Camminare il passato per riscrivere il futuro. I tour decoloniali di Berlino
L’azienda “deSta-”, nata a inizio 2022, accompagna le persone alla scoperta del quartiere africano costruito per celebrare le conquiste coloniali tedesche. Un’occasione per affrontare alla radice i problemi del razzismo in Germania.
Appena arrivato a Berlino sono venuto qui. Speravo che il ‘quartiere africano’ contenesse qualche traccia del mio Paese d’origine. Negozi o ristoranti”. Ma per Desmond Boateng, originario del Ghana, l’uscita dalla fermata della metro di Berlino Afrikanische Straße è stato uno shock: gli unici segni che ha trovato nel quartiere erano ben lontani da quello che immaginava. Come lui, anche i turisti che sperano di trovare l’ennesimo luogo speciale dello spirito multiculturale della capitale tedesca restano delusi. “Nessun ‘cuore’ di un melting pot della cultura nera ma una terribile glorificazione della potenza coloniale tedesca. Un modo per rivendicare questo ruolo anche nella mappa della città”, spiega ad Altreconomia Justice Mvemba, che dopo lo “scotto” iniziale ha deciso che non poteva incrociare le braccia e non fare nulla.
Due anni e mezzo fa ha fondato “deSta-Dekoloniale Stadtführung” (deSta-), un’azienda che offre tour guidati nel quartiere africano, nel distretto Sud-occidentale di Schöneberg sul femminismo nero e all’Humboldt Forum, uno tra i più famosi musei d’arte della capitale tedesca. “Camminare il passato per cambiare il futuro”. È questo il leit motiv di “deSta-”. E percorrendo le strade del quartiere sito a Wedding, nel Nord di Berlino, se ne percepisce fin da subito la necessità. Costruito alla fine del XIX secolo per celebrare la presenza tedesca nel continente africano, è stato poi nuovamente rivitalizzato nel 1930 dal nazionalsocialismo per rinsaldare lo spirito colonialista dei berlinesi. Le strade prendono i nomi di alcuni Paesi del continente: camminando ci si imbatte Ghanastraße, Ugandastraße e Guineastraße. C’è poi un piccolo conglomerato di case che si affacciano sullo stesso giardino chiamato Klein Afrika (Piccola Africa).
L’architettura di queste costruzioni, che replica le case degli europei nei Paesi colonizzati, fu proposta per convincere, sempre durante l’epoca nazista, i cittadini tedeschi a trasferirsi nuovamente nel continente africano. Anche sul parco del quartiere, uno dei più grandi di tutta Berlino, grava un’eredità storica pesantissima: alla fine dell’Ottocento per volontà del commerciante di animali Carl Hagenbeck è stato sede dello zoo umano, luogo in cui le popolazioni dei territori africani colonizzati (all’epoca Namibia e gli attuali Burundi, Ruanda e Tanzania) si esibivano in danze e “raccontavano” la loro cultura. Una forma di tratta degli esseri umani e sfruttamento mascherati da occasione di contaminazione tra diverse culture.
Di fronte a tutto questo, Justice Mvemba, i cui genitori sono nati in Congo, ha sentito il dovere di fare qualcosa. “Per affrontare le radici del razzismo, che qui in Germania ha colpito anche me, sono convinta sia necessario capirne le origini e le funzioni -spiega-. Serve guardare la storia, conoscendo a fondo il motivo per cui è stato istituito il colonialismo e la sua struttura di potere e di controllo su interi Paesi sfruttati economicamente da quelli europei”. Le colonie, spesso, spariscono dai libri di scuola: Mvemba ricorda di aver approfondito durante le scuole superiori il periodo del nazismo ma ben poco, invece, su quanto è successo in Africa. “Nessuno ne vuole parlare. Così ho pensato di avviare una start up per dare la possibilità alle persone di conoscere. Per poter capire”.
Il progetto iniziale, lanciato durante la pandemia da Covid-19, era lo sviluppo di un’applicazione per accedere alle visite guidate tramite il proprio smartphone ma poi l’idea è virata verso qualcosa di più strutturato che mettesse al centro anche un aspetto di relazione tra la guida e chi partecipa. Così, a inizio 2021 è stata fondata “deSta-” che organizza tour guidati -sia in inglese sia in tedesco- oltre che workshop e laboratori, sempre sul tema della decolonizzazione, per scuole e associazioni. Oggi, l’azienda conta dodici dipendenti. E i partecipanti alle visite hanno già superato i cinquemila con 421 tour all’attivo. “Mi capita anche di avere fino a otto visite guidate alla settimana -racconta Mvemba-. Purtroppo non poche volte ho problemi con i residenti del quartiere che non sempre sono d’accordo con queste iniziative”.
La spaccatura, paradossale, riguarda soprattutto il processo di reintitolazione di quelle vie del quartiere dedicate a ufficiali tedeschi impegnati nei Paesi africani che si sono macchiati di gravi crimini nel loro operato. La strada dedicata a Carl Peters, conosciuto in Tanzania per la sua brutalità nei confronti delle popolazioni locali, oggi porta ufficialmente due nomi diversi: una parte intitolata ad Anna Mungunda, leader della resistenza in Nambia (dove tra il 1905 e il 1908 ci fu il genocidio degli Herero e dei Nama), l’altra chiamata Maji-maji-Allee in onore del movimento che, proprio in Tanzania, lottò per respingere l’offensiva dei tedeschi che provocò la morte di quasi 300mila persone.
Ancora: la piazza dedicata a Gustav Nachtigal, fautore dell’annessione degli attuali Togo e Camerun attraverso contratti fraudolenti, oggi si chiama Bell-Platz in memoria del re camerunense ucciso durante la conquista dei tedeschi. “Questo è importante non solo per non onorare la memoria di criminali. Aiuta infatti anche a dare un altro racconto delle persone native del continente africano -riprende Mvemba-. Conosciamo forse i bianchi che sono venuti a salvare qualcuno o fare qualche attività ma ben poco sappiamo degli eroi africani, dei leader di comunità che hanno lottato per l’indipendenza. Dare un nome a quelle battaglie, ricordarli, può aiutare a modificare la prospettiva, in generale, sulle persone nere”.
Non tutti, però, concordano con Mvemba. La modifica nella toponomastica delle strade non è stata ben accolta da tutti. “Nel quartiere Africano i partiti di destra raccolgono voti. Sembra una barzelletta -aggiunge Mvemba-. Sostengono che sia sbagliato rinominarli e quando giriamo per il quartiere, a volte, ci contestano. E pensare che, dal mio punto di vista, questo processo è fin troppo lento: ci sono voluti quarant’anni per modificarli. Troppi”. Per alcuni che si lamentano, tanti altri, invece, trovano nei tour organizzati da “deSta-” una conoscenza mancata per troppo tempo. “Spesso tra una tappa e l’altra, le persone hanno il tempo di elaborare, fare domande molto libere: in modo che ci sia un confronto senza giudizio. Questo credo che sia molto apprezzato dai partecipanti. La normalizzazione di questi temi è fondamentale”.
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