• Camminare il passato per riscrivere il futuro. I tour decoloniali di Berlino

    L’azienda “deSta-”, nata a inizio 2022, accompagna le persone alla scoperta del quartiere africano costruito per celebrare le conquiste coloniali tedesche. Un’occasione per affrontare alla radice i problemi del razzismo in Germania.

    Appena arrivato a Berlino sono venuto qui. Speravo che il ‘quartiere africano’ contenesse qualche traccia del mio Paese d’origine. Negozi o ristoranti”. Ma per Desmond Boateng, originario del Ghana, l’uscita dalla fermata della metro di Berlino Afrikanische Straße è stato uno shock: gli unici segni che ha trovato nel quartiere erano ben lontani da quello che immaginava. Come lui, anche i turisti che sperano di trovare l’ennesimo luogo speciale dello spirito multiculturale della capitale tedesca restano delusi. “Nessun ‘cuore’ di un melting pot della cultura nera ma una terribile glorificazione della potenza coloniale tedesca. Un modo per rivendicare questo ruolo anche nella mappa della città”, spiega ad Altreconomia Justice Mvemba, che dopo lo “scotto” iniziale ha deciso che non poteva incrociare le braccia e non fare nulla.

    Due anni e mezzo fa ha fondato “deSta-Dekoloniale Stadtführung” (deSta-), un’azienda che offre tour guidati nel quartiere africano, nel distretto Sud-occidentale di Schöneberg sul femminismo nero e all’Humboldt Forum, uno tra i più famosi musei d’arte della capitale tedesca. “Camminare il passato per cambiare il futuro”. È questo il leit motiv di “deSta-”. E percorrendo le strade del quartiere sito a Wedding, nel Nord di Berlino, se ne percepisce fin da subito la necessità. Costruito alla fine del XIX secolo per celebrare la presenza tedesca nel continente africano, è stato poi nuovamente rivitalizzato nel 1930 dal nazionalsocialismo per rinsaldare lo spirito colonialista dei berlinesi. Le strade prendono i nomi di alcuni Paesi del continente: camminando ci si imbatte Ghanastraße, Ugandastraße e Guineastraße. C’è poi un piccolo conglomerato di case che si affacciano sullo stesso giardino chiamato Klein Afrika (Piccola Africa).

    L’architettura di queste costruzioni, che replica le case degli europei nei Paesi colonizzati, fu proposta per convincere, sempre durante l’epoca nazista, i cittadini tedeschi a trasferirsi nuovamente nel continente africano. Anche sul parco del quartiere, uno dei più grandi di tutta Berlino, grava un’eredità storica pesantissima: alla fine dell’Ottocento per volontà del commerciante di animali Carl Hagenbeck è stato sede dello zoo umano, luogo in cui le popolazioni dei territori africani colonizzati (all’epoca Namibia e gli attuali Burundi, Ruanda e Tanzania) si esibivano in danze e “raccontavano” la loro cultura. Una forma di tratta degli esseri umani e sfruttamento mascherati da occasione di contaminazione tra diverse culture.

    Di fronte a tutto questo, Justice Mvemba, i cui genitori sono nati in Congo, ha sentito il dovere di fare qualcosa. “Per affrontare le radici del razzismo, che qui in Germania ha colpito anche me, sono convinta sia necessario capirne le origini e le funzioni -spiega-. Serve guardare la storia, conoscendo a fondo il motivo per cui è stato istituito il colonialismo e la sua struttura di potere e di controllo su interi Paesi sfruttati economicamente da quelli europei”. Le colonie, spesso, spariscono dai libri di scuola: Mvemba ricorda di aver approfondito durante le scuole superiori il periodo del nazismo ma ben poco, invece, su quanto è successo in Africa. “Nessuno ne vuole parlare. Così ho pensato di avviare una start up per dare la possibilità alle persone di conoscere. Per poter capire”.

    Il progetto iniziale, lanciato durante la pandemia da Covid-19, era lo sviluppo di un’applicazione per accedere alle visite guidate tramite il proprio smartphone ma poi l’idea è virata verso qualcosa di più strutturato che mettesse al centro anche un aspetto di relazione tra la guida e chi partecipa. Così, a inizio 2021 è stata fondata “deSta-” che organizza tour guidati -sia in inglese sia in tedesco- oltre che workshop e laboratori, sempre sul tema della decolonizzazione, per scuole e associazioni. Oggi, l’azienda conta dodici dipendenti. E i partecipanti alle visite hanno già superato i cinquemila con 421 tour all’attivo. “Mi capita anche di avere fino a otto visite guidate alla settimana -racconta Mvemba-. Purtroppo non poche volte ho problemi con i residenti del quartiere che non sempre sono d’accordo con queste iniziative”.

    La spaccatura, paradossale, riguarda soprattutto il processo di reintitolazione di quelle vie del quartiere dedicate a ufficiali tedeschi impegnati nei Paesi africani che si sono macchiati di gravi crimini nel loro operato. La strada dedicata a Carl Peters, conosciuto in Tanzania per la sua brutalità nei confronti delle popolazioni locali, oggi porta ufficialmente due nomi diversi: una parte intitolata ad Anna Mungunda, leader della resistenza in Nambia (dove tra il 1905 e il 1908 ci fu il genocidio degli Herero e dei Nama), l’altra chiamata Maji-maji-Allee in onore del movimento che, proprio in Tanzania, lottò per respingere l’offensiva dei tedeschi che provocò la morte di quasi 300mila persone.

    Ancora: la piazza dedicata a Gustav Nachtigal, fautore dell’annessione degli attuali Togo e Camerun attraverso contratti fraudolenti, oggi si chiama Bell-Platz in memoria del re camerunense ucciso durante la conquista dei tedeschi. “Questo è importante non solo per non onorare la memoria di criminali. Aiuta infatti anche a dare un altro racconto delle persone native del continente africano -riprende Mvemba-. Conosciamo forse i bianchi che sono venuti a salvare qualcuno o fare qualche attività ma ben poco sappiamo degli eroi africani, dei leader di comunità che hanno lottato per l’indipendenza. Dare un nome a quelle battaglie, ricordarli, può aiutare a modificare la prospettiva, in generale, sulle persone nere”.

    Non tutti, però, concordano con Mvemba. La modifica nella toponomastica delle strade non è stata ben accolta da tutti. “Nel quartiere Africano i partiti di destra raccolgono voti. Sembra una barzelletta -aggiunge Mvemba-. Sostengono che sia sbagliato rinominarli e quando giriamo per il quartiere, a volte, ci contestano. E pensare che, dal mio punto di vista, questo processo è fin troppo lento: ci sono voluti quarant’anni per modificarli. Troppi”. Per alcuni che si lamentano, tanti altri, invece, trovano nei tour organizzati da “deSta-” una conoscenza mancata per troppo tempo. “Spesso tra una tappa e l’altra, le persone hanno il tempo di elaborare, fare domande molto libere: in modo che ci sia un confronto senza giudizio. Questo credo che sia molto apprezzato dai partecipanti. La normalizzazione di questi temi è fondamentale”.

    https://altreconomia.it/camminare-il-passato-per-riscrivere-il-futuro-i-tour-decoloniali-di-ber
    #balade_décoloniale #Berlin #Allemagne #Allemagne_coloniale #marche #colonialisme_allemand #colonialisme #décolonial #desta #racisme #deSta-Dekoloniale_Stadtführung #Humboldt_Forum #Wedding #toponymie #toponymie_coloniale #toponymie_politique #Klein_Afrika #zoo_humain #Carl_Hagenbeck #Justice_Mvemba #histoire_coloniale #Carl_Peters #Anna_Mungunda #Maji-maji-Allee #Tanzanie #Namibie #Gustav_Nachtigal #Togo #Cameroun #Bell-Platz

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  • "Die Kirche muss sich der Wahrheit stellen"

    Vor rund 150 Jahren kamen die ersten Missionare aus Deutschland nach Tansania. Sie waren eng verbunden mit der Kolonialbesatzung. Heute müssen sich Kirchen und Orden Rufe nach einer aktiven Aufarbeitung der Kolonialzeit stellen.

    Wenn Reverend Ernest Kadiva aus seinem Bürofenster in der tansanischen Hafenstadt Daressalam schaut, fällt der Blick auf die Azania-Front-Kathedrale, gebaut 1902 von lutherischen Missionaren für die deutschen Christen im Land. Die Kirche ist nicht nur ein Mittelpunkt seines Lebens, sondern auch eine stetige Erinnerung an die - teils brutale - Geschichte der deutschen Mission in Ostafrika. Als stellvertretender Leiter der Vereinten Evangelischen Mission in Tansania muss sich auch Kadiva dieser Geschichte stellen und einen Weg finden, in Zukunft Kirche zu gestalten.

    Mit Versprechen von Fortschritt und Seelenheil waren Ende der 1880er Jahre erstmals deutsche Missionare in Daressalam von Bord gegangen - kurz nachdem Europa bei der Kongo-Konferenz in Berlin den afrikanischen Kontinent unter sich aufgeteilt hatte. Das Gebiet des heutigen Tansanias gehörte fortan zu Deutsch-Ostafrika. „Die Missionare kamen zur gleichen Zeit wie die Kolonialbesatzung“, sagt Kadiva. „Es ist kaum möglich, die beiden zu trennen, sie haben auch eng zusammengearbeitet.“

    Die Mission unterstützte die Kolonialverwaltung unter anderem bei der Gesundheitsversorgung. Wer den christlichen Glauben annahm, konnte zur deutschen Schule gehen, in der Verwaltung arbeiten, Geld verdienen und bekam mehr Macht und Einfluss. Auch deshalb wurden die Missionsstationen immer wieder als Handlanger der Kolonialherrschaft angesehen.

    Über die Rolle der Missionare in der Kolonialzeit werde aktuell geforscht, sagt Claus Heim, Fachreferent für Tansania bei Mission EineWelt der Evangelisch-Lutherischen Kirche in Bayern. Mittlerweile sei Mission eine gemeinsame Vision. Die Missionsstationen und Kirchen mitsamt ihrer Arbeit im Gesundheits- und Bildungssystem sind inzwischen meist in tansanische Hände übergegangen und werden vielfach noch von Deutschland aus unterstützt. Zusammenarbeit und Austausch gehören fest dazu: Nicht nur sind Deutsche in Tansania im Einsatz, auch tansanische Pfarrerinnen und Pfarrer oder Ordensleute helfen in Deutschland aus.
    Kirche müsse Verbrechen aktiv aufarbeiten

    „Wir helfen einander, wir lernen voneinander, wir feiern miteinander“, sagt Heim. 100 Jahre nach dem Maji-Maji-Krieg, in dem die Deutschen einen Aufstand gegen Unterdrückung und Ausbeutung brutal niederschlugen, verfassten 2005 auch mehrere Missionswerke gemeinsam eine Bitte um Vergebung.

    Das reiche nicht, sagt der tansanische Historiker Valence Silayo: Die Kirche müsse die Verbrechen, in die sie verwickelt gewesen sei, aktiv aufarbeiten. „Die Kirche muss sich der Wahrheit stellen“, betont er. Besonders bei der Zerstörung von Kulturgütern und Traditionen sieht er die Mission in der Schuld. Heute seien die Kirchen nicht nur in der Pflicht, sondern auch in einer Position, die tansanischen Gemeinschaften in ihren Forderungen nach Restitution und Reparationen zu unterstützen.

    Solidarität solle sich nicht nur in Worten zeigen, sondern ganz konkret in Taten, fordert er. „Die Kirche muss mehr Initiative ergreifen, um den Gemeinschaften etwas von dem zurückzugeben, was auch die Missionare ihnen genommen haben.“

    Reverend Ernest Kadiva ist überzeugt, dass es insgesamt eine Theologie braucht, die die Herausforderungen in Tansania in den Blick nimmt. Bildung, Landwirtschaft und Klimawandel müssten zentrale Themen für die Kirche sein, damit sie auf Dauer Relevanz habe, erklärt er. „Die Kirche braucht eine Reformation, so wie damals bei Luther“, sagt Kadiva.

    https://www.evangelisch.de/inhalte/232097/23-07-2024/deutsche-kolonialzeit-die-kirche-muss-sich-der-wahrheit-stellen

    #Eglise #colonialisme #Allemagne #colonialisme_allemand #Tanzanie #histoire #missionnaires #évangélisation #histoire_coloniale #religion

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  • The Long Shadow of German Colonialism. Amnesia, Denialism and Revisionism

    From 1884 to 1914, the world’s fourth-largest overseas colonial empire was that of the German #Kaiserreich. Yet this fact is little known in Germany and the subject remains virtually absent from most school textbooks.

    While debates are now common in France and Britain over the impact of empire on former colonies and colonising societies, German imperialism has only more recently become a topic of wider public interest. In 2015, the German government belatedly and half-heartedly conceded that the extermination policies carried out over 1904–8 in the settler colony of German South West Africa (now Namibia) qualify as genocide. But the recent invigoration of debate on Germany’s colonial past has been hindered by continued amnesia, denialism and a populist right endorsing colonial revisionism. A campaign against postcolonial studies has sought to denounce and ostracise any serious engagement with the crimes of the imperial age.

    #Henning_Melber presents an overview of German colonial rule and analyses how its legacy has affected and been debated in German society, politics and the media. He also discusses the quotidian experiences of Afro-Germans, the restitution of colonial loot, and how the history of colonialism affects important institutions such as the Humboldt Forum.

    https://www.hurstpublishers.com/book/the-long-shadow-of-german-colonialism
    #livre #Allemagne #colonialisme #colonialisme_allemand #histoire_coloniale #histoire #héritage #héritage_colonial #Allemagne_coloniale #Afro-allemands #impérialisme #impérialisme_allemand #Namibie #génocide #amnésie #déni #révisionnisme

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    • German colonialism in Africa has a chilling history – new book explores how it lives on

      Germany was a significant – and often brutal – colonial power in Africa. But this colonial history is not told as often as that of other imperialist nations. A new book called The Long Shadow of German Colonialism: Amnesia, Denialism and Revisionism aims to bring the past into the light. It explores not just the history of German colonialism, but also how its legacy has played out in German society, politics and the media. We asked Henning Melber about his book.
      What is the history of German colonialism in Africa?

      Imperial Germany was a latecomer in the scramble for Africa. Shady deals marked the pseudo-legal entry point. South West Africa (today Namibia), Cameroon and Togo were euphemistically proclaimed to be possessions under “German protection” in 1884. East Africa (today’s Tanzania and parts of Rwanda and Burundi) followed in 1886.

      German rule left a trail of destruction. The war against the Hehe people in east Africa (1890-1898) signalled what would come. It was the training ground for a generation of colonial German army officers. They would apply their merciless skills in other locations too. The mindset was one of extermination.

      The war against the Ovaherero and Nama people in South West Africa (1904-1908) culminated in the first genocide of the 20th century. The warfare against the Maji Maji in east Africa (1905-1907) applied a scorched earth policy. In each case, the African fatalities amounted to an estimated 75,000.

      “Punitive expeditions” were the order of the day in Cameroon and Togo too. The inhuman treatment included corporal punishment and executions, sexual abuse and forced labour as forms of “white violence”.

      During a colonial rule of 30 years (1884-1914), Germans in the colonies numbered fewer than 50,000 – even at the peak of military deployment. But several hundred thousand Africans died as a direct consequence of German colonial violence.
      Why do you think German debate is slow around this?

      After its defeat in the first world war (1914-1918), the German empire was declared unfit to colonise. In 1919 the Treaty of Versailles allocated Germany’s territories to allied states (Great Britain, France and others). The colonial cake was redistributed, so to speak.

      This did not end a humiliated Germany’s colonial ambitions. In the Weimar Republic (1919-1933) colonial propaganda flourished. It took new turns under Adolf Hitler’s Nazi regime (1933-1945). Lebensraum (living space) as a colonial project shifted towards eastern Europe.

      The Aryan obsession of being a master race culminated in the Holocaust as mass extermination of the Jewish people. But victims were also Sinti and Roma people and other groups (Africans, gays, communists). The Holocaust has overshadowed earlier German crimes against humanity of the colonial era.

      After the second world war (1939-1945), German colonialism became a footnote in history. Repression turned into colonial amnesia. But, as Jewish German-US historian and philosopher Hannah Arendt suggested in 1951 already, German colonial rule was a precursor to the Nazi regime. Such claims are often discredited as antisemitism for downplaying the singularity of the Holocaust. Such gatekeeping prevents exploration of how German colonialism marked the beginning of a trajectory of mass violence.
      How does this colonial history manifest today in Germany?

      Until the turn of the century, colonial relics such as monuments and names of buildings, places and streets were hardly questioned. Thanks to a new generation of scholars, local postcolonial agencies, and not least an active Afro-German community, public awareness is starting to change.

      Various initiatives challenge colonial memory in the public sphere. The re-contextualisation of the Bremen elephant, a colonial monument, is a good example. What was once a tribute to fallen colonial German soldiers became an anticolonial monument memorialising the Namibian victims of the genocide. Colonial street names are today increasingly replaced with names of Africans resisting colonial rule.

      Numerous skulls – including those of decapitated African leaders – were taken to Germany during colonialism. These were for pseudo scientific anthropological research that was obsessed with white and Aryan superiority. Descendants of the affected African communities are still in search of the remains of their ancestors and demand their restitution.

      Similarly, cultural artefacts were looted. They have remained in the possession of German museums and private collections. Systematic provenance research to identify the origins of these objects has only just begun. Transactions such as the return of Benin bronzes in Germany remain a matter of negotiations.

      The German government admitted, in 2015, that the war against the Ovaherero and Nama in today’s Namibia was tantamount to genocide. Since then, German-Namibian negotiations have been taking place, but Germany’s limited atonement is a matter of contestation and controversy.
      What do you hope readers will take away from the book?

      The pain and exploitation of colonialism lives on in African societies today in many ways. I hope that the descendants of colonisers take away an awareness that we are products of a past that remains alive in the present. That decolonisation is also a personal matter. That we, as the offspring of colonisers, need to critically scrutinise our mindset, our attitudes, and should not assume that colonial relations had no effect on us.

      Remorse and atonement require more than symbolic gestures and tokenism. In official relations with formerly colonised societies, uneven power relations continue. This borders on a perpetuation of colonial mindsets and supremacist hierarchies.

      No former colonial power is willing to compensate in any significant way for its exploitation, atrocities and injustices. There are no meaningful material reparations as credible efforts of apology.

      The colonial era is not a closed chapter in history. It remains an unresolved present. As the US novelist William Faulkner wrote: “The past is never dead. It’s not even past.”

      https://theconversation.com/german-colonialism-in-africa-has-a-chilling-history-new-book-explor

      #Cameroun #Togo #Tanzanie #Rwanda #Burundi #Hehe #Ovaherero #Nama #Maji_Maji #expéditions_punitives #abus_sexuels #travail_forcé #white_violence #violence_blanche #violence #Lebensraum #nazisme #Adolf_Hitler #Hitler #monuments #Kolonialelefant #Brême #toponymie #toponymie_coloniale #toponymie_politique

  • Emmanuel Macron défend la suppression du droit du sol sur l’île de Mayotte, devenue « la première maternité de France »
    https://www.lemonde.fr/societe/article/2024/02/19/emmanuel-macron-defend-la-suppression-du-droit-du-sol-sur-l-ile-de-mayotte-d

    Emmanuel Macron défend la suppression du droit du sol sur l’île de Mayotte, devenue « la première maternité de France »
    Le Monde avec AFP
    Le président de la République, Emmanuel Macron, a défendu, dans un entretien à l’Humanité publié dimanche 18 février au soir, le projet de loi, controversé, du gouvernement consistant à supprimer le droit du sol à Mayotte, département français d’outre-mer, pour endiguer l’immigration illégale, en majorité en provenance de l’archipel des Comores. « Il est légitime de poser cette question, car les Mahorais souffrent. Ils ont d’ailleurs accueilli très positivement cette proposition, quelles que soient leurs sensibilités politiques. Nous devons casser le phénomène migratoire à Mayotte, au risque d’un effondrement des services publics sur l’île », plaide-t-il.
    Mayotte est un département français situé dans l’archipel très pauvre des Comores. « Des familles y circulent et arrivent en France, via Mayotte, où elles ont accès à des prestations complètement décorrélées de la réalité socioéconomique de l’archipel », juge le président. « Mayotte est la première maternité de France, avec des femmes qui viennent y accoucher pour faire des petits Français. Objectivement, il faut pouvoir répondre à cette situation », affirme-t-il.« A cela s’ajoute un nouveau phénomène, ces derniers mois, compte tenu des difficultés sécuritaires dans la région des Grands Lacs : une arrivée massive de personnes en provenance de Tanzanie et d’autres pays », explique-t-il. Pour « casser ce phénomène migratoire », M. Macron veut aussi « restreindre l’accès aux droits sociaux pour les personnes en situation irrégulière ». Mais le président assure que « restreindre le droit du sol pour Mayotte ne signifie pas le faire pour le reste du pays », comme le réclament la droite et l’extrême droite. « Je reste très profondément attaché à ce droit pour la France », assure-t-il.

    #Covid-19#migrant#migration#france#mayotte#droitdusol#tanzanie#archipel#insularite#maternite#afrique#sante#constitution

  • #Total en #Ouganda : les opposants subissent #arrestations et pressions

    Le projet #Eeacop se retrouve de nouveau sous le feu des critiques. Dans son rapport « Working On Oil is Forbidden : Crackdown Against Environmental Defenders in Uganda » (https://www.hrw.org/report/2023/11/02/working-oil-forbidden/crackdown-against-environmental-defenders-uganda), publié le jeudi 2 novembre, l’ONG Human Rights Watch dénonce les pressions et les arrestations arbitraires dont seraient victimes des défenseurs de l’environnement et des activistes ougandais opposés au projet d’oléoduc en Afrique de l’Est. Selon les auteurs du rapport, au moins trente manifestants et défenseurs des droits humains, dont beaucoup d’étudiants, ont été arrêtés à Kampala et dans d’autres régions de l’Ouganda depuis 2021.

    Pour réaliser ce travail, l’ONG a collecté les témoignages de 31 personnes, dont 21 activistes anti-Eacop en Ouganda. « [La police] me posait des questions sur le pétrole… À un moment donné, ils me traitaient de terroriste, de saboteur des programmes gouvernementaux…. À la fin, ils ont écrit sur le document de libération sous caution : attroupement illégal », raconte Maxwell Atuhura, défenseur de l’environnement, arrêté à Bullisa en 2021.

    Le mégaprojet du groupe français comprend le #forage de 419 #puits dans l’ouest de l’Ouganda, dont un tiers se situent dans le #parc_naturel de #Murchison_Falls. En plus des dégâts sur la #biodiversité du pays, « plus de 100 000 personnes en Ouganda et en #Tanzanie perdront leurs #terres à cause de l’#exploitation_pétrolière », rappelle l’ONG. Dans une lettre du 23 octobre à Human Rights Watch, #TotalÉnergies affirme ne tolérer « aucune attaque ou menace contre ceux qui promeuvent pacifiquement et légalement les #droits_humains dans le cadre de leurs activités ».

    https://reporterre.net/TotalEnergies-en-Ouganda-HRW-denonce-les-pressions-contre-les-opposants-
    #rapport #HRW #pétrole #TotalEnergies

  • Tanzanie : le président allemand demande « pardon » pour les massacres de l’époque coloniale

    Le chef de l’Etat allemand, Frank-Walter Steinmeier, a demandé « pardon » mercredi 1er novembre pour les exactions commises par les forces coloniales de son pays en #Tanzanie, lors d’une visite à Songea, lieu d’un massacre de Maji-Maji au début du XXe siècle. « Je m’incline devant les victimes de la domination coloniale allemande. Et en tant que président allemand, je voudrais demander pardon pour ce que les Allemands ont fait subir ici à vos ancêtres », a-t-il déclaré, selon le texte d’un discours diffusé par ses services en #Allemagne.

    "allemands" et pas État allemand, pas de génocide, vraiment ? @klaus

    #colonisation #colonialisme #génocide #hereros

  • Afrique : pillée par TotalEnergies
    https://journal.lutte-ouvriere.org/2023/03/01/afrique-pillee-par-totalenergies_528273.html

    La Tanzanie a donné son accord, mardi 21 février, à la construction de l’oléoduc East African Crude Oil Pipeline (Eacop). Outre les ravages environnementaux à prévoir, cet énorme projet pétrolier est dénoncé depuis des années par les populations locales et les ONG.

    Le projet est en effet synonyme de #confiscation de terres et du délogement de dizaines de milliers de paysans. Mais les profits escomptés par les actionnaires pèsent plus lourd, particulièrement ceux de Total qui détient 62 % des parts.

    L’#Eacop doit relier sur 1 443 kilomètres les champs de pétrole du lac Albert en Ouganda au port de Tanga en #Tanzanie, sur l’océan Indien. Il a la particularité d’être chauffé à 50 degrés sur tout son trajet, du fait de la forte viscosité du pétrole brut ougandais. De plus, d’après un rapport publié en octobre 2022 par les associations Les amis de la Terre et Survie, environ 118 000 personnes parmi les paysans des régions où sera extrait puis acheminé le pétrole, seront chassées de leurs terres. Les multiples témoignages relayés par les médias depuis des années font état d’intimidations et de menaces, émanant des forces de sécurité de TotalEnergies et des forces armées ougandaises et tanzaniennes. Plusieurs leaders de communautés et des membres d’ONG locales ont été arrêtés et doivent aujourd’hui se cacher du fait de leur opposition au projet.

    La #multinationale_pétrolière nie bien entendu tout cela. Elle parle sur son site d’« attention forte au respect des droits des communautés » et explique que toutes les familles ont droit à une compensation financière. Dans les faits, de nombreux paysans chassés il y a plusieurs années disent n’avoir toujours rien perçu. Et même si ce devait être le cas, les sommes resteraient dérisoires face à la perte de leurs terres nourricières et du fait de l’#inflation.

    L’#oléoduc menace aussi le plus grand bassin d’eau douce d’Afrique, le bassin du #lac_Victoria, dont plus de 40 millions de personnes dépendent. Les militants des #ONG locales redoutent les fuites de pétrole, en se basant sur l’exemple catastrophique du #Nigeria.

    Le #pillage impérialiste, qui est au cœur de toute l’histoire de #TotalEnergies et de son ancêtre Elf, se poursuit, avec le soutien indéfectible de l’État français. Macron s’en défend depuis des années, et vient de réaffirmer le 27 février qu’il « n’y a plus de politique africaine de la France ». Dans les faits, il cherche juste à lui donner une forme plus discrète. L’Élysée a ainsi dû reconnaître que le président avait écrit en mai 2021 une lettre au président ougandais #Museveni, dans laquelle il affirme souhaiter une accélération du chantier Eacop. Face à la #loi_du_profit, le sort de la planète et des êtres humains compte pour rien.

    #impérialisme

  • #capitalisme #TotalEnergies #Afrique #Tanzanie #Ouganda #oléoduc #écologie

    #Anticapitalisme #antiproductivisme #décroissance #anarchisme

    🛑 Eacop : le projet climaticide de TotalÉnergies en 6 chiffres...

    Mardi 28 février, la justice a débouté les ONG opposées à la multinationale TotalÉnergies et à Eacop, son projet pétrolier en Ouganda et Tanzanie. Zoom sur 6 chiffres clés pour en comprendre l’ampleur (...)

    ▶️ Lire le texte complet…

    ▶️ https://reporterre.net/Eacop-le-projet-climaticide-de-TotalEnergies-en-6-chiffres

  • Projets Tilenga et EACOP de Total : le tribunal judiciaire de Paris botte en touche | Les Amis de la Terre
    https://www.amisdelaterre.org/projets-tilenga-eacop-total-tribunal-judiciaire-paris-botte-touche

    Plus de trois ans après son lancement et suite à une longue bataille procédurale, les juges ont considéré que le dossier était irrecevable en raison d’un nouveau point de procédure controversé. Les associations requérantes déplorent fortement cette décision et se réservent sur les suites à donner, en consultation avec les communautés affectées.

    #Afrique #TotalEnergie #Ouganda #Tanzanie #Pétrole

  • Cash Investigation - Superprofits : les multinationales s’habillent en vert en streaming - Replay France 2 | France tv
    https://www.france.tv/france-2/cash-investigation/4498144-superprofits-les-multinationales-s-habillent-en-vert.html

    Ces derniers mois, certaines #multinationales ont engrangé de #superprofits. #Total, par exemple, gagne actuellement 73 millions d’euros par jour. Des bénéfices qui financeraient notamment la #transition_énergétique et la lutte contre le #réchauffement_climatique. Mais qu’en est-il de ces belles promesses vertes ? Elise Lucet et l’équipe de Cash Investigation ont enquêté sur le méga projet de la compagnie pétrolière française en #Ouganda et en #Tanzanie. Pour développer sa production d’#hydrocarbures, la multinationale peut compter sur le soutien financier d’un autre fleuron français : la #BNP-Paribas qui a réalisé en 2021 un bénéfice record de 9,5 milliards d’euros. La banque promet à ses clients d’investir dans des solutions d’épargne responsable. Les journalistes de Cash Investigation ont passé au crible les #fonds_verts de la banque.
    publié le 26/01/23 à 23h00 disponible jusqu’au 25/11/23

  • Total devant la justice pour ses projets climaticides en Ouganda et en Tanzanie
    https://radioparleur.net/2022/12/12/total-justice-projets-ouganda-tanzanie-eacop-tilenga

    L’audience en première instance de TotalEnergies s’est déroulée au Tribunal judiciaire de Paris le mercredi 7 décembre. La multinationale est assignée en justice sur les méga-projets pétroliers Eacop et Tilenga par les Ami·es de la Terre – France, Survie ainsi que quatre associations ougandaises : NAVODA, CRED, Nape Uganda et AFIEGO. Au cours de l’audience en […] L’article Total devant la justice pour ses projets climaticides en Ouganda et en Tanzanie est apparu en premier sur Radio Parleur.

  • Le procès de TotalEnergies pour non-respect du devoir de vigilance en Ouganda et en Tanzanie reporté
    Texte par Christina Okello | Publié le : 12/10/2022
    https://www.rfi.fr/fr/afrique/20221012-totalenergies-en-proc%C3%A8s-%C3%A0-paris-pour-non-respect-du-devoir-de

    Le procès de TotalEnergies, initié par une plainte d’organisations françaises et ougandaises, pour non-respect du devoir de vigilance en Ouganda a débuté ce mercredi à Paris. L ’audience a finalement été reportée au 7 décembre.

    Après trois ans de bataille procédurale menée par deux ONG françaises et quatre associations ougandaises, TotalEnergies avait rendez-vous devant le tribunal judiciaire de Paris ce 12 octobre mais l’audience a été reportée. Les associations opposées aux projets pétroliers du groupe français en Ouganda et en Tanzanie ont demandé le report du procès. Elles ont déclaré avoir reçu tard lundi soir de nouveaux documents du géant pétrolier et qu’elles ne disposaient donc pas de suffisamment de temps pour étudier « convenablement » la centaine de pages qui leur ont été remises. Les deux parties plaideront donc le 7 décembre au tribunal judiciaire de Paris. « On ne peut pas prendre un dossier aussi sérieux avec des écritures (conclusions) aussi volumineuses 36 heures avant l’audience, ce n’est pas sérieux de considérer qu’on puisse plaider sur un dossier aux enjeux aussi forts », a déclaré maitre Louis Cofflard, l’avocat des associations.

    L’audience pour ce premier procès pour violation du devoir de vigilance sera donc en référé et non plus sur le fond. Le dossier sera donc traité en urgence. Adopté en 2017 en France, le texte législatif a été conçu pour prévenir les atteintes aux droits humains et à l’environnement. (...)

    #FranceAfrique #Total

  • Projet EACOP : nouvelle enquête accablante sur les pratiques de Total en Tanzanie

    Les Amis de la Terre France et Survie publient aujourd’hui le rapport « EACOP, la voie du désastre » [1], issu d’une enquête de terrain inédite sur le projet d’oléoduc géant de Total en Tanzanie. De nouveaux témoignages font état des mêmes violations des droits humains qu’en Ouganda, mais exacerbées sur certains aspects. Alors qu’une audience sur le fond aura lieu le 12 octobre au tribunal judiciaire de Paris dans le cadre du recours de nos associations contre Total, sur le fondement de la loi sur le devoir de vigilance [2], ce rapport a été versé au dossier judiciaire. Il apporte en effet de nouvelles preuves inédites des coûts humains, climatiques et environnementaux inacceptables de ce méga-projet pétrolier.

    https://entreleslignesentrelesmots.wordpress.com/2022/10/27/projet-eacop-nouvelle-enquete-accablante-sur-l

    #international #tanzanie #total

  • En Tanzanie, TotalEnergies prépare une bombe climatique aux relents... | Mediapart
    https://www.mediapart.fr/journal/ecologie/051022/en-tanzanie-totalenergies-prepare-une-bombe-climatique-aux-relents-colonia
    #eacop

    En Tanzanie, TotalEnergies prépare une bombe climatique aux relents colonialistes
    #Les_Amis_de_la_Terre et #Survie publient une enquête inédite sur un futur oléoduc du géant pétrolier français en #Tanzanie. Ce projet écocidaire et néocolonial aura des impacts désastreux sur les plans humain, écologique et climatique. Mais la résistance s’organise.

    le #rapport de l’#ONG :

    https://www.amisdelaterre.org/wp-content/uploads/2022/09/eacop-la-voie-du-desastre-amis-de-la-terre-survie-oct-2022.pdf https://www.amisdelaterre.org/publication/eacop-la-voie-du-desastre

    • https://www.lemonde.fr/afrique/article/2022/10/05/tanzanie-le-projet-d-oleoduc-de-totalenergies-mis-en-cause-par-des-ong-pour-

      Un bilan carbone de 34 millions de tonnes de CO₂ par an
      Le rapport consacre aussi un long chapitre à l’impact environnemental de l’oléoduc, qui traversera plusieurs aires protégées. Il rappelle les risques d’accidents écologiques liés à la nature sismique de la zone et au passage de fréquents ouragans. Selon une étude réalisée par le cabinet E-Tech, spécialisé dans les industries extractives, cette réalité devrait conduire Eacop à renforcer ses dispositifs de prévention en multipliant notamment « les valves de blocage » le long de l’oléoduc pour maîtriser les fuites.

      Après trois années de bataille procédurale, la première audience sur le fond du procès engagé par Les Amis de la Terre et Survie contre TotalEnergies sur son devoir de vigilance devrait se tenir mercredi 12 octobre au tribunal judiciaire de Paris. Le rapport sur le volet tanzanien du projet a été versé aux pièces du dossier. Les ONG, qui demandent l’arrêt de ce projet pétrolier au cœur de l’Afrique des Grands Lacs, ne manqueront pas non plus de rappeler qu’elles comptent désormais dans leurs rangs le Parlement européen. Le 15 septembre, à l’initiative de l’eurodéputé français Pierre Larrouturou (Nouvelle Donne), celui-ci a voté, à une large majorité, une résolution d’urgence pour dénoncer son impact sur les populations, l’environnement et le climat.

      Le bilan carbone du projet s’élève à 34 millions de tonnes de CO₂ par an, davantage que les émissions de l’Ouganda et de la Tanzanie combinées. Les députés exigent l’arrêt des forages dans les aires protégées, ainsi que le report des travaux d’Eacop pendant un an, pour « étudier la faisabilité d’un tracé alternatif » permettant de préserver l’environnement et d’« envisager d’autres projets reposant sur les énergies renouvelables ». Les eurodéputés demandent également que soit mis fin aux violations des droits humains. Le PDG de TotalEnergies, Patrick Pouyanné, invité à venir s’exprimer devant la commission des droits humains du Parlement européen le 10 octobre, a décliné la proposition.

  • Terres suisses d’outre-mer

    Les traders domiciliés en Suisse possèdent de gigantesques territoires agricoles à l’étranger qu’ils cultivent souvent sans égard pour les populations locales et la nature.

    Des superficies de plantations équivalentes à près de sept fois les terres arables de la Suisse. C’est ce que quatorze des principaux négociants en matières premières basés en Helvétie contrôlent dans des pays du Sud, comme le Brésil, le Cameroun et le Laos. C’est le résultat d’une nouvelle enquête de Public Eye, ONG qui surveille de près depuis 2011 le secteur des matières premières, dont la Suisse est devenue la première place mondiale depuis une quinzaine d’années1. Ainsi, des traders qui opèrent principalement depuis Genève ou Zoug tels que Cargill, Cofco ou LDC ont la haute main sur au moins 2,7 millions d’hectares dans 561 plantations de 24 pays. Canne à sucre, huile de palme, céréales, oléagineux et caoutchouc tiennent le haut du pavé.

    Cette mainmise s’accompagne souvent de violations des droits humains, d’atteintes à l’environnement et prive les populations locales de leurs moyens de subsistance. « La concurrence pour la terre entre les multinationales de l’agro-industrie et les communautés locales augmente alors que ces dernières ont un besoin vital de ces ressources », détaille Silvie Lang, responsable du dossier chez Public Eye. Un accaparement des terres (land grabbing) qui a explosé depuis la crise financière de 2008 et qui est aussi régulièrement dénoncé pour sa dimension néocoloniale (lire ci-après).

    En tant qu’hôte de ces géants de l’agronégoce, la Suisse aurait une responsabilité toute particulière pour réglementer leurs activités dans ce secteur à risque, mais elle n’en prendrait pas le chemin. Publiée il y a quinze jours, l’ordonnance du Conseil fédéral sur l’application du contre-projet à l’initiative pour des multinationales responsables n’imposerait presque aucune obligation à ces dernières (lire ci-dessous).
    Dépossédés sans compensation

    Pourtant, expulsions de populations, déforestations illégales, dégâts environnementaux seraient légion autour des plantations contrôlées par les traders helvétiques. En coopération avec ses partenaires de la société civile locale, Public Eye a documenté dix cas problématiques dans neuf pays. Ils sont présentés sur une carte interactive constellée de petits drapeaux suisses où sont recensés de nombreux autres « territoires suisses d’outre-mer ».

    En Ouganda, les 4000 personnes expulsées de force il y a vingt ans pour faire place nette à une plantation de café aux mains du groupe allemand Neumann Kaffee (NKG) attendent toujours une indemnisation digne de ce nom. « La filiale suisse de NKG, qui gère non seulement le négoce de café vert mais aussi les plantations – y compris en Ouganda –, a une part de responsabilité à assumer », estime Public Eye.

    De même, 52 familles d’agricultrices et d’agriculteurs auraient perdu leurs moyens de subsistance sur le plateau du Boloven au Laos au bénéfice du trader Olam, qui dispose d’un de ses principaux départements de négoce en Suisse. Histoire similaire en Tanzanie, où nombre d’habitants assurent, selon l’association allemande Misereor, avoir été dépossédés de 2000 hectares par Olam qui cultive des caféiers sur leurs terres. En 2015, mille personnes œuvraient dans ces plantations dans des conditions de travail déplorables, privées d’accès à l’eau, à une nourriture décente, et exposées à l’épandage de pesticides dangereux, selon l’ONG.
    Une autorité de surveillance ?

    Au Brésil aussi, en plus de l’accaparement des terres, les pesticides posent des problèmes insolubles dans les plantations de canne à sucre. Le négociant Biosev, propriété jusqu’à peu du groupe suisse Louis Dreyfus, n’a toujours pas réparé les destructions environnementales occasionnées sur et autour de vastes étendues de terres qu’il exploitait illégalement dans la région de Lagoa da Prata.

    Au Cambodge, enfin, l’expulsion des autochtones qui a eu lieu en 2008 sous la responsabilité de Socfin pour y exploiter le caoutchouc n’aurait pas encore abouti à une réparation. Un processus de médiation entre la firme et les communautés, initié en 2017 et cofinancé par la Suisse, devait finalement permettre de trouver une solution à l’amiable. Mais « les personnes concernées sont insatisfaites de la procédure totalement opaque et globalement inutile », indique Public Eye, relayant les rapports de plusieurs autres ONG. Pain pour le prochain et Alliance Sud avaient pour leur part dénoncé en octobre les pratiques d’évasion fiscale agressive de Socfin au Cambodge à destination de Fribourg, qui privent ce pays de précieuses ressources3.

    Ce nouveau dossier donne toujours plus d’arguments à Public Eye pour réclamer une action déterminée des autorités fédérales. Les mannes financières apportées par les traders en Suisse entraîneraient une responsabilité correspondante : « Le Conseil fédéral reconnaît certes officiellement que le secteur des matières premières est confronté à des défis à prendre au sérieux, notamment en matière de droits humains, mais il continue de miser principalement sur la bonne volonté des entreprises à assumer leurs responsabilités. » Regrettant l’échec de l’initiative pour des multinationales responsables, l’ONG recommande à nouveau la création d’une autorité de surveillance du secteur des matières premières (Rohma), proposée en 2014 déjà. Celle-ci s’inspirerait de l’Autorité fédérale de surveillance des marchés financiers (Finma), créée en 2009 sous la pression internationale.

    –-

    Un accaparement ralenti mais prometteur

    Le phénomène de l’accaparement des terres a fait grand bruit au début des années 2010. Après la crise financière de 2008, on avait assisté à une ruée sur ce nouvel investissement estimé plus sûr et prometteur pour les détenteurs et détentrices de grands capitaux. Le tumulte s’est ensuite calmé avec le tassement progressif du nombre de terres achetées depuis. Entre 2013 et 2020, indique le dernier rapport de l’initiative de monitoring Land Matrix, qui dispose d’une base de données étendue sur l’accaparement dans les pays à revenus bas et moyens, seuls 3 millions d’hectares supplémentaires ont été enregistrés, sur un total de 30 millions. Le grand bon avait été réalisé entre 2006 (6 millions d’hectares environ) à 2013 (27 millions).

    Différentes raisons expliquent ce ralentissement, selon Land Matrix. D’abord, l’envolée attendue des prix dans la décennie 2010 des produits alimentaires, des agrocarburants et du pétrole n’aurait pas atteint les niveaux espérés. D’autre part, alertés par la société civile, certains Etats ont pris de mesures : « Citons, notamment, les moratoires sur les terres dans d’importants pays cibles, la diminution du soutien aux biocarburants de première génération et les restrictions sur la vente de terres aux investisseurs étrangers, dans certains cas », explique l’initiative.

    Les prix repartent à la hausse

    Mais la vapeur pourrait s’inverser sitôt la crise du Covid-19 passée, craint Land Matrix, d’autant que les prix reprennent l’ascenseur. « Certains pays, dont l’Indonésie et l’Inde, ont déjà libéralisé leurs marchés fonciers afin d’attirer les investissements étrangers. » Le Brésil représente également une plateforme florissant en matière agro-industrielle et connaît des évolutions favorables à un possible boom de l’accaparement des terres, indique un rapport en voie de publication de l’Université fédérale rurale de Rio de Janeiro (nous y reviendrons dans une prochaine édition.)

    Cette situation inquiète la société civile, qui souligne les conséquences souvent désastreuses du phénomène pour les populations paysannes, les autochtones, l’environnement et le climat. Certaines ONG, cependant, se focalisent parfois uniquement sur les violations des droits humains qui accompagnent le processus, sans remettre en cause sur le fond les dynamiques néocoloniales de l’accaparement et l’expansion du capitalisme foncier basé sur l’expropriation des communautés locales, regrettent certains observateurs : « Nous observons aujourd’hui un véritable processus d’enclosure (clôture des parcelles provenant de la division des terrains) à l’échelle mondiale », observe Michel Merlet, ex-directeur de l’Association pour l’amélioration de la gouvernance de la terre, de l’eau et des ressources naturelles (AGTER) en France. « Tout comme en Angleterre avant et pendant la révolution industrielle, ce phénomène se traduit par la dépossession des populations rurales, le développement d’un prolétariat rural, de nouvelles modalités de gestion des pauvres, une foi aveugle dans le progrès. » Une logique qui s’oppose de front à la terre en tant que bien commun.

    –-

    La Suisse, carrefour du land grabbing ?

    Difficile de connaître l’importance relative de la Suisse dans l’accaparement de terres dans le monde. Pour l’heure, aucune étude exhaustive n’existe. Observons pour commencer que le chiffre de 2,7 millions d’hectares contrôlés par des traders suisses est très élevé comparé au total de 30 millions d’hectares de territoires agricoles recensés par Land Matrix dans le monde (qui n’incluent pas les traders basés en Suisse recensés par Public Eye). Un indicateur à considérer avec prudence toutefois, car cette base de données est probablement loin d’être exhaustive, selon plusieurs sources.

    D’autres acteurs helvétiques possèdent-ils ou louent-ils sur une longue durée des terres ? Firmes, fonds de pension, banques, assureurs disposent-ils de ce type d’actifs ? Land Matrix a recensé 6,3 millions d’hectares contrôlés via des investissements de firmes helvétiques, incluant des territoires forestiers cette fois, en plus des terres agricoles. A noter toutefois que 5,9 millions de ces 6,3 millions d’hectares se trouvent en Russie et concernent des concessions forestières, via la société Ilim, domiciliée en Suisse (les fonds pourraient provenir de Russie, ou d’ailleurs).

    Autres pays concernés : la Tanzanie, le Cameroun, la Sierra Leone, le Paraguay, l’Argentine, le Brésil, etc. En tout sont impliquées une quarantaine d’entreprises suisses, dont Nestlé, Louis Dreyfus, Chocolats Camille Bloch, Novartis et Addax Bioenergy SA.

    Aucune information, en revanche, sur les acteurs purement financiers : « Nos données n’incluent pas de banques ou de fonds de pension suisses. Nous ne savons pas s’ils sont impliqués dans ce type d’affaires. Leur investissement n’est pas transparent. Beaucoup passent par des paradis fiscaux ou des hubs financiers, comme Chypre, Singapour, Hong-Kong et les île Vierges », détaille Markus Giger, coresponsable de Land Matrix et chercheur au Centre pour le développement et l’environnement de l’université de Berne.

    L’opacité règne donc. On sait par ailleurs que le secteur financier helvétique cible par exemple des investissements dans l’agriculture, surtout là où il y a de fortes opportunités de profits, et les proposent ensuite sous forme de fonds. Les entreprises financées de cette manière peuvent elles-mêmes être impliquées dans l’accaparement de terres.

    En tant qu’une des principales places financières du monde, la Suisse joue indéniablement un rôle dans les transactions opérées sur nombre de ces terres. Après avoir enquêté sur l’accaparement et la financiarisation des terres au Brésil, le chercheur Junior Aleixo a pu le constater : « De nombreux acteurs impliqués dans l’achat ou la location de terres passent par des intermédiaires suisses ou possèdent des comptes dans des banques helvétiques parce que la Suisse dispose de législations peu regardantes et permet l’évasion fiscale », a confié au Courrier l’universitaire, membre du Groupe d’étude sur les changements sociaux, l’agronégoce et les politiques publiques (GEMAP) de l’Université fédérale rurale de Rio de Janeiro. Le gouvernement suisse lui-même voit d’un bon œil ces investissements sur le principe : « Le Conseil fédéral est d’avis que des investissements privés effectués avec circonspection dans l’agriculture ont des répercussions positives, à condition que les standards sociaux et écologiques soient respectés », avait-il répondu en 2011 à une interpellation de la conseillère nationale verte Maya Graf. Le gouvernement prône des normes et des codes de nature volontaire pour réglementer ce négoce et éviter la spoliation des communautés locales.

    https://lecourrier.ch/2021/12/16/terres-suisses-doutre-mer
    #traders #matières_premières #terres #accaparement_des_terres #Suisse #plantations #Cargill #Cofco #LDC #Canne_à_sucre #huile_de_palme #céréales #oléagineux #caoutchouc #multinationales #industries_agro-alimentaires #colonialisme #néo-colonialisme #agronégoce #dépossession #Neumann_Kaffee (#NKG) #Laos #Boloven #Olam #Tanzanie #Brésil #Biosev #Louis_Dreyfus #Lagoa_da_Prata #Cambodge #Socfin #biocarburants #enclosure #prolétariat_rural #opacité

    • Agricultural Commodity Traders in Switzerland. Benefitting from Misery?

      Switzerland is not only home to the world’s largest oil and mineral traders; it is also a significant trading hub for agricultural commodities such as coffee, cocoa, sugar, or grains. The majority of the globally significant agricultural traders are either based here or operate important trading branches in the country.

      The sector is highly concentrated with ever fewer powerful companies who also control the production and processing stages of the industry. In low-income countries, where many of the commodities traded by Swiss-based companies are produced, human rights violations are omnipresent, ranging from the lack of living wages and incomes, to forced and child labour as well as occupational health and safety hazards. Moreover, the risk of tax dodging and corruption has been shown to be particularly high within agricultural production and trade.

      Public Eye’s 2019 report Agricultural Commodity Traders in Switzerland – Benefitting from Misery? sheds light on the opaque sector of agricultural commodity trade and the human rights violations related to activities in this business and also highlights Switzerland’s refusal to regulate the sector in ways that could address these issues, and it outlines ways to tackle the challenges at hand.

      https://www.publiceye.ch/en/publications/detail/agricultural-commodity-traders-in-switzerland

      #rapport #Public_Eye

    • La culture de l’iniquité fiscale

      Le groupe agroalimentaire #Socfin transfère des bénéfices issus de la production de matières premières vers Fribourg, un canton suisse à faible fiscalité. Au détriment de la population vivant dans les zones concernées en Afrique et en Asie.

      La culture de l’#iniquité_fiscale

      Le groupe agroalimentaire luxembourgeois Socfin transfère des bénéfices issus de la production de matières premières vers #Fribourg, un canton suisse à faible fiscalité. Cette pratique d’#optimisation_fiscale agressive équivaut à l’expatriation de bénéfices au détriment de la population vivant dans les zones concernées en Afrique et en Asie. Pour la première fois, un rapport rédigé par Pain pour le prochain, Alliance Sud et le Réseau allemand pour la #justice_fiscale met en lumière les rouages de ce mécanisme. La Suisse porte elle aussi une part de #responsabilité dans ce phénomène, car la politique helvétique de #sous-enchère en matière d’imposition des entreprises représente l’un des piliers de ce système inique.

      La société Socfin, dont le siège se trouve au #Luxembourg, s’est vu octroyer dans dix pays d’Afrique et d’Asie des #concessions d’une superficie supérieure à 380 000 hectares, soit presque l’équivalent de la surface agricole de la Suisse. Dans ses 15 plantations, le groupe produit du caoutchouc et de l’huile de palme qu’il écoule ensuite sur le marché mondial. Si l’entreprise est dotée d’une structure complexe, il apparaît toutefois clairement qu’elle commercialise une grande partie de son caoutchouc par l’intermédiaire d’une filiale établie à Fribourg, à savoir #Sogescol_FR. Et c’est une autre filiale elle aussi basée à Fribourg, #Socfinco_FR, qui se charge d’administrer les plantations et de fournir des prestations aux autres sociétés du groupe.

      En 2020, Socfin a enregistré un bénéfice consolidé de 29,3 millions d’euros. Le rapport, qui procède à une analyse du bénéfice par employé·e dans les différents pays où opère Socfin, met en évidence la distribution particulièrement inégale de ces revenus. Ainsi, alors que le bénéfice par employé·e avoisinait 1600 euros dans les pays africains accueillant les activités de Socfin, il en va tout autrement au sein des filiales helvétiques du groupe, où ce chiffre a atteint 116 000 euros l’année dernière, soit un montant près de 70 fois supérieur. En Suisse, le bénéfice par employé·e a même en moyenne dépassé les 200 000 euros entre 2014 et 2020.

      À faible #fiscalité, bénéfices élevés
      Comment expliquer ces écarts dans la distribution des bénéfices à l’intérieur d’un même groupe ? Selon le rapport publié par Pain pour le prochain, Alliance Sud et le Réseau allemand pour la justice fiscale, la réponse est à trouver dans la fiscalité des pays accueillant les activités de Socfin. En effet, c’est là où les impôts sont le plus bas que le bénéfice par employé·e de l’entreprise est le plus élevé. Dans les pays africains où Socfin est active, le taux d’impôt varie ainsi de 25 à 33 %, contre moins de 14 % en Suisse. Il s’agit là d’un schéma classique de transfert de bénéfices entre filiales à des fins d’optimisation fiscale agressive.

      Cette pratique très répandue parmi les sociétés multinationales n’est pas forcément illégale, mais elle n’en demeure pas moins en tout état de cause inique, car elle prive les pays producteurs de l’hémisphère sud des recettes fiscales indispensables à leur développement et creuse de ce fait les inégalités mondiales. Chaque année, environ 80 milliards d’euros de bénéfices réalisés dans des pays en développement sont ainsi expatriés vers des territoires peu taxés comme la Suisse, ce qui représente bien plus que la moitié des enveloppes publiques annuelles allouées à la coopération au développement à l’échelle mondiale.

      Le transfert de bénéfices au sein de #multinationales est généralement difficile à appréhender pour l’opinion publique (en raison de l’opacité qui l’entoure) et pour les administrations fiscales (faute de volonté en ce sens ou de moyens suffisants). Dans le cas de Socfin, en revanche, les rapports financiers ventilés par zone publiés par la société livrent des informations sur la structure et l’objet des transactions entre filiales. Qu’elles portent sur le négoce, des prestations de conseil, des licences ou des services d’autre nature, les opérations intragroupe délocalisent en Suisse une grande partie des revenus générés en Afrique et en Asie. Et seul un examen approfondi réalisé par des administrations fiscales permettrait de vérifier si ces prix de transfert sont, ainsi que l’affirme Socfin, conformes aux règles édictées par l’OCDE en la matière.

      La Suisse doit faire œuvre de plus de transparence
      La réalité des plantations dans l’hémisphère sud représente le revers de la médaille des juteux bénéfices enregistrés en Suisse. En effet, Socfin dispose dans ces pays de concessions extrêmement avantageuses, mais n’offre pas une compensation suffisante à la population touchée, ne rétribue le dur labeur des ouvriers·ères que par de modiques salaires et n’honore pas totalement ses promesses d’investissements sociaux. En dépit de ce contexte particulièrement favorable, certaines exploitations du groupe, comme la plantation d’#hévéas de #LAC au #Liberia, n’en affichent pas moins des pertes persistantes – ce qui, selon le rapport, vient encore appuyer l’hypothèse de transfert de bénéfices de l’Afrique vers le paradis fiscal helvétique.

      Et cette pratique profite aujourd’hui considérablement à la Suisse, ces transactions générant près de 40 % des recettes de l’impôt sur les bénéfices des entreprises à l’échelon cantonal et fédéral. Afin de lutter contre les abus qui en découlent, il est impératif que notre pays améliore la transparence de sa politique fiscale et rende publics les #rulings, ces accords que les administrations fiscales concluent avec les sociétés. Il en va de même pour les rapports que les multinationales sont tenues de déposer en Suisse dans le cadre de la déclaration pays par pays de l’OCDE et dont l’accès est actuellement réservé aux administrations fiscales. Avant toute chose, il est primordial que la Suisse promeuve un régime international d’imposition des entreprises qui localise la taxation des bénéfices dans les pays où ils sont générés et non sur les territoires à faible fiscalité.

      Mobilisation à Fribourg
      Ce matin, Pain pour le prochain mène une action de mobilisation devant le siège de Sogescol et de Socfinco à Fribourg afin d’exhorter Socfin à cesser ses pratiques immorales de transfert de bénéfices et d’optimisation fiscale au sein de ses structures. Il importe en outre que le groupe réponde aux revendications des communautés locales, restitue les terres litigieuses et garantisse à tous les ouvriers·ères des plantations le versement de salaires décents.

      https://www.alliancesud.ch/fr/politique/politique-fiscale-et-financiere/politique-fiscale/la-culture-de-liniquite-fiscale

      Pour télécharger le rapport (synthèse en français) :
      https://www.alliancesud.ch/fr/file/88274/download?token=32SEeILA

  • Construire une économie féministe en Tanzanie

    Nous savons que les systèmes oppressifs organisent notre existence, mais ils ne sont pas inhérents à la nature humaine. Aucun être humain ne naît oppresseur ; c’est quelque chose que les gens apprennent au fil du temps en regardant différents domaines et aspects de la vie et comment les choses sont organisées dans la société. Les gens ne naissent pas oppresseurs, ils apprennent à l’être et à obéir au système à mesure qu’ils grandissent et entrent dans ce monde axé sur le profit qui privilégie l’accumulation de biens par-dessus tout.

    https://entreleslignesentrelesmots.blog/2021/11/20/construire-une-economie-feministe-en-tanzanie

    #international #féminisme #tanzanie

  • Zusammenhang #Kolonialismus und #Faschismus: "Den hier empfohlenen ...
    https://diasp.eu/p/12900331

    Zusammenhang #Kolonialismus und #Faschismus: „Den hier empfohlenen kompakten Überblick über eine richtungsweisende Debatte empfehle ich dringend, denn kürzer fand ich bislang keine Zusammenfassung von hoher Qualität, die die Haltung wichtiger Protagonisten skizziert.“ (piqd) https://www.republik.ch/2021/05/05/wer-die-einzigartigkeit-des-holocaust-belegen-will-kommt-nicht-um-vergleich

    • #Afrique #Allemagne #Colonialisme #orientalisme #fascisme #nazisme #racisme #antisemitisme #Shoah
      #Madagascar Tanganyika (aujourd’hui #Tanzanie)

      Von Jörg Heiser, 05.05.2021

      [...]

      1885 spricht der deutsche «Orientalist» Paul de Lagarde, einer der übelsten Vordenker des modernen völkischen Antisemitismus, beinahe beiläufig von den «nach Palästina oder noch lieber nach Madagaskar abzuschaffenden» Juden Polens, Russlands, Österreichs und Rumäniens. Brechtken hört hier noch den «exotisch-erlösenden Ton» des Kolonial­romantikers heraus, den es schon zwei Jahre später bei Theodor Fritsch – einem der wenigen, die Hitler explizit als Einfluss nennt – nicht mehr hat; nun sollen die Juden sich nur mehr selbst «irgendwo ein Colonial-Land erwerben».

      Hans Leuss fordert 1893 «die Transplantation» des jüdischen Volkes nach Südafrika. Der Engländer Henry Hamilton Beamish, ein weiterer Verfechter der Madagaskar-Idee – ehemals Soldat in Südafrika –, trat 1923 mit Hitler vor 7000 Zuschauern im Münchner Zirkus Krone auf. Derselbe schrieb 1926 im «Völkischen Beobachter» zynisch: «Wo ist das Paradies, das allen Juden vergönnt, in Frieden und Freude dahinzuleben, dabei sich rein zu halten und auch ihren Idealen […] nachzugehen? Das ist Madagaskar.»

      1934 traf sich ein internationaler Antisemiten-Kongress gleich zweimal – erst in der Schweiz, in Bellinzona, dann in Belgien – und gipfelte in einem gemeinsamen «Rütli-Schwur» aller Teilnehmer, man werde «nicht ruhen und rasten», bis auch der Jude «sein eigenes Vaterland habe», das allerdings nicht Palästina sein könne, sondern gross genug sein müsse für alle Juden der Welt. Als Alternative bleibe sonst nur die «blutige Lösung der Judenfrage».

      Unter Nazigrössen kursierten in den folgenden Jahren auch andere Szenarien; so spielte Göring mit dem Gedanken, man könnte die Jüdinnen in der ehemaligen deutschen Kolonie Tanganyika (heutiges Tansania) ansiedeln – Hitler wandte ein, man könne Territorien, «in denen so viel deutsches Helden­blut» geflossen sei, nicht den ärgsten Feinden der Deutschen überlassen.

      [...]

    • oAnth :

      Le texte fournit un bon exemple de l’effort d’argumentation et de la connaissance méticuleuse des détails qu’il faut déployer en Allemagne pour être autorisé à établir en public sans répercussions négatives (#BDS) le moindre parallèle entre la pratique coloniale historiquement prouvée et les relations actuelles d’ #Israël avec les #Palestiniens. Dans la pratique professionnelle, cela équivaut à une interdiction thématique clairement définie de parler et d’écrire, dont est exempté au mieux un cercle hermétique d’universitaires. Il ne fait aucun doute qu’un bon nombre des détails compilés de manière experte dans cet article peuvent être considérés comme évidents, ou du moins peuvent être classés comme connus de manière latente. Si, toutefois, on devait dire de telles choses sans le contexte scientifiquement établi - "la violence coloniale vise à assurer la domination et l’exploitation, tandis que la violence antisémite vise à l’anéantissement complet" - on se retrouverait dans un champ miné de suspicions dans l’opinion publique, dont on ne pourrait guère s’échapper, même avec des clarifications ultérieures, et, bien sûr, tout cela ne manquerait pas de sérieuses conséquences professionnelles. En tout cas je considère cet article comme une lecture hautement recommandée, mais en même temps, il montre indirectement à quel point il est devenu risqué en Allemagne de discuter ouvertement de la politique d’ #apartheid d’Israël à l’égard des Palestiniens sans licence académique institutionnelle.

      https://fr.wikipedia.org/wiki/Boycott,_désinvestissement_et_sanctions#En_Allemagne

      Traduit avec l’aide de deepl.com de l’allemand :

      Der Text liefert ein gutes Beispiel, mit welchem argumentativen Aufwand und akribischer Detailkenntnis man in Deutschland zu Werke gehen muss, um öffentlich ohne negative Auswirkungen (BDS) auch nur annähernd eine Parallele zwischen der historisch belegten kolonialen Praxis und dem anhaltenden Umgang Israels mit den Palästinensern ziehen zu dürfen. Das kommt in der beruflichen Realität einem thematisch klar umgrenzten Rede- und Schreibverbot gleich, von dem bestenfalls ein hermetischer Zirkel von Wissenschaftlern ausgenommen ist. Zweifelsohne können viele der hier im Artikel fachkundig zusammengestellten Details als evident angesehen werden, oder sind zumindest als latent bekannt einzustufen. Würde man dergleichen allerdings ohne den wissenschaftlichen gesicherten Kontext “bei kolonialer Gewalt geht es um Herrschaftssicherung und Ausbeutung, bei antisemitischer Gewalt geht es um restlose Vernichtung” äußern, gelangte man in der öffentlichen Meinung auf ein Minenfeld von Verdächtigungen, aus dem es auch mit nachträglichen Klarstellungen, kein Entrinnen mehr gäbe, was selbstredend mit schwerwiegenden beruflichen Konsequenzen einherginge. Grundsätzlich halte ich diesen Artikel für eine sehr empfehlenswerte Lektüre, die aber gleichzeitig indirekt zeigt, wie riskant es in Deutschland geworden ist, die Apartheidpolitik von Israel gegenüber den Palästinensern ohne institutionelle akademische Lizenz offen zu diskutieren.

      #académisme_obligatoire #Palestine

    • Voici un article dans le sens susmentionné de la licence académique et du conflit concernant la question de la relation entre le colonialisme et l’ #antisémitisme dans le #national-socialisme.

      Decolonizing #Auschwitz ?

      https://taz.de/Steffen-Klaevers-ueber-Antisemitismus/!5763362

      [...]

      Es gibt Tendenzen in der postkolonialen Theorie, welche die Spezifik des Antisemitismus nicht richtig erkennen. Man könnte von einer Bagatellisierung sprechen. Das geschieht meist dann, wenn ­Antisemitismus als Spielart, Unterform oder Variante des Rassismus begriffen wird, obwohl es signifikante Unterschiede in den Dynamiken und den ­Wirkungsweisen dieser beiden Ideologien gibt.

      In dem Moment, wo Antisemitismus als Unterform des Rassismus und Rassismus als grundlegende Ideologie des Nationalsozialismus bezeichnet wird, gerät man an theoretische Probleme und Grenzen des Rassismus­konzepts

      [...]

  • Le pétrole contre les droits humains

    En juin 2019, les deux associations françaises les Amis de la Terre France et Survie, et les quatre ougandaises AFIEGO, CRED, NAPE/Amis de la Terre Ouganda et NAVODA, ont mis en demeure la multinationale pétrolière Total, considérant que celle-ci ne respectait pas ses obligations légales de prévenir les violations des droits humains et les dommages environnementaux dans le cadre de son méga-projet pétrolier en Ouganda et Tanzanie.

    Note sur : Les Amis de la Terre – France / Survie : Un cauchemar nommé Total
    Une multiplication alarmante des violations des droits humains en Ouganda et Tanzanie

    https://entreleslignesentrelesmots.blog/2020/11/19/le-petrole-contre-les-droits-humains

    #international #ouganda #tanzanie #petrole #total

  • Rapport « Un cauchemar nommé Total – Une multiplication alarmante des violations des droits humains en Ouganda et Tanzanie » - Survie
    https://survie.org/publications/brochures/article/rapport-un-cauchemar-nomme-total-une-multiplication-alarmante-des-violations

    Ce rapport, publié par Survie et les Amis de la Terre-France, sonne l’alarme sur les activités de Total en Ouganda et Tanzanie : les violations des droits humains dénoncées en juin 2019 se poursuivent et se sont multipliées, touchant aujourd’hui environ 100 000 personnes. Fondé sur une nouvelle enquête de terrain, ce rapport a été versé au dossier judiciaire, en vue de l’audience à la Cour d’Appel de Versailles le 28 octobre 2020, opposant la multinationale pétrolière aux associations françaises et ougandaises. Il s’agit de la toute première action en justice sur le fondement de la loi sur le devoir de vigilance des multinationales.

    https://www.amisdelaterre.org/un-cauchemar-nomme-total

    #Total #Ouganda #Tanzanie

  • Coronavirus : les chauffeurs routiers, source d’inquiétude en Afrique de l’Est
    https://www.lemonde.fr/afrique/article/2020/05/13/coronavirus-les-chauffeurs-routiers-source-d-inquietude-en-afrique-de-l-est_

    Alors que la plupart des pays est-africains ont restreint les déplacements pour enrayer la propagation du coronavirus, les routiers font partie des rares à pouvoir circuler et livrer leurs précieuses marchandises, souvent des vivres, à l’ensemble de la région. Mais des tests réalisés aux frontières ont révélé un nombre de cas élevé parmi eux et mis en lumière les risques de les voir propager le virus. Le président ougandais, Yoweri Museveni, a d’ailleurs récemment estimé qu’ils constituaient une source d’inquiétude pour l’Afrique de l’Est.
    L’Ouganda, qui a recensé au total 126 cas de Covid-19, a mené des milliers de tests sur les chauffeurs routiers, dont 51, essentiellement des Kényans et des Tanzaniens, se sont révélés positifs au coronavirus. Le Rwanda voisin indique depuis trois semaines que le nombre de cas sur son territoire (actuellement 286) « reflète une augmentation de cas parmi les routiers et leurs assistants », sans préciser leur nombre exact. Ailleurs, au Kenya, en RDC ou au Soudan du Sud, des conducteurs de camion ont aussi été testés positifs.

    #Covid-19#circulation#routiers#propagation#virus#test#frontières#Ouganda#Kenya#soudan#RDC#Tanzanie#Rwanda#circulations

  • Contextualizing Coronavirus Geographically

    Contextualizing Coronavirus Geographically

    Knowing Birds and Viruses – from Biopolitics to Cosmopolitics (Pages: 192-213)

    Mapping microbial stories: Creative microbial aesthetic and cross‐disciplinary intervention in understanding nurses’ infection prevention practices

    Biosecurity and the topologies of infected life: from borderlines to borderlands

    Mapping careful epidemiology: Spatialities, materialities, and subjectivities in the management of animal disease

    The tactile topologies of Contagion

    The spatial anatomy of an epidemic: #influenza in London and the county boroughs of England and Wales, 1918–1919

    The tyranny of empty shelves: Scarcity and the political manufacture of antiretroviral stock‐outs in South Kivu, the Democratic Republic of the Congo

    The strange geography of health inequalities

    Maintaining the sanitary border: air transport liberalisation and health security practices at UK regional airports

    For the sake of the child: The economization of reproduction in the #Zika public health emergency

    The avian flu: some lessons learned from the 2003 #SARS outbreak in Toronto

    Airline networks and the international diffusion of severe acute respiratory syndrome (SARS)

    Indeterminacy in‐decisions – science, policy and politics in the BSE (#Bovine_Spongiform_Encephalopathy) crisis

    Biosecure citizenship: politicising symbiotic associations and the construction of biological threat

    The Spatial Dynamics of Epidemic Diseases in War and Peace: #Cuba and the Insurrection against Spain, 1895–98

    Pandemic cities: biopolitical effects of changing infection control in post‐SARS #Hong_Kong

    Biosecurity and the international response to HIV/AIDS: governmentality, globalisation and security

    Portable sequencing, genomic data, and scale in global emerging infectious disease #surveillance

    Disease, Social Identity, and Risk: Rethinking the Geography of AIDS

    Who lives, who dies, who cares? Valuing life through the disability‐adjusted life year measurement

    (Global) health geography and the post‐2015 development agenda

    When places come first: suffering, archetypal space and the problematic production of global health

    After neoliberalisation? Monetary indiscipline, crisis and the state

    Humanitarianism as liberal diagnostic: humanitarian reason and the political rationalities of the liberal will‐to‐care

    In the wake: Interpreting care and global health through #Black_geographies

    Avian influenza and events in political biogeography

    ‘We are managing our own lives . . . ’: Life transitions and care in sibling‐headed households affected by AIDS in Tanzania and Uganda

    https://rgs-ibg.onlinelibrary.wiley.com/doi/toc/10.1111/(ISSN)1475-4959.contextualizing-coronavirus-geographica

    #géographie #coronavirus #covid-19 #pandémie #épidémie #biopolitique #cosmopolitique #contagion #histoire #inégalités #frontières #aéroports #aviaire #Hong-Kong #HIV #AIDS #SIDA #Tanzanie #Ouganda #revue

    ping @reka @simplicissimus