• No Tav, notte di guerriglia al presidio di #San_Giuliano sgomberato dalle forze dell’ordine

    –-> avec un angle journalistique qui est du côté du pouvoir... je mets ici surtout pour info.

    Gli antagonisti hanno resistito con bombe carta e lascrimogeni contro la polizia. L’operazione si è conclusa alle 5.

    L’appello sui circuiti di informazione No Tav era scattato già ieri sera: «Chi può venga a San Giuliano, da oggi è sotto sgombero». Lo sgombero del #Presidio organizzato sui terreni che serviranno alla realizzazione della stazione internazionale di Susa della linea Torino-Lione è iniziato nella notte e si è concluso questa mattina intorno alle 5. I No Tav hanno cercato di resistere con bombe carta e lacrimogeni contro la polizia. Le forze dell’ordine si sono trovati la strada sbarrata in tre punti. Gli accessi erano stati chiusi con barricate costruite dall’ala oltranzista del movimento No Tav, barricate poi dati alle fiamme per rallentare l’avanzara delle forze dell’ordine. Circa 150 persone, perlopiù appartenenti alla galassia antagonista hanno iniziato un lancio di sassi, grossi petardi e bombe carta contro i reparti che hanno risposto con l’uso dei lacrimogeni. La resistenza è durata tre ore, poi le forze dell’ordine hanno fatto irruzione nel terreno e il presidio è stato sgomberaro. San Giuliano era stato allestito alcuni giorni fa in vista degli espropri necessari a iniziare i lavori della stazione internazione dell’alta veloci Torino -Lione. Le indagini della Digos di Torino sono in corso per identificare i protagonisti degli episodi più violenti della nottata.

    https://torino.repubblica.it/cronaca/2024/10/07/news/no_tav_notte_di_guerriglia_al_presidio_di_san_giuliano_sgomberato_

    #TAV #Turin-Lyon #Lyon-Turin #train #train_à_grande_vitesse #Val_de_Suse #Vallée_de_Suse #No-TAV #résistance #barricade

  • Che fine ha fatto la Torino-Lione

    I lavori per la linea ferroviaria nota come TAV iniziarono nel 2001, ma poi ripartirono quasi da zero nel 2017: ancora oggi la galleria è per la maggior parte da scavare.

    Per accedere al cantiere della nuova tratta ferroviaria Torino-Lione a Chiomonte, in Val di Susa, bisogna percorrere una piccola strada, via dell’Avanà: circa un chilometro prima la via diventa chiusa al traffico e un’auto della polizia staziona lì, 365 giorni all’anno, da quasi dodici anni. Arrivati al cantiere vero e proprio ci sono alte reti metalliche con in cima bobine di filo spinato che circondano tutta l’area. All’ingresso ci sono mezzi militari e alcuni soldati sono incaricati di aprire il portone, dopo aver verificato le autorizzazioni, registrato chi si è presentato all’ingresso e segnato l’orario di entrata. Dentro, in una giornata normale, nel centinaio di metri di strada che separa l’ingresso dallo spiazzo centrale si incontra ancora almeno un altro mezzo delle forze dell’ordine. Nelle giornate “non normali”, quelle in cui sono previste manifestazioni, i mezzi di polizia ed esercito aumentano. I cantieri sono militarizzati, difesi e blindati perché dall’inizio degli anni Duemila sono stati contestati e ciclicamente attaccati.

    Il cantiere TAV (Treno ad Alta Velocità) sul lato italiano nel 2018 è stato spostato da Susa a Chiomonte, all’interno di una valle stretta, proprio perché si può difendere meglio militarmente. Qui dovranno partire i lavori di scavo del cosiddetto tunnel di base, la doppia galleria dove secondo i progetti passeranno i treni fra Torino e Lione. Dovranno partire perché nonostante di TAV si parli da oltre vent’anni, con la prima simbolica picconata data nel 2001 (sul lato francese), al momento i lavori sono nella fase preparatoria, quella delle gallerie di servizio, delle rampe delle autostrade per raggiungere i cantieri, dei sondaggi geognostici (cioè gli studi del suolo in profondità).

    I 23 anni passati senza perforazioni definitive si spiegano con almeno tre ragioni: il progetto è enorme, complesso e molto costoso, e ha avuto bisogno di lunghi studi preparatori; inoltre è cambiato più volte, principalmente per la diffusa, costante e attiva opposizione manifestata dalla popolazione in Val di Susa, con il noto e discusso Movimento No TAV; infine pur essendo sostenuto da tutti i governi italiani e francesi che si sono succeduti, ha subìto ripensamenti, rallentamenti e rinvii.

    La società incaricata si chiama TELT (Tunnel Euralpin Lyon-Turin) ed è binazionale, per metà dello Stato francese e per metà delle Ferrovie dello Stato Italiane. Ha un mandato di 99 anni per progettare, costruire e poi gestire la sezione transfrontaliera (quella in prossimità del confine) della nuova ferrovia.

    Manuela Rocca, ingegnera e vicedirettrice generale di TELT, dice: «Nel 2006 un progetto definitivo approvato è stato rivisitato completamente: siamo ripartiti da capo, dal perché si vuole fare quest’opera e da undici alternative di tracciato. Nel 2010 è stata scelta un’altra configurazione, dall’altra parte del fiume Dora». Da lì ripartì tutto, il progetto venne approvato definitivamente nel 2017 e i lavori preparatori sono iniziati negli anni successivi.

    Com’è adesso
    Il progetto attuale prevede un tracciato di 65 chilometri, di cui 57,5 di galleria, a una quota fra i 474 metri di Susa e i 569 di Saint-Jean-de-Maurienne (l’attuale ferrovia sale fino a 1.258 metri): 12,5 chilometri di tunnel sono in Italia, 45 in Francia, ma bisogna scavarne il doppio perché è prevista una “doppia canna”, ossia una doppia galleria per i due sensi di marcia. A questi va aggiunta una cinquantina di chilometri di gallerie di servizio, di collegamento e per i sondaggi geognostici, oltre ai pozzi di ventilazione e raffreddamento (nella profondità della montagna le temperature aumentano, fino a 40-45 gradi).

    Negli scorsi mesi sono stati aggiornati i costi e i tempi previsti di chiusura dei lavori: si è passati da 8,6 miliardi a 11,1 miliardi di euro, e dal 2032 al 2033. L’opera è fra le più costose fra quelle parzialmente finanziate dall’Unione Europea attraverso il fondo Connecting Europe Facility e, considerando anche le tratte di accesso in Francia e Italia (da creare o ammodernare), supera per prospettive di spesa il ponte sullo Stretto di Messina.

    Secondo Manuela Rocca di TELT la data del 2033 è da ritenere credibile perché «tiene già in considerazione difficoltà geologiche e tecniche molto variegate che possono essere incontrate». La Commissione tecnica Torino-Lione dell’Unione Montana Valle Susa, componente tecnica del Movimento No TAV, che si avvale di studi di professori di ingegneria come Alberto Poggio, ritiene invece «la conclusione dei lavori in nove anni impossibile, per ragioni tecniche e di finanziamento». Il Movimento continua da trent’anni la sua mobilitazione, con proteste, petizioni e ricorrenti piccole operazioni di contrasto attivo dei cantieri.

    I lavori
    Oggi sono aperti 10 cantieri e sono stati scavati 38,2 chilometri di gallerie, di cui poco più di 14 del tunnel di base, questi ultimi tutti in Francia: circa 10 fra il 2016 e il 2019 fra Saint-Martin-de-la-Porte e La Praz con una “talpa”, altri 3 all’imbocco del tunnel francese con metodo “tradizionale” (i lavori sono in corso). La talpa è una fresa, una macchina che può superare anche il centinaio di metri di lunghezza, di forma cilindrica, con dei denti in testa: scava un buco cilindrico nella roccia, rimuove attraverso dei nastri trasportatori il materiale di scavo dalla testa all’uscita del tunnel e monta di pari passo nel foro ottenuto i “conci”, i rivestimenti in cemento che daranno la forma definitiva al tunnel.

    Il metodo tradizionale prevede invece di inserire esplosivi nella roccia o di usare un cosiddetto martellone, di raccogliere i detriti, e di avanzare ancora, con altro esplosivo: poi servirà consolidare il tutto con getti di calcestruzzo. I lavori con metodo tradizionale sono in corso all’imbocco del tunnel in Francia, a Saint-Jean-de-Maurienne, dove il cantiere è meno “militarizzato” perché la contestazione è molto minore, se non assente. Oggi le due canne del tunnel di base sono fori ampi e lunghi poco più di un chilometro, che verranno rifiniti in seguito: al fondo c’è la roccia, in cui vengono inserite cariche esplosive in decine di piccoli fori. Mentre si allestisce l’esplosione in una delle canne, nell’altra si rimuovono i detriti e piano piano si avanza anche con i lavori di illuminazione e di ventilazione del cantiere.

    Il lavoro con la talpa è molto più rapido, anche se possibile solo per determinate conformazioni della roccia. Serviranno sette talpe per scavare sette degli otto tratti in cui stato diviso il tunnel (uno è quello già scavato): TELT ne ha ordinate cinque per la Francia, altre due dovranno essere ordinate per l’Italia. Sono fabbricate e testate in Germania, poi vengono smontate e trasportate a pezzi, con trasporti eccezionali e tempi lunghi. In Italia dovranno arrivare a Chiomonte: lo spostamento del cantiere iniziale per i motivi di sicurezza, dopo anni di contestazioni nei primi siti, implica l’inversione del senso di scavo: si parte da dove arriverà il tunnel francese e si va verso Susa. Chiomonte però non ha strade di accesso sufficienti per far arrivare le talpe e per permettere ai camion di portare via il materiale di scavo: al momento si sta lavorando a costruire uno svincolo all’autostrada che passa oltre 30 metri sopra al cantiere.

    Il cantiere di Chiomonte è solo uno dei tanti che interessano buona parte della bassa e media valle: a Salbertrand verranno raccolti i materiali di scavo (in parte riutilizzati, in parte smaltiti) e prodotti i conci; a San Didero, vicino a Borgone, verrà trasferito l’autoporto di Susa, dove invece dovrebbe sorgere la stazione internazionale. Nella piana di Susa ci saranno 2,6 chilometri di ferrovia all’aperto e altri due chilometri di galleria fino alle porte di Bussoleno, dove finisce la tratta internazionale e dove finiscono anche i progetti approvati in via definitiva. Nella piana di Susa cominceranno a ottobre gli espropri dei terreni, un altro momento di possibile tensione. Il progetto originario prevedeva una tratta molto più lunga all’aperto e un diverso imbocco del tunnel, sull’altra sponda: fu ripensato dopo l’anno di maggiore conflittualità con il movimento No TAV, il 2005.

    https://www.ilpost.it/2024/10/03/torino-lione-tav-lavori
    #TAV #Turin-Lyon #Lyon-Turin #train #train_à_grande_vitesse #Val_de_Suse #Vallée_de_Suse #tunnel #travaux #militarisation #Susa #Chiomonte #tunnel_de_base #Tunnel_Euralpin_Lyon-Turin #TELT #coûts #coût #Connecting_Europe_Facility #No-TAV

  • Ecco perché il #Tav diventa un bancomat Ue per i costruttori

    L’eterna telenovela del Tav Torino-Lione ha la sua immancabile puntata estiva. Arrivano nuovi finanziamenti dall’Europa, quelli che dovrebbero coprire il 55% dei costi dell’opera. Bruxelles comunica l’assegnazione di 700 milioni di euro del #Cef, #Connecting_Europe_Facility, il programma per finanziare i grandi progetti infrastrutturali. Da #Telt, la società italo-francese che sta lavorando per realizzare la Torino-Lione, arriva intanto la notizia che i costi sono saliti da 8,6 a 11,1 miliardi e che la consegna è posticipata al 2033. L’arrivo dei 700 milioni – sottolinea Telt – è segno dell’impegno dell’Europa per il Tav: sono il 10% del budget europeo disponibile e rendono quest’opera, per importo erogato, il terzo progetto finanziato dall’Unione. Per gli ingegneri della commissione tecnica sul Tav dell’Unione montana Valle di Susa, invece, quei 700 milioni sono briciole: neppure il 3% del budget europeo 2021-2027 per le infrastrutture di trasporto, che ammonta a quasi 26 miliardi di euro. Nel 2014 la Torino-Lione portò a casa 814 milioni, cioè il 7% del budget 2014-2020 (che era di 11,7 miliardi). Oggi, malgrado i soldi disponibili fossero più del doppio (quasi 26 miliardi, appunto), il contributo diminuisce sia in cifra assoluta sia in percentuale. Non solo. Questi fondi europei arrivano dopo 10 anni dall’ultima assegnazione, avvenuta con il bando Cef 2014. E sono l’ultima erogazione possibile per il settenato 2028-2034. Insomma – secondo i tecnici del movimento No-Tav – l’Europa nei fatti non dimostra molta passione per la grande opera che piace tanto a Matteo Salvini e a molti anche a sinistra. La lentezza con cui arrivano i finanziamenti europei dipende anche dai ritardi nei lavori: per chiedere soldi nuovi, bisogna prima finire di spendere quelli già assegnati; e in questi anni Telt non ha brillato per capacità di spesa. Lo ha segnalato anche la Corte dei conti europea nel 2020: con i fondi erogati nel 2014, si dovevano completare entro 5 anni, cioè nel 2019, gli studi e i lavori finanziati. Telt ha chiesto ben tre proroghe, terminando quei lavori in 10 anni, ovvero nel doppio del tempo previsto. Sono stati chiusi in fretta e furia nel febbraio 2024, per poter partecipare in extremis all’ultimo bando di finanziamento del settenato europeo, dopo aver perso i due bandi precedenti. Così sono arrivati i 700 milioni appena annunciati. Dal 2001 ad oggi, sono già stati spesi quasi 2 miliardi in opere preparatorie, senza che le cinque talpe comprate per scavare il tunnel ferroviario tra Italia e Francia siano entrate in funzione: sono ancora parcheggiate nello stabilimento in Germania dove sono state assemblate. Per scavare la galleria serviranno almeno altri 11 miliardi, di cui il 45% dovrà essere pagato da Italia (almeno 2,5 miliardi) e Francia (altri 2,5) e il 55% dall’Europa (almeno 6). Arriveranno? E quando? L’entrata in servizio della linea, prevista ora per il 2033, sembra un miraggio: imporrebbe una capacità di spesa entro quella data di 11 miliardi. Ma a questo ritmo di spesa e di finanziamenti – circa 750 milioni europei ogni sette anni – per finire il tunnel ci vorranno altri sette settenati, ossia una cinquantina d’anni. Al di là degli annunci e delle previsioni, sembra che i soldi servano a finanziare nel tempo la lobby del Tav, amministratori e costruttori, senza alcuna garanzia di riuscire a realizzare davvero l’opera. Del resto, la linea ferroviaria già esistente è più che sufficiente a trasportare le merci che viaggiano tra Italia e Francia. E ormai il progetto si è ridotto al solo tunnel, abbandonando l’idea di nuove linee d’accesso in Italia (Val di Susa) e soprattutto in Francia (Modane-Dijon, saltando Lione). Il Tav non è più un progetto infrastrutturale: è ormai solo una bandiera per la politica e un bancomat per i costruttori.

    https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2024/08/02/ecco-perche-il-tav-diventa-un-bancomat-ue-per-i-costruttori/7645124

    #TAV #Turin-Lyon #Lyon-Turin #business #train #train_à_grande_vitesse #géologie #Val_de_Suse #Vallée_de_Suse #Maurienne #Savoie #infrastructure_ferroviaire #coût

  • Tunnel Lyon-Turin : le chantier coûtera finalement 11,1 milliards d’euros et sera livré avec un an de retard

    La société maître d’ouvrage a publié les nouveaux chiffres vendredi dernier. Les travaux coûteront 30% de plus que prévu.

    Le tunnel de base Lyon-Turin coûtera 2,5 milliards d’euros de plus que prévu, avec un #budget total de 11,1 milliards d’euros, soit une hausse de près de 30%, rapporte mardi 30 juillet France Bleu Pays de Savoie. Ces chiffres ont été annoncés vendredi dernier par la société #TELT, maître d’ouvrage, à l’issue de son dernier conseil d’administration.

    L’entreprise a publié le #coût_prévisionnel actualisé du chantier du #tunnel_de_base du Lyon-Turin en cours de construction entre Saint-Jean-de-Maurienne, en Savoie, et Suse, en Italie. Résultat : le tunnel coûtera 2,5 milliards d’euros de plus que prévu par rapport à une première expertise initiale TELT effectuée en 2015 qui estimait alors le chantier à 8,6 milliards d’euros. Avec cette hausse, les travaux du tunnel de base doivent coûter 11,1 milliards d’euros, soit une hausse de près de 30% en neuf ans.

    Hausse des coûts de certaines matières, nouvelles « contraintes »...

    Parmi les raisons avancées par TELT pour expliquer cette hausse, la pandémie de Covid-19 ou encore la guerre en Ukraine, qui a eu plusieurs conséquences comme des difficultés d’approvisionnement et la hausse des coûts de certaines #matières_premières. Autre raison avancée, la multiplication d’autres chantiers comme ceux des Jeux olympiques en France. Enfin, des « contraintes géologiques non prévisibles » ont aussi fait augmenter le coût du projet.

    Le tunnel de base, qui relie donc Saint-Jean-de-Maurienne à Suse, et qui devait être opérationnel en 2032 aura finalement un an de retard. La livraison est prévue pour fin 2033. Pour rappel, actuellement, 37,3 km ont déjà été creusés, dont 13,7 km du tunnel de base, sur les 164 km de #galeries prévues pour l’ouvrage.

    https://www.francetvinfo.fr/economie/transports/tunnel-lyon-turin-le-chantier-coutera-finalement-11-1-milliards-d-euros
    #TAV #Turin-Lyon #Lyon-Turin #coût #retard #train #train_à_grande_vitesse #géologie #Val_de_Suse #Vallée_de_Suse #Maurienne #Savoie #infrastructure_ferroviaire

  • Enquête sur le #Lyon-Turin

    En septembre 2022, nous sommes partis avec Mikaël Chambru, Raphaël Lachello et les étudiants en master 2 Communication et culture scientifique de l’Université Grenoble Alpes en Maurienne.

    L’objectif ? Mieux comprendre la #controverse autour du Lyon Turin : ce #projet_ferroviaire d’envergure pose de nombreuses questions philosophiques, écologiques, économiques…

    La liaison ferroviaire Lyon-Turin est l’un des grands projets approuvé par le Parlement européen en 2004. Elle appartient à un dispositif qui vise à mettre en réseau 5 000 kilomètres de lignes nouvelles en Europe. Sur le territoire, beaucoup conteste ce projet.

    Au retour de cette aventure, les étudiants ont réalisé cinq épisodes de podcast, dont quatre vous sont présentés cette semaine dans le Camp de base. Bonne écoute !

    https://podcast.ausha.co/le-camp-de-base-rencontres-au-sommet/playlist/enquete-sur-le-lyon-turin

    #TAV #train #podcast #audio #transports #controverses #no_TAV

  • #NoTAV DOCUMENTAIRE | Le 17 Juin, la montagne se soulève

    Documentaire des #Soulèvements_de_la_Terre, sur les ravages provoqués par le #LyonTurin, mais aussi de témoignages de celles et ceux qui luttent des deux côtés de la frontières depuis longtemps pour préserver l’#eau, les #terres et les #montagnes.

    Le 17 juin, retrouvons-nous en Maurienne pour impacter concrètement le projet et faire se soulever les Alpes ! #NoTAV #StopTELT

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    Depuis des dizaines d’années, des deux côtés des Alpes, en France comme en Italie, collectifs et associations se mobilisent pour qu’un projet pharaonique, inutile et désastreux ne voit jamais le bout du tunnel.

    Ce projet, c’est la seconde #ligne_ferroviaire Lyon Turin : 30 milliards d’euros pour 270 km de dévastation, en surface et à travers de multiples galeries sous nos montagnes. Le #tunnel transfrontalier représente à lui seul 2 tubes de 57,5 km chacun !

    Les conséquences ? 1500 hectares de zones agricoles et naturelles à artificialiser, des millions de tonnes de #déchets issues des galeries à stocker, le #drainage de 100 millions de m3 souterraine chaque année à prévoir, asséchant de façon irrémédiable la montagne. Si l’#eau c’est la vie, alors c’est bien au droit à vivre des populations locales que ce projet s’attaque...

    Faire transiter les marchandises par le rail plutôt que par la route, pourtant, c’est bien écologique ? Certainement. Sauf qu’il existe déjà une ligne, fortement sous utilisée, sur laquelle le #fret_ferroviaire s’est effondré : 10 millions de tonnes transportées en 1993, 3,3 millions en 2021. Et ce malgré des travaux conséquents de mise aux normes !

    Et le climat, alors ? L’impact des travaux est tel qu’il faudra des dizaines d’années pour espérer compenser la dette carbone qui est creusée en ce moment même (selon la Cour des comptes européenne il faudra probablement attendre jusqu’en... 2085 !). Alors que tout le monde s’accorde sur l’urgence climatique et le besoin d’agir immédiatement, le LYON-TURIN participe activement au réchauffement climatique.

    Symbole d’une époque où l’on ne jurait que par l’explosion du trafic de #marchandises et la #grande_vitesse, ce désastre environnemental a démarré (11km creusés sur les 115 nécessaires pour le tunnel transfrontalier), mais il est encore possible d’éviter le pire en faisant dérailler ce projet écocide.

    Les 17 et 18 juin, une #mobilisation internationale se déroulera en Maurienne, organisée par les Soulèvements de la Terre et de nombreuses organisations qui combattent ce projet depuis longtemps.

    https://www.youtube.com/watch?v=A6j8unxb0xs

    #TAV #No_TAV #Lyon-Turin #résistance #luttes #lutte #artificialisation_des_sols

  • Rinchiusi e sedati: l’abuso quotidiano di psicofarmaci nei Cpr italiani

    Nei #Centri_di_permanenza_per_il_rimpatrio le persone ristrette vengono “tenute buone” tramite un uso dei medicinali arbitrario, eccessivo e non focalizzato sulla presa in carico. Dati inediti mostrano la gravità del fenomeno. Da Milano a Roma

    “Mentre sono addormentati o storditi, le loro richieste diminuiscono: così le persone trattenute nel Centro di permanenza per il rimpatrio (Cpr) non mangiano, non fanno ‘casino’, vengono rimpatriate e non pretendono i propri diritti. E soprattutto l’ente gestore risparmia, perché gli psicofarmaci costano poco. Il cibo e una persona ‘attiva’, invece, molto di più”. Il racconto di Matteo, nome di fantasia di un operatore che ha lavorato diversi mesi in un Cpr, è confermato da dati inediti ottenuti da Altreconomia e che fotografano un utilizzo elevatissimo di questi farmaci all’interno dei centri di tutta Italia. Una “macchina per le espulsioni” -dove “l’essere umano scompare e restano solo i soldi”, racconta Matteo- a cui il Governo Meloni non vuole rinunciare. Nell’ultima legge di Bilancio sono stati previsti più di 42,5 milioni di euro per l’ampliamento entro il 2025 della rete dei nove Cpr già attivi e il nuovo decreto sull’immigrazione licenziato a marzo 2023, appena dopo i fatti di Cutro, prevede procedure semplificate per la costruzione di nuove strutture, con l’obiettivo di realizzarne almeno una per Regione. Questo nonostante le percentuali dei rimpatri a seguito del trattenimento siano bassissime mentre incalcolabile è il prezzo pagato in termini di salute dalle oltre cinquemila persone che nel 2021 sono transitate nei centri.

    Per confrontare i dati ottenuti sulla spesa in farmaci effettuata dagli enti gestori delle strutture, abbiamo chiesto le stesse informazioni al Centro salute immigrati (Isi) di Vercelli, il servizio delle Asl che in Piemonte prende in carico le persone senza regolare permesso di soggiorno (non iscrivili quindi al sistema sanitario nazionale) e segue una popolazione simile a quella dei trattenuti del Cpr anche per età (15-45 anni), provenienza e condizione di “irregolarità”. A Vercelli la spesa in psicofarmaci rappresenta lo 0,6% del totale: al Cpr di via Corelli a Milano, invece, questa cifra è 160 volte più alta (il 64%), al “Brunelleschi” di Torino 110 (44%), a Roma 127,5 (51%), a Caltanissetta Pian del Lago 30 (12%) e a Macomer 25 (10%).

    Numeri problematici non solo per l’incidenza degli psicofarmaci sul totale ma anche per la tipologia, all’interno di una filiera difficile da ricostruire e che coinvolge tre attori: l’azienda sanitaria locale, la prefettura e l’ente gestore a cui è affidata, tramite bando, la gestione del centro. “A differenza della realtà carceraria, nel Cpr la cura della salute non è affidata a medici e figure specialistiche che lavorano per il sistema sanitario nazionale, bensì al personale assunto dagli enti gestori il cui ruolo di monitoraggio si è dimostrato carente, se non assente”, spiega Nicola Cocco, medico ed esperto di detenzione amministrativa.

    Grazie ai dati raccolti dall’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi) e dall’associazione di volontariato Naga relativi ai farmaci acquistati per il Cpr di Milano tra ottobre 2021 e febbraio 2022, sappiamo però che in cinque mesi la spesa in psicofarmaci è superiore al 60% del totale, di cui oltre la metà ha riguardato il Rivotril (196 scatole): farmaco autorizzato dall’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) come antiepilettico ma usato ampiamente come sedativo.

    Nel primo caso necessiterebbe una prescrizione ad hoc ma le visite psichiatriche effettuate alle persone trattenute nei mesi che vanno da ottobre 2021 a dicembre 2022 sono solo otto. In alternativa, un utilizzo del farmaco diverso rispetto a quello per cui è stato autorizzato dovrebbe avvenire solo previo consenso informato della persona a cui viene somministrato. “Chiedevano a me, operatore, di darlo, ma io mi rifiutavo perché non potevo farlo, non sono né un medico né un infermiere: i più giovani non sanno neanche che cosa sia questo medicinale ma no, non ho mai visto nessuna acquisizione del consenso”, racconta Matteo. A Torino la spesa in Clonazepam (Rivotril) dal 2017 al 2019 è di 3.348 euro, quasi il 15% del totale (22.128 euro) mentre a Caltanissetta tra il 2021 e il 2022 sappiamo che sono state acquistate 57.040 compresse: 21.300 solo nel 2021, a fronte di 574 persone trattenute. Significa mediamente 37 a testa. “L’utilizzo degli psicofarmaci all’interno dei Cpr è troppo spesso arbitrario, eccessivo e non focalizzato sulla presa in carico e sulla cura degli individui trattenuti, concorrendo ad aggravare la patogenicità di questi luoghi di detenzione”, osserva Cocco.

    Si registra inoltre un elevato consumo di derivati delle benzodiazepine, che dovrebbero essere utilizzate quando i disturbi d’ansia o insonnia sono gravi. A Roma in tre anni (2019, 2020 e 2021) sono state acquistate 3.480 compresse di Tavor su un totale di 2.812 trattenuti, cui si aggiungono, tra gli altri, 270 flaconi di Tranquirit da 20 millilitri e 185 fiale intramuscolo di Valium. Gli stessi farmaci li ritroviamo a Caltanissetta: 2.180 pastiglie di Tavor (più 29 fiale) tra il 2021 e il 2022; Zoloft (antidepressivo, 180 compresse); Valium e Bromazepam. Simile la situazione a Milano: tra ottobre 2021 e febbraio 2022 sono state acquistate, tra le altre, 27 scatole di Diazepam e 32 di Zoloft. Una “misura” del malessere che si vive nei centri è dato anche dall’alta spesa in paracetamolo, antidolorifici, gastroprotettori e farmaci per dolori intestinali. Un esempio su tutti: a Roma, in cinque anni, sono state acquistate 154.500 compresse di Buscopan su un totale di 4.200 persone transitate. In media, 36 pastiglie a testa quando un ciclo “normale” ne prevede al massimo 15.

    Un quadro eloquente in cui è fortemente problematica la compatibilità tra la permanenza della persona nel centro e l’assunzione di farmaci che prevedono precisi piani terapeutici. Qui entrano in gioco anche i professionisti assunti dall’ente gestore, che devono effettuare lo screening con cui si valuta lo stato di salute della persona trattenuta e l’eventuale necessità di visite specialistiche o terapie specifiche.

    A Milano gli psicofarmaci pesano per il 64% sul totale della spesa sanitaria. A Torino per il 44%, a Roma per il 51%. All’Isi di Vercelli appena per lo 0,6%

    Infatti, come previsto dallo schema di capitolato che disciplina i contratti d’appalto legati alla gestione dei Cpr italiani, “sono in ogni caso assicurati la visita medica d’ingresso [screening, ndr] nonché, al ricorrere delle esigenze, la somministrazione di farmaci e altre spese mediche”. Non è chiaro però, né dal capitolato né dalla nuova direttiva che regola diversi aspetti del funzionamento dei centri siglata il 19 maggio 2022 dal Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione, in seno al ministero dell’Interno, quali siano le modalità con cui avviene la somministrazione di farmaci e chi effettivamente si faccia carico dei relativi costi.

    Dunque ogni Cpr (e quindi ogni ente gestore e ogni prefettura) adotta le proprie prassi, anche in virtù dell’esistenza o meno di protocolli con le Asl che gli uffici del governo sarebbero obbligate a stipulare. Una disomogeneità che genera scarsa trasparenza. Un altro caso di scuola: a Milano la prefettura chiarisce come “i farmaci acquistati dall’ente gestore sono prescritti da personale sanitario dotato di ricettario del Servizio sanitario nazionale, in capo al quale ricadono i relativi costi”. L’Asl a sua volta, ricordando l’esistenza di un protocollo d’intesa stipulato con la Prefettura, riporta che i medici del Cpr possono avvalersi del ricettario regionale per tutto un elenco di prestazioni, ma “non per la prescrizione di farmaci ai cittadini stranieri irregolari”. Un cortocircuito.

    Se anche i farmaci venissero forniti seguendo attente prescrizioni e piani terapeutici il problema sarebbe comunque la compatibilità del trattenimento con le patologie delle persone. I “trattenuti” accedono infatti nei Cpr solamente dopo una “visita di idoneità alla vita in comunità ristretta”, che dovrebbe sempre essere svolta da un medico della Asl o dall’azienda ospedaliera. Secondo quanto stabilito dalla citata direttiva del maggio 2022 la visita di idoneità serve a escludere “patologie evidenti come malattie infettive contagiose, disturbi psichiatrici, patologie acute o cronico degenerative che non possano ricevere le cure adeguate in comunità ristrette”.

    La presenza tra le “spese” di antipsicotici, antiepilettici o di creme e gel che curano, ad esempio, la scabbia, sembra quindi un “controsenso”. “Se non si può arrivare a parlare di incompatibilità assoluta è perché il regolamento è un riferimento normativo secondario -sottolinea Maurizio Veglio, avvocato di Torino e socio dell’Asgi specializzato in materia di detenzione amministrativa-. Se una prescrizione legislativa specifica che persone con determinate patologie non possono stare nel centro e poi abbiamo percentuali di spesa così alte per farmaci ‘congruenti’ con quel profilo c’è una frizione molto forte”.

    “Nel Cpr la cura della salute non è affidata a medici e figure specialistiche che lavorano per il Ssn, bensì al personale assunto dagli enti gestori” – Nicola Cocco

    Una frizione che si traduce, concretamente, nella presenza di farmaci acquistati in diversi Cpr come Quetiapina, Olanzapina o Depakin, indicati nella terapia di schizofrenia e disturbo bipolare; Pregabalin (antiepilettico); Akineton, utilizzato per il trattamento del morbo di Parkinson (30mila compresse in due anni a Caltanissetta), piuttosto che il Rivotril. A Macomer, in provincia di Nuoro, l’ente gestore Ors Italia in una comunicazione rivolta alla prefettura il 9 settembre 2020 di cui abbiamo ottenuto copia scrive che la “comunità di persone trattenute è caratterizzata da soggetti con le più svariate criticità […]: tossicodipendenza, soggetti con doppia diagnosi (dipendenza e patologia psichiatrica, ndr), pazienti affetti da patologie dermatologiche”. Uomini e donne per cui non è problematizzato l’ingresso o meno nel centro. E il Servizio per le dipendenze patologiche territoriale (Serd), dal canto suo, ci ha fornito i piani di trattamento degli ultimi tre anni.

    Il metadone è presente anche nelle spese di Torino (circa 1.150 euro in quattro anni). Sempre nel capoluogo piemontese, nello stesso periodo, la spesa per la Permetrina, un gel antiscabbia, è di quasi 2.800 euro; una voce che si ritrova anche a Milano e Caltanissetta dove, nel 2022, sono stati acquistati 109 tubetti di Scabianil mentre a Roma, nel 2020, troviamo un farmaco per la tubercolosi (50 compresse di Nicozid). In tutti i Cpr in analisi troviamo anche antimicotici, legati a infezioni fungine (dermatologiche o sistemiche). “Se non c’è incompatibilità assoluta, l’idoneità non può essere valutata su una ‘normale’ vita comunitaria, ma va ‘calibrata’ sulla specificità di quello che sono quelle strutture -conclude Veglio-. A Torino, prima della sua momentanea chiusura a inizio marzo 2023 dormivano sette persone in 35 metri quadrati”. Luoghi definiti eufemisticamente come “non gradevoli” dal ministro dell’Interno Matteo Piantedosi a metà marzo 2023 a commento delle nuove regole sull’ampliamento della rete dei centri rispetto a cui le informazioni sono spesso frammentate o mancanti.

    Un tema che ritorna anche rispetto alla spesa sui farmaci. Due esempi: a Palazzo San Gervasio, struttura situata in provincia di Potenza e gestita da Engel Italia, secondo l’Asl nel 2022 la spesa totale è pari ad appena 34 euro (un dato costante dal 2018 in avanti) senza la presenza di psicofarmaci o antipsicotici. Un quadro diverso da quello descritto dai medici operanti all’interno del Centro che, secondo quanto riportato dall’Asgi in un report pubblicato nel giugno 2022, dichiaravano un “massiccio utilizzo di psicofarmaci (Rivotril e Ansiolin) da parte dei trattenuti”. Un copione che si ripete anche per il centro di Gradisca d’Isonzo, in provincia di Gorizia, già finito sotto i riflettori degli inquirenti. A metà gennaio 2023 è iniziato infatti il processo per la morte di Vakhtang Enukidze, 37 anni originario della Georgia, avvenuta il 18 gennaio 2020.

    Vakhtang Enukidze è morto nel Cpr di Gradisca d’Isonzo il 18 gennaio 2020 per edema polmonare e cerebrale causato da un cocktail di farmaci e stupefacenti

    Come ricostruito sul quotidiano Domani, l’autopsia ha accertato che la causa della morte è edema polmonare e cerebrale per un cocktail di farmaci e stupefacenti. Pochi mesi dopo, il 20 luglio 2020, Orgest Turia, 28enne originario dell’Albania, è morto per overdose di metadone. Due morti che danno ancor più rilevanza all’accesso ai dati. Ma sia l’Azienda sanitaria universitaria Giuliano Isontina (Asugi) sia la prefettura di Gorizia riferiscono ad Altreconomia di non averli a disposizione. In particolare, l’ufficio del governo sottolinea che “l’erogazione dei servizi non avviene tramite rendicontazione delle spese mediche affrontate”. Citando la “documentazione di gara” si specifica che le spese per i farmaci sono ricomprese “nell’ammontare pro-capite pro-die riconosciuto contrattualmente”. Buio pesto anche a Brindisi, Trapani e Bari.

    Qualche tribunale inizia però a fare luce. È il caso di Milano, dove a fine gennaio 2023 la giudice Elena Klindani non ha convalidato il prolungamento della detenzione di un ragazzo di 19 anni, rinchiuso in via Corelli da cinque mesi, perché “ogni ulteriore giorno di trattenimento comporta una compromissione incrementale della salute psicofisica per il sostegno della quale non è offerta alcuna specifica assistenza, al di fuori terapia farmacologica” e la salute del giovane “è suscettibile di ulteriore compromissione per via della condizione psicologica determinata dalla protratta restrizione della libertà personale”. Altro che “luogo non gradevole”.

    https://altreconomia.it/rinchiusi-e-sedati-labuso-quotidiano-di-psicofarmaci-nei-cpr-italiani
    #rétention #détention_administrative #Italie #CPR #asile #migrations #sans-papiers #médicaments #psychotropes #données #chiffres #cartographie #visualisation #renvois #expulsions #coût #Rivotril #sédatif #Clonazepam #benzodiazépines #Tavor #Tranquirit #Valium #Zoloft #Bromazepam #Buscopan #Quetiapina #Olanzapina #Depakin #méthadone #Permetrina #Scabianil #Nicozid #Ansiolin

    • Condizioni di detenzione nei Centri per il Rimpatrio - Conferenza stampa di #Riccardo_Magi
      https://webtv.camera.it/evento/22168

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      “Rinchiusi e sedati” alla Camera dei deputati grazie a @riccardomagi e @cucchi_ilaria che chiedono “spiegazioni urgenti” al ministro Piantedosi sull’abuso di psicofarmaci all’interno dei Cpr denunciato dall’inchiesta: “La verità è una sola, questi luoghi vanno chiusi”

      https://twitter.com/rondi_luca/status/1644003698765381632

    • “Perché i Centri di permanenza per il rimpatrio devono indignare”

      L’avvocata Giulia Vicini, socia dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione, conosce bene i Cpr e le condizioni di vita di chi vi è trattenuto. In particolare in quello di via Corelli a Milano. Luoghi di privazione della libertà, con garanzie inferiori a quelle della custodia in carcere. Stigmi cittadini. Il suo racconto

      Cpr. A dispetto del nome e dei nomi che lo hanno preceduto -Centro di permanenza temporanea (Cpt), Centro di identificazione ed espulsione (Cie), e ora l’acronimo sta per Centro di permanenza per il rimpatrio- si tratta di un luogo di privazione della libertà personale. La stessa struttura di questi centri lo dimostra: alte mura, filo spinato e telecamere sul perimetro. Presidio costante di almeno quattro corpi di forze dell’ordine: esercito, carabinieri, polizia di Stato e Guardia di Finanza.

      I francesi hanno trovato un nome per diversificare la privazione della libertà personale dei cittadini stranieri in attesa di rimpatrio dalla detenzione nelle carceri ed è “retention”. In Italia si parla di trattenimento amministrativo. Come lo si voglia chiamare, si tratta della stessa privazione della libertà personale a cui sono sottoposti coloro che sono stati condannati per avere commesso dei reati. Chi sta nel Cpr non può andare da nessuna parte e risponde a regole che sono proprie del carcere, nonostante siano diversi i presupposti per il trattenimento e anche le garanzie e le tutele del trattenuto.

      I trattenuti nel Cpr sono cittadini stranieri in attesa dell’espletamento delle procedure di esecuzione di un rimpatrio forzato. Tra i presupposti (quantomeno quelli previsti dalla legge) per il trattenimento presso il Cpr vi è quindi anzitutto di non avere o non avere più un titolo per soggiornare regolarmente nel territorio nazionale, un permesso di soggiorno. Prendendo in prestito uno degli alienanti nomi in voga nel dibattito pubblico, chi può essere trattenuto al Cpr è “irregolare”. O, peggio ancora, “clandestino”. Ma, sempre in forza delle norme di legge, l’irregolarità non è sufficiente perché si possa applicare la misura del trattenimento presso il Cpr. È anche necessario che lo straniero sia “espellibile”, che possa essere destinatario di un provvedimento di rimpatrio. Questo perché l’ordinamento nazionale prevede delle ipotesi in cui il cittadino straniero, pur non avendo un permesso di soggiorno, non può essere allontanato dal territorio nazionale. È il caso dei minori, delle donne in stato di gravidanza e -quantomeno fino alla recente riforma della protezione speciale- di coloro che avevano maturato in Italia dei legami famigliari o sociali significativi e degni di protezione.

      Ulteriore presupposto perché le autorità di pubblica sicurezza possano ricorrere al trattenimento è che il provvedimento di rimpatrio comminato possa essere eseguito con la forza. L’uso della forza e il trattenimento sono infatti previsti come ultima ratio per garantire l’esecuzione del rimpatrio. L’ordinamento disciplina delle misure alternative, meno afflittive della libertà personale, quali ad esempio l’obbligo di firma e il ritiro del passaporto.

      Questi i presupposti di legge. L’esperienza però ci mostra che nei Cpr vengono spesso trattenute persone inespellibili o che potrebbero avere accesso a misure alternative. Quello che è certo è che chi è trattenuto presso il Cpr non ha commesso alcun reato, o quantomeno non è trattenuto per avere commesso un reato. Il suo trattenimento è unicamente finalizzato a consentire alle autorità di pubblica sicurezza di rimuoverlo forzatamente dal territorio.

      Che il trattenimento nel Cpr non sia conseguenza di alcun reato è tanto più evidente se si considera che anche chi vi è trattenuto dopo avere espiato una pena in carcere non lo è per “pagare” una pena -appunto già pagata altrove- ma per essere identificato, in un sistema che si rivela incapace, o forse disinteressato a procedere all’identificazione e al riconoscimento durante la (spesso lunga) permanenza in carcere.

      Per riassumere, della popolazione del Cpr fanno parte coloro che entrano nel territorio senza un titolo per l’ingresso o il soggiorno o che entrano con un titolo trattenendosi però oltre la sua scadenza. Coloro che perdono un titolo di soggiorno spesso per cause non a loro imputabili, quali la perdita dell’occupazione. Ma anche i richiedenti asilo. Coloro che chiedono protezione internazionale perché in fuga da persecuzioni e guerre.

      Il decreto legge 20/2023 convertito in legge 50/2023 ha peraltro reso il trattenimento del richiedente asilo la norma ogni qualvolta la domanda è presentata “in frontiera”. Dove il concetto di frontiera si amplia a dismisura ricomprendendo territori scelti senza alcuna apparente ragione (si pensi ad esempio Matera) con la conseguenza che alla domanda di protezione presentata in questi territori seguirà un trattenimento. Le direttive europee prescrivono che il trattenimento del richiedente protezione debba rappresentare una misura eccezionale e che si debbano distinguere i luoghi di trattenimento perché diversi sono i presupposti e diverse le procedure e le garanzie. Nondimeno i richiedenti asilo possono essere trattenuti fino a dodici mesi negli stessi luoghi dei cittadini stranieri in attesa di esecuzione del rimpatrio.

      Quando e quanto si può essere trattenuti nel Cpr? Sul quando, si è già detto, lo straniero che viene portato al Cpr non è solo quello che è appena entrato in Italia ma anche quello che si trova nel territorio da moltissimi anni e che nel territorio ha costruito un percorso di vita. Sul quanto vale la pena interrogarsi perché la disciplina degli stessi termini del trattenimento dimostra l’esclusiva funzionalità alla conclusione di un procedimento -quello di espulsione- che molto spesso le autorità non portano a termine. La proroga del trattenimento, dopo i primi trenta giorni, può infatti essere consentita dal Giudice di pace solo se “l’accertamento dell’identità e della nazionalità ovvero l’acquisizione di documenti per il viaggio presenti gravi difficoltà”. Il trattenimento può essere prorogato per altri trenta giorni solo se risulta probabile che il rimpatrio venga eseguito. Il trattenimento non solo è funzionale all’esecuzione del rimpatrio ma anche spesso determinato da inefficienze o ritardi della Pubblica amministrazione.

      Dove si consuma il trattenimento ai fini del rimpatrio? Nonostante le nostre preoccupazioni e la nostra indignazione riguardino spesso, legittimamente, i Cpr, gli stranieri destinatari di misure di rimpatrio vengono trattenuti anche negli aeroporti. In quella Malpensa in cui i titolari di passaporto italiano transitano senza alcun ostacolo e in cui i cittadini stranieri a cui si contesta di “non avere i documenti in regola” al momento del loro arrivo vengono trattenuti anche fino a otto giorni, in aree sterili, senza vedere la luce del giorno e senza avere accesso ai loro oggetti personali, e poi vengono “accompagnati” all’aereo che li riporta a casa. Dall’entrata in vigore del decreto legge 113/2018 è inoltre possibile trattenere presso dei locali all’interno delle questure in attesa di rimpatrio. E negli uffici di via Montebello della questura di Milano questi locali esistono e vengono comunemente utilizzati.

      Infine, quello che forse più deve indignare è come si svolge il trattenimento. Ai trattenuti nel Cpr sono riconosciute garanzie inferiori a quelle della custodia in carcere, tanto nel procedimento che porta alla privazione della libertà, quanto nelle condizioni materiali di tale privazione. Il caso dell’utilizzo della forza pubblica per l’esecuzione del rimpatrio di cittadini stranieri è l’unico per cui -in alcune ipotesi- la legge nazionale esclude la necessità di una convalida giudiziaria. Questo vale per i respingimenti “immediati” ai valichi di frontiera e anche, con l’entrata in vigore del decreto legge 20/2023, per chi è destinatario di misure di espulsione di carattere penale. Anche dove una convalida giudiziaria è prevista, la stessa è molto al di sotto degli standard del giusto processo, con udienze che si svolgono da remoto, senza concedere ai legali adeguato tempo per conferire con l’assistito, e hanno una durata complessiva di poco più di un quarto d’ora. Nel procedimento di convalida, inoltre, opera spesso un’inversione de facto dell’onere della prova in cui lo straniero deve offrire prova documentale di tutto quello che deduce mentre sulle dichiarazioni rese dalla Questura, parte istante, si fa cieco affidamento.

      Quanto alle condizioni, l’ampia reportistica risultante dai sopralluoghi effettuati presso i Cpr è più che eloquente. Lo straniero trattenuto non riceve alcuna informativa sui diritti e sui servizi a cui ha titolo. Significativo è che lo stesso venga identificato e arrivando nella sala colloqui con l’avvocato si identifichi con un numero. Quando si iniziano a identificare le persone con i numeri la storia ci insegna che non si arriva mai a nulla di buono.

      https://altreconomia.it/perche-i-centri-di-permanenza-per-il-rimpatrio-devono-indignare

    • Abuso di psicofarmaci nei Cpr: perché la versione del ministro Piantedosi non sta in piedi

      Intervistato da Piazzapulita sulle terribili condizioni dei trattenuti nei Centri, il titolare del Viminale ha provato a confutare i risultati della nostra inchiesta “Rinchiusi e sedati”. Ma le sue tesi non reggono: dalla presunta richiesta dei reclusi all’ipotizzata presenza solo di persone con reati commessi durante la loro permanenza in Italia

      Giovedì 25 maggio su La7 la trasmissione Piazzapulita (https://www.la7.it/piazzapulita/video/inchiesta-esclusiva-di-piazzapulita-violenze-e-psicofarmaci-ai-migranti-dentro-a) il servizio di Chiara Proietti D’Ambra ha mostrato immagini inedite sulle condizioni di vita delle persone recluse nei Centri di permanenza per il rimpatrio italiani (Cpr). Il lavoro si è concentrato sulle strutture di Gradisca d’Isonzo (Gorizia) e palazzo San Gervasio (Potenza) dando conto anche dei risultati dell’inchiesta “Rinchiusi e sedati” pubblicata da Altreconomia ad aprile e che per la prima volta ha quantificato, dati alla mano, l’abuso di psicofarmaci in cinque delle nove strutture detentive attualmente attive in Italia.

      Le immagini e i dati sono stati mostrati anche al ministro dell’Interno Matteo Piantedosi che ha risposto alle domande della giornalista Roberta Benvenuto (https://www.la7.it/piazzapulita/video/piantedosi-se-cpr-gestiti-da-privati-in-modo-insoddisfacente-possibilita-di-gest). Risposte lacunose, giunte tra l’altro prima in televisione rispetto alle quattro interrogazioni parlamentari presentate più di un mese fa da diversi senatori e deputati e tuttora rimaste inevase.

      Il ministro ha spiegato di “escludere nella maniera più categorica che vi sia un orientamento della gestione dei Centri finalizzata alla sedazione di massa. C’è una richiesta da parte degli ospiti. Fare il confronto tra le prescrizioni all’esterno e all’interno delle strutture non ha senso perché è più facile che nei Cpr si concentrano persone per cui quel tipo di prescrizioni si rivela normale”. Come descritto nella nostra inchiesta, presentata alla Camera dei Deputati a inizio aprile con Riccardo Magi e Ilaria Cucchi, l’utilizzo di psicofarmaci rispetto a un servizio dell’Asl che prende in carico una popolazione simile è però spropositato: 160 volte in più a Milano, 127,5 a Roma, 60 a Torino e così via.

      Il confronto è nato esattamente dalla necessità di quantificare un utilizzo di cui neanche le prefetture hanno contezza per partire da un dato di realtà che vada oltre le testimonianze dei reclusi. Piantedosi dichiara che non è significativo questo confronto perché il “sovrautilizzo” è dovuto al fatto che all’interno dei centri vi sono delle persone per cui quei farmaci sono necessari. Ma nell’inchiesta abbiamo riscontrato un largo utilizzo di Quetiapina, Olanzapina o Depakin, indicati nel­la terapia di schizofrenia e disturbo bipolare; Pregabalin (antiepilettico); Akineton, utilizzato per il trattamento del morbo di Parkinson (30mila compresse in due anni a Caltanissetta); Rivotril.

      Se questi farmaci sono forniti tramite prescrizioni e non somministrati al di fuori di quanto previsto dal foglio illustrativo, significa nei centri si trovano persone con patologie psichiatriche gravi. Ma nel maggio 2022 una direttiva dello stesso ministero dell’Interno aveva specificato che la visita d’ingresso nel Centro per valutare l’idoneità alla “vita” in comunità ristretta nella struttura deve escludere “pato­logie evidenti come malattie infettive contagio­se, disturbi psichiatrici, patologie acute o croni­co degenerative che non possano ricevere le cure adeguate in comunità ristrette”. Delle due l’una: o le persone non possono stare nei Centri per la loro condizione sanitaria, oppure i farmaci vengono forniti off-label, senza cioè seguire un preciso piano terapeutico.

      Nel centro di via Corelli a Milano, nonostante il 60% delle scatole di farmaci acquistate in cinque mesi sia stato di psicofarmaci, le visite psichiatriche svolte in quasi due anni (quindi un periodo più lungo) sono state appena otto. Un altro segnale inquietante sulle modalità di utilizzo di questi psicofarmaci.

      Va ricordato inoltre che all’interno dei Cpr la cura della salute non è affidata a medici che lavorano per il Sistema sanitario nazionale ma da personale assunto dagli enti gestori sulla base di convenzioni ad hoc con prefetture e aziende sanitarie locali. “Il ruolo del monitoraggio si è dimostrato carente se non assente. Il ricorso a specialisti psichiatri e centri di salute mentale, per quanto garantito dalla normativa vigente, risulta spesso difficoltoso dal punto di vista burocratico e poco utilizzato -ha spiegato ad Altreconomia il dottor Nicola Cocco, esperto di detenzione amministrativa-. L’utilizzo degli psicofarmaci all’interno di molti Cpr è appannaggio del personale medico dell’ente gestore, che quasi sempre non ha alcune esperienza di presa in carico della patologia mentale e della dipendenza, tanto più in un contesto complesso come quello della detenzione amministrativa per persone migranti”.

      Questo aspetto è problematico anche rispetto alla “giustificazione” avanzata dal ministro Piantedosi rispetto alla richiesta da parte delle stesse persone recluse della somministrazione di questi farmaci. “Dal punto di vista medico la eventuale ‘richiesta’ dei trattenuti non giustifica nulla: gli psicofarmaci vengono somministrati a discrezione del personale sanitario. Sempre”, ricorda Elena Cacello, referente sanitaria del Centro salute immigrati di Vercelli (VC).

      La presunta richiesta dei reclusi -presentata come giustificazione risolutiva- conferma in realtà l’inefficienza del sistema. “Vi è spesso una gestione improvvisata di eventuali quadri di patologia mentale dei trattenuti -ribadisce Cocco-. Tale improvvisazione si manifesta attraverso la prescrizione arbitraria di psicofarmaci da parte dei medici degli enti gestori, in mancanza spesso di un percorso di presa in carico e cura, ma solo per la risoluzione del sintomo”. Un sintomo che, considerando che non può essere presente già all’ingresso nel Centro (che quindi dovrebbe escludere il trattenimento), insorge a causa delle pessime condizioni di vita nelle strutture -dove non è prevista alcuna attività, spesso neanche nella disponibilità del proprio telefono cellulare- e dettato anche dalla necessità di “tenere buoni” i reclusi. “Un altro aspetto può ‘spiegare’ questo sovrautilizzo di psicofarmaci a scopo sedativo o tranquillizzante funziona: la somministrazione funziona come una vera e propria ‘camicia di forza farmacologica’ nei confronti delle persone trattenute, al fine di evitare disordini e, non meno importante, l’intervento diretto delle forze di polizia; è evidente come in questo caso l’utilizzo degli psicofarmaci non ha una rilevanza clinica per le persone interessate, bensì di sostegno all’apparato di polizia”.

      Il ministro ha dichiarato poi che “all’interno dei Cpr tutte le prestazioni sanitarie sono nella normalità garantite, controllate e monitorate”. Un dato smentito da diverse testimonianze di avvocati e attivisti che si occupano di detenzione amministrativa ma soprattutto da sentenze di tribunali.

      Partiamo da quella della giudice Elena Klindani che a fine gennaio 2023 non ha prorogato il trattenimento di un ragazzo di 19 anni rinchiuso in via Corelli a Milano da cinque mesi perché “ogni ulteriore giorno di trattenimento comporta una compromissione incrementale della salute psicofisica per il sostegno della quale non è offerta alcuna specifica assistenza, al di fuori terapia farmacologica” e la salute del giovane “è suscettibile di ulteriore compromissione per via della condizione psicologica determinata dalla protratta restrizione della libertà personale”. Per avere una panoramica completa di quello che succede è utile leggere, tra gli altri, “Il Libro nero del Cpr di Torino”, a cura dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi) che racconta “quattro casi di ordinaria ferocia” di persone trattenute nel Cpr da Torino che danno conto dell’insufficiente garanzia rispetto alle cure sanitarie di cui necessitano i trattenuti e il lavoro di denuncia dell’Associazione Naga, con sede a Milano, che da diversi anni segnala la scarsa tutela della salute all’interno del centro di via corelli. E poi i lavori della rete Mai più Lager-No ai Cpr e di LasciateCIEntrare.

      Moussa Balde, Wissem Abdel Latif, Vakhtang Enukidze sono solo alcuni dei nomi delle oltre 30 persone morte nei Cpr. Sul suicidio di Balde e di Enukidze sono tutt’ora in corso procedimenti penali, rispettivamente a Torino e a Trieste, per accertare le responsabilità di chi aveva in custodia i due giovani. Di fronte a questo quadro il titolare del Viminale ha parlato di “salute garantita” e dichiarato, solo a seguito dell’insistenza della giornalista, che è “possibile, probabile” che siano necessari più controlli.

      https://www.youtube.com/watch?v=OQF1F1lyFRY&embeds_referring_euri=https%3A%2F%2Faltreconomia.it%2F&

      Infine il ministro ha sottolineato che nei Cpr sarebbero presenti solamente persone con reati commessi durante la loro permanenza in Italia per una “prassi che si è consolidata negli anni”. “L’articolo 32 sul diritto alla salute è garantito a tutti, a prescindere dal loro passato”, ha giustamente risposto in studio lo psicoterapeuta Leonardo Mendolicchio.

      Ma il punto è che quanto detto da Matteo Piantedosi è falso. Secondo dati ottenuti da Altreconomia, e forniti proprio dal ministero dell’Interno, nel 2021 sono state 987 le persone che hanno fatto ingresso nei Cpr direttamente dal carcere: il 19% del totale di 5.174 trattenuti. Una percentuale a cui vanno certamente aggiunti coloro che hanno precedenti penali e vengono rintracciati sul territorio successivamente alla loro scarcerazione ma che comunque smentisce la versione governativa.

      Il ministro dichiara che non voler “rinforzare il sistema di espulsione e rimpatrio” sarebbe “omissivo” da parte di qualsiasi governo. Negli ultimi quattro anni la percentuale delle persone trattenute effettivamente rimpatriate ha superato il 50% solo nel 2017: questi centri non raggiungono quindi nemmeno l’obiettivo per cui sarebbero stati creati, sulla carta. La presunta omissione non passa dall’esistenza di queste strutture.

      Piantedosi ha poi paradossalmente auspicato una “collaborazione da parte degli ospiti” perché terribili scene come quelle mostrate nel servizio non avvengano più. Quasi a dire che i diritti fondamentali fossero materia da elargire, a mo’ di premio al merito, e non invece da garantire punto e basta. “Il Cpr è psicopatogeno di per sé e come sistema -conclude Cocco-. Le proteste sono legittime, sono un diritto. Chiedere più collaborazione è quasi come impedire a qualcuno di poter fare lo sciopero della fame: utilizzare il proprio corpo è la extrema ratio che si ha per manifestare il proprio malessere. Tocca allo Stato evitare che le persone si facciano male o muoiano. Non certo ai reclusi”. Che il ministro, nella lunga sequela di falsità, chiama “ospiti”.

      https://altreconomia.it/abuso-di-psicofarmaci-nei-cpr-perche-la-versione-del-ministro-piantedos

    • Pioggia di ansiolitici al Cpr di #Palazzo_San_Gervasio per rendere innocui i reclusi

      Oltre 2.800 pastiglie in appena sei mesi per poco più di 400 trattenuti transitati: i dati inediti sulla struttura in provincia di Potenza. La Procura intanto indaga sulla gestione di Engel Italia. Gli psicofarmaci sarebbero serviti a “neutralizzare ogni possibile lamentela per le condizioni disumane in cui spesso si trovavano a vivere le persone”

      Una scatola di psicofarmaci per ogni persona che è entrata al Cpr di Palazzo San Gervasio tra gennaio e luglio 2022. I dati inediti ottenuti da Altreconomia fotografano l’abuso dell’antiepilettico Rivotril e di benzodiazepine all’interno della struttura, su cui sta indagando anche la Procura di Potenza. “Le situazioni di degrado e non conformità al rispetto della persona umana e dei diritti in cui si trovavano a vivere i reclusi -scrivono gli inquirenti nell’ordinanza applicativa di misure cautelari di fine dicembre 2023 rivolta, tra gli altri, ad Alessandro Forlenza amministratore di fatto della Engel Italia Srl, che ha gestito il centro dal 29 ottobre 2018 al 23 giugno 2023- venivano lenite dall’uso inappropriato di farmaci sedativi volti a rendere gli ospiti innocui e quindi neutralizzare ogni loro possibile lamentela per le condizioni disumane in cui spesso si trovavano a vivere”.

      In sei mesi di spesa, da gennaio a luglio 2022, il 38% delle 791 scatole di farmaci acquistati erano psicofarmaci, per un totale di oltre 2.800 tra compresse e capsule e 1.550 millilitri in fiale o flaconi. Numeri esorbitanti se si considera che, secondo i dati della prefettura, la presenza media in struttura è stata di 70 persone con circa 400 transiti in sei mesi. Tra i farmaci acquistati troviamo soprattutto sedativi e ansiolitici come il Diazepam (65 scatole), l’Alprazolam (45), Tavor (14) ma anche Rivotril (77 confezioni), un antiepilettico con importanti effetti secondari di stordimento. “Tale farmaco veniva acquistato sistematicamente in quantità tali da non rimanere mai senza copertura -ha spiegato una delle operatrici sentite dalla Procura di Potenza-. Senza Rivotril sarebbe scoppiata la rivolta”.

      Gli inquirenti hanno così focalizzato la loro attenzione, rispetto all’operato della Engel Italia Srl, società madre di Martinina Srl, sotto indagine a Milano per presunte frodi nella gestione del Cpr di via Corelli, anche sull’utilizzo smodato degli psicofarmaci. Per diversi motivi. L’antiepilettico “Rivotril” dovrebbe essere utilizzato off-label, quindi al di fuori dei casi in cui la persona soffre di epilessia, solo laddove non vi siano “valide alternative terapeutiche” e in ogni caso con l’acquisizione del consenso della persona di cui, però, secondo la Procura, non vi sarebbe “alcuna traccia”.

      “Risulta che l’uso del medicinale -come si legge nell’ordinanza di custodia cautelare- prescindeva dalla volontà del paziente e corrispondeva alla specifica necessità di controllare illecitamente l’ordine pubblico interno da parte della Engel”. Che per la gestione del centro ha ricevuto oltre 2,8 milioni di euro dalla prefettura di Potenza.

      Un problema di quantità ma anche di modalità di somministrazione e prescrizione. La direzione dell’ente gestore, sempre stando alle ricostruzioni degli inquirenti, avrebbe richiesto “a seconda delle esigenze” di ridurre le dosi “per risparmiare sui costi del farmaco” allungando i flaconi con l’acqua. Ma non solo. Due medici operanti all’interno del Cpr sarebbero indagati per la redazione di “false ricette per la dispensazione dei predetti farmaci a carico del Servizio sanitario nazionale”.

      Con riferimento sempre agli psicofarmaci, “su 2.635 confezioni dispensate tra gennaio 2018 e agosto 2019 dai due medici ben 2.235 erano destinati a pazienti identificati con Stp (codice fiscale per chi non ha un permesso di soggiorno, ndr) e quindi presumibilmente ospitati presso il Cpr di Palazzo San Gervasio”. Con un dettaglio non di poco conto. Diverse prescrizioni sarebbero state destinate a soggetti, ordinanza alla mano, che erano già usciti dal Cpr. Un modo, presumibilmente, per continuare ad acquistare scatole di farmaci gravando sul sistema sanitario nazionale e non sull’ente gestore.

      I dati ottenuti da Altreconomia sui farmaci comprati dalla Engel Italia Srl potrebbero quindi essere solo una fetta di quelli somministrati perché riguardano quelli per cui la società ha chiesto rimborso dalla prefettura. Ma escludono quelli “passati” dall’azienda sanitaria. Rispetto a cui, però, i conti non tornano: nella nostra inchiesta “Rinchiusi e sedati” pubblicata ad aprile 2023 si è dato conto del riscontro dell’Asl territoriale che ha dichiarato importi bassissimi. Nei primi dieci mesi del 2022 in totale 19 prescrizioni e 34,7 euro di farmaci destinati al Cpr. Qualcosa, stando anche ai dati della Procura, non torna.

      Oltre agli psicofarmaci -tra cui troviamo anche la Quetiapina, antipsicotico prescrivibile per gravi patologie psichiatriche- nei farmaci acquistati dalla Engel si trovano diverse tipologie di farmaci acquistati che raccontano della presenza all’interno della struttura di persone dalla salute precaria. Due esempi su tutti: la Spiriva, prescrivibile per la broncopneumopatia, una malattia dell’apparato respiratorio caratterizzata da un’ostruzione irreversibile delle vie aeree e il Palexia, usato per il trattamento del dolore cronico grave in adulti che possono essere curati adeguatamente solo con antidolorifici oppioidi.

      Dal 20 giugno 2023 Engel Italia Srl non è più l’ente gestore del Cpr di Palazzo San Gervasio. Ad aggiudicarsi il nuovo appalto per 128 posti, con importo a base d’asta di 2,2 milioni di euro, è stata #Officine_Sociali, cooperativa di Priolo Gargallo in provincia di Siracusa. Officine Sociali ha partecipato a diverse gare per la gestione di Cpr e grandi strutture di accoglienza nel corso degli anni, finendo per aggiudicarsi la gestione dell’hotspot di Taranto e Pozzallo; per quest’utimo ha incassato, da inizio dicembre 2021 a giugno 2023, oltre 1,3 milioni di euro. Pochi mesi prima della gara indetta dalla prefettura di Potenza per la gestione del Cpr, Officine sociali costituiva un “raggruppamento temporaneo di imprese” con Martinina Srl, la nuova “creatura” di Forlenza, per aggiudicarsi la gara per la gestione del Cpr di Gorizia. Un anno prima, le due società avevano gareggiato insieme per vincere l’appalto di Torino. Una sinergia di intenti.

      Tornando alla gestione di #Engel_Italia Srl “il livello di assistenza e di cura”, secondo la Procura, sarebbe stato “insufficiente a garantire loro le modalità di trattenimento idonee ad assicurare la necessaria assistenza ed il pieno rispetto della dignità umana”. Il servizio medico sarebbe stato garantito 4.402 ore in meno di quanto, quello infermieristico di più di 11mila in meno nel periodo compreso tra febbraio 2021 al 31 ottobre 2022. “Nell’ambulatorio è sempre mancata l’acqua corrente”, si legge nell’ordinanza. Per la gestione del Cpr di Potenza sono indagati anche dottori, due albergatori della zona, un commissario e due ispettori di polizia. “Gli ospiti apparivano infatti molto provati proprio dal contesto in cui si trovavano a vivere -ha raccontato un’operatrice sentita dalla Procura-. Dopo qualche settimana di permanenza alcuni di loro cominciavano a sviluppare comportamenti ossessivi come il camminare in cerchio”.

      A Milano intanto si verificano nuove proteste e violenze sui trattenuti nonostante il commissariamento, così come a Caltanissetta, dove la condizione di vita nelle strutture è insostenibile (un video dall’interno lo dimostra) fino ad arrivare Trapani, con la condanna del governo italiano da parte della Corte europea per i diritti dell’uomo per trattamenti inumani e degradanti a danni di un recluso nel Cpr. Tutto questo a meno di una settimana di distanza dal suicidio di Ousmane Sylla che ha acceso i riflettori sull’attuale gestione da parte di Ors Italia della struttura di Ponte Galeria a Roma. Intanto il ministero dell’Interno resta in silenzio: a “camminare in cerchio” sembra non essere solamente chi è trattenuto. Perché il sistema Cpr non va messo in discussione.

      https://altreconomia.it/pioggia-di-ansiolitici-al-cpr-di-palazzo-san-gervasio-per-rendere-innoc

  • Le quartier d’habitat social à #Tavros

    La zone étudiée est l’un des quartiers créés à Athènes (comme ceux de Dourgouti, Asyrmatos, Ambelokipi, etc.) afin de loger les réfugiés d’Asie Mineure de la décennie 1920. L’installation des réfugiés s’est faite soit par auto-installation dans des baraquements, soit de manière organisée dans des logements construits par l’État. Au cours des années qui ont suivi le quartier a reçu un grand nombre de migrants de l’intérieur, tandis que dès les années 1950 débute la construction progressive d’immeubles dédiés au relogement des réfugiés et ouvriers vivant dans les baraquements. Contrairement à d’autres zones d’habitation de réfugiés (comme par exemple Ilissos, Polygono, Kountouriotika), qui ont été rasés et dont les traces se sont perdues puisqu’elles se sont totalement fondues dans le tissu urbain environnant, Tavros est parvenu, à travers la création d’ensembles de logements sociaux, à conserver ses particularités vis-à-vis de son environnement large.


    https://www.athenssocialatlas.gr/fr/article/lhabitat-social-a-tavros
    #urbanisme #géographie_urbaine #Grèce #Athènes #habitat_social #cartographie #visualisation #réfugiés #histoire #quartiers_de_réfugiés

  • #Koukaki through the eyes of seven residents: A Place of Residence and Transit

    Koukaki spans from Dionisiou Areopagitou St. to Koudourioti square (known as “The Playground”) and from the foothills of Philopappou to Syggrou Avenue. It is an area with long history and has recently undergone radical changes. In chronological order, these are: the pedestrianization of some central streets, the opening of two metro stations, the opening of the New Acropolis Museum and finally the Airbnb phenomenon and the vivid nightlife. The current article explores the area through the eyes of seven inhabitants, every one of whom has a story to tell.

    https://www.athenssocialatlas.gr/en/article/koukaki-a-place-of-residence-and-transit
    #Athènes #géographie_urbaine #urban_matter #quartiers #exploration_urbaine

    ping @reka

  • Le Tavini (re)demande la décolonisation et la dépollution nucléaire à l’État | Radio1 Tahiti
    https://www.radio1.pf/le-tavini-redemande-la-decolonisation-et-la-depollution-nucleaire-a-letat

    Le Tavini Huiraatira avec son leader Oscar Temaru et ses soutiens ont rappelé leur volonté de connaître la vérité sur les #essais_nucléaires effectués en #Polynésie française. Le tavana de Faa’a en a par ailleurs profité pour réaffirmer sa volonté de #décolonisation pour la Polynésie française, réinscrite sur la liste des états non-autonomes selon l’ONU. Si l’objet officiel de cette intervention concernait le nucléaire et la décolonisation, le leader du #Tavini n’a pu échapper aux questions concernant les élections municipales.

    #colonisation

  • D’une gargote athénienne

    https://lavoiedujaguar.net/D-une-gargote-athenienne

    Longtemps, Babis, alias « Kostas », a tenu une taverne souterraine dans le quartier de Gazi à Athènes. Il évoque ici ce lieu qui « réalisait la fusion entre le passé et le présent ». La parole est à l’ex-tavernier.

    Dans le très renommé guide touristique américain Frommer’s, un fils d’immigrés grecs nommé Petros a voulu décrire l’originalité de cette taverne athénienne dont je voudrais faire ici l’éloge… par détours, paraît-il : « Le secret le mieux gardé d’Athènes. Quand mon grand-père m’a parlé de cette petite taverne souterraine à Gazi, ce devait être en 1985 ou en 1986, quelques années après la fermeture de la polluante usine à gaz, événement qui a entraîné Gazi et les quartiers environnants dans un délabrement considérable. Lui et ses amis y venaient pendant la guerre, à l’abri des bombardements, se régaler de plats chauds et de vin au tonneau. C’était au début de l’occupation nazie et avant la famine. Dans leurs patrouilles nocturnes, les nazis n’arrivaient même pas à trouver l’endroit, malgré les nombreuses fois où le rébétiko y résonnait fort. Mon grand-père n’a jamais cherché à retrouver la taverne après la guerre. Je pense qu’il ne se doutait pas qu’elle était toujours là. Alors, imaginez ma surprise… Il n’y a pas de nom, numéro de téléphone, pas de réservations et les cartes de crédit ne sont pas acceptées. » (...)

    #Grèce #Athènes #taverne #rébétiko #CQFD #erroristes

  • Un viaggio che non promettiamo breve

    Un viaggio che non promettiamo breve è uscito alla fine del 2016 e oggi, alla buon’ora, lo mettiamo a disposizione in download gratuito, senza DRM, in quattro diversi formati. I link sono in fondo. ↓

    Le storie che il libro racconta proseguono. Le questioni di cui tratta rimangono centrali. Quel che accade in Val di Susa continua a prefigurare quel che accadrà nel resto del Paese. Dal centro si vedono peggio i margini, dai margini si vede meglio il centro. Si vede che, dietro proclami sempre più vacui, il progetto Torino-Lione continua a perdere pezzi. Si vede che resta solo la volontà di fare un tunnel, a ogni costo, purché sia. Si vede che i No Tav lottano ancora.

    I No Tav hanno sempre detto: «non esistono governi amici». E infatti non esistono. Due giorni fa l’assemblea nazionale dei movimenti contro le grandi opere ha annunciato un percorso comune di lotta contro il governo e il M5S «dei voltafaccia». Il «velo di Maya» è stato strappato. Primo appuntamento – data da decidersi – proprio in Val di Susa. Dove, nel frattempo, la repressione continua: perquisizioni all’alba, fogli di via, rinvii a giudizio, richieste di condanne pesantissime. Con il placet di tutte le principali forze politiche.

    Restiamo sintonizzati con quel mondo di confine, quella borderland, perché la contraddizione si fa più acuta. Una vecchia talpa sta scavando, e non è detto sia una fresa meccanica.

    Nel libro tutto questo c’era già, e da oggi comincia la sua seconda vita. Un nuovo inizio che dedichiamo a Turi Vaccaro, uno dei protagonisti del libro, al momento in carcere. Aderiamo concretamente alla campagna per la sua liberazione. I dettagli sono qui sotto, dopo la rassegna di recensioni.

    Buona lettura.

    https://www.wumingfoundation.com/giap/2018/10/scarica-un-viaggio-che-non-promettiamo-breve
    #TAV #no_TAV #livre #Val_Susa #Val_di_Susa #Italie
    ping @wizo @albertocampiphoto

    via @isskein

  • #Desmond resta qui

    Il 5 agosto 2018, un giovane uomo annega nelle acque del Ceresio. Era probabilmente originario del Benin, e avrebbe dovuto lasciare la Svizzera a breve, ma chi l’ha conosciuto dice “era uno di qua”. Chi era Desmond? Chi l’ha conosciuto ci mostra i luoghi che ha frequentato nei dieci anni passati nella Svizzera italiana, i legami nati, le tracce che ha lasciato, racconta di come abbia preso in mano il suo destino, malgrado il difficile passato, di come si sia integrato e abbia cercato di costruirsi un futuro. Eppure a volte nemmeno questo sembra bastare.

    https://www.rsi.ch/la1/programmi/cultura/storie/Desmond-resta-qui-11598169.html
    #asile #migrations #réfugiés #Suisse #Tessin #mort #décès #mourir_dans_la_forteresse_europe

    Les mots d’une amie sur Desmond :

    Il s’agit de l’histoire, accompagnée de témoignages de personnes qui l’ont connu, du jeune africain qui s’est noyé, début août de l’an passé dans le #lac_de_Lugano, à #Maroggia.
    Il avait 27 ans et était plein d’espoir.Il avait quitté le Bénin pour un avenir meilleur, portant sur ses épaules de lourds événements vécus dans son pays natal.
    Il avait trouvé un travail dans une entreprise de Lugano où son engagement et sa bonne volonté étaient fort appréciée de ses employeurs..
    Nos autorités, néanmoins, lui refusèrent le droit de rester en Suisse, cela le démolit dans sa santé . Il fut interné dans une clinique psychiatrique.
    Un jour accompagné, d’autres patients, il participa à une sortie à Maroggia. Il disparu dans le lac et on ne pu plus rien faire pour lui.

    #santé_mentale #NEM #Dublin #Dublin_tue #règlement_dublin #suicide (?)

    Desmond repose au #cimetière de #Taverne-Torricella :

    • La storia di Desmond, affogato con il marchio di Nem

      Il giovane africano morto nel Ceresio si era diplomato alla Spai con alti voti e aveva lavorato come asfaltatore. Fino al rigetto della sua richiesta come richiedente l’asilo.

      È una storia d’acqua e d’asfalto quella di Desmond Richard, il ragazzo africano annegato domenica pomeriggio nel Ceresio, a pochi metri da riva, davanti all’ex collegio don Bosco. Una storia di amicizie, integrazione e anche tristezza, perché è ingiusto morire a 27 anni. Integrazione è la parola chiave per capire la sua vita, frettolosamente archiviata come la vicenda di un richiedente l’asilo finito male. Anzi ex richiedente, dopo che la Segreteria di Stato della migrazione lo scorso anno aveva deciso per l’espulsione. Desmond era un “NEM”, l’autorità federale gli aveva chiuso la porta in faccia col sigillo della “non entrata in materia”. Stop, da quel giorno la Svizzera gli ha voltato le spalle.

      Una decisione che fa a pugni col fatto che Desmond era perfettamente integrato. Non opinioni, ma fatti: a partire dal diploma, ottenuto con il cinque e mezzo di media nonostante le difficoltà in italiano, alla Spai di Mendrisio come “costruttore stradale”. Qualificato, perché la formazione triennale gli aveva permesso di ottenere l’attestato federale di capacità.

      Un lavoratore molto capace e apprezzato, come lo ricorda un collega della ditta di asfaltatura, la Cogesa, dove ha lavorato fino al luglio dell’anno scorso. Un lavoro duro, quello dell’asfaltatore, che gli permetteva però di essere autosufficiente. Pagava la sua cassa malati (quanti integrati lo fanno?) e contribuiva col 10 per cento del salario al fondo per la migrazione. Intanto riusciva a mettere da parte anche dei risparmi.

      Desmond aveva un caratteraccio, dicono quelli che gli hanno voluto bene. Poteva mandarti allegramente a quel paese e questi sbalzi, accompagnati da un’aggressività solo verbale, sarebbero stati anche, ma qui avvertiamo il lettore ci siamo fermati, all’origine dei suoi ricoveri all’Osc di Mendrisio. Fino all’ultimo, quello finito tragicamente durante l’uscita a bordo lago a Maroggia con altri pazienti e accompagnatori. Fin qui i fatti, perché il lato più drammatico della vita di Desmond racconta di una madre morta, anzi uccisa, davanti agli occhi di lui bambino, durante l’esodo verso l’Europa. Non amava riaprire quella ferita, e forse molti dei suoi problemi attuali erano riconducibili a quel trauma.

      Persa tragicamente la mamma, mai conosciuto il padre, Desmond era convinto, sino allo scorso anno, di essere originario del Benin.

      Ma qualcosa non quadrava, dal momento che la sua lingua non era il francese (la parlata ufficiale di quel Paese), ma l’inglese. Un mistero che è stato risolto solo lo scorso anno, quando in un consolato africano di Zurigo Desmond ha scoperto le sue radici: Benin sì, ma Benin City, una popolosa città della Nigeria. E la provenienza nigeriana sarebbe diventata uno degli ostacoli per il riconoscimento quale richiedente l’asilo.

      Così, gravato da un decreto di espulsione che lo invitava a lasciare la Svizzera, il giovane aveva ottenuto qualcosa che poteva permettergli di rifarsi un’altra vita altrove. Un passaporto nigeriano. Un pezzo di carta che purtroppo non gli servirà più a niente.

      https://www.tio.ch/ticino/attualita/1313882/la-storia-di-desmond-affogato-con-il-marchio-di-nem?mr=1&ref=

    • La Segreteria dello di Stato della Migrazione uccide ancora

      Lo scorso 5 agosto 2018 – secondo i media – muore a Maroggia un “ex richiedente l’asilo” annegato nelle acque del Ceresio. Un “tragico incidente”, “una fatalità”, “scivolato su una passerella in riva al lago” – dicono – (…)ex richiedente, che la Segreteria di Stato della Migrazione (SEM) lo scorso anno aveva deciso per l’espulsione(…) D. era un “NEM”, l’autorità federale gli aveva chiuso la porta in faccia col sigillo della “Non Entrata in Materia” . Eppure qui qualcosa non quadra, non convince, per l’ennesima volta. Con un trascorso tragico come molti/e migranti, dopo aver conosciuto inferni come la Libia e la traversata del Mar Mediterraneo nel quale ha perso l’unica persona legata a lui ovvero sua madre, (deceduta e gettata in mare come immondizia) e padre mai conosciuto, era da diversi anni in Svizzera, il paese della tanto rinomata ”accoglienza”. Qui ha svolto diversi tirocini e conseguito un diploma da asfaltatore, per diventare solo uno dei tanti sfruttati.

      Se da una parte dopo la sua scomparsa è stato elogiato dai giornali per quanto riguarda la farsa dell’integrazione, dall’altra quest’ultima suona sempre come una dichiarazione di guerra, una sorta di minaccia verso le persone che giungono in un altro paese, un’impresa eroica praticamente irraggiungibile. È ora ben chiaro che nemmeno superarla basta più. Nonostante fosse riuscito ad adeguarsi ai canoni di questa società, diventando un numero fra tanti che si spezza la schiena per alimentare questo accogliente sistema, si è visto ritirare il suo permesso da richiedente l’asilo proveniente dal Benin, poiché, come dicono i giornali: “ (…)qualcosa non quadrava, dal momento che la sua lingua non era il francese (la parlata ufficiale di quel Paese – il Benin ), ma l’inglese. Un mistero che è stato risolto solo lo scorso anno, quando in un consolato africano di Zurigo D. ha scoperto le sue radici: Benin sì, ma Benin City, una popolosa città della Nigeria. E la provenienza nigeriana sarebbe diventata uno degli ostacoli per il riconoscimento quale richiedente l’asilo”. Dunque l’accertamento della sua provenienza ha permesso di sbloccare le pratiche per la sua deportazione. Senza se, senza ma, Richard Desmond poteva quindi essere rimpatriato forzatamente.

      Da qui, con un’espulsione pendente nei suoi confronti verso una terra mai conosciuta e, viste le sue grida di aiuto inascoltate da parte di persone e associazioni, l’unico destino a lui imposto, come accade per molte persone in tali situazioni, è stata quella del ricovero all’ospedale psichiatrico. Bombato di psicofarmaci in modo che non potesse né pensare né reagire a quello che gli stava accadendo. Letteralmente gettato nel dimenticatoio, nel luogo in cui la mente viene annientata dai sedativi e la propria personalità viene calpestata.
      D’altronde si sa, le numerose testimonianze dalle prigioni ai centri di detenzione/espulsione per migranti parlano chiaro: è più facile ottenere ansiolitici o sedativi piuttosto che pastiglie per il mal di testa, per la gioia degli aguzzini e delle case farmaceutiche – come avviene anche nella vita di molte persone bianche occidentali.
      Forse allora non si parla più di “tragico incidente”, o “scivolata dal pontile”, come riportano i media di regime, per quanto ci riguarda si tratta dell’ennesimo omicidio da parte di chi decide delle vite e delle libertà altrui. Ennesimo perché di storie simili ne abbiamo sentite abbastanza, chi si ricorda di Youssouuf Diakité, il ragazzo maliano di 20 anni che il 27 febbraio dello scorso anno rimase folgorato sul tetto di un treno? O del ragazzo marocchino travolto a gennaio da un convoglio – sempre a Balerna – lungo i binari della ferrovia? E del richiedente l’asilo di Brissago morto ammazzato da 3 colpi di pistola (!!) da parte della polizia cantonale ticinese per “legittima difesa”? Per non citare Hervé Mandundu, ucciso il 6 novembre 2016 da tre pallottole sparate da un caporale della polizia del Chablais nel Canton Vaud. O Lamine F. trovato morto in una cella del carcere della Blécherette a Losanna il 24 ottobre 2017 che tre giorni prima, alla stazione di Losanna, era stato fermato per un controllo dalle guardie di confine e trattenuto in carcere perché scambiato per un’altra persona per la quale era stato emanato un decreto di espulsione. O anche Mike, membro del collettivo Jeano Dutoit, morto il 28 febbraio 2018 a Losanna durante un controllo di polizia nel quale viene “immobilizzato” e quante storie ancora di “avventurieri” migranti morti cercando di attraversare i confini di questa maledetta fortezza Europa?
      Tutte persone non vittime di fatalità o incidenti come spesso riportato, ma uccise da questo sistema marcio, dalla Segreteria di Stato della Migrazione, uccise dai confini di Stato, uccise dalla Polizia, uccise dal silenzio di questa società complice… …ma tanto si sa, erano migranti, persone non in regola – senza documenti – dal colore della pelle nera, e le loro vite valgono meno delle vite dei bianchi occidentali, non valgono un cazzo. Ecco l’accoglienza svizzera fatta di razzismo, prigioni, deportazioni e omicidi.
      Il razzismo e le frontiere uccidono, l’indifferenza pure! Per un mondo dove nessuno/a debba morire per una linea tracciata su una cartina o per il fatto di non possedere un pezzo di carta: abbattiamo ogni frontiera!


      https://frecciaspezzata.noblogs.org/post/2018/08/25/la-segreteria-dello-di-stato-della-migrazione-uccide-ancora

  • #Graffitis vus à #Trento 22-24.11.2018

    Meno consumismo, più banditismo


    #consumérisme

    Meno fascisti più autostoppisti


    #fascisme #autostop

    Basta fogli di via. Banditi dappertutto

    No fogli di via:

    Leghisti carogne


    #Ligue_du_nord #Lega_Nord

    Lega servi dei ricchi

    Roma ladrona, ma è comoda la poltrona

    No alla sorveglianza sociale


    #surveillance #surveillance_sociale

    No al #DASPO urbano

    Fuoco alle galere


    #prisons

    Sabotiamo la guerra


    #sabotage #guerre

    I giorni passano, i #lager restano. No #CPR


    #détention_administrative #CRA #rétention

    Attacchiamo i padroni


    #patrons #patronnat

    #Refugees_welcome


    #réfugiés

    #No_TAV


    #TAV

    #ENI assassina

    Non nominare cubetto invano

    I fascisti accoltellano, ora basta

    Basta frontiere


    #frontières

    Terrorista è lo Stato


    #Etat #Etat-nation #terrorisme

    Io imbratto, egli imbratta, voi blatte. Fanculo al daspo urbano

    Ordine. Disciplina. Quello che mi serve è un po’ di benzina


    #ordre #discipline

    Verità per #Giulio_Regeni

    Nel carcere di #Spini le guardie pestano

    Fuoco a galere e #CIE

    No border nation, stop deportation


    #renvois #expulsions

    Università per tutti. Tagli per nessuno


    #université #accès_à_l'éducation

    Le parole sono importanti. Chi parla male pensa male


    #mots #vocabulaire #terminologie

    Morte al fascio

    + sbirri morti


    #police
    #Trente #Italie #art_de_rue #street-art

  • Lyon-Turin : le ciel s’assombrit côté italien Jean Michel Gradt - 20 Mai 2018 - les échos
    https://www.lesechos.fr/industrie-services/tourisme-transport/0301699349833-lyon-turin-le-ciel-sassombrit-cote-italien-2177259.php

    Le contrat de gouvernement entre le Mouvement Cinq Etoiles et la Ligue stipule que le projet de liaison transalpine fera l’objet d’une renégociation complète.

    Le reste de l’article payant, mais le titre suffit

    #Italie #turin #des_grands_projets..._inutiles_ #france #notav #transports #TAV #no-TAV #train_à_haute_vitesse #ligne_ferroviaire

  • #Mongolie, l’attribution de 1072 actions de la mine de charbon de #Tavan_Tolgoï aux 2,5 millions de citoyens mongols (décidée il y a 6 ans…) passe en phase active.

    What mobilizing Erdenes TT shares for 2.5 million citizens could mean for the stock market | The UB Post
    http://theubpost.mn/2018/03/05/what-mobilizing-erdenes-tt-shares-for-2-5-million-citizens-could-mean-for-

    Nearly 2.5 million Mongolian citizens will finally be registered as shareholders in Erdenes Tavan_Tolgoi (Erdenes TT) nearly six years after a mass distribution of shares in 2012. More than two thirds of Mongolian citizens currently own 1,072 shares each in the majority state-owned coal mining company. But that ownership has been in name only, with many displeased with the government’s inaction in mobilizing citizen-held shares. But thanks to a recent vote by the board of Erdenes TT, the issue is likely to reach a resolution in the near future, and with that comes the potential for a monumental shift in the nation’s economy.
    […]
    In 2017, Erdenes TT mined more than 10.1 million tons of coal and exported 8.4 million tons, amassing revenue of 1.1 trillion MNT. From this revenue, 243 billion MNT was contributed to the state budget. G.Khashchuluun believes that this revenue can be doubled or even tripled, helping to strengthen the value of the company.

    “Right now, Erdenes Tavan Tolgoi mainly exports raw coal to China. If the company ceases export of raw coal and begins exporting processed coal, revenue could be increased twofold or even threefold. This can be accomplished by the government with an increased export tax on raw coal,” G.Khashchuluun said.

    No matter how the situation plays out, the fate of Erdenes TT is on pace to have far-reaching effects on not only Mongolia’s financial and mining sector but also the economic and political landscape of the nation.

  • Côté italien, le débat sur le « TAV » s’est émoussé
    https://www.mediapart.fr/journal/international/070218/cote-italien-le-debat-sur-le-tav-s-est-emousse

    Plutôt absente de la campagne électorale, la question de la ligne Lyon-Turin pourrait resurgir de plus belle après le vote du 4 mars. Surtout en cas de victoire du #Mouvement_5_étoiles, dont le chef de file a dit vouloir bloquer le projet.

    #International #Beppe_Grillo #Italie #Luigi_Di_Maio #Lyon_Turin #Matteo_Renzi #Matteo_Salvini #Silvio_Berlusconi #TAV

  • Pourquoi voter PS, c’est voter FN
    https://paris-luttes.info/pourquoi-voter-ps-c-est-voter-fn-7417

    Le #PS, c’est avant tout l’ #état_d’urgence, les kilomètres de #promesses_électorales qui finissent dans le mur de la "#réalité" (mais laquelle ?), le #CICE, la #loi_Rebsamen, la #loi_Macron et ses autocars en faillite, la loi "travaille !", les milliards au "patronat (qui se porte encore mieux qu’avant son arrivée au pouvoir), la journée de 12h de #travail, l’explosion de la #précarité et du #chômage, le gel des #retraites, la baisse du fond alloué à l’insertion des personnes atteintes de #handicap, les #apprentiEs "gratuits", la hausse de la #TVA, le dit #Macron ministre, môsieur 5% premier ministre suivi par l’inénarrable #Gazeneuve (après leur passage obligé à l’intérieur), le memorandum grec, le harcèlement policier des réfugiéEs, le déni de #solidarité et l’ #emprisonnement/ #expulsion de milliers de mineurEs et de familles, les ventes de #rafales à l’étranger, 5 #guerres et les tonnes de #bombes (françaises) qui vont avec, la perpétuation du pillage, le record de personnes #incarcéréEs et donc la pérennisation de la #surpopulation_carcérale, la criminalisation de l’action syndicale, les milliers d’#arrestations / #mutilations/ #condamnations/ #perquisitions/ #assignations_à_résidence de militantEs/syndicalistEs/manifestantEs et la protection de tous les réacs qui peuplent ce pays de képis (il a bon dos #charlie !), la loi "renseignement", la #surveillance_de_masse et le #fichage de tous, la #militarisation accélérée de l’institution policière et sa quasi-autonomie (sous le joug de l’« #anti-terrorisme »), les #meurtres et les #humiliations au faciès puis, parachèvement, l’extension de la #légitime_défense offerte en catimini à tous les #flics avant de quitter les ministères.

    Pour finir, le PS, c’est la destruction accélérée de l’ #hôpital, de l’ #école, de l’ #université, le #barrage_du_Testet, le #TAV et l’ #opération_César, sans oublier #Bure, #Fessenheim et la mascarade de la #COP21.

    Le PS en 2012, c’était les #mairies, les #régions, l’ #assemblée_nationale, le #sénat et donc la #présidence. Par des gens qui cumulent des milliers d’€ d’indemnités d’élus par mois, assortis des quelques scandales d’ #abus_de_biens_sociaux ou de blanchissement de #fraude_fiscale qui vont avec.

    Le PS, c’est la parole #raciste et #sexiste de moins en moins complexée au fil des ans de la part de ses divers représentants en mal de réélection.

    Le PS, c’est Amine, Adama, Rémi et tous les autres dont les #assassins ne seront jamais jugés, condamnés, inquiétés.

    Je pense que #voter, en soi, est illusoire. Peu importe.

    #Voter_PS, c’est #voter_FN, quel que soit le petit parvenu de merde servant d’alibi à votre culpabilité aujourd’hui.

    Je mens ? La liste est encore longue :

    #Bilan_du_PS https://www.bilan-ps.fr/IMG/pdf/liste-2.pdf

    https://www.bilan-ps.fr

    PS (partout) : « Quant aux rôdeurs fascisants, passez votre chemin : vous ne trouverez rien ni personne à récupérer ici. Retournez dans les vastes cimetières du vingtième siècle. Vos rêves sont nos cauchemars. »

    #loi_travaille #violences_policières #loi_renseignement #Extrême_droite #parti_socialiste #front_national #Marine_Le_Pen #FN #François_Hollande #Manuel_Valls #Benoît_Hamon #Emmanuel_Macron #Bernard_Cazeneuve

    • A force de justifier leur appétit de pouvoir et leur zèle à le servir en surjouant la nécessité d’écarter le parti fondé par un antipathique avec un bandeau sur l’oeil, et entre autre ignominie à leur actif, ces braves gens en sont venus à faire reposer le cœur de la répression policière sur l’éborgnage.

      (Je tiens pour ma part les élections démocratiques pour une arme dirigée avant tout contre chacun-e d’entre nous. Si on tient vraiment à se taper dessus soi-même, il existe d’autres moyens que le vote : rien n’interdit de le faire de son propre chef plutôt que sur incitation, au moment de son choix plutôt qu’en troupeau selon le calendrier de l’Etat ; et sans infliger de citoyennistes dommages collatéraux à ses voisin-e-s qui n’ont rien demandé.)

      A ce propos, répondant aux sempiternels appels à voter pour "faire barrage au FN", cette excellente expression relevée dans la contribution d’une des intervenantes (hélas, je ne me rappelle plus laquelle) lors du meeting « #Islamophobie_et_xénophobie_à_l_heure_de_la_présidentielle »
      du 18 décembre 2016, :

      "Nous ne sommes pas des castors !"

      https://www.youtube.com/watch?v=c2a2axq1u4k


      (il y a beaucoup d’autres vidéos, chacune reprend une intervention)

    • Et cet article de #Rafik_Chekkat, #Etat_d_exception :
      http://www.etatdexception.net/benoit-hamon-lislamophobie-et-lhypocrisie-socialiste

      Benoit Hamon, l’islamophobie et l’hypocrisie socialiste

      Il existe toutes les raisons du monde de se réjouir de la défaite annoncée de Manuel Valls au second tour des « Primaires socialistes ». Son bilan, qui est celui du quinquennat Hollande, est affligeant.

      Tout aussi affligeant nous parait être l’engouement suscité ces derniers jours par Benoit Hamon, spécialement au sein des communautés musulmanes, des racisé-es et des milieux « antiracistes », comme en témoigne notamment l’interview tout en complaisance du Bondy Blog réalisée entre les deux tours de la primaire.

      Hamon a beau être membre depuis 30 ans d’un parti à la pointe de l’islamophobie et du soutien à la politique coloniale israélienne, il aura suffi de quelques déclarations de sa part, d’un marketing judicieux et d’aberrants soupçons de collusion avec l’ « islam radical » dirigés contre lui, pour présenter l’ex-porte-parole du PS comme une alternative crédible à la politique raciste et va-t-en-guerre menée jusque-là par la majorité socialiste.

      [...]

      Plus de trois décennies de désillusions socialistes et de fronts républicains contre l’extrême-droite nous enseignent pourtant que le « moins pire » des candidats a toujours été le plus court chemin vers le pire des résultats.

      [...]

      A certains égards, Hamon est pire que Valls. Avec ce dernier on savait au moins à quoi s’en tenir et où on en était avec lui. Il n’y avait aucune ambiguïté. Hamon la cultive en permanence.

      Les dons d’acteur hors du commun d’Obama lui avaient permis de donner une touche « swag » à un impérialisme US en crise de légitimité sévère après la décennie Bush (ce que l’universitaire états-unienne Deepa Kumar appelle « liberal imperialism »).

      A une échelle évidemment moindre, B. Hamon sera celui qui permettra de redonner une touche jeune, populaire et sympathique à un socialisme français qui n’a jamais été synonyme pour nous de progrès et d’émancipation. Bien au contraire.

      Plus de trois décennies de désillusions socialistes et de fronts républicains contre l’extrême-droite nous ont appris que rien de neuf ni de bon ne viendra jamais du PS ou des élections.

      En disant cela, il ne s’agit pas d’être radical, mais simplement cohérent.

      Et rien que ça, ce serait révolutionnaire.

      #Boycott2017

    • Jean-Pierre Garnier et Louis Janover, La deuxième droite (1986, première édition Robert Laffont ), Marseille, Agone, 2013.

      Le bilan de liquidation du #socialisme par ceux-là mêmes qui s’en réclamaient est globalement positif : restauration du taux de profit, réhabilitation de l’entreprise, épousailles de la « France qui pense » et de la « France qui gagne »... de l’argent, fin du divorce #Nation-Police-Armée, neutralisation des syndicats, marginalisation du PC, vassalisation de l’intelligentsia, consensus autour du nucléaire, consolidation de la présence française en Afrique… Est-ce à dire que tout clivage, toute opposition politique a disparu dans ce pays ? Aucunement. La ligne de partage passe désormais entre deux types de conservatisme, l’un obtus, l’autre éclairé, l’un frileux, l’autre fringant, l’un tourné vers le passé, l’autre ouvert vers l’avenir.
      Bref : l’un réactionnaire, l’autre progressiste. Le jeu politique met désormais aux prises deux droites. La première, traditionnelle, cherche à tout garder au risque de tout perdre. L’autre, moderniste, fait en sorte que tout bouge pour que rien ne change.

      http://agone.org/contrefeux/ladeuxiemedroite

      Hollande : « the right man in the right place »
      http://www.monde-libertaire.fr/?page=archives&numarchive=16556#Ancre 1
      source : les archives du monde libertaire
      #la_deuxième_droite

  • #Caporalato, nel ghetto dei bulgari senza docce per i bambini

    «Pagati 4,5 euro per raccogliere tre quintali di pomodori». Ventimila braccianti africani e neo-comunitari nella sola provincia di Foggia. Ce ne sono 400 mila a livello nazionale


    http://www.corriere.it/cronache/16_agosto_23/caporalato-ghetto-bulgari-senza-docce-bambini-e252385c-689f-11e6-b1b2-f8e89

    #travail #exploitation #tomates #Italie #migrations #migrants_bulgares #agriculture #Pouilles