du 20ème siècle. Le rapport peut être téléchargé ici : https://zenodo.org/record/8315774

      https://www.abuscontexteecclesial.ch/rapport-final

  • Les demandes d’asile dans l’Union européenne, la Norvège et la Suisse en hausse de 28 % au premier semestre
    https://www.lemonde.fr/international/article/2023/09/05/les-demandes-d-asile-dans-l-union-europeenne-la-norvege-et-la-suisse-en-haus

    Les demandes d’asile dans l’Union européenne, la Norvège et la Suisse en hausse de 28 % au premier semestre
    Les requêtes sont au plus haut depuis 2015-2016, années au cours desquelles l’afflux de réfugiés en Europe dépassait 1,2 million de personnes.
    Le Monde avec AFP
    Les demandes d’asile enregistrées dans les pays de l’Union européenne, la Norvège et la Suisse au premier semestre 2023 ont augmenté de 28 % par rapport aux six premiers mois de 2022, a annoncé l’Agence de l’Union européenne pour l’asile (AUEA), mardi 5 septembre. Quelque 519 000 demandes d’asile ont été déposées dans ces vingt-neuf pays entre janvier et la fin de juin, selon l’agence, qui estime que, « d’après les tendances actuelles, les demandes pourraient excéder 1 million d’ici à la fin de l’année ». Les Syriens, Afghans, Vénézuéliens, Turcs et Colombiens sont les principaux demandeurs, comptant pour 44 % des requêtes.
    Les demandes au premier semestre sont au plus haut à cette période de l’année depuis 2015-2016. Lors de l’afflux de réfugiés en Europe provoqué notamment par l’enlisement du conflit en Syrie, le nombre de demandes d’asile avait atteint 1,3 million (en 2015) et 1,2 million (en 2016). En 2022, elles étaient de 994 945.
    L’Allemagne est le pays qui a reçu le plus de dossiers (30 %). C’est près de deux fois plus que l’Espagne (17 %) et la France (16 %). L’AUEA souligne qu’en raison de cette hausse de nombreux pays européens « sont sous pression pour traiter les demandes », et que le nombre de dossiers en attente de décision a augmenté de 34 % par rapport à 2022. En première instance, 41 % des demandes ont reçu une réponse positive. Par ailleurs, quelque 4 millions d’Ukrainiens fuyant l’invasion de l’armée russe bénéficient actuellement d’une protection temporaire dans l’UE.

    #Covid-19#migrant#migration#UE#asile#demandeurdasile#AUEA#syrie#afghanistan#venezuela#turquie#colombie#allemagne#espagne#france#ukraine#protection#sante#crisemigratoire#norvege#suisse

  • Géographie et #impérialisme. De la Suisse au #Congo entre #exploration géographique et conquête coloniale

    #Gustave_Moynier, cofondateur de la Croix-Rouge, a-t-il également cofondé l’État indépendant du Congo ? Ce régime brutal d’extraction du caoutchouc dirigé par Léopold II voit le jour en 1885 à la suite d’une décennie d’événements exploratoires et conquérants. La Suisse participe à ces événements par le biais des sociétés de géographie dont #Moynier fait partie.
    Loin de se limiter à dévoiler un aspect sombre de la vie de cet homme, l’ouvrage de #Fabio_Rossinelli montre l’intégration – économique, culturelle, voire politique – de la bourgeoisie helvétique à l’#impérialisme_colonial du xIxe siècle. Pour ce faire, l’histoire des associations géographiques en Suisse est analysée en perspective internationale. Jusqu’à la Grande Guerre, ces sociétés représentent, à côté d’autres milieux, des cénacles où se produit un discours raciste accompagné d’actions expansionnistes.

    https://www.alphil.com/livres/1134-1255-geographie-et-imperialisme.html

    #livre
    #colonialisme #Suisse_coloniale #colonialisme_suisse

    pdf en open access :
    https://www.alphil.com/index.php?controller=attachment&id_attachment=261

    –—

    ajouté à la métaliste sur la #Suisse_coloniale :
    https://seenthis.net/messages/868109

    • Book review : Géographie et impérialisme : de la Suisse au Congo entre exploration géographique et conquête coloniale

      What was Switzerland’s role in colonization? If you have ever wondered about this, Rossinelli’s historical account can provide a rich and detailed interpretation of a lesser-known part of the story: the role of Swiss geographic societies and Swiss participation in Belgian King Leopold II’s project to colonize a vast part of central Africa (today’s Democratic Republic of Congo). Rossinelli’s conclusion shows how political the discipline and practice of geography is, bringing geography beyond a technical exercise, showing how expansionist politics by Swiss geography associations were part of a broader dynamic typical of other European geography associations at the time. What makes the Swiss endeavour different is that although Switzerland never formally colonized another country, it supported the efforts of others, benefitting economically from these efforts, while also identifying new places, such as Brazil, for Switzerland’s economic migrants.1 Swiss imperialism, as skilfully demonstrated by Rossinelli, was presented publicly under the guise of a “civilizing” mission of African peoples along with anti-slavery campaigns, led by the Swiss bourgeoisie. But as Rossinelli shows us in great detail, this contradictory mission was often overshadowed by economic and other aspects. How does the author lead us to these conclusions? Rossinelli draws on archival sources to immerse the reader in the national and international meetings in which the imperialistic Swiss projects were discussed and in the texts which these institutions published. The reader often feels as if they have attended a conference in question, knowing the order of events, speakers, and key aspects of their speeches and conclusions.

      The book is divided into four parts. After the introduction, the second part of the book is dedicated to understanding the foundational objectives and operations of eight Swiss geographical associations. Each of these associations held different objectives: some focused on furthering the textile or watch-making markets abroad by using the colonies of other European countries as a place of commerce, other associations were interested in finding places for Swiss to migrate, while yet others focused on collaborating with Swiss missionaries to document local cultures or make natural-history collections. Some of these efforts resulted in Switzerland’s largest collections of ethnographic and natural-history objects. Such collections today contribute to current debates on the restitution of these objects (Sarr and Savoy, 2018), as well as the modern role of these institutions (Vergès, 2023). Rossinelli demonstrates how Switzerland’s geographic associations contributed to imperialistic ideologies and created a pressure from within Switzerland to participate in colonization projects in Africa in particular. The third part of the book reviews and analyses the Swiss production of academic journals, their context, and their influences. Here we see the diffusion of geographic journals throughout Europe and in relation to other European colonization projects.

      In the fourth part of the book, Rossinelli explores how Swiss geographic societies supported one of the largest colonial projects in Africa: that of the former Belgian Congo. The reader finds out how the project was launched internationally through the International African Association, soliciting support of European countries to the king’s private project, including Switzerland. Geographic exploration is seen as a catalyst of colonial expansion in Central Africa. Swiss geographers formed a national chapter to support the initiative and held a series of conferences throughout Switzerland. One of the more interesting roles explored is that of arbitrator. Given that Switzerland had not directly colonized any part of Africa, the country was seen as neutral and able to judge cases of conflict between colonizing countries such as Belgium and Portugal disputing rights to trade at the mouth of the Congo River. During this time, we see Switzerland launch geographic journals as well as the monthly Afrique explorée et civilisée (1879–1894), as part of a communication campaign to the general public. Rossinelli makes connections between Swiss bourgeoisie involvement in both the Red Cross and colonial developments and discusses the role of Swiss banks in the Belgian project.

      I can critique two aspects of this highly engaging and informative work. First, the attention to detail is sometimes to an extreme. The author often opens and closes long detailed parenthetical statements about specific people, events, or places. This sometimes makes reading through parts of the work laborious. But this detail is also at times necessary to make his arguments. Secondly, Rossinelli at times uses the word indigène rather than autochthone to refer to African peoples. This is surprising but perhaps not intentional. In the Francophone literature, especially regarding movements for Indigenous rights and from the United Nations (African Commission on Human and Peoples’ Rights and International Work Group for Indigenous Affairs, 2005; Bellier, 2009), this word is expressly avoided because it links their identity to colonialism. The colonial-era policy of the indigénat, a regime in French colonies which classified Africans as French nationals without citizenship rights, viewed local people as labourers for colonial projects (Tsanga et al., 2022). Even if this book recounts colonial expansion in Africa, the African people affected have histories well beyond their colonial encounters with Europeans: their history does not start or stop with colonialism (Táíwò, 2019), and so the word indigène could have been replaced with autochthone more regularly to strongly signal this issue.

      Throughout the book, Rossinelli interprets the racist history of Swiss geographical associations vis-a-vis Africa, examining why these associations viewed Africa – unlike Asia – as a place without history. The author shows how despite the critical report about the Belgian Congo’s treatment of Congolese people by African-American lawyer George Washington Williams highly reported in European newspapers, the Swiss press defended the Belgian project, insisting that treatment was no worse than that of agricultural workers in Switzerland. Rossinelli also details several racial discourses found in the geographical-society journals, how missionaries were vectors of racism and cultural-superiority exercises, and how cartographic exercises and related reports held a colonial gaze of racial superiority and environmental determinism.

      Rossinelli’s work joins others on the topic of Switzerland and colonization.2 This book situates geographical societies of Switzerland in their colonial roots. And it joins works querying the colonial history of Switzerland (Purtschert and Fischer-Tiné, 2015); racial aspects of colonial history (dos Santos Pinto et al., 2022); and recent efforts focusing on decolonizing it, such as those of the city of Zurich (Brengard et al., 2020), the Musée d’Ethnographie de Genève (de Genève, 2020), requests for removals of colonial-era statues (Fall, 2020), or efforts to decolonize the Zoo Zurich (Sithole et al., 2021). Overall, this work, in all its detail, is a must-read for those who are interested in Switzerland’s imperialist agenda at the time and the various roles it held in Europe’s colonial expansion in Africa.

      https://gh.copernicus.org/articles/78/337/2023

  • « L’État devra probablement stabiliser aussi cette nouvelle banque »

    Fleuron de la tradition bancaire suisse, Credit Suisse (CS) a fait naufrage après 167 ans d’existence : l’État a forcé #UBS à racheter sa rivale en perdition. Tobias Straumann, historien de l’économie, nous livre sa vision de la Suisse et des #banques, nous parle des illusions de la politique et répond à la question suivante : un petit pays comme la Suisse a-t-il vraiment encore besoin d’une grande banque internationale ?

    La Revue Suisse : Monsieur Straumann, la fin de l’histoire de CS est-elle une rupture ou un tournant pour la Suisse ?

    Tobias Straumann : Il s’agit tout au moins d’un événement. CS était la plus ancienne des grandes banques encore existantes. Mais sa #faillite ne représente pas un tournant majeur. De grandes banques ont déjà disparu dans les années 1990. La Suisse en possédait cinq il y a un peu plus de 30 ans, il n’en reste qu’une aujourd’hui. La crise financière mondiale de 2008, avec le sauvetage par l’État de la plus grande banque suisse, UBS, puis la disparition du #secret_bancaire pour la clientèle étrangère ont été des traumas bien plus importants.

    Sauvetage d’UBS, fusion contrainte de CS : en 15 ans, l’État a dû secourir à deux reprises des grandes banques en difficulté. Or, la Suisse est un pays qui met en avant les valeurs de l’économie de marché libre. N’est-ce pas paradoxal ?

    L’économie de marché est loin d’être parfaite en Suisse. Nous avons de nombreuses entreprises d’État ou pseudo-entreprises d’État et, dans le secteur bancaire, les banques cantonales, qui sont aussi des entreprises d’État. En outre, je pense que l’intervention de l’État dans les affaires des grandes banques n’est plus un tabou. Depuis les années 1990, la #vulnérabilité du système bancaire, hypermondialisé et hyperlibéralisé, est évidente. Il est devenu tout à fait normal que les #États interviennent régulièrement. Ils ne peuvent pas faire autrement, car sans cela, les grandes crises financières mondiales s’enchaîneraient. À l’étranger aussi, on attend de la Suisse qu’elle prévienne les incidents qui mettraient en péril tout le #système_bancaire.
    Après le sauvetage d’UBS, le Parlement a toutefois voulu éviter, à l’aide de la loi « #Too_big_to_fail », que l’État et les contribuables soient à nouveau confrontés à des #risques_financiers aussi importants. Peut-on parler d’un réveil politique brutal ?

    En tant qu’historien, je suis moins surpris que cela n’ait pas fonctionné. En cas de crise, on a besoin de plans simples. La réglementation « too big to fail » était trop complexe, immature et un peu irréaliste. Un cas comme celui-ci implique toujours l’aval politique d’autorités étrangères. Or, cela peut prendre du temps.

    Face aux marchés financiers mondialisés, que peut encore faire la capitale fédérale ?

    Plusieurs choses. L’État peut et doit agir énergiquement quand il s’agit de stabiliser des banques. Dans le cas d’UBS, il l’a très bien fait. La banque a été étatisée, partiellement et temporairement, et à la fin la Confédération y a même gagné quelque chose. Et UBS a adapté sa culture du risque. Dans le cas de CS, les autorités ont estimé qu’une fusion était plus sûre. L’avenir dira s’il s’agissait de la bonne solution.

    À qui ou à quoi est dû le naufrage de CS ?

    Au management et au conseil d’administration. CS était mal dirigé depuis des années. Mais les autorités aussi doivent répondre à des questions. Depuis octobre 2022, on savait que la banque était en difficulté. Or, il a fallu attendre mars pour qu’un plan de sauvetage voie le jour. Le tout a paru quelque peu improvisé, contrairement à ce qu’il s’était passé avec UBS. Cela m’a surpris. Nous n’en savons pas encore assez pour juger le comportement des autorités : la commission d’enquête parlementaire nous éclairera à ce sujet. Et CS devrait lui aussi faire sa part, spontanément, en livrant un rapport détaillé sur ce qui a capoté. Il le doit à la Suisse.

    Malgré les pertes et les scandales, CS distribuait des rémunérations et des bonus astronomiques. Certains banquiers semblent n’être plus guidés que par l’appât du gain, qui leur fait prendre tous les risques. Où est la banque entrepreneuriale d’autrefois, qui a fait avancer la Suisse ?

    CS a conservé un secteur entrepreneurial jusqu’à la fin. Dans le domaine des crédits accordés aux entreprises, il a fait du très bon travail. Il est vrai que les fondateurs de la banque autour d’Alfred Escher, au XIXe siècle, ont investi dans les infrastructures. Mais les activités ferroviaires étaient déjà risquées, elles aussi. CS a connu des débuts mouvementés, car les cours boursiers des sociétés de chemin de fer n’arrêtaient pas de fluctuer. Quand ça allait bien, les banquiers aussi gagnaient bien. Et quand ça allait mal, ils ne touchaient pas de bonus. Voilà la différence avec aujourd’hui. Les erreurs de CS sont dues à la cupidité, oui, mais surtout à l’incompétence du conseil d’administration et de la direction.

    En quoi étaient-ils incompétents ?

    À partir des années 1990, les grandes banques suisses se sont fortement internationalisées. Or, il est très difficile pour un management suisse de tenir bon sur les places financières de Londres et de New York. Les banquiers d’investissement anglo-saxons ont une tout autre mentalité, qui s’accorde mal avec la culture d’entreprise suisse. En outre, les grandes banques suisses plaçaient souvent des employés de seconde classe à Londres et à New York, qui se comportaient comme des mercenaires et ne pensaient qu’à se faire un maximum d’argent en peu de temps.

    UBS a racheté CS en juin : la banque géante qu’elle est désormais est-elle viable ?

    Elle est plus petite que ne l’était UBS avant la crise financière, et elle réduira certainement encore un peu sa voilure. Mais il est vrai qu’elle reste immense, puisque que la somme de son bilan atteint le double du produit intérieur brut (PIB) suisse. Je ne sais pas si elle est viable. Il est très probable qu’elle aussi connaisse un jour des difficultés et que l’État doive intervenir. Et l’on peut d’ores et déjà affirmer qu’introduire des règles plus strictes n’y changera rien.

    Pourtant, certains politiques exigent actuellement des réglementations plus strictes pour les banques d’importance systémique.

    Il serait bon d’exiger un peu plus de réserves, c’est-à-dire une plus grande part de fonds propres. Mais même ainsi, UBS ne sera pas à l’abri, il faut le savoir. Le système financier mondial est très vulnérable. CS était en mauvaise posture, mais pas tant que cela. Il respectait tous les chiffres clés de l’Autorité de surveillance des marchés financiers. Il suffit qu’un incident se produise quelque part, et la contagion commence. Les États ne peuvent ni prédire, ni empêcher une crise financière, seulement l’endiguer à temps pour éviter des conséquences catastrophiques. Il est toutefois difficile de déterminer le bon moment pour intervenir.

    Face à de tels risques, ce petit pays qu’est la Suisse peut-il encore se permettre d’avoir une grande banque active sur le plan international ?

    Avoir sur sa place financière une grande banque qui propose tous les services a des avantages. Si UBS, par volonté politique, devait à présent se défaire de ses secteurs internationaux problématiques, ou déplacer son siège, elle perdrait ces avantages. Mais elle gagnerait en stabilité. Des filiales étrangères pourraient se charger de certaines opérations, comme c’est le cas pour la compagnie aérienne Swiss, qui appartient à la société allemande Lufthansa. Cela pourrait fonctionner. Même la disparition du secret bancaire ne nous a pas fait de tort. Zurich ne s’est pas appauvri, bien au contraire.

    La place financière internationale suisse a-t-elle été importante pour la prospérité du pays ?

    Son importance économique est surestimée. La Suisse est devenue une place financière internationale durant la Première Guerre mondiale, mais en 1914, juste avant la guerre, elle était déjà le pays le plus riche du continent européen pour ce qui est du PIB par habitant. Et ce, surtout grâce à son industrie, qui était très dynamique et qui a fait sa prospérité au XIXe et au XXe siècles, et jusqu’à ce jour. La place financière est née après l’industrialisation et s’est dotée, avec la gestion de fortune, d’une nouvelle source de revenus très florissante. Pour l’économie nationale, cela a toujours eu des avantages et des inconvénients.

    Quels ont été les inconvénients ?

    Les salaires élevés du secteur bancaire ont attiré de nombreux travailleurs qualifiés, qui ont manqué à d’autres secteurs plus innovants. À présent, sans l’appel d’air du secteur bancaire, il y a de nouveau plus de place pour d’autres branches et innovations. Zurich a beaucoup de succès dans le secteur des assurances, qui est plus prévisible et plus stable. Je trouve qu’il convient bien mieux à la mentalité suisse.

    https://www.swisscommunity.org/fr/nouvelles-et-medias/revue-suisse/article/letat-devra-probablement-stabiliser-aussi-cette-nouvelle-banque

    #banque #Suisse #Credit_Suisse #finance #Etat #sauvetage

  • Récit | À #Bruxelles, à la rencontre de jeunes Erythréens ayant fui une #Suisse inhospitalière

    Marie-Laure Bonard s’est engagée, il y a trois ans, au sein de 3ChêneAccueil, un collectif citoyen qui s’est créé à Genève pour apporter un peu d’humanité aux demandeurs d’asile « enterrés » dans un abri de protection civile, et du SORA, soutien oecuménique aux requérants d’asile. De là est née une relation privilégiée avec un jeune Érythréen, arrivé en Suisse seul, encore mineur, qu’elle a pris sous son aile. Ce faisant, elle a alors découvert la réalité administrative brutale de l’asile, à laquelle elle résiste par son humanité. Elle raconte ses retrouvailles à Bruxelles avec Efrem, un ami de son protégé. Il y erre, comme des dizaines d’autres Érythréens, rejetés par la Suisse. (réd.)

    « Tu manques », m’écrit Efrem depuis la Belgique, où il est parti avec son ami Dawit suite au rejet de leurs demandes d’asile par la Suisse. Je saisis l’opportunité d’accompagner Veronica Almedom, codirectrice de l’Information Forum for Eritrea (IFE), qui a prévu de se rendre à Bruxelles dans le cadre d’un reportage de la RTS alémanique¹.Nous voulons voir, de nos propres yeux, la situation des Érythréens déboutés qui ont filé là-bas, dans l’espoir de gagner l’Angleterre. Efrem et Dawit, rencontrés au hasard du bénévolat à Genève, me manquent.
    Bruxelles, gare du Nord, lundi 17 juin 2019, le matin

    Veronica arrive. Nous avons à peine le temps de nous dire bonjour que deux jeunes Érythréens nous abordent. Ils sentent la rue, ils étaient en Suisse, avant. Ils y étaient arrivés mineurs, seuls, à ce titre reconnus comme requérants d’asile mineurs non accompagnés (RMNA). Avant d’être déboutés, comme tant d’autres. Nous comprenons que nous ne pourrons pas recueillir la parole de tous ceux que nous croiserons durant cette journée. Qu’ils seront trop nombreux.

    Déjà, les deux journalistes de la RTS qui suivent Veronica sont là. Nous faisons connaissance, elles souhaitent filmer les lieux où se retrouvent les migrants et leur parler. Toutes les trois s’éclipsent rapidement pour une interview. Nous convenons de nous retrouver plus tard au même endroit.

    Efrem et Dawit devraient être dans la gare. Ils m’ont envoyé un message plus tôt, depuis le train qu’ils ont pris depuis le sud de la Belgique. C’est de là-bas, à deux heures de transport de la capitale, qu’ils essaient de gagner l’Angleterre. Ils campent à proximité des aires d’autoroute, tentant nuit après nuit, depuis trois mois, de monter dans un camion qui les mènera vers le pays de leurs rêves. Ils disent que certains ont réussi, que de l’autre côté de la Manche on peut trouver du travail, obtenir un permis. C’est toujours arrivé à l’ami du cousin du cousin de l’ami.

    Leurs espoirs sont de l’ordre du mythe et de la croyance, mais je ne les ai pas dissuadés de quitter mon pays qui les a si brutalement rejetés. Ils savent la route et ses écueils, même s’ils ne comprennent pas très bien pourquoi il leur faut la poursuivre encore et encore, eux qui imaginaient être arrivés.Et puis,parfois,ils reculent d’une case, enfin, d’un pays, comme Efrem, renvoyé d’Allemagne en Suisse selon les accords de Dublin, un an plus tôt.

    J’étais bien inquiète la veille de leur départ pour la Belgique, quand ils sont venus me dire au revoir. Ce matin-là aussi, à Bruxelles. Impossible de les joindre. Pas de connexion. Pendant trois quarts d’heure, je tourne dans la gare. Le tunnel sinistre était encore trois semaines auparavant le dortoir venteux de plus de 200 personnes en errance. Il a été évacué. Sur la grande coursive, personne ne s’arrête, les misères se frôlent. Exilés d’Afrique et d’Afghanistan, vieux clochards, toxicos sans âge.

    En déambulant dans ce lieu clos et ses abords immédiats, je suis frappée du nombre de fois où je croise les mêmes personnes. Il en ira ainsi toute la journée. Une seule pour moi, mais combien pour celles et ceux qui ne peuvent se poser nulle part ? Soudain, je les vois, assis sur un long banc inconfortable. Efrem et Dawit, penchés sur leurs téléphones cassés. Je me dis : « Ils sont comme nimbés d’un halo gris ». Ils se lèvent comme un seul homme et m’étreignent. Je les sais gênés de ne pas être aussi propres qu’avant, alors je les serre encore plus fort.

    Il fait chaud mais ils portent pulls et vestes. Ils ont sans doute dormi dehors. C’est Dawit qui parle pour les deux. Efrem ne dit presque rien. Il prétend que c’est parce qu’il est timide, il sourit en coin. Ils se raidissent, deux policiers enjoignent à tous les hommes noirs de circuler. Dawit me demande de faire semblant de ne pas les connaître. Sûrement pas. Nous avons le droit d’être là ensemble et je le signifierai à la police si nécessaire.Les policiers s’éloignent,comme si ma simple présence donnait soudain des droits.

    Nous allons boire sur une terrasse. Je donne des nouvelles de Genève. Des amis érythréens qui les saluent, de ceux qui ont la chance d’avoir un permis et des autres… Depuis leur départ, plusieurs ont reçu un « papier-blanc »². Efrem et Dawit sont horrifiés par leur nombre et totalement choqués quand je leur raconte que la Suisse est en train de réexaminer les permis F de 3 200 Érythréens. « C’est pire qu’être débouté directement ».

    Nous nous déplaçons sur la place devant la gare au rythme de l’ombre. Ils me disent leur vie en Belgique, l’attente sur les parkings, la peur de la police. J’imagine bien qu’ils édulcorent leurs récits, par pudeur, mais aussi pour que je ne m’inquiète pas trop pour eux. Ils ont aussi rencontré des « personnes comme moi ». Des membres d’associations actives dans le domaine de l’asile. À Bruxelles, grâce à la Plateforme citoyenne de soutien aux réfugiés³, ils ont été nourris, ont trouvé un lieu où s’arrêter, recharger leurs portables, se soigner, trouver des habits. Dans le sud, des mains se sont tendues pour les abriter des intempéries, leur fournir du matériel de camping. « Monsieur Pierre » a accueilli Efrem chez lui, une photo en atteste ! « Madame Isabelle » les aide aussi. Me voilà en contact avec ces personnes bénévoles qui, comme moi, ont accueilli ces jeunes et d’autres au gré de leurs errances. Nous échangeons sur la situation des Érythréens et de l’asile par- delà les frontières.

    Bruxelles, #parc_Maximilien, lundi 17 juin, après-midi

    Veronica et les deux journalistes nous ont rejoints. Nous allons vers le parc Maximilien. Il s’agit plutôt d’un terrain non construit au milieu des immeubles de bureaux. Ce lieu a connu des campements de migrants, des évacuations. Maintenant clôturé et fermé la nuit, il est réinvesti la journée, notamment depuis l’évacuation de la gare du Nord. Cette après-midi-là, il doit y avoir au moins 200 personnes, disséminées sur l’herbe sèche, dont 90 % d’hommes, presque tous d’Afrique. Beaucoup d’Érythréens. Quelques courageux tapent dans un ballon sur un terrain de sport miteux.

    Nous sommes quatre femmes, cela attire l’attention. Tout de suite, les journalistes doivent ranger leurs caméras, l’ambiance est lourde, sinon hostile. Je pousse mon portable tout au fond de mon sac. De jeunes hommes dissimulent leurs traits dans leurs capuches ou avec leurs mains. La présence d’Efrem et Dawit à nos côtés apaise les esprits et les corps. On vient vers nous avec curiosité. Des conversations se nouent. En Français, Tigrinya, Anglais et… Suisse allemand.

    Les Érythréens étaient tous en Suisse. Certains depuis quatre ou cinq ans. Certains arrivés mineurs, parlant Français ou Allemand avec l’accent du canton auquel ils avaient été attribués au hasard. Disparus des statistiques helvétiques, en transit comme disent les Belges, dans les limbes. Pourtant ils sont bien vivants et ont des visages. Qu’aucun n’acceptera de montrer à la caméra. Même flouté.

    Un bruissement s’élève. En une fraction de seconde se forme comme une meute. Les hommes courent de plus en plus vite sur la petite distance qui les sépare de l’entrée du parc. Que se passe-t-il ? Le feu ? La police ? Une rixe ? Non, c’est juste une vieille voiture dont le conducteur peine à sortir tant ils sont nombreux à entourer le véhicule. Il amène juste des invendus de boulangerie. En 2019, dans la capitale de l’Europe, je viens de voir des hommes se battre pour du pain nu.

    Plus tard, avec Veronica, Efrem et Dawit donnent deux interviews. Enfin, surtout Dawit, car Efrem ne parle plus du tout. À la SFR puis à une ONG. Il raconte leur histoire, encore et encore, répond aux questions jusqu’à l’épuisement, jusqu’à ce que les larmes perlent. « Il est temps d’arrêter », dit Veronica. Et puis, ils doivent retourner sur leur parking. Deux amies généreuses m’ont donné des Euros pour eux. Je les glisse dans la poche de Dawit, en précisant que ce n’est pas mon argent, autrement ils ne l’accepteraient pas.

    Je les regarde s’éloigner vers le quai. Je pense à leurs mères, aux confins de l’Érythrée, qui ne les ont pas revus depuis cinq ans. Elles ont des fils magnifiques. Les connaître est un privilège.

    https://asile.ch/2019/12/04/recit-a-bruxelles-a-la-rencontre-de-jeunes-erythreens-ayant-fui-une-suisse-inh

    –-> ça date de 2019... pour archivage

    #réfugiés #migrations #asile #réfugiés_eryhtréens #migrerrance #Belgique

  • La neige fait irruption sur les sommets de Suisse et bloque le col du Nufenen RTS - cab avec ats

    La limite des chutes de neige est descendue dans la nuit de dimanche à lundi en dessous de 2000 mètres en Suisse. Des sommets alpins se sont ainsi retrouvés partiellement enneigés et le col du Nufenen a dû être fermé.

    Une photographie partagée par l’agence MeteoNews sur le réseau social X montre le col de l’Oberalp, reliant les cantons des Grisons à Uri, recouvert de neige. Il est tombé quelques centimètres de neige à partir de 2000 mètres d’altitude et parfois plus de 20 cm au-dessus de 2500 mètres.


    Le col de l’Oberalp sous la neige le 7 août 2023 au matin. [www.alpsu.ch]

    Il fallait s’attendre à des routes glissantes aux cols de l’Oberalp, du Grimsel, du Gothard et de la Flüela. Le col du Nufenen, qui va d’Ulrichen (VS) à Airolo (TI) et culmine à 2478 mètres, a même dû être fermé.

    La route du col du Susten, entre les cantons d’Uri et de Berne, reste aussi fermée après une chute de pierres dans la nuit de vendredi à samedi. La neige et le brouillard ont empêché les travaux de nettoyage de la chaussée.

    Des chutes de neige durant l’été à plus de 2000 mètres se produisent tous les deux à trois ans en Suisse, selon MeteoNews.

    La neige devrait disparaître rapidement. Les températures sont en hausse et l’isotherme du zéro degré s’élèvera jusqu’en soirée à plus de 3500 mètres - et même à près de 4000 mètres à l’extrême ouest. Le mercure pourrait atteindre à nouveau 30 degrés en plaine jeudi.

    #neige #températures #Suisse #réchaufement_climatique #effet_de_serre #Climat #Suisse

    Sources :
    https://www.rts.ch/info/suisse/14224628-la-neige-fait-irruption-sur-les-sommets-de-suisse-et-bloque-le-col-du-n
    https://news.dayfr.com/local/2256039.html

  • A #Briançon, l’accueil des migrants de plus en plus compliqué : « Ce n’est plus gérable »

    « Beaucoup marché dans le désert… C’est pas facile… Police tunisienne courir derrière moi… Marcher cinq jours, pas d’eau, pas d’ombre… » Il ne s’arrête plus. Sans qu’on ne lui ait posé la moindre question, Issouf (les personnes citées par leur prénom n’ont pas souhaité donner leur nom), s’est mis à parler du parcours migratoire qu’il a engagé il y a presque six mois depuis le Burkina Faso, aux côtés de son père Abdoul.

    Le garçon de 10 ans montre ses jambes, couvertes de cicatrices. Des cailloux sur lesquels il serait tombé, souvent. « J’ai vu des cadavres, des gens mourir. Le Sahara a tué les gens, demande à papa ! Je dis la vérité » , poursuit-il, agitant ses bras.

    Après avoir traversé le Mali, l’Algérie et la Tunisie, Issouf et son père ont franchi la Méditerranée jusqu’à l’île italienne de Lampedusa. « Ma maman ne voulait pas qu’on traverse, elle avait peur, elle disait : “Retournez-vous”. On a risqué la vie. Tout le monde rit maintenant. Ils sont contents. »

    Fin juillet, Issouf et Abdoul ont passé à pied le col alpin de Montgenèvre, près de la frontière entre l’Italie et la France. Une route privilégiée depuis la fin de l’année 2016 et la recrudescence des contrôles policiers dans les Alpes-Maritimes. Issouf et Abdoul ont été refoulés une première fois par la police française, avant de réussir leur passage et de gagner Briançon (Hautes-Alpes), à une quinzaine de kilomètres.

    On les rencontre aux Terrasses solidaires, un ancien sanatorium de la ville, racheté 1 million d’euros en 2021 par une poignée de fondations et d’associations telles que Refuges solidaires, Médecins du monde ou Tous migrants et au sein duquel sont désormais accueillis les migrants en transit.

    « J’étais dos au mur »

    « Inchallah, on va trouver les documentset on va faire venir maman en France » , nous dit Issouf, volubile. Son père, Abdoul, est dans le dur. Il a laissé sa femme et deux de ses enfants dans un Burkina Faso « invivable », en proie à l’ « insécurité » et à la « crise » économique. Il vivait à Koudougou, la troisième ville du pays, sous la férule de groupes djihadistes. « Tout saute, raconte-t-il, en pleurs. J’aurais pu devenir djihadiste, j’étais dos au mur. Si tu n’es pas fort d’esprit, tu peux faire n’importe quoi pour t’en sortir. »

    De sa route vers la France, il raconte chaque étape, les nuits passées cachés dans des champs d’oliviers à attendre les passeurs, sans bruit, les francs CFA acquittés à chaque étape, les pick-up et les marches harassantes, les nombreux refoulements de la Tunisie vers l’Algérie, les petits boulots comme aide-maçon payés 30 dinars (8,80 euros) la journée, les gens « de bonne foi » qui lui offraient à boire et à manger, ou ceux, effrayants, qui raflaient « les Noirs »et les envoyaient vers le désert.

    Depuis le mois de mai, à Briançon, on constate un afflux de personnes aux Terrasses solidaires, en lien avec l’augmentation des départs depuis la Tunisie, un pays en proie à une crise économique et à une montée des violences envers les migrants subsahariens. La nuit, ils peuvent être soixante-dix à arriver au refuge. Ces derniers jours, le nombre de personnes hébergées sur place est monté à plus de 200, des hommes presque exclusivement, alors que les normes de sécurité limitent la capacité d’accueil du lieu à une soixantaine de personnes.

    Des tentes ont été montées à l’extérieur du bâtiment ; le réfectoire est devenu un vaste dortoir où une quarantaine de lits de camp ont été alignés. Les personnes s’y reposent, un œil sur leur téléphone quand elles ne dorment pas, le visage enfoui sous une couverture.

    « Nos stocks de nourriture s’épuisent »

    Les bénévoles ont toujours connu les variations saisonnières des arrivées. A l’hiver 2021, tout juste après avoir été inauguré, le lieu avait fermé ses portes plusieurs semaines alors que quelque 230 personnes s’y trouvaient.

    « On est saturé, alerte aujourd’hui encore Luc Marchello, membre du conseil d’administration des Terrasses solidaires. Ce n’est plus gérable, ni par rapport à la dignité de l’accueil ni par rapport aux tensions que cela génère. » « On demande à la préfecture d’ouvrir un centre d’hébergement mais elle nous laisse sans réponse » , se désole Alfred Spira, professeur de médecine à la retraite et également membre du conseil d’administration du refuge.

    Sollicités sur le sujet, les services de l’Etat dans le département assurent dans un mail au Monde que les demandes d’hébergement faites auprès du 115 – le Samusocial – « restent conformes au nombre constaté les années précédentes à la même époque ».

    « Nos stocks de nourriture s’épuisent, les dons arrivent de façon ponctuelle. On a trois veilleurs de nuit salariés, on en voudrait bien quatre » , explique pour sa part Jean Gaboriau, administrateur de l’association Refuges solidaires. Les seuls deniers publics seraient ceux de l’agence régionale de santé, qui consacrerait environ 40 000 euros par an à la prise en charge de la blanchisserie.

    Du reste, une quinzaine de bénévoles s’activent chaque jour sur place. « On est complètement accaparés par la gestion de l’accueil, témoigne Luc Marchello . En général, les personnes restent entre trois et cinq jours mais une partie ne sait pas où aller ou attend un [transfert d’argent] Western Union pour pouvoir acheter un billet de train. »

    Abdoul et Issouf sont de ceux que personne n’attend. « Il nous faut des indices pour nous orienter. On ne connaît personne en France, confie le père, qui souhaite déposer une demande d’asile. On se mettra dans les mains des gens qui sont gentils. » Quelques jours plus tard, il partira vers Strasbourg.

    Mounir, lui, veut aller à Paris pour travailler dans la pâtisserie. Au Maroc, dont il est originaire, le salaire qu’il pouvait espérer n’atteint pas les 300 euros. « Et puis tu n’es pas déclaré et tu te fais dégager du jour au lendemain » , dit-il. Le jeune homme de 25 ans s’inquiète de la possibilité de travailler en France alors qu’il n’a pas de titre de séjour et se renseigne sur les démarches à faire pour être régularisé. Avec ses quelques compagnons de route, originaires des villes de Marrakech, Ouarzazate, Midelt ou Tiznit, il a d’abord pris un avion vers la Turquie avant de remonter la route dite des Balkans. La plupart ont l’Espagne en ligne de mire. Pour y faire de la soudure, de l’électricité, de la coiffure ou de l’agriculture, qu’importe. Là-bas, ont-ils compris, obtenir les papiers ne prendrait « que » deux ans et demi.

    https://www.lemonde.fr/article-offert/effyfhbwvptb-6184494/a-briancon-l-accueil-des-migrants-de-plus-en-plus-complique-ce-n-est-plus-ge

    #asile #migrations #réfugiés #accueil #Briançonnais #Hautes-Alpes #frontière_sud-alpine #Alpes #hébergement #mise_à_l'abri #terrasses_solidaires #refuge_solidaire #refuges_solidaires #frontières #Italie #France #Montgenèvre #115

    –—

    Juin 2023 :
    Nouveau cri d’alarme du #Refuge_solidaire
    https://seenthis.net/messages/1004387

    • Migranti, emergenza in Val di Susa: centri di accoglienza al limite per i profughi diretti in Francia

      I controlli alla frontiera sempre più stringenti, in pochi giorni arrivate a #Oulx più di 150 persone.

      Al #Rifugio_Fraternità_Massi di Oulx la parola emergenza è ormai scomparsa dal lessico quotidiano. Il flusso costante di uomini, donne e bambini che ogni giorno cercano di attraversare il confine ha perso da tempo i caratteri dell’eccezionalità, evolvendosi in un fenomeno sempre più sistemico, ma non per questo meno tragico.

      A dimostrarlo sono i numeri registrati dalle associazioni impegnate nel progetto #MigrAlp; un bilancio impietoso che vede il rifugio di don Luigi Chiampo ospitare ogni notte un centinaio di persone, malgrado i posti disponibili all’interno della struttura siano soltanto una settantina.

      Ad inizio agosto in un paio di occasioni si è arrivati addirittura a raggiungere le 150 presenze e da allora la necessità ha finito per trasformare in abitudini consolidate quelle che un tempo erano soluzioni emergenziali. Non fanno più notizia le brandine allestite in sala mensa, né i viaggi intrapresi ogni sera dalla Croce Rossa per trasportare al polo logistico di Bussoleno quanti non trovano posto ad Oulx.

      La situazione, intanto, resta grave anche al confine francese, come testimoniano i quasi 300 migranti accolti lo scorso 13 agosto al centro delle Terrasses Solidaires di Briançon. «La militarizzazione della frontiera non fa che incentivare la clandestinità e mettere a rischio la vita dei più deboli - spiega Piero Gorza, antropologo e referente Medu per il Piemonte – dal 2018 ad oggi sulle nostre montagne sono morte 10 persone, l’ultima soltanto una manciata di giorni fa. L’aumento dei flussi e il mutamento della loro composizione ha visto moltiplicarsi le vulnerabilità di quanti affrontano il cammino». Gli iraniani, afghani e curdi che fino allo scorso ottobre rappresentavano il 70% delle persone in transito ad Oulx sono ora soltanto una minoranza.

      «Quanti provengono dalla rotta balcanica scelgono di passare da Como o dalla Svizzera, dove ottengono un foglio di via che consente loro di arrivare più facilmente in Germania», spiega Paolo Narcisi, presidente dell’associazione Rainbow for Africa. Ad affrontare le montagne dell’alta Val Susa sono ormai perlopiù i migranti dell’Africa subsahariana.

      Sono molte le donne, spesso incinte o con al seguito i bambini talvolta frutto delle violenze subite nei campi di transizione libici. Tanti, troppi, i minori non accompagnati. «Da gennaio ne abbiamo accolti un centinaio al polo logistico di Bussoleno – sottolinea Michele Belmondo, responsabile delle emergenze della Croce Rossa di Susa – un dato allarmante se paragonato ai 90 di cui ci siamo occupati nel corso dell’intero 2022».

      Recano sul corpo i segni delle torture e di un cammino di cui spesso ignorano le insidie, basti pensare ai due ragazzi recuperati l’altro giorno dal Soccorso Alpino sopra Bardonecchia, a 2mila metri di altitudine, con ai piedi un paio di ciabatte.

      Ad accrescere la preoccupazione in vista dell’autunno contribuisce inoltre la carenza di risorse economiche. «Se la situazione rimarrà invariata, entro fine settembre avremo terminato i fondi stanziati per il 2023 dalla Prefettura per la gestione del progetto MigrAlp - precisa Belmondo - 550 mila euro a fronte dei 750 mila richiesti da associazioni e istituzioni. Arriveranno a consuntivo soltanto a fine anno».

      https://www.lastampa.it/torino/2023/08/23/news/migranti_emergenza_alta_val_di_susa-13007663
      #Val_Suse #Suisse #Côme #Chiasso #Tessin

    • "Combien de temps on va tenir ?" : les Terrasses de Briançon dépassées par l’afflux inédit de migrants venant d’Italie

      Pour la première fois depuis son ouverture en 2021, les Terrasses solidaires, lieu associatif de Briançon à la frontière franco-italienne, a accueilli plus de 300 migrants pendant deux jours. « On navigue à vue », raconte un administrateur du lieu, d’une capacité d’accueil maximum de 81 places.

      La situation aux Terrasses solidaires de Briançon empire. Les 13 et 14 août, le lieu associatif a accueilli plus de 300 personnes. « Une première », indique Jean Gaboriau, l’un des administrateurs du lieu, à InfoMigrants. Et depuis, l’accueil ne faiblit que légèrement. Ce mercredi, 220 personnes étaient admises, là où il n’y a qu’environ 80 places.

      D’ordinaire, les associatifs et citoyens solidaires voient plutôt arriver « entre 5 et 30 personnes par jour » à Briançon, décrit Luc Marchello, responsable de la sécurité des Terrasses Solidaires. Mais le week-end dernier par exemple, une centaine d’exilés, pour la quasi-totalité originaire d’Afrique subsaharienne, sont arrivés en une nuit.

      Des matelas sont posés à même le sol où c’est possible, des tentes sont installées sur les terrasses extérieures… « On n’a pas le choix, on pousse les murs », raconte Jean Gaboriau. Et d’ajouter : « Le réfectoire est devenu un dortoir. Les gens dorment par terre ». À l’étage, normalement condamné, un petit espace a été aménagé afin d’accueillir le plus calmement possible les populations vulnérables comme les femmes enceintes ou les enfants.
      Appel à l’aide de l’État

      Ici, le va-et-vient est quotidien. Chaque jour, de nouveaux exilés viennent remplacer ceux qui partent. « Depuis le mois de mai, la situation est très compliquée. On tourne à minimum 150 personnes (soit plus de deux fois la capacité d’accueil, ndlr) », raconte l’administrateur.

      Et les nouveaux arrivants, la plupart du temps, arrivent fortement impactés par la traversée des Alpes entre l’Italie et la France, qui se fait aujourd’hui en grande partie par le Col de Montgenèvre. « Cela varie, mais beaucoup arrivent blessés aux chevilles, genoux… Ou sont en état de déshydratation, complète Jean Gaboriau. Il y a aussi beaucoup de femmes enceintes, dont certaines sont très, très proches du terme. »

      Ce passage peut aussi engendré la mort. Le corps d’un exilé y a été retrouvé le 7 août dernier. Selon des informations d’Infomigrants, il s’agit d’un Guinéen âgé de 19 ans. Une enquête est toujours en cours et l’autopsie n’a pas permis de découvrir les causes de la mort mais elles sont « non suspectes et certainement pas d’origine traumatiques », selon le procureur de la République de Gap, Florent Crouhy.

      Ainsi, les bénévoles du lieu en appellent à l’État et regrettent, dans un communiqué publié mardi, qu’"aucune réponse n’a jamais été apportée par l’État aux situations de crise rencontrées dans ce lieu d’hébergement". Après plusieurs courriers envoyés à la préfecture des Hautes-Alpes, des signalements effectués aux pompiers, ils demandent aux autorités « l’ouverture d’un dialogue » ainsi que « la création d’un centre d’hébergement d’urgence mobile ». « La seule réponse que l’on a obtenue de la préfecture, c’était le 31 juillet, et c’était une lettre qui rappelait la loi et l’interdiction d’aider des personnes en situation irrégulière à rentrer en France », se désole Jean Gaboriau.

      Contactée par Infomigrants, la préfecture indique que « les difficultés de l’association gestionnaires des Terrasses Solidaires ont bien été entendues par la Préfecture, qui leur a répondu ». Mais « cette situation n’a pas vocation à durer ». Et d’ajouter : « La seule solution efficace aux difficultés rencontrées par les associations et, plus largement, les territoires impactées par ce triste phénomène, est le renforcement progressif du dispositif de lutte contre l’immigration illégale. »
      "On navigue à vue"

      Et la situation ne va pas aller en s’arrangeant, s’inquiètent les bénévoles, « au vu de l’importance du nombre de personnes qui arrivent en Italie depuis le début de l’année ». L’Italie enregistre en effet un record d’arrivées par la mer avec 101 386 migrants débarqués depuis le début de l’année, selon les données du ministère de l’Intérieur, contre 48 940 pour la même période de 2022. Et les exilés sont nombreux à prendre la route de la France pour y demander l’asile ou se rendre vers d’autres pays d’Europe.

      La hausse des prix des transports en commun « aggrave aussi la situation », estime Jean Gaboriau car les prix des TGV vers les grandes métropoles françaises descendent rarement sous la barre des 100 euros, surtout en cette période de vacances scolaires. « Donc forcément, les gens restent plus longtemps et attendent que les prix baissent », ajoute-t-il.

      Jusqu’à présent, les Terrasses solidaires s’adaptent en augmentant les stocks de nourriture et grâce aux dons qui se multiplient. « Combien de temps va-t-on tenir ? » s’interroge l’administrateur. « On navigue à vue », admet-il. Et les bénévoles, eux aussi, sont exténués. « Moi, je me suis mis au vert quelques jours pour revenir efficace mais pour ceux qui viennent de loin et qui restent plusieurs semaines, il faut aussi les préserver », raconte-t-il, précisant qu’une « responsable des bénévoles » veille à la situation.

      https://www.infomigrants.net/fr/post/51145/combien-de-temps-on-va-tenir--les-terrasses-de-briancon-depassees-par-

      signalé aussi ici par @cy_altern :
      https://seenthis.net/messages/1013811

  • Première vague de licenciements chez Credit Suisse, 200 postes de banquiers d’affaires biffés RTS - ats/vajo

    Credit Suisse a procédé à une première vague de licenciements et 200 banquiers d’affaires ont perdu leur emploi. Ces suppressions d’emplois sont intervenues au niveau mondial, dans la banque d’investissement et l’unité du marché des capitaux, a rapporté mercredi le portail Financial News.

    Les licenciements touchent tous les étages de direction dans la banque d’investissement et la plupart des équipes de branche. Les réductions concernent particulièrement le domaine des marchés des actions.

    Selon le portail Financial News, la vague de licenciements a débuté le 31 juillet. Deux nouvelles vagues doivent intervenir en septembre et en octobre.

    Tant Credit Suisse qu’UBS étaient inatteignables mardi soir pour un commentaire.

    Fermeture de la succursale d’Houston
    Mercredi matin, Bloomberg avait annoncé la fermeture de la succursale d’Houston de la banque aux deux voiles. Avec la reprise par UBS, la banque d’investissement de Credit Suisse va être fortement réduite. En raison d’investissements risqués, elle avait causé des pertes à hauteur du milliard ces dernières années.

    Au niveau mondial, la fusion des deux grandes banques devrait, selon divers articles de presse, entraîner la suppression de 30’000 à 35’000 emplois. Fin 2022, les deux établissements employaient au total 120’000 collaborateurs. Entre-temps, plusieurs milliers ont quitté le navire.

    #licenciements #économie #capitalisme #banques #banquiers #finance #crise #austérité #credit_suisse #Suisse

    Source : https://www.rts.ch/info/economie/14217088-premiere-vague-de-licenciements-chez-credit-suisse-200-postes-de-banqui

  • Des anarchistes du monde entier affluent à Saint-Imier, berceau du mouvement ats/edel - RTS

    Les rencontres internationales anti-autoritaires (RIA), qui doivent rassembler jusqu’à dimanche des milliers d’anarchistes venus du monde entier, ont débuté mercredi à Saint-Imier. Cette commune du Jura bernois est considérée comme le berceau de ce mouvement.

    Des centaines d’anarchistes et de libertaires ont rejoint mercredi cette commune de 5200 habitants. Ce rassemblement commémore l’anniversaire du Congrès de Saint-Imier qui a vu la fondation de l’Internationale anti-autoritaire en 1872, événement qui donna naissance au mouvement anarchiste.


    Pendant cinq jours, les participants peuvent suivre des conférences et des ateliers. Ils ont l’occasion de prendre part à des rencontres destinées aux collectifs partageant les mêmes priorités. Les RIA ont aussi mis sur pied un salon du livre et une radio anarchiste. Des films et des concerts sont aussi au programme.

    Vision anti-autoritaire
    Il s’agit surtout pour les activistes d’échanger des idées, de faire connaître des luttes et de resserrer les liens entre sympathisants du mouvement et de convaincre d’autres à le rejoindre. « Ce qui nous rassemble est la vision anti-autoritaire », souligne le comité d’organisation.

    Des centaines de jeunes se réclamant du mouvement anarchiste ont sillonné Saint-Imier, souvent un plan à la main. Vêtus pour la plupart d’habits noirs, ces touristes d’un genre un peu particulier ne passaient pas inaperçus.

    Randonneurs retraités, cyclistes et libertaires se côtoyaient dans la cité imérienne. Des dizaines de tentes étaient dressées dans un camping éphémère, donnant à la manifestation un air de festival.

    Deux cuisines et quatre bars proposant des boissons non alcoolisées sont répartis dans la commune. Tout est à prix libre. Même une garderie est à disposition. Le coût de l’événement s’élève à 200’000 francs. Les échanges se font surtout en anglais, mais l’on entend aussi d’autres langues comme le français, l’allemand, l’italien ou l’espagnol.

    Visibilité au mouvement
    Ce rassemblement doit permettre de donner une visibilité nouvelle à ce mouvement de pensée qui s’oppose à tout pouvoir centralisateur et autoritaire. Les organisateurs expliquent que l’anarchie n’est pas le chaos et l’absence d’ordre, mais un mouvement qui prône une « organisation personnelle et sociale anti-autoritaire ».c

    « Nous attendons entre 2500 et 4000 personnes », avait avancé un membre du comité d’organisation quelques jours avant l’événement. « Comme nous ne demandons aucune inscription, nous ne connaissons pas le nombre précis. » Le collectif fixe une exigence : être respectueux et avoir un comportement pacifique.Les organisateurs attendent entre 2500 et 4000 personnes. [Peter Klaunzer - Keystone]

    La commune s’est préparée depuis des mois à accueillir un événement de cette ampleur. Les bâtiments municipaux qui sont proposés à la location, comme la patinoire ou la salle de spectacle, ont été réquisitionnés pour offrir des lieux de débats. Cet événement devrait aussi faire marcher le commerce.

    Berceau de l’anarchisme
    Le choix de la commune de Saint-Imier ne doit rien au hasard. Un hôtel de la place a accueilli, il y a 151 ans, le Congrès libertaire qui donna naissance à l’Internationale anti-autoritaire. Parmi les participants à ce congrès de septembre 1872 se trouvait le révolutionnaire et philosophe russe Mikhaïl Bakounine.

    Ce Congrès libertaire avait été convoqué après l’éclatement de la Première Internationale. La rencontre mettait un terme au conflit opposant Karl Marx aux représentants du courant libertaire incarné par le Russe Michel Bakounine et le Suisse James Guillaume.

    Ce pan de l’histoire reste vivace à Saint-Imier. La ville a baptisé en 2017 une rue au nom de Bakounine. En 2012, elle avait accueilli 4000 libertaires. La commune abrite une coopérative culturelle à l’âme libertaire, Espace Noir. « Nous sommes fiers de ce passé sans pour autant être tous des anarchistes », avait souligné le maire Corentin Jeanneret quelques jours avant l’événement.

    #Anarchistes #Libertaires #Suisse #Saint-Imier #anti-autoritaires #Congrès #Luttes #Bakounine #Karl_Marx

    Source : https://www.rts.ch/info/regions/berne/14186051-des-anarchistes-du-monde-entier-affluent-a-saintimier-berceau-du-mouvem

    • Le trafic ferroviaire coupé entre St-Imier et La Chaux-de-Fonds à cause du rassemblement anarchiste

      La ligne ferroviaire qui relie La Chaux-de-Fonds à Saint-Imier est interrompue depuis jeudi jusqu’à lundi matin. Les CFF ont pris cette décision en invoquant des questions de sécurité en raison des Rencontres Internationales Anti-autoritaires à St-Imier. Les trains sont remplacés par des bus.

      Les Rencontres Internationales Anti-autoritaires, rendez-vous qui célèbre les 150 ans de la naissance du mouvement anarchiste, attirent en effet des milliers de personnes au coeur du Jura bernois.

      La manifestation s’attendait à une affluence d’environ 4000 personnes sur l’ensemble de l’événement. Mais jeudi soir, les organisateurs annonçaient déjà la présence de 3000 personnes en se basant sur le nombre de plats servis à la cantine pour communiquer ce chiffre.

      Sans compter que la part la plus importante des participantes et participants est attendue à partir de ce week-end seulement. Il ne serait donc pas surprenant que la manifestation accueille 5000 à 6000 personnes au total.

      Le danger de traverser de voies
      La suite : https://www.rts.ch/info/regions/berne/14189821-le-trafic-ferroviaire-coupe-entre-stimier-et-la-chauxdefonds-a-cause-du

  • Félix Vallotton
    https://www.partage-noir.fr/felix-vallotton

    Le peintre franco-suisse Felix Vallotton (1865-1925) a été proche des nabis. Ses talents étaient nombreux : peinture et sculpture mais aussi gravure, illustration, romans et critiques d’art. C’est le peintre et graveur anarchiste #Charles_Maurin (1856-1914) qui va l’initier aussi bien à la gravure qu’à l’anarchisme. En dix années, Felix Vallotton va exécuter plus de 120 gravures sur bois et une cinquantaine de lithographies. Partages

    / #Félix_Vallotton, Charles Maurin, #Jean_Grave, #L'Assiette_au_beurre, #Les_Temps_nouveaux, #Suisse, #CIRA_Marseille

    #Partages_
    https://www.partage-noir.fr/IMG/pdf/calendrier-2023-ecran.pdf

  • #Suisse : Des gendarmes forcés de porter un collier électrique pour chien lors d’un examen ats/hkr - RTS

    Des colliers à impulsions électriques ont été utilisés dans le canton de Vaud pour tester le stress de gendarmes souhaitant rejoindre le Détachement d’action rapide et de dissuasion (DARD). La police vaudoise « condamne fermement » cette pratique au sein de son unité d’élite et annonce l’ouverture d’une enquête interne.

    Selon 20 minutes, qui a révélé mardi l’information, ces colliers - prévus initialement pour le dressage des chiens mais désormais interdits - ont été utilisés lors d’épreuves soumises aux aspirants en juin dernier.

    L’information a été confirmée par Jean-Christophe Sauterel, responsable de la communication de la police vaudoise. « Les candidats devaient effectuer un parcours tactique. Afin d’augmenter leur stress, les cadres responsables de cette sélection ont pris l’initiative d’utiliser un collier électrique produisant des décharges sur commande », indique-t-il.

    Sanctions à venir
    Cette pratique a été initiée par des cadres du DARD. Le commandement de la police cantonale « n’a aucunement été informé » et « condamne fermement ces pratiques qui sont intolérables au sein de la police et surtout contraires à l’éthique et aux valeurs du corps », poursuit Jean-Christophe Sauterel.

    Si la sélection des membres du DARD doit être exigeante, elle doit se faire « dans le respect des candidats ».

    Une enquête interne a été ouverte afin d’établir les faits et les responsabilités. Des sanctions seront ensuite prises à l’encontre des personnes concernées, affirme Jean-Christophe Sauterel.

    #obéissance #police #humiliation #aprentissage #éducation #domination #soumission #gendarmes #management
    Source : https://www.rts.ch/info/regions/vaud/14168381-des-gendarmes-forces-de-porter-un-collier-electrique-pour-chien-lors-du

  • La crise sanitaire a-t-elle grippé les #transports_collectifs ?
    https://metropolitiques.eu/La-crise-sanitaire-a-t-elle-grippe-les-transports-collectifs.html

    Comment les réseaux de transports collectifs se sont-ils relevés du choc du confinement ? Dans cet entretien, Annelise Avril et David Henny offrent une analyse croisée des enjeux auxquels sont confrontés les transports collectifs depuis la sortie du confinement en #France et en #Suisse. Dossier : Les #mobilités post-Covid : un monde d’après plus écologique ? En mars 2020, les transports en commun français affichaient une baisse de 90 % de fréquentation, un chiffre équivalent à celui observé dans les #Podcasts

    / mobilité, #Covid-19, transports collectifs, #usagers, #financement, #télétravail, #transition_écologique, Suisse, France, modes de (...)

    #modes_de_vie

  • Respingimenti e ostacoli all’asilo. Ritorno sulla frontiera Italia-Svizzera

    Da gennaio ad aprile 2023 a Como-Ponte Chiasso oltre 1.300 persone migranti sono state “riammesse” indietro dalle autorità elvetiche. È il confine terrestre italiano con i dati più alti. Quattro su 10 sono afghani: la protezione è un miraggio

    Ahmed, diciassettenne afghano, è partito da Kabul nell’autunno del 2021 per non finire tra le fila dell’esercito talebano. A un anno e mezzo dalla partenza, dopo aver percorso una delle diramazioni della rotta balcanica, passa per la stazione di Milano, dove non si ferma neanche una notte: la prossima tappa da raggiungere è Zurigo, l’obiettivo ultimo la Germania. Che cosa lo aspetta al confine italo-svizzero? Seppur poco raccontato, secondo i dati del ministero dell’Interno, su questa frontiera nei primi quattro mesi del 2023 sono state registrate 1.341 riammissioni passive, ovvero le pratiche di polizia a danno di persone straniere considerate irregolari che, a un passo dall’arrivo sul territorio elvetico, vengono costrette a ritornare in Italia.

    A far da contraltare all’approccio di frontiera finalizzato al respingimento, una parte della società civile su entrambi i lati del confine testimonia ormai da anni un’accoglienza possibile ma sempre più difficile nei confronti dei transitanti. La collaborazione tra i due Paesi si rifà all’accordo italo-svizzero del 1998 “sulla riammissione delle persone in situazione irregolare”, mai ratificato dal Parlamento italiano. Il 31 maggio scorso quell’impegno bilaterale è stato ribadito nell’incontro tra il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi e la sua omologa svizzera, Elisabeth Baume-Schneider, per contrastare, parole del Viminale, la “criminalità organizzata”, il “terrorismo internazionale” e monitorare i “foreign fighters di rientro dai teatri di guerra”. Il tutto, ha assicurato la consigliera elvetica, garantendo “sempre il rispetto dei diritti umani dei migranti”. Retorica politica che propone un concetto di sicurezza e promette di proteggere tutti, ma poi nella pratica minaccia le stesse persone in cerca di una maggior sicurezza.

    Già nel 2016 l’Associazione per gli studi giuridici sull’Immigrazione (Asgi) aveva evidenziato l’illegittimità delle riammissioni previste dall’accordo bilaterale per diversi motivi: ostacolano la domanda di asilo, implicano controlli sistemici e discriminatori lungo una frontiera Schengen e sono considerabili espulsioni collettive; infine, essendo procedure informali, non permettono di presentare un eventuale ricorso.

    Nonostante le rassicurazioni sul “rispetto dei diritti umani” di Baume-Schneider, le riammissioni, con le annesse criticità sottolineate nel 2016, continuano anche oggi. I dati relativi ai primi mesi dell’anno, comunicati dal Viminale dopo un’istanza di accesso civico di Altreconomia, sono eloquenti. Per quanto riguarda il settore terrestre di Como-Ponte Chiasso, da gennaio ad aprile 2023 sono state registrate 1.341 riammissioni verso l’Italia (numeri alti, basti pensare che per il più conosciuto accordo bilaterale tra Italia e Slovenia erano state 1.240 le persone riammesse nel 2020, anno di picco).

    Quello con la Svizzera si conferma quindi il confine terrestre italiano dove vengono registrate più riammissioni passive (si veda, a questo proposito, l’articolo sui respingimenti ai confini italiani nel numero di febbraio di Altreconomia). Dal gennaio 2022, infatti, in media, 330 persone ogni mese sono costrette dalla polizia svizzera a ritornare sui propri passi. Quattro su dieci sono afghani, proprio come Ahmed. Seguono siriani, turchi, marocchini e poi bengalesi e tunisini.

    Entrare nel merito di ciascun episodio è impossibile, ma si può ipotizzare che in molti casi la riammissione abbia ostacolato l’accesso alla domanda di protezione internazionale per persone provenienti da zone di conflitto. Ciò che permette un così alto numero di riammissioni è l’esteso sistema di controllo elvetico. “Il Ticino ha il più alto numero di poliziotti pro-capite di tutta la Svizzera”, spiega Donato Di Blasi di Casa Astra, centro di prima accoglienza per persone in emergenza abitativa nella Svizzera italiana. Nel territorio, infatti, si conta un agente ogni 305 abitanti, a fronte della media nazionale di uno ogni 466 secondo i dati della Radiotelevisione svizzera. “I pattugliamenti della polizia svizzera si estendono sui treni fino a Lugano, a 30 chilometri dalla stazione di confine di Ponte Chiasso”, continua Di Blasi.

    Spesso i controlli avverrebbero sistematicamente nei confronti di persone con caratteristiche somatiche apparentemente non di origine europea, in violazione delle normative che vietano la profilazione etnica (racial profiling). Un ragazzo egiziano di 16 anni che vive attualmente a Como racconta: “Una volta rientrando da Milano mi sono addormentato sul treno, superando per sbaglio la fermata di Como. Alla stazione di Chiasso mi hanno svegliato i poliziotti, mi hanno perquisito fino a lasciarmi in mutande, poi mi hanno riportato in Italia. Ero l’unico sul treno a cui è successo così”. Il monitoraggio frontaliero delle forze dell’ordine si inoltra anche nelle zone di transito percorribili in auto o a piedi. Per sorvegliare al meglio queste aree, l’ufficio federale dell’armamento (Armasuisse) aveva annunciato già nel 2015 l’acquisto di sei droni di fabbricazione israeliana che entreranno a pieno regime entro la fine del 2024.

    Nonostante la fitta rete di controlli e i numeri delle riammissioni, le realtà comasche che supportano le persone transitanti concordano nel dire che la situazione per le strade di Como non è minimamente paragonabile a quella dell’estate del 2016, quando fino a 500 persone dormivano nei pressi della stazione di San Giovanni in attesa di superare il confine. “Sono sporadici i casi di persone riammesse dalla Svizzera presenti sulle strade di Como”, racconta Anna Merlo di Porta Aperta, sportello di Caritas per i senza dimora. “Dato l’alto numero delle riammissioni, ci chiediamo: dove vanno le persone una volta riportate in Italia?”, si domanda don Giusto Della Valle, parroco di Rebbio, realtà solidale con le persone transitanti e attualmente luogo di accoglienza per decine di minori stranieri non accompagnati in attesa di una sistemazione definitiva. L’impressione è che chi viene riammesso non si fermi in città, provando a continuare il viaggio in altre zone di frontiera, vicine e lontane.

    Ahmed ha avuto fortuna, è riuscito a superare l’ennesimo confine, ma questo non significa la fine degli ostacoli. Infatti, dalle informazioni raccolte, è frequente che le persone transitanti, intercettate dalle forze dell’ordine sul territorio svizzero, dopo aver provato a fare domanda di asilo vengano riportate in Italia alla centrale di polizia di Ponte Chiasso. “Per essere certi che la domanda di asilo venga presa in carico e le persone non vengano respinte, l’unico modo è accompagnarle fisicamente alla questura di Chiasso per contestare un’eventuale riammissione; lo abbiamo fatto più volte in passato -spiega Gabriela Giuria Tasville di Azione posti liberi, fondazione che segue dal punto di vista legale i richiedenti asilo in Ticino-. A peggiorare il quadro, inoltre, è impossibile, per le persone in transito, soggiornare anche temporaneamente in Svizzera, perché dal 2008 è entrata in vigore una legge federale che vieta qualsiasi forma di accoglienza e penalizza chiunque aiuti le persone transitanti in situazione di irregolarità”. Questa legge infatti punisce “con una pena detentiva sino a un anno o con una pena pecuniaria chiunque […] facilita o aiuta a preparare l’entrata, la partenza o il soggiorno illegali di uno straniero” (articolo 116, 1.a). Le autorità, da una parte, non permettono alle persone transitanti di regolarizzare la loro posizione sul territorio e quindi di accedere alle strutture di accoglienza; dall’altra, puniscono chiunque aiuti il soggiorno di una persona che è in una situazione di irregolarità a causa del mancato accesso alla procedura di asilo.

    Questa legge, ormai arrivata al suo quindicesimo anno d’età, ha fatto sì che realtà come Casa Astra, che già nel 2004 accoglieva sans papier provenienti dall’Ecuador, non possano più supportare persone in situazione di emergenza abitativa senza documenti. Ancora più eclatante è il caso del centro sociale autogestito il Molino a Lugano, unica realtà che fino al 2021 accoglieva apertamente le persone transitanti. Nel maggio di due anni fa è stato raso al suolo su provvedimento della polizia cantonale. Al contrario della solida collaborazione tra le autorità di frontiera dei due Paesi, costruire e mantenere una rete solidale a livello locale e transfrontaliero di supporto alle persone in transito, in questo contesto, sembra quasi impossibile.

    https://altreconomia.it/respingimenti-e-ostacoli-allasilo-ritorno-sulla-frontiera-italia-svizze

    #Italie #Suisse #frontières #push-backs #refoulements #asile #migrations #réfugiés #frontière_sud-alpine #réadmissions #réadmissions_passives #foreign_fighters #terrorisme #statistiques #chiffres #2023 #2022 #profilage_racial #drones #criminalisation_de_la_solidarité

  • Suisse. « La grève féministe, et après ? »

    Entretien avec Aude Spang conduit par Manon Todesco

    Plus de 300 000 personnes ont battu le pavé le 14 juin 2023, un nouveau succès pour les féministes. Aude Spang, secrétaire à l’égalité auprès du syndicat Unia, revient sur cette journée de mobilisation historique, mais aussi sur les luttes et les défis à venir, dans la rue et au sein du syndicat. Analyse.

    Quel bilan peut-on tirer de cette journée de mobilisation ?
    C’était fantastique, puissant et important. C’est surtout une grosse victoire, car on a démontré que 2019 n’était pas juste un hasard dans la lancée du mouvement #MeToo, mais qu’il y a un vrai mouvement féministe en Suisse qui travaille et qui arrive à mobiliser. En termes de chiffres, on comptabilise plus de 300 000 manifestantes et manifestants, donc une mobilisation massive : on s’inscrit dans une histoire féministe en Suisse avec trois grèves depuis 1991 qui montent chaque fois en intensité, en force et en lutte.

    https://entreleslignesentrelesmots.wordpress.com/2023/07/06/suisse-la-greve-feministe-et-apres

    #féminisme #suisse

  • Inspirés par les émeutes en #France, des casseurs s’attaquent au Flon
    https://www.20min.ch/fr/story/inspires-par-les-emeutes-en-france-des-casseurs-sattaquent-au-flon-26052804803

    Scènes de guérilla urbaines à #Lausanne ce samedi soir. Inspirés par les images des émeutes françaises, des individus se sont rassemblés au Flon samedi soir, appelant à répandre la trainée de poudre allumée de l’autre côté de la frontière. Des appels ont tourné sur les réseaux sociaux, notamment Snapchat et Tiktok.

    Et l’appel a pris. En début de soirée, des individus se sont attaqués à la Fnac, fracturant la porte et attaquant les policiers venus protéger les lieux. Des témoins évoquent entre cent et deux cent personnes armées de projectiles, face à une poignée de policiers à moto, protégés par leur casque. Le magasin de chaussures Pomp it Up a également été attaqué. Une vitrine a été brisée. D’autres lieux auraient également été touchés.

    #Suisse #Nahel

  • L’évaporation du #trafic automobile
    http://carfree.fr/index.php/2023/06/28/levaporation-du-trafic-automobile

    C’est arrivé à certains d’entre nous. Vous vouliez créer une rue sans voiture, mais on vous a opposé des prévisions convaincantes d’augmentation du trafic dans les rues avoisinantes. Bien que Lire la suite...

    #Fin_de_l'automobile #Fin_des_autoroutes #allemagne #angleterre #autoroutes #congestion #Europe #histoire #italie #japon #londres #lyon #new-york #routes #Suisse #usa

  • Highway to hell
    http://carfree.fr/index.php/2023/06/23/highway-to-hell

    En pleine lutte supposée contre le réchauffement, les chantiers (auto)routiers continuent d’être légion. Tout – les considérations environnementales, mais aussi logistiques – pointe vers l’irrationnalité de tels projets. Comment expliquer Lire la suite...

    #Fin_de_l'automobile #Fin_des_autoroutes #autoroutes #castres #france #routes #Suisse #toulouse

  • Les dirigeants du CICR bénéficient de salaires pouvant dépasser 300’000 francs Ludovic Rocchi, Pôle enquête RTS - Radio Télévision Suisse

    Les langues se délient à l’interne du Comité international de la Croix Rouge (CICR), frappé par une crise financière sans précédent et forcé de licencier 1800 personnes sur un total de 22’700 employés. Dans ce climat très tendu, les critiques contre la hiérarchie sont nombreuses et des informations sur les avantages offerts aux plus hauts cadres du CICR ont été transmises au Pôle enquête de la RTS.

    Les chiffres qui circulent à l’interne émanent des données du fisc américain, qui contiennent tous les salaires et les autres avantages financiers dédiés aux postes à responsabilité. Le CICR doit fournir ces informations comme toute autre organisation de charité qui veut être exemptée d’impôts aux Etats-Unis.


    Les données fiscales rendues publiques s’arrêtent pour l’instant à 2021. En convertissant les dollars en francs suisses, on constate que des records ont été atteints pendant les années 2010, celles du règne de l’ancien président Peter Maurer. Il a touché jusqu’à 437’000 francs par année. L’ancien directeur général Yves Daccord, lui, a atteint 330’000 francs.

    Chiffres confirmés par le CICR
    Le CICR a confirmé ces chiffres à la RTS et a accepté de préciser leur évolution : l’ancien secrétaire d’Etat Peter Maurer a été nommé en 2012 avec un salaire initial de 390’000 francs, qui a donc été augmenté de plus de 40’000 francs par la suite. Historiquement, le rôle de directeur général est un peu moins bien payé. A son arrivée en 2010, Yves Daccord touchait 300’000 francs. Il aussi été augmenté par la suite. Cette tendance à la hausse connaît actuellement un coup d’arrêt. La nouvelle présidente du CICR Mirjana Spoljaric doit se contenter de 390’000 francs et le directeur général Roberto Mardini touche, lui, 320’000 francs de salaire de base.

    Selon les données du fisc américain, les plus hauts cadres ont aussi droit à un défrayement annuel allant de 18’000 à 24’000 francs. En 2021, les six autres membres de la direction touchaient des salaires compris entre 250’000 et 290’000 francs. Autre salaire en haut de la liste, celui du vice-président du CICR, Gilles Carbonnier, qui touche environ 290’000 francs par an.

    Les grandes agences de l’ONU comme point de comparaison
    Ces rémunérations sont régies par une grille salariale pour les membres de la direction, alors que les montants pour la présidence et le directeur général sont fixés par le comité du CICR et sa commission de rémunération. L’organisation phare de la Genève internationale défend la hauteur des rémunérations offertes à ses plus hauts cadres, comme l’a expliqué dans La Matinale de la RTS, la directrice des Ressources humaines Claire Sperandio : « C’est une organisation qui s’est énormément professionnalisée, avec plus 20’000 employés et plus de 2 milliards de francs de budget. Nous avons donc besoin dans nos fonctions dirigeantes des meilleurs talents possibles. Pour ce faire, on se doit d’être attractifs et compétitifs, le salaire en fait partie ».

    La directrice RH précise que « le CICR se situe en moyenne 20% en dessous des autres acteurs du secteur », selon des comparaisons régulièrement effectuées notamment avec les grandes agences de l’ONU. Ce point de comparaison est critiqué par un ancien du CICR, le conseiller national (Verts/GE) Nicolas Walder : « Le CICR devrait se montrer plus modeste sur ses rémunérations et ferait mieux de s’aligner sur des ONG que sur les agences de l’ONU. Il en va de la crédibilité de l’organisation qui a par ailleurs besoin d’être soutenue plus que jamais par la Suisse ».

    Coûteuses indemnités de départ
    Un autre avantage financier alimente les critiques sur la « Rolls de l’humanitaire », comme certains appellent le CICR à Genève. Il s’agit d’un système d’indemnités de départ lié à l’ancienneté, qui s’applique aux membres de la direction quand leur mandat prend fin. Les données du fisc américain font apparaître en 2021 un versement de plus de 300’000 francs à Yves Daccord, alors qu’il a quitté son poste de directeur général en juin 2020.

    Le CICR indique à la RTS qu’il s’agit d’un versement « tout à fait normal et réglementaire », qui correspond à une indemnité de départ de 12 mois de salaire, le maximum prévu si on a été plus de 16 ans au service du CICR, ce qui était le cas d’Yves Daccord. Mais il est parti de son plein gré après une fin de carrière passée au poste de directeur général.

    Comment justifier le versement d’une indemnité de départ, alors que le système a été conçu à la base pour accompagner les reconversions après de longues missions à l’étranger, puis étendu à l’ensemble du personnel dont le contrat n’est pas renouvelé ou prend fin ? Selon le CICR, le cas des membres de la direction est différent, car ils ont des mandats de quatre ans, renouvelables ou pas. « Il faut qu’ils puissent se consacrer à leur mandat jusqu’au dernier jour et ne pas penser à la suite, explique Claire Sperandio. Les indemnités de départ font partie d’une offre qu’on veut attractive et compétitive ».

    Ce système a coûté cher au CICR qui a renouvelé l’entier de sa direction ces trois dernières années. A part le directeur général, six autres membres de la direction sont partis. Le CICR a refusé d’indiquer à la RTS la somme consacrée à leurs indemnités de départ : « Nous considérons que de manière générale les salaires exacts des membres de notre personnel sont privés et confidentiels ».

    Il faudra donc attendre les prochaines publications du fisc américain pour avoir les chiffres précis. Selon notre estimation, cinq des six membres de la direction remplissaient les critères d’ancienneté pour toucher l’indemnité maximale de 12 mois de salaire. Au total, cela peut représenter plus d’un million de francs d’indemnités.

    #cicr l’ #humanitaire un #marché #ong #onu #Suisse
    Source : https://www.rts.ch/info/suisse/14122276-les-dirigeants-du-cicr-beneficient-de-salaires-pouvant-depasser-300000-

    • « L’humanitaire est un marché très compétitif », justifie Yves Daccord

      Invité jeudi dans La Matinale, l’ancien directeur général du CICR Yves Daccord a réagi à l’enquête de la RTS sur les salaires des dirigeants de l’organisation, évoquant des « choix stratégiques ». « J’avais conscience que c’était important mais aussi qu’il était nécessaire d’avoir un bon salaire pour attirer les bonnes compétences », argumente-t-il.

      Et d’ajouter : « L’environnement de l’humanitaire est un marché très compétitif. Il fallait trouver des compétences remarquables, avec des personnes qui parlent plusieurs langues ». Il évoque notamment des médecins très pointus, des ingénieurs de système IT ou encore des diplomates. Pour Yves Daccord , les humanitaires font un métier complexe et ils méritent donc d’avoir des salaires justifiés, y compris en ce qui concerne les indemnités de départ.

  • Inégalités salariales, rien ne bouge

    Entretien avec Jean-François Marquis conduit par Achille Karangwa
    L’historien Jean-François Marquis analyse les ressorts des écarts de rémunérations entre femmes et hommes et déconstruit quelques idées reçues. Entretien en amont de la grève féministe de ce mercredi 14 juin. Les différences de revenus tout au long de la vie ou au sein des entreprises entre les hommes et les femmes, ainsi qu’entre les secteurs majoritairement masculins ou majoritairement féminins, sont-elles dues à des choix distincts des deux sexes ? Sont-elles pour partie inexplicables ? L’historien vaudois et militant au Syndicat des services publics Jean-François Marquis décrypte.

    https://entreleslignesentrelesmots.wordpress.com/2023/06/19/inegalites-salariales-rien-ne-bouge

    #féminisme #suisse

  • #Horlogerie, ordre et #anarchisme

    Il y a plus d’un siècle et demi, les travailleurs de l’#industrie_horlogère suisse contribuèrent à l’essor de l’anarchisme en tant que courant politique révolutionnaire. Organisés, rompus aux combats sociaux, conscients de la réalité économique mondiale et pionniers en matière d’#entraide_ouvrière, ils influencèrent des #mouvements_antiautoritaires à travers toute l’Europe.

    https://www.monde-diplomatique.fr/2023/06/EITEL/65821
    #Suisse #antiautoritarisme