• La Polonia sospenderà temporaneamente il diritto d’asilo a chi arriva dalla Bielorussia

    Le dichiarazioni del primo ministro Tusk e la nuova strategia migratoria.

    La Polonia adotta una nuova strategia migratoria chiamata “Riprendere il controllo. Garantire la sicurezza. Una strategia migratoria completa e responsabile per la Polonia per gli anni 2025-2030”, con l’obiettivo dichiarato di aumentare il controllo alle frontiere e garantire la sicurezza nazionale.

    Il primo ministro Donald Tusk aveva annunciato nei giorni scorsi la sospensione temporanea del diritto di chiedere asilo per le persone che arrivano dalla Bielorussia. “Chiederò il riconoscimento di questa decisione in Europa, perché sappiamo bene come Lukashenko, Putin, i trafficanti di esseri umani usino questo diritto d’asilo in contrasto con l’essenza di [tale] diritto”, aveva dichiarato Tusk, intervenendo alla convention del suo partito Piattaforma Civica. Questa sospensione è infatti uno dei punti centrali della nuova strategia adottata martedì 15 ottobre, nonostante l’opposizione dei quattro ministri del governo del partito “La Sinistra” (Lewica).

    Secondo il riassunto pubblicato sul sito del Governo, la nuova strategia prevede un controllo totale su chi entra ed esce dalla Polonia. Si propone una politica di visti trasparente e selettiva per regolare l’ingresso e il soggiorno, anche per fini economici o educativi. Le persone che intendono stabilirsi in modo permanente nel Paese dovranno rispettare gli standard e i costumi polacchi, integrandosi nella società.

    Il governo sosterrà anche il ritorno in patria dei polacchi all’estero, con incentivi per farli studiare e lavorare in Polonia. La strategia stabilisce inoltre regole per l’accesso degli studenti stranieri, che non devono servire esclusivamente per facilitare l’ingresso e la residenza legale. Anche l’accesso al mercato del lavoro per gli stranieri è regolato, evitando abusi e tenendo conto delle professioni carenti. Infine, è prevista la possibilità di una sospensione territoriale e temporanea del diritto d’asilo, come misura per contrastare le cosiddette “attività ibride” condotte dalla Bielorussia e dai trafficanti di esseri umani.

    Questa strategia mira principalmente ad affrontare la situazione al confine con la Bielorussia, critica dal 2021, nonché le carenze e la corruzione nel sistema dei visti della Polonia sotto il precedente governo (PiS). Queste misure si aggiungerebbero a quelle già attuate dal governo Tusk nel corso dell’ultimo anno, dimostrando una continuità nell’approccio restrittivo e securitario alla gestione della migrazione alla sicurezza dei confini. Il suo governo, al potere da Dicembre 2023, ha portato infatti avanti il progetto “Scudo-Est”, ha reintrodotto la zona cuscinetto di 60 km al confine, e approvato una misura che consente agli agenti l’uso di armi nell’evento di una minaccia al confine.

    Tuttavia, mentre la Polonia intensifica i suoi sforzi per controllare gli ingressi nel paese, le implicazioni legali di queste politiche, in particolare la sospensione del diritto d’asilo, potrebbero scontrarsi con gli obblighi internazionali del Paese. Il diritto internazionale esige infatti che i Paesi offrano alle persone il diritto di chiedere asilo, e la Polonia è già stata accusata di aver violato quest’obbligo al confine con la Bielorussia dal Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa, Michael O’Flaherty, e dal Relatore Speciale delle Nazioni Unite sui diritti umani dei migranti, Gehad Madi 1.

    Più di 60 organizzazioni, tra cui Grupa Granica e Fundacja Ocalenie, hanno firmato una lettera aperta indirizzata al primo ministro Tusk, per chiedere il rispetto dei diritti umani fondamentali nella gestione delle politiche migratorie. Le lettera sottolinea l’importanza di decisioni e parole prudenti che garantiscano la sicurezza e la dignità delle persone, in linea con i principi democratici e di legalità su cui si fonda l’Europa.

    Questa la traduzione della lettera:

    «Onorevole Primo Ministro,
    I diritti fondamentali, cioè i diritti e le libertà a cui ogni essere umano ha diritto, non sono oggetto di discussione o di contrattazione politica o di offerte, semplicemente sono e devono essere rispettati, perché è così che abbiamo costruito i moderni principi europei della democrazia. È grazie ad essi che migliaia di polacchi hanno trovato rifugio all’estero durante i tempi duri del totalitarismo comunista, e noi siamo diventati uno dei maggiori beneficiari di questi diritti.

    Viviamo in tempi difficili e incerti, con guerre che scoppiano di tanto in tanto in tutto il mondo, e noi stessi stiamo operando alle soglie della guerra, ma questo non ci esime dalla nostra umanità e dal rispetto della legge, che abbiamo sempre custodito come il palmo della nostra mano. Perché è la legge che è garanzia di sicurezza per noi stessi, garanzia per i più a rischio, garanzia per la vita.

    Chiediamo quindi decisioni e parole prudenti, perché sono guardate e ascoltate non solo da tutta l’Europa, ma dalla maggioranza dei suoi cittadini, per i quali sono un importante segnale per le azioni future. Soprattutto oggi, in un Paese multinazionale come la Polonia sta diventando».

    Anche la vicedirettrice regionale di Amnesty International per l’Europa Dinushika Dissanayake ha dichiarato: «La sospensione del diritto di chiedere asilo è palesemente illegale e il Primo Ministro Tusk lo sa. Gli Stati membri dell’UE come la Polonia stanno giocando con i diritti dei rifugiati e dei migranti (…) Queste proposte mettono in pericolo i diritti delle persone in cerca di protezione. Penalizzano le persone che possono essere state oggetto di violenza e di traffico o che sono state attirate alle frontiere dell’UE con un falso pretesto».

    Questa eventuale sospensione del diritto d’asilo potrebbe inoltre portare la Polonia a scontrarsi con le istituzioni europee e internazionali, come già successo per altri Stati membri come l’Ungheria. A giugno di quest’anno, infatti, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea aveva ordinato a Budapest di pagare 200 milioni di euro per le restrizioni imposte da tempo al diritto di asilo 2.

    Bisogna osservare e monitorare se e come queste misure della nuova strategia migratoria polacca saranno implementate e se, ancora una volta, i diritti delle persone in movimento e di chi vuole richiedere asilo saranno violati.

    1. Poland to suspend asylum rights as part of tougher migration policy to “regain control” of borders, Notes from Poland (12 ottobre 2024)
    2. ECJ fines Hungary with €200 million over ‘extremely serious’ breach of EU asylum law, EuroNews (giugno 2024)

    https://www.meltingpot.org/2024/10/la-polonia-sospendera-temporaneamente-il-diritto-dasilo-a-chi-arriva-dal

    #Pologne #droit_d'asile #asile #migrations #réfugiés #suspension #Biélorussie

  • Depuis Macron, la police n’exclut plus les fonctionnaires violents

    Exclu Flagrant déni. Depuis 2018, il n’y a plus du tout d’#exclusions_disciplinaires pour les policiers violents. Brutalement, les #sanctions ont été divisées par dix. Sébastian Roché (CNRS) y voit un véritable « changement de standards ». Décryptage.

    A côté du pouvoir de #condamnation de la #justice, le ministère de l’Intérieur dispose d’un pouvoir de #sanction_disciplinaire sur les policiers. Darmanin ne cesse de clamer qu’il n’a « jamais eu la main qui tremble pour ceux qui déshonorent leur propre uniforme ». Bien loin des beaux discours, les chiffres prouvent qu’en cas de #violences, le ministre donne presque toujours l’#absolution. Analyse en un #graphique et trois leçons.

    1) Hausse de la #violence, mais baisse des sanctions

    Les #sanctions_disciplinaires internes à la #police prononcées pour #violences_illégitimes ont baissé brutalement depuis que #Macron est au pouvoir. Jusqu’en 2017, année de son élection, on compte une centaine de sanctions par an (parfois plus, parfois un peu moins). Brutalement, dès 2018, ce chiffre tombe à 20 ou 30 par an (voir également notre tableau avec les chiffres complets).

    Pour comprendre ces chiffres, nous avons interrogé #Sébastian_Roché, directeur de recherches au CNRS et spécialiste de la police. Il explique : « Il y a bien une rupture dans la série statistique, un décrochement. La méthode standard, c’est de chercher un élément qui aurait déclenché ce décrochement. Avec des données mensualisées, on aurait pu y voir plus clair, mais la transparence du ministère est insuffisante. Pour autant, on voit bien qu’il se passe quelque chose. En 2017 il y a une tendance à la baisse, puis une accélération de cette baisse ».

    « Or, poursuit le chercheur, sur cette même période, on constate qu’il y a une hausse de l’#usage_de_la_force et des #armes par la police. Il y a une élévation très nette du nombre de tirs de #LBD, de #grenades sur cette période, notamment pendant la crise des #Gilets_jaunes ». En effet, entre les mandats de Hollande et de Macron, le nombre de tirs de LBD a été multiplié par trois.

    Sébastian Roché analyse : « On pourrait imaginer que plus on demande à la police d’intervenir, plus il y a de confrontations, et plus y a de #fautes , ce serait logique. Or là c’est complètement l’inverse. Mon hypothèse c’est que la crise pousse les autorités à considérer que les comportements violents ne sont pas des fautes. Ces chiffres suggèrent ça ».

    2) Les « vraies » sanctions divisées par 10

    Les sanctions disciplinaires applicables aux policiers (comme à tous les fonctionnaires) sont classées en quatre groupes en fonction de leur gravité. Le premier groupe comprend les sanctions qui ne passent pas en commission de discipline et sont effacées du dossier du fonctionnaire au bout de trois ans : #blâme, #avertissement, #suspension_de_fonctions de trois jours maximum. En fait, comme l’explique Sébastian Roché, il s’agit plus de simples « #rappels_à_la_loi » (comme ceux que peuvent prononcer les procureurs devant la justice), que de vraies sanctions.

    Or, ces « rappels à la loi » constituent la majorité des sanctions prononcées en cas de violences illégitimes. Et depuis 2018, c’est presque les seules. Le ministère de l’Intérieur ne sanctionne quasiment plus ces comportements : 2,5 véritables sanctions en moyenne par an (autant dire rien), contre au moins une trentaine annuelle avant 2018. Dans le détail, depuis 2018, on compte seulement 11 exclusions temporaires (dont une seule de plus de 15 jours), 2 rétrogradations, et 1 déplacement d’office. Les 55 autres « sanctions » prononcées depuis 2018 sont des blâmes ou des avertissements.

    Sébastian Roché note la concomitance entre l’élection de Macron et la baisse du nombre de vraies sanctions. Il pointe le rôle probable de la #hiérarchie_policière : « Ce n’est certainement pas Emmanuel Macron qui a donné des instructions. Mais on peut imaginer qu’avec la crise des Gilets jaunes, le #DGPN [directeur général de la police] se dise : “c’est le mauvais moment pour prononcer des sanctions”. Les règles semblent suspendues, voire annulées. Car depuis la fin de la crise des Gilets jaunes, la baisse du nombre de sanctions se prolonge. Il y a une modification des #standards ».

    3) La justice est désormais la seule à prononcer des exclusions

    Avant 2018, des exclusions définitives pour violences étaient parfois décidées : 13 en 2011, 7 en 2016, 5 en 2016, etc. L’exclusion peut résulter soit d’une mise à la retraite d’office, soit d’une exclusion pure et simple. Depuis 2018, l’Intérieur n’exclut plus les policiers violents. Pour Sébastian Roché, « c’est un point très important car les données sont précises et claires. C’est la meilleure preuve d’un changement de standard » dans la façon du ministère de l’Intérieur de gérer le phénomène des violences.

    Qu’en est-il du côté judiciaire ? Lorsqu’elle condamne un policier, la justice peut prononcer une peine complémentaire d’interdiction d’exercer. Cette interdiction peut être temporaire, ou définitive. Dans ce dernier cas, et même dans certains cas d’interdiction temporaire, une « #radiation_des_cadres » (équivalent au licenciement pour les fonctionnaires) doit intervenir. Flagrant Déni a pu accéder aux chiffres des #peines_complémentaires du ministère de la Justice (voir Méthodo). Le constat est clair : ce dernier est bien plus sévère que l’Intérieur. Entre 2018 et 2021, la justice a prononcé 72 interdictions d’exercer (temporaires ou définitives) pour des policiers, gendarmes et autres « personnes dépositaires » violentes .

    Ainsi, le #ministère_de_l’Intérieur compte en moyenne plus de 3 « radiations des cadres » (c’est-à-dire des exclusions définitives) pour violences illégitimes par an depuis 2018. Légalement, ces radiations ne peuvent pas être décidées par le DGPN à titre de sanctions. Elles interviennent sans doute suite aux condamnations judiciaires. Contacté le 11 mai 2023, le DGPN ne nous a pas répondu. Moralité pour les victimes : n’oubliez de rappeler à la justice qui si elle ne fait pas le travail de sanction disciplinaire, ce n’est pas Darmanin qui s’en occupera…

    https://www.flagrant-deni.fr/depuis-macron-la-police-nexclut-plus-les-fonctionnaires-violents
    #macronisme #violences_policières #impunité #statistiques #France #chiffres

    aussi signalé par @colporteur ici :
    https://seenthis.net/messages/1003945

  • Dématérialiser pour mieux régner : l’algorithmisation du contrôle CAF
    https://lvsl.fr/dematerialiser-pour-mieux-regner-lalgorithmisation-du-controle-caf

    On sait que grâce à la dématérialisation des dix dernières années, la CAF dispose de profils très fins des allocataires. Elle dispose des données collectées par les services sociaux, partagées et interconnectées avec d’autres nombreux services. La volonté politique affichée au moment de développement de l’algorithme était de lutter contre la fraude à la CAF, en définissant un profil-type de « fraudeur » social et en le comparant à chaque allocataire. Ce profil type est constitué de plusieurs variables, qui correspondent à des caractéristiques, qui permettent d’établir pour chaque personne allocataire un score de risque qui va de zéro à un.

    Plus la personne est proche du profil type, plus le score de risque est élevé ; et plus le score est élevé plus cette personne a une probabilité de subir un contrôle. Parmi ces critères, figurent par exemple le fait d’être un parent seul ou d’être né en dehors de l’UE. Pour mieux comprendre le fonctionnement et les critères de l’algorithme, on a fait des demandes d’accès à des documents administratifs auprès de la CNAF. [Voir le détail du fonctionnement de l’algorithme et la liste des critères pris en compte dans l’enquête de la Quadrature, n.d.r.].

    • Que faire pour se défendre ? Face à une suspension de droits, la première des choses est de faire une demande de motif pour la suspension. Généralement il n’y a pas de réponse, donc on essaie d’avoir des arguments pour organiser la défense sans réponse sur les motifs. Il faut d’abord faire un recours amiable devant la commission de recours amiable : c’est obligatoire pour aller au contentieux. Et les commissions de recours amiable ne répondent jamais. Au bout de deux mois sans réponse, on va aller au contentieux, soit devant le tribunal administratif, soit devant le pôle social du tribunal judiciaire. Et là se pose le problème des délais. Le recours est censé être suspensif, c’est-à-dire de rétablir le versement des droits, mais le fait de faire un recours n’interrompt pas la suspension et les allocataires restent toujours sans ressources, dans une situation véritablement d’impasse.

      Il faut compter quatre, six mois, voire un an dans une procédure normale pour avoir une audience. Et une fois devant la justice, les CAF sont très familières d’un procédé qui est le renvoi d’audience : dès lors qu’elles reçoivent une assignation et qu’une date d’audience est fixée, elles font généralement un rappel partiel ou total des droits pour lesquels l’allocataire a saisi la juridiction, avec une incitation vive à ce que l’allocataire se désiste.

      Si ce dernier ne le fait pas et qu’il va jusqu’à l’audience, un renvoi est systématiquement demandé – les renvois c’est encore trois, quatre cinq, six, huit mois – et les CAF vont utiliser des manœuvres dilatoires, elles vont par exemple redéclencher un contrôle. Je l’ai vu dans tous les cas qui sont passés au pôle social du tribunal judiciaire. A l’issue de ce laborieux processus, on peut arriver à terme à obtenir des bons jugements et à rétablir la situation des personnes allocataires, mais elles se seront trouvées pendant huit, neuf, dix mois, un an sans ressources. Je vous laisse imaginer les situations que ça peut générer…

  • #Métaliste sur l’#accord entre #Italie et #Albanie pour la construction de #centres d’accueil (sic) et identification des migrants/#réfugiés sur le territoire albanais...

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    ajouté à la métaliste sur les tentatives de différentes pays européens d’#externalisation non seulement des contrôles frontaliers (https://seenthis.net/messages/731749), mais aussi de la #procédure_d'asile dans des #pays_tiers :
    https://seenthis.net/messages/900122

    #migrations #externalisation

  • La Cavale, Partie II, Chapitre IX

    Une nouvelle arrivante, âgée, très sale, probablement alcoolisée.

    Simone s’en plaint, Albertine :
    « À l’unisson, je peste avec conviction, dirigeant toutefois mes imprécations vers « les salauds qui emmerdent encore les gens à cet âge-là ». »

    « Je remarque l’iris, très beau, de ce marron brillant des noisettes, et à nouveau la pitié me serre le kiki. »

    [...]

    « À sa manière de taper la paillasse, on devine que ce n’est pas la première fois ; pour déplier ses berlues, elle a retrouvé la vivacité de ses vingt ans. »

    Le matin au réveil bruit bizarre, Simone est énervée. Narration brillante, suspense, en fait c’est « Grand mère » qui se gratte.

    La vieille est très vieille et abîmée surtout ses pieds. Albertine les lui lave et lui soigne à la fin du chapitre.

    #solidarité #arrivéeenprison #autorité #antimatons #vieillesse #narration #suspense

  • Migranti, la Corte costituzionale albanese sospende la ratifica dell’accordo con l’Italia

    L’intervento dopo due ricorsi presentati dal Partito democratico di Tirana e da deputati vicini all’ex premier Berisha. Fonti di Palazzo Chigi: “Nessuna preoccupazione”

    ROMA - Rinunciare alla sovranità nei due territori che il premier Edi Rama ha offerto all’Italia per la realizzazione di centri di accoglienza per migranti è un atto che avrebbe dovuto essere preventivamente autorizzato dal presidente della Repubblica. Si basa su questa contestazione il ricorso presentato dalle opposizioni al governo di Tirana, col quale è stato bloccato in extremis l’accordo che oggi avrebbe dovuto essere ratificato dal parlamento.

    (#paywall)
    https://www.repubblica.it/politica/2023/12/13/news/accordo_italia_albania_sui_migranti_sospeso_dallalta_corte_albanese-42165

    #suspension #Italie #asile #migrations #réfugiés #Albanie #accord #externalisation #centres

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    ajouté à la métaliste sur l’#accord entre #Italie et #Albanie pour la construction de #centres d’accueil (sic) et identification des migrants/#réfugiés sur le territoire albanais...
    https://seenthis.net/messages/1043873

    • Albania: la Corte Costituzionale sospende l’accordo Rama-Meloni

      La Corte Costituzionale albanese ha sospeso la ratifica del controverso accordo tra Edi Rama e la premier italiana Giorgia Meloni sulla creazione di centri di accoglienza e rimpatrio per migranti sul suolo albanese, finanziati e gestiti dall’Italia. Le reazioni della politica albanese

      Con una decisione lampo, la Corte Costituzionale albanese ha sospeso la ratifica del protocollo sul trasferimento dei migranti stipulato tra il premier Edi Rama e l’omologa italiana Giorgia Meloni del 6 novembre scorso. La procedura di ratifica, prevista per giovedì 14 dicembre, era stata inserita nell’agenda del parlamento con procedura accelerata dalla maggioranza socialista al governo.

      Nell’esame preliminare, i tre giudici della Corte Costituzionale hanno ritenuto ammissibile il ricorso presentato dall’opposizione di centro destra, sottoponendo il caso alla decisione della seduta plenaria prevista per il 18 gennaio prossimo. La Corte dovrà pronunciare la decisione finale entro tre mesi dalla data di presentazione del ricorso, ossia entro il 6 marzo 2024.

      Immediate sono state le reazioni dei due schieramenti politici contrapposti. Mentre gli esponenti del Partito Socialista hanno ribadito il rispetto di tutte le procedure vigenti per la stipula dell’accordo, l’opposizione ha esultato per la parziale vittoria.

      Al suo rientro dal summit Ue-Balcani Occidentali, il premier Rama ha tagliato corto sulla questione durante la conferenza stampa . “È un diritto della Corte Costituzionale [...] quello di esaminare un accordo con uno stato estero. Non ho nulla da aggiungere riguardo ai miei compiti”.
      Fronte comune contro l’accordo

      28 deputati della frazione “Rifondazione” del Partito Democratico (PD), guidata dall’ex premier Sali Berisha, e due del Partito della Libertà dell’ex presidente Ilir Meta hanno presentato il 6 dicembre scorso un ricorso per incostituzionalità del protocollo bilaterale sul trasferimento dei migranti.

      Il gruppo di deputati sostiene che non sia stata rispettata la procedura per la negoziazione e la stipula dell’accordo, in quanto il suo oggetto rientra nelle categorie di accordi che necessitano dell’autorizzazione preventiva del Presidente della Repubblica.

      Oltre alla questione della cessazione temporanea della sovranità territoriale del Porto di Shëngjin e dell’area di Gjadër all’Italia (dove era previsto che arrivassero i migranti), i ricorrenti evidenziano una violazione di almeno due articoli della Costituzione, rispettivamente l’Art. 16 sul principio di uguaglianza tra i cittadini stranieri presenti in Albania e i cittadini albanesi, e l’Art. 27 sulla limitazione ingiusta delle libertà personali, considerato che i migranti verranno detenuti in un’area confinata per un periodo fino a 18 mesi senza un giusto motivo.

      “Abbiamo intentato la causa per proteggere gli interessi dei cittadini. Non si può decidere il destino del nostro Paese violando i diritti umani. Siamo grati al popolo italiano, ma questo non lo riguarda”, ha dichiarato per i media Lindita Metaliaj, deputata del PD.

      Nel suo comunicato stampa, la Corte Costituzionale ha ribadito che i ricorrenti hanno presentato tre richieste consecutive per la sospensione della procedura di ratifica parlamentare dell’accordo.

      Nella mattina del 6 dicembre scorso, oltre al ricorso di Rifondazione, è stato presentato anche un secondo ricorso da parte della frazione moderata che rappresenta ufficialmente il Partito Democratico, guidata da Lulzim Basha.

      In un comunicato stampa, il vicepresidente Kreshnik Çollaku ha dichiarato che “l’accordo [con l’Italia] è stato annunciato in modo strano, senza preavviso, suscitando una logica reazione di preoccupazione, e diventando oggetto di profondo dibattito pubblico sia in [Albania] che in Italia”, ed ha precisato: “In Albania c’è stata mancanza di trasparenza da parte del primo ministro. Rama è riuscito più volte a nascondersi sfruttando il caos parlamentare, evitando il dibattito pubblico”.

      I moderati del PD chiedono alla Corte Costituzionale la dichiarazione di incostituzionalità dell’accordo Rama-Meloni, la sospensione della procedura di ratifica in parlamento e la sua incompatibilità con gli Art. 3, 4 e 7 della Costituzione albanese.

      Uno dei primi “effetti” dell’accordo sui migranti è stato quello di placare lo scontro tra le due frazioni del PD, profondamente diviso e frammentato negli ultimi due anni.
      La maggioranza compatta

      L’opposizione ha tentato in diversi modi di bloccare i lavori delle commissioni parlamentari nelle quali era prevista l’approvazione in prima lettura dell’accordo con l’Italia. Per contrastare le resistenze, le commissioni parlamentari si sono riunite online approvando l’accordo con i soli voti della maggioranza.

      Nel suo intervento il ministro degli Interni Taulant Balla ha sottolineato che attraverso il protocollo si mette a disposizione del governo italiano una superficie di territorio per la realizzazione delle strutture ospitanti degli immigrati irregolari. “Non si tratta di alcuna forma di cessione dei territori, poiché restano territori della Repubblica d’Albania, ma concediamo il diritto all’uso temporaneo di una superficie precedentemente determinata nell’accordo”.

      Dal canto suo il presidente della commissione sicurezza Nasip Naço ha definito le reazioni dell’opposizione come tentativi di protagonismo personale da parte di coloro che hanno perso il senso della politica.

      In seguito alla sospensione dell’accordo, il presidente del gruppo parlamentare socialista, Bledar Çuçi, ha dichiarato che la maggioranza attuerà ogni decisione della Corte Costituzionale, ritenendo che l’accordo sia molto importante “per dimostrare che siamo un paese europeo”.

      Nel corso delle ultime settimane, il premier Rama ha affrontato la questione dell’intesa con l’Italia in diverse occasioni, ribadendo la tesi della solidarietà, seppur riconoscendo il contributo limitato che l’Albania può fornire alla sfida migratoria con cui si sta scontrando l’Ue.

      “L’Albania non può essere la soluzione per risolvere questo problema, ma possiamo dare un aiuto”, ha sottolineato Rama in una intervista per i media albanesi. “Accettando l’accordo agiamo semplicemente come un paese europeo che condivide questa preoccupazione. Sotto l’aspetto politico, aumenta la reputazione dell’Albania”.
      Le reazioni della società civile

      Diversi attivisti della società civile hanno condiviso pubblicamente il proprio scetticismo sull’attuazione pratica dell’accordo, ribadendo la tendenza diffusa tra i paesi Ue di voler esternalizzare le questioni migratorie a scapito del rispetto dei diritti umani. Si teme che la costruzione di due centri nella provincia di Lezha possa avere una ricaduta negativa sul turismo, oltre che un potenziale serio problema per la sicurezza nazionale.

      Un’alleanza di 29 organizzazioni non governative ha rivolto una lettera aperta al governo domandando il suo ritiro dall’accordo con l’Italia. Le organizzazioni esprimono la loro preoccupazione per la mancanza di trasparenza e di consultazioni con i gruppi di interesse.

      Nei primi giorni successivi all’annuncio dell’accordo, hanno avuto luogo alcune sporadiche proteste civiche a bassa partecipazione a Lezha e a Tirana. A favore dell’organizzazione di proteste nazionali si è inizialmente espresso anche il leader di Rifondazione Berisha, obbligato poi a fare dietrofront in seguito alla chiamata del ministro degli Esteri italiano Antonio Tajani.
      Voci fuori dal coro

      Con un effetto a sorpresa, dei 7 comuni guidati dal centro destra, due sindaci - uno del comune di Fushë Arrëz nel nord e l’altro di Memaliaj nel sud del paese - hanno chiesto pubblicamente al premier di ospitare un determinato numero di migranti negli spazi a messi a disposizione nei rispettivi comuni, come previsto dall’intesa con il governo italiano.

      “È il momento di mostrare la nostra ospitalità, basata sull’esperienza e sull’ospitalità che noi immigrati stessi abbiamo trovato da molti anni nei paesi europei”, ha ribadito Albert Malaj , sindaco di Memaliaj, nella sua lettera aperta.

      https://www.balcanicaucaso.org/aree/Albania/Albania-la-Corte-Costituzionale-sospende-l-accordo-Rama-Meloni-22902

    • En Albanie, la Cour constitutionnelle suspend l’accord avec l’Italie sur l’externalisation des demandes d’asile

      La Cour constitutionnelle de Tirana a annoncé mercredi la suspension des procédures parlementaires, censées valider l’accord avec Rome sur l’externalisation des demandeurs d’asile. La Haute Cour estime que le texte viole la Constitution albanaise et les conventions internationales, une circonstance qui nécessite l’arrêt de la ratification parlementaire jusqu’au prochain verdict de la Cour.

      Premier revers pour l’accord entre l’Albanie et l’Italie. La Cour constitutionnelle de Tirana a annoncé mercredi 13 décembre la suspension des procédures parlementaires, qui doivent valider le texte, initialement prévu ce jeudi.

      Le partenariat entre ces deux pays, signé le 6 novembre par la Première ministre italienne Giorgia Meloni et son homologue albanais Edi Rama, prévoit d’envoyer une partie des demandeurs d’asile secourus en Méditerranée centrale dans ce pays, non membre de l’Union européenne (UE). Au total, 30 000 personnes seront envoyées en Albanie sur une période d’un an.

      Le 6 décembre, le Conseil des ministres italiens avait approuvé cet accord, ouvrant la voie à la construction de deux centres en Albanie, pour accueillir les demandeurs d’asile et y examiner leurs dossiers.

      Mais la Haute Cour albanaise a mis un coup d’arrêt au projet. La justice a accepté deux appels, déposés séparément par le Parti démocratique albanais et 28 autres députés alignés aux côtés de l’ancien Premier ministre de centre-droit Sali Berisha, qui suspend automatiquement le texte.

      Les conclusions de la Cour affirment que l’accord viole la Constitution albanaise et les conventions internationales signées par Tirana, une circonstance qui nécessite l’arrêt de la ratification parlementaire jusqu’au prochain verdict de la Cour.

      Le tribunal doit se prononcer dans les trois mois suivant le dépôt du recours, soit le 6 mars 2024. Sa première séance plénière est attendue le 18 janvier.
      « Nous ne vendons pas un morceau de terre albanaise »

      Mercredi, le ministre albanais de l’Intérieur, Taulant Balla, avait défendu son partenariat, estimant qu’il avait « le droit de négocier de tels accords au nom de la République d’Albanie », ajoutant que celui-ci était « entièrement conforme à la constitution ». Le ministre a également répondu aux opposants du projet en affirmant que « nous ne vendons pas un morceau de terre albanaise » à l’Italie. « Nous offrons cette terre à l’Italie comme nous le faisons habituellement, par exemple lorsque nous installons une ambassade », a insisté Taulant Balla.

      La juridiction à l’intérieur du camp sera italienne, mais la terre restera albanaise, a-t-il assuré. L’Italie prendra en charge les coûts du projet, ainsi que les dépenses supplémentaires engagées par la police albanaise pour assurer la sécurité en dehors du périmètre du camp.

      En Italie aussi, cet accord est vivement critiqué. Lors de l’annonce du texte début novembre, le député et secrétaire du parti d’opposition Più Europa, Riccardo Magi, avait déclaré : « On crée une sorte de Guantanamo italien, en dehors de toute norme internationale, en dehors de l’UE, sans la possibilité de contrôler la détention des personnes enfermées dans ces centres ».

      L’ONG Amnesty international évoquait de son côté un partenariat « illégal et irréalisable ». « Il s’agit d’un accord de refoulement, une pratique interdite par les normes européennes et internationales et pour laquelle l’Italie a déjà été condamnée par la Cour européenne des droits de l’Homme », avait déploré Elisa de Pieri d’Amnesty international.

      Du côté de la Commission européenne, en revanche, on se félicite d’un tel accord, jugé conforme aux obligations de l’UE. Dans une lettre adressée aux États membres, la présidente Ursula von der Leyen estime qu’il « s’agit d’un exemple de réflexion originale, basée sur un partage équitable des responsabilités avec les pays tiers ».


      https://www.infomigrants.net/fr/post/53894/en-albanie-la-cour-constitutionnelle-suspend-laccord-avec-litalie-sur-

  • 🚨 RÉFORME DU RSA : LA NOTE SUR LE DANGER DE LA RÉFORME QUE LE GOUVERNEMENT VOULAIT CACHER. 🧶, Arthur Delaporte, député de la 2ème circonscription du Calvados • Porte-parole du groupe PS à l’A.N.

    https://threadreaderapp.com/thread/1706736451625370073.html

    Comment la réforme du RSA va mettre les Français dans la galère plutôt qu’au travail.

    Depuis lundi, l’Assemblée nationale étudie le texte « pour le plein emploi ». Au menu : 15h d’activité obligatoire par semaine pour les allocataires du RSA et des sanctions à la pelle.
    C’est là que ça se corse. On a beau demander au ministre @olivierdussopt d’avoir des données sur les sanctions : combien ? sur quels territoires ? pour quelle efficacité ?

    Aucune réponse. Le parlement légifère à l’aveugle.

    ce Monsieur publie en 1ère page cette note, réputée publique, mais ne la publie pas. je ne la trouve nulle part...

    #RSA #France_travail #loi_plein_emploi #sanctions

    • Ration non plus ne publie pas la note CNAF France Travail : des députés socialistes dénoncent une réforme « à l’aveugle » des sanctions du RSA
      https://www.liberation.fr/economie/social/france-travail-des-deputes-socialistes-denoncent-une-reforme-a-laveugle-d

      Arthur Delaporte et Jérôme Guedj ont obtenu de la CNAF une étude partielle sur les sanctions imposées aux allocataires de ce revenu minimal de subsistance. Et y trouvent la preuve que « la sanction a pour conséquence d’exclure du RSA ».

      En réformant le système de sanction des allocataires du RSA avec son projet de loi « France Travail » (ou « plein emploi »), le gouvernement a-t-il une idée de ce qu’il fait ? C’est la question que veulent poser deux députés socialistes, Arthur Delaporte (Calvados) et Jérôme Guedj (Essonne), alors que l’Assemblée nationale examine cette semaine le texte dans l’hémicycle. Au cœur de leur offensive, lancée ce mardi après-midi en séance, figure un document obtenu lundi soir par Jérôme Guedj auprès de la Caisse nationale d’allocation familiale (CNAF), en sa qualité de coprésident de la Mission d’évaluation et de contrôle des lois de financement de la sécurité sociale (Mecss). « Depuis mai dernier, je demande des éléments sur les sanctions actuellement appliquées, mais le gouvernement ne répond pas », explique Arthur Delaporte. « Jeudi, Jérôme [Guedj] a envoyé un courrier en tant que coprésident de la Mecss au président de la CNAF, qui lui a répondu hier soir tard en disant que ces éléments ne lui ont jamais été demandés par quiconque. Donc le gouvernement ne les a jamais demandés, ce qui est un peu surprenant. »

      Interpellé par Arthur Delaporte dans l’hémicycle ce mardi, le ministre du Travail, Olivier Dussopt, a répondu qu’il « n’existe pas de relevé statistique du nombre de radiés (…) au niveau national, et donc nous n’avons pas ce fichier-là ». Pour autant, la CNAF – qui confirme au passage n’avoir pas de suivi statistique sur le sujet des sanctions – est bien parvenue, dans un temps très court et à la demande des députés socialistes, à fournir une étude portant sur un seul mois, celui de juin 2022. Seulement, précise le rédacteur de cette note que Libération a pu consulter, ces données sont « fragiles » et « doivent donc être considérées avec grande prudence, comme des ordres de grandeurs ».

      Que disent-elles ? Qu’au mois de juin 2022, les CAF ont sanctionné 31 500 personnes, réparties dans 31 000 foyers bénéficiaires du RSA « pour non-respect des obligations du contrat d’engagement réciproque (“droits et devoirs”) » (1). Ces sanctions, justifiées par une absence de déclaration des ressources ou à la suite d’un contrôle, pouvaient prendre la forme soit d’une suspension du RSA (dans 40 % des cas) ou d’une réduction de l’allocation d’un certain taux ou d’un certain montant (257 euros en moyenne, une somme importante rapportée aux 504 euros qui constituaient le droit moyen au RSA à verser pour l’ensemble des foyers allocataires en juin 2022). Il s’agissait bien, précise la CNAF, d’un « stock » et non d’un flux, ce qui signifie que ces 31 000 foyers, soit 2 % du total des foyers bénéficiaires, constituaient l’intégralité de ceux visés par des sanctions ce mois-là. Et que, relève la note, « la sanction semble avoir un impact sur le droit au RSA à moyen terme », en entraînant « fréquemment une sortie du droit ». Ainsi, alors que près de la moitié des personnes sanctionnées en juin 2022 avaient droit au RSA, elles n’étaient plus que 35 % en octobre, quatre mois plus tard.

      L’étude de la CNAF n’avance aucune explication à ce phénomène. Pour Arthur Delaporte, c’est la preuve que « la sanction a pour conséquence d’exclure du RSA, ce que pointent d’ailleurs les associations », et que « la loi va avoir des conséquences extrêmement graves sur l’exclusion, la pauvreté ». « On légifère à l’aveugle », accuse-t-il encore en dénonçant la pauvreté de l’étude d’impact accompagnant le projet de loi. Des arguments que les socialistes ne manqueront pas de faire valoir lors de l’examen de l’article 3 du texte, qui introduit justement une nouvelle sanction dans le système en permettant une suspension quasi immédiate de l’allocation, laquelle peut ensuite être remboursée à l’allocataire (dans une limite de trois mois) s’il est rentré dans le droit chemin.

      (1) Il faut y ajouter, précise la note, 13 000 foyers dont le RSA a été suspendu sur décision du Conseil départemental [instance en charge du pilotage local et de l’"insertion", ndc], mais l’étude ne s’attarde pas sur eux.

      #CNAF #CAF #déclaration_de_ressources #contrôle #allocataire #suspension #droit_au_RSA #Conseil_départemental

    • Les salariés de Pôle emploi étaient en grève, ce mardi 26 septembre, pour dénoncer le texte de loi examiné en ce moment à l’Assemblée nationale. Malgré la contestation, le ministre du Travail, Olivier Dussopt, croit dur comme fer à son adoption par le vote.
      https://www.humanite.fr/social-et-economie/emploi/france-travail-un-projet-purement-coercitif

      Face à la mobilisation des agents, le ministre met en avant les 4 000 créations de postes à #Pôle_emploi durant le premier quinquennat et confirme un prochain relèvement du plafond des effectifs de 300 personnes. Le ministre du Travail n’en démord pas. « Pôle emploi, devenu France Travail, aura les moyens de faire face à ses nouveaux engagements tant en termes de services mutualisés que d’accueil et d’accompagnement renforcé des demandeurs d’emploi et allocataires du RSA. »

      Pourtant, l’équation est par essence insoluble : « On va demander aux 54 000 agents de suivre et contrôler 2 millions de personnes au RSA qui devront s’inscrire à France Travail. Seule une partie d’entre elles l’étaient jusqu’ici, met en parallèle Loïc Kerdraon. Beaucoup de collègues sont déjà en souffrance. Quand je visite une agence, je vois les salariés en larmes et d’autres qui me confient prendre des cachets. »

      à ma prochaine visite chez pôpol, je leur proposerai une goulée de mon kil de rouge pour faire descendre les cachetons.

    • "La loi sur le plein emploi terrorise les bénéficiaires du RSA" dénonce Sandrine Rousseau
      https://www.sudradio.fr/sud-radio/la-loi-sur-le-plein-emploi-terrorise-les-beneficiaires-du-rsa-denonce-sandr

      Parmi les nouvelles mesures, les conjoints des bénéficiaires de RSA seront inscrits sur les listes de demandeurs d’emploi. "Au nom de quoi ? C’est très grave !" s’indigne Sandrine Rousseau, qui indique qu’elle ne votera pas le texte. La députée dénonce par ailleurs le contrat d’engagement de 15 à 20h d’activité pour les bénéficiaires du RSA. "Le but de la loi est de pouvoir avoir la main sur les #radiations des personnes qui bénéficient du RSA" affirme la députée.
      "Il y a des choses scélérates dans cette loi, comme la nécessité de participation active. Mais qu’est-ce qu’une participation active ? J’ai posé cette question dans la commission". Pour Sandrine Rousseau, "cette loi ouvre une forme d’arbitraire. On aide les bénéficiaires du RSA en les respectant et pas en les menaçant. Cette loi les terrorise ! Elle est faite pour qu’ils aient peur de perdre le RSA, c’est scandaleux !" "Il faut un accompagnement mais pas un #accompagnement de #terreur" estime la députée très en colère, car "on n’embête pas les personnes les plus riches".

      #menace (et Rectorat de Versailles)

      Loi “plein-emploi ” : les seuls #parasites sont les #patrons
      https://journal.lutte-ouvriere.org/2023/09/21/loi-plein-emploi-les-seuls-parasites-sont-les-patrons_726648

      il s’agit aussi et surtout d’avaliser l’idée que les allocataires du RSA, les #chômeurs et, de façon générale, tous ceux qui se débattent avec les malheureuses aumônes distribuées par l’État seraient au fond des parasites. Ainsi, les chômeurs fabriqués par la course au profit, la jeunesse des bourgs ravagés par les fermetures d’usine, les travailleurs broyés par l’exploitation, les mères qui se battent pour élever leurs enfants dans leurs quartiers dégradés seraient responsables des déficits publics. Le gouvernement et, derrière lui, la classe dominante voudraient opposer tous ceux-là aux salariés qui ont un emploi plus ou moins régulier, désormais rebaptisés classe moyenne.

    • FACE À LA CASSE DU RSA, NOUS OPPOSONS LA NÉCESSAIRE MISE EN PLACE D’UN REVENU MINIMUM D’EXISTENCE, 14/09/2023
      https://www.jean-jaures.org/publication/face-a-la-casse-du-rsa-nous-opposons-la-necessaire-mise-en-place-dun-re

      À l’approche de l’examen à l’Assemblée nationale de la réforme du RSA que le gouvernement souhaiterait conditionner, Arthur Delaporte, Simon Rumel-Sixdenier et Johanna Buchter, avec la contribution de Guillaume Mathelier, proposent avec le groupe socialiste à l’Assemblée nationale la mise en place d’un #revenu_minimum_d’existence inconditionnel, revalorisé, ouvert aux plus de 18 ans, qui serait assorti d’un droit opposable à l’accompagnement pour l’insertion sociale. Plus largement, ils donnent des pistes pour repenser le modèle des prestations sociales.

      #PS #protection_sociale #accompagnement #handicap_social

  • La France suspend les visas pour les étudiants du #Mali, #Burkina_Faso et #Niger

    Paris a décidé de suspendre les visas pour les étudiants du Mali, du Burkina Faso et du Niger. La France justifie sa décision par la fermeture de ses #services_consulaires dans ces pays. Les relations avec ces trois États sont tendues depuis les #coups_d’État successifs.

    Les étudiants originaires du Mali, du Burkina Faso et du Niger ne pourront plus obtenir de visa pour poursuivre leur scolarité en France. Le ministère français des Affaires étrangères a annoncé samedi 16 septembre suspendre les visas pour ces trois pays. « Les services #campus_France et visas ne peuvent plus fonctionner normalement », indique le ministère, en raison de la fermeture des services consulaires français.

    Les étudiants maliens, burkinabè et nigériens déjà sur le territoire français ne sont en revanche pas concernés par la mesure. « Les artistes, étudiants et chercheurs déjà en France poursuivent normalement leurs activités et leurs études, et sont les bienvenus », ajoute la même source.

    Campus France, qui est l’agence française de promotion à l’étranger de l’#enseignement_supérieur français et de l’accueil des étudiants étrangers en France, précise que les bourses accordées aux étudiants de ces trois pays déjà sur le territoire français « restent actives ».

    La France compte actuellement quelque 3 000 étudiants maliens, 2 500 burkinabè et 1 200 nigériens dans ses établissements d’enseignement supérieur.

    « Le ministère de l’Europe et des Affaires étrangères n’a jamais donné instruction de suspendre la coopération avec le Mali, le Niger et le Burkina Faso, ou leurs ressortissants. C’est la coopération de la France dans ces trois pays qui est suspendue, compte tenu du contexte sécuritaire et politique », a-t-il ajouté auprès de l’AFP.

    Vendredi, le ministère de la Recherche et de l’Enseignement supérieur avait indiqué à l’AFP être « contraint de suspendre [ses] services de visas et [sa] coopération civile pour des raisons de sécurité ». Pour autant « il n’est pas question de stopper des coopérations existantes avec des universités ou d’autres établissements scientifiques ».

    Pour des raisons de sécurité, la France a suspendu depuis le 7 août la délivrance de visas depuis Niamey, Ouagadougou et Bamako. Les relations avec ces trois pays sont tendues depuis les coups d’État successifs.


    https://www.infomigrants.net/fr/post/51896/la-france-suspend-les-visas-pour-les-etudiants-du-mali-burkina-faso-et

    #suspension #visas #France #étudiants #étudiants_étrangers #université #facs

  • La vente du livre dont un chapitre décrit les pratiques de #harcèlement_sexuel d’un ponte (des études déconiales notamment, sic !) de #Coimbra - #Boaventura_Sousa_Santos - a été suspendue par #Routledge

    Ici la réaction de Boaventura Sousa Santos :

    O livro «Sexual Misconduct in Academia» q expôs, alegadamente, situações de assédio (e abuso) sexual no #CES da @UnivdeCoimbra deixou de estar disponível para venda no site da @routledgebooks. Que conclusões tirar deste excerto de entrevista de Boaventura Sousa Santos? #assédio

    https://twitter.com/migueldelemos/status/1679121982535741441


    résultat de recherche avec ce lien : https://www.taylorfrancis.com/books/edit/10.4324/9781003289944/sexual-misconduct-academia-delyth-edwards-erin-pritchard

    #suspension #censure #livre #suspension #université #harcèlement

    • #Boaventura dá primeira entrevista sobre acusações: «Fui feminista toda a vida. Mas é preciso distinguir as lutas genuínas»

      Editora Routledge suspendeu venda do livro no qual três mulheres acusam o académico de conduta inapropriada. Boaventura diz não conhecer «detalhes da decisão da editora»; uma das alegadas vítimas, porém, disse ao DN ter sido contactada por advogado «para acordo». Em entrevista, o sociólogo apresenta-se como vítima de «vingança» e da sua posição sobre guerra na Ucrânia.

      «Posso informar que o livro está suspenso, por a acusação ser tão grave. Porque é na verdade uma acusação criminal sob o disfarce de um trabalho científico. (...) Espero que a editora reconsidere. Porque publicou cinco livros da minha autoria, dois singulares e três coletivos. Eles próprios estão um pouco perplexos com a qualidade deste capítulo.»

      Numa entrevista tornada pública no Youtube esta terça-feira, e na qual fala longamente sobre a acusação de que foi alvo, assumindo ter cometido «erros, atos incorretos, mas nunca crimes», e estar «muito tranquilo, confiante de que a verdade triunfará», Boaventura Sousa Santos deu assim a novidade de que o livro Sexual Misconduct in Academia (Conduta Sexual Inapropriada na Academia), cujo último capítulo é uma descrição de alegados factos ocorridos no Centro de Estudos Sociais da Universidade de Coimbra, com ele próprio, sob o crisma de «Professor Estrela», como figura central, teve a sua venda suspensa pela editora Routledge dois meses após a publicação.

      No site da editora, há apenas uma nota lacónica: «Este livro está temporariamente indisponível, por estar sob revisão». Ao DN, Boaventura Sousa Santos assume já saber da suspensão «há algum tempo», mas garante não conhecer detalhes da decisão, nem se a editora tenciona recolher os livros que estão à venda em várias plataformas e livrarias: «Não tenho recebido nenhuma comunicação da Routledge sobre manutenção da publicação do artigo ou se a venda será suspensa em outras plataformas.»

      Reconhece porém que, após ter conhecimento do capítulo no qual se viu retratado, expôs diretamente à editora - na qual tem várias obras publicadas, e que acaba de publicar, já após o rebentar do escândalo, em abril, outro livro seu, From the Pandemic to Utopia, the Future Begins Now - as suas críticas. Aliás, diz achar «natural» a decisão da Routledge, «dado que o artigo sofreu críticas bastante contundentes no meio académico em relação ao seu caráter pouco ou nada científico.» E lamenta que «se tenham apercebido disso meses depois de destruírem a minha imagem e depois de me causarem irrecuperáveis prejuízos a nível pessoal e profissional. Entendo a suspensão como um reconhecimento, ainda que tardio, de que o artigo não devia ter sido publicado.»

      Na entrevista referida, conduzida pelo austríaco Josef Muehlbauer, que se descreve no Twitter como «anarco-sindicalista seguidor de Noam Chomsky e feminista queer», o sociólogo português nega caráter científico ao artigo publicado pela Routledge e da autoria das académicas Lieselotte Viaene, Catarina Laranjeiro e Miye Nadya Tom - "Não faço ideia de quem foram os revisores científicos do artigo, porque se o ler verá que a bibliografia não tem nada a ver com a parte empírica, que se baseia naquilo a que chamam «rede de murmúrios». Nunca fizeram uma entrevista..." - e descreve-o como «uma vingança» pessoal da parte da principal autora, a investigadora belga Lieselotte Viaene, que já tinha atacado duramente em abril, quando falou ao DN, na sua primeira reação pública à publicação do capítulo.

      "Foi expulsa do nosso centro. Tivemos de instaurar um processo disciplinar contra esta mulher, por conduta inapropriada, e ela prometeu vingança quando se foi embora, disse isso na altura a algumas colegas. (...) E soube que uma das outras duas autoras até disse: "O artigo não era para ser contra o «Professor Estrela», porque o admiramos, mas a versão final é da belga e ela pôs tudo em cima do professor porque se queria vingar.""
      Coletivo de vítimas organiza prova; Isabella diz que foi contactada para «acordo»; académico nega

      A notícia da suspensão da venda do livro pela Routledge já tinha sido dada em primeira mão esta segunda-feira, numa «carta aberta» assinada pelo "coletivo de vítimas CES-UC (Centro de Estudos Sociais da Universidade de Coimbra) e publicada no site Buala. Na carta, a quarta publicada pelo coletivo e dirigida à editora, as signatárias, que se identificam como «sete mulheres, de nacionalidades brasileira, portuguesa, peruana e mexicana», dizem não ter conseguido esclarecimentos, junto das autoras do capítulo sobre o CES, acerca dos motivos da suspensão da venda do livro, e terem decidido então interpelar a Routledge.

      Informando que «as nossas experiências permitem atestar a veracidade do padrão de comportamentos descrito no capítulo 12», e que «a publicação do livro foi determinante para que nos organizássemos em coletivo e para a decisão de juntarmos provas testemunhais e documentais que corroboram os diversos tipos de abusos descritos naquele capítulo», cumprindo «um papel essencial na elucidação do padrão de abuso de poder que sofremos e testemunhámos», as sete mulheres anunciam estar a organizar «um dossiê circunstanciado com um conjunto alargado de provas documentais e testemunhais que comprovam as ações incorretas e o padrão de assédio sexual e moral descrito pelas autoras da publicação.»

      A razão pela qual essas provas ainda não foram apresentadas, dizem, «é a demora do próprio CES em iniciar qualquer processo investigativo sobre as denúncias. Estamos aguardando que seja instituída a Comissão Independente do CES [anunciada pela direção do centro como a instância que vai investigar as acusações], ocasião em que apresentaremos nosso Dossiê, que pretendemos também tornar público.»

      A política brasileira Isabella Gonçalves, uma das duas mulheres que em abril vieram a público assumir, com um relato detalhado, serem vítimas de assédio sexual por parte de Boaventura Sousa Santos - a outra é a ativista indígena Moira Millán -, e cujo caso é relatado no capítulo do livro como o de «uma estudante internacional de doutoramento» a quem o então diretor do CES, seu orientador de tese, teria proposto trocar intimidade por «apoio académico», disse ao DN estar associada ao coletivo. «Nos frustra o facto de que até hoje nunca fomos contactadas pelo CES e não temos informações sobre a comissão independente.»

      Questionada sobre o motivo pelo qual acha que Boaventura Sousa Santos nunca tentou até agora, ao contrário do que fez com Moira Millán, refutar aquilo de que ela o acusa, a deputada do Partido Socialismo e Liberdade, que na altura exigiu mudar de orientador e acabou por abandonar o CES (e que conta que algum tempo depois dos factos o académico lhe quis pedir desculpa), diz não saber: «Não sei porquê o silêncio dele sobre o meu caso». Adianta porém ter sido, já após as suas declarações públicas, contactada «por uma advogada dele», tendo preferido «não seguir o contacto».

      Esse contacto, de acordo com Isabella Gonçalves, foi no sentido de «chegarem a um acordo». À pergunta do DN «pagando?», responde: «Não chegámos a debater os termos.» Confrontada com a hipótese de que Boaventura Sousa Santos tenha igualmente efetuado uma démarche jurídica junto da editora, admite ser possível: «Ele mostra que já sabia da suspensão do livro, imagino que possa ter tomado alguma ação para isso.»

      Ao pedido de confirmação e esclarecimento sobre este contacto, Boaventura Sousa Santos responde: «Tenho um advogado para a minha defesa constituído em Portugal, que aguarda a Comissão para que possa atuar de facto no caso. Ele não fez nenhum contacto.»
      "Havia interesse em calar-me. E de facto calaram-me"

      Na longa parte da referida entrevista em que apresenta pela primeira vez de viva voz a sua defesa - até agora limitara-se a responder por escrito a perguntas de jornalistas e a publicar comunicados - Boaventura não fala apenas das autoras do capítulo, da editora e de quem o acusa. Tem também como alvo o movimento feminista.

      «Há uma divisão no movimento, uma divisão muito séria, entre os que seguem o tipo de movimento metoo, dos EUA, e a ideia é tolerância zero - uma denúncia é uma condenação», diz o sociólogo. «As feministas mais novas acham que o homem é o inimigo. E tenho de as compreender como sociólogo, até escrevi um documento de autocrítica [refere-se a um artigo publicado no Expresso em junho], admitindo que no passado cometi erros. Mas nunca fiz aquelas coisas, é absurdo. (...) Temos de distinguir lutas genuínas, sabe?»

      Garantindo ter sido «um feminista toda a vida», refere o seu trabalho como prova: «É por isso que aponto o heteropatriarcado como parte do sistema de dominação. Muitas pessoas acharam que não devia colocar a dominação patriarcal no mesmo nível da classe e da raça.»

      Admite porém que apesar de ter tentado na prática «ser consistente» com a sua teoria, não foi. "Nunca somos totalmente consistentes, já se sabe. E uma pessoa da minha geração, particularmente no passado, cometeu certos atos incorretos, erros, mas nunca crimes. Coisas incorretas que podem ser consideradas coisas machistas e chauvinistas, como dizer «hoje está particularmente bonita» ou «muito bem vestida» - coisas que hoje não se podem dizer mas que em 2010, 2000, provavelmente podia dizer e não era ofensivo. Há realmente uma mudança na sociedade e temos de a respeitar. Temos de viver no nosso tempo. Se há desigualdades de poder? Claro, na academia e em geral, e tenho lutado contra elas. Mas no meio de uma luta justa há uma coisa muito injusta, a meu ver."

      Fala também das divisões na esquerda - «É uma infelicidade e estamos num período em que há muitas divisões e usualmente são as pessoas de esquerda q são vítimas destas coisas. Estamos a destruir o pensamento crítico» -, apontando-se como um «alvo» por «razões diferentes e de forma muito injusta.»

      Uma das razões, diz suspeitar, é a sua posição sobre a guerra na Ucrânia. «Sou quase a única voz em Portugal contra a guerra na Ucrânia. Fui muito contra a invasão ilegal da Ucrânia pela Rússia. Mas a partir desse momento, porque vivo nos EUA há tanto tempo, sei que esta guerra foi provocada pelos EUA para neutralizar a Rússia - e para tentar neutralizar a China. (...) Sou quase a única figura pública conhecida a dizer isto nos jornais. (...) O que tenho dito causou escândalo e havia interesse em calar-me. E de facto calaram-me - publico as minhas crónicas mas não nos principais jornais, como costumava fazer.»

      Queixa-se até de não lhe darem sequer voz para se defender: "Não posso ir para os jornais expor a minha posição, porque dizem «OK, é a sua posição mas a posição da mulher prevalece». Acho que em 90% dos casos podem estar certos, mas às vezes estão errados."

      Sublinhando que aguarda poder apresentar as provas - «hard facts», «documentos, emails, faxes» - à comissão independente que o CES anunciou para investigar o caso (e que três meses depois ainda não foi, como noticiou o Público, nomeada), exemplifica com o que considera ser «a refutação completa» que publicou das acusações que lhe foram feitas pela ativista indígena Moira Millán, através de mails que alegadamente esta trocou consigo desde 2010 (quando teria ocorrido a agressão sexual de que ela se diz vítima) e 2014, lamentando: "Um dos problemas é que as pessoas já nem leem as refutações, por se se está em «tolerância zero», o que conta é a denúncia. E não é verdade, porque temos de ver os factos."

      Por fim, comenta: "Espero que a verdade triunfe. Isto faz parte da nossa vida no mundo, tenho de ser um sociólogo no meu tempo. E como não tenho um partido, uma igreja, uma sociedade secreta para me proteger, estou só em campo aberto. Nunca esperei que abordasse esta questão [dirigindo-se ao entrevistador, que se manteve calado durante toda esta parte, com cerca de 30 minutos, da entrevista], e poderia dizer «essa não, porque está sob investigação». Mas gostei de falar consigo. E assim fica a perceber o que sinto sobre isto."

      https://www.dn.pt/sociedade/boaventura-da-primeira-entrevista-sobre-acusacoes-fui-feminista-toda-a-vida-mas-e

    • Open Letter to Routledge - Taylor & Francis Group

      Academic censorship on sexual misconduct and power abuse: Not in our academia!

      #NotInOurAcademia

      #NoEnNuestraAcademia

      #NãoNaNossaAcademia

      #MeTooAcademia

      If you want to sign this open letter, please sign the form here and your name will be added

      Sexual misconduct is rife in higher education. In the UK, for example, sexual harassment carried out by academic staff towards students was documented in a 2018 report, Power in the Academy, which found that one in eight students had been subjected to unwanted touching from academics. These incidents are perpetuated by institutions historically rooted in patriarchal, racist, competitive, objectifying and hierarchical practices of knowledge and power.

      The book Sexual Misconduct in Academia: Informing an Ethics of Care in the University (2023) came together to address this emergency, to show ways forward, and to overcome silences.

      The two editors, Delyth Edwards and Erin Pritchard, and the 23 authors of this book represent a collective of PhD students, early career researchers, First Generation scholars, Indigenous scholars, and disabled scholars, based in Australia, India, North America, the UK and several European countries. Many of us have been affected by sexual harassment and assault - including rape - during our academic careers, often leaving us with deep traumatic wounds. We speak out despite the risk of legal, public or professional repercussions, such as losing our jobs. We have chosen to write about and analyse our experiences with the intention of promoting open dialogue about the realities of sexual misconduct and power abuse in academia in order to enact a much-needed deep transformation in our professional field.

      Chapter 12 of the book, “The wall spoke when nobody else would: Autoethnographic notes on sexual-power gatekeeping within avant-garde academia”, was written by Lieselotte Viaene, Catarina Laranjeiro, and Miye Nadya Tom. It analyses sexual misconduct within an unnamed research centre, describing the culture and social norms that enabled the harassment to occur, as well as ways in which resistance took place. The authors collectively analysed such concepts as “star professor”, “whisper network”, “sexual-power gatekeepers”, “academic incest”, “intellectual and sexual extractivism”, “gaslighting”, and “institutional witch-hunt”.

      After the book’s publication in March 2023, a professor felt he was being referred to in Chapter 12, suggesting that he was the “star professor”, and threatened the authors with legal actions in the press. He also denounced the book and its editors among his networks.

      In certain academic circles the chapter became widely discussed and the authors, as well as other victims who stood up publicly, have received international support via open letters. The person who has identified himself as the “star professor”, along with others, appears to have used his power and the law to silence the chapter, the book and its authors. In June 2023 the book was temporarily withdrawn from circulation while Routledge - Taylor & Francis Group looked into “complaints” and a cease-and-desist letter it had received about the chapter. On 31 August 2023 the authors of Chapter 12 were informed that Routledge - Taylor & Francis Group were reverting the rights for the chapter to them. The editors were not informed of this decision, nor were they told what would happen to the rest of the book. The webpage for the book has now disappeared.

      Women presenting conference.

      These events are not only of great concern in relation to the silencing of the voices of the survivors who wrote Chapter 12, but also in relation to wider questions of how commercial publishers handle this issue. This controversy raises many questions, two of which we want to bring to the attention of the international academic community:

      - Can we, as an academic community, allow a private publisher to intervene in and even censor such an important, urgent and necessary debate in our professional field?

      – Academic writing is still the core tool of academic knowledge production worldwide, but when we as researchers are no longer allowed to reflect critically about how to transform our field from within, what are the implications for critical reflection on academia from within?

      It is well known that abusers, harassers and their enablers are increasingly turning to the law (in and out of court) to further intimidate, oppress and silence those who speak out about sexual violence and power abuse both within and outside of academia. It is not acceptable to simply defer to the legal threats of the powerful. As such, the legal context is weighted against victim-survivors. This is why academic publishers such as Routledge need to recognise their role within the wider academic community, and take a stance on this issue. Where publishers are profiting from publishing academic work, then they also need to take responsibility for the conditions of production of academic outputs. Academic research is produced in a context where women, LGBTQ+ people, and even men, in the Global North and South, are at risk of sexual harassment and power abuse. This context needs to be recognised in the ways that publishers work with those who write about these issues, instead of re-victimising them. Such support should include standing by authors where defamation threats are made.

      Furthermore, academic freedom upholds the right of academics to freedom of inquiry - to pursue and discuss ideas related to their field. Sexual harassment and power abuse in academia is an area that is in urgent need of further analysis and inquiry, hence the publication of this book.

      By signing this letter, the undersigned join in solidarity with the authors and editors of the book, in particular the authors of Chapter 12. We salute their strength and work, and support the editors and supporters of the book in calling on Routledge - Taylor & Francis Group:

      - to publicly state why they have removed the chapter and the book itself from their website

      - to reinstate chapter 12 and the book as a whole and to stand up to legal threats

      If you want to sign this open letter, please add your name here: https://docs.google.com/forms/d/19FX-p5Otrm_pk4ePmDWQIuGNgMXAg4pIePlRlJlRKtA/edit?pli=1. See current list of signatories below.

      https://www.buala.org/en/mukanda/open-letter-to-routledge-taylor-francis-group

    • « Nous savons toutes ». Un #MeToo universitaire au Portugal

      En mars 2023, un chapitre d’ouvrage dénonçait le harcèlement moral et sexuel dont les autrices avaient été victimes et témoins dans leur Centre de recherche. Dans leur sillage, le sociologue Boaventura de Sousa Santos, professeur et directeur émérite, était mis en cause. En solidarité, un large ensemble de signataires dénoncent une culture académique abusive, l’abandon des institutions et la violation de l’éthique professionnelle dans un environnement de précarité généralisée. En faisant appel à un changement de paradigme urgent, ce texte a donné naissance à un #MeToo universitaire au Portugal.

      En mars 2023, l’ouvrage Sexual Misconduct in Academia Informing an Ethics of Care in the University a été publié chez Routledge (New York). Ce livre, principalement à destination des universitaires, traite des expériences de violences sexistes et sexuelles au sein du monde académique.

      Un de ses chapitres s’intitule « The walls spoke when no one else would : Autoethnographic notes on sexual-power gatekeeping within avant-garde academia », et a été signé par les chercheuses Lieselotte Viaene, Catarina Laranjeiro et Miye Nadya Tom.

      Passées par le Centre d’études sociales (CES) de l’Université de Coimbra, au Portugal, les autrices s’appuient sur la méthode auto-ethnographique pour développer une analyse critique de dynamiques de pouvoir complexes au sein de cette institution internationalement reconnue comme pionnière dans le champ des études postcoloniales et décoloniales.

      Sans jamais nommer personne, ni la prestigieuse institution, elles élaborent une analyse qui permet de déceler comment les rapports entre le savoir et le pouvoir sont interconnectés et ancrés, à travers des figures-type telles que le « Star professor », la « Watchwoman », ou le « Apprentice ».

      Victimes et témoins de harcèlement en contexte universitaire, elles dénoncent une culture académique abusive, l’extractivisme intellectuel et sexuel, l’abandon des institutions, voire la violation de l’éthique professionnelle, dans un environnement de précarité généralisée ; tout en faisant appel à un changement de paradigme urgent.

      Ce texte a depuis désormais plus d’un mois déclenché un débat médiatique important au Portugal et à l’international, donnant naissance à un mouvement MeToo universitaire. Dans son sillage, le sociologue Boaventura de Sousa Santos, professeur et directeur émérite du CES de Coimbra, incarnation lusophone de l’intellectuel engagé, est aujourd’hui accusé de harcèlement et d’abus sexuels, notamment par la députée de gauche brésilienne Bella Gonçalves (qui a été sa doctorante en 2013-2014) ou encore par l’autrice mapuche Moira Millán.

      Si le débat public autour de ces questions est nécessaire, il comporte également une série de risques : représailles envers les autrices, instrumentalisation politique réactionnaire, dévalorisation de tout le travail scientifique développé au sein du CES de Coimbra, individualisation de problèmes qui sont en réalité systémiques – particulièrement au Portugal, mais aussi ailleurs.

      En ce contexte d’attaques et de mise en lumière publique des victimes, une vingtaine de personnes, la plupart des femmes, ont rédigé ce manifeste en solidarité avec les autrices du chapitre et avec toutes les victimes de harcèlement, tout en essayant de redéfinir les termes du débat, d’un point de vue féministe intersectionnel, solidaire, pour la justice transformatrice du milieu académique et de la société en général.

      Le texte a été publié dans le quotidien portugais Público le 14 avril. Depuis, il a été signé par plus de 900 personnes, et traduit en anglais et espagnol, ce qui a permis d’ élargir le débat, qui a notamment pris beaucoup d’ampleur en Amérique Latine.

      Nous le publions ici pour la première fois en français.

      « Nous savons toutes »

      Face au débat public en cours suscité par la publication de l’étude “The walls spoke when no one else would : Autoethnographic notes on sexual-power gatekeeping within avant-garde academia”, dans l’ouvrage Sexual Misconduct in Academia : Informing an Ethics of Care in the University (Routledge, 2023), nous exprimons notre entière solidarité avec les autrices et les autres voix qui se sont manifestées publiquement, ainsi qu’avec toutes les personnes victimes d’abus de pouvoir et d’autres formes de violence à l’intérieur et à l’extérieur du monde universitaire. Ce document est une contribution collective et inachevée pour un débat en cours.

      I - SOLIDARITÉ TOTALE

      1. Il ne s’agit pas de diffamation

      Les situations abusives répétées et persistantes décrites dans le texte, loin d’être épisodiques ou de représenter une attaque concertée en vue d’une diffamation personnelle, institutionnelle ou politique, doivent être interprétées comme une critique des dynamiques institutionnelles systémiques, récurrentes à l’intérieur comme à l’extérieur de l’université.

      2. C’est structurel et structurant

      Le harcèlement sexuel et moral, l’extractivisme intellectuel (la pratique de plagier ou de reproduire le travail d’autrui sans le citer, en le présentant comme sien), ainsi que d’autres formes de violence, sont structurelles et structurantes dans un système universitaire fondé sur des hiérarchies professionnelles marquées et des divisions de classe, de genre et ethno-raciales. Une dimension particulièrement insidieuse de cette structure hiérarchique concerne la concentration du pouvoir et, par conséquent, l’accaparement de ressources financières essentielles au développement des carrières de recherche, dont la grande majorité repose sur la précarité. Dans ce contexte, le harcèlement peut toucher les hommes. Cependant, il touche principalement les femmes, compte tenu des difficultés accrues qu’elles rencontrent dans le développement de leur carrière, en raison, entre autres, du droit à la maternité et l’exercice de tâches de soin. Vue la manière dont le harcèlement et la violence à l’égard des femmes sont naturalisés dans une société patriarcale et sexiste, de tels actes sont souvent dévalorisés par les institutions où ils sont commis, les agresseurs bénéficiant de l’inertie et de la connivence des personnes ayant des responsabilités administratives. Ainsi, que ce soit par apathie ou par rationalisation des comportements abusifs, les personnes impliquées dans la gestion de ces institutions sont également imbriquées dans ces réseaux complexes de pouvoir, devenant complices des abus.

      3. Les représailles

      Les personnes cibles de violences ne décident pas de se soumettre à l’examen public à la légère. Elles savent d’avance ce qui les attend : des jugements de valeur, l’humiliation, la déformation des faits, la dévalorisation, le ridicule et une potentielle re-traumatisation. Souvent, les personnes accusées d’abus font appel à des principes consensuels de justice, tout en transférant la culpabilité vers les victimes. Parallèlement, elles ont tendance à discréditer les victimes/survivant.e.s en se présentant elles-même comme les victimes d’une persécution politique ou d’une attaque conspiratrice. Bien que dans la plupart des cas les agresseurs concentrent diverses formes de pouvoir — institutionnel et économique —, ils répondent aux accusations en se victimisant eux-mêmes. Cette situation persiste en l’absence d’un cadre juridique et de codes de conduite efficaces. À proprement parler, il n’existe pas de voie claire pour entamer une procédure de dénonciation des abus. Puisque les personnes qui décident de s’exprimer sont totalement dépourvues de protection sur leur lieu de travail ou d’études, elles s’exposent à des représailles. Ces mécanismes sont d’autant plus obscurs qu’ils sont informels, et plus les statuts sont précaires, plus les mesures de dissuasion contre le signalement d’abus sont importantes. Il en résulte un cercle vicieux de re-victimisation, d’isolement, d’auto-culpabilisation, voire d’abandon total de la carrière universitaire, sans parler du traumatisme infligé par de telles situations de violence. Dans le cas en question, les adjectifs utilisés à l’encontre des autrices de l’article, les accusant d’être des femmes « difficiles », « problématiques » ou même « insolentes », s’inscrivent dans une longue tradition patriarcale. Ce sont des lieux (trop)communs mobilisés pour discréditer les femmes. De plus, l’article a été la cible d’arguments masqués sous un vernis académique, en attaquant son prétendu manque de rigueur et la qualité de l’examen par peer-review auquel il a été soumis. L’utilisation de l’auto-ethnographie a été particulièrement critiquée, bien qu’il s’agisse d’une méthode valide et pertinente pour articuler, caractériser et analyser le type d’abus et de violence que le chapitre met en lumière. Nous répudions ces critiques.

      4. « Sans témoin, il n’y a pas de crime »

      Nous respectons le principe de la présomption d’innocence dans la sphère judiciaire. Cependant, nous condamnons la position adoptée par les présumés agresseurs qui se traduit invariablement par un refus de reconnaître le problème. Bien qu’il s’agisse de chercheurs reconnus pour l’étude et l’examen des relations de pouvoir asymétriques dans le monde, ils se montrent incapables d’appliquer ces mêmes outils critiques et théoriques à eux-mêmes. Qui plus est, ils refusent de remettre en question leur position de pouvoir et ne reconnaissent pas la violence abusive que leur désaveu renforce. Cela s’est manifesté de manière flagrante dans la réaction publique immédiate au chapitre et à ses auteurs, notamment par des menaces de poursuites pour diffamation. Cette réaction démontre une connaissance du fonctionnement des mécanismes juridiques, car s’il n’y a pas de témoins, il est d’autant plus difficile (parfois impossible) de prouver qu’un crime a été commis.

      5. La faillite de la justice

      Les mécanismes de la justice n’accompagnent pas les processus de justice sociale et de genre déclenchés par les mouvements sociaux de base. Les exemples de femmes dont l’expérience n’a pas été prise en compte par la justice sont nombreux. Les plaintes pour harcèlement et violence aboutissent souvent à la culpabilisation de la victime, questionnant de son comportement, au détriment de la clarification des faits et de l’application de la justice. Ce modus operandi, qui met en cause la cible des violences plutôt que son auteur, élude le problème et pervertit l’obtention de justice.

      II

      LA DIFFICULTÉ À PARLER

      6. L’inefficacité des mécanismes de dénonciation

      En raison d’un contexte qui ne protège pas les victimes/survivant.e.s, celles-ci finissent par payer un prix trop élevé, soit en termes professionnels (les amenant parfois à renoncer à leurs projets de vie), soit en termes de santé physique, mentale et émotionnelle, portant souvent un traumatisme à vie. Par ailleurs, les plaintes formelles auprès des institutions et des autorités ne constituent pas un mécanisme pleinement efficace. En conséquence, les victimes sont souvent dissuadées de porter plainte — notamment car lorsqu’elles le font, ces situations ont tendance à être étouffées (le cas en question en est un exemple). De manière perfide, l’économie des rankings, des évaluations et du prestige encourage et favorise l’impunité et l’inertie. Ainsi, les institutions préfèrent ne pas “salir” leur nom en évitant d’enquêter sur les cas de harcèlement sexuel, d’abus moral et de plagiat commis par des membres du corps enseignant ou du personnel académique sénior. En 2022, par exemple, il a été révélé qu’un rapport du conseil pédagogique de la faculté de droit de l’université de Lisbonne a reçu, en onze jours seulement, 70 plaintes de harcèlement, dont 50 ont été “validées”, impliquant 31 enseignants. Toutes les plaintes ont été classées et celles qui ont pu poursuivre au sein d’un organe interne de cette faculté ont été prescrite

      7. Régimes de validation du discours

      Il a fallu que les autrices du chapitre passent par les mécanismes les plus largement reconnus de validation académique — l’examen aveugle par peer-review et le fait d’être publiées par une maison d’édition de prestige (Routledge) — pour déclencher une vague d’attention aux situations d’abus de pouvoir. Toutefois, il faut souligner que tout ceci arrive après des tentatives de dénonciation de la part de chercheuses du Sud global qui ont été étouffées ou ignorées au fil des années. Pendant cette même période, soit par le biais de réseaux de chuchotements, soit parce que “les murs ont commencé à parler”, “nous le savions toutes”, même si c’était de manière informelle.

      8. Pouvoir-savoir

      Nous pensons qu’il est fondamental de montrer qu’un processus d’extraction intellectuelle existe et se concentre sur les groupes incarnant des savoirs et des épistémologies situées, qui, dans le contexte universitaire patriarcal et colonial, sont utilisés comme des ressources à capitaliser. Dans ce cadre, les dynamiques décrites dans le chapitre reproduisent les relations de pouvoir-savoir et reconstruisent des modes de production de connaissance marqués par le binarisme domination-subalternité. Paradoxalement, ces dynamiques sont des objets centraux du travail de recherche développé au sein du centre de recherche en question. Ce n’est pas un hasard si plusieurs des dénonciations subséquentes concernaient des chercheuses ancrées dans des contextes qui favorisent leur subalternisation : soit parce qu’elles se retrouvent déplacées de leurs milieux sociaux, culturels et/ou professionnels, soit en raison de leur condition économique, sociale ou migratoire — ou même par la confluence de tous ces facteurs. Dans le cadre d’un déséquilibre des relations de pouvoir, ces dénonciations impliquent, dans certains cas, des sujets dont les positions énonciatives et les perspectives épistémologiques ont été historiquement subalternisées.

      9. La pointe de l’iceberg

      Les cas signalés ne sont que la partie visible de l’iceberg. Le consentement intime est souvent compromis par les relations de pouvoir et la dépendance académique. Ces asymétries de pouvoir conduisent des chercheuses — dépendantes de la validation de l’institution pour leur sécurité financière, voire migratoire — à occulter les abus dont elles sont victimes afin d’éviter les problèmes ou les représailles. Ce phénomène a également été rapporté dans le cas en question. La plupart des victimes ne portent pas plainte par peur, par méfiance à l’égard du système judiciaire, par stratégie de survie ou pour préserver les personnes de leur entourage, celles dont la survie dépend de l’agresseur et souvent même celles qui appartiennent à la sphère intime de l’agresseur. La précarisation croissante du travail universitaire est au cœur de cette vulnérabilité. Certaines femmes ont exprimé la crainte de signer ce manifeste, justement, par peur des représailles. Cependant, le chapitre en question a déclenché plusieurs dénonciations nouvelles, et d’autres s’en suivront certainement. Dans l’espace des deux jours qui ont suivi la publication du chapitre, on peut compter par dizaines les témoignages publics et tout autant de dénonciations, tous faisant indéniablement état d’une réalité connue et tolérée depuis des décennies.

      III

      DES PRATIQUES ÉMANCIPATRICES

      10. Sauvegarder le travail émancipateur

      Le mérite des lignes de recherche importantes et progressistes développées au sein du Centre d’études sociales (CES) de l’université de Coimbra n’est pas à remettre en question. Telle est la confusion que veulent provoquer des tentatives d’instrumentalisation politique de ce cas à l’encontre d’orientations émancipatrices. Il est fondamental de reconnaître la pertinence des instruments de justice sociale et des plateformes permettant le type de pratiques critiques dont le CES a été pionnier. Cette reconnaissance ne doit pas nous empêcher, et ne nous empêchera pas, de constater les graves défaillances de la direction du CES dans la protection de ses chercheuses. Ainsi, nous soulignons que, précisément en raison de l’inscription du centre dans un espace idéologique et discursif émancipateur, l’impunité est inacceptable. C’est dans une écologie de la complexité, du conflit et de l’autocritique permanente que la justice sociale intersectionnelle peut être achevée.

      11. Pour une université pluridiverse et l’intersectionnalité des luttes

      Nous luttons pour une université qui valorise les idées et les pratiques progressistes ; une université capable de l’autocritique, d’accepter les vulnérabilités et d’assumer des pratiques de soin en vue de la justice sociale et de la formation de communautés solidaires et libres d’abus. Nous luttons pour une université où le savoir circule horizontalement, et non à travers des relations de pouvoir patriarcales et coloniales. Une université pluridiverse, égalitaire, intersectionnelle et émancipatrice. Une université libérée de la précarité générale et sans peur du modus operandi féministe dans la construction de personnes émancipées d’assignations prescriptives en raison de critères de genre, de classe, racistes, validistes ou de préceptes culturels. Une université où les lieux de décision et de prestige social ne sont pas le domaine quasi exclusif des hommes blancs, et où les secrétaires et les rôles auxiliaires de nettoyage et de restauration ne sont pas réservés presque exclusivement aux femmes (majoritairement des femmes racialisées ou migrantes, employées de manière précaire). Une université qui rompt avec la tradition des hiérarchies rigides et du renforcement du pouvoir par ceux qui sont plus préoccupés par la préservation de leurs privilèges que par la promotion de communautés de soin et de responsabilité. En résumé, nous rejetons une culture universitaire fondée sur la reproduction des « patriarches géniaux ».

      12. Nous faisons appel aux ministres Elvira Fortunato et Ana Catarina Mendes et à la Fondation pour la Science et la Technologie

      Nous appelons la ministre des sciences, de la technologie et de l’enseignement supérieur, Elvira Fortunato, et la ministre d’État et des affaires parlementaires, Ana Catarina Mendes, ainsi qu’à la Fondation pour la Science et la Technologie (l’agence publique nationale portugaise de soutien à la recherche), à se prononcer et à mettre à disposition les ressources nécessaires pour améliorer les cadres juridiques applicables à ce type de cas dans tous les établissements d’enseignement supérieur et de recherche. Il s’agit notamment d’envisager la nécessité d’adopter des codes juridiques et des cadres réglementaires analogues, par exemple, au "Title IX" en vigueur aux États-Unis. En outre, les instances de régulation de l’éducation et de la recherche scientifique doivent immédiatement créer les conditions pour que tous les établissements d’enseignement supérieur disposent de mécanismes permettant de dénoncer le harcèlement sexuel et moral de manière anonyme, capables de fournir des garanties de protection à toute personne ayant subi des abus. Par ailleurs, nous demandons la constitution de commissions indépendantes et non endogames chargées de mettre en place des mesures préventives, capables d’évaluer les plaintes, d’opérationnaliser les processus et d’aider à la mise en œuvre des sanctions.

      13. Réseau de solidarité sabemostodas[@]gmail.com

      ​Reconnaissant la nécessité de la présomption d’innocence pour une enquête juste dans une démocratie, tant pour les personnes dénonciatrices comme pour les accusées, nous condamnons toute tentative de représailles contre les premières. Nous anticipons cette possibilité contre les personnes signataires, à savoir celles qui ont des affiliations institutionnelles et universitaires, nous serons donc vigilantes et dénoncerons tout comportement punitif et de représailles. Faute de canaux de soutien institutionnels efficaces, nous nous désignons comme espace et réseau de solidarité.

      Nous réaffirmons notre solidarité avec toutes ces femmes et toutes les victimes et survivant.e.s de harcèlement.

      Nous soutenons celles qui ont le courage de s’organiser contre ce système oppressif et toxique, de le dénoncer et de le remettre en question, et qui, par conséquent, se sont retrouvées dans la situation difficile de devoir revivre des traumatismes passés. Nous serons à l’affût de toute tentative de représailles et nous agirons pour réparer tout préjudice.

      Nous serons de plus en plus nombreuses à dénoncer et soutenir les personnes qui déconstruisent les fondements patriarcaux et coloniaux à la base des systèmes universitaires.

      Les rédactrices

      Josina Almeida
      Ana Balona de Oliveira
      Inês Beleza Barreiros
      Maria Benedita Basto
      Ana Bigotte Vieira
      Catarina Boieiro
      Catarina Botelho
      Maria do Carmo Piçarra
      Filipa César
      Fábian Cevallos Vivar
      Andreia Cunha
      Ana Cristina Pereira (Kitty Furtado)
      Inês Espírito Santo
      Sara Goulart
      Marta Lança
      Patrícia Martins Marcos
      Marta Mestre
      Raquel Schefer
      Luísa Semedo
      Júlia Suárez-Krabbe
      Rita Tomás

      https://blogs.mediapart.fr/les-invites-de-mediapart/blog/110523/nous-savons-toutes-un-metoo-universitaire-au-portugal

    • Mapuche activist #Moira_Millán recounts sexual assault by Boaventura de Sousa Santos

      Interview • Lola Matamala • April 18, 2023 • Originally published April 16 in El Salto Diario, Translation by Ojalá

      Boaventura de Sousa Santos (Coimbra, Portugal, 1940) holds a PhD from Yale University, and is a professor at Coimbra University in Portugal. He is among the most prestigious intellectuals on the European left, and has published books including Human Rights, Democracy and Development (Routledge, 2020). He has been a regular participant in international conferences and forums including the World Social Forum.

      In the past week, a group of Portuguese students have accused him of sexual aggression and Brazilian member of congress Bella Gonçalves has added her testimony, as has the well known Mapuche activist, writer and screenwriter Moira Millán.

      I spoke with Millán on Friday April 14, one day before the Latin American Social Science Council (CLACSO) announced via social media the suspension of all activities involving the sociologist, who is among the most prestigious on the continent, “while the investigations are underway.” On April 15, the Center for Social Studies of the Iusa University of Coimbra did the same, suspending all of de Sousa Santos’ academic activities.

      Lola Matamala: Moira, what happened with Boaventura?

      Moira Millán: In 2010 I traveled to Portugal by invitation of a collective of Argentines living in Lisbon for a discussion in the Lusophone University. I let Boaventura know, we had met at the World Social Forum in Brazil, where we had a political exchange that was enjoyable and respectful. He immediately wrote back and invited me to Coimbra to give a talk to his students.

      I accepted, though he didn’t offer to pay. I told him I needed him to pay my expenses because my economic situation was very precarious, and Boaventura said he would pay for my travel, accommodation and meals.

      I arrived in Coimbra and gave the talk. By the time it ended it was quite late and his assistant told me I was to go for dinner in a predetermined location.

      I thought the whole team would go, but when I got there, he was alone. The place he had chosen was a restaurant that belongs to his family, which he had opened so we could have dinner alone. He began to drink heavily and say really strange things as a kind of “flirtation.”

      The whole time I was setting boundaries. When we finished eating he told me he wanted to give me some books, and I asked him to give them to me the next day. He said no, and told me his house was nearby. I agreed to go with him.

      I don’t remember what floor he lived on but I do remember there was a security system to get into the building. We went into the apartment and he got comfortable and began to drink whisky. I wanted to leave, but he told me to sit down. I did, but across from him. When I did, he leaned into me and started touching me, trying to kiss me.

      I got angry and pushed him and I said: “No!” I was upset but I stayed calm. He pushed himself onto me again, and I got very angry and pushed him even harder. I wasn’t going to let anyone rape me, not even Boaventura.

      He realized he wasn’t going to be able to rape me because I wouldn’t allow it. At the same time, I felt like a hostage. I didn’t know how to get out of the building, I didn’t know if it was far, I didn’t have any money to pay for a taxi. I also didn’t have my return flight to Lisbon. I was in his hands, and that sensation made me feel afraid and upset. I tried to calm myself down and I made him think it through, and he calmed down.

      LM: What did you say to calm him down?

      MM: I asked him if he acted this way with white academics or if he just did it with me, since I’m Indigenous and not an academic. We had spoken at length about Blanca Chancoso and I asked him: did you do this to Blanca Chancoso too?

      LM: And what did he say?

      MM: He said of course not. So I responded: then why are you doing this to me? Because I’m poor? Then I started crying, even though I never cry because I’m implacable. I’m the kind of person who says “not a tear for the enemy”. That’s when he apologized, and I left.

      I’m a woman who knows how to defend herself, I have to confront the Argentine Gendarmerie, and he’s an older man. This whole thing could have ended in tragedy because I could have killed him, and I’d be in prison.

      LM: How did you get your return ticket?

      MM: The next day I went to ask his secretary for it, but I was told that he had it and that he was waiting for me in a restaurant. When I heard that I got very upset: it meant the humiliation at his hands would continue. He was like a fussy child who didn’t get what he wanted from me the day before, so he wanted me again the next day.

      His assistant was upset and it’s not her fault, so I went and saw him. And there he was, waiting for me with a bouquet of flowers, begging for forgiveness, but I took my ticket and left.

      ML: When you arrived back in Lisbon, did you tell anyone what happened in Coimbra?

      MM: Yes, and they told me not to mess with him, that the right would take advantage of what happened because he was the guru of the left in a very difficult moment in Portugal. But does a leftwing rapist do less damage than a rightwing rapist?

      LM: As the days went on, and faced with these kinds of responses, how did you process what happened to you?

      MM: I thought, I’m 40 years old, what could happen that hasn’t happened already? How is it possible this guy is going to get away with doing this to me? Major mistake.

      Since then, though, whenever I am traveling I ask to come with someone else, so that I have witnesses. The only ones I have from what happened are the students I gave the class to and his secretary, but there’s no witness in the restaurant or in his apartment. I realized later it wasn’t spontaneous, that he acted as a criminal with a premeditated strategy.

      LM: Since then, has Boaventura been in touch with you?

      MM: No, he’s terrified of me, he knows what he did. And I have told a lot of academics, because we’ve been in conferences where he is also invited, and they’ve asked me to be on the same panels as him, and I’ve said no, and if they insisted, I’ve threatened to publicly denounce him as abusive.

      For example, CLACSO has known since the beginning, because I told them, which means it is totally complicit.

      LM: Has anyone in CLACSO been in touch with you over the past days?

      MM: They’ve called me as individuals and they’ve told me that, for now, they won’t go against him. I think what’s missing in this moment is a clear political position: the left has a chance to clean house, to redeem itself by condemning these extremely violent events.

      Instead I’m being threatened on social media. I don’t care because they aren’t going to come to Patagonia, but the young Portugese women who have spoken out, what support and security do they have?

      I can’t understand how these practices have been allowed inside academia, and I especially don’t understand the women who are complicit in these situations.

      LM: Have you received any kind of support since the news of these events went public?

      MM: A handful of Portuguese academics have called to say they are sorry for Boaventura’s attitude.

      In Argentina, in general, academia and many Argentine feminists have looked the other way, in fact, one woman academic told me that he’d done the same in Africa.

      And I think, if he did that to me, a Mapuche woman activist and writer with a certain amount of recognition and all of the tools to speak out, and I haven’t received solidarity, what attitude will they have with the African sisters who have been his victims?

      LM: Have you spoken to any of them or to others who have suffered abuse by Boaventura?

      MM: No, I don’t even know the students that have gone public, but I’m sharing my testimony because I heard him deny it and delegitimize them.

      Some people have asked to see the email exchanges I’ve had with Boaventura, but I’m a person who is persecuted in my country and I have to change my phone number and email all the time because of hacking. How am I going to recover emails from 2010 if I’ve changed my email three times?

      LM: Are you going to make a criminal complaint?

      MM: Yes, but I have to go to Coimbra to do that because that’s where it happened, and the issue right now is that I’m in Patagonia. Between August and September I expect to travel to Europe for a script I’m writing and I can do it formally.

      I’ll go to Portugal, even though since this happened I haven’t gone, even though I’ve been invited, I haven’t dared to go. Now I have to go denounce that white academic, and presumably also the left that speaks about the south and coloniality.

      LM: A year and a half ago you denounced Boaventura during the CLACSO conference in México [City], I imagine what’s happening now is affecting you emotionally.

      MM: I’ve felt a lot of pain, powerlessness and rage. They say time heals all wounds, but it’s not true. If there’s no justice, there’s no healing. Your soul still feels it, you live it all over again.

      I was asked how I understand justice, and in this case I know he won’t go to jail because of his age, but I hope he’s kicked out of academia and that he’s separated from the strategic spaces where he continues to prey on people, to humiliate them, to exercise violence against women, so that they can go to university without having an abuser deciding their future. For me, that would be justice.

      LM: Finally, what reflections have this emotional rollercoaster led you to develop?

      MM: Well, I lacked self-esteem at that moment, and many Indigenous women continue to lack self esteem. We normalize that things like this can happen to us because we don’t matter to anybody, we’re rapable and killable. And we’re tired.

      This happened in 2010 and I was alone, I wasn’t part of any Indigenous collective spaces or any feminist spaces. Once we’re part of collectives we also feel stronger as we face our Mapuche world that is machista and where there are also abusers and mistreatment.

      I will no longer accept any dogma, any nationalist flags that allow “mal vivir,” mistreatment or oppression.

      https://www.ojala.mx/en/ojala-en/moira-milln-recounts-sexual-assault-by-boaventura-de-sousa-santos

    • Lettre ouverte à Routledge – Taylor & Francis Group

      #Censure_académique des violences sexuelles et des abus de pouvoir : pas dans notre milieu universitaire !

      #NotInOurAcademia
      #NoEnNuestraAcademia
      #NãoNaNossaAcademia
      #MeTooAcademia
      #MeTooESR

      Pour signer cette lettre (https://docs.google.com/forms/d/e/1FAIpQLSfI_H8wlOIdX-565fqdA3nFB7DlxYCqqM-GePO9e20tU5s8jw/viewform), utiliser le formulaire sous ce lien et nous ajouterons votre nom.

      Les violences sexuelles sont très répandues dans l’enseignement supérieur. Au Royaume-Uni, par exemple, le harcèlement sexuel des enseignantes-chercheurs et des chercheurs envers les étudiant∙s a été documenté en 2018, dans le rapport Power in the Academy (Pouvoir dans le milieu universitaire), qui a établi que un∙e étudiant∙e sur huit a fait l’objet d’attouchements non-désirés de la part d’universitaires. Ces incidents sont perpétués par des institutions historiquement enracinées dans des pratiques patriarcales, racistes, concurrentielles, objectivantes et hiérarchies de savoir et de pouvoir.

      L’ouvrage Sexual Misconduct in Academia : Informing an Ethics of Care in the University (2023) a été élaboré pour répondre à cette question, indiquer les voies à suivre et surmonter les silences.

      Les deux directrices de publication, Delyth Edwards et Erin Pritchard, et les 23 auteur∙ices représentent un collectif de doctorant∙es, jeunes chercheur∙ses, universitaires First Generation, Indigènes, certain∙es en situation de handicap, venues d’Australie, d’Inde, d’Amérique du Nord, du Royaume-Uni et de pays européens. Plusieurs d’entre nous ont subi du harcèlement et des agressions sexuelles — y compris des viols — au cours de notre carrière universitaire, nous laissant profondément meurtries et traumatisées. Nous prenons la parole en dépit du risque de représailles juridiques, sociales ou professionnelles — perdre notre emploi par exemple. Nous avons choisi d’écrire au sujet de nos expériences personnelles, et de les analyser avec le souci de promouvoir un dialogue ouvert sur les violences sexuelles et les abus de pouvoir dans le milieu universitaire, et cela, dans le but de provoquer une profonde transformation profonde et indispensable dans notre domaine professionnel.

      Le chapitre 12, « The wall spoke when nobody else would : Autoethnographic notes on sexual-power gatekeeping within avant-garde academia (Le mur a parlé quand personne d’autre ne l’a fait. Notes autoethnographiques sur le verrouillage par le pouvoir sexuel de l’accès à l’avant-garde universitaire), a été écrit par Lieselotte Viaene, Catarina Laranjeiro et Miye Nadya Tom. Il analyse les violences sexuelles dans un centre de recherche anonymisé, décrivant la culture et les normes sociales qui ont facilité le harcèlement sexuel, comme les manières d’y résister. Les autrices ont analysé ensemble les concepts comme « professeur star », « réseau de murmures », « gardiens du pouvoir sexuel », « inceste académique », « extractivisme intellectuel et sexuel », « emprise (gazlighting) », and « chasse aux sorcières institutionnelles ».

      Après la parution de l’ouvrage en mars 2023, un professeur s’est senti désigné dans le chapitre 12, indiquant qu’il était la « star universitaire » et menaçant les autrices de poursuites judiciaires dans la presse. Il a également critiqué l’ouvrage et ses éditrices dans ses réseaux. Dans certains cercles universitaires, le chapitre a été largement commenté et les autrices, ainsi que d’autres victimes qui ont témoigné publiquement, ont reçu un soutien international sous la forme de lettres ouvertes. La personne qui s’est identifiée lui-même comme « star universitaire » a usé de son pouvoir et de la réglementation pour faire taire le chapitre, le livre et ses autrices. En juin 2023, le livre fut retiré temporairement des ventes, pendant que Routledge – Taylor & Francis Group examinait les « plaintes » et une lettre de demande de retrait (cease-and-desist) reçues concernant le chapitre. Le 31 août 2023, les autrices du chapitre 12 furent informées que Routledge – Taylor & Francis Group envisageait de leur restituer les droits du chapitre. es éditrices n’ont pas été informées de cette décision, ni de ce qui adviendrait du reste de l’ouvrage. La page web du livre a aujourd’hui disparu.

      Ces incidents sont très préoccupants non seulement parce que les voix des survivantes signataires du chapitre 12 ont été réduites au silence, mais aussi parce qu’ils soulèvent des questions plus générales sur la manière dont les maisons d’édition commerciales traitent ce problème. Cette controverse soulève de nombreuses questions. Nous souhaiterions attirer l’attention de la communauté universitaire internationale sur deux d’entre elles :

      - Pouvons-nous, en tant que communauté universitaire, autoriser un éditeur privé intervenir et même censurer un tel débat, aussi important, urgent et nécessaire dans notre milieu professionnel ?
      – L’écriture scientifique reste encore l’outil principal de l’élaboration du savoir académique dans le monde, mais quand, nous chercheurs∙ses n’avons plus le loisir de réfléchir de manière critique sur les manières de transformer notre milieu professionnel de l’intérieur, quelles en sont les implications pour la réflexion critique sur l’enseignement supérieur et la recherche qui nous reste ?

      Il est bien connu que les agresseurs, les harceleurs et leurs soutiens se tournent de plus en plus vers le contentieux (judiciaire ou extra-judiciare). pour continuer d’intimider, d’opprimer et de faire taire celles et ceux qui dénoncent les violences sexuelles et les abus de pouvoir, tant dans que hors de l’université. On ne peut accepter de se rapporter aux menaces judiciaires des puissants. En l’espèce, le contentieux est défavorable aux survivant∙es-victimes.

      C’est pourquoi les maisons d’édition, comme Routlege a besoin de reconnaître le rôle qui est le sien au sein de la communauté universitaire et de prendre position sur ce sujet. Lorsque les maisons d’édition tirent profit des travaux universitaires, elles doivent également assumer la responsabilité des conditions de production de ces travaux. La recherche scientifique est produite dans un contexte où les femmes, les personnes LGBTQ+, et même les hommes, dans le Nord et dans le Sud global, sont exposé∙es au harcèlement sexuel et aux abus de pouvoir. Cet environnement doit être reconnu dans la manière dont les maisons d’édition travaillent avec celleux qui écrivent sur ces sujets, au lieu d’en faire doublement des victimes. Cette responsabilité doit notamment consister à soutenir les auteur·ices en cas de menaces de diffamation.

      En outre, la liberté académique protège le droit des universitaires à librement faire des recherches, approfondir et débattre des idées liées à leur champ. Le harcèlement sexuel et les abus de pouvoir au sein du monde universitaire est un sujet qui exige analyse et enquête plus approfondies de toute urgence, d’où la publication de cet ouvrage.

      En signant cette lettre, les soussignés se joignent à la solidarité avec les auteur∙ices et les éditrices du livre, en particulier les autrices du chapitre 12. Nous saluons leur puissance et leur travail, et nous apportons notre soutien aux éditrices et aux sympathisant∙es du livre en demandant à Routledge – Taylor & Francis Group :

      - d’expliquer publiquement les raisons qui l’ont conduit à retirer le chapitre et le livre lui-même de leur site web
      - à rétablir le chapitre 12 et le livre dans son ensemble et à prendre à sa charge les poursuites judiciaires.

      Si vous souhaitez signer cette lettre ouverte, ajouter votre nom sous ce lien. Pour voir la liste des signataires, rendez-vous sur la page Buala.

      Signée par les auteur∙ices du livre

      Anna Bull (University of York, UK), Apen Ruiz (Universitat Internacional de Catalunya, Spain), Maria Coto-Sarmiento (University of Aarhus, Denmark), Lara Delgado Anés (Junta de Andalucía, Spain), Lourdes Lopez (Lure Arqueologia, Spain), Ana Pastor Pérez (Universidad de Barcelona, Spain), Maria Yubero-Gómez (Independent Scholar), Simona Palladino (Liverpool Hope University, UK), Lena Wånggren (University of Edinburgh, UK), Laura Thurmann (University of Manchester, UK), Melanie Crofts (De Montfort University, UK), Alex Petit-Thorne (York University, UK), Natasha Mikitas (Full Stop, Australia), Suzanne Egan (Western Sydney University, Australia), Sarah Ives (City College of San Francisco, US), Ann E. Bartos (Penn State University, US)

      Signée par les sympathisant∙es issu∙es d’une communauté académique plus vaste, en solidarité avec les éditrices et les autrices du chapitre 12

      https://academia.hypotheses.org/52769

  • Le Conseil d’État suspend en référé la dissolution des Soulèvements de la Terre
    https://www.conseil-etat.fr/actualites/le-conseil-d-etat-suspend-en-refere-la-dissolution-des-soulevements-de-

    Le juge des référés du Conseil d’État, statuant dans une formation composée de trois conseillers d’État, suspend aujourd’hui la dissolution des Soulèvements de la Terre prononcée par un décret en conseil des ministres du 21 juin dernier. Saisis par ce collectif et par plusieurs associations, partis politiques et particuliers, les juges des référés estiment qu’il existe un doute sérieux quant à la qualification de provocation à des agissements violents à l’encontre des personnes et des biens retenue par le décret de dissolution.

    […]

    En effet, ni les pièces versées au dossier, ni les échanges lors de l’audience, ne permettent de considérer que le collectif cautionne d’une quelconque façon des agissements violents envers des personnes. Par ailleurs, les actions promues par les Soulèvements de la Terre ayant conduit à des atteintes à des biens, qui se sont inscrites dans les prises de position de ce collectif en faveur d’initiatives de désobéissance civile, dont il revendique le caractère symbolique, ont été en nombre limité. Eu égard au caractère circonscrit, à la nature et à l’importance des dommages résultant de ces atteintes, les juges des référés considèrent que la qualification de ces actions comme des agissements troublant gravement l’ordre public au sens du 1° de l’article L. 212-1 du code de la sécurité intérieure soulève un doute sérieux.

  • La #justice française suspend le contrôle des frontières par #drones

    Le jeudi 13 juillet, le Tribunal Administratif de Pau a rendu une décision annulant l’ordonnance du 26 juin 2023 du préfet des Pyrénées-Atlantiques. Cette #ordonnance autorise la capture, l’archivage et la transmission d’#images par des #caméras installées sur des aéronefs entre le 26 juin et le 26 juillet.

    Cette décision fait suite à la #plainte déposée par les avocats de Pau et de Bayonne, la fédération Etorkinekin Diakité et l’association SOS Racisme Gipuzkoa.

    La décision donne raison aux plaignants : cette ordonnance porte gravement et manifestement atteinte au droit et au respect de la vie privée et familiale.

    SOS Racisme Gipuzkoa - #SOS_Racisme_Gipuzkoa s’est montré satisfait de la décision du tribunal de Pau. Elle montre qu’il est possible de trouver une protection dans les garanties légales qui protègent les droits fondamentaux contre les actions de l’exécutif français contre ces droits.

    SOS Racisme a apprécié le travail accompli par l’Association des Avocats pour obtenir cette résolution et s’est montrée disposée à la poursuivre, car le gouvernement français viole à plusieurs reprises les droits fondamentaux des personnes résidant ou circulant dans le Pais Basque.

    SOS Racisme demande à nouveau aux autorités françaises et espagnoles de respecter le droit de chacun à la libre circulation et, en particulier, de circuler sur les frontières #Irun / #Hendaye. Il demande également la suspension immédiate des contrôles de profil racial, qui sont effectués systématiquement par les policiers.

    Donostia, 2023/07/14

    SOS Racismo Gipuzkoa

    Gipuzkoako SOS Arrazakeria

    #militarisation_des_frontières #frontières #migrations #Espagne #France #suspension #Pyrénées

    Reçu via la mailing-list Migreurop, le 14/07/2023

    • SOS Racismo Gipuzkoa: La justicia francesa suspende el control fronterizo por drones

      El jueves 13 de julio, el Tribunal Administrativo de Pau ha dictado una resolución por la que suspende la orden del Prefecto de Pyrénées-Atlantiques de 26 de junio de 2023 que autoriza la captación, archivo y transmisión de imágenes por medio de cámaras instaladas en aeronaves entre el 26 junio y el 26 de julio.

      La resolución responde a la demanda que, en ese sentido, plantearon ante dicho tribunal, la Asociación de Abogados para la defensa de las personas extranjeras, formada por abogados de Pau y Baiona, la Federación Etorkinekin Diakité y SOS Racismo Gipuzkoa- Gipuzkoako SOS Arrazakeria.

      La resolución da la razón a los demandantes de que dicha orden afecta de manera grave y manifiestamente ilegal al derecho y al respeto de la vida privada y familiar.

      SOS Racismo Gipuzkoa- Gipuzkoako SOS Arrazakeria se felicita por la resolución del tribunal de Pau. Muestra que es posible encontrar amparo en las garantías legales que salvaguardan derechos fundamentales frente a actuaciones contrarias a los mismos por parte del ejecutivo galo.

      SOS Racismo pone en valor la labor desarrollada por la Asociación de Abogados para conseguir dicha resolución y muestra su disposición a continuar con dicha labor ante las reiteradas violaciones por parte del ejecutivo galo respecto a derechos fundamentales de las personas que viven o transitan por el País Vasco.

      SOS Racismo reitera su demanda a las autoridades francesas y españolas de respetar el derecho de todas las personas a la libre circulación y, en concreto, a transitar por las áreas fronterizas de Irun/Hendaia. Reclama, a su vez, el cese inmediato de los controles por perfil racial que, de manera sistemática, llevan a cabo las diversas policías.

      https://sosracismo.eu/justicia-paraliza-drones-frontera

      Pour télécharger l’#ordonnance (n° 2301796):
      https://sosracismo.eu/wp-content/uploads/2023/07/Resolucion-drones.pdf

    • Section du Contentieux, Juge des référés, 25 juillet 2023, 476151

      Texte
      Vu la procédure suivante :

      L’association Avocats pour la défense des étrangers, la Fédération Etorkinekin Diakité, l’association S.O.S. Racismo Gipuzkoa - Gipuzkoako S.O.S. Arrazakria, M. A H, Mme T H, M. B L, M. M N, Mme S K, Mme O Q, Mme F P, M. G C, Mme J C, Mme R E et M. D I ont demandé au juge des référés du tribunal administratif de Pau, statuant sur le fondement de l’article L. 521-2 du code de justice administrative, d’une part, de suspendre l’exécution de l’arrêté du 26 juin 2023 par lequel le préfet des Pyrénées-Atlantiques a autorisé la captation, l’enregistrement, et la transmission d’images au moyen de caméras installées sur des aéronefs, et, d’autre part, d’enjoindre au préfet des Pyrénées-Atlantiques de mettre un terme à l’usage de ce dispositif. Par une ordonnance n° 2301796 du 13 juillet 2023, le juge des référés du tribunal administratif de Pau a suspendu l’exécution de cet arrêté.

      Par une requête et un nouveau mémoire, enregistrés les 20 et 24 juillet 2023 au secrétariat du contentieux du Conseil d’Etat, le ministre de l’intérieur et des outre-mer demande au juge des référés du Conseil d’Etat, statuant sur le fondement de l’article L. 521-2 du code de justice administrative :

      1°) d’annuler l’ordonnance n° 2301796 du 13 juillet 2023 du juge des référés du tribunal administratif de Pau ;

      2°) de rejeter la demande présentée par l’association Avocats pour la défense des étrangers et autres.

      Il soutient que :

      – la condition d’urgence n’est pas satisfaite dès lors que, d’une part, il n’est pas porté un préjudice suffisamment grave et immédiat à la situation actuelle des requérants en ce que seul un nombre restreint d’individus est concerné par la mesure de surveillance, qui est par ailleurs encadrée par de strictes garanties, qu’elle ne présente pas de caractère fréquent et répété et qu’il n’en résulte aucune atteinte grave et manifestement illégale à une liberté fondamentale et, d’autre part, la mesure est indispensable pour assurer la sauvegarde de l’ordre public ;

      – aucune atteinte grave et manifestement illégale n’a été portée à une liberté fondamentale ;

      – l’arrêté du 26 juin 2023 n’est pas entaché d’illégalité dès lors, en premier lieu, qu’il est nécessaire en ce qu’il répond à l’objectif de lutte contre l’immigration irrégulière, alors que le nombre des franchissements illégaux de la frontière, qui peuvent s’avérer périlleux, s’accroît substantiellement, en particulier en été, en deuxième lieu, qu’il n’existe pas de mesure moins intrusive pour atteindre pleinement la finalité poursuivie, les sentiers concernés et les chemins situés à proximité n’étant pas totalement carrossables, et, en dernier lieu, que la mesure est proportionnée à l’objectif poursuivi.

      Par un mémoire en défense et un nouveau mémoire, enregistrés les 23 et 24 juillet 2023, l’Association pour la défense des étrangers et autres concluent au rejet de la requête et à ce que soit mis à la charge de l’Etat le versement de la somme de 200 euros à chacun des défendeurs au titre de l’article L. 761-1 du code de justice administrative. Ils soutiennent que la condition d’urgence est satisfaite, et que l’arrêté du 26 juin 2023 porte une atteinte grave et immédiate au droit au respect de la vie familiale.

      Vu les autres pièces du dossier ;

      Vu :

      – la Constitution, notamment son Préambule ;

      – la convention européenne de sauvegarde des droits de l’homme et des libertés fondamentales ;

      – le code de la sécurité intérieure ;

      – la loi n° 78-17 du 6 janvier 1978 modifiée ;

      – le code de justice administrative ;

      Après avoir convoqué à une audience publique, d’une part, le ministre de l’intérieur et des outre-mer, et d’autre part, l’association Avocats pour la défense des étrangers et autres ;

      Ont été entendus lors de l’audience publique du 24 juillet 2023, à 10 heures 30 :

      – Me Mathonnet, avocat au Conseil d’Etat et à la Cour de cassation, avocat de l’association Avocats pour la défense des étrangers et autres ;

      – les représentantes de l’association Avocats pour la défense des étrangers et autres ;

      – les représentants du ministre de l’intérieur et des outre-mer ;

      à l’issue de laquelle le juge des référés a reporté la clôture de l’instruction au même jour à 19 heures 30 ;

      Considérant ce qui suit :

      1. L’article L. 511-1 du code de justice administrative dispose que : « Le juge des référés statue par des mesures qui présentent un caractère provisoire. Il n’est pas saisi du principal et se prononce dans les meilleurs délais. » Aux termes de l’article L. 521-2 du code de justice administrative : « Saisi d’une demande en ce sens justifiée par l’urgence, le juge des référés peut ordonner toutes mesures nécessaires à la sauvegarde d’une liberté fondamentale à laquelle une personne morale de droit public ou un organisme de droit privé chargé de la gestion d’un service public aurait porté, dans l’exercice d’un de ses pouvoirs, une atteinte grave et manifestement illégale. () ».

      Sur l’office du juge des référés et sur les libertés fondamentales en jeu :

      2. Il résulte de la combinaison des dispositions des articles L. 511-1 et L. 521-2 du code de justice administrative qu’il appartient au juge des référés, lorsqu’il est saisi sur le fondement de l’article L. 521-2 et qu’il constate une atteinte grave et manifestement illégale portée par une personne morale de droit public à une liberté fondamentale, résultant de l’action ou de la carence de cette personne publique, de prescrire les mesures qui sont de nature à faire disparaître les effets de cette atteinte, dès lors qu’existe une situation d’urgence caractérisée justifiant le prononcé de mesures de sauvegarde à très bref délai et qu’il est possible de prendre utilement de telles mesures.

      3. Pour l’application de l’article L. 521-2 du code de justice administrative, le droit au respect de la vie privée, qui comprend le droit à la protection des données personnelles, et la liberté d’aller et venir constituent des libertés fondamentales au sens des dispositions de cet article.

      Sur le cadre juridique du litige :

      4. Aux termes de l’article L. 242-5 du code de la sécurité intérieure « I - Dans l’exercice de leurs missions de prévention des atteintes à l’ordre public et de protection de la sécurité des personnes et des biens, les services de la police nationale et de la gendarmerie nationale ainsi que les militaires des armées déployés sur le territoire national dans le cadre des réquisitions prévues à l’article L. 1321-1 du code de la défense peuvent être autorisés à procéder à la captation, à l’enregistrement et à la transmission d’images au moyen de caméras installées sur des aéronefs aux fins d’assurer () / 5° La surveillance des frontières, en vue de lutter contre leur franchissement irrégulier ; / (). / Le recours aux dispositifs prévus au présent I peut uniquement être autorisé lorsqu’il est proportionné au regard de la finalité poursuivie. / II - Dans l’exercice de leurs missions de prévention des mouvements transfrontaliers de marchandises prohibées, les agents des douanes peuvent être autorisés à procéder à la captation, à l’enregistrement et à la transmission d’images au moyen de caméras installées sur des aéronefs ». Aux termes de l’article L. 242-4 du même code « La mise en œuvre des traitements prévus aux articles L. 242-5 () doit être strictement nécessaire à l’exercice des missions concernées et adaptée au regard des circonstances de chaque intervention ». En vertu du IV de l’article L. 242-5 de ce code, l’autorisation requise, subordonnée à une demande qui précise, notamment, « () 2° La finalité poursuivie ; / 3° La justification de la nécessité de recourir au dispositif, permettant notamment d’apprécier la proportionnalité de son usage au regard de la finalité poursuivie ; () / 8° le périmètre géographique concerné », « est délivrée par décision écrite et motivée du représentant de l’Etat dans le département ou, à Paris, du préfet de police, qui s’assure du respect du présent chapitre. Elle détermine la finalité poursuivie et ne peut excéder le périmètre strictement nécessaire à l’atteinte de cette finalité ». Ainsi que l’a jugé le Conseil constitutionnel par sa décision n° 2021-834 DC du 20 janvier 2022, ces dispositions ont précisément circonscrit les finalités justifiant le recours à ces dispositifs, et l’autorisation requise, qui détermine cette finalité, le périmètre strictement nécessaire pour l’atteindre ainsi que le nombre maximal de caméras pouvant être utilisées simultanément, ne saurait être accordée qu’après que le préfet s’est assuré que le service ne peut employer d’autres moyens moins intrusifs au regard du droit au respect de la vie privée ou que l’utilisation de ces autres moyens serait susceptible d’entraîner des menaces graves pour l’intégrité physique des agents, et elle ne saurait être renouvelée sans qu’il soit établi que le recours à des dispositifs aéroportés demeure le seul moyen d’atteindre la finalité poursuivie.

      Sur le litige :

      5. Par un arrêté du 26 juin 2023, le préfet des Pyrénées-Atlantiques a autorisé la captation, l’enregistrement et la transmission d’images par la direction interdépartementale de la police aux frontières d’Hendaye aux moyens de caméras installées sur des aéronefs au titre de la surveillance aux frontières en vue de lutter contre leur franchissement irrégulier, du 26 juin au 26 juillet 2023 et de 9 heures à 18 heures, sur un périmètre recouvrant une partie de la frontière franco-espagnole et du territoire des communes d’Hendaye, de Biriatou et d’Urrugne. Le ministre de l’intérieur et des outre-mer fait appel de l’ordonnance du 13 juillet 2023 par laquelle le juge des référés du tribunal administratif de Pau, statuant sur le fondement de l’article L. 521-2 du code de justice administrative, a suspendu l’exécution de cet arrêté.

      Sur la condition tenant à l’existence d’une atteinte grave et manifestement illégale à une liberté fondamentale :

      6. Il résulte de l’instruction et des échanges au cours de l’audience publique que, si l’autorisation ne permet d’utiliser qu’un seul drone à la fois, son périmètre géographique, qui s’étend sur l’essentiel du territoire de la commune de Biriatou et sur une partie de ceux des communes d’Hendaye et d’Urrugne, recouvre une superficie de près de 20 km2 et comprend un grand nombre de maisons d’habitation.

      7. Le ministre de l’intérieur et des outre-mer soutient, d’une part, que cette mesure est nécessaire au regard de la hausse du nombre de franchissements illégaux de la frontière, d’autre part, qu’il n’existe pas de mesure moins intrusive, les effectifs de fonctionnaires affectés à la lutte contre l’immigration irrégulière clandestine ayant diminué depuis le début de l’année 2023, en raison de la moindre disponibilité des unités de CRS et de gendarmes mobiles mis à disposition de la direction interdépartementale de la police de l’air et des frontières, fréquemment affectés à d’autres missions, alors qu’une partie de la zone est d’un accès difficile, les sentiers utilisés ou les chemins situés à proximité n’étant pas entièrement carrossables, et les migrants s’en éloignant parfois pour échapper aux contrôles, et enfin que la mesure, notamment la délimitation de son périmètre géographique, est proportionnée compte tenu de ces caractéristiques. Ces appréciations sont contestées par l’association Avocats pour la défense des étrangers et autres, qui produisent des séries de données recueillies par une association sur l’accueil de migrants à proximité de la zone entre mars 2021 et mai 2023 faisant apparaître une baisse des flux et l’absence d’effets saisonniers notables, ainsi que les chiffres du centre d’accueil de migrants de la mairie de Bayonne, en baisse en 2023, et des indications sur les moyens matériels et humains déployés par la police de l’air et des frontières aux principaux points de passage de la zone et sur les sentiers concernés jusqu’à la date de la décision contestée, ainsi que sur l’accessibilité de ces sentiers. Les séries de données extraites du système PAFISA, relatives à l’activité de la direction interdépartementale de la police aux frontières de Hendaye, compétente dans les départements des Pyrénées-Atlantiques et des Landes, et les éléments de contexte partiels présentés par le ministre, les uns et les autres pour la première fois à l’issue de l’audience, qui font apparaître, entre le premier semestre 2022 et le premier semestre 2023, une baisse de 6 154 à 3 481 du nombre de non-admissions à la frontière, une hausse de 206 à 366 du nombre de réadmissions par les autorités espagnoles et une hausse de 539 à 817 du nombre d’étrangers en situation irrégulière interpellés, ne permettent pas, en l’état de l’instruction, de confirmer l’existence de facteurs de hausse de l’activité surveillance des frontières en vue de lutter contre leur franchissement irrégulier. En outre le ministre n’apporte pas d’indication sur la part de ces flux qui se rapporte à la zone concernée par l’arrêté litigieux. En l’état de l’instruction, les données produites par l’administration sur les flux migratoires et les éléments fournis sur les caractéristiques géographiques de la zone concernée et sur les moyens qui y sont affectés à la lutte contre le franchissement irrégulier des frontières ne sont pas suffisamment circonstanciés pour justifier, sur la base d’une appréciation précise et concrète de la nécessité de la proportionnalité de la mesure, que le service ne peut employer, pour l’exercice de cette mission dans cette zone et sur toute l’étendue de son périmètre, d’autres moyens moins intrusifs au regard du respect de la vie privée que les mesures mentionnées au point 5, ou que l’utilisation de ces autres moyens serait susceptible d’entraîner des menaces graves pour l’intégrité physique des agents. Par suite, c’est à bon droit que le juge des référés du tribunal administratif de Pau a jugé que l’association Avocats pour la défense des étrangers et autres étaient fondés à soutenir que l’arrêté contesté portait une atteinte grave et manifestement illégale au droit au respect de la vie privée.

      Sur la condition d’urgence :

      8. L’urgence de la suspension de l’arrêté contesté sur le fondement de l’article L. 521-2 du code de justice administrative doit être appréciée en tenant compte non seulement de ses effets sur les intérêts défendus par les requérants de première instance mais aussi de l’objectif de prévention des atteintes à l’ordre public auquel elle a pour objet de contribuer. Eu égard, d’une part, au nombre de personnes susceptibles de faire l’objet des mesures de surveillance litigieuses, d’autre part, aux atteintes qu’elles sont susceptibles de porter au droit au respect de la vie privée, et alors, ainsi qu’il a été dit au point 6, qu’il ne résulte pas de l’instruction que l’objectif de prévention des atteintes à l’ordre public ne pourrait être atteint en recourant à des mesures moins intrusives au regard du droit au respect de la vie privée, ou que l’utilisation de ces autres moyens serait susceptible d’entraîner des menaces graves pour l’intégrité physique des agents, la condition d’urgence doit être regardée comme remplie.

      9. Il résulte de ce qui précède que le ministre de l’intérieur et des outre-mer n’est pas fondé à soutenir que c’est à tort que, par l’ordonnance attaquée, le juge des référés du tribunal administratif de Pau a suspendu l’exécution de l’arrêté du préfet des Pyrénées-Atlantiques du 26 juin 2023.

      10. Il y a lieu, dans les circonstances de l’espèce, de mettre à la charge de l’Etat le versement à chacun des défendeurs d’une somme de 200 euros au titre des dispositions de l’article L. 761-1 du code de justice administrative.

      O R D O N N E :

      –-----------------

      Article 1er : La requête du ministre de l’intérieur et des outre-mer est rejetée.

      Article 2 : L’Etat versera, au titre de l’article L. 761-1 du code de justice administrative, une somme de 200 euros chacun à l’association Avocats pour la défense des étrangers, à la Fédération Etorkinekin Diakité, à l’association S.O.S. Racismo Gipuzkoa - Gipuzkoako S.O.S. Arrazakria, à M. A H, à Mme T H, à M. B L, à M. M N, à Mme S K, à Mme O Q, à Mme F P, à M. G C, à Mme J C, à Mme R E et à M. D I.

      Article 3 : La présente ordonnance sera notifiée au ministre de l’intérieur et des outre-mer, ainsi qu’à l’association Avocats pour la défense des étrangers, premier défendeur nommé.

      Fait à Paris, le 25 juillet 2023

      Signé : Jean-Yves Ollier

      https://justice.pappers.fr/decision/c8942bf2cabc0c5be781d2b621e7c3ef

  • RSA : « Stigmatiser les pauvres ne mène pas au plein-emploi »

    un collectif de diverses #associations de solidarité et des #syndicats prend position contre certaines dispositions du projet de #loi_pour_le_plein-emploi examiné par le Sénat le 10 juillet. Ce texte prévoit de conditionner le #RSA à la réalisation de 15 à 20 heures d’#activité.

    Le projet de loi pour le plein-emploi est examiné le 10 juillet au Sénat. Sous prétexte de remobilisation, le revenu de solidarité (RSA) sera conditionné à la réalisation de quinze à vingt heures d’activité sous peine de #suspension de son versement en vue, soi-disant, de la « remobilisation ».

    La recherche du #plein-emploi peut certes réduire la #pauvreté globale, mais ne doit pas accentuer la misère de certains et stigmatiser les plus éloignés de l’emploi. Il serait indigne pour notre pays de priver des ménages de toute ressource. Le #travail est un facteur d’intégration et d’émancipation, s’il est librement choisi et s’il s’exerce dans des conditions décentes. [autant dire rarement ah ah ah]

    Certains secteurs d’activité en tension ont besoin de main-d’œuvre, mais peinent à recruter et à garder leurs salariés au regard de garanties collectives de bas niveau et de #conditions_de_travail peu attractives voire très pénibles. Avec son projet de loi Plein emploi, le gouvernement semble vouloir pallier ces difficultés en y positionnant les allocataires du RSA voire les travailleurs avec un handicap ou les jeunes de moins de 25 ans, même contre leur gré. Or, la difficulté d’accès à l’emploi des #allocataires du RSA est due à des facteurs multiples. Il est d’abord essentiel de leur faciliter l’accès au logement, à la mobilité durable, aux soins, et à la garde des enfants. Il ne doit pas y avoir de pression abusive pour accepter n’importe quel travail, sans tenir compte des compétences et des projets des personnes.

    Des risques de radiation massive d’allocataires

    Nous dénonçons le risque de « trappe à précarité » pour les personnes devant accepter des emplois très #précaires, temps partiels subis ou contrats courts, n’ouvrant ensuite pas droit à l’#assurance chômage. Augmenter les contraintes n’est pas la solution et renforce la stigmatisation des personnes.

    L’inscription obligatoire des conjoints des allocataires du RSA à Pôle emploi, demain renommé « #France_Travail », augmente le risque des #contrôles abusifs de la situation globale des ménages, qui pourrait accentuer le #non-recours aux droits.

    Nous alertons également sur les risques de #radiation massive d’allocataires et sur les risques de pression institutionnelle, risques aggravés par la dégradation des conditions de travail des agents de Pôle emploi qui vont devoir faire face à l’arrivée de près de deux millions d’allocataires du RSA, selon l’Insee, et leurs conjoints inscrits automatiquement. Le mirage du traitement numérique des chômeurs porte les graines d’une déshumanisation de l’accompagnement et pose des problèmes majeurs de protection des données.

    Revaloriser le RSA et l’indexer sur l’inflation

    Alors que la décentralisation était au cœur du programme d’Emmanuel Macron, l’Etat veut reprendre aux départements et aux régions des compétences puisque ces collectivités pourraient être subordonnées à France Travail, opérateur de l’Etat. Cette tentation de #recentralisation risque de décourager ou démotiver les acteurs de l’insertion, parfois trop peu mobilisés.

    Nous portons un projet alternatif de plein-emploi solidaire. Ce projet s’articule autour de trois principes : Le droit à l’emploi en premier lieu. Différentes initiatives montrent qu’il est possible et fécond d’adapter le travail aux personnes éloignées de l’emploi. Pour que ce droit soit effectif et, afin de répondre au sentiment de relégation, il doit s’accompagner d’une lutte contre les discriminations à l’embauche de tous ordres. Le droit à l’accompagnement deuxièmement.
    Les ambitions énoncées dans le projet de loi nécessitent des moyens importants qui doivent être adoptés en parallèle. Il convient également de sécuriser les actions des acteurs de l’insertion par l’activité économique en assurant leur financement sur le long terme. Enfin, le droit de vivre dignement.

    Le niveau actuel du RSA ne permet qu’une maigre survie. Il ne permet pas de sortir de la grande pauvreté et on dénombre un million de travailleurs pauvres. C’est pourquoi il faut revaloriser significativement le RSA et l’indexer sur l’inflation des petits revenus comme le smic.

    Les signataires de cette tribune sont : Sophie Binet, secrétaire générale #CGT ; Pascal Brice, président de la Fédération des acteurs de la solidarité ; Véronique Devise, présidente Secours catholique ; Laurent Escure, secrétaire général [des dbeaufs de l’]#UNSA ; Daniel Goldberg, président Uniopss ; Marie-Aleth Grard, présidente ATD Quart-monde ; Noam Leandri, président Collectif Alerte ; Marylise Léon, secrétaire générale [des jaunes mal camouflés de la], #CFDT ; Florence Rigal, présidente Médecins du Monde ; Pascale Ribes, présidente APF France handicap ; Antoine Sueur, président [des exploiteurs d’] Emmaüs France.
    https://www.lemonde.fr/idees/article/2023/07/10/rsa-stigmatiser-les-pauvres-ne-mene-pas-au-plein-emploi_6181320_3232.html

  • Le #Conseil_d'Etat saisi du #contrôle_aux_frontières rétabli par la #France depuis 2015

    Des associations s’appuient sur un arrêt de la #Cour_de_justice de l’Union européenne du 26 avril pour dénoncer le renouvellement illégal de cette #dérogation à la #libre_circulation des personnes.

    Dans la nuit du 13 au 14 novembre 2015, alors que l’assaut des forces d’intervention n’avait pas encore été donné au Bataclan, François Hollande, alors président de la République, avait annoncé la proclamation de l’#état_d'urgence et la #fermeture_des_frontières pour un mois. Ce #rétablissement_des_contrôles aux #frontières_intérieures par un pays membre de l’#Union_européenne (#UE) est autorisé, mais de façon exceptionnelle et #temporaire. La France le maintient de façon interrompue depuis plus de six ans. Elle a notifié à quinze reprises à la Commission européenne le #renouvellement de cette #dérogation_temporaire au « #code_frontières_Schengen ».

    Quatre associations ont décidé, selon nos informations, de saisir le Conseil d’Etat mardi 10 mai d’une demande de #suspension_en_référé de la dernière prolongation, du 1er mai au 31 octobre 2022, notifiée par Paris. L’Association nationale d’assistance aux frontières pour les étrangers (Anafé), le Groupe d’information et de soutien des immigrés (Gisti), le Comité inter-mouvement auprès des évacués (Cimade) et la Ligue des droits de l’homme (LDH) n’en sont pas à leur première tentative devant la haute juridiction administrative. Mais elles ont cette fois un atout maître avec une toute récente décision de la Cour de justice de l’Union européenne.

    Le 26 avril, la cour de Luxembourg a dit, en réponse à une question d’interprétation des textes européens posée par la #justice autrichienne, que la réintroduction des contrôles aux frontières décidée par un Etat en raison de #menaces_graves pour son #ordre_public ou sa #sécurité_intérieure « ne peut pas dépasser une durée totale maximale de six mois » , y compris ses prolongations éventuelles. L’arrêt des juges européens précise que l’apparition d’une nouvelle menace peut autoriser à réintroduire ce contrôle au-delà des six mois initiaux, mais dans ce cas elle doit être « distincte de celle initialement identifiée » . Il s’agit de protéger la libre circulation des personnes, « une des principales réalisations de l’Union européenne » , soulignent les juges.

    Or, selon le relevé de la Commission européenne, les dernières notifications de Paris pour justifier cette entorse au principe de libre circulation listent invariablement les trois mêmes « menaces » : la #menace_terroriste persistante, les #mouvements_secondaires de migrants, l’épidémie de #Covid-19. Rien de très nouveau en effet. Pour Patrice Spinosi, l’avocat des associations, le dernier renouvellement décidé « en dépit de la clarification apportée » par l’arrêt de la cour européenne constitue « une flagrante violation » de l’article 25 du code frontières Schengen.

    Hausse « considérable » des #refus_d'entrée

    Au ministère de l’intérieur, on indique en réaction à l’arrêt du 26 avril que la question du renouvellement répété de cette dérogation « est traitée par la réforme en cours du code des frontières Schengen » . On précise que le sujet sera évoqué les 9 et 10 juin, lors du prochain conseil des ministres « justice et affaires intérieures » de l’UE. Mais, d’une part, ces nouvelles règles ne sont pas encore définies, et d’autre part, la Commission européenne avait précisé en ouvrant ce chantier le 14 décembre 2021 que « l’actualisation des règles vise à faire en sorte que la réintroduction des contrôles aux frontières intérieures demeure une mesure de dernier recours. »

    Derrière les arguments sur l’ordre public et la sécurité intérieure, les associations dénoncent des pratiques illégales de contrôle migratoire. Elles ont publié le 29 avril, avec d’autres associations comme Médecins du Monde et Amnesty International, un communiqué appelant « les autorités françaises à mettre un terme à la prolongation des contrôles aux frontières intérieures et à cesser ainsi les atteintes quotidiennes aux #droits_fondamentaux des personnes exilées qui s’y présentent (violences, contrôles aux faciès, non-respect du droit d’asile et des droits de l’enfant, enfermement) ».

    Ces contrôles au sein de l’espace Schengen se traduisent par des « refus d’entrée » opposés en nombre, dénoncent les associations qui y voient des pratiques discriminatoires. « Les statistiques révèlent une augmentation considérable des refus d’entrée aux frontières intérieures depuis le 13 novembre 2015 » , de 5 000 en 2015 à 48 000 pour les huit premiers mois de 2020, écrivent-elles dans leur requête au Conseil d’Etat. Il se trouve que ce dernier a adressé le 24 février une question préjudicielle à la Cour de Luxembourg pour vérifier si le fait d’opposer un « refus d’entrée » à un #poste_frontière, même en cas de rétablissement des contrôles aux frontières, est conforme au droit de l’UE.

    Par deux fois, en décembre 2017 et octobre 2017, le Conseil d’Etat avait rejeté des requêtes émanant des mêmes associations contre le renouvellement des contrôles aux frontières, estimant qu’une « #nouvelle_menace » ou une « #menace_renouvelée » pouvait justifier une nouvelle dérogation de six mois à la #libre_circulation_des_personnes. Ce nouveau référé devrait être examiné en audience sous un mois, à moins que la juridiction considère que l’affaire mérite d’être jugée au fond, ce qui pourrait prendre quelques semaines de plus.

    https://www.lemonde.fr/societe/article/2022/05/10/le-conseil-d-etat-saisi-du-controle-aux-frontieres-retabli-par-la-france-dep
    #justice

    avec un effet clair sur les #frontières_sud-Alpines, dont il est pas mal question sur seenthis ;-)
    #frontière_sud-alpine #Alpes

    ping @isskein @karine4

  • Naarea, la start-up qui veut laver le nucléaire plus blanc que blanc

    https://www.nouvelobs.com/economie/20220216.OBS54554/naarea-la-start-up-qui-veut-laver-le-nucleaire-plus-blanc-que-blanc.html

    Cette deep-tech française planche sur un mini-réacteur sans danger ni déchets. Ce rêve peut-il devenir réalité ou sert-il d’autres desseins ?

    #suspense

    #nucléaire #nucléaire_vert #start_up #deep_tech #SMR #AMR #illusion #green_washing #france_2030

    • Construire un mini-réacteur nucléaire contenu dans un cube d’un mètre de côté, qu’on pourrait installer partout sur la planète et qui contribuerait de façon sûre et propre à l’avènement du monde neutre en carbone que nous devons atteindre d’ici 2050 : tel est le grand projet de Jean-Luc Alexandre, ingénieur quinquagénaire passé par Spie Batignolle, Alstom et Suez, et d’Ivan Gavriloff, consultant en innovation industrielle. Ensemble, ils ont fondé la start-up Naarea, qui doit donner naissance à ce nucléaire qui lave plus blanc que blanc.

      En les écoutant, il se peut que vous soyez traversé par l’image de Peter Isherwell, ce personnage emblématique du film « Don’t look up », entrepreneur convaincu que sa technologie sauvera la planète de la comète qui la menace... Naarea peut-elle vraiment contribuer à lutter contre le réchauffement climatique ou fait-elle miroiter des solutions impossibles ?

      Dans le milieu assez conservateur du nucléaire français, on regarde avec une certaine prudence cette jeune pousse disruptive qui veut ouvrir la voie à un atome qui ne soit ni super-étatique, ni super-centralisé. Tout le contraire de la façon dont cette énergie s’est développée jusqu’à présent dans le monde. A la manière américaine, Jean-Luc Alexandre et Ivan Gavriloff veulent faire collaborer des scientifiques et entreprises ultrapointus peu habitués à travailler ensemble, lever des millions auprès de différents investisseurs, candidater aux appels d’offres publics destinés à soutenir l’innovation, et avancer sur leur voie.

      Les réacteurs à sels fondus

      Aux Etats-Unis, cette stratégie a permis à plusieurs start-up de pousser des projets de petits réacteurs nucléaires, les Small Modular Reactors (SMR), dont la puissance ne dépasse pas 300 mégawatts (MW) (contre 1 650 pour un EPR). Parmi elles : Nuscale ou TerraPower, soutenue par Bill Gates, qui planche sur deux technologies de réacteurs dont l’une partage beaucoup avec celle retenue par Naarea. Nos deux aventuriers de l’atome ont d’ailleurs « pitché » le célèbre milliardaire, au même titre que des dizaines d’autres investisseurs, en vue d’attirer leurs deniers. Objectif : lever « plusieurs dizaines de millions d’euros dans les prochaines semaines, en amorçage », avant de recommencer, pour rassembler au total 650 millions d’euros sur cinq ans.

      Que racontent-ils à leurs potentiels investisseurs ? Que le nucléaire sauvera la planète du réchauffement, et qu’ils disposent d’une technologie qui peut résoudre les problèmes aujourd’hui posés par l’atome. Jean-Luc Alexandre explique : « Le nucléaire représente aujourd’hui 4 à 5 % de l’énergie mondiale. Ce n’est pas à ce niveau qu’on peut avoir un rôle sur le climat. Pour qu’il remplace en grande partie les énergies fossiles, il faut faire dix fois plus. Et pour y arriver, il faut le rendre acceptable en s’attaquant à ce qui ne l’est pas aujourd’hui : les déchets et la sûreté. »

      Le réacteur Naarea, plus petit qu’un SMR avec une puissance de 1 à 40 MW, fabriquerait à la fois de l’électricité et de la chaleur. Sur le papier, il fonctionne avec une technologie dite « à sels fondus », contrairement à la quasi-totalité des réacteurs existants qui sont « à eau pressurisée ». Son combustible, liquide, ne remet pas en cause le principe de base de la fission, mais n’a pas besoin d’eau pour se refroidir. Ce qui ouvre des possibles en termes d’implantation : chauffer les villages les plus reculés, aujourd’hui alimentés en fuel, propulser des porte-conteneurs, voire des avions et des fusées, faire tourner des usines, et, pourquoi pas, alimenter les bornes de recharge des véhicules électriques sur les aires d’autoroute.

      Cette technologie est aussi censée réduire très fortement le risque d’accident. Comme le détaille l’ingénieur : « Le sel fondu se dilate quand la température augmente. Si celle-ci s’élève trop, il sort de la zone critique et la température descend d’elle-même. Il n’y a pas de risque de fusion comme à Tchernobyl. » Par ailleurs, contrairement aux réacteurs existants, celui de Naarea ne sera pas sous pression, ce qui simplifie sa conception, réduit les contraintes de sûreté et les coûts associés. Une casserole d’eau bouillante reste plus sûre qu’une Cocotte-Minute sans soupape...

      Après Astrid

      Enfin, parce qu’il s’agit d’un réacteur de 4e génération, il doit produire bien moins de déchets que les réacteurs de 2e génération qui fonctionnent en ce moment en France, ou de 3e génération - celle des EPR de Taishan en Chine, d’Olkiluoto en Finlande ou de Flamanville en France. Il aura en effet la capacité, en fonctionnant avec des neutrons rapides, de valoriser les combustibles usés, y compris les matières hautement radioactives, qui s’accumulent aujourd’hui dans les piscines d’Orano La Hague et d’EDF, et d’éviter qu’ils ne deviennent des déchets. Dans les plans de Naarea, un prototype pourrait être mis en service dès 2026 et construit en série, le réacteur pourrait sortir un mégawattheure à « moins de 40 euros, moins que le charbon » en 2030.

      On serait tenté d’y voir des marchands de rêve, si des pointures de la recherche ne faisaient partie de l’aventure. Comme Daniel Heuer, physicien soixantenaire et cerveau du futur réacteur, qui a déjà son bureau au siège de Naarea. Fraîchement retraité, cet ancien directeur de recherche au CNRS a travaillé pendant plus de vingt ans sur... les réacteurs à sels fondus.

      Car la technologie n’est pas nouvelle : développée dans les années 1950 aux Etats-Unis, elle a été abandonnée au profit des réacteurs à eau pressurisée, pour lesquels « le retraitement du combustible n’était pas envisagé à l’époque », explique Daniel Heuer, et qui se révélaient plus compétitifs. C’est lui qui dirigera la réalisation des études et du design du réacteur, tout en s’appuyant sur les experts du Commissariat à l’Energie atomique (CEA), auquel Naarea ouvre un nouvel horizon après l’abandon par le gouvernement, en 2018, de son projet de construction d’Astrid, un réacteur de 4e génération à neutrons rapides au sodium.
      Jean-Claude Garnier, ancien chef de projet R&D d’Astrid et aujourd’hui responsable du programme Réacteurs de 4e génération au CEA, raconte : « Le cahier des charges d’Astrid avait été défini dans les années 2000. Or, dix ans plus tard, le contexte énergétique et la façon de penser le nucléaire avaient changé. On s’est mis à réfléchir à des réacteurs plus petits, capables de trouver leur place dans un mix contenant beaucoup d’énergies renouvelables... »

      Une équipe d’une vingtaine de personnes (contre 200 à l’époque d’Astrid) s’est remise à l’ouvrage sur les différentes technologies qui permettent un recyclage infini des combustibles nucléaires usés, et particulièrement sur les sels fondus. Parmi ces experts, des figures bien connues dans le milieu, comme Joël Guidez, ex-conseiller scientifique du CEA, qui rejoindra lui aussi Naarea. « Ils parlent d’innovation de rupture mais c’est un petit club de retraités ! », s’amuse un expert du nucléaire auprès de l’Agence internationale de l’Energie.

      L’appel du pied de Macron

      Pourquoi donc ce retour en grâce de la 4e génération, dans un pays qui semblait avoir tourné la page en fermant en 1997 Superphénix, un prototype de réacteur à neutrons rapides au sodium, puis en enterrant le projet Astrid ? Jean-Claude Garnier affirme : « Au début des années 2000, la filière nucléaire s’est demandé comment aller vers plus de sobriété dans la consommation d’uranium, dans l’hypothèse d’un redéveloppement du nucléaire. Un peu comme on a cherché à faire des voitures qui consommaient moins. La 4e génération y contribue. »

      Le besoin s’est aussi fait sentir de fabriquer des réacteurs nucléaires ne produisant pas seulement de l’électricité, mais aussi de l’hydrogène décarboné et de la chaleur - un atout de la 4e génération, qui atteint des températures plus élevées. La Pologne et les Pays-Bas ont d’ailleurs déjà montré leur intérêt pour ce nucléaire pour faire tourner leurs usines.

      Enfin, en France tout particulièrement, face à la saturation inquiétante des capacités d’entreposage du combustible usé, alors que les pistes de retraitement actuelles rencontrent des difficultés et que l’Autorité de Sûreté nucléaire (ASN) appelle le gouvernement à prendre d’urgence une décision sur l’opportunité de poursuivre l’entreposage de matières radioactives pour un hypothétique usage futur qui n’arrive pas, les opérateurs du traitement du combustible réfléchissent à leur avenir.

      Les Etats-Unis, le Canada, la Chine et la Russie n’ont pas tergiversé comme la France. Le gouvernement américain a relancé dès les années 2000 son industrie nucléaire moribonde en lançant des appels à projets, et créé une dynamique de start-up à l’affût de différenciation et d’innovation. Selon Jean-Claude Garnier : « Ce qu’on voit aujourd’hui en France correspond à ce qui s’est lancé il y a dix ans aux Etats-Unis. Et il se passe autant de choses en Chine, qui investit sur toutes les technologies sans exception, mais on en entend moins parler... »

      A ce jour, trois réacteurs à neutron rapide au sodium type Astrid sont en construction en Russie et en Chine, et quelques start-up s’intéressent aux sels fondus outre-Atlantique (TerraPower aux Etats-Unis, Terrestrial au Canada..)

      Comme là-bas, Naarea, le CEA et d’autres partenaires potentiels tentent de monter un consortium qui pourra répondre à l’appel à projet sur « des technologies de transformation et de rupture sur le nucléaire », annoncé par le président Emmanuel Macron dans le cadre du plan d’investissement France 2030, sur lequel il est encore revenu lors de son discours de relance du nucléaire le 10 février. Celui-ci prévoit en effet d’y allouer 1 milliard d’euros, dont la moitié pour le SMR Neward et l’autre moitié pour des projets type Naarea.

      Verrous technologiques

      Le sérieux technique de l’entreprise ne fait pas tellement débat dans la filière. En revanche, les « verrous technologiques » sont encore nombreux et laissent planer le doute sur la faisabilité à court terme du projet. « Un réacteur, c’est de la physique et des matériaux. On doit être sûr qu’on peut maîtriser son fonctionnement même, et que les matériaux résisteront à des températures très élevées, à l’irradiation et à la corrosion », explique Jean-Claude Garnier.

      Dans ces conditions, Valérie Faudon, porte-parole de la Société française de l’Energie nucléaire (Sfen), bras armé de l’atome en France, doute du calendrier : « D’ici 2030, on sera avant tout dans une phase de recherche et développement, et c’est le sens de l’annonce du président sur France 2030. Avant de pouvoir construire un prototype, il faut passer plusieurs jalons avec l’autorité de sûreté. Beaucoup disent que ces réacteurs n’arriveront à l’échelle industrielle qu’à la fin des années 2030. Pour la fusion, on parle de 2100, même si cela fait débat. » Et d’ajouter : « Tout dépend des moyens qu’on y mettra et bien sûr des exigences de l’Autorité de Sûreté nucléaire, qui devra valider la conception de ces réacteurs, sachant qu’on est sur des technologies de rupture. Aujourd’hui, l’ASN est bien occupée par les prolongations décennales des centrales existantes, les EPR2 en projet et le SMR Nuward... »

      Il faudra aussi trouver comment traiter le combustible dont le caractère liquide suppose une opération complexe de retraitement en fonctionnement, et une solution au risque de dissémination. Yves Marignac, expert de l’association NégaWatt, met en garde : « Ils disent que leurs petits réacteurs pourront aller partout. Or, à chaque fois qu’il y a une matière radioactive quelque part, il y a un risque de dispersion, qu’elle soit accidentelle ou malveillante. Plus vous disséminez ces matières, plus vous disséminez le risque. A la différence d’un panneau photovoltaïque, vous ne pouvez pas laisser la gestion d’un réacteur à un chef de village. »

      Un problème que Daniel Heuer ne nie pas, quand Jean-Luc Alexandre promet « des réacteurs surveillés et contrôlables à distance », dont Naarea resterait propriétaire et qui présenteraient un faible intérêt pour une personne mal intentionnée... « Tout cela est extrêmement illusoire, tranche Yves Marignac. La promesse d’apporter à l’humanité une énergie nucléaire propre, accessible à tous et compétitive est fausse. Mais elle entretient l’idée qu’un nucléaire est envisageable sans effet négatif. Naarea réactive cet imaginaire, mais sa seule vraie finalité est de donner de l’assise au nucléaire. »

      Un acteur y a en tout cas vu son intérêt. En novembre dernier, Naarea a annoncé la signature d’un partenariat avec Assystem, ingénieriste réputé dans le secteur nucléaire, qui accompagnera la start-up dans la réalisation d’un jumeau numérique du réacteur, qui simulera son comportement avant d’engager la construction d’un prototype. Un processus qui permet de gagner temps et argent, voire de limiter les mauvaises surprises. « Les bénéfices qu’Assystem dit attendre de son association avec cette entreprise sont révélateurs, observe Nicolas Goldberg, expert chez Colombus Consulting. Le petit réacteur, c’est aussi l’histoire qu’on raconte pour avancer sur d’autres sujets : le développement du numérique, la R&D appliquée, les conditions de certification du nucléaire... »

      Naarea, un outil de financement de toute la filière nucléaire ?

      Morgane Bertrand

    • Voir aussi la communication officielle sur le site du partenaire stratégique, qui vaut son pesant de cacahuètes au thorium :

      ... solution énergétique sûre, décarbonée, circulaire, non intermittente, décentralisée, économique, produite à partir de déchets industriels, qui élargit la voie des renouvelables ... conviction que le climat est notre patrimoine ... réaliser la transition écologique à l’échelle collective et atteindre une abondance juste et partagée ... développement d’une écologie citoyenne et stimulante, pour accroître la résilience des territoires, réformer l’économie, susciter de nouvelles générations d’entrepreneurs, et élargir le champ des possibles ...

      #sans_vergogne

  • Décembre 2021, le retour de #Klaus_Kinzler dans les médias...

    Klaus Kinzler, enseignant : « #Sciences_Po_Grenoble est devenu un camp de rééducation »

    « On entend désormais dans les amphis des profs remettre en cause tout le système dans ses bases universalistes, démocratiques, laïques. C’est fait sans aucun complexe »

    Professeur d’allemand et de civilisation allemande à l’Institut d’études politiques de Grenoble, Klaus Kinzler est au centre d’une polémique qui empoisonne l’établissement depuis un an. Accusé d’être islamophobe dans une campagne lancée par des étudiants sur les réseaux sociaux, il a vu son nom et celui d’un de ses collègues placardés sur les murs de l’établissement avec la mention : « Des fascistes dans nos amphis. L’islamophobie tue ». Klaus Kinzler n’est pas retourné à l’IEP depuis les faits. En mars, il publiera le récit de cette affaire aux Editions du Rocher.
    Vous avez été, selon vous, la cible d’une « cabale » instrumentalisée par un syndicat étudiant (l’Union syndicale) de l’IEP de Grenoble, avec le silence complice de la direction et du corps enseignant. Pourquoi les choses se sont-elles envenimées à ce point  ?

    Tout a commencé par des échanges de mails avec une collègue historienne en décembre 2020. Je contestais le titre d’une journée de débats dans lequel « racisme, antisémitisme et islamophobie » étaient mis sur le même plan. Cela me paraissait un scandale alors qu’existe un vrai débat sur la pertinence du terme islamophobie. La discussion s’est vite envenimée, ma collègue affirmant la « scientificité » du mot. Les ennuis ont débuté. Dès janvier, la campagne s’était déjà déchaînée sur Facebook. On nous accusait d’être « islamophobes » et on exigeait notre démission, tout en lançant des appels à témoignages anonymes contre nous. En mars dernier, mon nom, ainsi que celui d’un collègue politologue, spécialiste de l’islam en France, ont été placardés sur la façade de l’établissement. J’ai été mis sous protection policière pendant un mois.

    (#paywall)
    https://www.lopinion.fr/politique/klaus-kinzler-enseignant-sciences-po-grenoble-est-devenu-un-camp-de-reeduca

    Toute l’affaire, dans ce fil de discussion :
    https://seenthis.net/messages/905509

    #grenoble #Sciences_po #affaire_de_Grenoble

    • L’enseignant qui accusait Sciences Po Grenoble d’être un institut de « #rééducation_politique » suspendu pour #diffamation

      Un professeur de Sciences Po Grenoble, accusé d’ « islamophobie » au début de l’année, a été suspendu de ses fonctions par la direction, qui lui reproche d’avoir tenu, depuis, des « #propos_diffamatoires » , a-t-on appris lundi 20 décembre.

      L’arrêté de la directrice de l’institut d’études politiques (IEP), Sabine Saurugger, révélé par Le Figaro (https://www.lefigaro.fr/actualite-france/klaus-kinzler-l-enseignant-qui-avait-denonce-une-chasse-ideologique-suspend), vise des interviews accordées au début de décembre par l’enseignant, Klaus Kinzler, au site de l’hebdomadaire Marianne , au quotidien L’Opinion et à la chaîne CNews. Le professeur d’allemand a, selon la directrice, « gravement méconnu plusieurs obligations » , notamment en matière de « #discrétion_professionnelle » . « Il y a lieu à saisir le #conseil_de_discipline » , ajoute-t-elle dans l’arrêté qui le suspend pour quatre mois.

      Une « #chasse_aux_sorcières », selon l’enseignant

      Dans ses interviews, l’enseignant a décrit l’#IEP comme un institut de « rééducation politique » , accusant un « #noyau-dur » de collègues, adeptes, selon lui, des théories « #woke » , d’endoctriner les étudiants, et la direction de l’IEP de laisser faire.

      Pour ses avocats, qui dénoncent une « chasse aux sorcières » , M. Kinzler « a été contraint de prendre la parole afin de se défendre », après avoir été mis en cause « sur la place publique » . « Ça empoisonne ma vie, mais il faut peut-être aller jusqu’au bout pour savoir qui a le droit de dire quoi et dans quelle situation » , a déclaré l’enseignant, évoquant un possible recours devant le tribunal administratif.

      Contactée, la direction de l’IEP de Grenoble n’a pas souhaité réagir à « une mesure interne » . Le 13 décembre, dans un entretien donné à Marianne , Mme Saurugger avait pris la défense de l’établissement. « M. Kinzler reproche un certain nombre de faits qui ne sont pas exacts. Il dit notamment que la direction ne l’a jamais protégé. Sciences Po Grenoble est un établissement où la #liberté_d'expression et la #liberté_d'enseignement se trouvent au cœur du projet académique » , avait-elle déclaré.

      Seize étudiants sur dix-sept relaxés

      A l’origine de l’affaire, à la fin de 2020, M. Kinzler et une collègue historienne avaient échangé des courriels véhéments à propos d’une journée de débats intitulée « racisme, antisémitisme et islamophobie » , termes dont il contestait le caractère scientifique, tout en critiquant l’islam.

      Le 4 mars, M. Kinzler et un autre enseignant avaient été la cible d’affichettes placardées par des étudiants, relayées sur les réseaux sociaux par des syndicats. « Des fascistes dans nos amphis. L’islamophobie tue » , pouvait-on lire sur ces affiches. La directrice de l’IEP avait condamné « très clairement » ces affiches, tout en estimant que la façon dont M. Kinzler parlait de l’islam était « extrêmement problématique » .

      Le 26 novembre, seize des dix-sept étudiants de l’IEP poursuivis devant une instance disciplinaire ont été relaxés, tandis que la ministre de l’enseignement supérieur avait préconisé des sanctions à leur encontre. Un seul a fait l’objet d’une exclusion temporaire avec sursis.

      Dans un message publié sur Twitter, le président de la région Auvergne-Rhône-Alpes, #Laurent_Wauquiez, a cependant fait savoir qu’il suspendrait les financements régionaux – environ 100 000 euros par an hors investissements sur projets – à l’IEP de Grenoble, du fait de la « longue dérive idéologique et communautariste » , qui vient de « franchir un nouveau cap » avec la suspension de l’enseignant. Selon lui, « une minorité a confisqué le débat » au sein de l’établissement, « sans que la direction prenne la mesure de cette dérive préoccupante » .

      https://www.lemonde.fr/societe/article/2021/12/20/l-enseignant-qui-accusait-sciences-po-grenoble-d-etre-un-institut-de-reeduca

      #suspension #Wauquiez

    • Sciences Po Grenoble est depuis trop longtemps dans une dérive idéologique et communautariste inacceptable. Ce n’est pas ma conception de la République : la Région @auvergnerhalpes suspend donc tout financement et toute coopération avec l’établissement.


      https://twitter.com/laurentwauquiez/status/1472950277028392965
      #financement #dérive_idéologique #communautarisme #dérive_communautariste #Région_Auvergne_Rhône-Alpes

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      Laurent Wauquiez a parfaitement compris comment couper court à l’infiltration de nos grandes écoles par l’islamo-gauchisme : en commençant par fermer le robinet du financement public.


      https://twitter.com/ZemmourEric/status/1472969682567241736

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      #Valérie_Pécresse :


      https://twitter.com/vpecresse/status/1473032185418551303
      #Pécresse

    • #Richard_Malka sur FB, 21.12.2021 :

      Je suis en vacances. Après quelques mois éreintants à défendre, autant que je le pouvais, le droit d’emmerder Dieu, j’ai décidé d’offrir à mes neurones une cure de désintoxication. Oubliée la liberté d’expression, plus rien à faire du blasphème, du Wokisme ; laissez-moi tranquille avec l’islamo-gauchisme…je veux lire ma pile de livres en retard, regarder la mer, marcher, la tête vide, sur des sentiers douaniers, me plaindre de mes courbatures en m’en délectant, avoir pour seule préoccupation la raréfaction des nouvelles séries de qualité sur Netflix.
      Mais patatras, j’ai commis l’erreur de lire la presse ce matin. J’essaie d’oublier ce que j’ai lu, d’enfouir mon cerveau sous ma couette comme si cela pouvait l’anesthésier, de laisser à d’autres le soin de réagir mais je sens bien que c’est foutu ; ça bouillonne dans mon ventre.
      Il y a donc, sur notre territoire, un petit Pakistan situé dans cette bonne ville de Grenoble. Un laboratoire de la pensée stalinienne dirigé par une certaine Sabrine Saurugger qui, en moins d’un an et demi, depuis sa nomination à la tête de Science Poe Grenoble, aura réussi l’exploit d’anéantir la réputation de cette école et de porter préjudice à des centaines d’étudiants qui auront bien du mal à réaliser leurs rêves quand ils inscriront sur leur cv le nom de cette école de la honte. Mais cela, Madame Saurugger n’en a probablement cure…quelques sacrifiés innocents n’ont jamais fait peur aux idéologues qui pensent le bien.
      Je résume : Le 4 mars dernier, un professeur d’allemand, Klaus Kinzler, est victime d’une campagne de lynchage sur les réseaux d’un syndicat étudiant, son nom étant par ailleurs placardé sur les murs de Science Po Grenoble, affublé des qualificatifs de fasciste et d’islamophobe. Son seul crime consiste à avoir contesté le concept d’islamophobie, ce qui fait débat, quoi que l’on en pense, depuis des décennies et ce dont on devrait pouvoir discuter, même à l’université. Rien qui ne justifie d’être qualifié de fasciste et voué aux gémonies, voire pire. Le professeur s’en émeut, de même que du manque de soutien évident de sa direction, dont on sent bien qu’elle a plutôt tendance à se ranger du coté de la terreur intellectuelle, parce que c’est pour la bonne cause. L’affaire aurait pu en rester là mais non, il faut réduire au silence pour que plus aucun professeur, jamais, partout en France, n’ose contester le dogme naissant. C’est alors que Madame Saurugger a une idée géniale qui a fait ses preuves pour éliminer toute velléité de contestation : innocenter les coupables et condamner leur victime au seul motif qu’elle a osé parler à des journalistes, ce qui ne se fait pas. Manquerait plus que la liberté d’expression soit un droit constitutionnel qui permette de se défendre et de dénoncer l’instauration d’une petite dictature de la pensée. L’université va s’atteler méticuleusement à cette tâche sacrée. D’abord, relaxer 16 des 17 étudiants poursuivis disciplinairement en dépit des conclusions d’un rapport de l’Inspection Générale de l’Education Nationale. Puis, et c’est le chef d’œuvre de la direction de Science Po Grenoble, prendre un arrêté le 14 décembre dernier, en espérant surement que les journalistes ne tarderont pas à être en vacances autour d’une dinde, pour suspendre le Professeur insulté qui avait eu l’audace de s’en plaindre. Le suspendre avant même que ne soit engagée à son encontre une procédure disciplinaire pour avoir osé parler.
      Passons sur le soutien apporté par le groupe écologiste de la région Rhône-Alpes qui, au prétexte de s’insurger de la décision de Laurent Wauquiez de supprimer la subvention de la Région à l’IEP, apporte son soutien à la direction de l’école. Ceci dit, on aimerait bien savoir, en passant, si dans le package du vote écolo, auquel chacun pourrait adhérer, figure obligatoirement la cancel culture dont je ne vois pas bien ce qu’elle a d’écolo.
      Cette affaire est cruciale pour l’avenir. Le message véhiculé par Madame Saurugger est simple : c’est celui de la violence symbolique adressée aux enseignants qui se résume par : taisez-vous, courbez l’échine devant la terreur intellectuelle ; osez la dénoncer et vous serez exclus. Relevez la tête et vous serez suspendus.
      Peut-être n’est-ce pas Monsieur Kinzler qui devrait être sanctionné mais Madame Saurugger, à défaut de prendre conscience elle-même, dans un sursaut, du mal qu’elle fait à son école et à ses étudiants. Au demeurant et en ce qui les concerne, ils gagneraient beaucoup à se révolter contre cette décision, pour ne pas se laisser sacrifier par une direction qui a sombré dans la faillite morale.

      https://www.facebook.com/richardmalka.avocat/posts/334513131820151

    • Samuel Hayat, 21.12.2021

      Je remets ça là à propos de Sciences Po Grenoble. Ce n’est pas un hasard si c’est cette institution qui est accusée. Car Sciences Po Grenoble n’est pas DU TOUT gauchiste. Et sa directrice encore moins. On est vraiment dans le pôle le plus positiviste et « centriste » du champ.
      Une fois de plus, les réactionnaires, en voie de fascisation rapide, ne se déchaînent pas contre les gauchistes - car nous, on ne prétend pas à l’impartialité, et on sait qui vous êtes, donc si LW nous juge, OSEF, ça ne nous fait rien. « Pratiquement, je l’emmerde », écrivait Fanon
      Ils se déchaînent sur les gens et les institutions qui jouent le plus le jeu de la scientificité, de la neutralité axiologique, qui jamais de leur vie n’iront porter la moindre parole militante dans l’espace public. Et ils espèrent ainsi les tétaniser, et nous tétaniser tou.te.s.
      Evidemment, ça ne marchera pas, dans l’immédiat. C’est trop gros. Sciences Po Grenoble va continuer à produire de la science et des diplômes. Mais ça installe une ambiance, ça fait grossir la meute, ça rend la proie plus floue, plus fantasmée. Bref, ça prépare le fascisme.

      https://twitter.com/SamuelHayat/status/1473310750194257920

      #scientificité #neutralité_axiologique #fascisme

    • Sciences Po Grenoble : « L’intrusion politique de Wauquiez est inédite »

      #Frédéric_Sawicki, professeur de science politique et président du comité d’éthique de l’AFSP, souligne la gravité de la décision de Laurent Wauquiez de couper le soutien financier de la #région_Auvergne-Rhône-Alpes à Sciences-Po Grenoble. Il dénonce un climat délétère contre l’#université et la #recherche.

      Laurent Wauquiez, président de la région Auvergne-Rhône-Alpes, a affirmé que cette dernière mettait fin à sa coopération et à son soutien financier à l’#Institut_d’études_politique de Grenoble. L’ancien ministre et ex-dirigeant des Républicains (LR) met en avant, comme raison de cette soudaine décision annoncée sur Twitter, la mise à pied d’un enseignant, conséquence d’une polémique ayant éclaté au printemps dernier (lire le récit de David Perrotin).

      Quelques heures plus tard, la candidate LR à la présidentielle, Valérie Pécresse, partageait le même article du Figaro et s’indignait que « la liberté d’expression ne soit plus assurée à l’IEP de Grenoble », prenant pour argent comptant l’affirmation de l’enseignant en question, Klaus Kinzler, selon laquelle l’établissement serait devenu « un camp de rééducation ». Laurent Wauquiez se voyait félicité dans la foulée par le candidat d’extrême droite Éric Zemmour, estimant que le président de région avait « parfaitement compris comment couper court à l’infiltration de nos grandes écoles par l’islamo-gauchisme : en commençant par fermer le robinet du financement public ».

      Pour comprendre la gravité de cette annonce et son contexte, Mediapart a interrogé Frédéric Sawicki. Professeur de science politique à l’université Paris I, il préside également le comité d’éthique de l’Association française de science politique (AFSP). Il dénonce une décision qui laisse la porte ouverte à toutes sortes d’#abus, et souligne la #responsabilité de la ministre de l’enseignement supérieur, #Frédérique_Vidal, dans le climat délétère ayant encouragé une telle offensive.

      Est-ce que la coupure de fonds publics, pour des motifs politiques, est une première en France ?

      Frédéric Sawicki : Les relations entre les établissements d’enseignement et de recherche et les #collectivités_territoriales, notamment les régions, sont contractualisées. On peut imaginer qu’à l’issue d’une évaluation scientifique, et au regard d’objectifs connus et précis, certains financements soient remis en cause. Mais cela n’a rien à voir avec le fait de plaire ou déplaire au président d’une région. Où irait-on, dans ce cas ? Selon sa sensibilité, un ou une présidente déciderait de sanctionner financièrement des propos qui l’indisposeraient ?

      On a clairement affaire à une #intrusion_politique dans la procédure interne d’un établissement de recherche, et ceci, en effet, est complètement inhabituel. Laurent Wauquiez utilise sa position institutionnelle pour punir un établissement de façon collective. Cela s’appelle une #sanction_politique.

      Il s’agit d’une atteinte aux #libertés_académiques. Comment celles-ci se sont-elles construites, et quelles sont leurs limites ?

      Les libertés académiques concernent la liberté totale d’enseigner et de faire des recherches dans le cadre de l’université. Mais elles renvoient également à une réalité qui remonte au Moyen Âge, les « #franchises_universitaires » : le principe en est que les universités se gèrent elles-mêmes, en dehors de l’intrusion des pouvoirs politiques. Cela signifie qu’elles ont un pouvoir de discipline pour arbitrer et sanctionner les comportements déviants qui auraient été commis en leur sein. Ceci vaut pour les comportements liés à l’activité professionnelle, mais évidemment pas pour les crimes et délits d’ordre pénal ou civil.

      Les universités ont ainsi leurs instances de jugement, avec des possibilités d’appel et de se défendre. La jouissance de libertés académiques s’accompagne donc de procédures d’arbitrage bien définies, avec des tribunaux internes. Non seulement les universitaires sont soumis au droit général, mais ils peuvent faire l’objet de #sanctions devant leurs universités. Cela s’est par exemple produit dans le cas de Bruno Gollnisch (ex-cadre du Front national), qui fut suspendu de Lyon III pour des propos qui portaient préjudice à son établissement.

      En réalité, il y a des affaires tout le temps, dans lesquelles le pouvoir politique ne s’immisce pas – et n’a pas à le faire. De l’extérieur, en lisant certains médias ou responsables politiques, on peut avoir l’impression que l’enseignant mis à pied par la direction de l’IEP de Grenoble est victime d’un règlement de comptes politique. Mais il s’agit avant tout d’une décision émise contre une personne ayant sciemment jeté de l’huile sur le feu en diffamant son établissement.

      Ce genre de sanction politique et financière est inhabituel. Est-ce qu’il faut le rapprocher d’un contexte plus général, à l’international, d’attaque contre la liberté d’enseigner et de chercher ?

      Les pressions et les sanctions sont indéniablement plus féroces dans des démocraties subissant des involutions autoritaires, notamment au Brésil, en Turquie, en Pologne ou en Hongrie. Dans ce dernier pays, l’université privée financée par George Soros a ainsi été contrainte au départ. De manière générale, les présidents d’université font l’objet d’une tutelle directe par le pouvoir politique. On n’en est pas là en France, mais il faut prendre au sérieux la prétention de plus en plus intrusive du pouvoir politique.

      Comment ne pas penser, ici, aux attaques de la ministre Frédérique Vidal contre « l’islamo-gauchisme » qui sévirait dans les établissements d’enseignement et de recherche (lire notre article : https://www.mediapart.fr/journal/france/170221/islamo-gauchisme-vidal-provoque-la-consternation-chez-les-chercheurs) ? D’un côté, on encourage l’#autonomie, mais de l’autre, sur la liberté de ce qui s’enseigne, on exerce une forme de #pression pour qu’aucune tête ne dépasse. Les attaques se répètent contre des cibles mouvantes et toujours mal définies, puisque la même ministre a récidivé récemment devant les sénateurs, en brandissant les dangers supposés du « #wokisme ».

      Dans ce contexte, Laurent Wauquiez vient de faire un pas en direction de Viktor Orbán [le premier ministre hongrois – ndlr]. Pour la première fois en France, des attaques verbales et symboliques se transforment en #rétorsion_financière, en dehors de toute évaluation qui aurait mis en évidence des faits coupables de l’établissement. Pour le président de région, tout semble bon pour faire de l’#agitation. Sauf qu’il s’agit d’#argent_public et de la vie des étudiants et de l’établissement, avec des collègues qui essaient de faire leur travail dans un contexte difficile, lié à la pandémie et à des dotations en berne.

      À l’heure où l’on se parle, Frédérique Vidal n’a pas réagi à la décision de Laurent Wauquiez. Pour vous, elle ne remplit pas son rôle ?

      Des responsables politiques, et elle en fait partie, sont en train de discréditer la seule institution où on essaie de penser le monde comme il va, avec le moins de pression possible de l’extérieur. J’espère que cette affaire va faire prendre conscience que l’université ne devrait pas être un punching-ball, un objet d’#instrumentalisation à des fins électoralistes.

      Frédérique Vidal, au lieu de protéger l’autonomie des universités au sens traditionnel du terme, s’y est déjà attaquée de manière frontale. L’« islamo-gauchisme », le « wokisme »… sont autant de #chimères_conservatrices auxquelles elle a donné crédit. Quoi qu’il en soit, l’université doit être un lieu où l’on peut débattre de courants d’idées nouveaux, sans devoir le justifier devant des autorités politiques. Bientôt, faudra-t-il des autorisations sur les livres et les idées sur lesquelles on peut échanger ? Cela nous mènerait à un régime politique d’une autre nature.

      Après plusieurs décennies en poste dans l’enseignement et la recherche, que pouvez-vous dire de Sciences-Po Grenoble, aujourd’hui visé par Laurent Wauquiez comme un foyer de « dérive idéologique et communautariste » ?

      L’établissement est connu pour ses travaux sur les politiques publiques territoriales, ses enquêtes quantitatives sur les valeurs des Français et des Européens, ses travaux socio-historiques, ou encore ses publications sur les politiques de sécurité. La production des enseignants-chercheurs n’a rien à voir avec celle de gens obsédés par des idéologies « déconstructionnistes ».

      Quand on connaît leur production et ce milieu, les attaques dont ils font l’objet apparaissent encore plus hallucinantes. On ne peut qu’être étonné et indigné de la montée en épingle d’une affaire malheureuse mais ponctuelle et locale, sur laquelle se sont appuyés certains polémistes et responsables politiques pour transformer cet établissement en Satan idéologique.

      Cela fait penser au roman La Plaisanterie de Milan Kundera : dans un contexte d’extrême politisation et d’obligation de #conformisme, n’importe qui semble pouvoir être accusé de n’importe quoi, sans le moindre fondement. Cela est pratique pour régler des comptes, puisqu’on trouvera toujours des gens pour soutenir des #croisades_morales. Il y a un moment où il faudra dire « stop ». Ce devrait être le rôle de Frédérique Vidal.

      https://www.mediapart.fr/journal/france/211221/sciences-po-grenoble-l-intrusion-politique-de-wauquiez-est-inedite

    • Tweet de Simon Persico, enseignant-chercheur à Sciences Po Grenoble, 21.12.2021 :

      Les messages de soutien à @SciencesPo38, à sa directrice @SSaurugger et aux milliers d’étudiants et enseignants, anciens comme actuels, font chaud au cœur. Autant de bouées qui nous aident à nager dans le torrent de boue qui continue de se déverser sur notre bel IEP.
      Cette fois, c’est Laurent Wauquiez qui décide de couper les bourses de mobilité et l’accompagnement des étudiants les plus éloignés. A partir d’un diagnostic aussi mensonger qu’infamant, celui d’une prétendue dérive « communautariste et idéologique ».
      Une manière pour lui, ce n’est pas nouveau, de hurler avec les loups. Comme de trop nombreux responsables politiques, il surfe sur la vague entretenue par un collègue en perdition, avec l’aide d’une presse complaisante et dépourvue de toute rigueur factuelle.
      Ce thread a donc pour principal objectif de rappeler des faits. Un petit pense-bête sur ce qu’est Sciences Po Grenoble, pour bien comprendre ce qu’il n’est pas.
      Si vous voulez une version courte et synthétique, vous pouvez lire ce communiqué de notre direction. Il dit très bien tout ce qu’il y a à dire : http://www.sciencespo-grenoble.fr/communique-mise-au-point-de-la-direction-de-sciences-po-grenoble
      Si vous voulez une idée plus précise des enseignements et de leur contenu, allez faire un tour sur le site (http://sciencespo-grenoble.fr/formations). Vous y trouverez tous les intitulés de cours et la focale de nos nombreux parcours de Master. Du communautarisme idéologique en barre.
      Si vous voulez une idée de nos recherches, vous pouvez aller sur les sites de nos labos @PACTE_grenoble @CesiceUpmf et @cerdap2. Vous pouvez aussi lire le blog de l’IEP, et notamment cette série sur notre rapport à l’objectivité et à la neutralité : http://blog.sciencespo-grenoble.fr/index.php/category/objectivite-en-sciences-sociales
      Vous y lirez la richesse des objets, la robustesse des résultats et la diversité des perspectives qui nous guident. Je dis « nous » parce que nous formons une communauté très diverse, mais soudée sur l’essentiel : le respect de la rigueur scientifique et du pluralisme.
      Si vous voulez vous faire une idée des types d’évènements qui se tiennent chez nous en dehors des cours, voici les trois principaux du mois de décembre :
      –une journée d’hommage au grand constitutionnaliste et serviteur de l’Etat, Jean-Louis Quermonne.
      –une conférence sur les violences sexistes et sexuelles en présence des plus hautes autorités judiciaires et policières grenobloises
      –une conférence sur la « gestion de crise » par le Ministre chargé des Relations avec le Parlement et de la Participation, Marc Fesneau
      Si vous voulez vous remémorez les faits qui ont mené à cette affaire, vous pouvez lire le rapport de l’Inspection générale (vous noterez que le rapport s’arrête au moment des affichages, avant que notre collègue KK ne déclenche sa guerre médiatique) : https://www.enseignementsup-recherche.gouv.fr/fr/la-situation-l-iep-de-grenoble-en-mars-2021-47481
      Ce rapport, comme les excellents articles de @davidperrotin (https://www.mediapart.fr/journal/france/110321/accusations-d-islamophobie-la-direction-de-sciences-po-grenoble-laisse-le-) et de @FrancoisCarrel (https://www.liberation.fr/societe/sciences-po-grenoble-une-semaine-de-tempete-mediatique-sur-fond-dislamo-g) montrent bien la gravité du comportement de KK au démarrage de cette affaire.
      Ils rappellent aussi le soutien dont il a bénéficié de la part de notre direction, d’une part, mais aussi de tous nos collègues, profondément choqués par les affichages.
      Nous avions assez rapidement écrit une tribune à de très nombreuses mains pour rappeler ce soutien, inviter notre collègue à ne pas envenimer les choses, et dénoncer les pressions politiques dont cette affaire était la manifestation : https://www.lemonde.fr/idees/article/2021/03/17/professeurs-accuses-d-islamophobie-cette-affaire-est-une-illustration-des-pr
      Progressivement cette affaire commençait à passer, bon an mal an, même si elle avait laissé des traces. Jusqu’au dernier tour de piste de KK dans les médias, en décembre. Un tour de piste qui va mener Laurent Wauquiez à prendre cette décision honteuse.
      Si KK se décide à nous agoniser d’injure par voie d’interview, c’est que KK n’a pas supporté la relaxe de 17 étudiants renvoyés devant un Conseil de discipline délocalisé à l’Université de Clermont-Ferrand. Décision totalement indépendante de Sciences Po Grenoble.
      Lors de ce dernier tour de piste, KK dépasse toutes les limites. Il accuse notre institut d’être devenu un « camp de rééducation politique » et ses enseignants, surtout ceux qui sont arrivés récemment, d’endoctriner les étudiants avec les thèses woke et anticapitalistes.
      Ces propos nuisent gravement à la réputation de l’IEP sur des bases mensongères. Je suis reconnaissant à notre direction d’avoir engagé une procédure disciplinaire contre lui. Je remercie du fond du cœur @SSaurugger pour son courage et son sang-froid !
      Nous réussirons à en sortir renforcés. Car nous montrerons que le pluralisme et le souci du débat argumenté, rigoureux et respectueux sont plus forts que l’instrumentalisation et la mise au pas politique. On le doit à notre institution. On le doit au débat public.
      Et une dernière question à @laurentwauquiez : on en fait quoi du panneau bleu à l’entrée du bahut ? C’est vrai qu’il prend de la place, mais on commençait à s’y faire. Aucun problème pour le garder. Vous nous dites.

      https://twitter.com/SimPersico/status/1473298938602135555

    • Sciences-Po Grenoble : les mêmes intox pour un nouvel emballement

      Après l’annonce de la suspension d’un professeur accusé d’islamophobie à l’IEP de Grenoble, de nombreux politiques dénoncent une attaque contre la liberté d’expression. Mediapart revient sur les nombreuses #contrevérités relayées depuis.

      Il aura fallu attendre neuf mois pour qu’une nouvelle polémique éclate à propos de Sciences-Po Grenoble. L’Institut d’étude politique (IEP) fait de nouveau parler de lui depuis que Le Figaro a révélé que Klaus Kinzler, le professeur d’allemand qui dénonce une supposée « chasse idéologique » au sein de l’école, a été suspendu le 14 décembre pour quatre mois. Sabine Saurugger, directrice de l’institution, a pris cette mesure par #arrêté, avant de « saisir le conseil de discipline dans les meilleurs délais ». Cette suspension n’est toutefois pas une #sanction et l’enseignant conserve son traitement et ses indemnités le temps de la procédure.

      Selon le quotidien, la directrice lui reproche d’avoir tenu « des propos diffamatoires dans plusieurs médias contre l’établissement d’enseignement supérieur dans lequel il est en poste, ainsi que contre la personne de sa directrice », d’avoir en outre « gravement porté atteinte à l’#intégrité_professionnelle de ses collègues de travail », après une interview donnée sur CNews. Enfin, l’enseignant est aussi accusé d’avoir « gravement méconnu plusieurs obligations liées à son statut de fonctionnaire », comme « son obligation de #discrétion_professionnelle » et « son #obligation_de_réserve ».

      Il n’en fallait pas plus pour que l’emballement reprenne et que la direction de l’IEP soit accusée de « chasse aux sorcières ». De Marine Le Pen à Éric Zemmour, en passant par Valérie Pécresse ou Éric Ciotti, toutes et tous ont dénoncé cette décision qui serait une « grave atteinte à la liberté d’expression ». Plus étonnant encore, le président du conseil régional d’Auvergne-Rhône-Alpes Laurent Wauquiez a décidé de couper les aides accordées à l’institution, sans même attendre des éclaircissements de Sciences-Po, lui qui n’hésitait pas à voter deux subventions à l’ONG libanaise Nawraj, partenaire d’une association d’extrême droite et dirigée par l’ancien chef de milices chrétiennes responsables de nombreux massacres pendant la guerre civile.

      Sauf que les articles relayant la décision de la direction de l’IEP et les messages de soutien reposent en majorité sur des contrevérités et des #intox largement entretenues par la droite et l’extrême droite, et par le professeur Klaus Kinzler lui-même.

      Rappel des faits. L’affaire débute en mars 2020 lorsque Klaus Kinzler est, avec un autre enseignant, la cible d’affiches placardées sur la façade de l’IEP : « Des fascistes dans nos amphis Vincent T. […] et Klaus Kinzler démission. L’islamophobie tue. » Le syndicat étudiant Unef relaie l’action sur les réseaux sociaux, avant de tout supprimer.

      Comme le racontait Mediapart, ce collage, condamné unanimement, venait après d’intenses tensions autour d’une journée de débats nommée « Racisme, antisémitisme et islamophobie » et organisée dans le cadre d’une « semaine pour l’égalité et la lutte contre les discriminations ».

      Le professeur d’allemand s’en était pris à Claire M., sa collègue et enseignante d’histoire, et exigeait que l’intitulé soit reformulé. Celui-ci ayant été décidé après un vote des étudiants, elle avait refusé et argumenté en précisant « qu’utiliser un concept ne dispense pas d’en questionner la pertinence, de se demander s’il est opérant ».

      Mediapart racontait alors comment l’affaire avait été récupérée avec omission de nombreux détails. Klaus Kinzler reconnaissait lui-même avoir pu être violent à l’endroit de sa collègue et avoir révélé son nom publiquement, la mettant ainsi en danger.

      Alors pourquoi reparle-t-on de l’IEP de Grenoble ? Comme le révèle Le Figaro, la direction, qui n’a pas souhaité répondre à Mediapart, reproche deux récentes interviews accordées par Klaus Kinzler. Dans celle publiée par Marianne, le journal revient sur la relaxe de 17 étudiants passés en conseil de discipline et entretient la confusion en laissant penser que ces élèves pourraient être les auteurs des affiches placardées sur l’IEP. « C’est un blanc-seing pour ceux qui voudraient placer une cible dans le dos des professeurs », affirme Klaus Kinzler, qui dénonce la relaxe de ces 17 étudiants en lien avec l’Union syndicale Sciences-Po Grenoble (US), un syndicat qui avait fustigé « l’islamophobie des deux enseignants ». Le syndicat avait aussi appelé la direction de l’établissement à « statuer » sur le « cas » du professeur.

      Aucun étudiant n’a révélé les noms de professeurs

      Les étudiants sont en effet passés devant une commission disciplinaire. Elle faisait justement suite à une saisine de la directrice qui avait appliqué les recommandations d’un rapport de l’Inspection générale de l’éducation, du sport et de la recherche diligenté en mars par la ministre Frédérique Vidal et rendu en mai.

      D’après la décision rendue par la section disciplinaire, consultée par Mediapart, les étudiants ont en effet été relaxés car « le seul appel à témoignage publié par l’US sur les réseaux sociaux (Facebook) ne peut être regardé comme constitutif d’une participation à la diffusion […] d’accusations de racisme et d’islamophobie à l’encontre des deux enseignants », Vincent T. et Klaus Kinzler.

      En effet, si les étudiants ont bien dénoncé le comportement des deux professeurs, ils n’ont jamais publié leurs noms publiquement. Par ailleurs, si la presse évoque le fait qu’un étudiant a été condamné par la section disciplinaire, cela n’a rien à voir avec cette affaire. D’après nos informations, une étudiante a fait l’objet d’une exclusion temporaire avec sursis pour dénonciation calomnieuse dans une affaire de violences sexuelles.

      Aucun nom d’enseignant n’a été révélé par le laboratoire Pacte

      Dans son interview à Marianne qui lui est aujourd’hui reprochée, Klaus Kinzler met également en cause le laboratoire de recherche affilié au CNRS et à l’IEP, #Pacte, qui l’aurait accusé publiquement de harcèlement à l’encontre de sa collègue. « Sans cette accusation publique de Pacte, les étudiants ne m’auraient jamais attaqué sur Facebook », précise-t-il.

      En réalité, le laboratoire, qui a effectivement affirmé « son plein soutien » à l’enseignante « attaquée personnellement », n’avait jamais nommé Klaus Kinzler et n’a pas non plus rendu public son communiqué. Il avait seulement été envoyé par mail aux personnes concernées et à la direction. Interrogé ce mardi, l’enseignant reconnaît que « le communiqué n’est pas public ». « Mais il était très maladroit et a quitté les murs de l’IEP », ajoute-t-il.

      Ce qu’aucun média ne précise en outre, c’est que Klaus Kinzler est le premier à avoir livré le nom de sa collègue Claire M. Après le communiqué de Pacte, il avait publié sur son site internet les échanges qu’il avait eus avec l’enseignante sans son accord. Comme lui, elle avait d’ailleurs reçu des menaces et bénéficié par la suite d’une protection policière.

      Lors d’une interview donnée sur Cnews et également dénoncée par la direction de l’IEP, Klaus Kinzler s’en était d’ailleurs pris, avec Pascal Praud, à la directrice de Pacte, Anne-Laure Amilhat. Elle avait ensuite reçu une vague de cyberharcèlement, avant de déposer différentes plaintes pour « diffamation et diffamation à caractère sexiste » contre le professeur et l’animateur, et pour « menace de mort » et « cyberharcèlement ».

      La direction de l’IEP a bien soutenu Klaus Kinzler

      Dans différents médias, Klaus Kinzler affirme aussi que la direction de l’IEP ne l’a « jamais protégé en un an » et qu’il n’a pas été soutenu.

      Là encore, les nombreux mails et documents consultés par Mediapart prouvent le contraire. Pour contester l’intitulé de la journée de débats, le professeur d’allemand a vivement attaqué Claire M., dans des mails-fleuves, en la traitant d’« extrémiste » ou en remettant en cause ses qualités scientifiques. Klaus Kinzler avait d’ailleurs reconnu lui-même sa violence, qu’il disait « regretter ». L’enseignante avait alors sollicité l’intervention de la direction, qui avait refusé de rappeler à l’ordre Klaus Kinzler, mettant en avant la liberté d’expression.

      Face à l’inaction de la direction, Claire M. avait même saisi le Défenseur des droits. Dans sa décision consultée par Mediapart, l’institution estimait que Klaus Kinzler et son collègue Vincent T. avaient « bafoué le droit au respect de Claire M. et que cette dernière n’a pas bénéficié du soutien de la direction ». Cette dernière avait seulement demandé à l’enseignant de s’excuser, alors que l’enseignante avait été placée en arrêt maladie.

      Interpellée par l’Union syndicale en janvier 2021, la direction de l’IEP avait encore rappelé l’importance de la liberté d’expression des enseignants et était par la suite accusée par l’Union syndicale de se cacher « derrière la liberté pédagogique pour défendre l’islamophobie ». Sollicité sur ce point, le professeur d’allemand le reconnaît là encore. « Vous avez raison, la direction m’avait d’abord soutenu en tentant un apaisement de la situation. Mais après, elle m’a abandonné en faisant le strict minimum. Elle aurait dû punir les étudiants immédiatement, sans attendre que les médias en parlent. »

      Les recommandations du rapport suivies à la lettre par la directrice

      En mars dernier, Klaus Kinzler envoie un mail à des étudiants qui avaient dénoncé le fait qu’il boive de l’alcool lors d’une réunion. Agacé, le professeur d’allemand avait signé : « Un enseignant “en lutte”, nazi de par ses gènes, islamophobe multirécidiviste ». Encore interpellée par l’Union syndicale, la direction de l’IEP n’avait pas réagi. Quatre jours après, les fameuses affiches le visant étaient placardées et la direction signalait les faits au procureur, avant de déposer plainte contre X.

      « C’est absurde de s’en prendre à la directrice de l’IEP, alors qu’elle a soutenu les deux enseignants depuis le début », s’agace un maître de conférences de l’IEP. Il rappelle en effet que #Sabine_Sarugger a suivi à la lettre les recommandations du rapport qui préconisait une action disciplinaire contre les étudiants de l’US. « Elle a saisi la commission de discipline. On ne peut pas aujourd’hui lui reprocher les relaxes alors que la commission a été dépaysée et est parfaitement indépendante », ajoute-t-il.

      Un rapport d’ailleurs salué par Klaus Kinzler. ​​« Je ne peux pas dire que je sois d’accord avec tout ce qui y est préconisé mais je dois reconnaître que les inspecteurs ont fait un travail d’enquête extraordinaire, interrogeant tous les protagonistes de l’affaire, soit des dizaines de personnes. Ils ont formulé de nombreuses recommandations extrêmement claires », juge-t-il dans Marianne.

      Dans ses conclusions, l’inspection estimait « que tous les acteurs de cette affaire ont commis des erreurs d’appréciation, des maladresses, des manquements et fautes, plus ou moins graves, plus ou moins nombreux ». Elle précisait aussi que Klaus Kinzler avait « porté atteinte à l’image et à la réputation du corps enseignant et, au-delà, de l’établissement, décrédibilisé une instance de l’Institut », et recommandait un rappel à l’ordre.

      Le professeur attaquait l’islam et « les musulmans »

      Dans ses différentes sorties, Klaus Kinzler vilipende une attaque contre la liberté d’expression et rappelle justement que la critique de l’islam doit être possible. « Je dois rappeler que, dans ces mails, je n’ai jamais critiqué les musulmans. J’ai même insisté assez lourdement sur ce point. Je n’ai parlé que du terrorisme et d’une vision archaïque de la femme qui ne me plaît pas dans l’islam », précise-t-il, toujours dans l’hebdomadaire.

      Si le professeur s’en prend vivement à l’islam et précise qu’il « préfère largement le Christ », les nombreux mails consultés par Mediapart montrent qu’il visait aussi les musulmans. C’est ce qui avait d’ailleurs choqué certains étudiants de cette religion. « Les musulmans ont-ils été des esclaves et vendus comme tels pendant des siècles, comme l’ont été les Noirs (qui aujourd’hui encore sont nombreux à souffrir d’un racisme réel) ? Non, historiquement, les musulmans ont été longtemps de grands esclavagistes eux-mêmes ! Et il y a parmi eux, encore aujourd’hui, au moins autant de racisme contre les Noirs que parmi les Blancs », écrivait-il. Il poursuivait sa mise en cause des musulmans en expliquant qu’ils n’ont pas jamais été « persécutés », « tués » ou « exterminés » comme l’ont été les juifs et qu’au contraire, on compterait parmi eux « un très grand nombre d’antisémites virulents ».

      « Sur les musulmans, ce sont un peu des évidences que je dis, 95 % des Français doivent être d’accord avec moi », justifie aujourd’hui Klaus Kinsler. « Vous revenez sur tous ces mails, mais je doute que cela intéresse les gens. Je ne me rappelle pas de tout. Aucun autre média ne retient des choses à me reprocher dans ces mails », finit-il par balayer.

      « Dans L’Opinion, Klaus parle de l’IEP comme d’un camp de rééducation. Ses interviews sont d’une violence inouïe et reposent sur de nombreux #mensonges complaisamment relayés par les médias qui l’interrogent », regrette l’un de ses collègues. Un autre confirme : « Non, l’IEP n’est pas un repère de “wokistes”. Quiconque vient ici s’apercevra qu’il n’y a aucune dérive communautariste. » Après la relaxe des étudiants, plusieurs professeurs de l’IEP avaient d’ailleurs vivement réagi par mail pour dénoncer cette décision. « Il y a des débats au sein de l’IEP mais ni pression idéologique ni chasse aux sorcières. »

      Dans un communiqué publié ce mardi, la direction de l’IEP réagit à la décision de Laurent Wauquiez et dénonce une décision politique. Elle rappelle également que « le soutien financier de la région […] ne consiste pas en des subventions mais essentiellement en l’attribution de bourses aux étudiants ».

      Klaus Kinzler, lui, se dit « fatigué par tout ça » et promet de « cesser les apparitions médiatiques dès demain ». Tout en regrettant que le débat « soit national plutôt que devant un tribunal », il insiste pour mettre en cause la directrice de l’IEP, qui a « voulu le faire taire » en l’empêchant de parler à la presse. Confronté aux nombreuses imprécisions ou contrevérités qu’il relaie lors de ses nombreuses interviews, il prévient : « On ne va pas refaire l’histoire du mois de mars. Un juge administratif tranchera. »

      https://www.mediapart.fr/journal/france/211221/sciences-po-grenoble-les-memes-intox-pour-un-nouvel-emballement

    • "Islamophobie" à l’IEP de Grenoble : « la chasse idéologique aux enseignants est ouverte »

      Au cœur d’une polémique pour s’être opposé au concept « d’islamophobie », un professeur de l’Institut d’études politiques de Grenoble, Klaus Kinzler, a vu son nom placardé sur les murs de l’établissement pendant qu’une association étudiante exigeait que la direction « statue sur son cas ». Ces mêmes étudiants ont récemment été relaxés par une commission disciplinaire. Un « blanc-seing » aux campagnes d’intimidation, estime, auprès de « Marianne », le professeur en question.

      Si Klaus Kinzler enseigne à l’Institut d’études politiques (IEP) de Grenoble, il n’y a pas donné cours depuis mars, après que son année universitaire a été perturbée par une vive polémique. Sur les murs de l’IEP, des affiches mentionnant son nom et le qualifiant d’« islamophobe » ont fleuri en début d’année. En cause : une querelle entre professeurs lors d’un échange de mails qui a fait grand bruit dans la communauté enseignante et étudiante de l’établissement. Klaus Kinzler s’y opposait à l’utilisation du terme « islamophobie » dans l’organisation d’une semaine de lutte contre les discriminations.

      (#paywall)
      https://www.marianne.net/societe/laicite-et-religions/islamophobie-a-liep-de-grenoble-la-chasse-ideologique-aux-enseignants-est-

    • La liberté académique est-elle en danger ?

      La liberté du chercheur serait aujourd’hui sérieusement menacée en France et aux Etats-Unis et, avec elle, la pratique même du métier. C’est la thèse d’#Olivier_Beaud, Professeur de droit public à l’université de Panthéon-Assas, auteur de l’ouvrage « Le savoir en danger » (PUF, 2021), et notre invité.

      https://www.franceculture.fr/emissions/la-grande-table-idees/la-liberte-academique-est-elle-en-danger

    • Sciences-Po Grenoble : Laurent Wauquiez ou les ravages de la « #cancel_culture »

      Après qu’un professeur de l’IEP de Grenoble a été suspendu, Wauquiez a décidé de couper le financement que la région versait à l’établissement. La droite LR « cancel », l’extrême droite applaudit.

      La « cancel culture », c’est la droite qui la dénonce le plus mais c’est encore elle qui la pratique le mieux. Après qu’un professeur de Sciences-Po Grenoble, Klaus Kinzler, a été suspendu pour quatre mois de ses fonctions par la direction qui lui reproche d’avoir tenu des « propos diffamatoires », le président de la région Auvergne-Rhône-Alpes, Laurent Wauquiez, a annoncé vouloir suspendre les financements accordés à l’école par la collectivité.

      « Sciences-Po Grenoble est depuis trop longtemps dans une #dérive_idéologique et communautariste inacceptable, a tweeté Laurent Wauquiez. Ce n’est pas ma conception de la République : la région Auvergne-Rhône-Alpes suspend donc tout financement et toute coopération avec l’établissement. » Soit un soutien financier - environ 100’000 euros par an hors investissements sur projets - qui consiste à attribuer des bourses aux étudiants, à soutenir des formations continue pour faciliter l’accès à l’enseignement supérieur et à l’emploi, ainsi que l’action sociale.

      L’affaire remonte à décembre 2020, quand Klaus Kinzler, professeur de civilisation allemande, s’oppose de manière virulente, dans un groupe de travail, à l’utilisation du mot « islamophobie » lors d’un futur colloque. Il obtient gain de cause. Deux mois plus tard, son nom et celui d’un de ses collègues sont placardés sur des affiches par des étudiants les accusant d’être islamophobes et « fascistes ».

      Un institut de « rééducation politique »

      Dans le contexte inflammable lié aux polémiques sur l’« islamo-gauchisme », l’événement prend une ampleur nationale. Frédérique Vidal émet le souhait de voir les colleurs d’affiches sanctionnés. Le 26 novembre, seize des dix-sept étudiants de l’IEP poursuivis devant la commission de discipline de l’université de Clermont-Auvergne sont finalement relaxés. Une décision prise à l’unanimité, relate le Monde. Un seul étudiant sera sanctionné, une exclusion temporaire avec sursis.

      C’est à la suite de cette décision que l’affaire est relancée. Dans une interview à l’Opinion, l’enseignant Klaus Kinzler décrit Sciences-Po Grenoble comme un institut de « rééducation politique » en accusant un « noyau dur » de collègues, adeptes selon lui du « wokisme » ». Ce qui pousse la directrice de l’établissement, Sabine Saurugger, a prendre un arrêté dans lequel elle reproche à Klaus Kinzler d’avoir « gravement méconnu plusieurs obligations », notamment en matière de « discrétion professionnelle ». Et de le suspendre de ses fonctions pour une durée de quatre mois tout en conservant son traitement et ses indemnités, comme le révèle le Figaro. D’où la décision de Wauquiez de priver l’école de subventions...

      La direction de l’IEP dit regretter dans un communiqué une décision qui semble motivée par « un motif politique, davantage que par la réalité au sein de l’institution, alors même que l’IEP Grenoble-UGA aurait gagné du soutien de tous ses acteurs soucieux de l’intérêt de ses étudiants et de la communauté universitaire ». D’autant plus dans un contexte de cruel manque de moyen, de précarisation des étudiants et d’un rebond pandémique du Covid-19.

      Deux subventions à l’ONG libanaise #Nawraj

      En revanche, l’annonce de Laurent Wauquiez, qui fut lui-même ancien ministre de l’Enseignement supérieur et de la Recherche de juin 2011 à mai 2012, a été chaleureusement accueillie par l’extrême droite. Le candidat néo-pétainiste à la présidentielle Eric Zemmour a salué sa façon de « couper court à l’infiltration de nos grandes écoles par l’islamo-gauchisme ». Suivi d’un « bravo ! » de Marine Le Pen. La droite LR cancel. L’extrême droite applaudit.

      A noter qu’en septembre 2020, Mediapart révélait que la région Auvergne-Rhône-Alpes, présidée par Laurent Wauquiez, venait de voter deux subventions (36’000 euros et 70’000 euros) à l’ONG libanaise Nawraj. L’association étant dirigée par #Fouad_Abou_Nader, un ancien chef des #Phalanges, ces milices chrétiennes responsables de nombreux massacres pendant la guerre civile.

      Un discours convenu et abondamment relayé par une certaine presse (le Point, le Figaro, Valeurs actuelles...) attribue sans détour la « cancel culture » au répertoire militant d’étudiants de gauche et d’universitaires menant des travaux sur les discriminations systémiques. Laurent Wauquiez et l’extrême droite font l’implacable démonstration que cette pratique n’est pas l’apanage du progressisme, elle peut tout aussi bien être réactionnaire, conservatrice et antisociale.

      https://www.liberation.fr/idees-et-debats/sciences-po-grenoble-laurent-wauquiez-ou-les-ravages-de-la-cancel-culture

    • Suspension de Klaus Kinzler à Sciences Po Grenoble : la lettre de 40 personnalités à Frédérique Vidal

      Dans une #lettre_ouverte, 40 personnalités, pour la plupart issues du monde universitaire, interpellent la ministre de l’Enseignement supérieur pour lui demander d’agir face à ce qu’ils perçoivent comme une censure imposée par un courant militant.

      Klaus Kinzler, enseignant à Sciences Po Grenoble, accusé d’islamophobie, s’est longtemps défendu en alertant les médias sur la dérive de son établissement et la chasse aux sorcières dont il se sentait victime. La direction vient de le suspendre au motif qu’il aurait bafoué son obligation de réserve et de discrétion.

      –-

      Lettre ouverte à Madame Frédérique Vidal, ministre de l’Enseignement supérieur

      Madame la ministre,

      La situation à l’IEP de Grenoble et les poursuites engagées contre notre collègue Klaus Kinzler démontrent, s’il en était besoin, que la liberté d’expression des universitaires, de même que leur liberté académique dans le cadre de leur enseignement et de leur recherche, libertés dont vous êtes la première garante, sont en péril dans notre pays.

      Depuis quelques années un courant militant -et se revendiquant comme tel- cherche à imposer, dans de nombreux établissements d’enseignement supérieur, en particulier dans le domaine des sciences sociales, un discours exclusif. Or c’est une chose d’accueillir de nouveaux champs d’études et de nouveaux paradigmes ; c’en est une tout autre de leur laisser acquérir une domination voire une hégémonie institutionnelle, alors même que leur pertinence scientifique fait l’objet, comme vous le savez, d’un intense débat intellectuel.

       » LIRE AUSSI - Sciences Po Grenoble, au cœur d’une passe d’armes politique

      Vous vous étiez vous-même émue de l’extension dans l’Université de ce que vous avez nommé « l’islamo-gauchisme » - qui est l’une des manifestations de ces dérives - et aviez annoncé un rapport sur ce sujet en février de cette année. Force est de constater que, près d’un an plus tard, ce rapport, sans cesse promis et sans cesse reporté, n’a toujours pas vu le jour.

      De même, nous attirons votre attention sur le rapport de l’Inspection générale que vous avez missionnée à l’IEP de Grenoble, relevant qu’« au terme de ses travaux, il ne fait pas de doute […] que ce sont les accusations d’islamophobie qui sont la cause de la grave détérioration du climat de l’IEP » (p. 2) et « qu’un climat de peur s’était installé depuis plusieurs mois parmi les étudiants de l’IEP du fait de cette utilisation par l’U[nion] S[yndicale] d’accusations (graves, puisqu’il s’agit de délits, voire de crimes tels que le viol) diffusées sur les réseaux sociaux contre tous ceux qui ne lui semblent pas partager ses positions » (p. 3). Or, il s’avère que la personne désormais poursuivie est celle-là même qui a alerté sur ces agissements et qui, nous vous le rappelons avec gravité, est menacée de mort pour cette prétendue « islamophobie » : notre collègue Klaus Kinzler. Et ces poursuites ont lieu au rebours des traditions de l’université française comme de la jurisprudence de la CEDH.

      Dans ce contexte, où la liberté d’expression est menacée par des sanctions disciplinaires, voire pénales ; où le pluralisme de l’enseignement et de la recherche est contrecarré par des manœuvres d’intimidation, et donc par l’autocensure croissante de nos collègues, en particulier des plus jeunes, puisque leur carrière en dépend ; où, enfin, un nombre croissant d’étudiants font part de leur inquiétude devant ce qu’ils ressentent comme une entreprise de formatage et de propagande, notre question est simple : que comptez-vous faire précisément, Madame La ministre ?

      Avec nos salutations les plus respectueuses,

      À VOIR AUSSI - Science Po Grenoble : Faut-il dissoudre l’UNEF ?

      Liste des premiers signataires

      Michel Albouy, professeur émérite en sciences de gestion, Université Grenoble Alpes

      Claudine Attias-Donfut, sociologue

      Sami Biasoni, essayiste, docteur en philosophie

      Christophe Boutin, professeur de droit public, Université de Caen-Normandie

      Jean-François Braunstein, professeur de philosophie, Université Paris 1 Sorbonne

      Pascal Bruckner, essayiste et philosophe

      Joseph Ciccolini, professeur des Universités - Praticien Hospitalier

      Albert Doja, professeur d’anthropologie, Université de Lille

      Laurent Fedi, université de Strasbourg

      Monique Gosselin-Noat, professeur émérite de littérature

      Yana Grinshpun, linguiste, Paris 3

      Philippe Gumplowicz, professeur de musicologie Université Evry-Paris-Saclay

      Nathalie Heinich, sociologue

      Emmanuelle Hénin, professeur de littérature, Sorbonne Université

      Hubert Heckmann, maître de Conférence en Littérature médiévale, Université de Rouen

      Mustapha Krazem, linguiste, université de Lorraine

      Arnaud Lacheret, associate Professor

      Anne-Marie Le Pourhiet, professeur de droit public à l’Université Rennes 1

      Andrée Lerousseau, maître de Conférence à l’université Lille 3 en Philosophie

      Samuel Mayol, maître de Conférence, Paris 13

      Michel Messu, professeur honoraire de philosophie

      Frank Muller, professeur émérite d’histoire moderne

      Observatoire du décolonialisme et des idéologies identitaires

      Bernard Paqueteau, professeur en Sciences Politiques

      Rémi Pellet, professeur à la faculté de Droit Université de Paris et à Sciences Po Paris

      Gérard Rabinovitch, philosophe

      Pascal Perrineau, professeur émérite des universités à Sciences Po

      François Rastier, linguiste, Directeur de Recherche émérite au CNRS

      Philippe Raynaud, philosophe, Paris II

      François Roudaut, professeur (Université Montpellier III)

      Xavier-Laurent Salvador, linguiste, Sorbonne Paris Université

      Perrine Simon Nahum, historienne et philosophe

      Jean Paul Sermain, professeur émérite de Littérature

      Jean Szlamowicz, linguiste

      Pierre-Henri Tavoillot, philosophe, Sorbonne-Université

      Pierre-André Taguieff, directeur de recherche au CNRS

      Thibault Tellier, professeur des universités, Sciences Po Rennes

      Dominique Triaire, professeur émérite de littérature française, Université de Montpellier

      Pierre Vermeren, professeur d’Histoire, université Paris I

      Christophe de Voogd, historien

      Nicolas Weill-Parot, directeur d’études à l’EPHE

      https://www.lefigaro.fr/vox/societe/suspension-de-klaus-kinzler-a-sciences-po-grenoble-la-lettre-de-40-personna

    • Sciences Po Grenoble : après l’éviction de Klaus Kinzler, Frédérique Vidal appelle à « la sérénité »

      La ministre de l’Enseignement supérieur, qui s’était émue de l’emprise de « l’islamo-gauchisme » à l’IEP de Grenoble, a été interpellée par des intellectuels.

      Alors que les réactions se succèdent, après la suspension par la directrice de l’IEP de Grenoble du professeur d’allemand Klaus Kinzler - dont le nom, en mars, avait été placardé sur les murs de l’école assortis d’accusation de « fascisme et d’islamophobie », la ministre de l’Enseignement supérieur, Frédérique Vidal, appelle « chacun à se remettre au travail dans la sérénité » . « Elle a demandé à l’inspection générale de renforcer son suivi et au recteur délégué de rester en contact avec la directrice pour accompagner l’établissement », expliquent ses services. Frédérique Vidal précise que cette suspension « n’entrait pas dans les préconisations » du rapport des inspecteurs généraux missionnés à l’IEP lors de la crise, mais que les relations entre un professeur et sa direction « sont du ressort des relations entre un employeur et un membre de son personnel » .

      Une réponse bien pâle, au vu des débats enflammés autour de l’affaire. Dans une tribune publiée mardi sur lefigaro.fr, 40 personnalités essentiellement issues du monde universitaire - dont le philosophe Pierre-André Taguieff, la sociologue Nathalie Heinich, le linguiste Xavier-Laurent Salvador, ou l’essayiste Pascal Bruckner- ont interpellé la ministre, dénonçant une censure imposée par un courant militant. « Vous vous étiez vous-même émue de l’extension dans l’Université de ce que vous avez nommé “l’islamo-gauchisme” et aviez annoncé un rapport sur ce sujet en février » , écrivent-ils, constatant que ce rapport n’est toujours pas venu. Ils rappellent aussi le rapport des inspecteurs généraux, rendu en mai, concluant que « les accusations d’islamophobie » étaient « la cause de la grave détérioration du climat » à l’institut et « qu’un climat de peur s’était installé ».

      Mercredi, c’est Richard Malka, l’avocat de Charlie Hebdo et de Mila, qui a pris la plume dans L’Express , déplorant « une injonction à courber l’échine » de la part d’une direction de l’IEP pour laquelle « il faut réduire au silence pour que plus aucun professeur, jamais, partout en France, n’ose contester le dogme naissant », écrit-il, décrivant « sur notre territoire, un petit Pakistan situé dans cette bonne ville de Grenoble » , « un laboratoire de la pensée stalinienne ». Sur Twitter, Manuels Valls, premier ministre lors du quinquennat Hollande, a soutenu quant à lui la décision de Laurent Wauquiez, président LR de la région Auvergne-Rhône-Alpes, de suspendre ses subventions à l’IEP.

      La ministre Frédérique Vidal s’en tient aux recommandations du rapport de l’inspection. « L’établissement a retrouvé le calme , explique-t-elle. Des rappels à l’ordre ont été faits aux enseignants qui avaient commis des maladresses. Une procédure à l’encontre des étudiants a été enclenchée devant la section disciplinaire de Clermont-Ferrand ». Celle-ci s’est soldée, en novembre, par la relaxe des étudiants poursuivis pour leur participation à la diffusion des accusations d’islamophobie. Après quoi Klaus Kinzler avait à nouveau pris la parole dans les médias, décrivant Sciences Po Grenoble comme un institut de « rééducation politique » et pointant une direction « otage » des « ultras ». Propos qui lui ont valu quatre mois de suspension et la convocation prochaine devant un conseil de discipline.

      https://www.lefigaro.fr/actualite-france/sciences-po-grenoble-apres-l-eviction-de-klaus-kinzler-frederique-vidal-app

    • Sciences Po Grenoble : « C’est Laurent Wauquiez qui porte atteinte à la liberté académique »

      Professeur à l’IEP Grenoble, le politologue #Yves_Schemeil dénonce un emballement médiatique autour de Klauz Kinzler, ce professeur d’allemand venant d’être suspendu.

      Et voilà l’IEP de Grenoble à nouveau au centre des polémiques. Le professeur d’allemand Klaus Kinzler a été suspendu par la directrice de l’institut d’études politiques, Sabine Saurugger, pour des « propos diffamatoires » contre l’établissement. L’enseignant avait été accusé d’ « islamophobie » par certains étudiants. Depuis, il dénonce dans les médias un climat de « terreur » et une « chasse idéologique » au sein de l’IEP. Laurent Wauquiez, président (LR) de la région Auvergne-Rhône-Alpes, a annoncé suspendre tout financement (100.000 euros par an) à l’IEP, en raison d’une « dérive idéologique inacceptable ». Dans une tribune publiée par l’Express, Richard Malka, avocat de Charlie Hebdo et Mila, est allé jusqu’à qualifier Sciences Po Grenoble de « petit Pakistan » et « laboratoire de pensée stalinienne ».

      Le politologue Yves Schemeil, professeur émérite à l’IEP Grenoble et ancien directeur de l’institut, dénonce pour sa part un #emballement_médiatique entretenu par un professeur absent des lieux depuis une longue période. Selon lui, les accusations de « wokisme » ou « d’islamo-gauchisme » ne correspondraient nullement à la réalité. « En réalité, il n’y a à l’IEP ni recherches ni enseignements portant sur le post-colonialisme ou sur le genre » déclare-t-il, alors que les étudiants seraient, très majoritairement, bien plus préoccupés par leur avenir professionnel que par les batailles idéologiques. Entretien.

      L’Express : Klaus Kinzler a été suspendu en raison de propos jugés « diffamatoires » contre l’IEP de Grenoble. Qu’en pensez-vous ?

      Yves Schemeil : Klaus Kinzler est un #PRAG, autrement dit un professeur agrégé du secondaire détaché à l’IEP. N’étant pas universitaire, il a pour seule obligation d’assurer des cours de langue. Malheureusement, il a été souvent absent de l’IEP ces dernières années, ce qui ne l’empêche pas de critiquer publiquement l’institution. Quand on est responsable d’établissement public on doit faire respecter le droit. C’est justement ce que la directrice a fait. L’arrêté de suspension qu’elle a signé ne prive pas ce collègue de traitement ; il ne peut simplement plus s’exprimer dans les médias en tant que membre de l’institution sinon il s’exposerait à des sanctions disciplinaires.

      Dans Le Figaro, 40 personnalités se sont inquiétées des menaces sur la liberté académique...

      Comme l’a rappelé Olivier Beaud, professeur de droit et auteur d’un livre dénonçant les menaces sur la liberté académique, celle-ci repose sur la liberté d’expression, certes, mais aussi sur la liberté d’enseigner et aussi sur la liberté de recherche, alors que Klaus Kinzler n’en fait pas. Par ailleurs, l’IEP est un lieu où l’on est libre de dire ce que l’on veut car on n’y a jamais censuré personne. Celui qui s’est comporté en censeur c’est Klaus Kinzler lui-même en refusant que le concept d’"islamophobie" soit mis sur le même plan que l’antisémitisme et le racisme dans l’intitulé d’un débat public. Les membres du groupe de travail chargé de le préparer étaient pourtant prêts à en discuter avec lui, mais il a apparemment refusé de faire des concessions. La liberté académique n’est donc pas du tout en cause dans cette affaire.

      Klaus Kinzler dénonce une dérive idéologique et un « endoctrinement » à l’IEP Grenoble...

      J’ai dirigé l’IEP de Grenoble de 1981 à 1987. Je peux vous assurer que son idéologisation était forte à l’époque. Dans un contexte anticapitaliste, des syndicalistes pouvaient séquestrer des responsables ou interdire l’accès à des locaux. Aujourd’hui, je travaille dans des équipes de recherche de l’institut aux côtés des personnes implicitement visées par Klaus Kinzler. Je peux vous certifier que je n’ai rien constaté qui corresponde à ce qu’il décrit. Chaque année, 5000 jeunes, souvent avec une mention très bien au bac, candidatent pour intégrer l’IEP de Grenoble. Ils veulent obtenir une bonne formation et un diplôme doté d’une valeur sur le marché du travail leur permettant ensuite d’accéder à des secteurs d’activité très variés. C’est ça leur priorité.

      En tant que professeur il m’arrive parfois de regretter que les débats sur les questions d’actualité ne soient pas plus fréquents. C’est dû au fait que les jeunes arrivant à l’IEP sont souvent de bons élèves persuadés qu’ils devraient connaître suffisamment un sujet avant d’oser en parler dans une salle de cours, encore moins émettre des critiques « révolutionnaires ». Un collègue qui se dit lui-même très à gauche a déclaré le 21 décembre sur Twitter que nous serions « le pôle le plus positiviste de France », s’étonnant ainsi de l’accusation selon lui imméritée d’être une maison anticapitaliste. Il est vrai qu’à Sciences Po Grenoble il n’y a que très peu de militants qui cherchent à mobiliser leurs collègues étudiants.

      Le rapport de l’Inspection générale avait estimé que tous les acteurs avaient commis des erreurs d’appréciation et des maladresses dans cette affaire, mais il mettait aussi en avant un « climat de peur » de la part d’étudiants...

      Il y a eu des maladresses de tous les côtés, c’est vrai. Une série d’erreurs a produit des effets beaucoup plus importants que leur cause ne l’aurait objectivement justifié. En ce qui concerne les étudiants actuels, une minorité a probablement un agenda politique, sur les questions de genre ou de violences contre les femmes. Mais dans l’ensemble, les étudiants sont très peu activistes. Et puis est arrivée cette histoire : certains ont dû estimer que c’était un bon vecteur de mobilisation. Il faut distinguer cet activisme critiquable des affiches dénonçant Klaus Kinzler et un de ses collègues, sur lesquelles on pouvait lire « des fascistes dans nos amphis. L’islamophobie tue ». On ne sait toujours pas qui en sont les auteurs, l’enquête policière ne semble pas avoir abouti, ce pourrait être n’importe qui. Au centre du campus, l’IEP a toujours attiré des groupes venant d’autres facultés, les responsables de cet affichage pourraient très bien venir d’ailleurs.

      Et que pensez-vous de la décision de Laurent Wauquiez de suspendre les financements de la région ?

      C’est une suspension, comme vous le dites. Pour l’instant, il s’agit plutôt d’un coup de menton qu’autre chose. Laurent Wauquiez ne peut pas couper du jour au lendemain les bourses régionales que perçoivent les étudiants. Il y a aussi des programmes de recherche en cours, qui ne sont pas soldés, leur financement n’étant complété qu’une fois qu’ils seront terminés. Concrètement, cette menace ne pourrait alors s’appliquer que l’an prochain, ou même ultérieurement. Pour l’instant, c’est seulement une déclaration destinée à montrer qu’on est ferme vis-à-vis d’une dérive supposée frapper l’université.

      Car la sortie de Laurent Wauquiez vise l’université dans son ensemble, où travaillent des personnes - étudiants et professeurs - dont il estime qu’elles ne lui sont pas favorables et qu’elles sont trop à gauche. Il a donc des motifs électoraux de saisir cette opportunité. Pour l’instant, cela ne m’inquiète pas, ce qui me préoccupe c’est qu’une autorité politique cherche à peser sur le contenu des enseignements et des recherches à l’université. Paradoxalement, ce sont donc Laurent Wauquiez et Klaus Kinzler qui portent atteinte à la liberté académique et non pas les membres de l’IEP de Grenoble.

      En défendant votre institution, n’êtes-vous pas dans le « pas de vague » ?

      Je n’ai aucun enjeu personnel ni conflit d’intérêts dans cette affaire, mais j’en connais bien les protagonistes et je travaille régulièrement dans les mêmes locaux qu’eux. Je constate simplement que le dossier de l’accusation est vide. Je suis de plus sidéré par l’ampleur que la polémique a pris. Je ne comprends pas que des éditorialistes considèrent, sans vérifier leurs sources, qu’il y aurait une proportion significative d’étudiants ou de professeurs adeptes de la culture dite « woke ». En réalité, il n’y a à l’IEP de Grenoble ni recherches ni enseignements portant sur le post-colonialisme ou sur le genre, ce qui pourrait être un jour un problème.

      L’islam, lui, est un sujet parmi d’autres, ni plus ni moins. Dans mes cours sur le Moyen-Orient j’ai dit des choses pour lesquelles j’aurais pu être critiqué si l’on était vraiment dans une situation où il ne faudrait pas discuter de ce qui touche à la conviction religieuse. En réalité, nous avons toujours eu sur ces sujets délicats des conversations très civiles, y compris avec des personnes de confession musulmane, françaises ou étrangères.

      Franchement, la situation décrite dans les médias ressemble tellement peu à ce que je connais ! Toute cette affaire est déconnectée de la réalité. Sur les plateaux de télévision c’est la course au buzz, on prend pour argent comptant tout ce que dit un homme qui sait parler aux médias et qui cherche peut-être à compenser ainsi ce qu’il perçoit comme une absence de reconnaissance à l’université. Mais l’histoire qu’il leur raconte est à dormir debout, c’est celle que les gens ont envie d’entendre, un récit selon lequel l’université serait noyautée d’islamistes ou de « décoloniaux ».

      Mais sur le fond, Klaus Kinzler n’a fait que protester contre l’usage d’un terme, « islamophobie », qui tend à assimiler la critique - légitime - d’une religion à l’hostilité contre un groupe de personnes, les musulmans. Cette notion est défendue par des groupes militants comme le CCIF...

      Je comprends les réticences vis-à-vis de ce terme. Dans le monde anglophone, la notion est utilisée pour décrire les discriminations contre les musulmans. En France, certains estiment qu’on ne peut pas associer ce terme à d’autres formes de racismes, d’autant que le CCIF ou d’autres activistes proches de l’islam radical cherchent à le placer au même niveau que l’antisémitisme. Le terme d’islamophobie n’est sans doute pas judicieux en français, mais en débattre était justement l’enjeu d’une discussion qui n’a finalement pu se dérouler jusqu’au bout, suite au retrait de Klaus Kinzler lui-même alors que le groupe avait choisi de mettre un point d’interrogation après le mot « islamophobie ». Le programme de recherche de la collègue à laquelle Klaus Kinzler s’est opposé porte sur l’antisémitisme musulman au Maghreb. Vous voyez qu’on est loin de l’islamophilie ! D’ailleurs, à cette époque les discussions au sein de l’IEP portaient sur toutes les discriminations et pas seulement envers des personnes de confession musulmane. Encore une fois, comme d’autres collègues, je n’ai jamais eu aucune difficulté de critiquer à l’IEP des décisions prises par des autorités arabes ou musulmanes. Et j’ai eu des étudiants de tous les pays.

      Pour résumer, l’utilisation d’un terme compris différemment dans le débat public français et dans les discussions académiques surtout anglo-saxonnes a engendré un faux problème. On ne doit pas en déduire qu’on ne peut plus discuter librement de l’islam à l’IEP. Klaus Kinzler se présente en lanceur d’alerte, mais l’institut qu’il dépeint ne ressemble pas à ce qu’il est vraiment. Il semble avoir perdu tout contact avec la réalité de Science Po.

      https://www.lexpress.fr/actualite/idees-et-debats/sciences-po-grenoble-c-est-laurent-wauquiez-qui-porte-atteinte-a-la-liberte

    • Sciences-po Grenoble : 5 minutes pour comprendre l’affaire Klaus Kinzler

      L’établissement a décidé de suspendre son professeur, accusé d’avoir proféré des « propos diffamatoires » dans les médias. A quatre mois de la présidentielle, la classe politique s’en mêle.

      Voilà des mois que Sciences-po Grenoble s’invite régulièrement dans les médias. Il faut remonter à il y a plus d’un an maintenant pour comprendre comment la direction a fini par suspendre l’un de ses professeurs, accusé d’avoir tenu des propos diffamatoires à son endroit.

      Klaus Kinzler, professeur d’allemand au sein de l’établissement, avait été nommément cité en mars dernier sur des affiches placardées sur les murs de l’IEP, accusé « d’islamophobie » et de fascisme.

      Comment a démarré cette affaire ?

      Tout a commencé en novembre 2020. En pleine deuxième vague Covid, se prépare à distance une « semaine pour l’égalité et la lutte contre les discriminations ». Plusieurs groupes de travail mêlant enseignants et étudiants sont constitués dans ce cadre. C’est dans l’un de ses groupes que vont se révéler des dissensions entre monsieur Kinzler et l’une de ses collègues au sujet de l’intitulé des débats dont leur groupe est en charge : « Racisme, antisémitisme et islamophobie ».

      Dans des échanges de courriels, Klaus Kinzler estime inadéquat le fait de classer au même rang la notion d’islamophobie avec le racisme et l’antisémitisme. Il confie notamment ne pas aimer « beaucoup » l’islam, qui lui fait franchement peur « comme elle fait peur à beaucoup de Français ». Sa collègue s’oppose à ses arguments.

      Leurs échanges, dont les étudiants du groupe sont également destinataires, finissent par dégénérer. La directrice de l’IEP, Sabine Saurugger demande à monsieur Kinzler de présenter ses excuses à sa collègue, ce qu’il fera par deux fois par mail. Le terme islamophobie est retiré de l’intitulé des débats.

      Mais la pression va rapidement remonter d’un cran. Le 7 décembre, entre deux courriels d’excuses de Klaus Kinzler, le directoire du laboratoire PACTE, auquel est rattachée l’enseignante, publie un communiqué (supprimé depuis). Sa directrice, Anne-Laure Amilhat Szary, tient à affirmer « son refus de tout comportement agressif et de tout argument d’autorité dans le débat scientifique ». Elle ajoute que « l’instrumentalisation politique de l’islam et la progression des opinions racistes dans notre société légitiment la mobilisation du terme islamophobie dans le débat scientifique et public. »

      Quelques semaines plus tard, des élus du syndicat étudiant de l’Union syndicale publient à leur tour un texte dans lequel ils dévoilent des extraits des courriels attribués au professeur. Le syndicat appelle la direction de l’établissement à « statuer sur son cas ». Il dépose plainte le 27 février pour discrimination syndicale. Elle sera classée sans suite.

      Pourquoi a-t-elle dégénéré ?

      Le 4 mars 2021, des collages sont placardés dans les locaux de l’IEP de Grenoble. Klaus Kinzler et l’un de ses collègues sont cités nommément. La tension monte d’un cran. « Sciences Porcs », « des fascistes dans nos amphis », « l’islamophobie tue », peut-on lire. Des étudiants publient des photos de ces écrits sur les réseaux sociaux. Le syndicat étudiant Unef relaie également l’opération sur les réseaux sociaux avant de se rétracter. Les noms des deux enseignants sont jetés en pâture. Ils sont placés sous protection policière. Une enquête est lancée.

      L’affaire prend alors une dimension médiatique. Klaus Kinzler est invité sur plusieurs plateaux de télévision pour livrer sa version des faits. Le 9 mars, il se montre notamment sur CNews dans l’émission de Pascal Praud. Le présentateur critique ouvertement Anne-Laure Amilhat Szary. Il dit voir en elle « le terrorisme intellectuel qui existe dans l’université ». Klaus Kinzler renchérit en la décrivant comme « un grand chercheur directeur de laboratoire de recherche [qui] se met en dehors de la science ». Qui « ne comprend pas la science ».

      À son tour, la directrice du laboratoire se retrouve harcelée sur les réseaux sociaux. Elle demande une protection fonctionnelle qui lui est rapidement accordée par sa tutelle, le président de l’université Grenoble-Alpes. Elle porte plainte en diffamation et diffamation à caractère sexiste contre son collègue et Pascal Praud. Mais aussi pour « menace de mort » et « cyberharcèlement ».

      Comment la direction a-t-elle réagi ?

      Après la diffusion des affiches, la directrice de l’IEP de Grenoble Sabine Saurugger avait estimé que ces dernières ont mis en danger « non seulement la vie des deux collègues, mais également l’ensemble des communautés étudiantes, enseignantes, personnel administratif ». Et de poursuivre, évoquant Klaus Kinzler : « Je pense qu’il y a un ton qui est extrêmement problématique dans ses propos, avec des idées qui sont développées parfois un peu rapidement, et donc un rappel à l’ordre et une incitation au dialogue ont été entrepris », par la direction.

      Sabine Saurugger estimait également que la demande faite par Klaus Kinzler aux étudiants de son groupe membres de l’Union syndicale de quitter ses cours était « clairement discriminatoire ».

      Frédérique Vidal, la ministre en charge de l’Enseignement supérieur, ne goûte alors que peu à ces déclarations. Plus tôt, elle avait demandé un rapport à l’inspection générale pour faire la lumière sur le déroulé des faits. Sur BFMTV, elle disait regretter l’attitude du syndicat étudiant, qui aurait dû selon elle se cantonner à son rôle, celui « d’être dans la médiation, pas de jeter les gens en pâture sur les réseaux sociaux ».

      Quelles sont les conclusions de l’inspection générale ?

      Dans ses conclusions, rendues le 8 mai dernier, l’inspection générale avançait « que tous les acteurs de cette affaire ont commis des erreurs d’appréciation, des maladresses, des manquements et fautes, plus ou moins graves, plus ou moins nombreux ». Une certaine inexpérience de la direction est relevée. Elle estime que Klaus Kinzler « a porté atteinte à l’image et à la réputation du corps enseignant et, au-delà, de l’établissement, décrédibilisé une instance de l’Institut ». L’inspection recommande de lui adresser un dernier rappel à l’ordre.

      Pour l’inspection, Anne-Laure Amilhat Szary aurait dû se voir notifiée « des fautes qu’elle a commises dans cette lamentable affaire ». Elle se trouve accusée d’avoir dramatisé la polémique dans son communiqué du 7 décembre. Mais aussi d’avoir contraint le corps enseignant à prendre position dans cette affaire et à choisir leur camp. « On se retrouve avec des agressés et des agresseurs renvoyés aux mêmes types de sanctions, c’est très problématique », commente-t-elle alors auprès de nos confrères du Monde. « La ministre a publiquement manifesté son indignation et son soutien quand le nom de mes collègues a été affiché, mais n’a pas réagi quand j’ai été à mon tour dangereusement menacée », poursuivait-elle.

      Une affaire devenue politique

      À moins de quatre mois de l’élection présidentielle, l’affaire Klaus Kinzler a pris une dimension politique. La direction de l’établissement vient de suspendre le professeur, accusé d’avoir tenu des propos diffamatoires contre l’établissement lors de ses passages à la télévision. Lancé dans une véritable croisade contre les pratiques qui seraient en cours au sein de l’IEP de Grenoble depuis plusieurs moi, Klaus Kinzler avait notamment décrit l’école comme un institut de « rééducation politique », accusant un « noyau dur » de ses collègues d’endoctriner des étudiants à la culture du « wokisme », face à une direction impuissante. Dans son arrêté de suspension, la directrice Sabine Saurugger estime que l’enseignant a « gravement méconnu à plusieurs obligations », notamment en matière de « discrétion professionnelle ».

      Cette sanction a fait bondir plusieurs personnalités politiques. Dans une tribune publiée chez nos confrères de l’Opinion, le député François Jolivet demande la mise sous tutelle de l’établissement, ainsi que l’ouverture d’une commission d’enquête parlementaire sur la situation des universités françaises.

      Chez Les Républicains, Valérie Pécresse se dit inquiète « de ce que la liberté d’expression ne soit plus assurée à l’IEP de Grenoble » et demande à Frédérique Vidal de diligenter une nouvelle mission d’inspection sur la situation. Elle a été suivie par Éric Ciotti, l’eurodéputé François-Xavier Bellamy et le président de la région Rhône-Alpes Laurent Wauquiez. Dans un communiqué de presse, il a annoncé sa décision de suspendre l’ensemble des financements de la région à l’établissement. Une décision saluée par Marine Le Pen sur les réseaux sociaux.

      Cette suspension des financements a été soutenue, à demi-mots, par le ministre de l’Education nationale, Jean-Michel Blanquer, qui voit dans la suspension de Klaus Kinzler une « erreur formelle » de la part de la direction de l’établissement. « Je pense qu’il faut bien entendu réagir », a-t-il affirmé mercredi sur LCI, au sujet de la décision de Laurent Wauquiez, estimant qu’il faut toutefois éviter « les mesures spectaculaires ».

      Dans un communiqué de presse, la direction de l’établissement voit de son côté dans la suspension des financements de la région une décision politique. Elle précise que « le soutien financier de la région (…) ne consiste pas en des subventions mais essentiellement en l’attribution de bourses aux étudiants ». Elle appelle Laurent Wauquiez à revenir sur sa décision dans l’intérêt des étudiants. « L’IEP de Grenoble-UGA fait désormais l’objet d’accusations ineptes de dérive idéologique et communautariste, de wokisme ou encore de cancel culture, qui n’ont aucun fondement », poursuit le communiqué.

      https://www.leparisien.fr/societe/sciences-po-grenoble-5-minutes-pour-comprendre-laffaire-klaus-kinzler-21-

    • Le management contre les libertés académiques

      texte (toxique) d’#Alain_Garrigou

      Un professeur a été suspendu par la directrice de Sciences Po Grenoble pour avoir dénoncé dans la presse la politisation de son établissement. Le motif est surprenant — intimer l’ordre de se taire à un universitaire — et la sanction exceptionnelle. Au départ, une controverse sur l’usage du terme « islamophobie » que deux enseignants ne voulaient pas assimiler au racisme comme le faisaient certains de leurs collègues. Une querelle sur un mot que d’aucuns pourraient juger « byzantine ». Cela se gâte quand des affichettes, collées sur les murs de l’établissement, traitent les premiers d’islamophobes. Les esprits s’échauffent à la suite d’échanges interminables de mails, où chacun s’offusque en se considérant pris à parti devant des destinataires divers et variés, le tout dans un contexte de travail distanciel. Un syndicat étudiant a relaté ces messages sur les réseaux sociaux. Les deux enseignants reçoivent alors des menaces physiques. Traduits devant le conseil de discipline, des étudiants impliqués sont relaxés malgré un rapport d’inspection sévère. Puis, un enseignant concerné, Klaus Kintzler, donne deux entretiens à des médias alors que la directrice lui a demandé de ne pas s’exprimer. Il y accuse l’établissement de ne plus offrir les conditions de liberté académique sous l’influence de ce qu’il qualifie de « wokisme ». La sanction tombe au nom d’une autorité qu’on peut dire patronale. Ce qui rompt avec des usages universitaires de collégialité et de règlement arbitré des conflits. Il faut donc comprendre ce qui a changé, notamment depuis la loi Libertés et Responsabilité des Universités (LRU) de 2008, portée par la ministre de l’époque Valérie Pécresse, qui a institué leur autonomie de gestion.

      Les directions universitaires sont issues d’élections auxquelles participent des représentants des enseignants, des personnels administratifs, des représentants syndicaux et des personnalités extérieures. Le temps du mandarinat qui concentrait tout le pouvoir entre les mains des professeurs est bien révolu. On ne s’en plaindra pas mais il faut savoir que les nouvelles règles de gouvernance amorcées par la loi d’orientation de l’enseignement supérieur de 1968 et renforcées par la LRU de 2008 ont introduit la politique dans l’université à deux titres au moins : les élections sont un processus politique de coalitions nouées dans des manœuvres plus ou moins opaques et les considérations partisanes peuvent y avoir une place plus ou moins forte. Tout cela n’est guère transparent. Le plus souvent, le compromis régnait entre des gens soucieux de ne pas mettre en danger une institution fragile et de préserver les conditions de vie commune. Les libertés académiques étaient une sorte de mantra que chacun savait ne pas devoir attaquer par intérêt réciproque. L’épisode de Grenoble est à cet égard une première.

      Il ne faut pas comprendre ce genre de conflit à l’aune des psychologies et des personnalités mais par le contexte délétère qui occupe de plus en plus l’université française (1) À plusieurs reprises, des colloques ou séminaires ont été annulés ou des invitations révoquées au motif que tel ou tel intervenant ne plaisait pas. . Les spécialistes de sciences sociales préfèrent appliquer l’objectivation à d’autres qu’eux mais s’ils prétendent au titre de scientifique, il faut bien qu’ils s’y soumettent. Autrement dit l’affaire n’est qu’un révélateur de tensions accumulées dans l’université : d’un côté une raréfaction des places ; de l’autre, une prolétarisation des conditions sociales. Il est de plus en plus difficile de faire carrière et on y est de moins en moins bien traité et payé. La solution professionnelle de la promotion passait en principe par l’excellence et l’investissement dans le métier. Si cela ne paie pas, ou mal, ou lentement, l’humeur se tourne vers la protestation politique déclarée ou masquée. Le schéma correspond à celui classique de l’inflation des titres scolaires et aux mécanismes de frustration relative. Sur une trajectoire classique d’affirmation, les nouvelles générations cherchent à se différencier. Les différents thèmes de l’intersectionnalité conjuguent cette tentative de renouvellement. En se combinant avec une politisation plus ou moins revendiquée qui, pour les plus engagés, soutient qu’il n’est pas de science qui soit politiquement neutre. Pour les plus anciens universitaires, cela a un parfum de Mai 68. Notre propos n’est pas ici d’évaluer ces ambitions et leurs résultats sauf sur le plan politique. Cette radicalisation s’accompagne d’une contre-radicalisation dont l’affaire Kintzler est un exemple.

      Ce n’est pas un hasard si elle survient dans un Institut d’études politiques (IEP), un type d’établissement particulièrement concerné par la dérive managériale des universités. Dans le sillage de Sciences Po Paris, les IEP de province se sont transformés en business schools. Plus ou moins selon les cas. Avec cette situation extraordinaire d’un droit de regard du pouvoir sur leur direction. On ne s’étonne même pas que la présidence de la République puisse inspirer le choix du directeur de Sciences Po Paris. La surveillance est moindre sur la province mais il reste l’exemple d’une gouvernance de plus en plus proche du privé avec une direction qui se comporte comme des patrons d’entreprise. Les termes mêmes de la directrice sont suffisamment éloquents lorsqu’elle évoque son « devoir d’intervenir lorsque la réputation de l’institution est prise pour cible (...) et lorsqu’on attaque personnellement le personnel de l’établissement » pour en conclure que « dans ce cadre, je joue mon rôle d’employeur face à un membre du personnel ». Ce n’était pas la tradition universitaire où le doyen, en tant que président ou directeur, discutait avec les professeurs sans véritablement exercer d’autorité hiérarchique. Une sorte de primus inter pares assurait une direction collégiale. Non point qu’il n’y ait pas de disputes, voire pire, mais nul n’osait exhiber des sanctions. Sauf à déclencher un éclat de rires ou une franche désapprobation collective (2).

      Ce sont des universitaires qui occupent ces fonctions de direction. Et, comme il se doit, ceux qui ont le moins de goût et de talent pour l’enseignement et la recherche — mes excuses aux exceptions — et bien sûr le plus d’appétit pour les fonctions politiques et bureaucratiques. Leur idéal n’est pas de publier mais de présider. On ne doit pas s’étonner de l’embarras de la ministre de l’université sur sanction grenobloise : une « erreur formelle » selon le ministre de l’éducation Jean-Michel Blanquer, la ministre Frédérique Vidal demandant que « chacun se remette au travail dans la sérénité » (3). Comment en serait-il autrement quand les ministres ont eux-mêmes mené une carrière d’apparatchiks d’université puis de ministère ? Ils se trouvent en quelque sorte en porte-à-faux, hostiles intellectuellement à certaines formes de radicalisation mais solidaires socialement de l’autorité bureaucratique. L’autre versant de cette autorité patronale ou managériale est la conversion salariale du statut d’universitaire. Les signes se sont accumulés depuis quelques années. Les professeurs subissent une relégation au statut de salarié qui les voue à une position défensive face à leur directeur ou président. Ces micros indicateurs témoignent des changements infimes qui, cumulés, font des universitaires des salariés comme les autres, tenus aux obligations de loyauté envers l’employeur et à l’obéissance. « Ne pas avoir de patron », un leitmotiv des anciens qui se consolaient ainsi dans les moments inévitables de doute. Que les prétendants d’aujourd’hui le sachent, il est peut-être trop tard.

      Depuis quand s’exprimer dans la presse est-il interdit aux universitaires ? Le coupable aurait mis en cause son établissement. S’agissant de liberté d’expression, la chose est assez importante pour la défendre dans la presse. Ayant subi pendant six ans des poursuites pour diffamation engagées par un conseiller d’un président de la République, Patrick Buisson, puis d’une entreprise de conseil financier (Fiducial), je n’imaginais pas que ce type d’action aurait pu venir de l’université. C’est une chose d’être attaqué en justice par des dirigeants politiques ou économiques qui défendent leurs intérêts contre la liberté d’expression, cela en est une autre de la part d’un corps professionnel qui perd alors sa raison d’être. La voie managériale peut amener à une autre solution. Avec ce nouvel épisode d’une crise où elle a montré qu’elle ne gérait pas « son » entreprise, la directrice de Sciences Po Grenoble aurait déjà dû démissionner. On a bien compris que son obstination était celle d’un chef d’équipe qui s’empare de principes de bon management pour s’en prendre aux autres plutôt qu’à soi-même. Au moins cela aura-t-il eu le mérite de rallier à la liberté académique des défenseurs qu’on ne soupçonnait pas comme Laurent Wauquiez, président du Conseil régional qui a supprimé une subvention à Sciences Po Grenoble. En réalité, faire de celui-ci et de ceux qui l’ont promptement applaudi, comme Marine Le Pen et Eric Zemmour, des défenseurs de la liberté académique est un tour de force comique.

      En sanctionnant, la directrice de Sciences Po Grenoble savait-elle ce qu’elle faisait ? Peut-on ignorer que chaque affaire de ce genre n’engage pas seulement des personnes mais le droit général de s’exprimer ? En ajoutant à la suspension l’annonce d’une plainte en diffamation, et indépendamment du fond de l’affaire, la directrice de Sciences Po Grenoble a engagé une poursuite bâillon contre l’un de ses enseignants (ce qui l’a aussitôt rendu célèbre dans les médias de droite et d’extrême droite). Forcément aux frais de l’institution. Il est probable que la direction agit comme n’importe quel politicien qui, accusé de malversation, répond immédiatement qu’il va porter plainte pour diffamation publique et… ne le fait pas quand son avocat lui explique qu’il n’a aucune chance. Sauf à se lancer dans une procédure qu’il sait perdue d’avance, mais qui aura valeur d’avertissement. Tout accusateur éventuel futur risque de payer cher ses divulgations. De fait il suffit d’être riche pour que l’intimidation fonctionne. Ou qu’une entreprise paie. Ce serait donc Sciences Po Grenoble qui paierait les frais de justice dans une plainte en diffamation avec constitution de partie civile ou non. Dans le premier cas, la plainte donne lieu automatiquement à une mise en examen, dans le second, à une simple incrimination. Dans les deux cas, cela occasionne des frais de justice (quelques milliers d’euros pour son avocat) et la menace d’une condamnation à payer les frais du plaignant et à lui verser des dommages et intérêts. La personne incriminée ou mise en examen a alors la base légale de la protection fonctionnelle. En l’occurrence, Klaus Kinzler devra faire une demande à la direction de son établissement pour obtenir la protection fonctionnelle (loi n° 83-634 du 13 juillet 1983 portant droits et obligations des fonctionnaires, article 11). S’il s’agissait de repousser les limites du ridicule, c’est déjà réussi.

      https://blog.mondediplo.net/le-management-contre-les-libertes-academiques

    • cgt : Soutien aux personnels de Sciences Po Grenoble

      Nous dénonçons fermement la décision du Président de Région Laurent Wauquiez de suspendre tous les financements à Sciences Po Grenoble, et la surenchère politique qui s’en est suivie, notamment avec l’intervention du ministre de l’Éducation Nationale Jean-Michel Blanquer. Ces décisions unilatérales et cette surenchère, encourageant les préjugés de l’idéologie d’extrême droite sur une prétendue diffusion de « cancel culture » ou de « wokisme » ou encore d’« islamo-gauchisme » à l’Université, posent un grave problème remettant en cause l’autonomie des établissements d’enseignement supérieur et de recherche, et la liberté académique, garante d’un service public d’ESR de qualité.

      Pour toutes ces raisons, ces décisions et cette instrumentalisation politico-médiatique doivent faire l’objet d’une réaction publique forte du Président de l’UGA pour permettre aux collègues de Sciences Po de travailler dans des conditions acceptables, ce qui n’est pas le cas actuellement. Les collègues vivent une pression et une violence forte, c’est inacceptable. Cette prise de position de la Présidence a été demandée à plusieurs reprises, notamment lors du Conseil Académique du 14 octobre 2021.

      La CGT Université de Grenoble réaffirme toute sa solidarité envers les collègues de Sciences Po Grenoble qui travaillent aujourd’hui sous une pression particulièrement forte : outre cette pression médiatico-politique et les entraves aux libertés académiques qui les empêchent de travailler dans des conditions sereines, l’ensemble des personnels de Sciences Po, enseignant.es, enseignant.es-chercheurs.ses et personnels administratifs et techniques, subissent des conditions de travail particulièrement dures depuis des mois déjà, ayant conduit à de nombreuses alertes dont une alerte pour Danger Grave et Imminent, restées à ce jour sans réelle réponse.

      –-

      Motion du conseil académique de l’UGA du 14 octobre 2021
      Adoptée à l’unanimité

      Le conseil académique de l’UGA apporte son soutien aux collègues du laboratoire Pacte soumis cette année à des menaces particulièrement violentes dans l’exercice de leur activité de recherche.

      Dans un contexte où certaines disciplines, notamment en sciences humaines et sociales, font face à des attaques médiatiques, politiques, ministérielles, qui mettent en danger la liberté académique, le conseil académique confirme la légitimité entière de ces disciplines et des collègues qui y inscrivent leurs travaux.

      Il appelle la présidence de l’UGA à s’associer publiquement à ce soutien et à la défense de la liberté académique contre tous ceux qui tentent de la remettre en cause.

      Le conseil académique réaffirme son attachement à l’article L141-6 du code de l’éducation : « Le service public de l’enseignement supérieur est laïque et indépendant de toute emprise politique, économique, religieuse ou idéologique ; il tend à l’objectivité du savoir ; il respecte la diversité des opinions. Il doit garantir à l’enseignement et à la recherche leurs possibilités de libre développement scientifique, créateur et critique. »

      https://academia.hypotheses.org/33761

    • « Anciens étudiants de Sciences Po Grenoble, nous souhaitons défendre la liberté académique »

      Un collectif regroupant 770 anciens étudiants de Sciences Po Grenoble déplore, dans une tribune au « Monde », la médiatisation dont fait l’objet leur école et regrette l’intervention de dirigeants politiques, tel Laurent Wauquiez, président de la région Auvergne-Rhône-Alpes, qui a décidé d’arrêter de financer cette institution.

      Tribune. Depuis plusieurs mois, l’Institut d’études politiques (IEP) de Grenoble est le centre de nombreuses polémiques, avec en point d’orgue, le 14 décembre 2021, la suspension pour quatre mois d’un professeur pour cause de manquements aux obligations liées au statut de fonctionnaire. Nous, anciens étudiants et anciennes étudiantes de l’IEP de Grenoble, provenant de tous horizons, observons avec désarroi les différentes prises de position venant de personnalités élues, de ministres, d’universitaires et d’une partie de nos camarades à l’encontre de notre école.

      Nous condamnons toutes les violences dont ont été victimes les enseignants et enseignantes, les chercheurs et chercheuses, et les étudiants et étudiantes. Des enquêtes sont en cours, et nous laissons aux personnes compétentes le soin de prendre les décisions qui seront nécessaires.

      Inquiétude

      Si nous tenons à prendre la parole aujourd’hui, c’est avant tout pour prendre du recul sur la situation et faire part de notre inquiétude concernant l’ingérence potentiellement dangereuse des pouvoirs publics dans les affaires académiques, et l’instrumentalisation politique de cette affaire dont nous sommes témoins et qui nous est profondément intolérable.

      L’IEP de Grenoble, à l’instar d’autres universités françaises, est accusé de dérive idéologique, et ce aux dépens de la pluralité de la recherche en sciences sociales. Ce type d’accusation témoigne non seulement d’une méconnaissance de la variété et de l’étendue des champs de recherche, mais aussi de la qualité de la recherche au sein des laboratoires Pacte de recherche en sciences sociales, Cerdap2 (Centre d’études et de recherche sur la diplomatie, l’administration publique et le politique), Cesice (Centre d’études sur la sécurité internationale et les coopérations européennes), et à l’IEP, dont les sujets mis en accusation ne forment d’ailleurs qu’une part marginale.

      Nous condamnons fermement la normalisation de termes conceptuellement infondés, empruntés à l’extrême droite, dans la presse, et le discours politique, qui mettent en cause la rigueur scientifique des enseignants-chercheurs et enseignantes-chercheuses de notre école ; et nous apportons notre soutien à celles et à ceux qui travaillent sur les concepts de racisme, d’antisémitisme et d’islamophobie, et sur les sujets d’égalité et de lutte contre les discriminations en général.

      Nous nous insurgeons contre la décision annoncée du président de la région Auvergne-Rhône-Alpes, Laurent Wauquiez, de mettre fin aux financements régionaux à destination de l’IEP de Grenoble. Pour rappel, le soutien financier de la région comprend l’attribution de bourses aux étudiants et étudiantes en difficulté, le soutien à l’action sociale et les projets de formation continue, notamment pour faciliter l’accès à l’enseignement supérieur et à l’emploi : ce sont donc les élèves qui sont le plus dans le besoin qui en pâtiront le plus.

      Récupération politique

      Nous souhaitons aussi alerter sur la gravité d’une telle décision politique, d’ailleurs soutenue par les candidats et les candidates d’extrême droite à l’élection présidentielle, et défendre la liberté académique. Nous sommes en désaccord avec celles et ceux qui souhaitent garantir la liberté académique « à la carte », utile pour diffamer l’IEP dans les médias, gênante lorsqu’elle aborde le sujet des discriminations. Nous tenons profondément à la diversité des idées et nous jugeons primordial que des débats pluriels puissent continuer à exister au sein de l’IEP dans le cadre prévu par la loi.

      Parce que nous tenons à notre école, celle qui a encouragé le développement et la consolidation de notre esprit critique et de notre conscience citoyenne, nous souhaitons alerter sur la dangerosité de telles pratiques, qui mettent en péril le pluralisme de la pensée. Nous craignons le fait qu’un pouvoir politique puisse prendre la décision unilatérale de couper les financements d’une université.

      A l’avenir, les différents acteurs publics (Etat ou collectivités territoriales) pourront-ils décider de façon discrétionnaire de supprimer des financements à chaque université qui ne promouvrait pas leur ligne politique ? Nous trouvons en outre inquiétant que certains appellent à ce que l’Etat intervienne, au-delà du cadre prévu par la loi, dans ce qui est enseigné et étudié à l’université.

      Enfin, nous déplorons ce battage médiatique autour de notre école, qui nuit aux étudiants et étudiantes, que la pandémie affecte déjà profondément. Cette récupération politique les rend inaudibles. A l’instar du rappel à la réalité des équipes pédagogiques de l’IEP du 4 janvier, ce sont bel et bien les étudiants et étudiantes qui sont le plus à même de décrire leur réalité quotidienne, et c’est leur parole qui doit primer pour témoigner de ce qu’est réellement notre IEP.

      Les rédacteurs de cette tribune sont : Annaïg Antoine (promotion 2012), cadre dans une association financière internationale ; Marianne Cuoq (promotion 2012), urbaniste, et Léa Gores (promotion 2015), cadre de la fonction publique territoriale.

      https://www.lemonde.fr/idees/article/2022/01/14/anciens-etudiants-de-sciences-po-grenoble-nous-souhaitons-defendre-la-libert

    • Sciences Po Grenoble se cherche un nouvel avenir

      L’institut d’études politiques fait face à d’incessantes polémiques depuis un an, érigé par la droite en symbole des « #dérives_communautaristes » dans l’enseignement supérieur.

      Parmi quinze candidats, cinq (dont trois anciens élèves) ont été conviés pour un entretien d’embauche, le 10 janvier, à l’institut d’études politiques (IEP) de Grenoble. L’enjeu est de taille : recruter la directrice ou le directeur de la communication, capable de contribuer à sortir de la crise un établissement passablement affaibli depuis un an.

      La dernière secousse est intervenue le 20 décembre 2021, quand Laurent Wauquiez, président (Les Républicains) de la région Auvergne-Rhône-Alpes, a annoncé dans un tweet qu’il suspendait les financements, soit 100 000 euros par an consacrés aux bourses et à la mobilité étudiante, en raison de la « longue dérive idéologique et communautariste » de l’école. Une « dérive » qui viendrait, selon lui, du franchissement « d’un nouveau cap » avec la suspension, pour une durée de quatre mois, d’un professeur d’allemand en poste depuis vingt-six ans à l’IEP : Klaus Kinzler.

      Agé de 62 ans, l’homme est devenu une personnalité très appréciée des médias pour sa verve à dénoncer l’idéologie et l’intolérance qui caractériseraient de jeunes collègues et surtout des étudiants activistes. En février 2021, il n’a pas hésité à qualifier – avec une forme d’« humour », plaide-t-il – ces étudiants d’« ayatollahs en germe » dans un mail signé « “Un enseignant en lutte”, nazi de par ses gènes, islamophobe multirécidiviste ».

      Le 8 décembre 2021, dans L’Opinion, il affirme que « Sciences Po Grenoble n’est plus un institut d’études politiques, mais d’éducation, voire de rééducation politique ». Une expression travestie en « camp de rééducation » lorsqu’elle est reprise en gras dans le titre de l’article. La référence implicite au régime des Khmers rouges au Cambodge est violente, et se répand comme une traînée de poudre à l’IEP comme dans la classe politique, notamment à droite, en plein combat contre la nébuleuse « woke » qui infiltrerait les universités françaises.

      Quelques jours plus tard, le 15 décembre, Sabine Saurugger, directrice de l’IEP, suspend le professeur, dans l’attente de la saisine d’un conseil de discipline : « Parler de “camp de rééducation” porte atteinte à l’intégrité de l’établissement et à la formation offerte par les enseignants », justifie-t-elle.

      Les propos de Klaus Kinzler sont « nuisibles à l’institution et basés sur beaucoup de mensonges, appuie Simon Persico, professeur de science politique. Les enseignants-chercheurs ressentent une lassitude et de profondes blessures. On attendait une réaction, elle est venue. » Klaus Kinzler « s’est exclu tout seul, ajoute Gilles Bastin, professeur de sociologie. Il se radicalise, et ses propos sont grotesques. Il nous utilise dans un combat politique qui n’a plus rien à voir avec nous. »

      « Petit bijou académique »

      Auprès du Monde, Klaus Kinzler dénonce le titre choisi par L’Opinion « puisqu’il ne s’agit pas des mots qui figurent dans l’entretien ». Néanmoins, il n’a fait parvenir aucun droit de réponse, préférant réserver ses prochaines interventions médiatiques à une échéance proche, le 2 mars, date de la publication de son ouvrage L’islamogauchisme ne m’a pas tué (éd. du Rocher).

      Cette sortie marquera une date anniversaire, un an après la découverte sur les murs de l’institut, le 4 mars 2021, des noms des professeurs Klaus Kinzler et Vincent Tournier, accolés à cette phrase : « Des fascistes dans nos amphis. L’islamophobie tue. » Une photo des collages avait été brièvement diffusée en ligne par la section UNEF de Grenoble, avant d’être retirée, le syndicat national condamnant vigoureusement « tout lynchage public ». L’enquête de police est toujours en cours pour identifier les poseurs d’affiches. « Dans ma famille, au repas de Noël, on n’a parlé que de cela. Je n’en peux plus, lâche Théo (le prénom a été modifié), étudiant en master. Sur les réseaux sociaux, je me fais traiter de tous les noms, car je suis de Sciences Po Grenoble. »

      « On tape sur un petit bijou académique et d’enseignement, c’est tout à fait injuste ! regrette Sonja Zmerli, professeure de science politique, qui souligne l’enthousiasme de collègues étrangers à collaborer aux travaux scientifiques qui y sont menés. Ce sont des collègues soucieux de leur réputation académique qui ne viendraient pas s’ils avaient un quelconque doute. »

      Comment en est-on arrivé là ? Fondé en 1948, l’IEP grenoblois, l’un des plus anciens, a bénéficié d’une évaluation plus que favorable du Haut Conseil à l’évaluation de la recherche et de l’enseignement supérieur (Hcéres) qui saluait, en mai 2020, « la grande qualité de l’accompagnement des étudiants » et ce, après avoir surmonté d’importantes difficultés financières.

      « On est tous un peu sur les nerfs »

      Tout remonte au 30 novembre 2020, lorsque éclate par mail – en plein confinement – un conflit sémantique entre Klaus Kinzler et Mme M. (qui n’a pas souhaité répondre aux sollicitations du Monde), enseignante-chercheuse en histoire, membre junior de l’Institut universitaire de France (IUF). En cause : l’usage du mot « islamophobie » auprès des mots « racisme » et « antisémitisme », ces trois thèmes devant servir à définir le contenu d’une table ronde organisée en janvier 2021, à l’occasion d’une « semaine pour l’égalité ».

      L’historienne soutient que l’islamophobie est « un concept heuristique utilisé dans les sciences sociales » pour « désigner des préjugés et des discriminations liées à l’appartenance, réelle ou fantasmée, à la religion musulmane ». Le professeur d’allemand, lui, y voit une possible « arme de propagande d’extrémistes plus intelligents que nous », allusion notamment au Collectif contre l’islamophobie en France (CCIF), qui vient de s’autodissoudre quelques jours après l’assassinat de Samuel Paty, après avoir été accusé par le ministre de l’intérieur, Gérald Darmanin, de diffuser une « propagande islamiste ».

      Un an plus tard, le sujet est loin d’être tranché à l’IEP, même si chacun s’accorde à dire que si cette dispute avait eu lieu dans une réunion classique, à l’oral, jamais elle n’aurait débouché sur une telle crise. « Mes collègues se sont chacun sentis agressés, car ils ne parlaient pas forcément de la même chose », décrypte Dorian Guinard, maître de conférences en droit.

      Du point de vue juridique, juxtaposer la critique d’un dogme – l’islamophobie – à deux délits pénaux – le racisme et l’antisémitisme – pose « un problème d’équilibre des notions », poursuit-il. « Mais une majorité de sociologues, notamment anglo-saxons, définissent l’islamophobie comme la haine des musulmans. En France, il existe un délit pénal pour cela, c’est la haine religieuse. Voilà ce que dit le droit, et je pense sincèrement que cela a manqué dans cette affaire. »

      Invités par la direction à ne pas s’exprimer publiquement pour protéger l’institution, nombre d’enseignants souhaitent désormais prendre la parole, « tant les médias ont brodé autour des faits », lâche l’un deux. Le 19 novembre 2021, la communauté a été prise de court par la relaxe, par la commission disciplinaire de l’université Clermont-Auverge, où l’affaire avait été dépaysée, des dix-sept étudiants poursuivis pour leur participation à la diffusion des accusations d’islamophobie visant Klaus Kinzler et Vincent Tournier. Par un « appel à témoignages » publié sur Facebook début 2021, l’Union syndicale (US) Sciences Po Grenoble invitait les étudiants à dénoncer anonymement les propos islamophobes qui auraient pu être tenus dans le cours sur l’islam et les musulmans de France dispensé par Vincent Tournier.

      Depuis, l’US a été dissoute, remplacée par l’Organisation universitaire pour la représentation syndicale étudiante (Ourse), majoritaire dans les instances. « Le travail de remontée d’information est normal pour un syndicat, même s’il y avait peut-être d’autres moyens qui auraient engendré moins de tensions que l’appel à témoignages sur Facebook », concède l’un des nouveaux élus, Nicolas Duplan-Monceau.

      « On est tous un peu sur les nerfs, confie l’historien Aurélien Lignereux. Il n’y a pas eu de sanction alors qu’il y a eu provocation. Cela favorise les préjugés défavorables sur l’établissement au risque de dissuader des candidats de se présenter au concours. »

      Le poison #sciencesporcs

      Mi-octobre 2021, l’UNI, syndicat de droite, a relancé la polémique en dénonçant « un nouvel acte de soumission à l’idéologie woke et à l’islamisme » lorsque l’association #Cafet’en_Kit a cru que son nouveau fournisseur lui livrait exclusivement des produits halal – en réalité 30 %. La direction avait alors rappelé à cette association que la distribution d’aliments « allant à l’encontre des principes de laïcité et de neutralité » était interdite.

      A cette confusion ambiante s’ajoute un autre sujet qui empoisonne l’IEP depuis bientôt un an : la vague #sciencesporcs, qui vise à dénoncer massivement sur les réseaux sociaux tout acte de violence sexiste, sexuel ou de harcèlement subi par des étudiants au cours de leur scolarité. La déferlante de témoignages a bouleversé les relations humaines, comme le relève dans son rapport publié en mai 2021 l’Inspection générale de l’éducation du sport et de la recherche, qui évoque un règne de la « terreur » pour amener à dénoncer de possibles coupables. Simon Persico a sondé ses étudiants, qui lui ont décrit « une ambiance un peu délétère liée aux nouvelles formes de radicalité. Pour une toute petite poche, la mobilisation est très vive, voire violente sur les réseaux sociaux », rapporte-t-il. Dans quelques jours, avec les première année, Dorian Guinard débutera son cours « par quelque chose qu’[il] ne fai[t] pas d’habitude : rappeler ce que sont les délits pénaux, notamment le harcèlement et le cyberharcèlement, car clairement il y a eu des dérapages », estime-t-il.

      Pour reprendre la main sur tous les fronts, Sabine Saurugger s’apprête à déployer une « stratégie » offensive, en organisant des controverses scientifiques précisément sur les sujets qui crispent le débat national. « Nous allons nous efforcer d’être plus visibles médiatiquement en invitant des intervenants qualifiés pour discuter de manière académique sur la liberté d’expression, la liberté académique, la religion, la laïcité…, annonce la directrice, qui a pris ses fonctions le 1er février 2020, un mois avant le confinement. L’important est de montrer que l’image qui est dépeinte dans les médias ne correspond pas à la réalité. »

      « Un peu désemparé » par cette folle année, le président du conseil d’administration, Jean-Luc Nevache, veut à tout prix éviter un duel « Sciences Po contre Klaus Kinzler » à l’occasion de la sortie de son livre. « Cela ne nous intéresse pas, cadre le président de la Commission d’accès aux documents administratifs (CADA), ancien élève de l’IEP. Seuls nous importent les étudiants et leur avenir, les enseignants et les chercheurs qui soutiennent des débats universitaires sérieux et publient dans des revues à comité de lecture pour contribuer au débat international sur les sciences sociales. » Ce que semblerait ignorer l’un des membres du conseil d’administration qui n’y a jamais participé : Laurent Wauquiez.

      https://www.lemonde.fr/campus/article/2022/01/17/sciences-po-grenoble-se-cherche-un-nouvel-avenir_6109738_4401467.html

  • Didier Raoult se plaint d’être maltraité en France et annonce une « surprise pour novembre »
    https://www.franceinter.fr/societe/didier-raoult-se-plaint-d-etre-maltraite-en-france-et-annonce-une-surpri

    Dans sa traditionnelle vidéo YouTube du mardi, Didier Raoult se plaint d’être harcelé et insulté en France. « Les gens se demandent pourquoi les gens qui sont très bons, les meilleurs de ce pays, s’en vont », dit-il. Et le professeur d’asséner : « Je vous réserve une surprise pour le mois de novembre. »

    Quoi es-ce donc Didier ? #suspens

  • Migrant protesters suspend hunger strike in tentative deal with Belgian government

    Hundreds have been camping out at a historic church in Brussels, seeking formal residency status after living for years in the country.

    A group of migrants and refugees on Wednesday said they had suspended their hunger strike after an 11th hour deal with Belgium’s coalition government, which had been at risk of falling apart over the protest.

    Hundreds of protesters have been on a hunger strike for nearly two months, seeking formal residency status after living in Belgium for years, and camping out at the historic St. John the Baptist Church at the Béguinage in the center of Brussels. On Monday, green and left-leaning parties threatened to pull out of the ruling coalition if one of the strikers died.

    One of the group’s representatives on Wednesday said the migrants had reached an agreement with the government and had decided to end their thirst strike as well as “suspend, for now, the hunger strike” as they wait to see if the government honors its promises.

    Secretary of State for Asylum and Migration Sammy Mahdi confirmed he had reached an agreement with the protesters. Neither Mahdi nor the protesters explained what exactly the agreement entailed and whether the government had promised the protesters residency rights.

    But Belgian media reported on a face-saving deal under which the government would speed up regularization procedures for the migrants who have participated in the protests, but insisting this would be done on a case-by-case basis, rather than an automatic residency permit for the entire group as demanded by the protestors.

    In a press release, Mahdi said the government had succeeded in convincing the migrants that “the existing [regularization] procedures are humane” and had also promised to “continue to work on the structural improvement of existing legal migration channels.”

    De Standaard reported that the government would expedite requests “for individual regularizations, on humanitarian grounds and — for the most vulnerable people — on medical grounds.”

    https://www.politico.eu/article/migrant-protester-hunger-strike-brussels-mahdi

    #Belgique #régularisation #sans-papiers #grève_de_la_faim #suspension

    ping @isskein @karine4

  • Autour des brevets pour les vaccins anti-covid

    #Jérôme_Martin de l’Observatoire de la transparence médicale sur C ce soir, 06.05.2021 :

    « On a l’exemple du laboratoire Teva, un laboratoire israélien, un grand génériqueur israélien qui est en négociation depuis 3 mois avec les détenteurs de #brevets, qui ont refusé de déléguer la production. Si jamais ces brevets avaient été suspendus depuis le mois d’octobre - la première demande date du mois d’octobre... Depuis il y a eu 2 millions 300 miles morts dans le monde du #covid. Depuis cette période là on peut nous dire qu’il faut du temps, mais c’était depuis le mois d’octobre. On a pas de machine à remonter dans le temps pour réparer les erreurs et anticiper, faisons-le maintenant. Tout le monde le sait que ça prendra du temps et tout le monde sait que ce n’est pas la seule solution. La capacité de production au niveau mondiale, elle existe. Singapour, le Rwanda. La demande qui a été déposée en octobre est une demande de #suspension_provisoire des brevets. Elle est prévue par les accords de l’#OMC, par l’accord constitutif de l’OMC, l’article 9 de l’#accord_de_Marrakech, ça n’est pas la même chose que les licences obligatoires, qui sont des flexibilités qui sont déjà prévues. Les licences obligatoires, il n’y a pas besoin de passer par l’OMC pour avoir l’autorisation. La France pourrait le faire, ça n’a pas pas beaucoup d’intérêt dans ce cadre actuel parce que c’est national et qu’on a besoin d’une réponse mondiale. En levant les brevets, on permet à des laboratoires qui ont ces capacités de production de le faire. Ce qu’il faut ensuite, c’est qu’il y ait un #transfert_de_technologie. Il s’agit de quelque chose qui est au sein de l’accord de l’OMC, ça n’est pas du communisme, ce n’est pas la révolution. La décision de Biden est historique mais on reste dans un cas très contraint.
    (...)
    Elle est où la #légitimité des brevets quand il y a autant d’argent public qui a été investi ? »

    https://twitter.com/Ccesoir/status/1390418342448488451

    #propriété_intellectuelle #coronavirus

  • #Google. Deuxième chercheuse licenciée dans l’équipe « Éthique et #intelligence_artificielle »

    Deux mois après #Timmit_Gebru, c’est dont la responsable de l’équipe #Éthique_et_intelligence_artificielle que Google licencie. Elle avait dénoncé le licenciement de la chercheuse, mais plus généralement le déni des pratiques discriminatoires de l’entreprise.

    –-> dépêche AFP, enrichie, d’après France 24

    Les libertés académiques et la protection économique dûe aux chercheuses et aux chercheurs s’applique-t’elle dans les grandes firmes qui soutiennent des activités de recherche ? La question se pose avec le second licenciement opéré par Google dans son équipe Éthique et intelligence artificielle.

    #Margaret_Mitchell, qui a fondé l’équipe de recherche en éthique et intelligence artificielle de Google, a été « virée » (« I am fired »), a-t-elle annoncée vendredi sur Twitter, un mois après sa #suspension qui avait déjà valu des critiques au géant des technologies.

    « Après avoir passé en revue le comportement de cette directrice, nous avons confirmé qu’il y a eu de multiples infractions à notre #code_de_conduite, ainsi que de nos règlements sur la sécurité, y compris l’exfiltration de documents confidentiels sensibles et de données privées sur d’autres employés »,

    a déclaré un porte-parole du groupe californien à l’AFP.

    En janvier, Margaret Mitchell s’était vue refuser l’accès à son compte professionnel, quelques semaines après le renvoi d’un membre de son équipe, Timnit Gebru.

    « Ce sont des attaques contre les personnes qui essaient de rendre la technologie de Google plus #éthique »,

    avait réagi un porte-parole du #Alphabet_Workers_Union, le syndicat récemment formé par des employés du groupe.

    Google reproche à la chercheuse en éthique et intelligence artificielle d’avoir téléchargé un grand nombre de documents liés à son ancienne collègue et de les avoir ensuite partagés avec des personnes extérieures.

    Mais la société fait face à des critiques car Margaret Mitchell accuse l’entreprise de l’avoir forcée à se rétracter sur des résultats de recherche.

    Sous son tweet de vendredi – « j’ai été virée » – les messages de soutien abondaient.

    « J’imagine que ça veut dire que l’IA éthique n’a pas sa place dans une société capitaliste »,

    a commenté #Chelsea_Manning, l’ancienne analyste militaire qui a été condamnée pour trahison après avoir transmis des documents classés secret défense à WikiLeaks.

    Le 19 janvier, deux jours avant sa suspension, l’informaticienne avait critiqué publiquement le directeur exécutif du groupe, #Sundar_Pichai, sur le thème du racisme.

    « Disons que vous avez un problème parce que vous n’arrêtez pas de vous aliéner les femmes noires et que vous leur causez des torts importants »,

    avait-elle tweeté au-dessus d’un lien vers un article de CNN intitulé « Le patron de Google rencontre des dirigeants d’universités noires après des accusations de #racisme ».

    « Vous pouvez : A) essayer de réparer vos torts B) essayer de trouver plus de personnes noires pour vous apprécier (l’approche symbolique et superficielle). Bonne chance… ».

    En décembre, plus de 1.400 employés de Google et près de 2000 autres personnes ont signé une lettre appelant l’entreprise à expliquer pourquoi Timnit Gebru avait été renvoyée et pour quelles raisons elle avait dû se rétracter.

    Ils demandaient aussi à Alphabet de s’engager « sans équivoque » en faveur de l’intégrité de la recherche et de la liberté académique.

    https://academia.hypotheses.org/31162
    #AI #IA #licenciement

  • #Frontex suspend ses #opérations en Hongrie

    Frontex, l’agence de surveillance des frontières de l’UE, a annoncé mercredi qu’elle suspendait ses opérations en Hongrie après une décision de la Cour de justice européenne critiquant le système d’asile de ce pays.

    Frontex, l’agence de surveillance des frontières de l’UE, a annoncé mercredi qu’elle suspendait ses opérations en Hongrie après une décision de la #Cour_de_justice_européenne critiquant le système d’asile de ce pays.

    « Frontex a suspendu toutes ses #activités_opérationnelles sur le terrain en Hongrie », a déclaré à l’AFP Chris Borowski, le porte-parole de Frontex, dont le siège est à Varsovie.

    « Nos efforts communs pour protéger les frontières extérieures de l’UE ne peuvent réussir que si nous veillons à ce que notre coopération et nos activités soient pleinement conformes aux lois de l’UE », a-t-il déclaré.

    En décembre, la Cour de justice de l’Union européenne a constaté de nombreuses failles dans les procédures d’asile de la Hongrie, notamment l’#expulsion_illégale de migrants en provenance de #Serbie.

    Elle a également déclaré que les lois interdisant aux demandeurs d’asile de demeurer en Hongrie pendant que leur appel devant la justice était examiné étaient illégales et a critiqué la #détention de migrants dans des « #zones_de_transit ».

    Le Comité Helsinki hongrois (HHC), un organisme de surveillance non gouvernemental, a affirmé mardi que la Hongrie avait expulsé plus de 4.400 migrants depuis la décision de la Cour de justice de l’UE.

    « La décision de Frontex est importante puisque Frontex n’a jamais suspendu ses activités » auparavant, a déclaré Andras Lederer, un membre du HHC.

    M. Lederer a estimé que Frontex avait été forcée de suspendre ses opérations en Hongrie parce qu’elle risquait d’être tenue pour « complice » de la politique migratoire hongroise.

    https://www.mediapart.fr/journal/fil-dactualites/270121/frontex-suspend-ses-operations-en-hongrie?onglet=full

    #suspension #Hongrie #arrêt #stop #justice #CJUE #illégalité #complicité
    #asile #migrations #réfugiés #frontières #push-backs #refoulements #zones_frontalières

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    • Frontex suspend ses activités en Hongrie, quelles conséquences pour la Serbie ?

      Le 27 janvier, l’agence européenne de gestion des frontières a suspendu ses activités en Hongrie, le temps que Budapest mette sa législation vis-à-vis des réfugiés en conformité avec le droit européen. Les associations serbes d’aide aux exilés s’inquiètent d’une décision potentiellement contreproductive.

      (Avec Radio Slobodna Evropa) – « La violence aux frontières et les retours illégaux de personnes en Serbie risquent de s’intensifier. » Voilà ce que craint Radoš Đurović, du Centre pour l’assistance aux demandeurs d’asile, une ONG basée à Belgrade, après la décision de Frontex, l’agence européenne de garde-frontières, de se retirer de Hongrie. Est-il possible, pourtant, d’envisager un scénario pire que la situation actuelle ? « On assiste tous les jours à des expulsions massives et à des scènes de violence », rappelle-t-il. « Les autorités hongroises ne prennent même pas la peine d’avertir leurs collègues serbes. Elles se contentent de pousser les réfugiés par centaines de l’autre côté de l’immense clôture de barbelés. »

      Frontex a suspendu ses activités en Hongrie le 27 janvier en attendant que le gouvernement de Viktor Orban harmonise la législation du pays avec l’arrêt rendu le 17 décembre par la Cour européenne de justice sur les demandes d’asile. Dès le lendemain, la Commission européenne a appelé Budapest à respecter les droits des réfugiés. « Je m’attends à ce que la Hongrie change sa politique et permette aux réfugiés de demander l’asile sur son territoire », a déclaré avec optimisme la commissaire aux Affaires intérieures, Ylva Johansson. « Une agence comme Frontex ne peut pas aider la Hongrie à empêcher des gens d’entrer sur son territoire si la Hongrie elle-même ne respecte pas les droits fondamentaux des migrants et les lois de l’UE. »

      Autrement dit, pour Bruxelles, il serait grand temps que Budapest commence à accepter les demandes d’asile et permette aux réfugiés de rester en Hongrie au moins le temps que leurs demandes soient examinées, et qu’elle mette un terme aux expulsions massives sans laisser la possibilité aux candidats à l’exil de déposer une demande d’asile. Selon Vladimir Petronijević, de Grupa 484, une ONG belgradoise d’aide aux réfugiés, Frontex a émis de sérieuses objections vis-à-vis de cette pratique qui contrevient aux principes de l’UE. « Il a été souligné que la partie hongroise met en œuvre en permanence l’expulsion collective de migrants et de réfugiés vers la Serbie, une pratique qui prévaut depuis plusieurs années. » Or, regrette-t-il, avec ou sans Frontex, ces expulsions risquent bel et bien de se poursuivre. « Je ne vois pas de raisons particulières qui empêcheraient la Hongrie de continuer à faire ce qu’elle a toujours fait depuis 2015. »

      Selon le Comité Helsinki en Hongrie, Budapest aurait expulsé plus de 4000 réfugiés de Hongrie depuis décembre dernier. « Nous continuerons à défendre le peuple hongrois et les frontières du pays et de l’UE », a d’ailleurs affirmé, le 28 janvier, le porte-parole du gouvernement de Viktor Orbán. Du côté de Belgrade, les autorités continuent de pratiquer la politique de l’autruche. « D’après ce que nous observons sur le terrain, la Serbie réagit peu à ces pratiques unilatérales, non seulement le long de la frontière hongroise, mais aussi des frontières croate et roumaine, peut-être parce qu’elle ne veut pas offenser les pays voisins membres de l’UE », estime Radoš Đurović. La Hongrie n’est en effet pas la seule à mettre en œuvre ces mauvaises pratiques : la Croatie lui a depuis longtemps emboîté le pas, de même que la Roumanie ou encore la Macédoine du Nord.

      https://www.courrierdesbalkans.fr/Frontex-Hongrie

  • Appel de Migrant Solidarity Network : non aux #déportations vers l’Ethiopie !

    Nous demandons à Karine Keller Suter, Cheffe du Département fédéral de justice et police (DFJP) et Mario Gattiker, Secrétaire d’Etat aux Migration (SEM), ainsi qu’aux autorités compétentes la #suspension du vol spécial vers l’Ethiopie prévu le 27.01.2021 et l’annulation du renvoi forcé des requérant.e.s d’asile éthiopien.ne.s résidant en Suisse

    NON aux déportations vers l’Éthiopie ! Non au vol spécial du 27 janvier !

    Lundi S.A. a été arrêté et placé en détention à la prison de Frambois en vue d’une expulsion vers l’Éthiopie alors qu’il se rendait au Service de la population vaudoise (SPOP) pour renouveler son papier d’aide d’urgence. En période de COVID, de telles interventions se font loin des regards et loin du bruit !

    Dans le contexte de cette arrestation, on apprend que le Secrétariat d’État aux migrations (SEM) organise une #expulsion_collective par vol spécial[1] de Suisse vers l’Éthiopie le 27 janvier 2021, et ceci malgré la guerre, la crise et la pandémie qui frappent ce pays.

    En Éthiopie, la situation ne fait qu’empirer !

    Alors même que la situation politique se détériore en Éthiopie, nombreuses sont les voix qui s’élèvent pour dénoncer cette pratique et demander « un arrêt immédiat des #renvois_forcés en Éthiopie »[2] , dont l’OSAR – Organisation Suisse d’Aide aux Réfugiés –, la Confédération en profite pour y organiser un vol spécial. De manière plus cynique, pourrait-on dire, qu’elle en profite justement avant que des mesures diplomatiques ne soient prises qui l’en empêcherait ?

    Selon des haut-e-s-responsables de l’ONU et de l’UE, il existe des « rapports concordants à propos de violences ciblant certains groupes ethniques, d’assassinats, de pillages massifs, de viols, de retours forcés de réfugiés et de possibles crimes de guerre »[3] (Josep Borrell, Haut représentant de l’Union Européenne pour les affaires étrangères et la politique de sécurité, 15/01/2021).

    En avril 2018 déjà, on apprenait que le gouvernement suisse avait signé un accord secret de réadmission avec l’Ethiopie prévoyant la transmission aux services secrets éthiopiens des données personnelles des personnes renvoyées de force[4] les jetant droit dans la gueule du loup. Cet accord avait déjà été dénoncé à l’époque par Amnesty International et Human Rights Watch. Mais le gouvernement persiste et signe !

    Pourtant, depuis l’entrée en fonction du premier ministre Abiy Ahmed en 2018, et la mise en œuvre de nombreuses réformes, les tensions entre son gouvernement et le Front de libération du peuple du Tigré (Tigray People’s Liberation Front TPLF), le parti au pouvoir dans la région du Tigré n’ont cessé d’augmenter. En septembre 2020, le gouvernement central a pris la décision d’annuler les élections régionales en raison du COVID 19, mais celles-ci ont eu lieu malgré tout dans la région du Tigré. Le conflit s’est alors amplifié entraînant des centaines de morts et blessés - suite aux attaques aériennes lancées par l’armée éthiopienne - et, selon Amnesty International, des massacres de civils[5].

    Lors d’un reportage audio de la RTS[6], les experts interrogés compare cette guerre ethnique actuelle avec le génocide d’ex-yougoslavie, expliquant que celui-ci sera long et violent, les soldats étant entraînés au combat. Les réseaux internet sont coupés rendant l’accès aux informations impossible dans certaines regions du pays, tout comme l’accès de l’aide humanitaire.

    S.A. n’a pas pu accepter de retourner volontairement en Éthiopie

    Les autorités vaudoises et fédérales sont aveugles aux vies humaines touchées par l’exécution mécanique d’ordres et envoient sans sourciller des personnes au cœur d’une guerre civile naissante. Ces expulsions vers l’Éthiopie mettent délibérément en danger l’intégrité des personnes concernées, elles doivent être impérativement empêchées !

    Cela fait plus de 7 ans que S.A. vit dans le canton de Vaud. Jusqu’à ce jour il partageait une chambre dans un foyer d’aide d’urgence avec sa sœur - et son enfant - elle aussi en Suisse depuis près de dix ans. Malgré ces difficultés, c’est ici qu’S.A. tisse des liens et exerces ces activités depuis de nombreuses années. Or, selon les informations qui nous sont parvenues, S.A. se trouve actuellement dans un état critique. Déjà traumatisé, affaibli psychiquement et affecté physiquement, la violence de son arrestation et l’absurdité de cette décision d’expulsion ne font qu’aggraver sa situation, le confrontant encore une fois aux décisions « administratives » aberrantes des autorités vaudoises et fédérales et à leurs conséquences bien réelles et destructrices. Quand cet acharnement de l’État et ces procédures d’expulsion meurtrières s’arrêteront-t-elles ?

    Nous ne cesserons de dénoncer cet entêtement absurde, irresponsable et inhumain des autorités et exigeons la libération immédiate de S.A. et de tous ses compatriotes de Frambois et d’ailleurs ! Nous ne cesserons d’exiger l’arrêt total des expulsions et un droit de rester pour toutes et tous.

    A lire également l’Appel de Migrant Solidarity Network : Le vol spécial prévu pour l’Éthiopie ne doit pas décoller https://migrant-solidarity-network.ch/2021/01/22/aufruf-der-geplante-sonderflug-nach-aethiopien-darf-nicht [7]

    [1] Par vol spécial on entend des déportations forcées, sous la contrainte, lors desquelles les personnes concernées se font ligoter de la tête (casque) aux pieds et aux mains. Elles restent entravées ainsi durant un long vol, encadrées par une dizaine de policier par personne, avant d’être remises par les autorités suisses et européennes aux autorités policières/migratoires du pays vers lequel l’expulsion est opérée.

    [2] https://www.osar.ch/publications/news-et-recits/lethiopie-au-bord-de-la-guerre-civile

    [3] https://www.mediapart.fr/journal/international/210121/en-ethiopie-la-france-partagee-entre-business-et-defense-des-droits-humain
    https://eeas.europa.eu/headquarters/headquarters-homepage/91459/we-need-humanitarian-access-tigray-urgent-first-step-towards-peace-ethio

    https://www.lemonde.fr/afrique/article/2020/11/13/ethiopie-l-onu-craint-de-possibles-crimes-de-guerre-apres-le-massacre-de-civ

    https://www.lemonde.fr/afrique/article/2020/11/13/ethiopie-l-onu-craint-de-possibles-crimes-de-guerre-apres-le-massacre-de-civ

    [4] https://www.lematin.ch/story/asile-l-etrange-accord-de-la-suisse-avec-lethiopie-767317721551

    [5] https://www.amnesty.org/en/latest/news/2020/11/ethiopia-over-50-ethnic-amhara-killed-in-attack-on-village-by-armed-group

    [6] https://www.rts.ch/info/monde/11744384-comment-lethiopie-sombre-dans-la-guerre-un-an-apres-le-nobel-de-la-paix

    [7] Afin de contacter l’Appel de Migrant Solidarity Network, vous pouvez leur adresser un mail à l’adresse suivante : info@migrant-solidarity-network.ch

    https://droit-de-rester.blogspot.com/2021/01/appel-de-migrant-solidarity-network-non.html
    #Ethiopie #asile #migrations #réfugiés #réfugiés_éthiopiens #renvois #expulsions #vol_spécial #Suisse #résistance

    • LibrAdio | Non aux expulsions ! Non aux vols spéciaux vers l’Ethiopie

      LibrAdio consacre un sujet au risque de renvois de cinq personnes migrantes vers l’Ethiopie le 27 janvier 2021. Une interview d’Anja qui connaît bien Tahir, un homme qui risque l’expulsion, parle de son parcours migratoire : son opposition au régime sur place, les menaces qui l’ont visé mais aussi son intégration en Suisse. Elle raconte notamment que depuis dimanche celui-ci a entamé une grève de la faim et de la soif à Frambois, centre de détention administrative avant le renvoi. Dans l’interview, sont explicités les risques et les impacts humains que de telles expulsions pourraient avoir vers un pays où la vie de ces personnes sont en danger. Anja évoque une veille d’alerte qui se relaye devant Frambois pour symboliquement exiger l’annulation de ce vol spécial.

      https://www.youtube.com/watch?v=heiz_r1Ebgc&feature=emb_logo

      https://asile.ch/2021/01/26/libradio-non-aux-expulsions-non-aux-vols-speciaux-vers-lethiopie

    • Solidarité Tattes relaye ici le communiqué de presse des ami·e·s de #Tahir et #Solomon :

      Communiqué de presse – 28 janvier 2021

      Tahir expulsé : les autorités genevoises exécutent un renvoi inqualifiable !

      Une mobilisation large d’ami·e·s de Tahir a organisé une présence jour et nuit du 25 au 27 janvier devant le Centre de détention administrative de Frambois pour dénoncer le renvoi de Tahir et de 2 autres personnes vers l’Ethiopie, un renvoi organisé par vol spécial Frontex.

      Depuis plusieurs jours, Tahir était en grève de la faim et de la soif. Mardi matin 26 janvier, la police l’a contacté pour lui proposer 1’000 CHF en échange de l’acceptation de son renvoi, ce à quoi Tahir a répondu que sa vie n’était pas à vendre. Il s’agit d’une pratique inacceptable et que nous dénonçons.

      Mercredi 27 janvier vers midi, l’état de santé de Tahir s’est dégradé et il a été transféré aux urgences des HUG. Vers 18h, nous avons appris qu’il serait emmené à l’aéroport. Plusieurs dizaines de personnes se sont postées devant différentes sorties des HUG afin de lui dire au revoir, et de former une chaîne humaine symbolique contre son renvoi.

      Alors que nous étions masqués et respections les distances physiques sanitaires, les forces de police ont procédé à des contrôles de papiers et menacé de dresser des amendes. C’est à ce moment que Tahir a été sorti de son lit aux urgences pour être emmené à l’aéroport. Le mouvement s’est alors déplacé devant le Terminal 2, d’où le vol spécial devait partir. De nombreuses démarches ont été menées en parallèle pour demander aux autorités genevoises, en charge de l’exécution du renvoi, d’empêcher ce renvoi inacceptable. L’espoir a persisté jusqu’au bout, l’avocate de Tahir, Maitre Buser, ayant fait un dernier recours ce 27 janvier en fin de journée auprès du Tribunal Administratif Fédéral avec mesures d’urgence.

      A 22h, le vol spécial Frontex, mutualisé avec l’Allemagne, s’envolait vers Addis Abeba, avec escale à Athènes pour embarquer d’autres personnes déboutées. Au vu de tous les éléments questionnant la légitimité du renvoi de notre ami, nous sommes extrêmement choqués que le Canton n’ait pas usé de son pouvoir pour renoncer à l’exécution de ce renvoi.

      Nous dénonçons tout particulièrement que :

      Tahir ait été arraché de son lit d’hôpital aux urgences pour être mis de force dans l’avion
      Aucun test PCR n’a été effectué au départ de la Suisse, alors que cette dernière doit le réaliser avant tout départ
      Les autorités genevoises n’ont rien fait pour empêcher ce renvoi, alors que son exécution relevait de leur compétence

      Nous avons appris ce jeudi matin que Tahir est bien arrivé à Addis Abeba.

      Le contact avec lui ne sera pas rompu.

      Les ami·e·s de Tahir

    • Suite au #vol_spécial du mercredi 27.01 qui a eu lieu malgré toutes les protestations et la grande mobilisation, vous trouverez ci-dessous des nouvelles de Solomon et la manière dont les derniers jours avant son expulsion ce sont déroulés :

      Un plan de vol pour l’Éthiopie a été remis à Solomon il y a cinq mois. Plan de vol qu’il a refusé. Sa vie était en Suisse. Il travaillait dans un atelier de mécanique vélo, était engagé dans le foyer dans lequel il vivait, apprécié de tout le monde. C’était évident qu’il ne pouvait pas accepter de partir. Suite à son refus, il a continué à recevoir, comme auparavant, l’aide d’urgence (qu’il devait renouveler tous les 2-3 mois). Puis, rien d’autre, la vie continuait. Pas d’assignation à résidence l’obligeant à rester à la maison en attendant que la police l’emmène, pas d’ordonnance pénale, rien. Rien n’indiquait qu’il allait être arrêté prochainement dans les locaux du service de la population (SPOP).

      Mardi 19 janvier 2021. Au matin, Solomon va renouveler son papier d’aide d’urgence (action qu’il devait faire régulièrement pour garder son droit au logement à l’EVAM entre autres). La personne au guichet lui demande de patienter dans la salle d’attente. 10 minutes plus tard, deux policiers pénètrent dans les locaux du SPOP et l’embarquent. Menottes aux poignets, sans aucune explication. Solomon se sent traité comme un criminel. Sans que personne ne lui explique ce qui lui arrive, il est emmené en voiture. Pendant le trajet, Solomon demande à joindre son patron pour le prévenir qu’il ne sera pas au travail l’après-midi. C’est la seule demande qui lui est consentie. Il va changer plusieurs fois de véhicule - voitures et fourgonnettes - il est complètement déboussolé et ne comprend pas pourquoi tout ce cirque pour le transporter qui sait où. Ce n’est qu’en arrivant sur place qu’il apprend qu’il a été emmené à Genève, à la prison de Frambois, où il passera la nuit.

      Mercredi 20 janvier. Solomon est ramené à Lausanne pour comparaître devant le tribunal des mesures de contrainte et d’application des peines. Là, Solomon rencontre pour la première fois, et qui fut aussi la dernière, l’avocat qui lui a été attribué (qui était, en fait, le stagiaire de l’avocate censée s’occuper de sa situation), accompagné d’un interprète anglais, langue que Solomon ne parle pas. Lorsqu’il le fait remarquer au procureur, ce dernier lui répond : "On va faire avec". Sous-entendu par-là que Solomon ne connaîtra pas le contenu du jugement, à part quelques éléments qu’il a compris en français et de bribes d’anglais. Oui, malgré le fait qu’il ait précisé qu’il ne parlait pas anglais, l’ensemble du jugement lui a été traduit dans cette langue.

      Ensuite, Solomon est ramené à Frambois, au sous-sol, dans une pièce avec toilettes et lavabo. Il y est placé en isolement jusqu’au mardi suivant. Il n’est autorisé à voir personne, mesure COVID. Il reçoit les appels seulement quand le personnel de la prison est disponible pour les lui transférer. Impossible non plus de lui rendre visite.

      Plus aucune nouvelle de sa supposée avocate jusqu’au lundi 25 janvier, date à laquelle il reçoit un appel pour lui dire qu’elle passera mardi. Or, mardi, personne ne vient.

      Dans la nuit de mardi 26 à mercredi 27, ses ami.es, son équipe de foot, viennent devant la prison de Frambois depuis Lausanne, pour être là au cas où Solomon serait emmené de nuit à l’aéroport. Iels veillent toute la nuit jusqu’au petit matin, avant de retourner à Lausanne pour le travail. Deux heures plus tard, on apprend que la police vaudoise est arrivée à Frambois avec l’intention de ramener Solomon dans le canton de Vaud. Il est dit aux personnes encore postées devant la prison en soutien aux incarcérés, que le vol n’aurait "peut-être pas lieu".

      Les ami.es de Salomon appellent Frambois pour savoir où il a été transféré. Les gardiens leur répondent qu’ils ne peuvent pas donner cette info, qu’ils doivent appeler le service de la population (SPOP) vaudois. Lorsque ses ami.es appellent le SPOP, on leur dit que seule l’avocate peut avoir accès à ces informations. Sa sœur ne compte pas. Son avocate n’en a rien à faire de lui, mais plusieurs personnes essaient de l’appeler tout de même puisqu’elle semble être la seule à avoir droit à cette information si confidentielle. On pense qu’il a été emmené à nouveau dans les locaux de la police cantonale de la Blécherette. Le pourquoi du comment les policiers ont procédé ainsi reste un mystère. L’avocate attend la journée du mercredi 27 janvier, le jour du vol spécial, pour faire une demande de réexamen, qui bien sûr arrivera trop tard. Elle laisse encore cette journée s’écouler avant de lâcher qu’elle ne sait pas où se trouve Solomon, sans avoir pris la peine de passer un coup de fil à la réception de la police cantonale.

      Mercredi 27 janvier. Dans la soirée, Solomon est transféré depuis Lausanne vers l’aéroport de Genève (matin à Frambois, après-midi à Lausanne, retour à Genève le soir). Il aura dû d’abord subir la torture psychologique de la police de la Blécherette. Affaibli par sa grève de la faim et cherchant à trouver du repos, Solomon est réveillé à maintes reprises par les policiers qui entrent dans sa cellule, lui enlèvent la couverture, puis repartent. Il est ensuite déshabillé, et plaqué contre le mur pour une fouille intégrale - lors de laquelle les policiers se foutent de lui.

      "Ils m’ont humilié jusqu’au bout"

      A nouveau menotté, il est embarqué dans une voiture. Personne ne lui dit où il va. Une fois arrivé à l’aéroport de Genève, il est contraint de se diriger vers l’avion, encadré par deux policiers. Quand Solomon monte dans l’avion, les policiers précisent qu’il a un certificat médical. Dans l’avion, ils étaient 7 Ethiopiens de Suisse, 3 des cantons romands et 4 des cantons germanophones, plus de 40 policiers. Pendant le trajet, un des policiers lui tend une enveloppe en lui disant que c’est de l’argent auquel il a droit, une somme d’un peu plus de 1000 .-. Solomon signe une sorte de reçu, attestant qu’il a bien reçu l’argent, un papier écrit à la main. Arrivé à Addis Abeba, il ouvre l’enveloppe dans laquelle il n’y a plus qu’une centaine de francs, le policier lui a donc dérobé 1000.-. « J’aimerais comprendre pourquoi il a fait ça ».

      Solomon a pu sortir de l’aéroport et il va « bien », il atterrit.
      [Témoignage recueilli par les ami.es de Solomon]

      Reçu via la mailing-list de la Coordination asile de Genève, 30.01.2020

    • La Coordination asile.ge condamne le vol spécial de Genève vers l’Éthiopie du 27 janvier. Elle appelle les autorités genevoises à réagir.

      Dans la nuit du 27 au 28 janvier dernier, un avion spécialement affrété pour le renvoi de demandeurs d’asile déboutés s’est envolé de l’aéroport de Cointrin vers l’Éthiopie. À son bord se trouvait notamment #Tahir_Tilmo, demandeur d’asile qui avait été attribué au canton de Genève et dont l’exécution du renvoi dépendait de la police genevoise. Tahir Tilmo avait été arrêté et était détenu à Favra puis à Frambois pour des raisons administratives depuis le 7 septembre dernier. Cet universitaire avait appris le français, participait à diverses activités organisées au sein de l’université genevoise, et était décrit comme une personne bien intégrée. Une pétition, signée par plus de 1000 personnes et demandant au Conseil d’État de le soutenir, avait été déposée. Le Conseil d’État n’y avait pas répondu. Une forte mobilisation citoyenne a eu lieu pour essayer d’éviter l’exécution du renvoi. En vain.

      Quatre jours avant le vol spécial, Tahir Tilmo s’était mis en grève de la faim et de la soif. Le 27 janvier, sur l’avis d’un médecin généraliste qui l’a examiné à #Frambois, il a été conduit au service des urgences des #HUG. Il y était entravé par des liens aux pieds – comme si dans son état il pouvait échapper aux deux policiers qui le flanquaient ! Après quelques examens, la police est venue le chercher aux urgences pour le transférer à l’aéroport. Comment se fait-il qu’un homme en grève de la faim et de la soif, se plaignant de douleurs importantes, ait pu être considéré comme apte à subir le choc d’un vol spécial ? Les médecins qui l’ont jugé apte à être renvoyé connaissaient-ils les conditions violentes dans lesquelles se déroule un renvoi forcé ? La police a-t-elle forcé la main au personnel soignant des HUG ? Trois demandeurs d’asile déboutés sont déjà morts au cours de telles opérations : quel(s) risque(s) les autorités genevoises ont-elles fait courir à Tahir ? La Coordination asile.ge exige des réponses à ces questions qui sont du ressort des autorités genevoises, pour éviter de futurs décès.

      Ce vol spécial était l’un des premiers à destination de l’Éthiopie, suite à la signature d’un accord entre la Suisse et le gouvernement éthiopien en 2018. Cet accord a été signé au moment où l’élection d’un nouveau premier ministre dans le pays africain donnait l’illusion d’une stabilité retrouvée. Mais depuis la situation a beaucoup changé, et une guerre a éclaté au nord du pays. Selon les observateurs avertis, l’Éthiopie risque de sombrer dans une guerre civile sur fond de divisions ethniques. La Coordination asile.ge se joint à l’Organisation suisse d’aide aux réfugiés pour demander aux autorités fédérales la suspension immédiate des renvois forcés vers l’Éthiopie, en raison de l’instabilité politique qui prévaut dans ce pays et qui génère des situations de violence.

      De manière générale, la Coordination asile.ge exprime son opposition aux vols spéciaux de niveau 4, qui équivalent en soi à des formes de mauvais traitement. En autorisant que de telles opérations se déroulent à Genève, les responsables politiques genevois faillissent à protéger les droits humains et l’image de notre cité. Il existe une contradiction majeure entre d’une part l’émotion qu’un tel renvoi suscite au sein de la population genevoise doublée de l’expression d’une certaine indignation par des responsables politiques jusqu’au Conseil d’État, et d’autre part la construction en ce moment même d’un centre de renvoi et de nouvelles places de détention administrative au Grand-Saconnex, en un complexe dévolu à la multiplication d’opérations de ce type. La Coordination asile.ge demande aux autorités genevoises de manifester auprès des autorités fédérales leur intérêt à mettre en œuvre sur le territoire cantonal une politique de refuge, d’accueil et d’intégration plutôt que d’exclusion et de renvoi forcé.

      https://coordination-asile-ge.ch/la-coordination-asile-ge-condamne-le-vol-special-de-geneve-ver

    • Éthiopien renvoyé, et en plus détroussé !

      Dans l’avion du retour, Solomon, l’Éthiopien du canton de Vaud expulsé, s’est fait barboter les 1000 francs de son aide au retour. Malaise.

      La Coordination asile de Lausanne a relayé sur le site Asile.ch l’histoire de Solomon A., l’Éthiopien renvoyé de force dans son pays le 27 janvier avec six autres de ses compatriotes. Elle raconte les étapes de son renvoi depuis qu’il a reçu un plan de vol il y a cinq mois. : « Plan de vol qu’il a refusé, est-il précisé. Sa vie était en Suisse. Il travaillait dans un atelier de mécanique vélo, était engagé dans le foyer dans lequel il vivait, apprécié de tout le monde. C’était évident qu’il ne pouvait pas accepter de partir. »

      Le mardi 19 janvier, Solomon est allé renouveler son papier d’aide d’urgence pour garder son droit au logement. C’est là que deux policiers sont venus l’appréhender par surprise pour le renvoi. Il est amené au centre de Frambois sur Genève, puis le lendemain à Lausanne devant le Tribunal des mesures de contraintes. Puis retour à Frambois, où il est placé dans une cellule en sous-sol à l’isolement. Le 26 janvier ses amis viennent le soutenir devant le centre, car ils craignent qu’il soit expulsé durant la nuit. On leur dit que ce ne sera peut-être pas le cas, qu’il a été transféré dans le canton de Vaud.
      « Plaqué contre le mur »

      En fait, le vol spécial est prévu pour le lendemain. Ses amis dénoncent les traitements qu’on lui a fait subir lors de sa dernière incarcération en terre vaudoise : « Affaibli par sa grève de la faim et cherchant à trouver du repos, Solomon est réveillé à maintes reprises par les policiers qui entrent dans sa cellule, lui enlèvent la couverture, puis repartent. Il est ensuite déshabillé, et plaqué contre le mur pour une fouille intégrale. »

      Finalement, le 27 janvier, il est à nouveau transféré à Genève direction l’aéroport. « Dans l’avion, ils étaient sept Éthiopiens de Suisse, trois des cantons romands et quatre des cantons germanophones, plus de 40 policiers », racontent ses amis qui ont recueilli son témoignage après le vol. Ils expliquent aussi que durant le trajet : « un des policiers lui tend une enveloppe en lui disant que c’est de l’argent auquel il a droit, une somme d’un peu plus de 1000 francs. Solomon signe une sorte de reçu, attestant qu’il a bien reçu l’argent, un papier écrit à la main. Arrivé à Addis Abeba, il ouvre l’enveloppe dans laquelle il n’y a plus qu’une centaine de francs… »
      « Quelqu’un se sert… »

      1000 francs ont donc disparu… Dans son témoignage, il accuse le policier, mais comment savoir ? Renseignement pris, l’autre Éthiopien de Genève expulsé par le même avion, Tahir, a bien reçu lui son aide au retour en bonne et due forme. Alors que s’est-t-il passé avec Solomon ? Aldo Brina, spécialiste des questions d’asile au Centre social protestant de Genève, observe : « Depuis le temps que je travaille dans l’asile, il y a des problèmes avec les aides au retour, mais on ne peut rien prouver, rien n’est établi. J’ai souvent entendu ce même récit de la part des personnes renvoyées à qui on avait subtilisé de l’argent. Est-ce qu’ils mentent ou est-ce qu’il y a anguille sous roche ? Ce serait quand même étonnant qu’ils inventent tous la même chose, alors je pencherais plutôt pour la deuxième option. Mais encore une fois, je n’ai aucune preuve. Quelqu’un se sert… Ce peut-être en Suisse ou dans le pays du retour… »

      La Coordination asile Lausanne va en tout cas demander des explications aux autorités vaudoises.

      https://www.lematin.ch/story/ethiopien-renvoye-et-en-plus-detrousse-259136891094

    • Renvoi de Tahir : les associations interpellent les autorités genevoises

      A Genève, la coordination Asile.ge interpelle le Conseil d’Etat pour le renvoi de l’éthiopien Tahir. Par le passé, le Conseil d’Etat s’est opposé aux renvois forcés et il aurait dû agir.

      L’affaire de l’éthiopien renvoyé par avion la semaine dernière continue de faire des remous à Genève. Ce matin (me) la coordination asile.ge envoyait un communiqué. Pour elle, le renvoi forcé de Tahir alors qu’il était hospitalisé est inadmissible. Le requérant d’asile débouté était en grève de la faim et de la soif depuis plusieurs jours, d’où son hospitalisation. Asile.ge estime que le Conseil d’Etat genevois aurait dû agir même si la compétence en matière de renvois relève de la Confédération. Les explications d’Aldo Brina.

      Asile.ge s’interroge sur la légalité de ce renvoi par vol spécial alors qu’il était souffrant. Ecoutez Aldo Brina.

      Renvois annulés dans le passé

      Asile.ch rappelle que les autorités genevoises ont déjà stoppé des renvois par le passé. Pour la coordination Genève doit pratiquer une politique de refuge, d’accueil et d’intégration plutôt que d’exclusion.

      Plus de 1000 Genevois avaient signé une pétition demandant de surseoir au renvoi, rappelle le collectif d’associations. Sans succès, malgré l’émotion suscitée par ce cas dans la population. La pratique du renvoi risque de se multiplier à l’avenir avertit Aldo Brina.

      Compétence fédérale

      Le porte-parole de Mauro Poggia, Laurent Paoliello, rappelle que les autorités genevoises ne sont pas compétentes en matière d’asile. Il renvoie au Secrétariat d’Etat aux migrations, le SEM.

      https://www.radiolac.ch/actualite/renvoi-de-tahir-les-associations-interpellent-les-autorites-genevoises

    • La coordination de l’asile demande la suspension des renvois

      Le renvoi par la force de sept ressortissants éthiopiens la semaine dernière choque les milieux de l’asile.

      L’expulsion de sept Éthiopiens dans un avion spécial mercredi dernier au départ de Cointrin continue à faire des vagues. Tahir Tilmo résidant à Genève et Solomon Arkisso dans le canton de Vaud étaient détenus à la prison genevoise de Frambois et avaient entamé une grève de la faim et de la soif le week-end précédent. Tous deux étaient en Suisse, craignant pour leur vie là-bas pour des raisons politiques. Une forte mobilisation n’a pas empêché leur renvoi.

      L’attitude du Département genevois de la sécurité, de l’emploi et de la santé a été même critiquée sèchement par le conseiller d’État Antonio Hodgers : « Il aurait pu en être autrement, comme nous avons été plusieurs à le préconiser. En cette période de fortes restrictions des libertés (de réunion, de commerce, d’accès à la culture, etc.), l’État doit être attentif à ne pas perdre son humanité et tomber dans une dérive autocratique qui consiste à exercer le pouvoir de manière froide et désincarnée ».

      Ce mercredi, c’est la Coordination asile.ge qui dénonce ces renvois, notamment celui de Tahir Tilmo : « Cet universitaire avait appris le français, participait à diverses activités organisées au sein de l’université genevoise, et était décrit comme une personne bien intégrée. Une pétition signée par plus de 1000 personnes et demandant au Conseil d’État de le soutenir, avait été déposée. Le Conseil d’État n’y avait pas répondu. »
      Un des premiers vols avec le nouvel accord

      La coordination ajoute : « En autorisant que de telles opérations se déroulent à Genève, les responsables politiques genevois faillissent à protéger les droits humains et l’image de notre cité. Il existe une contradiction majeure entre d’une part l’émotion qu’un tel renvoi suscite au sein de la population genevoise, doublée de l’expression d’une certaine indignation par des responsables politiques jusqu’au Conseil d’État »,

      La coordination constate que ce vol spécial était l’un des premiers à destination de l’Éthiopie, suite à la signature de l’accord entre la Suisse et le gouvernement éthiopien en 2018. Mais aujourd’hui la situation a changé et l’Éthiopie est retournée dans une période de troubles graves : « Cet accord a été signé au moment où l’élection d’un nouveau premier ministre dans le pays africain donnait l’illusion d’une stabilité retrouvée. Mais depuis la situation a beaucoup changé, et une guerre a éclaté au nord du pays ».

      Face aux risques de voir le pays plonger dans une guerre civile, la Coordination asile.ge se joint à l’Organisation suisse d’aide aux réfugiés (OSAR) pour demander aux autorités fédérales « la suspension immédiate des renvois forcés vers l’Éthiopie en raison de l’instabilité politique qui prévaut dans ce pays et qui génère des situations de violence ».

      De son côté, Le Secrétariat d’État aux migrations (SEM) estime que la situation actuelle permet des renvois forcés en Éthiopie.

      https://www.lematin.ch/story/la-coordination-de-lasile-demande-la-suspension-des-renvois-395551064023

    • Un renvoi indigne et honteux pour Genève

      Cinq personnalités genevoises interpellent les autorités du canton sur leur non intervention face au renvoi de Tahir Tilmo, l’un des requérants d’asile éthiopiens déboutés, expulsés de Suisse par vol spécial.1 Ce dernier résidait à Genève.

      En novembre 2020, en Ethiopie, les tensions entre le gouvernement central et les dirigeants de la région du Tigré ont dégénéré en conflit ouvert. Celui-ci a atteint son paroxysme suite à la décision du gouvernement central de repousser, sans succès, les élections régionales prévues en septembre 2020 à cause de la pandémie de coronavirus. On dénombre des centaines de morts et de blessés. Plus de 100 000 personnes sont en fuite.

      En dépit de cette situation, soulignée par de nombreuses organisations internationales comme Amnesty, deux jeunes Ethiopiens1 sont arrêtés en vue de leur renvoi et détenus à Genève, à la prison de Frambois. Craignant pour leur vie, ils entament une grève de la faim et de la soif. Dans la nuit du 27 au 28 janvier, ils sont placés de force à bord d’un vol spécial de Frontex à destination d’Addis Abeba.

      Tahir, un Ethiopien d’une trentaine d’années, était arrivé à Genève en 2015, et était en détention administrative depuis septembre 2020. Les membres de sa famille, engagés dans le Front de libération oromo, ont été incarcérés, torturés ou assassinés. Son compatriote Solomon résidait dans le canton de Vaud depuis sept ans et avait été interpellé dix jours plus tôt à Lausanne, alors qu’il se rendait au Service de la population pour percevoir son aide d’urgence.

      L’état de santé de Tahir se dégradant, il a été transféré aux urgences des Hôpitaux universitaires de Genève (HUG). Plusieurs dizaines de personnes – parmi lesquels ses ami·e·s et des membres des associations Solidarité Tattes, Stop Renvoi et 3ChêneAccueil – étaient venues former une chaîne humaine symbolique contre ce renvoi. Les forces de police ont effectué des contrôles d’identité et menacé de verbaliser. De multiples démarches ont été tentées par ses ami-e-s, son avocate, des associations et des relais politiques.

      Les autorités responsables n’ont pas renoncé à ce renvoi inacceptable. Les proches des deux requérants éthiopiens ont demandé à plusieurs reprises de pouvoir leur dire au revoir. Sans succès. De nombreuses questions douloureuses demeurent sans réponse. Pourquoi les autorités, notamment cantonales, ne sont-elles pas intervenues pour empêcher ce renvoi ? Les HUG ont-ils pu délivrer un certificat médical assurant du bon état de santé de Tahir alors que celui-ci était aux urgences, sans même consulter son médecin ou son psychiatre à Frambois ? Pourquoi aucun des quatre Ethiopiens venus de Suisse n’avait-il fait le test PCR, alors que les trois venus d’Allemagne l’avaient effectué ?

      Les autorités genevoises, qui ont pourtant procédé à l’arrestation de Tahir et demandé son placement en détention, cherchent peut-être à s’abriter derrière la compétence du Secrétariat d’Etat aux migrations. Elles disposent cependant d’une responsabilité et d’une marge de manœuvre qui leur sont propres. Genève est le siège de nombreuses organisations internationales et le siège européen des Nations unies. Les autorités étaient – en tous cas moralement – tenues d’intervenir pour empêcher ce renvoi. La communauté internationale a établi depuis longtemps un ensemble de normes visant à garantir que le retour des réfugiés se déroule de manière à protéger leurs droits. Le non-refoulement des demandeurs d’asile vers un pays où leur vie est danger est considéré comme l’un des principes les plus stricts du droit international. Mauro Poggia, conseiller d’Etat en charge du Département de la sécurité, de l’économie et de la santé, ne s’est pas opposé à ce renvoi. Les autres conseillers-ères d’Etat doivent manifester leur désaccord et dénoncer la politique inacceptable de renvois que la Suisse met en œuvre de manière toujours plus inhumaine.

      Laurence Fehlmann Rielle, conseillère nationale, PS/GE.

      Emmanuel Deonna, député au Grand Conseil genevois, PS.

      Wahba Ghaly, conseiller municipal, Vernier, PS.

      Marc Morel, pour la Ligue suisse des droits de l’homme, Genève.

      Julie Franck, maître d’enseignement et de recherche à l’Université de Genève, pour les ami·e·s de Tahir.

      https://lecourrier.ch/2021/02/03/un-renvoi-indigne-et-honteux-pour-geneve

  • Lesvos : Border guards, policeman suspended for beating refugees (video)

    Three border guards and one policeman have been suspended from service after a video showed them beating two refugees outside a supermarket of the island of Lesvos, the Chief of the Greek Police announced on Saturday morning. An internal investigation has been launched against the four, the statement added. Police speaks of “use of violence against people during control check.”

    The video was published on Friday afternoon by newspaper Efimerida ton Syntakton. The four policemen stopped them for control as they were returning from supermarket, threw them on the ground and started beating them for no apparent reason.

    One policeman is holding one of the refugees who is handcuffed and kicks him as well as the other who is on the ground and surrounded by his colleagues. The three keep beating and kicking him while he remains down in the ditch on the side of the road.

    https://www.youtube.com/watch?v=Tbd_x7HhyAY

    In a comment the President of the Panhellenic Association of Border Guards claimed that the victims were “not refugees but migrants seeking asylum” and that “they were drunk.”

    He said further that the police was called following complaints that the victims were stopping drivers on the road.

    “The migrants resisted during their arrest, swore and spat” the border guards and the policeman, he added.

    Local newspaper lesvosnews described the comment as “unbelievable” and said that “even if the two had behavior, you handcuff them and bring them to justice. the beating cannot be justified.”

    According to local news website stonisi, the two arrested asylum seekers were released and returned to the tent camp of Kara Tepe.

    A team from the Internal Affairs Department of the Greek Police is expected on Lesvos to investigate the case.

    PS The incidents of police violence have dramatically increased recently. As we’ve said before, it looks as if they have adopted the wrong role model, that of police in the USA.

    https://www.keeptalkinggreece.com/2020/12/12/lesvos-policemen-beat-refugees-video
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