• Fuir une dictature et mourir de faim en Italie, après avoir traversé la Méditerranée et passé des mois dans des centres en Libye.
    10 personnes à ses funérailles.
    Et l’Europe n’a pas honte.

    Ragusa, il funerale dell’eritreo morto di fame dopo la traversata verso l’Italia

    Il parroco di Modica: «Di lui sappiamo solo che è un nostro fratello»


    http://palermo.repubblica.it/cronaca/2018/03/20/news/ragusa_il_funerale_dell_eritreo_morto_di_fame_dopo_la_traversata_
    #mourir_de_faim #faim #Libye #torture #asile #migrations #fermeture_des_frontières #Méditerranée

    • Nawal Sos a décidé de faire un travail de récolte de témoignage de personnes qui ont vécu l’#enfer libyen, suite à la saisie du bateau de l’ONG Open Arms en Méditerranée.

      Pour celles et ceux qui ne connaissent pas Nawal :
      https://fr.wikipedia.org/wiki/Nawal_Soufi

      Voici le premier témoignage qu’elle a publié sur FB, que je copie-colle de la page web de Nawal :

      Questa e’ la testimonianza del primo rifugiato che ha dato la disponibilita’ a comparire davanti a qualsiasi corte italiana per raccontare i suoi giorni passati tra gli scafisti in Libia.

      Il 9 aprile del 2015 sono arrivato a casa dello scafista. Da casa sua sono partito via mare il 4 maggio del 2015. Erano le due di notte. In questo periodo le mie condizioni di salute erano particolari ed ero con uno/due ragazzi. Gli altri stavano peggio di me, dentro delle stanze dove la capienza era di dieci persone e in cui venivano rinchiuse settanta/ottanta/cento persone. Ci veniva dato solamente un pasto a giornata ed esso era composto da pane e acqua. L’acqua non bastava per tutti. Non c’erano servizi igienici per fare i propri bisogni. Prima dell’arrivo alla casa dello scafista viene raccontato che la situazione sarà perfetta e la casa grande in modo da garantire le migliori condizioni e che esiste un accordo con la guardia costiera. Appena si arriva a casa dello scafista si trovano altre condizioni. Una delle promesse che erano state fatte era quella di partire in poche ore, al massimo ventiquattro via mare. La verità è però che è necessario aspettare in base agli accordi con la guardia costiera: se vengono raggiunti dopo una settimana si parte dopo una settimana altrimenti è necessario aspettare fino a un mese, come è stato per me. Se una persona paga molto gli verrà fornito un salvagente altrimenti bisognerà affrontare il viaggio senza. Qualcuno portava con sé il salvagente mentre altri credevano alle parole dello scafista e non lo portavano. Anche sul salvagente cominciavano le false promesse: «Domani vi porteremo i salvagenti..». A seguito di queste promesse iniziavano a farsi strada delle tensioni con lo scafista. Le barche di legno su cui avremmo dovuto viaggiare erano a due piani: nel piano di sotto vi era la sala motore dov’è lo spazio per ogni essere umano non supera 30 x 30 cm massimo 40. Mettevano le persone una sopra l’altra. Le persone che venivano messe sotto erano le persone che pagavano di meno. Ovviamente lo scafista aveva tutto l’interesse di mettere in questo spazio il maggior numero di persone possibili per guadagnare sempre più con la scusante di usare questo guadagno per pagare la guardia costiera libica, la manutenzione della barca e altre persone necessarie per partire. Proprio nella sala motore ci sono stati vari casi di morti. La maggior parte della barche veniva comprata da Ras Agedir e Ben Gerdan, in Tunisia. Le barche arrivavano dalla Tunisia in pieno giorno, passando dalla dogana senza essere tassate né controllate. Le barche venivano portate al porto e ristrutturate davanti agli occhi di tutti. Una volta riempite le barche venivano fatte partire in pieno giorno (dalle prime ore del mattino fino alle due del pomeriggio) senza essere fermate dalla guardia costiera libica. Le uniche a essere fermate erano quelle degli scafisti che non pagavano mazzette ed esse venivano riportate indietro e i migranti arrestati. La guardia costiera chiedeva poi un riscatto allo scafista per liberare le persone. Così facendo lo obbligavano la volta dopo a pagare una mazzetta prima di far partire le sue imbarcazioni.
      In un caso molti siriani erano saliti su quella che chiamavamo «l’imbarcazione dei medici». Questi medici avevano comprato la barca per partire senza pagare gli scafisti ed erano partiti. A bordo c’erano 80/100 persone. Sono stati seguiti da individui non identificati che gli hanno sparato contro causando la morte di tutte le persone a bordo. Non si sa se siano stati degli scafisti o la guardia costiera.
      I contatti tra la guardia costiera libica e gli scafisti risultano evidenti nel momento in cui le persone fermate in mare e riportate a terra vengono liberate tramite pagamento di un riscatto da parte degli scafisti. Queste stesse persone riescono poi a partire con lo stesso scafista via mare senza essere fermate.
      In Libia, dove ho vissuto due anni, le condizioni di vita sono molto difficili. Gli stessi libici hanno iniziato a lottare per ottenere qualcosa da mangiare e per me, in quanto siriano senza possibilità di andare da qualsiasi altra parte, l’unica cosa importante era poter lavorare e vivere. Conosco molti ingegneri e molti professionisti che hanno lasciato la loro vita per venire in Libia a fare qualsiasi tipo di lavoro pur di sopravvivere. Non avevo quindi altra soluzione se non quella di partire via mare verso l’Europa. Sono partito e sono arrivato a Lampedusa e da lì ho raggiunto Catania.

      https://www.facebook.com/permalink.php?story_fbid=580561452301350&id=100010425011901
      J’espère voir les autres témoignages aussi... mais elle les publie sur FB, du coup, je pense que je vais certainement ne pas tout voir.

    • Deuxième témoignage :

      Questa e’ la seconda persona che ha dato la sua disponibilita’ a comparire di fronte a qualsiasi Corte italiana per raccontare il suo viaggio e forse altri compagni di viaggio che erane nella stessa barca si uniranno a lui.
      Testimonianza di: Ragazzo Palestinese di Gaza
      (Per ovvi motivi non posso citare in nome qui)

      Traduzione in italiano:

      Per quanto riguarda il traffico degli esseri umani avviene tra Zebrata e Zuara in Libia. Tra i trafficanti e la guardia costiera libica c’è un accordo di pagamento per far partire le imbarcazioni. Al trafficante che non paga la guardia costiera gli viene affondata l’imbarcazione. La squadra della guardia costiera che fa questi accordi e’ quella di Al Anqaa’ العنقاء appartenente alla zona di Ezzawi. Otto mesi fa siamo partiti da Zebrata e siamo stati rapiti dalla guardia costiera libica. Dopo il rapimento abbiamo detto loro che siamo partiti tramite lo scafista che si chiama Ahmed Dabbashi. E la risposta della guardia costiera è stata: se solo ci aveste detto che eravate partiti tramite lo scafista Ahmed Debbash tutto ciò non sarebbe successo.

      Je n’arrive pas à copier-coller le link FB (arrghhh)

    • Time to Investigate European Agents for Crimes against Migrants in Libya

      In March 2011, the ICC Office of the Prosecutor of the international criminal court opened its investigation into the situation in Libya, following a referral by the UN Security Council. The investigation concerns crimes against humanity in Libya starting 15 February 2011, including the crimes against humanity of murder and persecution, allegedly committed by Libyan agents. As the ICC Prosecutor explained to the UN Security Council in her statement of 8 May 2017, the investigation also concerns “serious and widespread crimes against migrants attempting to transit through Libya.” Fatou Bensouda labels Libya as a “marketplace for the trafficking of human beings.” As she says, “thousands of vulnerable migrants, including women and children, are being held in detention centres across Libya in often inhumane condition.” The findings are corroborated by the UN Support Mission in Libya (UNMSIL) and the Panel of Experts established pursuant to Resolution 1973 (2011). Both report on the atrocities to which migrants are subjected, not only by armed militias, smugglers and traffickers, but also by the new Libyan Coast Guard and the Department for Combatting Illegal Migration of the UN-backed Al Sarraj’s Government of National Accord – established with EU and Italian support.

      https://www.ejiltalk.org/time-to-investigate-european-agents-for-crimes-against-migrants-in-libya

    • UN report details scale and horror of detention in Libya

      Armed groups in Libya, including those affiliated with the State, hold thousands of people in prolonged arbitrary and unlawful detention, and submit them to torture and other human rights violations and abuses, according to a UN report published on Tuesday.

      “Men, women and children across Libya are arbitrarily detained or unlawfully deprived of their liberty based on their tribal or family links and perceived political affiliations,” the report by the UN Human Rights Office says. “Victims have little or no recourse to judicial remedy or reparations, while members of armed groups enjoy total impunity.”

      “This report lays bare not only the appalling abuses and violations experienced by Libyans deprived of their liberty, but the sheer horror and arbitrariness of such detentions, both for the victims and their families,” said UN High Commissioner for Human Rights Zeid Ra’ad Al Hussein. “These violations and abuses need to stop – and those responsible for such crimes should be held fully to account.”

      Since renewed hostilities broke out in 2014, armed groups on all sides have rounded up suspected opponents, critics, activists, medical professionals, journalists and politicians, the report says. Hostage-taking for prisoner exchanges or ransom is also common. Those detained arbitrarily or unlawfully also include people held in relation to the 2011 armed conflict - many without charge, trial or sentence for over six years.

      The report, published in cooperation with the UN Support Mission in Libya (UNSMIL), summarizes the main human rights concerns regarding detention in Libya since the signing of the Libyan Political Agreement (LPA) on 17 December 2015 until 1 January 2018. The implementation of provisions in the LPA to address the situation of people detained arbitrarily for prolonged periods of time has stalled, it notes.

      “Rather than reining in armed groups and integrating their members under State command and control structures, successive Libyan governments have increasingly relied on them for law enforcement, including arrests and detention; paid them salaries; and provided them with equipment and uniforms,” the report says. As a result, their power has grown unchecked and they have remained free of effective government oversight.

      Some 6,500 people were estimated to be held in official prisons overseen by the Judicial Police of the Ministry of Justice, as of October 2017. There are no available statistics for facilities nominally under the Ministries of Interior and Defence, nor for those run directly by armed groups.

      “These facilities are notorious for endemic torture and other human rights violations or abuses,” the report says. For example, the detention facility at Mitiga airbase in Tripoli holds an estimated 2,600 men, women and children, most without access to judicial authorities. In Kuweifiya prison, the largest detention facility in eastern Libya, some 1,800 people are believed to be held.

      Armed groups routinely deny people any contact with the outside world when they are first detained. “Distraught families search for their detained family members, travel to known detention facilities, plead for the help of acquaintances with connections to armed groups, security or intelligence bodies, and exchange information with other families of detainees or missing persons,” the report highlights.

      There have also been consistent allegations of deaths in custody. The bodies of hundreds of individuals taken and held by armed groups have been uncovered in streets, hospitals, and rubbish dumps, many with bound limbs and marks of torture and gunshot wounds.

      “The widespread prolonged arbitrary and unlawful detention and endemic human rights abuses in custody in Libya require urgent action by the Libyan authorities, with support from the international community,” the report says. Such action needs to provide redress to victims and their families, and to prevent the repetition of such crimes.

      “As a first step, the State and non-State actors that effectively control territory and exercise government-like functions must release those detained arbitrarily or otherwise unlawfully deprived of their liberty. All those lawfully detained must be transferred to official prisons under effective and exclusive State control,” it says.

      The report calls on the authorities to publicly and unequivocally condemn torture, ill-treatment and summary executions of those detained, and ensure accountability for such crimes.

      “Failure to act will not only inflict additional suffering on thousands of detainees and their families and lead to further loss of life. It will also be detrimental to any stabilization, peacebuilding and reconciliation efforts,” it concludes.

      http://www.ohchr.org/EN/NewsEvents/Pages/DisplayNews.aspx?NewsID=22931&LangID=E

      Lien vers le #rapport du #OHCHR :


      http://www.ohchr.org/Documents/Countries/LY/AbuseBehindBarsArbitraryUnlawful_EN.pdf
      #détention_arbitraire #torture #décès #morts #détention

    • L’inferno libico nelle poesie di #Segen

      #Tesfalidet_Tesfom è il vero nome del migrante eritreo morto il giorno dopo il suo sbarco a Pozzallo del 12 marzo dalla nave Proactiva della ong spagnola Open Arms. Dopo aver lottato tra la vita e la morte all’ospedale maggiore di Modica nel suo portafogli sono state ritrovate delle bellissime e strazianti poesie. In esclusiva su Vita.it la sua storia e le sue poesie


      http://www.vita.it/it/story/2018/04/10/linferno-libico-nelle-poesie-di-segen/210
      #poésie

      Les poésies de Segen :

      Non ti allarmare fratello mio
      Non ti allarmare fratello mio,
dimmi, non sono forse tuo fratello?

      Perché non chiedi notizie di me?
      
È davvero così bello vivere da soli,

      se dimentichi tuo fratello al momento del bisogno?
      Cerco vostre notizie e mi sento soffocare
      
non riesco a fare neanche chiamate perse,

      chiedo aiuto,
      
la vita con i suoi problemi provvisori
      
mi pesa troppo.
      Ti prego fratello, prova a comprendermi,
      
chiedo a te perché sei mio fratello,
      
ti prego aiutami,
      
perché non chiedi notizie di me, non sono forse tuo fratello?
      Nessuno mi aiuta,
      
e neanche mi consola,

      si può essere provati dalla difficoltà,
      
ma dimenticarsi del proprio fratello non fa onore,
      
il tempo vola con i suoi rimpianti,

      io non ti odio,

      ma è sempre meglio avere un fratello.
      No, non dirmi che hai scelto la solitudine,

      se esisti e perché ci sei
 con le tue false promesse,

      mentre io ti cerco sempre,
      saresti stato così crudele se fossimo stati figli dello stesso sangue?
      

Ora non ho nulla,
      
perché in questa vita nulla ho trovato,

      se porto pazienza non significa che sono sazio
      
perché chiunque avrà la sua ricompensa,
      
io e te fratello ne usciremo vittoriosi 
affidandoci a Dio.

      Tempo sei maestro
      Tempo sei maestro
      per chi ti ama e per chi ti è nemico,
      sai distiunguere il bene dal male,
      chi ti rispetta
      e chi non ti dà valore.
      Senza stancarti mi rendi forte,
      mi insegni il coraggio,
      quante salite e discese abbiamo affrontato,
      hai conquistato la vittoria
      ne hai fatto un capolavoro.
      Sei come un libro, l’archivio infinito del passato
      solo tu dirai chi aveva ragione e chi torto,
      perché conosci i caratteri di ognuno,
      chi sono i furbi, chi trama alle tue spalle,
      chi cerca una scusa,
      pensando che tu non li conosci.
      Vorrei dirti ciò che non rende l’uomo
      un uomo
      finché si sta insieme tutto va bene,
      ti dice di essere il tuo compagno d’infanzia
      ma nel momento del bisogno ti tradisce.
      Ogni giorno che passa, gli errori dell’uomo sono sempre di più,
      lontani dalla Pace,
      presi da Satana,
      esseri umani che non provano pietà
      o un po’ di pena,
      perché rinnegano la Pace
      e hanno scelto il male.
      Si considerano superiori, fanno finta di non sentire,
      gli piace soltanto apparire agli occhi del mondo.
      Quando ti avvicini per chiedere aiuto
      non ottieni nulla da loro,
      non provano neanche un minimo dispiacere,
      però gente mia, miei fratelli,
      una sola cosa posso dirvi:
      nulla è irragiungibile,
      sia che si ha tanto o niente,
      tutto si può risolvere
      con la fede in Dio.
      Ciao, ciao
      Vittoria agli oppressi

    • Vidéo : des migrants échappent à l’enfer libyen en lançant un appel sur #WhatsApp

      Un groupe de migrants nigérians enfermés dans un centre de détention à #Zaouïa, en Libye, est parvenu à filmer une vidéo montrant leurs conditions de vie et appelant à l’aide leur gouvernement en juillet 2018. Envoyée à un ami sur WhatsApp, elle est devenue virale et a été transmise aux Observateurs de France 24. L’organisation internationale pour les migrations a ensuite pu organiser un vol pour les rapatrier au Nigéria. Aujourd’hui sains et saufs, ils racontent ce qu’ils ont vécu.


      http://observers.france24.com/fr/20180928-libye-nigeria-migrants-appel-whatsapp-secours-oim-video
      #réseaux_sociaux #téléphone_portable #smartphone

      Commentaire de Emmanuel Blanchard via la mailing-list Migreurop :

      Au-delà du caractère exceptionnel et « spectaculaire » de cette vidéo, l’article montre bien en creux que les Etats européens et l’#OIM cautionnent et financent de véritables #geôles, sinon des centre de tortures. Le #centre_de_détention #Al_Nasr n’est en effet pas une de ces prisons clandestines tenues par des trafiquant d’êtres humains. Si les institutions et le droit ont un sens en Libye, ce centre est en effet « chapeauté par le gouvernement d’entente nationale libyen – soutenu par l’Occident – via son service de combat contre l’immigration illégale (#DCIM) ». L’OIM y effectue d’ailleurs régulièrement des actions humanitaires et semble y organiser des opérations de retour, telles qu’elles sont préconisées par les Etats européens voulant rendre hermétiques leurs frontières sud.
      Quant au DCIM, je ne sais pas si son budget est précisément connu mais il ne serait pas étonnant qu’il soit abondé par des fonds (d’Etats) européens.

      #IOM

    • ’He died two times’: African migrants face death in Libyan detention centres

      Most of those held in indefinite detention were intercepted in the Mediterranean by EU-funded Libyan coastguard.

      Four young refugees have died in Libya’s Zintan migrant detention centre since mid-September, according to other detainees, who say extremely poor conditions, including a lack of food and medical treatment, led to the deaths.

      The fatalities included a 22-year-old Eritrean man, who died last weekend, according to two people who knew him.

      Most of the refugees detained in centres run by Libya’s #Department_for-Combatting_Illegal_Immigration (#DCIM) were returned to Libya by the EU-backed coastguard, after trying to reach Europe this year.

      The centre in #Zintan, 180 km southwest of Tripoli, was one of the locations the UN Refugee Agency (UNHCR) moved refugees and migrants to after clashes broke out in the capital in August. Nearly 1,400 refugees and migrants were being held there in mid-September, according to UNHCR.

      “At this detention centre, we are almost forgotten,” detainee there said on Wednesday.

      Other aid organisations, including Medecins Sans Frontieres (MSF), criticised the decision to move detainees out of Tripoli at the time.

      “Transferring detainees from one detention centre to another within the same conflict zone cannot be described as an evacuation and it is certainly not a solution,” MSF Libya head of mission Ibrahim Younis said. “The resources and mechanisms exist to bring these people to third countries where their claims for asylum or repatriation can be duly processed. That’s what needs to happen right now, without delay. This is about saving lives.”

      UNHCR couldn’t confirm the reports, but Special Envoy for the Central Mediterranean, Vincent Cochetel, said: “I am saddened by the news of the alleged death of migrants and refugees in detention. Renewed efforts must be made by the Libyan authorities to provide alternatives to detention, to ensure that people are not detained arbitrarily and benefit from the legal safeguards and standards of treatment contained in the Libyan legislation and relevant international instruments Libya is party to.”

      The International Organisation for Migration (IOM), which also works in Libya, did not respond to a request for confirmation or comment. DCIM was not reachable.

      Tens of thousands of refugees and migrants have been locked in indefinite detention by Libyan authorities since Italy and Libya entered into a deal in February 2017, aimed at stopping Africans from reaching Europe across the Mediterranean.

      People in the centres are consistently deprived of food and water, according to more than a dozen detainees in touch with The National from centres across Tripoli. One centre holding more than 200 people has gone the last eight days without food, according to a man being held there.

      Sanitation facilities are poor and severe overcrowding is common. Though the majority of detainees are teenagers or in their twenties, many suffer from ongoing health problems caused or exacerbated by the conditions.

      Aid agencies and researchers in Libya say the lack of a centralised registration system for detainees makes it impossible to track the number of deaths that are happening across “official” Libyan detention centres.

      Earlier this month, a man in his twenties died in Triq al Sikka detention centre in Tripoli, Libya, from an illness that was either caused or exacerbated by the harsh conditions in the centre, as well as a lack of medical attention, according to two fellow detainees.

      One detainee in Triq al Sikka told The National that six others have died there this year, two after being taken to hospital and the rest inside the centre. Four were Eritrean, and three, including a woman, were from Somalia.

      Another former detainee from the same centre told The National he believes the death toll is much higher than that. Earlier this year, the Eritrean man said he tried to tell a UNHCR staff member about the deaths through the bars of the cell he was being held in, but he wasn’t sure if she was listening. The National received no response after contacting the staff member he named.


      https://www.thenational.ae/world/mena/he-died-two-times-african-migrants-face-death-in-libyan-detention-centre

    • Migranti torturati, violentati e lasciati morire in un centro di detenzione della polizia in Libia, tre fermi a Messina

      A riconoscere e denunciare i carcerieri sono state alcune delle vittime, arrivate in Italia con la nave Alex di Mediterranea. Per la prima volta viene contestato il reato di tortura. Patronaggio: «Crimini contro l’umanità, agire a livello internazionale». Gli orrori a #Zawiya, in una struttura ufficiale gestita dalle forze dell’ordine di Tripoli

      https://www.repubblica.it/cronaca/2019/09/16/news/migranti_torture_sui_profughi_in_libia_tre_fermi_a_messina-236123857
      #crimes_contre_l'humanité #viols #justice

    • Torture, rape and murder: inside Tripoli’s refugee detention camps

      Europe poured in aid to help migrants in Libya – but for thousands, life is still hellish and many prefer to risk staying on the streets

      Men press anxious faces against the chicken-wire fence of Triq-al-Sikka migrant detention camp in downtown Tripoli as I enter. “Welcome to hell,” says a Moroccan man, without a smile.

      Triq-al-Sikka is home to 300 men penned into nightmare conditions. Several who are sick lie motionless on dirty mattresses in the yard, left to die or recover in their own time. Three of the six toilets are blocked with sewage, and for many detainees, escape is out of the question as they have no shoes.

      It wasn’t supposed to be this way. After reports of torture and abuse in detention centres, and wanting to stop the flow of people across the Mediterranean, the European Union has since 2016 poured more than £110m into improving conditions for migrants in Libya. But things are now worse than before.

      Among the inmates is Mohammed, from Ghana. In July, he survived an air strike on another centre, in Tajoura on the capital’s south-western outskirts, that killed 53 of his fellow migrants. After surviving on the streets, last month he got a place on a rickety smuggler boat heading for Europe. But it was intercepted by the coastguard. Mohammed fell into the sea and was brought back to this camp. His blue jumper is still stained by sea salt. He is desperate to get word to his wife. “The last time we spoke was the night I tried to cross the sea,” he says. “The soldiers took my money and phone. My wife does not know where I am, whether I am alive or dead.”

      Triq-al-Sikka’s conditions are harsh, but other centres are worse. Inmates tell of camps where militias storm in at night, dragging migrants away to be ransomed back to their families. Tens of thousands of migrants are spread across this city, many sleeping in the streets. Dozens bed down each night under the arches of the city centre’s freeway. Since April, in a sharp escalation of the civil war, eastern warlord Khalifa Haftar has been trying to batter his way into the city in fighting that has left more than 1,000 dead and left tens of thousands of citizens homeless.

      Libya has known nothing but chaos since the 2011 revolution that overthrew Muammar Gaddafi. In 2014, a multi-sided civil war broke out. Taking advantage of this chaos, smugglers transformed Libya into a hub for migrants from three continents trying to reach Europe. But after more than half a million arrivals, European governments have tightened the rules.

      This clampdown is obvious at the gates of a nondescript fenced compound holding white shipping containers in the city centre. It is the UN’s refugee Gathering and Departure Facility, nicknamed Hotel GDF by the migrants. From here, a select few who qualify for asylum get flights via Niger and Rwanda to Europe. But there are 45,000 registered migrants, and in the past year only 2,300 seats on flights for migrants – which have now stopped altogether, with Europe offering no more places. Yet dozens line up outside each day hoping for that magical plane ticket.

      Among those clustered at the fence is Nafisa Saed Musa, 44, who has been a refugee for more than half her life: In 2003, her village in Sudan’s Darfur region was burned down. Her husband and two of her three sons were killed and she fled. After years spent in a series of African refugee camps with her son Abdullah, 27, she joined last year with 14 other Sudanese families, pooling their money, and headed for Libya.

      In southern Libya, Abdullah was arrested by a militia who demanded 5,000 dinars (£2,700) to release him. It took two months to raise the cash, and Abdullah shows marks of torture inflicted on him, some with a branding iron, some with cigarettes. They all left a charity shelter after local residents complained about the presence of migrants, and now Nafisa and her son sleep on the street on dirty mattresses, scrounging cardboard to protect from the autumnal rains, across the street from Hotel GDF. “I have only one dream: a dignified life. I dream of Europe for my son.”

      Nearby is Namia, from Sudan, cradling her six-month-old baby daughter, clad in a pink and white babygrow. Her husband was kidnapped by a militia in February and never seen again and she makes frequent trips here asking the UN to look for him. “I hope he is in a detention centre, I hope he is alive.”

      Last week, 200 migrants, kicked out of a detention camp in the south of Tripoli, marched on Hotel GDF and forced their way inside, joining 800 already camped there, in a base designed to hold a maximum of 600.

      The UN High Commissioner for Refugees, which administers the centre, says it has no more flights, unless outside states offer asylum places: “We cannot reinforce the asylum systems there because it is a country at war,” says UNHCR official Filippo Grandi.

      Meanwhile, escape by sea is being closed off, thanks to a controversial deal Italy made with Libya two years ago, in which Rome has paid €90m to train the coastguard. The deal has drastically cut arrivals in Italy from 181,000 in 2016 to 9,300 so far this year, with the coastguard intercepting most smuggling craft and sending migrants on board to detention camps.

      “We have collected testimonies of torture, rape and murder in detention camps,” says Oxfam’s Paolo Pezzati. “The agreement the Italian government signed with Libya in February 2017 has allowed these untold violations.”

      Rome has faced criticism because among the coastguard leaders whose units it funds is Abd al-Rahman Milad, despite his being accused by the UN of being involved in sinking migrant boats and collaborating with people-smugglers. Tripoli says it issued an arrest warrant against him in April, but this is news to Milad. Bearded, well-built and uniformed, he tells me he is back at work and is innocent: “I have nothing to do with trafficking, I am one of the best coastguards in Libya.”

      For migrants and Libyans alike, the outside world’s attitude is a puzzle: it sends aid and scolds Libya for mistreatment, yet offers no way out for migrants. “You see [UN officials] on television, shouting that they no longer want to see people die at sea. I wonder what is the difference between seeing them dying in the sea and letting them die in the middle of a street?” says Libyan Red Crescent worker Assad al-Jafeer, who tours the streets offering aid to migrants. “The men risk being kidnapped and forced to fight by militias, the women risk being taken away and sexually abused.”

      Recent weeks have seen nightly bombing in an air war waged with drones. Women, fearing rape, often sleep on the streets close to police stations for safety, but this brings new danger. “They think 50 metres from a police base is close enough to protect themselves,” says al-Jafeer. “But they are the first targets to be bombed.”

      Interior ministry official Mabrouk Abdelahfid was appointed six months ago and tasked with closing or improving detention centres, but admits reform is slow. He says many camps are outside government control and that the UN has provided no alternative housing for migrants when camps close: “We have already closed three [detention] centres. We believe that in the nine centres under our formal control there are more or less 6,000 people.”

      A common theme among migrants here is a crushing sense of being unwanted and of no value, seen even by aid agencies as an inconvenience. For now, migrants can only endure, with no end in sight for the war. Haftar and Tripoli’s defenders continue slugging it out along a front line snaking through the southern suburbs and few diplomats expect a breakthrough at peace talks being hosted in Berlin later this month.

      Outside Hotel GDF, dusk signals the end of another day with no news of flights and the migrants trudge away to sleep on the streets. To the south, the flashes from the night’s bombardment light up the sky.

      https://www.theguardian.com/world/2019/nov/03/libya-migrants-tripoli-refugees-detention-camps?CMP=share_btn_tw

    • Torture nei campi di detenzione: le nuove immagini choc

      Donna appesa a testa in giù e presa a bastonate: le cronache dell’orrore dal lager di #Bani_Walid, in Libia. Sei morti in due mesi. Spuntano i nomi degli schiavisti: «Ci stuprano e ci uccidono»

      Una giovane eritrea appesa a testa in giù urla mentre viene bastonata ripetutamente nella «#black_room», la sala delle torture presente in molti centri libici per migranti. Il video choc - di cui riportiamo solo alcuni fermo immagine - è stato spedito via smartphone ai familiari della sventurata che devono trovare i soldi per riscattarla e salvarle la vita.
      È quello che accade a Bani Walid, centro di detenzione informale, in mano alle milizie libiche. Ma anche nei centri ufficiali di detenzione, dove i detenuti sono sotto la «protezione» delle autorità di Tripoli pagata dall’Ue e dall’Italia: la situazione sta precipitando con cibo scarso, nessuna assistenza medica, corruzione. In Libia l’Unhcr ha registrato 40mila rifugiati e richiedenti asilo, 6mila dei quali sono rinchiusi nel sistema formato dai 12 centri di detenzione ufficiali, il resto in centri come Bani Walid o in strada. In tutto, stima il «Global detention project», vi sarebbero 33 galere. Vi sono anche detenuti soprattutto africani non registrati la cui stima è impossibile.

      La vita della ragazza del Corno d’Africa appesa, lo abbiamo scritto sette giorni fa, vale 12.500 dollari. Ma nessuno interviene e continuano le cronache dell’orrore da Bani Walid, unanimente considerato il più crudele luogo di tortura della Libia. Un altro detenuto eritreo è morto qui negli ultimi giorni per le torture inferte con bastone, coltello e scariche elettriche perché non poteva pagare. In tutto fanno sei morti in due mesi. Stavolta non siamo riusciti a conoscere le sue generalità e a dargli almeno dignità nella morte. Quando si apre la connessione con l’inferno vicino a noi, arrivano sullo smartphone con il ronzio di un messaggio foto disumane e disperate richieste di aiuto, parole di angoscia e terrore che in Italia e nella Ue abbiamo ignorato girando la testa o incolpando addirittura le vittime.

      «Mangiamo un pane al giorno e uno alla sera, beviamo un bicchiere d’acqua sporca a testa. Non ci sono bagni», scrive uno di loro in un inglese stentato. «Fate in fretta, aiutateci, siamo allo stremo», prosegue. Il gruppo dei 66 prigionieri eritrei che da oltre due mesi è nelle mani dei trafficanti libici si è ridotto a 60 persone stipate nel gruppo di capannoni che formano il mega centro di detenzione in campagna nel quartiere di Tasni al Harbi, alla periferia della città della tribù dei Warfalla, situata nel distretto di Misurata, circa 150 chilometri a sud-est di Tripoli. Lager di proprietà dei trafficanti, inaccessibile all’Unhcr in un crocevia delle rotte migratorie da sud (Sebha) ed est (Kufra) per raggiungere la costa, dove quasi tutti i migranti in Libia si sono fermati e hanno pagato un riscatto per imbarcarsi. Lo conferma lo studio sulla politica economica dei centri di detenzione in Libia commissionato dall’Ue e condotto da «Global Initiative against transnational organized crime» con l’unico mezzo per ora disponibile, le testimonianze dei migranti arrivati in Europa.

      I sequestratori, ci hanno più volte confermato i rifugiati di Eritrea democratica contattati per primi dai connazionali prigionieri, li hanno comperati dal trafficante eritreo Abuselam «Ferensawi», il francese, uno dei maggiori mercanti di carne umana in Libia oggi sparito probabilmente in Qatar per godersi i proventi dei suoi crimini. Bani Walid, in base alle testimonianze raccolte anche dall’avvocato italiano stanziato a Londra Giulia Tranchina, è un grande serbatoio di carne umana proveniente da ogni parte dell’Africa, dove i prigionieri vengono separati per nazionalità. Il prezzo del riscatto varia per provenienza e sta salendo in vista del conflitto. Gli africani del Corno valgono di più per i trafficanti perché somali ed eritrei hanno spesso parenti in occidente che sentono molto i vincoli familiari e pagano. Tre mesi fa, i prigionieri eritrei valevano 10mila dollari, oggi 2.500 dollari in più perché alla borsa della morte la quotazione di chi fugge e viene catturato o di chi prolunga la permanenza per insolvenza e viene più volte rivenduto, sale. Il pagamento va effettuato via money transfer in Sudan o in Egitto.

      Dunque quello che accade in questo bazar di esseri umani è noto alle autorità libiche, ai governi europei e all’Unhcr. Ma nessuno può o vuole fare niente. Secondo le testimonianze di alcuni prigionieri addirittura i poliziotti libici in divisa entrano in alcune costruzioni a comprare detenuti africani per farli lavorare nei campi o nei cantieri come schiavi.
      «Le otto ragazze che sono con noi – prosegue il messaggio inviato dall’inferno da uno dei 60 prigionieri eritrei – vengono picchiate e violentate. Noi non usciamo per lavorare. I carcerieri sono tre e sono libici. Il capo si chiama Hamza, l’altro si chiama Ashetaol e del terzo conosciamo solo il soprannome: Satana». Da altre testimonianze risulta che il boia sia in realtà egiziano e abbia anche un altro nome, Abdellah. Avrebbe assassinato molti detenuti.

      Ma anche nei centri di detenzione pubblici in Libia, la situazione resta perlomeno difficile. Persino nel centro Gdf di Tripoli dell’Acnur per i migranti in fase di ricollocamento gestito dal Ministero dell’Interno libico e dal partner LibAid dove i migranti lasciati liberi da altri centri per le strade della capitale libica a dicembre hanno provato invano a chiedere cibo e rifugio. Il 31 dicembre l’Associated Press ha denunciato con un’inchiesta che almeno sette milioni di euro stanziati dall’Ue per la sicurezza, sono stati intascati dal capo di una milizia e vice direttore del dipartimento libico per il contrasto all’immigrazione. Si tratta di Mohammed Kachlaf, boss del famigerato Abd Al-Rahman Al-Milad detto Bija, che avrebbe accompagnato in Italia nel viaggio documentato da Nello Scavo su Avvenire. È finito sulla lista nera dei trafficanti del consiglio di sicurezza Onu che in effetti gli ha congelato i conti.

      Ma non è servito a nulla. L’agenzia ha scoperto che metà dei dipendenti di LibAid sono prestanome a libro paga delle milizie e dei 50 dinari (35 dollari) al giorno stanziati dall’Unhcr per forniture di cibo a ciascun migrante, ne venivano spesi solamente 2 dinari mentre i pasti cucinati venìvano redistribuiti tra le guardie o immessi nel mercato nero. Secondo l’inchiesta i danari inoltre venivano erogati a società di subappalto libiche gestite dai miliziani con conti correnti in Tunisia, dove venivano cambiati in valuta locale e riciclati. Una email interna dell’agenzia delle Nazioni Unite rivela come tutti ne fossero al corrente, ma non potessero intervenire. L’Acnur ha detto di aver eliminato dal primo gennaio il sistema dei subappalti.

      https://www.avvenire.it/attualita/pagine/torture-libia

  • Biometric data in large EU IT systems in the areas of borders, visa and asylum – fundamental rights implications

    The EU has developed common rules for managing external borders, for issuing visas and for dealing with asylum requests. These rules require cooperation between EU Member States, including the exchange of personal data concerning third-country nationals. The EU has developed three large scale IT systems to exchange personal data in the areas of asylum, borders and visa: #Eurodac, #SIS II (#Schengen_Information_System) and #VIS (#Visa_Information_System). This project will analyse the fundamental rights implications of inserting, storing and using biometric data – such as fingerprints – in these IT systems. Both the negative as well as the positive fundamental rights implications will be studied.

    http://fra.europa.eu/en/project/2014/biometric-data-large-eu-it-systems-areas-borders-visa-and-asylum-fundamen
    #biométrie #surveillance #frontières #surveillance_frontalière #contrôles_frontaliers #visa #asile #migrations #réfugiés #Schengen #données_biométriques #empreintes_digitales #droits_humains #droits_fondamentaux #rapport

    Mais je ne trouve pas le rapport à télécharger...

    Sous “publications”, par contre, d’autres documents intéressants:
    Fundamental rights implications of the obligation to provide fingerprints for Eurodac

    Processing biometric data for immigration, asylum and border management purposes has become common. This focus paper looks at measures authorities can take to enforce the obligation of newly arrived asylum seekers and migrants in an irregular situation to provide fingerprints for inclusion in Eurodac.

    http://fra.europa.eu/en/publication/2015/fundamental-rights-implications-obligation-provide-fingerprints-eurodac

    #Smart_Borders Pilot Project Technical Report Annexes
    https://www.eulisa.europa.eu/Publications/Reports/Smart%20Borders%20-%20Technical%20Annexes.pdf
    #frontières_intelligentes

    • Europe: l’enjeu des #données_mobiles des migrants

      Les téléphones portables sont de véritables lignes de vie pour les migrants. Outils de documentation, systèmes de navigation, mais aussi et surtout moyens de communication, ils leur permettent d’établir un contact régulier avec leurs proches, les passeurs, et toute autre personne susceptible de les aider dans leur périple. Mais justement parce qu’ils leur permettent de rester connectés, les téléphones portables exposent aussi les migrants à de véritables risques. Parmi eux, l’exploitation de leurs données mobiles par les autorités de certains pays européens, qui peut permettre de retracer leur parcours ou vérifier leur identité.

      Lorsqu’ils sont contraints de quitter leur pays d’origine, des milliers de migrants laissent derrière eux leurs foyers avec pour seuls bagages quelques billets, et un téléphone portable. Juste de quoi leur permettre d’atteindre l’Europe. Être connecté est un point essentiel dans une situation de migration forcée, pour rester en contact avec ses proches, mais aussi pour pouvoir joindre les secours.

      Pour des questions de mobilité, de localisation et de sécurité, les téléphones sont donc des outils indispensables aux migrants, mais pas seulement. Selon Wired UK, la déclinaison britannique du mensuel américain Wired, certains gouvernements européens utilisent les téléphones portables des migrants et en extraient les données mobiles de #géolocalisation et de #messagerie.

      Des entreprises spécialisées dans l’extraction de données

      « Ça ne me surprendrait pas, affirme Carleen Maitland, professeur associée à l’université des sciences de l’information et technologie de Pennstate. Il y a 20 ans déjà, si quelqu’un faisait une demande d’asile, les agents de l’immigration demandaient des preuves pour vérifier les propos des demandeurs. C’est extrêmement inquiétant, et décevant pour des gens qui ont déjà tout perdu de devoir perdre, en plus, leurs #souvenirs_numériques ».
      –-> #audition, donc. Et #vraisemblance

      Un acte rendu possible par la recrudescence d’entreprises spécialisées dans ce domaine, comme par exemple au Royaume-Uni. Là-bas, plusieurs entreprises possèdent même des contrats avec les forces de police britanniques, comme le révèle un rapport de Privacy International, une organisation non gouvernementale basée à Londres, militant pour le droit à la vie privée.

      Selon l’une de ces sociétés, MSAB, 97% des forces de police britanniques utiliseraient le logiciel #XRY, donnant même un accès aux données supprimées des appareils mobiles, qu’il s’agisse de smartphones, de #modem_3G, de #GPS ou encore de #tablettes.

      Manque de transparence

      Aujourd’hui, Privacy International n’a pas la preuve que les forces de police ont recours à ce type de pratique envers les migrants, et ce malgré les révélations du journal The Guardian en 2016, statuant que le Home office, le ministère de l’Intérieur britannique, pouvait bel et bien avoir accès aux données mobiles des téléphones des migrants soupçonnés d’avoir commis un crime. Mais sur quels critères ? Le problème pour Privacy International : un manque de transparence sur cette question, régulée par une loi, selon eux, obsolète - la loi sur la police et les preuves pénales, datant de 1984. Elle accorde à la police le pouvoir d’exiger « n’importe quelle information stockée sous toute forme électronique ».

      « Nous craignons que les données mobiles des migrants soient extraites de leurs téléphones portables quand ils sont détenus dans des centres de rétention, ou lorsqu’ils passent d’un centre à un autre (au Royaume-Uni), sans que personne ne le sache vraiment », s’inquiète Millie Graham Wood, avocate au sein de Privacy International. « La loi sur laquelle ils disent s’appuyer est inadéquate et inapplicable aux nouvelles technologies », ajoute-t-elle.

      Un volume d’informations important

      Une inquiétude d’autant plus légitime lorsque l’on sait à quelles informations peuvent accéder les services de police britanniques quand ils ont recours à la technologie de #Cellebrite : les numéros de chacun des contacts enregistrés dans le téléphone, le journal d’appel, les messages textes et images envoyés, toutes les vidéos et images ainsi que leur date et heure de création (parfois même accompagnées de leur géolocalisation), les fichiers audio, les e-mails, les informations de navigation, les données GPS, les messages et contacts des applications de réseaux sociaux, tous les réseaux bluetooth auxquels a été connecté le téléphone, les codes de déverrouillages (qu’il s’agisse de chiffres ou de schémas), et même les données supprimées.

      « Ils n’ont aucune idée du volume d’informations qui peut leur être pris, et comment cela pourrait être utilisé contre eux dans le futur », explique Millie Graham Wood. D’autant que les informations trouvées dans le téléphone ne sont pas forcément précises et fiables à 100%. « Avec ce manque de transparence autour de la question de la provenance des données des migrants et de leur utilisation, il y a un risque d’erreur judiciaire, qui pourrait conduire à des expulsions à cause de ce qu’on a trouvé sur les téléphones et qui pourrait s’avérer incorrect. »

      Mais le #Royaume-Uni n’est pas le seul pays d’Europe où les données mobiles peuvent se retourner contre les migrants. En #Allemagne, la loi est plus claire : depuis le 18 mai 2017, les autorités peuvent examiner les #métadonnées des migrants potentiels et déterminer dans quels pays ils ont été, et à quel moment - vérifier, donc, leurs #témoignages lors de leur demande d’asile en cas de doute.

      Selon Wired, les autorités allemandes ont recours à un logiciel informatique appelé #Atos, qui utilise les technologies de deux entreprises spécialisées dans l’analyse forensique des téléphones, #T3K... et MSAB. Une combinaison d’outils qui permet d’accéder aux métadonnées contenues dans les téléphones portables.

      Des politiques différentes en Europe

      En Allemagne, la loi sur la surveillance des téléphones ne peut s’appliquer que dans le cas où l’identité ou la nationalité d’un demandeur d’asile ne peut pas être prouvée, et s’appuie sur la section 15a de l’Asylum Act, selon Annegret Korff, porte-parole de l’Office allemand des migrations (BAMF), interrogée par confrères du site Infomigrants. Seul le BAMF peut ensuite traiter ces données.

      En 2017, la #Belgique s’est aussi inspirée de son voisin allemand ; au mois de novembre, la Chambre a adopté la réforme du droit d’asile du secrétaire d’Etat Theo Francken. Un texte qui donne aux autorités la possibilité d’inspecter les téléphones portables des demandeurs d’asile, mais aussi d’éplucher leurs profils sur les réseaux sociaux afin de vérifier le récit du candidat quant à son parcours. L’objectif est aussi de contrôler leur #identité s’ils ne possèdent pas de documents pouvant la prouver. En cas de refus de rendre accessible son téléphone portable et ses réseaux sociaux, le demandeur d’asile peut être enfermé.

      Même chose en #Turquie. Là-bas aussi, les autorités se penchent sur les profils des migrants, dès leur passage à la frontière avec la Syrie. C’est ce que l’on peut lire dans un article de Marie Gillespie, professeur de sociologie à l’Open University du Royaume-Uni, et Souad Osseiran, anthropologiste spécialisée sur les questions de migrations et réfugiés en Turquie, ainsi que Margie Cheesman, de l’université d’Oxford au Royaume-Uni. Ils ont interrogé Saleem, qui témoigne : « quand je suis arrivé à la frontière en Turquie, le garde a pris mon téléphone et m’a demandé mon mot de passe Facebook. Au début, je ne voulais pas lui donner parce que j’avais peur, mais ils m’ont mis en prison pendant 15 jours, et m’ont frappé. Ils avaient pris mon téléphone, et j’étais coincé. »

      Dans l’article, on apprend aussi que la #surveillance en ligne peut continuer une fois les frontières européennes passées, puisque les autorités demandent aux demandeurs d’asile des informations à propos de leur compte #Facebook, les incitant à « nettoyer » leurs profils.

      La #France adopte, elle, une position différente de ses voisins : les autorités ne peuvent surveiller les données mobiles des migrants pour des procédures administratives telles que des demandes d’asile, sauf dans le cadre de la lutte contre le #terrorisme - où n’importe quelle personne suspectée peut être mise sur écoute.

      Mais alors pourquoi de telles différences de pratiques entre les pays européens ? Interrogé par Infomigrants en mars 2018, le Bureau des migrations et des affaires intérieures de la Commission européenne a répondu que le droit européen ne réglementait pas cette question. Chaque Etat-membre est donc en mesure de décider si oui ou non les demandeurs d’asile doivent remettre leur téléphone portable aux autorités, et s’ils font appel à des entreprises comme #MSAB. La firme résume d’ailleurs bien quelles sont ses possibilités en matière d’exploitation des données : « si vous avez accès à une #carte_SIM, vous avez accès à la vie entière d’une personne ».

      http://www.rfi.fr/europe/20180730-europe-donnees-mobiles-migrants-immigration-portables
      #smartphones #téléphones_portables #SIM

  • 21 degrés de liberté – 8
    https://framablog.org/2018/03/05/21-degres-de-liberte-8

    Passer par un intermédiaire pour obtenir un service (comme le téléphone) était hier protégé légalement contre les atteintes à la vie privée. Aujourd’hui un comportement normal est considéré suffisant pour supprimer cette protection. Voici déjà le 8e article de la … Lire la suite­­

    #21_degrés_de_liberté #Internet_et_société #Libertés_Numériques #Analogique #Droits #Liberte #numerique #Telephone #ViePrivee

  • « La découverte de la première vidéo pornographique se fait désormais avant le collège » (Ovidie, Ouest France)
    https://www.ouest-france.fr/societe/la-decouverte-de-la-premiere-video-pornographique-se-fait-desormais-ava

    Neuf ans, c’est l’âge moyen du premier visionnage d’une vidéo pornographique. Jamais l’accès à des images à caractère sexuel n’a été aussi facile. Depuis 10 ans, les « tubes », ces plateformes gratuites de diffusion de contenus pornographiques, ont bouleversé l’industrie de la pornographie. Dans son livre « A un clic du pire », la réalisatrice de films X et de documentaires Ovidie dénonce l’immobilisme des politiques concernant la protection des mineurs.

    C’est important de bien comprendre les modes de consommation. 70 % de la pornographie vue par les mineurs passent par le téléphone portable avec lequel ils vont au collège le matin, ou avec lequel ils s’enferment dans leurs chambres.
    […]
    C’est pourquoi je suis très gênée par la tendance qui existe de culpabiliser les parents. Dès qu’on parle d’accessibilité à la pornographie par des mineurs, on dit que c’est la faute des parents. Mais ce n’est tout de même pas leur faute si des sites mettent à disposition des enfants des images à caractère sexuel. Même avec la meilleure volonté du monde, les parents ne peuvent pas tout contrôler.
    Et puis, même si, individuellement, ils parvenaient à installer un super-filtre sur le portable de leur enfant, ce dernier ne serait pas protégé puisqu’il pourrait voir ces images sur le portable d’un camarade de classe.
    Je crois qu’il faut se résoudre à l’idée qu’ils en verront. Mais à partir de ce moment-là qu’est-ce qu’on fait ?

    #éducation #enfants #pornographie #téléphone_portable #écrans

    • En quoi ce n’est pas la faute des parents de donner accès à des téléphones mobiles aux enfants dès l’école primaire (et même dès le collège, rien à foutre), avec pas juste le téléphone mais aussi internet dessus, ou autre écrans avec internet dessus comme des tablettes dans leur chambre, etc ? Bien sûr que c’est du ressort des parents ça !

    • Alors vu comme ça c’est imparable :)
      Néanmoins pour défendre l’auteure, je crois comprendre qu’elle dit que les parents ne peuvent pas tout maîtriser/contrôler (ce qui me paraît assez sain) et qu’en tout état de cause si les gosses n’accèdent pas au porno via leur propre écran (qu’ils n’ont pas ou alors verrouillé/filtré) ce sera sur l’écran du camarade.
      Pour ce que j’en vois avec mes élèves de primaire, le visionnage d’images porno se fait sur les écrans du grand frère (collège ou plus) hors contrôle parental.
      Alors que les films d’horreur, par exemple, sont davantage visionnés sur l’écran familial avec l’accord d’un des parents.

  • Nos cerveaux, « Zone à défendre » prioritaire
    http://www.piecesetmaindoeuvre.com/spip.php?page=resume&id_article=1021

    Toujours en librairie : Manifeste des Chimpanzés du futur contre le transhumanisme. Voir ici et là

    Les irréductibles de Notre-Dame-des-Landes ont lancé une idée : « des ZAD partout ! » Quelle que soit la possibilité concrète de cette idée, il a fallu pour la former des esprits capables de raisonner à partir de leur expérience et de leur connaissance. L’autonomie de pensée est la mère de toutes les autonomies. Il n’est pas dit que les enfants d’aujourd’hui disposent encore longtemps de la base biologique de cette pensée, ni des facultés cognitives nécessaires à celle-ci, ni même des capacités minimales de s’exprimer. Le mode de vie des sociétés cyber-industrielles attaque notre for intérieur. S’il est une ZAD à établir d’urgence, c’est celle de nos cerveaux. Faute de quoi, nous ne saurons même plus pourquoi (...)

    « https://chimpanzesdufutur.wordpress.com » #Nécrotechnologies
    http://www.piecesetmaindoeuvre.com/IMG/pdf/zad_des_cerveaux.pdf

    • Quelques années plus tard. Voici les ados accros à leur smartphone. Un tiers des enfants de 10 ans ont un portable. 86 % des 12-17 ans ont un smartphone. 100 % des 18-24 ans. Le consultent plus de 200 fois par jour. Dès le réveil, ou en pleine nuit. Ont perdu une heure à une heure trente de sommeil par jour à cause de la « lumière bleue chronotoxique » des écrans et de la cyber-navigation nocturne : désastreux pour les capacités cognitives. En 2016, l’Académie américaine de pédiatrie pointait, entre autres, l’effet « négatif sur les résultats scolaires » de l’usage des « médias de divertissement » pour les élèves qui font leurs devoirs en même temps. Sans blague.

      #cerveau #critique_techno #perturbateurs_endocriniens #téléphone_portable #téléphone_mobile #smartphone

  • What Does a Smartphone Mean to a Refugee ? | NDTV Gadgets360.com
    https://gadgets.ndtv.com/apps/features/what-does-a-smartphone-mean-to-a-refugee-1798259

    In an increasingly digital world, after food and shelter, the next necessity that people have is an Internet connected smartphone, says Mark Latonero, PhD, Lead Researcher at the Data and Society Research Institute in New York. Latonero’s work focuses on the implication of new technologies in the human rights space and speaking at the Cornell Tech Law Colloquium last month at Cornell University, he discussed the tensions between emerging technologies and the law, in particular the inadvertent ways in which tech companies have made interventions in the refugee crisis.

    “There are challenges and opportunities and technology can make a positive impact,” said Latonero. “It’s complicated. How can you think about technology, not as a thing in and of itself, but an intrical part social context. Digital infrastructures are facilitating the movement of people on a mass scale, but also serve as a mechanism for social control.”

    Like the rest of us reading this at home, the refugee populations also turned to Facebook and other social media, often to keep track of their friends and family.

    “So in the same way that we use Facebook or WhatsApp to coordinate with our friends or loved ones, to find directions, those kinds of uses are also for people where - finding people, or finding directions, could be a matter of life or death,” Latonero explained. “But there’s also a negative impact - while Facebook can be used to connect - it is also being used to exploit. So, the advertising of human trafficking and human smuggling is also being done through social media.”

    One of the questions that the survey wanted to clear up was where people get their information from. “Normally, a lot of the information you receive comes from talking to people, even here [in Cornell] where you’re all pretty digitally connected,” said Latonero. “But the mobile Internet - through free Wi-Fi, or with a data plan - accounted for 75 percent of news and information for the refugees. And 40 percent of the people told us that they use it to keep track of their friends and family, to stay connected to people who are left behind, and 24 percent of the people also said they used social media to track down people who had gone missing.”

    Beyond that, the research also found that 95 percent of men owned phones, while only 67 percent of women had a smartphone. This is in some ways in line with what you see in rural India, where in many cases, there is one phone for the family, held by the man of the house. “The ownership issue became quite significant,” said Latonero. “Imagine if you’re an NGO that wanted to get information to women who faced domestic violence. Your idea was to use mobile phones to send information etcetera, but then you realise that less women own phones than men, then it would change how you would design your intervention.”

    Another example he gives is that the vast majority of the refugees surveyed used WhatsApp (95 percent) while only 10 percent had Skype on their phones. As a result, many official interventions, and even private interventions, such as Coursera and Skype having educational courses for refugees, would not be accessed.

    “Essentially we need to really think about how to responsibly innovate in these very complex issues,” Latonero said, ending the chat, “A straight-up tech solutionist approach doesn’t really seem like it would work, given all we know about the challenges with technology itself.”

    #Mobile #Migrants #Culture_numérique

  • 21 degrés de liberté – 01
    https://framablog.org/2018/01/15/21-degres-de-liberte-01

    Vous ne connaissez peut-être pas le nom de #Falkvinge. Ce militant des #Libertés_Numériques qui a porté son combat (notamment contre le copyright) sur le terrain politique en fondant le Parti #Pirate suédois n’hésite pas à afficher des opinions tranchées parfois … Lire la suite­­

    #21_degrés_de_liberté #G.A.F.A.M. #Internet_et_société #Non_classé #Analogique #argent #Journal #Liberte #Monnaie #numerique #Telephone #Télévision #Traduction #ViePrivee

  • Les terminaux sont ils le maillon faible de l’ouverture d’internet ?
    https://blog.replicant.us/2018/01/les-terminaux-sont-ils-le-maillon-faible-de-louverture-dinternet

    Les terminaux font aujourd’hui partie de la vie quotidienne de millions d’utilisateurs, au travers d’appareils de différents formats et en particulier d’appareils mobiles de type smartphone, tablette ou d’ordinateurs portables. Ces appareils ont permis de numériser bon nombre d’aspects de la vie, qu’il s’agisse des communications entre les individus ou la capture, le stockage et l’échange d’informations. Ces appareils disposent en effet de nombreuses entrées/sorties permettant de capter et d’interagir avec l’environnement, en récoltant et en stockant une très grande quantité de données tout au long de chaque journée. Ces données sont très largement stockées au sein d’infrastructures de stockage de différentes entreprises, le plus souvent des multinationales Américaines.

    Un essai qui met l’accent sur la place prépondérante que les mobiles multifonctions (tm ?) ont pris dans nos vies, leur capacités inédites et le pouvoir qu’ils confèrent aux constructeurs de ces terminaux. Et de donner des pistes pour en (re)prendre le contrôle. C’est la raison d’être du projet #Replicant mais il n’agit qu’au niveau du système d’exploitation, alors que les composants matériels restent encore la clef du contrôle des constructeurs sur les terminaux, notamment en interdisant l’exécution des programmes non signés par le fabriquant.

    Peut-on concrètement appliquer le règlement européen 2015/2120 qui garanti pour les utilisateurs « le droit d’accéder aux informations et aux contenus et de les diffuser, d’utiliser et de fournir des applications et des services et d’utiliser les équipements terminaux de leur choix, » ?

    #téléphones #hardware #floss #openhardware

  • Prison : des téléphones fixes vont être installés dans chaque cellule - Libération
    http://www.liberation.fr/france/2018/01/02/prison-des-telephones-fixes-vont-etre-installes-dans-chaque-cellule_16199

    Pour endiguer le trafic de #portables et favoriser le maintien des liens familiaux, le ministère de la Justice a lancé un appel d’offres pour équiper progressivement les cellules. Les détenus pourront ainsi appeler quatre numéros autorisés par un juge ou l’administration.

    En août, peu de temps après sa nomination, la ministre de la Justice Nicole Belloubet s’était illustrée par une déclaration plutôt audacieuse. Tranchant avec le discours de ses prédécesseurs, elle avait estimé, au sujet des téléphones en prison, que l’idée n’avait « rien d’absurde. […] Il faut donner aux détenus des moyens de communication. Par des portables contrôlés ou des lignes fixes ». Un flot de fantasmes carcéraux et réactions politiques hostiles n’avaient pas tardé, dont celle de Georges Fenech, ancien député et secrétaire national du parti Les Républicains, s’enflammant sur Twitter : « Stupéfaction ! La ministre de la Justice favorable au portable en prison ! La garantie du lien avec Daech. »

    Cinq mois plus tard, la ministre confirme son intention et tranche : ce ne seront pas des portables bridés mais des lignes fixes qui feront leur apparition dans les cellules. Contactée par Libération, la chancellerie résume : « L’idée est de maintenir le lien avec la famille et d’apaiser les tensions en détention. » Chaque détenu pourra appeler des correspondants parmi une liste de quatre numéros préalablement validés par les magistrats ou l’administration pénitentiaire. Selon les révélations du Monde, ce mardi, le ministère a lancé un appel d’offres en novembre – qui s’inscrit dans le cadre d’un renouvellement de concession du marché des « point-phones » – afin d’équiper les 45 000 cellules (en dehors des quartiers disciplinaires). Le contrat devrait être signé au printemps.

    « Point-phones » ou portables clandestins

    C’est une petite révolution dans le monde carcéral. « Nous saluons cette initiative qui va renforcer les liens et les possibilités de communication vers l’extérieur », déclare François Bès, coordinateur du pôle enquête à l’Observatoire international des prisons (OIP). Le sujet est en effet sensible, comme tous ceux qui ont trait à la délicate articulation entre libertés fondamentales et exigences de sécurité. Pour preuve, le téléphone a fait une entrée tardive entre les murs. Il a fallu attendre la loi pénitentiaire de 2009 pour que les condamnés, mais aussi les prévenus, puissent y avoir accès. « Les personnes détenues ont le droit de téléphoner aux membres de leur famille. Elles peuvent être autorisées à téléphoner à d’autres personnes pour préparer leur réinsertion. Dans tous les cas, les prévenus doivent obtenir l’autorisation de l’autorité judiciaire », précise l’article 39. Aujourd’hui, les détenus disposent non pas de cabines mais de « point-phones », répartis dans les coursives et les promenades et dont l’utilisation est strictement contrôlée. Chacun doit respecter une liste de contacts autorisés et des créneaux définis (généralement de 9 à 11 heures, puis de 14 à 16 heures). Cet encadrement génère plusieurs difficultés : le manque de confidentialité des échanges, le coût élevé de communication, la difficulté à joindre un conjoint qui travaille ou des enfants à l’école.

    Par conséquent, les « point-phones » sont volontiers délaissés au profit des portables clandestins qui fourmillent en détention : on estime que chaque détenu en possède un. Selon l’administration pénitentiaire, au premier semestre 2017, 19 339 téléphones et accessoires (puces, chargeurs, etc.) ont été découverts. Ils franchissent souvent les murailles par la voie des airs ou se faufilent discrètement via les parloirs. Certains surveillants ont également été épinglés pour corruption. C’est donc non seulement pour favoriser le maintien des liens familiaux, essentiels pour la réinsertion des détenus, mais aussi pour lutter contre ces trafics que la chancellerie a opté pour l’installation de postes fixes. A l’origine du projet, il y a une expérimentation, depuis 2016, dans les 290 cellules de la prison de Montmédy (Meuse). Si l’on ne peut pas parler d’éradication des portables, les effets sont tout de même encourageants : les saisies ont baissé de 30% sur le premier trimestre 2017. « Ça ne règle pas le problème des trafics mais ça les apaise », explique-t-on en interne.

    « Des factures de 150 à 200 euros par mois »

    Reste à savoir quels seront les tarifs en vigueur concernant les nouvelles installations. « L’appel d’offres parle de facturation à la minute, remarque François Bès. Or aujourd’hui, on est autour de 70 centimes dans la plupart des établissements. Certains détenus, à Réau en Seine-et-Marne, nous ont raconté qu’ils avaient des factures de 150 à 200 euros par mois ! Certes, à Montmédy, les tarifs ont été négociés à 20% à la baisse mais ça reste cher ». D’après la chancellerie, la société choisie prendra financièrement en charge l’ensemble de l’opération et sera rémunérée par le prix des communications payées par les détenus. « La concession sur dix ans devrait leur permettre d’avoir des tarifs plus abordables qu’à Montmédy », explique-t-on. Pour autant, cela ne marque pas la fin de la chasse aux portables illégaux. En parallèle, des brouilleurs « rebootés en permanence pour s’adapter aux nouvelles technologies » seront installés dans tous les établissements pénitentiaires.
    Julie Brafman

    Je les trouve totalement à côté de la plaque ! Pourquoi passer par un tel système avec des appels aussi chers et qui plus est placés sur écoute alors qu’on peut avoir un portable clandestin qui sera beaucoup plus pratique et moins cher ? Sûrement parce que ça nécessite encore une fois de passer par une entreprise privée qui va pouvoir s’en mettre plein les poches !
    #prison #administration_pénitentiaire #téléphone

  • Des milliers de clients Proximus touchés par une panne en Wallonie RTBF avec Agences - 19 Novembre 2017
    https://www.rtbf.be/info/regions/detail_grosse-panne-reseau-chez-proximus-en-provinces-de-namur-et-du-hainaut?id

    Une importante panne réseau touche Proximus dans les province de Brabant Wallon, Namur et du Hainaut. Des milliers de clients n’ont plus aucune connexion TV, internet et téléphone.

    Le porte-parole de Proximus a confirmé auprès de nos confrères de RTL que les communes de Fleurus, Sombreffe, Tamines, Mellet et Moustier-sur-Sambre étaient touchées, mais il est possible que d’autres communs soient touchées, notamment dans le Namurois et dans le Brabant Wallon. Des milliers de clients seraient concernés.

    A l’origine de la panne, un acte de vandalisme qui a eu lieu la nuit dernière dans le Hainaut, précise la société sur son compte Facebook.  Des câbles en cuivre et en fibre optique ont été coupés volontairement à Tamines et Gosselies.
    https://www.rtbf.be/info/regions/detail_grosse-panne-reseau-chez-proximus-en-provinces-de-namur-et-du-hainaut?id
    « On fait tout notre possible pour réparer au plus vite la panne et limiter au maximum les désagréments pour nos clients », indique Haroun Fenaux, porte-parole. Celui-ci précise que les techniciens étant à pied d’oeuvre depuis tôt dimanche matin, les clients devraient petit à petit être remis en service.

    La police a été appelée sur place pour constater l’intrusion. Une enquête a par ailleurs été ouverte.

    #Belgique #Sabotage ? #insurrection_qui_vient # #communication #réseau #téléphone #web

  • #iPhoneRevolt
    https://twitter.com/iPhoneRevolt

    L’iPhone sert à signer des pétitions pour le climat alors qu’il est composé d’or, de tantale et de tungstène extraits en partie dans des zones de conflits. Ses concepteurs·trices travaillent dans des bureaux écologiques ultramodernes en Californie, quand les ouvriers·ères chinois·e·s qui les fabriquent travaillent dans des conditions indignes et manipulent des produits toxiques… https://www.iphonerevolt.org Source : Relevé sur le Net...

  • La fin du #RTC se rapproche : quel calendrier, quels enjeux ? - ZDNet
    http://www.zdnet.fr/actualites/la-fin-du-rtc-se-rapproche-quel-calendrier-quels-enjeux-39857880.htm

    En 2016, Orange a soumis au régulateur des télécoms, l’ARCEP, un calendrier de fermeture progressive de ce #réseau RTC, confirmé en 2017. L’autorité des télécoms avait en effet exigé une période de préavis de 5 ans.
    De ce calendrier prédictif, il ressort que dès la fin de 2018, il ne sera plus possible de commander de lignes de #téléphone #analogique sur l’ancien modèle, plus possible d’installer un bon vieux fax sur une ligne analogique dédiée.

    « A partir du 4ème trimestre 2018, en métropole, les nouvelles lignes téléphoniques fixes ne seront plus construites sur le Réseau Téléphonique Commuté (RTC) mais sur la technologie Voix sur IP. Tous les opérateurs proposeront alors des offres commerciales adaptées », explique Orange, qui ajoute : « Le RTC continuera de fonctionner pour toutes les lignes existantes, la migration progressive vers la nouvelle technologie IP de ces lignes existantes ne devant commencer qu’à partir de 2022 au plus tôt. »

  • Acheteurs, attention : cette société israélienne aide les gouvernements à espionner leurs citoyens | Middle East Eye
    http://www.middleeasteye.net/fr/opinions/acheteurs-attention-cette-soci-t-isra-lienne-aide-les-gouvernements-e

    Alors que les #smartphones ont proliféré au cours des dernières années et sont devenus des outils de communication indispensables pour nous tous, les #start-ups spécialisées dans le piratage de ces #téléphones au nom de gouvernements – notamment des services militaires, de renseignement et de police – se sont également multipliées.

    Les clients de ces start-ups se servent des nouvelles %technologies pour surveiller les criminels et les terroristes afin de détecter et de perturber leurs plans. C’est un usage légitime. Mais il y en a d’autres qui sont beaucoup plus lucratifs pour les entreprises – et beaucoup moins convenables pour des sociétés transparentes.

    Prenons l’exemple de l’activiste des droits de l’homme émirati Ahmed Mansour. En août 2016, il a reçu un message de #hameçonnage semblant provenir d’une source légitime. Il s’est toutefois montré méfiant et a immédiatement envoyé son téléphone au #Citizen_Lab de l’université de Toronto pour une analyse légale.

    Il est ressorti de cette analyse que les autorités émiraties avaient acheté #Pegasus, le plus puissant programme malveillant jamais créé et mis sur le marché, à la société israélienne #NSO_Group.

    Si Mansour avait ouvert le lien, ce programme aurait pris le contrôle de son téléphone et donné à la police accès non seulement à tous les éléments de son téléphone (e-mails, contacts et SMS, par exemple), mais aussi à son appareil photo et à ses fonctionnalités vidéo et audio. La police aurait entendu et vu tous ses faits et gestes et aurait pu anticiper toutes ses actions.

    #emirats_arabes_unis #e.a.u. #israel #Israël

  • Le #portable en quête de mobile pour entrer en prison - Libération
    http://www.liberation.fr/france/2017/08/24/le-portable-en-quete-de-mobile-pour-entrer-en-prison_1591785

    La polémique initiée par la garde des Sceaux sur la mise à disposition de téléphones « bridés » pour les prisonniers a rouvert le débat. Avec toujours, en toile de fond, le dilemme entre droit des détenus à communiquer avec leurs proches et sécurité du personnel pénitentiaire.

    Le coup du drône, j’avoue que j’ai trouvé ça pas mal, on n’arrête pas le progrès ! Sinon c’est vraiment faire des histoires par principe. En fait tous les détenus ont un portable mais on ne veut pas les autoriser officiellement pour ne pas qu’ils communiquent avec l’extérieur alors qu’ils le font tous déjà. Cherchez l’erreur ! C’est juste que comme c’est interdit ça permet de mettre des sanctions de façon réglementaire quand on en a besoin.
    #prison #téléphone

  • Escape from Syria : Rania’s odyssey

    #vidéo 22’ en arabe avec des sous-titres en anglais

    sur yt - https://www.youtube.com/watch?v=EDHwt-ooAi4

    https://www.theguardian.com/world/video/2017/aug/02/escape-from-syria-ranias-odyssey-video

    Rania Mustafa Ali, 20, filmed her journey from the ruins of Kobane in Syria to Austria. Her footage shows what many refugees face on their perilous journey to Europe. Rania is cheated by smugglers, teargassed and beaten at the Macedonian border. She risks drowning in the Mediterranean, travelling in a boat meant to hold 15 people but stuffed with over 50. Those with disabilities are carried across raging rivers and muddy fields in their wheelchairs.

    This film was produced and directed by Anders Somme Hammer.It was edited by Mat Heywood for The Guardian and commissioned and executive produced by Michael Tait

    trouvé ici : https://diasp.eu/posts/5865567

    #docu #documentaire #réfugiés #migrations sur la #route de #Syrie #Turquie #Grèce #Macédoine en #Autriche

  • M-Farm, des #SMS pour redonner du pouvoir aux petites exploitations (13/14)

    Pour permettre aux fermiers kényans de collaborer entre eux, de s’échanger des infos et surtout de minimiser les commissions parfois lourdes des intermédiaires, il fallait une place de marché virtuelle. M-Farm, un projet réussi lancé par un trio de femmes.


    http://www.lemonde.fr/afrique/article/2015/04/02/m-farm-des-sms-pour-redonner-du-pouvoir-aux-petites-exploitations_4608549_32

    #Kenya #agriculture #Afrique #technologie #téléphone_portable #m-farm
    cc @odilon

  • Un #téléphone mobile sans batterie qui fonctionne à l’#énergie ambiante
    http://www.futura-sciences.com/tech/actualites/smartphone-telephone-mobile-batterie-fonctionne-energie-ambiante-67

    Des chercheurs ont créé le premier téléphone mobile sans batterie qui ne consomme que quelques microwatts récoltés via des signaux radio ou de la lumière ambiante.
    Des essais d’appel Skype ont été menés avec succès.
    La prochaine étape va consister à intégrer un écran à encre électronique.

  • Promenades électromagnétiques à Bordeaux
    http://www.cinemas-utopia.org/U-blog/bordeaux/index.php?post/2017/06/21/Promenades-%C3%A9lectromagn%C3%A9tiques-%C3%A0-Bordeaux

    Christina Kubisch est une artiste pionnière dans le domaine des arts sonores. Depuis la fin des années 70, elle travaille avec le système de l’induction électromagnétique, dont elle a transformé la technique de base en outil artistique personnel.
    Depuis 2003, elle propose une exploration des champs électromagnétiques d’environnements urbains sous la forme de promenades, sous le titre de « Electrical Walks ». Ces promenades électromagnétiques proposent une expérience sensorielle inédite qui s’accompagne de la prise de conscience d’un aspect invisible, plus exactement inaudible, de notre environnement quotidien.
    Il s’agit d’un parcours effectué dans la ville, où les participants sont dotés d’un casque sans fil qui amplifie et donne à entendre les champs électromagnétiques aériens et souterrains.

    #son #électromagnétisme #art #électricité #ondes #wifi #téléphone
    @intempestive

  • From host country to deportation country – latest asylum reform in Germany

    Last week the German parliament passed a reform of the asylum law introducing far-reaching changes affecting data protection of asylum seekers, residence restrictions and prolongation of detention custody.

    The new legal changes introduce stricter obligations on asylum seekers to cooperate in establishing their nationality and obtaining identity documents. Data carriers, such as mobile phones, sim cards and hardware can be systematically checked by the Federal Office for Migration and Refugees in order to establish their identity. The data collected can also be used in case an asylum seeker is suspected to pose a threat to public order. Pro Asyl warns that accessing private data of refugees circumvents a decision of the German Constitutional Court, according to which private data can only be accessed by court order. Also, Andrea Voßhoff, Federal Data Protection Commissioner, had criticised the change as disproportionate and contrary to the Constitution.

    The reform also introduces an additional ground of detention for rejected asylum seekers that are suspected of constituting a public danger, this includes people awaiting #Dublin transfers. This form of “security removal detention” can be used, even if the deportation cannot be conducted within the time limit of three months. Further, #surveillance options for rejected asylum seekers are widened, an electronic ankle monitor will be introduced, and deportation custody is prolonged from four to ten days. The statutory notification period of one month prior to deportation for holders of tolerated stay status (Duldung) is removed for people who are alleged to be involved in identity fraud or who are allegedly prolonging their tolerated stay through lack of reasonable cooperation. Pro Asyl warns that the new law does not lay down criteria of what constitutes reasonable cooperation and that lifting a time limit of security-based detention might trap Dublin returnees indefinitely, as less than 10 percent of Dublin returns are in fact ultimately carried out.

    The new law also introduces the option for Federal States to oblige asylum seekers, including children, to stay in initial reception centres until the end of the asylum process or the execution of a removal order. UNICEF and German civil society organisations warned that this will be against the best interests of the child, as conditions in initial reception centres are not safe and appropriate for children and access to education not granted.

    “This new legislation is an additional building block to transform Germany from a ‘welcoming’ to a ‘camp and deportation country’. Merkel’s refugee U-turn is completed. Asylum seekers are deliberately isolated and excluded. The message to them: “Hit the road”, comments Karl Kopp Pro Asyl’s Director of European Affairs.

    https://www.ecre.org/from-host-country-to-deportation-country-latest-asylum-reform-in-germany
    #Allemagne #loi_sur_l'asile #législation #loi #asile #migrations #réfugiés #renvois #expulsions #détention_administrative #rétention #surveillance #contrôle #SIM #téléphone_portable #données #liberté_de_mouvement #liberté_de_circulation

  • L’intensification de l’exploitation minière est notamment justifiée par les besoins grandissants de nos objets du quotidien. Il devient dès lors nécessaire de comprendre les usages des matières premières minérales si l’on souhaite déchiffrer la demande, les possibles substitutions, le rôle du #recyclage, etc. Prenons l’exemple des #smartphones : s’il est désormais connu qu’ils contiennent de nombreux #métaux, difficile de savoir quels sont ceux qui les composent et surtout, à quelle fin. ISF SystExt a mené une étude pour répondre à ces questions et a construit un outil interactif en ligne qui permet de vulgariser les données acquises.
    (Étude menée par ISF SystExt, publiée le 6 mai 2017)

    http://www.isf-systext.fr/sites/default/files/styles/large/public/field/image/IMG_ART_Outil-Metaux-Smartphone_Mai2017.png?itok=QJtHowl7
    http://alternatives-projetsminiers.org/des-metaux-dans-mon-smartphone
    http://www.isf-systext.fr/node/968
    #exploitation_minière

    « l’extraction des ressources et la fabrication représenteraient jusqu’à 80 % de l’impact environnemental total pour certains modèles de smartphone »

    http://www.isf-systext.fr/sites/all/animationreveal/mtxsmp/#

  • Così l’Italia ha lasciato annegare 60 bambini: in esclusiva le telefonate del naufragio

    Nave Libra, il pattugliatore della Marina italiana, è ad appena un’ora e mezzo di navigazione da un barcone carico di famiglie siriane che sta affondando. Ma per cinque ore viene lasciata in attesa senza ordini. Il pomeriggio dell’11 ottobre 2013 i comandi militari italiani sono preoccupati di dover poi trasferire i profughi sulla costa più vicina. Così non mettono a disposizione la loro unità, nonostante le numerose telefonate di soccorso e la formale e ripetuta richiesta delle Forze armate maltesi di poter dare istruzioni alla nave italiana perché intervenga.

    Il peschereccio, partito dalla Libia con almeno 480 persone, sta imbarcando acqua: era stato colpito dalle raffiche di mitra di miliziani che su una motovedetta volevano rapinare o sequestrare i passeggeri, quasi tutti medici siriani. Quel pomeriggio la Libra è tra le 19 e le 10 miglia dal barcone. Lampedusa è a 61 miglia. Ma la sala operativa di Roma della Guardia costiera ordina ai profughi di rivolgersi a Malta che è molto più lontana, a 118 miglia.

    Dopo cinque ore di attesa e di inutili solleciti da parte delle autorità maltesi ai colleghi italiani, il barcone si rovescia. Muoiono 268 persone, tra cui 60 bambini. In questo videoracconto «Il naufragio dei bambini», L’Espresso ricostruisce la strage: con immagini inedite, le telefonate mai ascoltate prima tra le Forze armate di Malta e la Guardia costiera italiana, e le strazianti richieste di soccorso partite dal peschereccio. In quattro anni, dopo le denunce dei sopravvissuti, nessuna Procura italiana ha portato a termine le indagini

    http://video.espresso.repubblica.it/inchieste/cosi-l-italia-ha-lasciato-annegare-60-bambini-in-esclusiva-le-telefonate-del-naufragio/10267/10368?ref=RHPPLF-BH-I0-C8-P1-S1.8-T2
    #Malte #Italie #omission_de_secours #gardes-côte #migrations #Méditerranée #mourir_en_mer #responsabilité #vidéo #sauvetage (pas de - ) #coup_de_fil #téléphone #Nave_Libra #11_octobre_2013 #mort #décès #naufrage #responsabilité

  • A #Bruxelles, le soulagement domine après la victoire de Macron
    https://www.mediapart.fr/journal/international/080517/bruxelles-le-soulagement-domine-apres-la-victoire-de-macron

    Après le succès contenu de l’extrême droite aux Pays-Bas et la défaite de Marine Le Pen en #France, les dirigeants bruxellois veulent croire que les adversaires de l’UE sont en train de perdre du terrain. Sans surprise, c’est à Berlin que le futur chef d’État effectuera son premier déplacement officiel.

    #International #Angela_Merkel #Commission_européenne #Emmanuel_Macron #Jean-Claude_Juncker #Margrethe_Vestager #UE

  • Ranking Digital Rights - 2017 Corporate Accountability Index

    https://rankingdigitalrights.org/index2017

    https://rankingdigitalrights.org/index2017/assets/graphics/content/Map_v.4%20copy%208.spng

    https://rankingdigitalrights.org/index2017/companies

    The 2017 Ranking Digital Rights Corporate Accountability Index evaluates 22 of the world’s most powerful telecommunications, internet, and mobile companies on their public commitments and disclosed policies affecting users’ freedom of expression and privacy.

    Ici pour participer : https://crm.globalvoices.org/translate-ranking-digital-rights

    #internet #droits_humains #multinationales

  • Données du portable : les requérant-e-s d’asile peuvent mais ne doivent pas les révéler

    En février, le gouvernement allemand a adopté un projet de loi qui permettrait à l’Office fédéral allemand des migrations et des réfugiés (Bamf) de fouiller dans les données des portables des requérant-e-s d’asile à la condition qu’un tribunal autorise l’opération, que la personne ne possède pas de pièce d’identité et qu’elle refuse de coopérer. Des critiques dénoncent qu’il s’agirait d’une atteinte disproportionnée au droit à la sphère privée et qualifient dès lors la mesure de contraire aux droits fondamentaux. Il est aussi relevé que cette loi placerait les requérant-e-s dans une situation plus défavorable que celle des délinquant-e-s présumé-e-s. 05.04.2017

    https://www.osar.ch/des-faits-plutot-que-des-mythes/articles-2017/donnees-du-portable-les-requerant-e-s-dasile-peuvent-mais-ne-doivent-pas-les-re
    #surveillance #asile #migrations #réfugiés #base_de_données #Allemagne #autriche #suisse #base_de_données #smartphones #téléphone_portable