• Léo Malet : « Il n’y a pas souvent de brouillard sur le pont de Tolbiac »
    https://www.franceculture.fr/emissions/les-nuits-de-france-culture/leo-malet-il-ny-pas-souvent-de-brouillard-sur-le-pont-de-0


    En 1982, Sylvie Andreu signait une série estivale intitulée « Quatre semaines de vacances à Paris ». Dans l’un des épisodes il était question des écrivains du 13ème arrondissement, dont Léo Malet qui racontait son rapport au lieu, magnifiquement décrit dans « Brouillard au pont de Tolbiac ».


    https://www.casterman.com/Bande-dessinee/Auteurs/tardi
    #Léo_Malet #Tardi #Paris #bande_dessinée #Tolbiac

  • A propos de la flic infiltrée débusquée au contre-sommet du #G7

    source instable :
    https://nantes.indymedia.org/articles/46321
    sauvegardes :
    http://web.archive.org/web/20190827073324/https://nantes.indymedia.org/articles/46321
    http://archive.is/kWZEJ
    https://iaata.info/A-propos-de-la-flic-infiltree-debusquee-au-contre-sommet-du-G7-3547.html
    https://sansattendre.noblogs.org/post/2019/08/27/de-toulouse-a-bayonne-a-propos-de-la-flic-infiltree-debusquee-

    Sur le camp du contre-sommet, lors d’une assemblée assez sensible portant notamment sur l’organisation du départ de la manif de Bayonne, cette femme a été remarquée (par des personnes la connaissant du mouvement GJ à Toulouse) en train de prendre discrètement, avec son téléphone portable, des photos des gens participant à l’AG. Ces personnes ont décidé d’intervenir et de se confronter à elle, à l’écart de l’AG.

    Nous sommes donc loin d’avoir affaire à une simple indic de la police, comme il y en a bien sûr ici et là. Cette personne organisait, impulsait et poussait à des actions ; elle mettait en relation des gens afin que la police puisse procéder à des arrestations. C’est l’État qui organisait ses coups de filet...

    J’imagine qu’il va y avoir des enquêtes, en attendant y’a un appel à rassembler toutes les infos à l’adresse deratisation1312@riseup.net

    Ça rappelle l’affaire de flic infiltré qui avait été révélée en 2011 : Mark Kennedy / #Mark_Kennedy, espion dans les milieux politiques britanniques et européens... jusqu’à #Tarnac !
    L’occasion de ré-écouter la super émission de France Culture signalée par @davduf ici https://seenthis.net/messages/672015 . Y’avait aussi eut un article de @camillepolloni chez les inrock : https://www.lesinrocks.com/2012/03/13/actualite/actualite/mark-kennedy-la-taupe-de-tarnac
    et pour les passionné-e-s, un travail de titan sur lui est disponible sur la base anti-infiltration montée en angleterre suite au scandale : https://powerbase.info/index.php/Mark_Kennedy

    #NoG7 #G7EZ #g7welcometoparadise #infotraflicsG7 #police #infiltration #manipulation

  • Interview en deux parties de l’avocate Léa Tsemel à l’occasion de la diffusion du documentaire à New-York :

    Part 1 : “Advocate” : Israeli Attorney Lea Tsemel Reflects on Defending Palestinians Who Resist Occupation
    Democracy Now, le 14 juin 2019
    https://www.democracynow.org/2019/6/14/lea_tsemel_advocate_documentary_israel_palestine
    https://www.youtube.com/watch?v=C63dXSN9Tn4

    Part 2 : Defending the Palestinian Resistance Movement : New Film Chronicles Life of Pioneering Israeli Lawyer
    Democracy Now, le 14 juin 2019
    https://www.democracynow.org/2019/6/14/defending_the_palestinian_resistance_movement_new
    https://www.youtube.com/watch?v=k9BWpSXbWBw

    A propos de #Tareq_Barghout dont elle parle, la version courte en français :

    Un avocat palestinien condamné à 13 ans de prison pour des attaques anti-israéliennes
    Le Figaro, le 30 juillet 2019
    http://www.lefigaro.fr/flash-actu/un-avocat-palestinien-condamne-a-13-ans-de-prison-pour-des-attaques-anti-is

    La version longue en anglais :

    How a Top Palestinian Lawyer Devoted to Nonviolent Resistance Became a Terrorist
    Ravit Hecht et Josh Breiner, Haaretz, le 11 août 2019
    https://www.haaretz.com/israel-news/.premium.MAGAZINE-how-a-top-palestinian-lawyer-devoted-to-nonviolent-resist

    Voir aussi :
    https://seenthis.net/messages/171835
    https://seenthis.net/messages/344801
    https://seenthis.net/messages/676993
    https://seenthis.net/messages/678658
    https://seenthis.net/messages/758607
    https://seenthis.net/messages/783641

    #Palestine #Lea_Tsemel #Avocate

    • Après avoir fait le tour du monde depuis un an, voici qu’enfin une salle parisienne accepte de diffuser ce film :

      Le 16 avril à 20h au CENTQUATRE-PARIS (5 rue Curial, P19) : Projection de « Lea Tsemel, avocate (ADVOCATE) », un film de Rachel Leah Jones et Philippe Bellaïche (CANADA/ISRAËL/SUISSE | 2019 | DOCUMENTAIRE | 108 MINUTES). Gratuit, mais je vous conseille de réserver :
      https://billetterie.104.fr/selection/event/date?productId=101530036393

      Lea Tsemel défend les Palestinien.nes : des féministes aux fondamentalistes, des manifestant.es non violent.es aux militant.es armé.es. En tant qu’avocate juive israélienne qui représente des prisonnier.es politiques depuis cinq décennies, Tsemel, dans sa quête inlassable de justice, repousse sans cesse les limites de la pratique de la défense des droits humains. Pour la plupart des Israélien.nes, elle défend l’indéfendable. En ce qui concerne les Palestinien.nes, elle est plus qu’une avocate, elle est une alliée.

  • Ventimiglia : sempre più caro e pericoloso il viaggio dei migranti al confine Italia-Francia

    Confine Francia-Italia: migranti fermati, bloccati, respinti

    I respingimenti sono stati monitorati uno ad uno dagli attivisti francesi del collettivo della Val Roja “#Kesha_Niya” (“No problem” in lingua curda) e dagli italiani dell’associazione Iris, auto organizzati e che si danno il cambio in staffette da quattro anni a Ventimiglia per denunciare gli abusi.

    Dalle 9 del mattino alle 20 di sera si piazzano lungo la frontiera alta di #Ponte_San_Luigi, con beni alimentari e vestiti destinati alle persone che hanno tentato di attraversare il confine in treno o a piedi. Migranti che sono stati bloccati, hanno passato la notte in un container di 15 metri quadrati e infine abbandonati al mattino lungo la strada di 10 km, i primi in salita, che porta all’ultima città della Liguria.

    Una pratica, quella dei container, che le ong e associazioni Medecins du Monde, Anafé, Oxfam, WeWorld e Iris hanno denunciato al procuratore della Repubblica di Nizza con un dossier il 16 luglio. Perché le persone sono trattenute fino a 15 ore senza alcuna contestazione di reato, in un Paese – la Francia – dove il Consiglio di Stato ha stabilito come “ragionevole” la durata di quattro ore per il fermo amministrativo e la privazione della libertà senza contestazioni. Dall’inizio dell’anno i casi sono 18 mila, scrive il Fatto Quotidiano che cita dati del Viminale rilasciati dopo la richiesta di accesso civico fatta dall’avvocata Alessandra Ballerini.

    Quando sia nato Sami – faccia da ragazzino sveglio – è poco importante. Più importante è che il suo primo permesso di soggiorno in Europa lo ha avuto a metà anni Duemila. All’età di 10 anni. Lo mostra. È un documento sloveno. A quasi 20 anni di distanza è ancora ostaggio di quei meccanismi.

    A un certo punto è stato riportato in Algeria – o ci è tornato autonomamente – e da lì ha ottenuto un visto per la Turchia e poi la rotta balcanica a piedi. Per provare a tornare nel cuore del Vecchio Continente. Sami prende un foglio e disegna le tappe che ha attraversato lungo la ex Jugoslavia. Lui è un inguaribile ottimista. Ci riproverà la sera stessa convinto di farcela.

    Altri sono in preda all’ansia di non riuscire. Come Sylvester, nigeriano dell’Edo State, vestito a puntino nel tentativo di farsi passare da turista sui treni delle Sncf – le ferrovie francesi. È regolare in Italia. Ha il permesso di soggiorno per motivi umanitari, oggi abolito da Salvini e non più rinnovabile.

    «Devo arrivare in Germania perché mi aspetta un lavoro come operaio. Ma devo essere lì entro ottobre. Ho già provato dal Brennero. Come faccio a passare?», chiede insistentemente.

    Ventimiglia: le nuove rotte della migrazione

    Il flusso a Ventimiglia è cambiato. Rispetto ai tunisini del 2011, ai sudanesi del 2015, ma anche rispetto all’estate del 2018. Nessuno, o quasi, arriva dagli sbarchi salvo sporadici casi, mostrando plasticamente una volta di più come la cosiddetta crisi migratoria in Europa può cambiare attori ma non la trama. Oggi sono tre i canali principali: rotta balcanica; fuoriusciti dai centri di accoglienza in Italia in seguito alle leggi del governo Conte e ai tagli da 35 a 18-21 euro nei bandi di gare delle Prefetture; persone con la protezione umanitaria in scadenza che non lavorano e non possono convertire il permesso di soggiorno. Questa la situazione in uscita.

    In entrata dalla Francia si assiste al corto circuito del confine. Parigi non si fida dell’Italia, pensa che non vengano prese le impronte digitali secondo Dublino e inserite nel sistema #Eurodac. Perciò respinge tutti senza badare ai dettagli, almeno via treno. Incluse persone con i documenti che devono andare nelle ambasciate francesi del loro Paese perché sono le uniche autorizzate a rilasciare i passaporti.

    Irregolari di lungo periodo bloccati in Italia

    In mezzo ci finiscono anche irregolari di lungo periodo Oltralpe che vengono “rastrellati” a Lione o Marsiglia e fatti passare per nuovi arrivi. Nel calderone finisce anche Jamal: nigeriano con una splendida voce da cantante, da nove mesi in Francia con un permesso di soggiorno come richiedente asilo e in attesa di essere sentito dalla commissione. Lo hanno fermato gli agenti a Breil, paesotto di 2 mila anime di confine, nella valle della Roja sulle Alpi Marittime. Hanno detto che i documenti non bastavano e lo hanno espulso.

    Da settimane gli attivisti italiani fanno il diavolo a quattro con gli avvocati francesi per farlo rientrare. Ogni giorno spunta un cavillo diverso: dichiarazioni di ospitalità, pec da inviare contemporaneamente alle prefetture competenti delle due nazioni. Spesso non servono i muri, basta la burocrazia.

    Italia-Francia: passaggi più difficili e costosi per i migranti

    Come è scontato che sia, il “proibizionismo” in frontiera non ha bloccato i passaggi. Li ha solo resi più difficili e costosi, con una sorta di selezione darwiniana su base economica. In stazione a Ventimiglia bastano due ore di osservazione da un tavolino nel bar all’angolo della piazza per comprendere alcune superficiali dinamiche di tratta delle donne e passeurs. Che a pagamento portano chiunque in Francia in automobile. 300 euro a viaggio.

    Ci sono strutture organizzate e altri che sono “scafisti di terra” improvvisati, magari per arrotondare. Come è sempre stato in questa enclave calabrese nel nord Italia, cuore dei traffici illeciti già negli anni Settanta con gli “spalloni” di sigarette.

    Sono i numeri in città a dire che i migranti transitato, anche se pagando. Nel campo Roja gestito dalla Croce Rossa su mandato della Prefettura d’Imperia – l’unico rimasto dopo gli sgomberi di tutti gli accampamenti informali – da gennaio ci sono stabilmente tra le 180 e le 220 persone. Turn over quasi quotidiano in città di 20 che escono e 20 che entrano, di cui un minore.

    Le poche ong che hanno progetti aperti sul territorio frontaliero sono Save The Children, WeWorld e Diaconia Valdese (Oxfam ha lasciato due settimane fa), oltre allo sportello Caritas locale per orientamento legale e lavorativo. 78 minori non accompagnati da Pakistan, Bangladesh e Somalia sono stati trasferiti nel Siproimi, il nuovo sistema Sprar. Il 6 e il 12 luglio, all’una del pomeriggio, sono partiti due pullman con a bordo 15 e 10 migranti rispettivamente in direzione dell’hotspot di Taranto. È stato trasferito per errore anche un richiedente asilo a cui la polizia ha pagato il biglietto di ritorno, secondo fonti locali.

    Questi viaggi sono organizzati da Riviera Trasporti, l’azienda del trasporto pubblico locale di Imperia e Sanremo da anni stabilmente con i conti in rosso e che tampona le perdite anche grazie al servizio taxi per il ministero dell’Interno: 5 mila euro a viaggio in direzione dei centri di identificazione voluti dall’agenda Europa nel 2015 per differenziare i richiedenti asilo dai cosiddetti “migranti economici”.
    A Ventimiglia vietato parlare d’immigrazione oggi

    A fine maggio ha vinto le elezioni comunali Gaetano Scullino per la coalizione di centrodestra, subentrando all’uscente Pd Enrico Ioculano, oggi consigliere di opposizione. Nel 2012, quando già Scullino era sindaco, il Comune era stato sciolto per mafia per l’inchiesta “La Svolta” in cui il primo cittadino era accusato di concorso esterno. Lui era stato assolto in via definitiva e a sorpresa riuscì a riconquistare il Comune.

    La nuova giunta non vuole parlare di immigrazione. A Ventimiglia vige un’ideologia. Quella del decoro e dei grandi lavori pubblici sulla costa. C’è da completare il 20% del porto di “Cala del Forte”, quasi pronto per accogliere i natanti.

    «Sono 178 i posti barca per yacht da 6,5 a oltre 70 metri di lunghezza – scrive la stampa del Ponente ligure – Un piccolo gioiello, firmato Monaco Ports, che trasformerà la baia di Ventimiglia in un’oasi di lusso e ricchezza. E se gli ormeggi sono già andati a ruba, in vendita nelle agenzie immobiliari c’è il complesso residenziale di lusso che si affaccerà sull’approdo turistico. Quarantaquattro appartamenti con vista sul mare che sorgeranno vicino a un centro commerciale con boutique, ristoranti, bar e un hotel». Sui migranti si dice pubblicamente soltanto che nessun info point per le persone in transito è necessario perché «sono pochi e non serve».

    Contemporaneamente abbondano le prese di posizione politiche della nuova amministrazione locale per istituire il Daspo urbano, modificando il regolamento di polizia locale per adeguarsi ai due decreti sicurezza voluti dal ministro Salvini. Un Daspo selettivo, solo per alcune aree della città. Facile immaginare quali. Tolleranza zero – si legge – contro accattonaggio, improperi, bivacchi e attività di commercio abusivo. Escluso – forse – quello stesso commercio abusivo in mano ai passeurs che libera la città dai migranti.

    https://www.osservatoriodiritti.it/2019/07/24/ventimiglia-migranti-oggi-bloccati-respinti-francia-situazione/amp
    #coût #prix #frontières #asile #migrations #Vintimille #réfugiés #fermeture_des_frontières #France #Italie #danger #dangerosité #frontière_sud-alpine #push-back #refoulement #Roya #Vallée_de_la_Roya

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    Quelques commentaires :

    Les « flux » en sortie de l’Italie, qui entrent en France :

    Oggi sono tre i canali principali: rotta balcanica; fuoriusciti dai centri di accoglienza in Italia in seguito alle leggi del governo Conte e ai tagli da 35 a 18-21 euro nei bandi di gare delle Prefetture; persone con la protezione umanitaria in scadenza che non lavorano e non possono convertire il permesso di soggiorno. Questa la situazione in uscita.

    #route_des_Balkans et le #Decrét_Salvini #Decreto_Salvini #decreto_sicurezza

    Pour les personnes qui arrivent à la frontière depuis la France (vers l’Italie) :

    In entrata dalla Francia si assiste al corto circuito del confine. Parigi non si fida dell’Italia, pensa che non vengano prese le impronte digitali secondo Dublino e inserite nel sistema Eurodac. Perciò respinge tutti senza badare ai dettagli, almeno via treno. Incluse persone con i documenti che devono andare nelle ambasciate francesi del loro Paese perché sono le uniche autorizzate a rilasciare i passaporti.
    (...)
    In mezzo ci finiscono anche irregolari di lungo periodo Oltralpe che vengono “rastrellati” a Lione o Marsiglia e fatti passare per nuovi arrivi.

    #empreintes_digitales #Eurodac #renvois #expulsions #push-back #refoulement
    Et des personnes qui sont arrêtées via des #rafles à #Marseille ou #Lyon —> et qu’on fait passer dans les #statistiques comme des nouveaux arrivants...
    #chiffres

    Coût du passage en voiture maintenant via des #passeurs : 300 EUR.

    Et le #business des renvois de Vintimille au #hotspot de #Taranto :

    Il 6 e il 12 luglio, all’una del pomeriggio, sono partiti due pullman con a bordo 15 e 10 migranti rispettivamente in direzione dell’hotspot di Taranto. È stato trasferito per errore anche un richiedente asilo a cui la polizia ha pagato il biglietto di ritorno, secondo fonti locali.

    Questi viaggi sono organizzati da #Riviera_Trasporti, l’azienda del trasporto pubblico locale di Imperia e Sanremo da anni stabilmente con i conti in rosso e che tampona le perdite anche grazie al servizio taxi per il ministero dell’Interno: 5 mila euro a viaggio in direzione dei centri di identificazione voluti dall’agenda Europa nel 2015 per differenziare i richiedenti asilo dai cosiddetti “migranti economici”.

    –-> l’entreprise de transport reçoit du ministère de l’intérieur 5000 EUR à voyage...

  • Cyanide bombs: US says it’s OK to kill wild animals with deadly poison - BBC News
    https://www.bbc.com/news/newsbeat-49292681

    The US government has approved the continued use of “cyanide bombs” to kill pests such as coyotes, foxes and dogs that live in the wild in America.
    It comes despite thousands of objections to the M-44 devices, which have killed more than just wild animals since they were first introduced.
    They work by drawing animals with bait then spraying poison into their mouths.
    But in 2017, a child was temporarily blinded and three pet dogs killed in two incidents in Idaho and Wyoming.
    The family of the child successfully sued the US government for $150,000 (£124,000) in 2018.
    One of the M-44 cyanide bombs had been placed near their backyard in Idaho.

  • #Histoire de l’#Afrique_de_l’Ouest en un clin d’œil

    De toutes les régions du continent africain, c’est l’Afrique de l’Ouest qui a eu la plus grande concentration d’anciens royaumes et empires dans son histoire précoloniale.

    Ce n’est pas une tâche facile que de tenter de prendre des clichés de l’Afrique de l’Ouest à divers moments de son évolution. Même les royaumes les plus importants de l’histoire de la région — les empires du Mali, Songhai, du Ghana, Ashanti, etc. —, avec leurs frontières toujours changeantes, ne donnent que des images troubles. Les petites communautés et les territoires tribaux, qui ont toujours parsemé le paysage, sont encore plus flous et, bien qu’ils aient eu, sans aucun doute, un impact sur l’histoire culturelle de l’Afrique de l’Ouest, ils ont dû être omis.


    ... et ainsi de suite...

    Pour voir les cartes en une animation vidéo (j’ai pas réussi à l’extraire de twitter pour le mettre ici) :
    https://twitter.com/i/status/1144289420071321602

    #Tékrour

    Établi par le peuple #toucouleur de la vallée du #fleuve_Sénégal, le royaume de Tékrour a été le premier État de la région à adopter l’#Islam. Bien que devenu un État islamique robuste, Tékrour n’a jamais pu se défaire pour très longtemps du contrôle de ses puissants voisins : d’abord sous l’emprise de l’empire du Ghana, il a ensuite été conquis par celui du Mali.

    Écrivant bien plus tard, en 1270, Ibn Saïd a dépeint les aristocrates de Tékrour et leur affinité avec les commerçants blancs du Maghreb, dont ils imitaient les tenues et la cuisine. Il a aussi décrit deux sections distinctes de la population de Tékrour : les sédentaires, ancêtres des actuels Toucouleurs, et les nomades, qui deviendront les Peuls.

    #Gao (ou #Kaw-Kaw)

    Les débuts de la ville de Gao sont obscurs. Elle a été fondée pendant le VIIe siècle, soit comme village pêcheur des #Songhaïs, soit pour servir d’étape aux commerçants d’or berbères. Quoiqu’il en soit, la ville a rapidement fleurit et elle est devenue un centre majeur de commerce en Afrique de l’Ouest. L’empire de Gao s’est étendu depuis la ville le long du Niger sous la direction des Songhaïs. Au IXe siècle, Gao était déjà une puissance régionale.

    La culture de #Nok

    Parmi les sociétés du Néolithique et de l’Âge de Fer en Afrique de l’Ouest, la culture de Nok est peut-être la toute première et la plus connue, datant de 1000 av. J.-C. Cette société très développée s’est épanouie sur le plateau de #Jos qui surplombe la confluence des fleuves Niger et Bénoué, et a exercé une influence considérable sur une vaste étendue. La terre des sites archéologiques de #Taruga et de Jos était parfaite pour préserver les anciennes poteries et statues en terre cuite du peuple de Nok ; leurs sculptures détaillées d’humains et d’animaux varient en échelle de grandeur nature à 2,5 cm.

    Grâce à la découverte d’outils et d’objets en fer à Nok, les chercheurs savent que l’Âge de Fer a commencé en Afrique de l’Ouest aux alentours de 500 av. J.-C., alors que même en Egypte et en Afrique du Nord, l’usage du fer n’était pas encore généralisé. Contrairement à la plupart des autres cultures qui sont passées du #Néolithique à l’#Âge_de_Fer, la culture de Nok a évolué directement de la #pierre au #fer, sans connaître les étapes des âges du bronze et du cuivre. Ceci a amené les chercheurs à se demander si la technologie de production de fer a été apportée d’une autre région, ou si les Nok l’ont découverte par eux-mêmes.

    #Djenné-Djenno

    L’ancienne ville de Djenné-Djenno comptait une population considérable, comme l’indiquent les cimetières bondés qui ont été déterrés. Les habitants faisaient probablement pousser leur propre nourriture : comparé aux conditions arides de la région aujourd’hui, les précipitations auraient été abondantes à leur époque. Les habitants de Djenné-Djenno étaient des forgerons habiles qui créaient des outils et des bijoux en fer.

    La ville faisait partie d’un réseau commercial bien développé, quoique son étendue fasse toujours débat. L’absence de toute source de fer dans les environs pour leur industrie métallurgique, ainsi que la présence de perles romaines et hellénistiques sur le site suggèrent à certains chercheurs que la ville avait des relations avec des terres distantes.

    Les émigrations

    Le peuple #bantou est originaire du centre de l’actuel #Nigeria, mais a commencé son émigration vers le centre, et plus tard, le sud de l’Afrique vers 1000 av. J.-C. À cette époque, il reste peu de #Bantous, voire aucun, dans la région, mais les échos de leurs culture et traditions résonnent encore à travers l’Afrique de l’Ouest.

    Vers 200 av. J.-C., des groupes #akan ont commencé à se déplacer vers l’ouest, depuis la région située autour du #Lac_Tchad. Au cours des siècles suivants, ils traversèrent des rivières et des forêts denses pour atteindre la côte de l’actuel #Ghana.
    https://www.culturesofwestafrica.com/fr/histoire-afrique-de-l-ouest
    #archéologie #chronologie #cartographie #visualisation

  • Quand l’exploitation minière divise la Grèce

    Dans une vaste plaine au coeur des #montagnes du nord de la Grèce, quatre mines de charbon laissent un paysage dévasté. Alors que cet ensemble d’exploitations à ciel ouvert, principal pourvoyeur d’emplois de la région, s’étend toujours plus, les glissements de terrain se multiplient, ravageant les villages environnants.

    Entre relogements aléatoires, maladies liées à l’extraction du lignite et refus d’indemnisations, le combat des citoyens pour se faire entendre se heurte à un mur.


    https://www.arte.tv/fr/videos/084754-002-A/arte-regards-quand-l-exploitation-miniere-divise-la-grece
    #extractivisme #Grèce #charbon #mines #pollution #énergie #destruction #IDPs #déplacés_internes #travail #exploitation #centrales_thermiques #sanctions #privatisation #DEI #lignite #santé #expropriation #villes-fantôme #agriculture #Allemagne #KFW #Mavropigi #effondrement #indemnisation #justice #migrations #centrales_électriques #documentaire #terres #confiscation #conflits #contamination #pollution_de_l'air

    ping @albertocampiphoto @daphne

    • Athènes face au défi de la fin de la #houille

      La Grèce, longtemps troisième productrice de charbon d’Europe, veut fermer la plupart de ses centrales thermiques en 2023 et mettre fin à sa production d’ici à 2028. En Macédoine-Occidentale, les habitants s’inquiètent des conséquences socio-économiques.

      Kozani (Grèce).– Insatiables, elles ont absorbé en soixante-cinq ans plus de 170 kilomètres carrés, dans la région de Macédoine-Occidentale, dans le nord de la Grèce. Les mines de #lignite ont englouti des villages entiers. Les excavateurs ont méthodiquement déplacé la terre et creusé des cratères noirâtres. Les forêts se sont métamorphosées en d’immenses plaines lacérées de tapis roulants. Tentaculaires, ceux-ci acheminent les blocs noirs de lignite jusqu’aux imposantes #centrales_thermiques, au loin.

      Contraste saisissant avec les îles idylliques qui font la célébrité du pays, ce paysage lunaire est surnommé « le #cœur_énergétique » de la Grèce. Quatre #mines_à_ciel_ouvert s’étirent ainsi aujourd’hui des villes de #Kozani à #Florina.

      « Il fallait trouver toujours plus de lignite pour produire l’#électricité du pays », précise le contremaître Antonis Kyriakidis, attaché à ce territoire sans vie qui lui donne du travail depuis trente ans. La recherche de cet « #or_noir » a créé des milliers d’#emplois, mais a dangereusement pollué l’atmosphère, selon plusieurs études.

      L’ensemble de ce #bassin_minier, le plus important des Balkans, propriété de la compagnie électrique grecque #D.E.I – contrôlée par l’État – va cependant bientôt disparaître. Le gouvernement de droite Nouvelle Démocratie a programmé l’arrêt des dernières centrales thermiques dans deux ans et la fin de la production de lignite en 2028, suivant l’objectif de #neutralité_carbone de l’UE d’ici à 2050.

      La production annuelle d’électricité tirée de la combustion de lignite est passée de 32 GW à 5,7 GW entre 2008 et 2020. Trois centrales sont aujourd’hui en activité sur les six que compte la région. Il y a quinze ans, 80 % de l’électricité grecque provenait du charbon extrait de ces mines, ouvertes en 1955, contre 18 % aujourd’hui.

      Seule la nouvelle unité « #Ptolemaida_V » continuera ses activités de 2022 à 2028. Sa construction a commencé il y a six ans, alors que la #décarbonisation n’était pas officiellement annoncée. La Grèce veut désormais privilégier le #gaz_naturel en provenance de Russie ou de Norvège, grâce à différents #gazoducs. Ou celui tiré de ses propres ressources potentielles en Méditerranée. Elle souhaite aussi développer les #énergies_renouvelables, profitant de son climat ensoleillé et venteux.

      Selon le plan de sortie du lignite, dévoilé en septembre 2020 par le ministère de l’environnement et de l’énergie, la Macédoine-Occidentale deviendra une région « verte » : on y développera l’« agriculture intelligente »*, le photovoltaïque ou le tourisme. Une grande partie des mines de D.E.I seront réhabilitées par l’État, enfouies sous des lacs artificiels. La #transition sera assurée, détaille le plan, à hauteur de 5,05 milliards d’euros, par différents fonds nationaux et européens, dont 2,03 milliards issus du #mécanisme_européen_pour_une_transition_juste (#MJT). Le gouvernement espère aussi attirer les investisseurs étrangers.

      Dubitatif dans son bureau lumineux, Lazaros Maloutas, maire centriste de Kozani, la plus grande ville de cette région qui compte 285 000 habitants, peine à imaginer cette métamorphose dans l’immédiat. « Tout le monde est d’accord ici pour dire que la #transition_énergétique est nécessaire, mais l’agenda est beaucoup trop serré », explique-t-il.

      Il insiste poliment sur le fait que « les autorités doivent échanger davantage avec les acteurs locaux ». Il garde en mémoire cet épisode de septembre 2019, lorsqu’il a appris « avec surprise » le calendrier précis de la décarbonisation « à la télévision ». À des milliers de kilomètres, depuis le sommet Action Climat de l’ONU à New York, le premier ministre, Kyriakos Mitsotakis, annonçait que les mines et centrales thermiques du coin fermeraient d’ici à 2028.

      « Le ministre de l’énergie n’est ensuite venu ici qu’à deux reprises en 2020 », ajoute Lazaros Maloutas, qui a boycotté l’une de ses visites, comme d’autres élus locaux avec lesquels il a formé l’Association des communes énergétiques.

      Cette transition constitue pourtant un « enjeu majeur », martèle de son côté Anastasios Sidiropoulos, le responsable de l’#Agence_régionale_de-développement (#Anko), située à quelques bâtiments de la mairie de Kozani. « Plus qu’une transition écologique, c’est une #transition_économique totale qui se joue ici. »

      En dépit du déclin de la production ces dix dernières années, « les mines et centrales restent fondamentales pour l’#économie_locale ». « La compagnie D.E.I emploie 3 100 salariés, mais le secteur fait aussi vivre au moins 5 000 intermittents et travailleurs indépendants », détaille-t-il. Il s’alarme du contexte régional déjà déprimé dans lequel s’inscrit cette transition : une population vieillissante, un taux de chômage de 26 %, des jeunes qui fuient les communes, etc. « Selon nos études de terrain, il faudrait se donner jusqu’à 2040 pour réussir cette transition », affirme Anastasios Sidiropoulos.

      Il compare avec amertume l’échéance de sortie de lignite de la Grèce, troisième producteur de charbon de l’Union européenne (UE), à celle de l’Allemagne ou de la Pologne. Berlin se donne vingt-neuf ans pour fermer progressivement ses dix mines à ciel ouvert. Varsovie prévoit aussi la fermeture de ses treize mines de lignite d’ici à 2049.

      L’effondrement de la « montagne » D.E.I

      En Grèce, la compagnie d’électricité D.E.I veut toutefois aller vite. La crise de la dette a affaibli l’entreprise qui a privatisé une partie de ses activités depuis 2014. Ses cheminées vieillissantes et ses mines lui coûtent 300 millions d’euros par an, notamment en raison de la #taxe_carbone et du système d’échange de quotas d’émission.

      D.E.I assure qu’elle ne fuit pas ces terres qu’elle a totalement acquises en 1975. « Nous avons une #dette_morale envers les personnes qui ont soutenu D.E.I toutes ces années. Notre engagement est absolu », insiste d’un ton solennel Ioannis Kopanakis, le directeur général adjoint de la compagnie qui assure, dans un courriel, que les 3 100 employés « auront tous une alternative ». Le sort incertain des milliers de #travailleurs_indépendants inquiète toutefois les syndicats.

      D.E.I conservera certains terrains où elle érige déjà avec #RWE, le géant allemand de l’électricité, le plus grand #parc_photovoltaïque du pays, d’une puissance de 2 GW. Avec l’arrivée de nouvelles entreprises, les riverains craignent la chute des #salaires, autrefois fixes chez D.E.I. « Il existe un tel manque de transparence sur les plans des nouveaux investisseurs que les habitants ont l’impression que l’on donne le territoire aux étrangers », relève pour sa part Lefteris Ioannidis.

      L’ancien maire écologiste de Kozani (2014-2019) milite vivement en faveur d’une transition « très rapide, car il y a urgence ». Mais il reconnaît que la mentalité régionale d’« État charbonnier est difficile à changer », avec une relation de quasi-dépendance à un employeur. Les investisseurs étrangers étaient jusqu’ici absents de la #Macédoine-Occidentale, où D.E.I avait tout absorbé. « C’était une montagne ici, elle faisait partie du paysage », précise Lefteris Ioannidis.

      Son ombre plane sur les villages perdus, desservis par des routes vides aux panneaux rouillés et stations-essence abandonnées. À #Agios_Dimitrios, les six cents habitants ont vue sur l’imposante centrale thermique du même nom qui barre l’horizon. L’un d’eux, Lambros, dénonce le rôle de l’État, qui « n’a jamais préparé cette transition pourtant inéluctable. Elle arrive violemment ». Il a davantage de mal à en vouloir à D.E.I qu’il n’ose critiquer publiquement, comme d’autres ici qui entretiennent un sentiment ambivalent à son égard. « D.E.I, c’était Dieu ici. Elle est notre bénédiction comme une malédiction », dit cet homme charpenté, dont la fumée de cigarette s’échappe dans l’air chargé de poussière.

      « Il y avait un problème de #pollution, des #cancers ou #maladies_respiratoires, mais les ouvriers fermaient les yeux car ils mangeaient à leur faim. Ils avaient des tarifs réduits sur l’électricité, se remémore le villageois. C’était une fierté de produire l’électricité de tout le pays et maintenant on va importer du gaz d’Azerbaïdjan [grâce au #gazoduc_transadriatique – ndlr]. J’ai aussi peur qu’on déplace le problème pour des raisons économiques et non environnementales. » Il craint l’importation de lignite depuis les Balkans voisins qui, contrairement à la Grèce, taxent faiblement les émissions de carbone. Il sait que d’autres pays de l’UE l’on fait en 2019, « pourquoi pas la Grèce », interroge-t-il. Lambros redoute la montée des #prix de l’électricité ou du chauffage pour les habitants.

      L’un des défis pour la région est en effet de conserver ces bas #tarifs et l’indépendance énergétique obtenue avec ces centrales polluantes. La ville d’#Amynteo a tenté une initiative en ce sens, en inaugurant il y a six mois une nouvelle centrale #biomasse. Une cheminée fumante se dresse à côté d’une ancienne centrale thermique en friche où errent quelques chiens.

      Les deux fours ingurgitent des tonnes de résidus de tournesols, blé, copeaux de bois venu de Grèce, de Bulgarie et d’Ukraine, permettant de chauffer 8 000 foyers. « Notre but, à terme, est de brûler uniquement de la biomasse locale en provenance des champs alentour », assure le directeur, Kostas Kyriakopoulos. Il rappelle toutefois que si une centrale biomasse peut alimenter quelques milliers de foyers, « elle ne peut pas couvrir les besoins en chauffage à grande échelle ».

      https://www.mediapart.fr/journal/international/050621/athenes-face-au-defi-de-la-fin-de-la-houille
      #DEI

  • Nicht nur Konzerne und Behörden haben es auf unsere Daten abgesehen...
    https://diasp.eu/p/9332488

    Nicht nur Konzerne und Behörden haben es auf unsere Daten abgesehen. Mit der zunehmenden Digitalisierung unseres Alltags, erhalten auch die Schattenseiten der Technik Einzug in unser Privatleben. Spionage-Apps, Smart-Home-Terror, Datenleaks und Hacking werden zunehmend von (Ex-)Partnern genutzt um Kontrolle auszuüben.

    https://tarnkappe.info/ueberwachung-im-privaten-digitale-gewalt-gegen-ex-partner

    Tags: #digitaleSoA #tarnkappe #stalking #überwachung #scheidung #trennung #partnerschaft #smarthome

    via dandelion* client (Source)

  • Affaire Zineb #Redouane – Intrigues et omerta au #parquet de #Marseille
    https://lemediapresse.fr/politique/affaire-zineb-redouane-intrigues-et-omerta-au-parquet-de-marseille

    Au point mort depuis 7 mois, les dernières révélations sur le dossier Zineb Redouane semblent en mesure de changer la donne. Alors que Le Média continue d’enquêter, la pression est désormais forte sur les autorités politiques, judiciaires et policières. L’affaire ayant pris une dimension nationale, on perçoit à Marseille les échos de ce revirement. Au tribunal, notamment, où des soupçons de dérapages policiers pèsent sur un autre dossier. Hier, il fallait être dans la rue et lire la presse pour toucher du doigt les trop nombreuses zones d’ombre.

    #Politique #Social #Algérie #Autopsie #Castaner #Gilets_Jaunes #IGPN #Justice #Lacrymo #Police #Provence #tapie #tarabeux

  • Cervelle de canut
    https://cuisine-libre.fr/cervelle-de-canut

    Faisselle aux #Herbes, typique de la cuisine lyonnaise. Démouler le #Fromage_blanc dans un saladier. Effeuiller toutes les fines herbes et les mélanger. Les ciseler finement (mais ne pas les passer au mixer). Peler et hacher la gousse d’ail et les échalotes. Verser le vinaigre sur le fromage blanc, mélanger, saler et poivrer, puis incorporer l’huile en battant la préparation. Ajouter l’ail, l’échalote et les fines herbes. Goûter et rectifier l’assaisonnement. Mettre au frais 1 heure au moins avant de …

    Herbes, #Estragon, #Cerfeuil, Fromage blanc, #Tartinades / #Végétarien, #Sans_œuf, #Sans_gluten, #Sans_viande, (...)

    #Marinade/Saumure

  • TVöD Sozial- und Erziehunsgdienst 2019: Gehalt für Erzieherinnen
    https://oeffentlicher-dienst-news.de/gehalt-tvoed-sue-erzieherinnen-so-viel-verdienen-erzieher-

    Rund drei Viertel aller Erzieherinnen, Kindergärtnerinnen (ein veralteter Begriff) und anderer Berufe im Bereich der Sozial- und Erziehungsdienste arbeiten im öffentlichen Dienst. Für sie gilt – und das ist eine gute Nachricht – der Tarifvertrag für den öffentlichen Dienst. Die Entgelttabellen werden im besonderen Teil TVöD Sozial- und Erziehungsdienste (TVöD SuE) festgeschrieben. Der TVöD wird regelmäßig neu verhandelt, so das Erzieherinnen regelmäßig von Gehaltserhöhungen profitieren. 2018 hat die letzte Tarifrunde stattgefunden. Es wurden drei Gehaltserhöhungen zwischen Gewerkschaften und den Arbeitgebern (VKA) vereinbart. 

    Gehalt für Erzieherinnen 2019: TVöD sieht Gehaltssteigerung vor
    Im Jahr 2019 wird der TVöD für die Angestellten der Kommunen zum zweiten Mal angehoben. Ab 1. April 2019 steigen die Entgelte im Schnitt um 3,09 Prozent. Bereits ein Jahr zuvor sind diese um 3,19 Prozent gestiegen. Mit der letzten Erhöhung zum 1. März 2020 um im Schnitt 1,06 Prozent hat das Tarifergebnis ein Volumen von insgesamt 7,5 Prozent bei 30 Monaten Laufzeit.

    TVöD-Entgelttabelle für Erzieherinnen: Sozial- und Erziehungsdienste 2019
    Gültig 01.04.2019 – 29.02.2020

    #Berlin #Tarifvertrag #TVÖD #Pädagogik

  • #Journalisme : une tribune importante mais que je n’ai pas pu signer, je m’en explique à la fin :

    "Nous assistons à une volonté délibérée de nous empêcher de travailler" : plus de 350 #médias, #journalistes, #photographes, #vidéastes, indépendants ou appartenant à des rédactions dénoncent, dans une tribune publiée sur franceinfo.fr, les violences policières subies par leur profession depuis le début du mouvement. Ils alertent sur la précarisation de leurs conditions de travail et les agressions physiques et psychologiques vécues sur le terrain. Ils revendiquent leur droit à informer et la liberté de la presse.

    https://www.francetvinfo.fr/economie/transports/gilets-jaunes/tribune-nous-assistons-a-une-volonte-deliberee-de-nous-empecher-de-trav


    photo : Niclas Messyasz

    Cette tribune est doublement importante. Évidemment elle l’est car elle dénonce enfin, clairement et massivement, la volonté flagrante de mutiler les témoins de la répression.

    Il n’y a pas eu de manifestations ou de rassemblements ces derniers mois sans qu’un·e journaliste n’ait été violenté·e physiquement et ou verbalement par les forces de l’ordre.

    Par violence, nous entendons : mépris, tutoiement quasi systématique, intimidations, menaces, insultes. Mais également : tentatives de destruction ou de saisie du matériel, effacement des cartes mémoires, coups de matraque, gazages volontaires et ciblés, tirs tendus de lacrymogènes, tirs de LBD, jets de grenades de désencerclement, etc. En amont des manifestations, il arrive même que l’on nous confisque notre matériel de protection (masque, casque, lunettes) en dépit du fait que nous déclinions notre identité professionnelle.

    Toutes ces formes de violences ont des conséquences physiques (blessures), psychiques (psychotraumatismes) ou financières (matériel cassé ou confisqué). Nous sommes personnellement et professionnellement dénigré·e·s et criminalisé·e·s.

    Plus récemment, un cap répressif a été franchi. Plusieurs confrères ont été interpellés et placés en garde à vue pour « participation à un groupement en vue de commettre des violences ou des dégradations », alors même que nous nous déclarons comme journalistes. Par ces faits, la police et la justice ne nous laissent ainsi que deux options :
    – venir et subir une répression physique et ou judiciaire ;
    – ne plus venir et ainsi renoncer à la liberté d’information.

    Cela fait des années qu’on le sait, qu’on le dit, un premier acte de solidarité avait été avorté en 2014 suite à la manif pour la #zad de Notre-Dame-des-Landes du 22 février à Nantes, suite à laquelle #Yves_Monteil et #Gaspard_Glanz avaient porté plainte, en vain, dans un silence assourdissant face au rouleau compresseur de la communication parlant uniquement d’une ville « dévastée » (image faussée à laquelle, ironie du sort, ce dernier avait contribué en parlant de guerre). Voir l’article de @bastamag à l’époque : Silence médiatique sur les dizaines de manifestants et de journalistes blessés à Nantes : https://www.bastamag.net/Silence-mediatique-sur-les

    Depuis, ça n’a fait que s’aggraver, forçant certain-e-s à bosser groupé-e-s sans être libres de suivre leur inspiration, forçant les autres à prendre de gros risques. Et pour témoigner de manière indépendante il ne reste que deux solutions : la première consiste à ne jamais aller au front, ce qui était mon cas, mais désormais le front est partout et des traumatismes en 2018 m’ont fait définitivement quitter le terrain des manifs. L’autre consiste à s’infiltrer dans le black-bloc, voire à faire du « #gonzo », au risque de devenir aussi la cible de celles et ceux qui, légitimement, veillent à l’anonymat des personnes présentes. De très nombreuses images de ces angles différents ayant permis aux flics de faire des « triangulations » et mettre en taule un paquet de militant-e-s, souvent avec des preuves très bancales et la complicité de la justice...

    Cette tribune est aussi importante car elle souligne, en ce #1er_mai, la précarité de la profession, allant jusqu’à entraîner parfois un asservissement volontaire et souvent des distorsions cognitives chez les candidat-e-s aux métiers du journalisme. C’est difficile sur le terrain mais c’est aussi difficile ensuite. Après le dérushage et le travail / indexage des images, il faut se battre pour vendre. A des tarifs de misère particulièrement en photo. 15€ en PQR, 150€ en presse nationale... Ça ne permet que rarement de vivre et d’avoir les moyens de continuer. Et, à quelques exceptions près, l’esprit de concurrence prime sur tout. Écouter les interviews croisées de #NnoMan_Cadoret, #Adèle_Löffler, #Martin_Noda et #Maxime_Reynié qui n’ont pas tou-te-s de carte de presse délivrée par la Commission de la Carte d’Identité des Journalistes Professionnels. Et qui, pourtant, font vraiment le métier de journalistes...
    https://radioparleur.net/2019/04/30/photojournalistes-independants-violences-policieres

    J’en viens à la raison qui m’a empêchée de signer cette tribune.
    D’une part je ne me considère pas comme journaliste, mais comme photographe-illustratrice , ou photographe #auteure, comme on dit. Pour ça, je ne dois pas viser le fait de vendre, mais de faire, d’œuvrer. Être oeuvrière comme le dit justement Lubat. Faire sens. Et donc de ne pas quitter le chemin de ce qui m’inspire, de refuser beaucoup de compromis et n’accepter que ce qui va dans le sens de ce que je fais. Évidemment, être payée pour illustrer articles et livres est une joie et j’espère le faire de plus en plus ... et pour être franche, mon matériel photo en a grave besoin ! Même si franchement, la méconnaissance de ce travail et les contrôles incessants de la CAF ne motivent pas... Mais le #bénévolat est logique pour illustrer les #médias_libres et les luttes auxquelles je participe ; à contrario la recherche de vente à tout prix tait / tue mon travail. Être considéré-e comme professionnel-le est certes beaucoup trop inféodé à l’argent et pas suffisamment à la pratique mais cette tribune ne parle hélas pas des autres professions de l’information, de l’illustration, ni du bénévolat. J’ai donc posé la question de l’exclusion des autres photographes, craignant que nous nous retrouvions à définir une nouvelle norme qui allait de toute façon en laisser beaucoup sur le carreau.

    Je sais pas trop comment exprimer ça mais s’engouffrer dans ce truc de carte de presse je le perçois comme le même piège que la signature des conventions pour la zad : c’est déléguer sur [nous] la norme et le tri alors que le problème n’est pas là. Quid des hors-normes ?
    Le véritable problème c’est la répression, les violences policières et judiciaires, le mépris d’un Castaner accompagné d’une « christalisation » dangereuse autour de Gaspard Glanz dont lui-même ne veut pas, qui tendrait à faire croire qu’il existe un modèle de « bavure » inacceptable
    Macron base toute sa politique sur une communication orwellienne. Tout le monde le sait, même, et surtout, son fan club mediatique, qui se mord les lèvres entre hilarité face à l’insolence et désir de lui ressembler. Refuser et contrer cette stratégie est un devoir.
    Je me garderai bien d’évoquer une solution car pour moi seule la diversité des réponses ALLIÉES peut faire effet. Et on est loin du compte, surtout si face à chaque attaque nous choisissons ce qui nous trie et nous affaibli...
    https://twitter.com/ValKphotos/status/1121714579350929408

    Autre questionnement, encore plus important à mes yeux : quid de tou-te-s les autres témoins ? De toutes les personnes qui, enfin, légitimement, et souvent en tremblant, lèvent leurs smartphones face aux violences policières ? N’exiger le respect de l’acte de « reporter » que pour les « professionnel-le-s » et pas pour tout-e-s, n’est-ce pas la brèche qu’attendent les censeurs pour revenir sur le décret qui permet à toute personne de témoigner et l’usage qui permet à bien des personnes d’être journalistes bénévoles ou à temps choisi ?

    Et quid des témoins des #violences_policières dans les quartiers et cités ? Il y a deux ans l’arrestation de #Amal_Bentounsi avait d’ailleurs relancé pour la énième fois le sujet de l’autorisation de filmer les forces de l’ordre : https://www.bondyblog.fr/reportages/au-poste/amal-bentounsi-arretee-et-placee-en-garde-a-vue-pour-diffusion-dimages-de- D’ailleurs un policier avait fait une note assez complète sur le sujet : https://blog.francetvinfo.fr/police/2017/06/19/le-policier-et-le-droit-a-son-image.html
    En proie régulièrement aux mêmes problèmes, #Taranis avait fait un dossier très complet dont le 1er chapitre revient sur ce droit que j’espère inaliénable avec un pdf vers la circulaire de police rappelant la loi, ainsi qu’un mémo :

    « Les policiers ne bénéficient pas de protection particulière en matière de droit à l’image, hormis lorsqu’ils sont affectés dans les services d’intervention, de lutte anti-terroriste et de contre-espionnage spécifiquement énumérés dans un arrêté ministériel [comme le GIGN, le GIPN, la BRI …] et hormis les cas de publications d’une diffamation ou d’une injure à raison de leurs fonction ou de leur qualité. ».

    http://taranis.news/2017/04/classic-manuel-de-survie-du-journaliste-reporter

    Lorsque j’ai posé ces deux questions il était, m’a-t-on dit, trop tard pour modifier le texte : il y avait effectivement déjà une centaine de signataires. L’initiateur ne m’a pas répondu mais d’autres ont tenté d’apporter le débat de l’intérieur. Hélas dans le même temps ils ont dû faire face à une levée de boucliers de professionnels inquiets pour leurs privilèges et refusant l’idée d’un plus grand accès à la carte de presse... La question a été posée sur twitter, je vous laisse vous délecter des réponses : https://twitter.com/gchampeau/status/1123485761842626562

    Je sais qu’une partie des signataires sera attentive à ne pas faire de cette tribune la brèche qui permettra de trier qui a le droit ou non de témoigner en image de la répression et plus généralement des dérives actuelles. Mais j’avoue ne pas être optimiste du tout...

    • Je n’avais pas vu ton mot, @aude_v : nous sommes d’accord. Après, pour avoir pas mal discuté avec une des personnes qui ont fait cette tribune, iels n’ont absolument pas anticipé les risques que ça induisait pour les autres. Je crois que ce qui s’est passé avec l’arrestation de Gaspard a été le signal déclencheur d’un trop plein et de la nécessité de se rassembler pour être plus fort-e-s. Et c’est ce qui a fait que j’ai réellement hésité à la signer, moi aussi, jusqu’au dernier moment, car je comprends vraiment le fond.

      L’autre truc ballot c’est de l’avoir sortie au matin du 1er mai alors qu’on savait que d’une manière ou d’une autre ça allait être une grosse journée. Du coup elle a été noyée sous la lacrymo et le reste. En fait c’est aujourd’hui, « _Journée De La #Liberté De La #Presse_ » qu’il aurait fallu sortir cette tribune. Mais quand je vois comment l’intox #Pitié_Salpetrière a été démontée, je suis encore plus convaincue par les raisons que j’ai privilégiées pour ne pas l’avoir signée : ce sont clairement les anonymes qui ont fait le « reportage » et les journalistes sans cartes (comme @davduf ) qui ont fait le job d’alerter tout le monde.

      Je continue à ne pas savoir comment me définir, où me situer là dedans... mais je ne peux appeler ce que je fais comme ici https://seenthis.net/messages/778352, là https://seenthis.net/messages/653494 / https://seenthis.net/messages/744712 ou ce 1er mai ici https://seenthis.net/messages/778352 , ou encore avec @karacole ici ou comme transmission de flux ailleurs, ou pour #demosphere aussi, comme du journalisme. Même si, pourtant, c’est ma motivation journalière, clairement. Faire passer l’info depuis les sources, et parfois mettre en perspective, décrypter, pour que le plus grand nombre ait la possibilité d’un accès direct et se fasse sa propre opinion...
      Vivement qu’on foute les riches dans des camps de redressements et qu’on puise, mondialement, avoir le choix du toit et du couvert, et ne se consacrer qu’à ce qui nous fait vibrer, pour le bien du plus grand nombre !
      :D

  • نتألّم لحريق كنسية نوتردام ولكن لأسبابٍ أُخرى.. لماذا لم تتعاطفوا معنا بالقدرِ نفسه أو حتّى عُشر عندما تعرّضت كنائسنا ومساجدنا لأعمالٍ إرهابيّةٍ في فِلسطين المحتلة وغيرها؟ هل هذه الكاتدرائيّة أكثر قداسةً وأهميّةً من كنيسة المهد مثلًا التي حُوصِرت وجرى تجويع راهِباتها ورُهبانها وقصف أبراجها؟ - رأي اليوم
    https://www.raialyoum.com/index.php/%d9%86%d8%aa%d8%a3%d9%84%d9%85-%d9%84%d8%ad%d8%b1%d9%8a%d9%82-%d9%83%d9%8

    Abdel-Bari Atwane, décidemment précieux !
    "L’incendie de Notre Dame nous fait souffrir mais pour d’autres raisons : pourquoi n’ont-ils pas manifesté la même sympathie, ou même seulement un dixième de cette sympathie, lorsque nos églises et nos mosquées ont subi des attaques terroristes en Palestine et ailleurs ? Cette cathédrale est-elle plus sacrée et plus importante que la basilique de la Nativité qui a été encerclée et dont on a a affamé les religieuses et les religieux après avoir bombardé ses tourelles ?

    نتألّم لحريق كنسية نوتردام ولكن لأسبابٍ أُخرى.. لماذا لم تتعاطفوا معنا بالقدرِ نفسه أو حتّى عُشر عندما تعرّضت كنائسنا ومساجدنا لأعمالٍ إرهابيّةٍ في فِلسطين المحتلة وغيرها؟ هل هذه الكاتدرائيّة أكثر قداسةً وأهميّةً من كنيسة المهد مثلًا التي حُوصِرت وجرى تجويع راهِباتها ورُهبانها وقصف أبراجها؟

    Je colle ici une partie de la notice de Wikipedia pour le rappel des faits :

    Siège de 2002

    De mars à avril 2002, l’armée israélienne réalise l’Opération Rempart en Cisjordanie après une vague d’attaques meurtrières contre des Israéliens41,42 et dans le cadre de ces opérations militaires de grande envergure, Bethléem est occupé et des militants palestiniens sont poursuivis par Tsahal. Le 1er avril 2002, environ 200 activistes palestiniens dont certains armés et considérés par Israël comme des terroristes43, appartenant au Fatah44, au Hamas ou au Jihad Islamique palestinien45, trouvent refuge dans l’église, accompagnés par plusieurs dizaines de moines ou religieuses46,41.

    Après 39 jours de siège, le 22 mai, un accord est conclu entre les belligérants : l’armée israélienne lève le siège et les Palestiniens évacuent l’église. Ils s’exilent à Chypre, en Europe et dans la bande de Gaza sans être poursuivis43,42. A l’intérieur de l’église, les dégâts provoqués par plus d’un mois de siège sont nettoyés47,41.

    #Palestine #tartuffes #hypocrites

  • Chasse : le Sénat crée un délit d’entrave punissable d’un an d’emprisonnement - Le Parisien
    http://www.leparisien.fr/environnement/chasse-le-senat-cree-un-delit-d-entrave-punissable-d-un-an-d-emprisonneme

    Le Sénat a créé jeudi un délit d’entrave pour sanctionner plus sévèrement l’action d’empêcher de chasser. Il a également voté de nouvelles mesures pour renforcer la sécurité à la chasse.

    « Les chasseurs font des efforts importants en matière de sécurité, mais il faut aussi que les autres, même s’ils sont anti-chasse, respectent le droit à pratiquer cette activité », a affirmé Jean-Noël Cardoux (LR), pour défendre la création d’un délit d’entrave.

    Il vise à punir d’un an d’emprisonnement et de 30 000 euros d’amende le fait de s’opposer à un acte de chasse, aujourd’hui considéré comme une contravention. Les défenseurs de la mesure ont cité « agressions physiques », « actes de vandalisme », « maltraitances envers les chiens de chasse » ou les chevaux.

    +

    Ils ont également souhaité « sanctuariser » la pratique de chasses traditionnelles, telle la chasse à la glu, pratiquée dans le Sud-Est.

    • #assassins
      pour tous les délits qu’ils citent, il existe déjà des lois « agressions physiques », « actes de vandalisme », « maltraitances envers les chiens de chasse » ou les chevaux. Ce nouveau délit délirant est du au #lobbying des chasseurs, il y a derrière des chasseurs avec beaucoup d’argent qui veulent absolument continuer de torturer des animaux par exemple avec la chasse à cour interdite en Grande Bretagne. Si il y a maintenant des lois pour protéger les bourreaux, les tenants de la corrida vont pouvoir revenir à la charge.
      C’est honteux, les #lanceurs_d'alerte qui ont le courage d’aller sur le terrain pour s’opposer au massacre se retrouvent criminalisés.

    • Pour la majorité des ruraux, la chasse, c’est ne pas pouvoir sortir sans crainte la moitié de l’année, ce sont des gens qui avec le pif rougeaud à 8h du mat qui se trimballent autour de chez toi et n’ont aucun problème à te faire comprendre que c’est toujours le type avec une arme qui a raison, ce sont des risques continuels de se retrouver avec des cons armés dans ton jardin en train de butter quelque chose en en ayant rien à battre de ton avis, ce sont des joggeurs ou des VTTistes qui ne sont pas certains de rentrer entiers de leur activité favorite (qui ne fait chier personne), ce sont nos animaux domestiques qui risquent leur pot quand ils prennent l’air dehors, ce sont tout de même quelques morts accidentelles tous les ans.

    • Ce délit a été créé dans le cadre de l’examen en première lecture au Sénat du texte, voté en janvier à l’Assemblée nationale, qui met en place la fusion de l’Agence française pour la biodiversité et de l’Office national de la chasse et de la faune sauvage, afin de créer le futur Office français de la biodiversité
      en janvier 2020

      Son successeur, François de Rugy, avait défendu devant les députés « le fruit d’un compromis » passé avec les fédérations de chasseurs, incluant la réduction du tarif du permis de chasser de 400 à 200 euros accordée par Emmanuel Macron.

      Les sénateurs ont inscrit dans le projet de loi l’obligation pour l’État d’apporter 10 euros par permis de chasser aux fédérations des chasseurs, en contrepartie de l’obligation incombant à celles-ci de dépenser au moins 5 euros par permis en faveur de la protection de la biodiversité.

      Donc, le permis 2 fois moins cher, avec en plus une aide de l’état, et 5€ dedans pour sauver la biodiversité (des chiens de chasse ?) ...

      #peur

    • @monolecte, je confirme pour m’être déjà fait gravement agresser par des chasseurs, étant à 50m de nous ils nous ont sciemment visé puis ont tiré des balles qui ont sifflées au-dessus de nos têtes, j’étais avec deux enfants de 4 ans pour cueillir des raisins sauvages, surement un méfait digne de la peine de mort.
      Le voisin qui m’a entendu hurlé contre eux m’a déconseillé de porter plainte au village du coin parce qu’a-t-il dit ils sont copains comme cochons et sont protégés par la police ce qui leur permet de faire la loi à coup de fusil.
      #tarés

  • Carne da cannone. In Libia i profughi dei campi sono arruolati a forza e mandati a combattere

    Arruolati di forza, vestiti con vecchie divise, armati con fucili di scarto e spediti a combattere le milizie del generale #Haftar che stanno assediando Tripoli. I profughi di Libia, dopo essere stati trasformati in “merce” preziosa dai trafficanti, con la complicità e il supporto del’Italia e dall’Europa, sono diventati anche carne da cannone.

    Secondo fonti ufficiali dell’Unhcr e di Al Jazeera, il centro di detenzione di Qaser Ben Gashir, è stato trasformato in una caserma di arruolamento. “Ci viene riferito – ha affermato l’inviato dell’agenzia Onu per i rifugiati, Vincent Cochetel – che ad alcuni migranti sono state fornite divise militari e gli è stati promesso la libertà in cambio dell’arruolamento”. Nel solo centro di Qaser Ben Gashir, secondo una stima dell’Unhcr, sono detenuti, per o più arbitrariamente, perlomeno 6 mila profughi tra uomini e donne, tra i quali almeno 600 bambini.

    Sempre secondo l’Unhcr, tale pratica di arruolamento pressoché forzato – è facile intuire che non si può dire facilmente no al proprio carceriere! – sarebbe stata messa in pratica perlomeno in altri tre centri di detenzione del Paese. L’avanzata delle truppe del generale Haftar ha fatto perdere la testa alle milizie fedeli al Governo di accordo nazionale guidato da Fayez al Serraj, che hanno deciso di giocarsi la carta della disperazione, mandando i migranti – che non possono certo definirsi militari sufficientemente addestrati – incontro ad una morte certa in battaglia. Carne da cannone, appunto.

    I messaggi WhatsUp che arrivano dai centri di detenzione sono terrificanti e testimoniano una situazione di panico totale che ha investito tanto i carcerieri quanto gli stessi profughi. “Ci danno armi di cui non conosciamo neppure come si chiamano e come si usano – si legge su un messaggio riportato dall’Irish Time – e ci ordinano di andare a combattere”. “Ci volevano caricare in una camionetta piena di armi. Gli abbiamo detto di no, che preferivamo essere riportato in cella ma non loro non hanno voluto”.

    La situazione sta precipitando verso una strage annunciata. Nella maggioranza dei centri l’elettricità è già stata tolta da giorni. Acque e cibo non ne arrivano più. Cure mediche non ne avevano neppure prima. I richiedenti asilo sono alla disperazione. Al Jazeera porta la notizia che ad Qaser Ben Gashir, qualche giorno fa, un bambino è morto per semplice denutrizione. Quello che succede nei campi più lontani dalla capitale, lo possiamo solo immaginare. E con l’avanzare del conflitto, si riduce anche la possibilità di intervento e di denuncia dell’Unhcr o delle associazioni umanitarie che ancora resistono nel Paese come Medici Senza Frontiere.

    Proprio Craig Kenzie, il coordinatore per la Libia di Medici Senza Frontiere, lancia un appello perché i detenuti vengano immediatamente evacuati dalle zone di guerra e che le persone che fuggono e che vengono intercettate in mare non vengano riportate in quell’Inferno. Ma per il nostro Governo, quelle sponde continuano ad essere considerate “sicure”.

    https://dossierlibia.lasciatecientrare.it/carne-da-cannone-in-libia-i-profughi-dei-campi-sono-a
    #Libye #asile #migrations #réfugiés #armées #enrôlement_militaire #enrôlement #conflit #soldats #milices #Tripoli

    • ’We are in a fire’: Libya’s detained refugees trapped by conflict

      Detainees at detention centre on the outskirts of Tripoli live in fear amid intense clashes for control of the capital.

      Refugees and migrants trapped on the front line of fierce fighting in Libya’s capital, Tripoli, are pleading to be rescued from the war-torn country while being “surrounded by heavy weapons and militants”.

      Hit by food and water shortages, detainees at the #Qasr_bin_Ghashir detention centre on the southern outskirts of Tripoli, told Al Jazeera they were “abandoned” on Saturday by fleeing guards, who allegedly told the estimated 728 people being held at the facility to fend for themselves.

      The refugees and migrants used hidden phones to communicate and requested that their names not be published.

      “[There are] no words to describe the fear of the women and children,” an Eritrean male detainee said on Saturday.

      “We are afraid of [the] noise... fired from the air and the weapons. I feel that we are abandoned to our fate.”
      Fighting rages on Tripoli outskirts

      Tripoli’s southern outskirts have been engulfed by fighting since renegade General Khalifa Haftar’s eastern forces launched an assault on the capital earlier this month in a bid to wrestle control of the city from Libya’s internationally recognised Government of National Accord (GNA).

      The showdown threatens to further destabilise war-wracked Libya, which splintered into a patchwork of rival power bases following the overthrow of former leader Muammar Gaddafi in 2011.

      At least 121 people have been killed and 561 wounded since Haftar’s self-styled Libyan National Army (LNA) started its offensive on April 4, according to the World Health Organization (WHO).

      Both sides have repeatedly carried out air raids and accuse each other of targeting civilians.

      The United Nations Office for the Coordination of Humanitarian Affairs (UNOCHA), for its part, estimates more than 15,000 people have been displaced so far, with a “significant number” of others stuck in live conflict zones.

      Amid the fighting, refugees and migrants locked up in detention centres throughout the capital, many of whom fled war and persecution in countries including Eritrea, Somalia and Sudan, are warning that their lives are at risk.

      “We find ourselves in a fire,” a 15-year-old detainee at Qasr bin Ghashir told Al Jazeera.
      Electricity outage, water shortages

      Others held at the centre described the abject conditions they were subject to, including a week-long stint without electricity and working water pumps.

      One detainee in her 30s, who alleged the centre’s manager assaulted her, also said they had gone more than a week until Saturday with “no food, [and] no water”, adding the situation “was not good” and saying women are particularly vulnerable now.

      This is the third time since August that detainees in Qasr bin Ghashir have been in the middle of clashes, she said.

      Elsewhere in the capital, refugees and migrants held at the #Abu_Salim detention centre also said they could “hear the noise of weapons” and needed protection.

      “At this time, we want quick evacuation,” said one detainee at Abu Salim, which sits about 20km north of Qasr bin Ghashir.

      “We’ve stayed years with much torture and suffering, we don’t have any resistance for anything. We are (under) deep pressure and stressed … People are very angry and afraid.”
      ’Take us from Libya, please’

      Tripoli’s detention centres are formally under the control of the GNA’s Department for Combatting Illegal Migration (DCIM), though many are actually run by militias.

      The majority of the approximately 6,000 people held in the facilities were intercepted on the Mediterranean Sea and brought back to the North African country after trying to reach Europe as part of a two-year agreement under which which the European Union supports the Libyan coastguard with funds, ships and training, in return for carrying out interceptions and rescues.

      In a statement to Al Jazeera, an EU spokesperson said the bloc’s authorities were “closely monitoring the situation in Libya” from a “political, security and humanitarian point of view” though they could not comment on Qasr bin Ghashir specifically.

      DCIM, for its part, did not respond to a request for comment.

      The UN, however, continues to reiterate that Libya is not a safe country for refugees and migrants to return.

      Amid the ongoing conflict, the organisation’s human rights chief, Michelle Bachelet, warned last week of the need to “ensure protection of extremely vulnerable civilians”, including refugees and migrants who may be living “under significant peril”.

      Bachelet also called for authorities to ensure that prisons and detention centres are not abandoned, and for all parties to guarantee that the treatment of detainees is in line with international law.

      In an apparent move to safeguard the refugees and migrants being held near the capital, Libyan authorities attempted last week to move detainees at Qasr bin Ghashir to another detention centre in #Zintan, nearly 170km southwest of Tripoli.

      But those being held in Qasr bin Ghashir refused to leave, arguing the solution is not a move elsewhere in Libya but rather a rescue from the country altogether.

      “All Libya [is a] war zone,” an Eritrean detainee told Al Jazeera.

      “Take us from Libya, please. Where is humanity and where is human rights,” the detainee asked.

      https://www.aljazeera.com/news/2019/04/fire-libya-detained-refugees-trapped-conflict-190414150247858.html

      700+ refugees & migrants - including more than 150 women & children - are trapped in a detention centre on the front lines, amid renewed clashes in Tripoli. The below photos, taken today, show where a jet was downed right beside them.


      https://twitter.com/sallyhayd/status/1117501460290392064

    • ESCLUSIVO TPI: “Senza cibo né acqua, pestati a sangue dai soldati”: la guerra in Libia vista dai migranti rinchiusi nei centri di detenzione

      “I rifugiati detenuti in Libia stanno subendo le più drammatiche conseguenze della guerra civile esplosa nel paese”.

      È la denuncia a TPI di Giulia Tranchina, avvocato che, a Londra, si occupa di rifugiati per lo studio legale Wilson Solicitor.

      Tranchina è in contatto con i migranti rinchiusi nei centri di detenzione libici e, da tempo, denuncia abusi e torture perpetrate ai loro danni.

      L’esplosione della guerra ha reso le condizioni di vita delle migliaia di rifugiati presenti nei centri governativi ancora più disumane.

      La gestione dei centri è stata bocciata anche dagli organismi internazionali in diversi rapporti, ignorati dai governi europei e anche da quello italiano, rapporti dove si evidenzia la violazione sistematica delle convenzioni internazionali, le condizioni sanitarie agghiaccianti e continue torture.

      https://www.tpi.it/2019/04/13/guerra-libia-migranti-centri-di-detenzione
      #guerre_civile

    • The humanitarian fallout from Libya’s newest war

      The Libyan capital of Tripoli is shuddering under an offensive by forces loyal to strongman Khalifa Haftar, with the city’s already precarious basic services in danger of breaking down completely and aid agencies struggling to cope with a growing emergency.

      In the worst and most sustained fighting the country has seen since the 2011 uprising that ousted Muammar Gaddafi, the Haftar-led Libyan National Army, or LNA, surged into the city – controlled by the UN-backed Government of National Accord, or GNA – on 4 April.

      Fighting continues across a string of southern suburbs, with airstrikes and rocket and artillery fire from both sides hammering front lines and civilians alike.

      “It is terrible; they use big guns at night, the children can’t sleep,” said one resident of the capital, who declined to give her name for publication. “The shots land everywhere.”

      The violence has displaced thousands of people and trapped hundreds of migrants and refugees in detention centres. Some analysts also think it has wrecked years of diplomacy, including attempts by the UN to try to build political consensus in Libya, where various militias support the two major rivals for power: the Tripoli-based GNA and the Haftar-backed House of Representatives, based in the eastern city of Tobruk.

      “Detained migrants and refugees, including women and children, are particularly vulnerable.”

      “Pandora’s box has been opened,” said Jalel Harchaoui, a research fellow at Clingendael Institute think tank in The Hague. “The military operation [to capture Tripoli] has inflicted irreversible damage upon a modus vivendi and a large set of political dialogues that has required four years of diplomatic work.”
      Civilians in the line of fire

      Media reports and eyewitnesses in the city said residents face agonising decisions about when to go out, and risk the indiscriminate fire, in search of food and other essentials from the few shops that are open.

      One resident said those in Tripoli face the dilemma of whether to stay in their homes or leave, with no clear idea of what part of the city will be targeted next.

      The fighting is reportedly most intense in the southern suburbs, which until two weeks ago included some of the most tranquil and luxurious homes in the city. Now these districts are a rubble-strewn battleground, made worse by the ever-changing positions of LNA forces and militias that support the GNA.

      This battle comes to a city already struggling with chaos and militia violence, with residents having known little peace since the NATO-backed revolt eight years ago.

      “Since 2011, Libyans have faced one issue after another: shortages of cooking gas, electricity, water, lack of medicines, infrastructure in ruin and neglect,” said one woman who lives in an eastern suburb of Tripoli. “Little is seen at community level, where money disappears into pockets [of officials]. Hospitals are unsanitary and barely function. Education is a shambles of poor schools and stressed teachers.”
      Aid agencies scrambling

      Only a handful of aid agencies have a presence in Tripoli, where local services are now badly stretched.

      The World Health Organisation reported on 14 April that the death toll was 147 and 614 people had been wounded, cautioning that the latter figure may be higher as some overworked hospitals have stopped counting the numbers treated.

      “We are still working on keeping the medical supplies going,” a WHO spokesperson said. “We are sending out additional surgical staff to support hospitals coping with large caseloads of wounded, for example anaesthetists.”

      The UN’s emergency coordination body, OCHA, said that 16,000 people had been forced to flee by the fighting, 2,000 on 13 April alone when fighting intensified across the front line with a series of eight airstrikes. OCHA says the past few years of conflict have left at least 823,000 people, including 248,000 children, “in dire need of humanitarian assistance”.

      UNICEF appealed for $4.7 million to provide emergency assistance to the half a million children and their families it estimates live in and around Tripoli.
      Migrants and refugees

      Some of the worst off are more than 1,500 migrants trapped in a string of detention centres in the capital and nearby. The UN’s refugee agency, UNHCR, said over the weekend it was trying to organise the evacuation of refugees from a migrant camp close to the front lines. “We are in contact with refugees in Qaser Ben Gashir and so far they remain safe from information received,” the agency said in a tweet.

      At least one media report said migrants and refugees at the centre felt they had been abandoned and feared for their lives.

      UNHCR estimates there are some 670,000 migrants and refugees in Libya, including more than 6,000 in detention centres.

      In its appeal, UNICEF said it was alarmed by reports that some migrant detention centres have been all but abandoned, with the migrants unable to get food and water. “The breakdown in the food supply line has resulted in a deterioration of the food security in detention centres,” the agency said. “Detained migrants and refugees, including women and children, are particularly vulnerable, especially those in detention centres located in the vicinity of the fighting.”

      Many migrants continue to hope to find a boat to Europe, but that task has been made harder by the EU’s March decision to scale down the rescue part of Operation Sophia, its Mediterranean anti-smuggling mission.

      “The breakdown in the food supply line has resulted in a deterioration of the food security in detention centres.”

      Search-and-rescue missions run by nongovernmental organisations have had to slow down and sometimes shutter their operations as European governments refuse them permission to dock. On Monday, Malta said it would not allow the crew of a ship that had been carrying 64 people rescued off the coast of Libya to disembark on its shores. The ship was stranded for two weeks as European governments argued over what to do with the migrants, who will now be split between four countries.

      Eugenio Cusumano, an international security expert specialising in migration research at Lieden University in the Netherlands, said a new surge of migrants and refugees may now be heading across the sea in a desperate attempt to escape the fighting. He said they will find few rescue craft, adding: “If the situation in Libya deteriorates there will be a need for offshore patrol assets.”
      Failed diplomacy

      Haftar’s LNA says its objective is to liberate the city from militia control, while the GNA has accused its rival of war crimes and called for prosecutions.

      International diplomatic efforts to end the fighting appear to have floundered. Haftar launched his offensive on the day that UN Secretary-General António Guterres was visiting Tripoli – a visit designed to bolster long-delayed, UN-chaired talks with the various parties in the country, which were due to be held this week.

      The UN had hoped the discussions, known as the National Conference, might pave the way for elections later this year, but they ended up being cancelled due to the upsurge in fighting.

      Guterres tried to de-escalate the situation by holding emergency talks with the GNA in Tripoli and flying east to see Haftar in Benghazi. But as foreign powers reportedly line up behind different sides, his calls for a ceasefire – along with condemnation from the UN Security Council and the EU – have so far been rebuffed.


      https://www.thenewhumanitarian.org/news/2019/04/15/humanitarian-fallout-libya-s-newest-war

    • Detained refugees in Libya moved to safety in second UNHCR relocation

      UNHCR, the UN Refugee Agency, today relocated another 150 refugees who were detained in the #Abu_Selim detention centre in south Tripoli to UNHCR’s #Gathering_and_Departure_Facility (#GDF) in the centre of Libya’s capital, safe from hostilities.

      The Abu Selim detention centre is one of several in Libya that has been impacted by hostilities since clashes erupted in the capital almost a fortnight ago.

      Refugees at the centre told UNHCR that they were petrified and traumatised by the fighting, fearing for their lives.

      UNHCR staff who were present and organizing the relocation today reported that clashes were around 10 kilometres away from the centre and were clearly audible.

      While UNHCR intended to relocate more refugees, due to a rapid escalation of fighting in the area this was not possible. UNHCR hopes to resume this life-saving effort as soon as conditions on the ground allow.

      “It is a race against time to move people out of harm’s way. Conflict and deteriorating security conditions hamper how much we can do,” said UNHCR’s Assistant Chief of Mission in Libya, Lucie Gagne.

      “We urgently need solutions for people trapped in Libya, including humanitarian evacuations to transfer those most vulnerable out of the country.”

      Refugees who were relocated today were among those most vulnerable and in need and included women and children. The relocation was conducted with the support of UNHCR’s partner, International Medical Corps and the Libyan Ministry of Interior.

      This relocation is the second UNHCR-organized transfer since the recent escalation of the conflict in Libya.

      Last week UNHCR relocated more than 150 refugees from the Ain Zara detention centre also in south Tripoli to the GDF, bringing the total number of refugees currently hosted at the GDF to more than 400.

      After today’s relocation, there remain more than 2,700 refugees and migrants detained and trapped in areas where clashes are ongoing. In addition to those remaining at Abu Selim, other detention centres impacted and in proximity to hostilities include the Qasr Bin Ghasheer, Al Sabaa and Tajoura centres.

      Current conditions in the country continue to underscore the fact that Libya is a dangerous place for refugees and migrants, and that those rescued and intercepted at sea should not be returned there. UNHCR has repeatedly called for an end to detention for refugees and migrants.

      https://www.unhcr.org/news/press/2019/4/5cb60a984/detained-refugees-libya-moved-safety-second-unhcr-relocation.html

    • Libye : l’ONU a évacué 150 réfugiés supplémentaires d’un camp de détention

      L’ONU a annoncé mardi avoir évacué 150 réfugiés supplémentaires d’une centre de détention à Tripoli touché par des combats, ajoutant ne pas avoir été en mesure d’en déplacer d’autres en raison de l’intensification des affrontements.

      La Haut-commissariat aux réfugiés (HCR) a précisé avoir évacué ces réfugiés, parmi lesquels des femmes et des enfants, du centre de détention Abou Sélim, dans le sud de la capitale libyenne, vers son Centre de rassemblement et de départ dans le centre-ville.

      Cette opération a été effectuée au milieu de violents combats entre les forces du maréchal Khalifa Haftar et celles du Gouvernement d’union nationale (GNA) libyen.

      « C’est une course contre la montre pour mettre les gens à l’abri », a déclaré la cheffe adjointe de la mission du HCR en Libye, Lucie Gagne, dans un communiqué. « Le conflit et la détérioration des conditions de sécurité entravent nos capacités », a-t-elle regretté.

      Au moins 174 personnes ont été tuées et 758 autres blessés dans la bataille pour le contrôle de Tripoli, a annoncé mardi l’Organisation mondiale de la Santé (OMS).

      Abu Sélim est l’un des centres de détention qui ont été touchés par les combats. Le HCR, qui avait déjà évacué la semaine dernière plus de 150 migrants de centre de détention d’Ain Zara, a indiqué qu’il voulait en évacuer d’autres mardi mais qu’il ne n’avait pu le faire en raison d’une aggravation rapide des combats dans cette zone.

      Les réfugiés évacués mardi étaient « traumatisés » par les combats, a rapporté le HCR, ajoutant que des combats avaient lieu à seulement une dizaine de km.

      « Il nous faut d’urgence des solutions pour les gens piégés en Libye, y compris des évacuations humanitaires pour transférer les plus vulnérables hors du pays », a déclaré Mme Gagne.

      Selon le HCR, plus de 400 personnes se trouvent désormais dans son centre de rassemblement et de départ, mais plus de 2.700 réfugiés sont encore détenus et bloqués dans des zones de combats.

      La Libye « est un endroit dangereux pour les réfugiés et les migrants », a souligné le HCR. « Ceux qui sont secourus et interceptés en mer ne devraient pas être renvoyés là-bas ».

      https://www.lorientlejour.com/article/1166761/libye-lonu-a-evacue-150-refugies-supplementaires-dun-camp-de-detentio

    • Footage shows refugees hiding as Libyan militia attack detention centre

      At least two people reportedly killed in shooting at Qasr bin Ghashir facility near Tripoli.

      Young refugees held in a detention centre in Libya have described being shot at indiscriminately by militias advancing on Tripoli, in an attack that reportedly left at least two people dead and up to 20 injured.

      Phone footage smuggled out of the camp and passed to the Guardian highlights the deepening humanitarian crisis in the centres set up to prevent refugees and migrants from making the sea crossing from the north African coast to Europe.

      The footage shows people cowering in terror in the corners of a hangar while gunshots can be heard and others who appear to have been wounded lying on makeshift stretchers.

      The shooting on Tuesday at the Qasr bin Ghashir detention centre, 12 miles (20km) south of Tripoli, is thought to be the first time a militia has raided such a building and opened fire.

      Witnesses said men, women and children were praying together when soldiers they believe to be part of the forces of the military strongman Khalifa Haftar, which are advancing on the Libyan capital to try to bring down the UN-backed government, stormed into the detention centre and demanded people hand over their phones.

      When the occupants refused, the soldiers began shooting, according to the accounts. Phones are the only link to the outside world for many in the detention centres.

      Amnesty International has called for a war crimes investigation into the incident. “This incident demonstrates the urgent need for all refugees and migrants to be immediately released from these horrific detention centres,” said the organisation’s spokeswoman, Magdalena Mughrabi.

      Médecins Sans Frontières (MSF) said a review of the video evidence by its medical doctors had concluded the injuries were consistent with gunshot wounds. “These observations are further supported by numerous accounts from refugees and migrants who witnessed the event and reported being brutally and indiscriminately attacked with the use of firearms,” a statement said.

      The UN refugee agency, UNHCR, said it evacuated 325 people from the detention centre after the incident. A statement suggested guns were fired into air and 12 people “endured physical attacks” that required hospital treatment, but none sustained bullet wounds.

      “The dangers for refugees and migrants in Tripoli have never been greater than they are at present,” said Matthew Brook, the refugee agency’s deputy mission chief in Libya. “It is vital that refugees in danger can be released and evacuated to safety.”

      The Guardian has previously revealed there is a network of 26 Libyan detention centres where an estimated 6,000 refugees are held. Children have described being starved, beaten and abused by Libyan police and camp guards. The UK contributes funding to humanitarian assistance provided in the centres by NGOs and the International Organization for Migration.

      Qasr bin Ghashir is on the frontline of the escalating battle in Libya between rival military forces. Child refugees in the camp started sending SOS messages earlier this month, saying: “The war is started. We are in a bad situation.”

      In WhatsApp messages sent to the Guardian on Tuesday, some of the child refugees said: “Until now, no anyone came here to help us. Not any organisations. Please, please, please, a lot of blood going out from people. Please, we are in dangerous conditions, please world, please, we are in danger.”

      Many of the children and young people in the detention centres have fled persecution in Eritrea and cannot return. Many have also tried to cross the Mediterranean to reach Italy, but have been pushed back by the Libyan coastguard, which receives EU funding.

      Giulia Tranchina, an immigration solicitor in London, has been raising the alarm for months about the plight of refugees in the centres. “I have been in touch with seven refugees in Qasr Bin Gashir since last September,. Many are sick and starving,” she said.

      “All of them tried to escape across the Mediterranean to Italy, but were pushed back to the detention centre by the Libyan coastguard. Some were previously imprisoned by traffickers in Libya for one to two years. Many have been recognised by UNHCR as genuine refugees.”

      Tranchina took a statement from a man who escaped from the centre after the militia started shooting. “We were praying in the hangar. The women joined us for prayer. The guards came in and told us to hand over our phones,” he said.

      “When we refused, they started shooting. I saw gunshot wounds to the head and neck, I think that without immediate medical treatment, those people would die.

      “I’m now in a corrugated iron shack in Tripoli with a few others who escaped, including three women with young children. Many were left behind and we have heard that they have been locked in.”

      A UK government spokesperson said: “We are deeply concerned by reports of violence at the Qasr Ben Ghashir detention centre, and call on all parties to allow civilians, including refugees and migrants, to be evacuated to safety.”

      • Amnesty International, Médecins Sans Frontières and other NGOs are suing the French government to stop the donation of six boats to Libya’s navy, saying they will be used to send migrants back to detention centres. EU support to the Libyan coastguard, which is part of the navy, has enabled it to intercept migrants and asylum seekers bound for Europe. The legal action seeks a suspension on the boat donation, saying it violates an EU embargo on the supply of military equipment to Libya.

      https://www.theguardian.com/world/2019/apr/25/libya-detention-centre-attack-footage-refugees-hiding-shooting

    • From Bad to Worse for Migrants Trapped in Detention in Libya

      Footage (https://www.theguardian.com/world/2019/apr/25/libya-detention-centre-attack-footage-refugees-hiding-shooting) revealed to the Guardian shows the panic of migrants and refugees trapped in the detention facility Qasr bin Ghashir close to Tripoli under indiscriminate fire from advancing militia. According to the UN Refugee Agency UNHCR more than 3,300 people trapped in detention centres close to the escalating fighting are at risk and the agency is working to evacuate migrants from the “immediate danger”.

      Fighting is intensifying between Libyan National Army (LNA) loyal to Khalifa Haftar and the UN-recognised Government of National Accord (GNA) around the capital Tripoli. There have been reports on deaths and forced enlistment among migrants and refugees trapped in detention centres, which are overseen by the Libyan Department for Combating Illegal Migration but often run by militias.

      Amid the intense fighting the EU-backed Libyan coastguard continues to intercept and return people trying to cross the Mediteranean. According to the International Organisation for Migration (IOM) 113 people were returned to the Western part of the country this week. In a Tweet the UN Agency states: “we reiterate that Libya is not a safe port and that arbitrary detention must end.”

      Former UNHCR official, Jeff Crisp, calls it: “…extraordinary that the UN has not made a direct appeal to the EU to suspend the support it is giving to the Libyan coastguard”, and further states that: “Europe has the option of doing nothing and that is what it will most likely do.”

      UNHCR has evacuated 500 people to the Agencies Gathering and Departure Facility in Tripoli and an additional 163 to the Emergency Transit Mechanism in Niger. However, with both mechanisms “approaching full capacity” the Agency urges direct evacuations out of Libya. On April 29, 146 refugees were evacuated from Libya to Italy in a joint operation between UNHCR and Italian and Libyan authorities.

      https://www.ecre.org/from-bad-to-worse-for-migrants-trapped-in-detention-in-libya

    • Libia, la denuncia di Msf: «Tremila migranti bloccati vicino ai combattimenti, devono essere evacuati»

      A due mesi dall’inizio dei combattimenti tra i militari del generale Khalifa Haftar e le milizie fedeli al governo di Tripoli di Fayez al-Sarraj, i capimissione di Medici Senza Frontiere per la Libia hanno incontrato la stampa a Roma per fare il punto della situazione. «I combattimenti hanno interessato centomila persone, di queste tremila sono migranti e rifugiati bloccati nei centri di detenzione che sorgono nelle aree del conflitto - ha spiegato Sam Turner -. Per questo chiediamo la loro immediata evacuazione. Solo portandoli via da quelle aree si possono salvare delle vite».

      https://video.repubblica.it/dossier/migranti-2019/libia-la-denuncia-di-msf-tremila-migranti-bloccati-vicino-ai-combattimenti-devono-essere-evacuati/336337/336934?ref=twhv

    • Libia, attacco aereo al centro migranti. 60 morti. Salvini: «E’ un crimine di Haftar, il mondo deve reagire»

      Il bombardamento è stato effettuato dalle forze del generale Khalifa Haftar, sostenute dalla Francia e dagli Emirati. Per l’inviato Onu si tratta di crimine di guerra. Il Consiglio di sicurezza dell’Onu si riunisce domani per una sessione d’urgenza.

      Decine di migranti sono stati uccisi nel bombardamento che ieri notte un aereo dell’aviazione del generale Khalifa Haftar ha compiuto contro un centro per migranti adiacente alla base militare di #Dhaman, nell’area di #Tajoura. La base di Dhaman è uno dei depositi in cui le milizie di Misurata e quelle fedeli al governo del presidente Fayez al-Serraj hanno concentrato le loro riserve di munizioni e di veicoli utilizzati per la difesa di Tripoli, sotto attacco dal 4 aprile dalle milizie del generale della Cirenaica.

      https://www.repubblica.it/esteri/2019/07/03/news/libia_bombardato_centro_detenzione_migranti_decine_di_morti-230198952/?ref=RHPPTP-BH-I230202229-C12-P1-S1.12-T1

    • Le HCR et l’OIM condamnent l’attaque contre Tajoura et demandent une enquête immédiate sur les responsables

      Le nombre effroyable de blessés et de victimes, suite à l’attaque aérienne de mardi soir à l’est de Tripoli contre le centre de détention de Tajoura, fait écho aux vives préoccupations exprimées par le HCR, l’Agence des Nations Unies pour les réfugiés, et l’Organisation internationale pour les migrations (OIM), concernant la sécurité des personnes dans les centres de détention. Ce tout dernier épisode de violence rend également compte du danger évoqué par l’OIM et le HCR concernant les retours de migrants et de réfugiés en Libye après leur interception ou leur sauvetage en mer Méditerranée.

      Nos deux organisations condamnent fermement cette attaque ainsi que toute attaque contre la vie des civils. Nous demandons également que la détention des migrants et des réfugiés cesse immédiatement. Nous appelons à ce que leur protection soit garantie en Libye.

      Cette attaque mérite davantage qu’une simple condamnation. Selon le HCR et l’OIM, une enquête complète et indépendante est nécessaire pour déterminer comment cela s’est produit et qui en est responsable, ainsi que pour traduire les responsables en justice. La localisation de ces centres de détention à Tripoli est bien connue des combattants, qui savent également que les personnes détenues à Tajoura sont des civils.

      Au moins 600 réfugiés et migrants, dont des femmes et des enfants, se trouvaient au centre de détention de Tajoura. La frappe aérienne a causé des dizaines de morts et de blessés. Nous nous attendons de ce fait que le nombre final de victimes soit beaucoup plus élevé.

      Si l’on inclut les victimes de Tajoura, environ 3300 migrants et réfugiés sont toujours détenus arbitrairement à Tripoli et en périphérie de la ville dans des conditions abjectes et inhumaines. De plus, les migrants et les réfugiés sont confrontés à des risques croissants à mesure que les affrontements s’intensifient à proximité. Ces centres doivent être fermés.

      Nous faisons tout notre possible pour leur venir en aide. L’OIM et le HCR ont déployé des équipes médicales. Par ailleurs, une équipe interinstitutions plus large des Nations Unies attend l’autorisation de se rendre sur place. Nous rappelons à toutes les parties à ce conflit que les civils ne doivent pas être pris pour cible et qu’ils doivent être protégés en vertu à la fois du droit international relatif aux réfugiés et du droit international relatif aux droits de l’homme.

      Le conflit en cours dans la capitale libyenne a déjà forcé près de 100 000 Libyens à fuir leur foyer. Le HCR et ses partenaires, dont l’OIM, ont transféré plus de 1500 réfugiés depuis des centres de détention proches des zones de combat vers des zones plus sûres. Par ailleurs, des opérations de l’OIM pour le retour volontaire à titre humanitaire ont facilité le départ de plus de 5000 personnes vulnérables vers 30 pays d’origine en Afrique et en Asie.

      L’OIM et le HCR exhortent l’ensemble du système des Nations Unies à condamner cette attaque et à faire cesser le recours à la détention en Libye. De plus, nous appelons instamment la communauté internationale à mettre en place des couloirs humanitaires pour les migrants et les réfugiés qui doivent être évacués depuis la Libye. Dans l’intérêt de tous en Libye, nous espérons que les États influents redoubleront d’efforts pour coopérer afin de mettre d’urgence un terme à cet effroyable conflit.

      https://www.unhcr.org/fr/news/press/2019/7/5d1ca1f06/hcr-loim-condamnent-lattaque-contre-tajoura-demandent-enquete-immediate.html

    • Affamés, torturés, disparus : l’impitoyable piège refermé sur les migrants bloqués en Libye

      Malnutrition, enlèvements, travail forcé, torture : des ONG présentes en Libye dénoncent les conditions de détention des migrants piégés dans ce pays, conséquence selon elles de la politique migratoire des pays européens conclue avec les Libyens.

      Le point, minuscule dans l’immensité de la mer, est ballotté avec violence : mi-mai, un migrant qui tentait de quitter la Libye dans une embarcation de fortune a préféré risquer sa vie en plongeant en haute mer en voyant arriver les garde-côtes libyens, pour nager vers un navire commercial, selon une vidéo mise en ligne par l’ONG allemande Sea-Watch et tournée par son avion de recherche. L’image illustre le désespoir criant de migrants, en grande majorité originaires d’Afrique et de pays troublés comme le Soudan, l’Érythrée, la Somalie, prêts à tout pour ne pas être à nouveau enfermés arbitrairement dans un centre de détention dans ce pays livré au conflit et aux milices.

      Des vidéos insoutenables filmées notamment dans des prisons clandestines aux mains de trafiquants d’êtres humains, compilées par une journaliste irlandaise et diffusées en février par Channel 4, donnent une idée des sévices de certains tortionnaires perpétrés pour rançonner les familles des migrants. Allongé nu par terre, une arme pointée sur lui, un migrant râle de douleur alors qu’un homme lui brûle les pieds avec un chalumeau. Un autre, le tee-shirt ensanglanté, est suspendu au plafond, un pistolet braqué sur la tête. Un troisième, attaché avec des cordes, une brique de béton lui écrasant dos et bras, est fouetté sur la plante des pieds, selon ces vidéos.

      Le mauvais traitement des migrants a atteint un paroxysme dans la nuit de mardi à mercredi quand plus de 40 ont été tués et 70 blessés dans un raid aérien contre un centre pour migrants de Tajoura (près de Tripoli), attribué aux forces de Khalifa Haftar engagées dans une offensive sur la capitale libyenne. Un drame « prévisible » depuis des semaines, déplorent des acteurs humanitaires. Depuis janvier, plus de 2.300 personnes ont été ramenées et placées dans des centres de détention, selon l’ONU.

      « Plus d’un millier de personnes ont été ramenées par les gardes-côtes libyens soutenus par l’Union européenne depuis le début du conflit en avril 2019. A terre, ces personnes sont ensuite transférées dans des centres de détention comme celui de Tajoura… », a ce réagi mercredi auprès de l’AFP Julien Raickman, chef de mission de l’ONG Médecins sans frontières (MSF) en Libye. Selon les derniers chiffres de l’Organisation internationale pour les migrations (OIM), au moins 5.200 personnes sont actuellement dans des centres de détention en Libye. Aucun chiffre n’est disponible pour celles détenues dans des centres illégaux aux mains de trafiquants.

      L’UE apporte un soutien aux gardes-côtes libyens pour qu’ils freinent les arrivées sur les côtes italiennes. En 2017, elle a validé un accord conclu entre l’Italie et Tripoli pour former et équiper les garde-côtes libyens. Depuis le nombre d’arrivées en Europe via la mer Méditerranée a chuté de manière spectaculaire.
      « Les morts s’empilent »

      Fin mai, dans une prise de parole publique inédite, dix ONG internationales intervenant en Libye dans des conditions compliquées – dont Danish Refugee Council, International Rescue Committee, Mercy Corps, Première Urgence Internationale (PUI) – ont brisé le silence. Elles ont exhorté l’UE et ses Etats membres à « revoir en urgence » leurs politiques migratoires qui nourrissent selon elles un « système de criminalisation », soulignant que les migrants, « y compris les femmes et les enfants, sont sujets à des détentions arbitraires et illimitées » en Libye dans des conditions « abominables ».

      « Arrêtez de renvoyer les migrants en Libye  ! La situation est instable, elle n’est pas sous contrôle ; ils n’y sont en aucun cas protégés ni par un cadre législatif ni pour les raisons sécuritaires que l’on connaît », a réagi ce mercredi à l’AFP Benjamin Gaudin, chef de mission de l’ONG PUI en Libye. Cette ONG intervient dans six centres de détention dans lesquels elle est une des seules organisations à prodiguer des soins de santé.

      La « catastrophe ne se situe pas seulement en Méditerranée mais également sur le sol libyen ; quand ces migrants parviennent jusqu’aux côtes libyennes, ils ont déjà vécu l’enfer », a-t-il témoigné récemment auprès de l’AFP, dans une rare interview à un média. Dans certains de ces centres officiels, « les conditions sont terribles », estime M. Gaudin. « Les migrants vivent parfois entassés les uns sur les autres, dans des conditions sanitaires terribles avec de gros problèmes d’accès à l’eau – parfois il n’y a pas d’eau potable du tout. Ils ne reçoivent pas de nourriture en quantité suffisante ; dans certains centres, il n’y a absolument rien pour les protéger du froid ou de la chaleur. Certains n’ont pas de cours extérieures, les migrants n’y voient jamais la lumière du jour », décrit-il.
      Human Rights Watch, qui a eu accès à plusieurs centres de détention en 2018 et à une centaine de migrants, va plus loin dans un rapport de 2019 – qui accumule les témoignages de « traitements cruels et dégradants » : l’organisation accuse la « coopération de l’UE avec la Libye sur les migrations de contribuer à un cycle d’abus extrêmes ».

      « Les morts s’empilent dans les centres de détention libyens – emportés par une épidémie de tuberculose à Zintan, victimes d’un bombardement à Tajoura. La présence d’une poignée d’acteurs humanitaires sur place ne saurait assurer des conditions acceptables dans ces centres », a déploré M. Raickman de MSF. « Les personnes qui y sont détenues, majoritairement des réfugiés, continuent de mourir de maladies, de faim, sont victimes de violences en tout genre, de viols, soumises à l’arbitraire des milices. Elles se retrouvent prises au piège des combats en cours », a-t-il dénoncé.

      Signe d’une situation considérée comme de plus en plus critique, la Commissaire aux droits de l’Homme du Conseil de l’Europe a exhorté le 18 juin les pays européens à suspendre leur coopération avec les gardes-côtes libyens, estimant que les personnes récupérées « sont systématiquement placées en détention et en conséquence soumises à la torture, à des violences sexuelles, à des extorsions ». L’ONU elle même a dénoncé le 7 juin des conditions « épouvantables » dans ces centres. « Environ 22 personnes sont décédées des suites de la tuberculose et d’autres maladies dans le centre de détention de Zintan depuis septembre », a dénoncé Rupert Colville, un porte-parole du Haut-Commissariat de l’ONU aux droits de l’Homme.

      MSF, qui a démarré récemment des activités médicales dans les centres de Zintan et Gharyan, a décrit une « catastrophe sanitaire », soulignant que les personnes enfermées dans ces deux centres « viennent principalement d’Érythrée et de Somalie et ont survécu à des expériences terrifiantes » durant leur exil. Or, selon les ONG et le HCR, la très grande majorité des milliers de personnes détenues dans les centres sont des réfugiés, qui pourraient avoir droit à ce statut et à un accueil dans un pays développé, mais ne peuvent le faire auprès de l’Etat libyen. Ils le font auprès du HCR en Libye, dans des conditions très difficiles.
      « Enfermés depuis un an »

      « Les évacuations hors de Libye vers des pays tiers ou pays de transit sont aujourd’hui extrêmement limitées, notamment parce qu’il manque des places d’accueil dans des pays sûrs qui pourraient accorder l’asile », relève M. Raickman. « Il y a un fort sentiment de désespoir face à cette impasse ; dans des centres où nous intervenons dans la région de Misrata et Khoms, des gens sont enfermés depuis un an. » Interrogée par l’AFP, la Commission européenne défend son bilan et son « engagement » financier sur cette question, soulignant avoir « mobilisé » depuis 2014 pas moins de 338 millions d’euros dans des programmes liés à la migration en Libye.

      « Nous sommes extrêmement préoccupés par la détérioration de la situation sur le terrain », a récemment déclaré à l’AFP une porte-parole de la Commission européenne, Natasha Bertaud. « Des critiques ont été formulées sur notre engagement avec la Libye, nous en sommes conscients et nous échangeons régulièrement avec les ONG sur ce sujet », a-t-elle ajouté. « Mais si nous ne nous étions pas engagés avec l’OIM, le HCR et l’Union africaine, nous n’aurions jamais eu cet impact : ces 16 derniers mois, nous avons pu sortir 38.000 personnes hors de ces terribles centres de détention et hors de Libye, et les raccompagner chez eux avec des programmes de retour volontaire, tout cela financé par l’Union européenne », a-t-elle affirmé. « Parmi les personnes qui ont besoin de protection – originaires d’Érythrée ou du Soudan par exemple – nous avons récemment évacué environ 2.700 personnes de Libye vers le Niger (…) et organisé la réinstallation réussie dans l’UE de 1.400 personnes ayant eu besoin de protection internationale », plaide-t-elle.

      La porte-parole rappelle que la Commission a « à maintes reprises ces derniers mois exhorté ses États membres à trouver une solution sur des zones de désembarquement, ce qui mettrait fin à ce qui passe actuellement : à chaque fois qu’un bateau d’ONG secoure des gens et qu’il y a une opposition sur le sujet entre Malte et l’Italie, c’est la Commission qui doit appeler près de 28 capitales européennes pour trouver des lieux pour ces personnes puissent débarquer : ce n’est pas viable ! ».

      Pour le porte-parole de la marine libyenne, le général Ayoub Kacem, interrogé par l’AFP, ce sont « les pays européens (qui) sabotent toute solution durable à l’immigration en Méditerranée, parce qu’ils n’acceptent pas d’accueillir une partie des migrants et se sentent non concernés ». Il appelle les Européens à « plus de sérieux » et à unifier leurs positions. « Les États européens ont une scandaleuse responsabilité dans toutes ces morts et ces souffrances », dénonce M. Raickman. « Ce qu’il faut, ce sont des actes : des évacuations d’urgence des réfugiés et migrants coincés dans des conditions extrêmement dangereuses en Libye ».

      https://www.charentelibre.fr/2019/07/03/affames-tortures-disparus-l-impitoyable-piege-referme-sur-les-migrants

    • « Mourir en mer ou sous les bombes : seule alternative pour les milliers de personnes migrantes prises au piège de l’enfer libyen ? »

      Le soir du 2 juillet, une attaque aérienne a été signalée sur le camp de détention pour migrant·e·s de #Tadjourah dans la banlieue est de la capitale libyenne. Deux jours après, le bilan s’est alourdi et fait état d’au moins 66 personnes tuées et plus de 80 blessées [1]. A une trentaine de kilomètres plus au sud de Tripoli, plusieurs migrant·e·s avaient déjà trouvé la mort fin avril dans l’attaque du camp de Qasr Bin Gashir par des groupes armés.

      Alors que les conflits font rage autour de Tripoli entre le Gouvernement d’union nationale (GNA) reconnu par l’ONU et les forces du maréchal Haftar, des milliers de personnes migrantes enfermées dans les geôles libyennes se retrouvent en première ligne : lorsqu’elles ne sont pas abandonnées à leur sort par leurs gardien·ne·s à l’approche des forces ennemies ou forcées de combattre auprès d’un camp ou de l’autre, elles sont régulièrement prises pour cibles par les combattant·e·s.

      Dans un pays où les migrant·e·s sont depuis longtemps vu·e·s comme une monnaie d’échange entre milices, et, depuis l’époque de Kadhafi, comme un levier diplomatique notamment dans le cadre de divers marchandages migratoires avec les Etats de l’Union européenne [2], les personnes migrantes constituent de fait l’un des nerfs de la guerre pour les forces en présence, bien au-delà des frontières libyennes.

      Au lendemain des bombardements du camp de Tadjourah, pendant que le GNA accusait Haftar et que les forces d’Haftar criaient au complot, les dirigeant·e·s des pays européens ont pris le parti de faire mine d’assister impuissant·e·s à ce spectacle tragique depuis l’autre bord de la Méditerranée, les un·e·s déplorant les victimes et condamnant les attaques, les autres appelant à une enquête internationale pour déterminer les coupables.

      Contre ces discours teintés d’hypocrisie, il convient de rappeler l’immense responsabilité de l’Union européenne et de ses États membres dans la situation désastreuse dans laquelle les personnes migrantes se trouvent sur le sol libyen. Lorsqu’à l’occasion de ces attaques, l’Union européenne se félicite de son rôle dans la protection des personnes migrantes en Libye et affirme la nécessité de poursuivre ses efforts [3], ne faut-il pas tout d’abord se demander si celle-ci fait autre chose qu’entériner un système de détention cruel en finançant deux organisations internationales, le HCR et l’OIM, qui accèdent pour partie à ces camps où les pires violations de droits sont commises ?

      Au-delà de son soutien implicite à ce système d’enfermement à grande échelle, l’UE n’a cessé de multiplier les stratégies pour que les personnes migrantes, tentant de fuir la Libye et ses centres de détention aux conditions inhumaines, y soient immédiatement et systématiquement renvoyées, entre le renforcement constant des capacités des garde-côtes libyens et l’organisation d’un vide humanitaire en Méditerranée par la criminalisation des ONG de secours en mer [4].

      A la date du 20 juin 2019, le HCR comptait plus de 3 000 personnes interceptées par les garde-côtes libyens depuis le début de l’année 2019, pour à peine plus de 2000 personnes arrivées en Italie [5]. Pour ces personnes interceptées et reconduites en Libye, les perspectives sont bien sombres : remises aux mains des milices, seules échapperont à la détention les heureuses élues qui sont évacuées au Niger dans l’attente d’une réinstallation hypothétique par le HCR, ou celles qui, après de fortes pressions et souvent en désespoir de cause, acceptent l’assistance au retour « volontaire » proposée par l’OIM.

      L’Union européenne a beau jeu de crier au scandale. La détention massive de migrant·e·s et la violation de leurs droits dans un pays en pleine guerre civile ne relèvent ni de la tragédie ni de la fatalité : ce sont les conséquences directes des politiques d’externalisation et de marchandages migratoires cyniques orchestrées par l’Union et ses États membres depuis de nombreuses années. Il est temps que cesse la guerre aux personnes migrantes et que la liberté de circulation soit assurée pour toutes et tous.

      http://www.migreurop.org/article2931.html
      aussi signalé par @vanderling
      https://seenthis.net/messages/791482

    • Migrants say militias in Tripoli conscripted them to clean arms

      Migrants who survived the deadly airstrike on a detention center in western Libya say they had been conscripted by a local militia to work in an adjacent weapons workshop. The detention centers are under armed groups affiliated with the Fayez al-Sarraj government in Tripoli.

      Two migrants told The Associated Press on Thursday that for months they were sent day and night to a workshop inside the Tajoura detention center, which housed hundreds of African migrants.

      A young migrant who has been held for nearly two years at Tajoura says “we clean the anti-aircraft guns. I saw a large amount of rockets and missiles too.”

      The migrants spoke on condition of anonymity for fear of reprisal.

      http://www.addresslibya.com/en/archives/47932

    • Statement by the Post-3Tajoura Working Group on the Three-Month Mark of the Tajoura Detention Centre Airstrike

      On behalf of the Post-Tajoura Working Group, the European Union Delegation to Libya issues a statement to mark the passing of three months since the airstrike on the Tajoura Detention Centre. Today is the occasion to remind the Libyan government of the urgency of the situation of detained refugees and migrants in and around Tripoli.

      https://eeas.europa.eu/delegations/libya/68248/statement-post-tajoura-working-group-three-month-mark-tajoura-detention-

    • Statement by the Spokesperson on the situation in the #Tajoura detention centre

      Statement by the Spokesperson on the situation in the Tajoura detention centre.

      The release of the detainees remaining in the Tajoura detention centre, hit by a deadly attack on 2 July, is a positive step by the Libyan authorities. All refugees and migrants have to be released from detention and provided with all the necessary assistance. In this context, we have supported the creation of the Gathering and Departure Facility (GDF) in Tripoli and other safe places in order to improve the protection of those in need and to provide humane alternatives to the current detention system.

      We will continue to work with International Organisation for Migration (IOM) and UNHCR (the UN Refugee Agency) in the context of the African Union-European Union-United Nations Task Force to support and protect refugees and migrants in Libya. We call on all parties to accelerate humanitarian evacuation and resettlement from Libya to third countries. In particular, we are supporting UNHCR’s work to resettle the most vulnerable refugees with durable solutions outside Libya, with around 4,000 individuals having been evacuated so far. We are also working closely with the IOM and the African Union and its Member States to continue the Assisted Voluntary Returns, thereby adding to the more than 45,000 migrants returned to their countries of origin so far.

      The European Union is strongly committed to fighting traffickers and smugglers and to strengthening the capacity of the Libyan Coast Guard to save lives at sea. Equally, we recall the need to put in place mechanisms that guarantee the safety and dignity of those rescued by the Libyan Coast Guard, notably by ending arbitrary detention and allowing the UN agencies to carry out screening and registration and to provide direct emergency assistance and protection. Through our continuous financial support and our joined political advocacy towards the Libyan authorities, the UNHCR and IOM are now able to better monitor the situation in the disembarkation points and have regular access to most of the official detention centres.

      Libya’s current system of detaining migrants has to end and migration needs to be managed in full compliance with international standards, including when it comes to human rights. The European Union stands ready to help the Libyan authorities to develop solutions to create safe and dignified alternatives to detention in full compliance with the international humanitarian standards and in respect of human rights.

      https://eeas.europa.eu/headquarters/headquarters-homepage/65266/statement-spokesperson-situation-tajoura-detention-centre_en

    • 05.11.2019

      About 45 women, 16 children and some men, for a total of approximately 80 refugees, were taken out of #TariqalSikka detention centre by the Libyan police and taken to the #UNHCR offices in #Gurji, Tripoli, yesterday. UNHCR told them there is nothing they can do to help them so...
      they are now homeless in Tripoli, destitute, starving, at risk of being shot, bombed, kidnapped, tortured, raped, sold or detained again in an even worst detention centre. Forcing African refugees out of detention centres and leaving them homeless in Tripoli is not a solution...
      It is almost a death sentence in today’s Libya. UNHCR doesn’t have capacity to offer any help or protection to homeless refugees released from detention. These women & children have now lost priority for evacuation after years waiting in detention, suffering rape, torture, hunger...

      https://twitter.com/GiuliaRastajuly/status/1191777843644174336
      #SDF #sans-abri

  • AfropeanEcho 11 décembre 2017
    http://www.radiopanik.org/emissions/afropean-echo/afropeanecho-11-decembre-2017

    Animateurs : Frédéric Lubansu, Louise Manteau, Gaëtan Kondzot

    Invité : David Minor Illuga

    Auteur et comédien, David nous parle de « Délestage », écrit et joué par David Minor Illunga, mise en scène Roland Mauhauden.

    Events passés : #Sankara Legacy festival par le collectif

    Events futurs : Afropean open Lab III, le 23 février 2017 à 20h30 pour le festival Afropolitan festival à Bozar.

    Musiques :

    Babylone Nneka feat Joss stone Bombe anatomique Jean goubald This is a men world James brown feat Pavarotti

    Liens :

    jossstone.co.uk

    https://tarmacdesauteursblog.wordpress.com

    https://www.youtube.com/watch?v=2xHwcVcE73Q

    #Alternatives_Théâtrales #Tarmac #Théâtre_de_Poche #Kinshasa #Espace_senghor #Délestage #Art.15 #Métis #Alternatives_Théâtrales,Tarmac,Sankara,Théâtre_de_Poche,Kinshasa,Espace_senghor,Délestage,Art.15,Métis
    http://www.radiopanik.org/media/sounds/afropean-echo/afropeanecho-11-decembre-2017_06511__1.mp3