• Perché bisogna demolire la “#new_town” di #Berlusconi

    Il processo di ricostruzione dell’Aquila deve concludersi, simbolicamente e praticamente, con una demolizione: quella del progetto C.A.S.E

    Pochi giorni fa un servizio della celebre trasmissione televisiva Report è tornato per un attimo a puntare i riflettori dell’attenzione pubblica sulla gestione del post-sisma all’Aquila, denunciando in particolare lo stato di degrado in cui versano alcuni alloggi del progetto C.A.S.E. (acronimo di Complessi Antisismici, Sostenibili ed Ecocompatibili).

    Il progetto è il principale intervento realizzato dal governo nazionale (allora presieduto da Silvio Berlusconi) per dare alloggio temporaneo alla popolazione sfollata a seguito del sisma che, nel 2009, colpì il capoluogo abruzzese – provocando 309 morti e decine di migliaia di sfollati, e riducendo in macerie ampie porzioni della città e di alcuni comuni limitrofi. Stiamo parlando di quasi 4500 alloggi, destinati a ospitare circa 17.000 persone, costituiti da palazzine residenziali realizzate su enormi piastre antisismiche in cemento armato. Le palazzine del progetto C.A.S.E. sono raggruppate in piccoli “quartieri dormitorio” (i servizi pubblici sono pochi, gli esercizi commerciali assenti) localizzati in varie aree, per lo più periferiche, della città. Questi quartieri sono conosciuti giornalisticamente come le “new towns” di Berlusconi: fu infatti il Cavaliere a spingere fortemente per la loro realizzazione. Al suono dello slogan “dalle tende alle case”, l’allora presidente del Consiglio fece un enorme investimento politico e di immagine sulla costruzione di queste strutture. I primi appartamenti furono inaugurati a soli cinque mesi dal sisma, con un Berlusconi raggiante che poteva dichiarare di aver vinto la sfida di sistemare velocemente un numero elevato di sfollati all’interno di strutture in tutto e per tutto simili a tradizionali abitazioni. Dalle tende dell’emergenza alle case del progetto C.A.S.E., per l’appunto.

    Il costo di tale apparente successo è però stato abilmente scaricato sulla collettività, senza che quest’ultima quasi se ne accorgesse. Ciò non riguarda tanto la spesa astronomica (superiore agli 800 milioni di euro) per la costruzione degli alloggi del progetto C.A.S.E., quanto la salatissima ipoteca che hanno imposto al territorio aquilano, legata alla loro nefasta natura in bilico tra temporaneo e permanente. Il progetto è stato infatti realizzato per dare rapidamente un alloggio temporaneo alla popolazione sfollata e, per questo, è stato costruito con materiali inadatti a durare a lungo. Ciò è stato plasticamente testimoniato, nel 2014, dal crollo di un balcone in una delle “new towns”, successivamente interamente evacuata. Simultaneamente, il progetto C.A.S.E. è stato realizzato nell’idea, inizialmente non troppo sbandierata, che le strutture edificate in verità non sarebbero mai state rimosse. Si trova traccia di questa intenzione già in alcuni documenti ufficiale di 2011 (tra cui il Piano di Ricostruzione, che avanzava l’ipotesi, invero alquanto strampalata, che quegli appartamenti “temporanei” avrebbero potuto ospitare studenti e turisti alla fine della ricostruzione).

    Oggi, con la ricostruzione della città che non è lontana dall’essere completata, questi alloggi sono entrati in una traiettoria di sotto-utilizzo e degrado. Su 4450 abitazioni, solo circa 2850 sono oggi occupate, in parte dagli sfollati del sisma, in parte da altri soggetti fragili (popolazione a basso reddito, famiglie monoparentali e anziani, a cui si sono aggiunte recentemente alcune decine di profughi ucraini). Dei rimanenti alloggi, solo 300 sono effettivamente disponibili, mentre risultano inagibili 870 appartamenti (quelli in corso di manutenzione sono 420). Con il passare del tempo, la quota di abitazioni inoccupate crescerà, così come, probabilmente, quella degli alloggi inagibili (e i costi di manutenzione). Che fare, dunque, del progetto C.A.S.E.?

    Il servizio di Report menzionato all’inizio di questo post ha scatenato all’Aquila un rimpallo di responsabilità tra la presente amministrazione (di centro-destra) e la precedente (di centro-sinistra), che ha dimostrato solo, in maniera inequivocabile, come nessuno, indipendentemente dal colore politico, abbia un piano unitario, a lungo termine, per queste strutture. Quello che si sta facendo è procedere a tentoni, per frammenti. In campo ci sono alcuni interessanti progetti di riutilizzo di alcune porzioni del progetto C.A.S.E., legati all’istituzione all’Aquila del Centro Nazionale del Servizio Civile Universale e alla Scuola Nazionale dei Vigili del Fuoco.

    Ma la verità è che c’è un limite ai progetti di riutilizzo che si possono inventare, motivo per cui si dovrà prima o poi ammettere che c’è un elefante nella stanza: l’unica strada percorribile per un elevato numero di queste strutture è la demolizione. E ciò nonostante l’enorme massa di denaro pubblico spesa per realizzarle poco più di un decennio fa. Si deve infatti prendere atto che il loro mantenimento non rappresenta un’opportunità (semplicemente, la città non ha bisogno di tutti quegli spazi, tanto più che c’è un problema rilevante di vuoti anche all’interno del tessuto urbano consolidato), ma un fardello, i cui costi di manutenzione non faranno che aumentare, di pari passo con l’avanzare del loro degrado e il crescere del loro inutilizzo. L’abbattimento è però più facile a dirsi che a farsi, se non altro per una questione economica: si parla di un’operazione dai costi elevatissimi (svariate decine di milioni di euro), che l’amministrazione comunale non è sicuramente in grado di affrontare. Demolire deve diventare così il tassello finale dell’azione del governo centrale rispetto al sisma dell’Aquila: simbolicamente e praticamente la ricostruzione deve terminare con una distruzione, quella del progetto C.A.S.E.

    https://www.huffingtonpost.it/blog/2022/04/27/news/bisogna_demolire_le_new_towns_di_berlusconi-9270510

    #tremblement_de_terre #Aquila #L'Aquila #temporaire #CASE #reconstruction #logement #Silvio_Berlusconi #déplacés #sfollati #new_towns #dalle_tende_alle_case #coût #logement_temporaire

  • Le #Conseil_d'Etat saisi du #contrôle_aux_frontières rétabli par la #France depuis 2015

    Des associations s’appuient sur un arrêt de la #Cour_de_justice de l’Union européenne du 26 avril pour dénoncer le renouvellement illégal de cette #dérogation à la #libre_circulation des personnes.

    Dans la nuit du 13 au 14 novembre 2015, alors que l’assaut des forces d’intervention n’avait pas encore été donné au Bataclan, François Hollande, alors président de la République, avait annoncé la proclamation de l’#état_d'urgence et la #fermeture_des_frontières pour un mois. Ce #rétablissement_des_contrôles aux #frontières_intérieures par un pays membre de l’#Union_européenne (#UE) est autorisé, mais de façon exceptionnelle et #temporaire. La France le maintient de façon interrompue depuis plus de six ans. Elle a notifié à quinze reprises à la Commission européenne le #renouvellement de cette #dérogation_temporaire au « #code_frontières_Schengen ».

    Quatre associations ont décidé, selon nos informations, de saisir le Conseil d’Etat mardi 10 mai d’une demande de #suspension_en_référé de la dernière prolongation, du 1er mai au 31 octobre 2022, notifiée par Paris. L’Association nationale d’assistance aux frontières pour les étrangers (Anafé), le Groupe d’information et de soutien des immigrés (Gisti), le Comité inter-mouvement auprès des évacués (Cimade) et la Ligue des droits de l’homme (LDH) n’en sont pas à leur première tentative devant la haute juridiction administrative. Mais elles ont cette fois un atout maître avec une toute récente décision de la Cour de justice de l’Union européenne.

    Le 26 avril, la cour de Luxembourg a dit, en réponse à une question d’interprétation des textes européens posée par la #justice autrichienne, que la réintroduction des contrôles aux frontières décidée par un Etat en raison de #menaces_graves pour son #ordre_public ou sa #sécurité_intérieure « ne peut pas dépasser une durée totale maximale de six mois » , y compris ses prolongations éventuelles. L’arrêt des juges européens précise que l’apparition d’une nouvelle menace peut autoriser à réintroduire ce contrôle au-delà des six mois initiaux, mais dans ce cas elle doit être « distincte de celle initialement identifiée » . Il s’agit de protéger la libre circulation des personnes, « une des principales réalisations de l’Union européenne » , soulignent les juges.

    Or, selon le relevé de la Commission européenne, les dernières notifications de Paris pour justifier cette entorse au principe de libre circulation listent invariablement les trois mêmes « menaces » : la #menace_terroriste persistante, les #mouvements_secondaires de migrants, l’épidémie de #Covid-19. Rien de très nouveau en effet. Pour Patrice Spinosi, l’avocat des associations, le dernier renouvellement décidé « en dépit de la clarification apportée » par l’arrêt de la cour européenne constitue « une flagrante violation » de l’article 25 du code frontières Schengen.

    Hausse « considérable » des #refus_d'entrée

    Au ministère de l’intérieur, on indique en réaction à l’arrêt du 26 avril que la question du renouvellement répété de cette dérogation « est traitée par la réforme en cours du code des frontières Schengen » . On précise que le sujet sera évoqué les 9 et 10 juin, lors du prochain conseil des ministres « justice et affaires intérieures » de l’UE. Mais, d’une part, ces nouvelles règles ne sont pas encore définies, et d’autre part, la Commission européenne avait précisé en ouvrant ce chantier le 14 décembre 2021 que « l’actualisation des règles vise à faire en sorte que la réintroduction des contrôles aux frontières intérieures demeure une mesure de dernier recours. »

    Derrière les arguments sur l’ordre public et la sécurité intérieure, les associations dénoncent des pratiques illégales de contrôle migratoire. Elles ont publié le 29 avril, avec d’autres associations comme Médecins du Monde et Amnesty International, un communiqué appelant « les autorités françaises à mettre un terme à la prolongation des contrôles aux frontières intérieures et à cesser ainsi les atteintes quotidiennes aux #droits_fondamentaux des personnes exilées qui s’y présentent (violences, contrôles aux faciès, non-respect du droit d’asile et des droits de l’enfant, enfermement) ».

    Ces contrôles au sein de l’espace Schengen se traduisent par des « refus d’entrée » opposés en nombre, dénoncent les associations qui y voient des pratiques discriminatoires. « Les statistiques révèlent une augmentation considérable des refus d’entrée aux frontières intérieures depuis le 13 novembre 2015 » , de 5 000 en 2015 à 48 000 pour les huit premiers mois de 2020, écrivent-elles dans leur requête au Conseil d’Etat. Il se trouve que ce dernier a adressé le 24 février une question préjudicielle à la Cour de Luxembourg pour vérifier si le fait d’opposer un « refus d’entrée » à un #poste_frontière, même en cas de rétablissement des contrôles aux frontières, est conforme au droit de l’UE.

    Par deux fois, en décembre 2017 et octobre 2017, le Conseil d’Etat avait rejeté des requêtes émanant des mêmes associations contre le renouvellement des contrôles aux frontières, estimant qu’une « #nouvelle_menace » ou une « #menace_renouvelée » pouvait justifier une nouvelle dérogation de six mois à la #libre_circulation_des_personnes. Ce nouveau référé devrait être examiné en audience sous un mois, à moins que la juridiction considère que l’affaire mérite d’être jugée au fond, ce qui pourrait prendre quelques semaines de plus.

    https://www.lemonde.fr/societe/article/2022/05/10/le-conseil-d-etat-saisi-du-controle-aux-frontieres-retabli-par-la-france-dep
    #justice

    avec un effet clair sur les #frontières_sud-Alpines, dont il est pas mal question sur seenthis ;-)
    #frontière_sud-alpine #Alpes

    ping @isskein @karine4

  • À la frontière franco-italienne : un #bricolage du #droit qui contourne l’asile

    Le #droit_d’asile est reconnu par les textes français, européens et internationaux. Pourtant, les personnes qui se présentent à la frontière franco-italienne sont régulièrement refoulées sans pouvoir demander la protection de la France. Pour comprendre cet écart, il faut s’intéresser aux ambiguïtés de notre système juridique.

    https://www.youtube.com/watch?v=nE51SrntoIA&feature=emb_logo

    Depuis le 13 novembre 2015, la France a rétabli les contrôles à ses frontières européennes, également dites « intérieures[1] » (avec l’Italie, l’Espagne, la Belgique, l’Allemagne, le Luxembourg et la Suisse). Cette mesure, exceptionnelle et normalement temporaire, a engendré ce que l’on appelle un nouveau « régime frontière », c’est-à-dire un ensemble de normes et de pratiques qui gouvernent le mouvement des personnes aux confins de l’État. À partir de l’étude de ce nouveau régime à la frontière franco-italienne, nous considérerons l’écart qui peut exister entre le texte juridique et le terrain concernant un droit fondamental comme l’asile. Dans quelle mesure la pratique du droit et son interprétation constituent-elles une marge qui permet aux acteurs étatiques de s’accommoder de certaines règles ?
    Le droit d’asile, un régime juridique transversal

    Il faut d’abord préciser qu’en France le droit d’asile, qui protège les personnes fuyant les risques de persécutions et les conflits armés, est l’objet d’un régime juridique complexe où s’entrelacent le droit national et le droit international. L’asile contemporain est en grande partie issu de la Convention de Genève relative au statut des réfugiés de 1951 et son protocole de 1967[2] qui sont des traités internationaux. Mais une portion considérable des règles de l’asile est élaborée par le droit de l’Union européenne qui forme, à travers de multiples directives et règlements, le régime d’asile européen commun. Ensuite, bien que la Convention européenne des droits de l’homme (CEDH)[3] de 1950 ne prévoie pas directement la protection de l’asile, il est établi qu’elle protège indirectement contre certains refoulements à travers l’obligation qu’elle impose aux États en matière d’interdiction de la torture et de traitements inhumains et dégradants (article 3) et de vie privée et familiale (article 8). Enfin, le droit d’asile est consacré par la Constitution française et inscrit dans le droit français, principalement en transposition du droit de l’Union européenne (droit UE). Le droit d’asile est ainsi finement tissé dans un régime juridique qui mêle le droit international, la CEDH, le droit de l’Union européenne et le droit français, à la fois constitutionnel et commun.
    À la frontière franco-italienne, l’asile en péril

    À la frontière entre la France et l’Italie, force est de constater que le droit d’asile n’est pas pleinement appliqué. L’enquête de terrain réalisée dans la vallée de la Roya et à Briançon et, surtout, l’attention des citoyens frontaliers et le travail d’associations comme Tous Migrants[4], Médecins du Monde[5], l’Anafé[6], Amnesty International[7] — pour n’en citer que quelques-unes — parviennent au même constat : la plupart des personnes migrantes[8] interceptées en France près de la frontière avec l’Italie ne sont pas en mesure de demander l’asile. Cette observation est également partagée par des institutions publiques dans des rapports tels que ceux du Contrôleur général des lieux de privation de liberté[9], de la Commission nationale consultative des droits de l’homme et de la commission d’enquête parlementaire sur les migrations[10]. Les personnes traversent la frontière, arrivent en France et, si elles sont interceptées par la police aux frontières (PAF), seront le plus fréquemment renvoyées en Italie sans examen individuel de leur situation.

    C’est donc la condition de possibilité du droit d’asile qui est ici mise en question : le fait de pouvoir enregistrer une demande afin que celle-ci soit traitée par le système de protection français. Cet aspect essentiel de l’asile — la demande — est pourtant consacré par ce régime juridique transversal que nous évoquions, y compris aux frontières de la France[11]. Comment dès lors expliquer que ce droit fondamental ne soit pas réalisé à la frontière avec l’Italie ? L’on serait tenté de répondre que le droit n’est tout simplement pas appliqué convenablement et qu’il suffit qu’une cour, comme le Conseil d’État, sanctionne cette pratique. Cependant, les juges, déjà saisis de la question, n’ont pas formulé de jugement capable de modifier les pratiques de contrôle éludant le droit d’asile.

    Par ailleurs, les contrôles frontaliers font l’objet d’un discours juridique, c’est-à-dire d’une justification par le droit, de la part des autorités étatiques. Ainsi le problème ne porte-t-il pas sur la non-application du droit mais, précisément, sur la manière dont le droit est interprété et mis en application, sur la direction qui est donnée à la force du droit. Qu’est-ce qui, dans le fonctionnement du droit, rend possible la justification juridique d’une transgression d’un droit fondamental normalement applicable ? Autrement dit, comment les autorités arrivent-elles à échapper à leurs obligations internationales, européennes et, à certains égards, constitutionnelles ?

    Une partie de la réponse à cette question réside en ce que le droit — international, européen, national — est plus malléable qu’on pourrait le penser. En effet, les normes juridiques peuvent parfois être en partie indéterminées dans leur définition et dans leur application. L’on dira que le droit est indéterminé au regard d’une situation lorsque les sources juridiques (les traités, les textes européens, la Constitution, la loi, le règlement, etc.), les opérations légitimes d’interprétation ou le raisonnement juridique qui s’y rapportent sont indéterminés, c’est-à-dire lorsque plus d’une conclusion peut être, a priori, tirée de ces éléments. L’on ajoutera une chose : moins un régime juridique est détaillé, plus il laisse de place aux indéterminations. Or, le régime qui préside aux contrôles à la frontière italienne est dérogatoire au droit commun de l’espace Schengen et il est, à ce titre, très peu développé par les textes. Comment cette malléabilité du droit se déploie-t-elle à la frontière ?
    Constituer la frontière par le détournement des normes

    Tout d’abord, si la question de l’asile se pose à la frontière franco-italienne, c’est parce que celle-ci fait l’objet de contrôles dérogatoires. Selon le droit de l’Union européenne, les États membres ne devraient pas effectuer de vérifications frontalières systématiques. Ils peuvent cependant exceptionnellement réintroduire les contrôles dans le cas d’une « menace grave à l’ordre public ou la sécurité intérieure[12] », et ce, pour une durée maximale de deux ans. Il faut ici souligner deux choses.

    D’une part, la France justifie officiellement ces contrôles par l’existence d’une menace terroriste persistante, bien qu’elle les effectue non pas en raison de la lutte contre le terrorisme, mais principalement aux fins de contrôles des flux migratoires. Or, cet élément n’est pas prévu dans le droit UE comme permettant de justifier le rétablissement des contrôles. Le « Code frontières Schengen », qui détaille les normes européennes en matière de frontière, le rejette même explicitement. Cet état de fait a été reconnu par le directeur des affaires européennes du ministère de l’Intérieur dans le cadre de la commission d’enquête parlementaire sur les migrations. Il s’agit donc du détournement de la finalité et de la rationalité d’une règle européenne.

    D’autre part, la France contrôle ses frontières européennes depuis novembre 2015. En mars 2022, cela fait donc plus de six années qu’une mesure exceptionnelle et temporaire est reconduite. L’argument avancé par le gouvernement et entériné par le Conseil d’État consiste à dire, à chaque renouvellement de cette mesure de contrôle — tous les six mois —, qu’une nouvelle menace terroriste a été détectée. La menace étant « renouvelée », le fondement de la mesure repart de zéro, comme s’il n’y avait aucune continuité dans la rationalité des contrôles depuis 2015. Voilà qu’une norme européenne concernant la sécurité intérieure et le terrorisme est continuellement détournée à des fins de gouvernance des migrations. Ainsi malléable, le droit est mobilisé pour matérialiser la frontière par les contrôles, sans quoi la problématique de l’asile serait inexistante puisque la circulation serait libre comme le prévoit le droit UE.
    Épaissir la frontière par l’innovation normative

    Une fois la frontière concrètement instaurée par les contrôles se pose la question du régime juridique applicable, c’est-à-dire de l’ensemble des règles présidant aux interceptions des personnes. En France, le droit des étrangers comprend deux principaux régimes qui permettent de saisir la régularité ou l’irrégularité de la situation d’une personne étrangère : le régime de l’admission et le régime du séjour. L’admission (X peut-elle être admise en France ?) concerne uniquement les personnes franchissant une frontière extérieure de la France (avec un pays tiers à l’UE). À l’inverse, le régime du séjour (X peut-elle demeurer en France ?) s’applique sur tout le reste du territoire, en dehors des points de passage qui définissent les frontières extérieures. Si la constitution et la saisie de l’irrégularité des étrangers par le droit sont toujours limitatives des libertés des personnes, il faut souligner que le régime de l’entrée est le plus circonscrit des deux en matière de droits fondamentaux tant en théorie qu’en pratique. Le droit de demander l’asile doit être respecté dans les deux cas, mais le régime de l’admission le traduit à travers une procédure plus expéditive comportant moins de garanties.

    Sur le territoire limitrophe de l’Italie, c’est par défaut le régime du séjour qui aurait dû s’appliquer puisqu’il s’agit d’une frontière intérieure, et non celui de l’admission qui ne concerne que les frontières extérieures de la France. Cependant, d’abord de manière irrégulière, puis en adoptant la loi asile et immigration en septembre 2018, le gouvernement a déployé une partie de l’arsenal du régime de l’admission en appliquant des procédures de renvoi expéditives à travers l’émission de refus d’entrée. Chose innovante, cette loi a également étendu cette procédure à toute une zone constituée par une bande de dix kilomètres le long de la ligne frontière. Ainsi, alors que, vis-à-vis des contrôles, le droit UE délimite la frontière à des points de passage, l’innovation française l’épaissit-elle juridiquement à un large espace.
    Au sein de la frontière, bricoler le droit

    Que se passe-t-il au sein de cette frontière épaissie ? D’abord, une controverse juridique, car aux moins deux décisions, de la Cour de justice de l’Union européenne[13] et du Conseil d’État[14], remettent partiellement en question le bien-fondé de l’application des refus d’entrée aux frontières intérieures. Mais surtout, dans cet espace controversé, c’est un véritable bricolage du droit que l’on peut observer.

    Pour l’illustrer, prenons le cas de la privation de liberté. Sur le terrain, l’on constate, lors de la procédure de renvoi, que les personnes sont maintenues dans les locaux de la PAF, notamment à Montgenèvre et à Menton Pont-Saint-Louis[15]. Elles font donc l’objet d’un enfermement non consenti qui constitue une privation de liberté. Pourtant, les règles qui y président ne sont ni celles du régime du séjour ni celles du régime de l’entrée. Autrement dit, le gouvernement a décidé d’appliquer une partie du régime de l’admission — les refus d’entrée, la procédure expéditive — sans pour autant lui faire correspondre son régime de privation de liberté alors même que celle-ci est mise en place. Cet aspect est crucial, car la privation de liberté constitue une restriction grave à de nombreuses libertés fondamentales et est strictement encadrée en France.

    Ce flottement « qualificatoire » est problématique parce que les droits fondamentaux[16] des personnes maintenues ne sont garantis que par des mécanismes spécifiques associés aux régimes de privation de liberté existants. L’absence de catégories claires donne une certaine latitude aux acteurs étatiques à la frontière. Cette ambiguïté neutralise même sérieusement les droits fondamentaux en fragilisant les garanties d’accès aux droits et aux juges. L’on pourrait dire que ce bricolage du droit est parajuridique dans les deux sens du préfixe, c’est-à-dire qui s’articule autour du droit, mais aussi, parfois, contre le droit. Parce qu’il s’agit d’arrangements composites, certains aspects sont parfois invalidés par les juges, mais pas leur économie générale qui en font un mode de gouvernance des migrations dans les marges du droit. Au fond, le maintien d’un régime juridique dérogatoire au droit de l’espace Schengen semble renforcer la capacité de l’État à jouer sur les ambiguïtés du droit. Il déroge ainsi à certains droits fondamentaux et procédures administratives qui devraient s’appliquer en vertu du droit international, européen et national.

    Pour aller plus loin

    Commission nationale consultative des droits de l’homme, 2018. Avis sur la situation des personnes migrantes à la frontière franco-italienne, 19 juin URL : https://www.cncdh.fr/sites/default/files/180619_avis_situation_des_migrants_a_la_frontiere_italienne.pdf
    Charaudeau Santomauro B., 2020. « La condition des migrants sous la réintroduction des contrôles aux frontières : le cas de l’état d’urgence à la frontière franco-italienne », in : Benlolo Carabot M. (dir.), L’Union européenne et les migrations, Bruylant-Larcier, p. 337‑343. URL : https://halshs.archives-ouvertes.fr/hal-03224278
    Anafé, 2019. Persona non grata. Conséquences des politiques sécuritaires et migratoires à la frontière franco-italienne, Rapports d’observations 2017–2018. URL : https://drive.google.com/file/d/15HEFqA01_aSkKgw05g_vfrcP1SpmDAtV/view
    Contrôleur général des lieux de privation de liberté, 2017. Rapport de visite des locaux de la police aux frontières de Menton (Alpes-Maritimes). 2e visite : Contrôle des personnes migrantes à la frontière franco-italienne, 4 au 8 septembre. URL : https://www.cglpl.fr/2018/rapport-de-la-deuxieme-visite-des-services-de-la-police-aux-frontieres-de-ment

    https://www.icmigrations.cnrs.fr/2022/03/10/defacto-032-01
    https://www.icmigrations.cnrs.fr/2022/03/10/defacto-032-01
    #frontière_sud-alpine #frontières #asile #migrations #réfugiés #Alpes #France #Italie #refoulement #push-backs #régime_frontalier #fermeture_des_frontières #vallée_de_la_roya #Briançon #Hautes-Alpes #Alpes_maritimes #PAF #normes_juridiques #espace_Schengen #contrôles_dérogatoires #terrorisme #menace_terroriste #code_frontières_Schengen #temporaire #exception #état_d'urgence #régime_de_l'admission #régime_du_séjour #droits_fondamentaux #bricolage #refus_d'entrée #privation_de_liberté #enfermement

  • Temporary Urban Projects: Proposing a Multi-Positional Framework for Critical Discussion
    https://www.frontiersin.org/articles/10.3389/frsc.2022.722665

    The aim of this article is to create fertile ground for critical discussion of the discursive field of temporary urban projects (TUPs), their multiple positionings and governance potential in urban and metropolitan development. TUPs constitute short-lived or temporally restricted spatial interventions and social activities in otherwise vacant urban settings. Often made from cheap materials and simple construction methods, TUPs activate urban spaces in transition. Through spatial appropriations, TUPs can explore new uses and potentials in these transforming urban areas. Despite aesthetic and spatial similarities, the discursive field of TUPs is diverse and covers a plethora of uses and understandings of space, actors, activities, intentions and strategies. A critical discussion that (...)

  • Schengen : de nouvelles règles pour rendre l’espace sans contrôles aux #frontières_intérieures plus résilient

    La Commission propose aujourd’hui des règles actualisées pour renforcer la gouvernance de l’espace Schengen. Les modifications ciblées renforceront la coordination au niveau de l’UE et offriront aux États membres des outils améliorés pour faire face aux difficultés qui surviennent dans la gestion tant des frontières extérieures communes de l’UE que des frontières intérieures au sein de l’espace Schengen. L’actualisation des règles vise à faire en sorte que la réintroduction des #contrôles_aux_frontières_intérieures demeure une mesure de dernier recours. Les nouvelles règles créent également des outils communs pour gérer plus efficacement les frontières extérieures en cas de crise de santé publique, grâce aux enseignements tirés de la pandémie de COVID-19. L’#instrumentalisation des migrants est également prise en compte dans cette mise à jour des règles de Schengen, ainsi que dans une proposition parallèle portant sur les mesures que les États membres pourront prendre dans les domaines de l’asile et du retour dans une telle situation.

    Margaritis Schinas, vice-président chargé de la promotion de notre mode de vie européen, s’est exprimé en ces termes : « La crise des réfugiés de 2015, la vague d’attentats terroristes sur le sol européen et la pandémie de COVID-19 ont mis l’espace Schengen à rude épreuve. Il est de notre responsabilité de renforcer la gouvernance de Schengen et de faire en sorte que les États membres soient équipés pour offrir une réaction rapide, coordonnée et européenne en cas de crise, y compris lorsque des migrants sont instrumentalisés. Grâce aux propositions présentées aujourd’hui, nous fortifierons ce “joyau” si emblématique de notre mode de vie européen. »

    Ylva Johansson, commissaire aux affaires intérieures, a quant à elle déclaré : « La pandémie a montré très clairement que l’espace Schengen est essentiel pour nos économies et nos sociétés. Grâce aux propositions présentées aujourd’hui, nous ferons en sorte que les contrôles aux frontières ne soient rétablis qu’en dernier recours, sur la base d’une évaluation commune et uniquement pour la durée nécessaire. Nous dotons les États membres des outils leur permettant de relever les défis auxquels ils sont confrontés. Et nous veillons également à gérer ensemble les frontières extérieures de l’UE, y compris dans les situations où les migrants sont instrumentalisés à des fins politiques. »

    Réaction coordonnée aux menaces communes

    La proposition de modification du code frontières Schengen vise à tirer les leçons de la pandémie de COVID-19 et à garantir la mise en place de mécanismes de coordination solides pour faire face aux menaces sanitaires. Les règles actualisées permettront au Conseil d’adopter rapidement des règles contraignantes fixant des restrictions temporaires des déplacements aux frontières extérieures en cas de menace pour la santé publique. Des dérogations seront prévues, y compris pour les voyageurs essentiels ainsi que pour les citoyens et résidents de l’Union. L’application uniforme des restrictions en matière de déplacements sera ainsi garantie, en s’appuyant sur l’expérience acquise ces dernières années.

    Les règles comprennent également un nouveau mécanisme de sauvegarde de Schengen destiné à générer une réaction commune aux frontières intérieures en cas de menaces touchant la majorité des États membres, par exemple des menaces sanitaires ou d’autres menaces pour la sécurité intérieure et l’ordre public. Grâce à ce mécanisme, qui complète le mécanisme applicable en cas de manquements aux frontières extérieures, les vérifications aux frontières intérieures dans la majorité des États membres pourraient être autorisées par une décision du Conseil en cas de menace commune. Une telle décision devrait également définir des mesures atténuant les effets négatifs des contrôles.

    De nouvelles règles visant à promouvoir des alternatives effectives aux vérifications aux frontières intérieures

    La proposition vise à promouvoir le recours à d’autres mesures que les contrôles aux frontières intérieures et à faire en sorte que, lorsqu’ils sont nécessaires, les contrôles aux frontières intérieures restent une mesure de dernier recours. Ces mesures sont les suivantes :

    - Une procédure plus structurée pour toute réintroduction des contrôles aux frontières intérieures, comportant davantage de garanties : Actuellement, tout État membre qui décide de réintroduire des contrôles doit évaluer le caractère adéquat de cette réintroduction et son incidence probable sur la libre circulation des personnes. En application des nouvelles règles, il devra en outre évaluer l’impact sur les régions frontalières. Par ailleurs, tout État membre envisageant de prolonger les contrôles en réaction à des menaces prévisibles devrait d’abord évaluer si d’autres mesures, telles que des contrôles de police ciblés et une coopération policière renforcée, pourraient être plus adéquates. Une évaluation des risques devrait être fournie pour ce qui concerne les prolongations de plus de 6 mois. Lorsque des contrôles intérieurs auront été rétablis depuis 18 mois, la Commission devra émettre un avis sur leur caractère proportionné et sur leur nécessité. Dans tous les cas, les contrôles temporaires aux frontières ne devraient pas excéder une durée totale de 2 ans, sauf dans des circonstances très particulières. Il sera ainsi fait en sorte que les contrôles aux frontières intérieures restent une mesure de dernier recours et ne durent que le temps strictement nécessaire.
    – Promouvoir le recours à d’autres mesures : Conformément au nouveau code de coopération policière de l’UE, proposé par la Commission le 8 décembre 2021, les nouvelles règles de Schengen encouragent le recours à des alternatives effectives aux contrôles aux frontières intérieures, sous la forme de contrôles de police renforcés et plus opérationnels dans les régions frontalières, en précisant qu’elles ne sont pas équivalentes aux contrôles aux frontières.
    - Limiter les répercussions des contrôles aux frontières intérieures sur les régions frontalières : Eu égard aux enseignements tirés de la pandémie, qui a grippé les chaînes d’approvisionnement, les États membres rétablissant des contrôles devraient prendre des mesures pour limiter les répercussions négatives sur les régions frontalières et le marché intérieur. Il pourra s’agir notamment de faciliter le franchissement d’une frontière pour les travailleurs frontaliers et d’établir des voies réservées pour garantir un transit fluide des marchandises essentielles.
    - Lutter contre les déplacements non autorisés au sein de l’espace Schengen : Afin de lutter contre le phénomène de faible ampleur mais constant des déplacements non autorisés, les nouvelles règles créeront une nouvelle procédure pour contrer ce phénomène au moyen d’opérations de police conjointes et permettre aux États membres de réviser ou de conclure de nouveaux accords bilatéraux de réadmission entre eux. Ces mesures complètent celles proposées dans le cadre du nouveau pacte sur la migration et l’asile, en particulier le cadre de solidarité contraignant, et doivent être envisagées en liaison avec elles.

    Aider les États membres à gérer les situations d’instrumentalisation des flux migratoires

    Les règles de Schengen révisées reconnaissent l’importance du rôle que jouent les États membres aux frontières extérieures pour le compte de tous les États membres et de l’Union dans son ensemble. Elles prévoient de nouvelles mesures que les États membres pourront prendre pour gérer efficacement les frontières extérieures de l’UE en cas d’instrumentalisation de migrants à des fins politiques. Ces mesures consistent notamment à limiter le nombre de points de passage frontaliers et à intensifier la surveillance des frontières.

    La Commission propose en outre des mesures supplémentaires dans le cadre des règles de l’UE en matière d’asile et de retour afin de préciser les modalités de réaction des États membres en pareilles situations, dans le strict respect des droits fondamentaux. Ces mesures comprennent notamment la possibilité de prolonger le délai d’enregistrement des demandes d’asile jusqu’à 4 semaines et d’examiner toutes les demandes d’asile à la frontière, sauf en ce qui concerne les cas médicaux. Il convient de continuer à garantir un accès effectif à la procédure d’asile, et les États membres devraient permettre l’accès des organisations humanitaires qui fournissent une aide. Les États membres auront également la possibilité de mettre en place une procédure d’urgence pour la gestion des retours. Enfin, sur demande, les agences de l’UE (Agence de l’UE pour l’asile, Frontex, Europol) devraient apporter en priorité un soutien opérationnel à l’État membre concerné.

    Prochaines étapes

    Il appartient à présent au Parlement européen et au Conseil d’examiner et d’adopter les deux propositions.

    Contexte

    L’espace Schengen compte plus de 420 millions de personnes dans 26 pays. La suppression des contrôles aux frontières intérieures entre les États Schengen fait partie intégrante du mode de vie européen : près de 1,7 million de personnes résident dans un État Schengen et travaillent dans un autre. Les personnes ont bâti leur vie autour des libertés offertes par l’espace Schengen, et 3,5 millions d’entre elles se déplacent chaque jour entre des États Schengen.

    Afin de renforcer la résilience de l’espace Schengen face aux menaces graves et d’adapter les règles de Schengen aux défis en constante évolution, la Commission a annoncé, dans son nouveau pacte sur la migration et l’asile présenté en septembre 2020, ainsi que dans la stratégie de juin 2021 pour un espace Schengen pleinement opérationnel et résilient, qu’elle proposerait une révision du code frontières Schengen. Dans son discours sur l’état de l’Union de 2021, la présidente von der Leyen a également annoncé de nouvelles mesures pour contrer l’instrumentalisation des migrants à des fins politiques et pour assurer l’unité dans la gestion des frontières extérieures de l’UE.

    Les propositions présentées ce jour viennent s’ajouter aux travaux en cours visant à améliorer le fonctionnement global et la gouvernance de Schengen dans le cadre de la stratégie pour un espace Schengen plus fort et plus résilient. Afin de favoriser le dialogue politique visant à relever les défis communs, la Commission organise régulièrement des forums Schengen réunissant des membres du Parlement européen et les ministres de l’intérieur. À l’appui de ces discussions, la Commission présentera chaque année un rapport sur l’état de Schengen résumant la situation en ce qui concerne l’absence de contrôles aux frontières intérieures, les résultats des évaluations de Schengen et l’état d’avancement de la mise en œuvre des recommandations. Cela contribuera également à aider les États membres à relever tous les défis auxquels ils pourraient être confrontés. La proposition de révision du mécanisme d’évaluation et de contrôle de Schengen, actuellement en cours d’examen au Parlement européen et au Conseil, contribuera à renforcer la confiance commune dans la mise en œuvre des règles de Schengen. Le 8 décembre, la Commission a également proposé un code de coopération policière de l’UE destiné à renforcer la coopération des services répressifs entre les États membres, qui constitue un moyen efficace de faire face aux menaces pesant sur la sécurité dans l’espace Schengen et contribuera à la préservation d’un espace sans contrôles aux frontières intérieures.

    La proposition de révision du code frontières Schengen qui est présentée ce jour fait suite à des consultations étroites auprès des membres du Parlement européen et des ministres de l’intérieur réunis au sein du forum Schengen.

    Pour en savoir plus

    Documents législatifs :

    – Proposition de règlement modifiant le régime de franchissement des frontières par les personnes : https://ec.europa.eu/home-affairs/proposal-regulation-rules-governing-movement-persons-across-borders-com-20

    – Proposition de règlement visant à faire face aux situations d’instrumentalisation dans le domaine de la migration et de l’asile : https://ec.europa.eu/home-affairs/proposal-regulation-situations-instrumentalisation-field-migration-and-asy

    – Questions-réponses : https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/en/qanda_21_6822

    – Fiche d’information : https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/en/fs_21_6838

    https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/fr/ip_21_6821

    #Schengen #Espace_Schengen #frontières #frontières_internes #résilience #contrôles_frontaliers #migrations #réfugiés #asile #crise #pandémie #covid-19 #coronavirus #crise_sanitaire #code_Schengen #code_frontières_Schengen #menace_sanitaire #frontières_extérieures #mobilité #restrictions #déplacements #ordre_public #sécurité #sécurité_intérieure #menace_commune #vérifications #coopération_policière #contrôles_temporaires #temporaire #dernier_recours #régions_frontalières #marchandises #voies_réservées #déplacements_non_autorisés #opérations_de_police_conjointes #pacte #surveillance #surveillance_frontalière #points_de_passage #Frontex #Europol #soutien_opérationnel

    –—

    Ajouté dans la métaliste sur les #patrouilles_mixtes ce paragraphe :

    « Lutter contre les déplacements non autorisés au sein de l’espace Schengen : Afin de lutter contre le phénomène de faible ampleur mais constant des déplacements non autorisés, les nouvelles règles créeront une nouvelle procédure pour contrer ce phénomène au moyen d’opérations de police conjointes et permettre aux États membres de réviser ou de conclure de nouveaux accords bilatéraux de réadmission entre eux. Ces mesures complètent celles proposées dans le cadre du nouveau pacte sur la migration et l’asile, en particulier le cadre de solidarité contraignant, et doivent être envisagées en liaison avec elles. »

    https://seenthis.net/messages/910352

    • La Commission européenne propose de réformer les règles de Schengen pour préserver la #libre_circulation

      Elle veut favoriser la coordination entre États membres et adapter le code Schengen aux nouveaux défis que sont les crise sanitaires et l’instrumentalisation de la migration par des pays tiers.

      Ces dernières années, les attaques terroristes, les mouvements migratoires et la pandémie de Covid-19 ont ébranlé le principe de libre circulation en vigueur au sein de l’espace Schengen. Pour faire face à ces événements et phénomènes, les pays Schengen (vingt-deux pays de l’Union européenne et la Suisse, le Liechtenstein, la Norvège et l’Islande) ont réintroduit plus souvent qu’à leur tour des contrôles aux frontières internes de la zone, en ordre dispersé, souvent, et, dans le cas de l’Allemagne, de l’Autriche, de la France, du Danemark, de la Norvège et de la Suède, de manière « provisoirement permanente ».
      Consciente des risques qui pèsent sur le principe de libre circulation, grâce à laquelle 3,5 millions de personnes passent quotidiennement d’un État membre à l’autre, sans contrôle, la Commission européenne a proposé mardi de revoir les règles du Code Schengen pour les adapter aux nouveaux défis. « Nous devons faire en sorte que la fermeture des frontières intérieures soit un ultime recours », a déclaré le vice-président de la Commission en charge de la Promotion du mode de vie européen, Margaritis Schinas.
      Plus de coordination entre États membres

      Pour éviter le chaos connu au début de la pandémie, la Commission propose de revoir la procédure en vertu de laquelle un État membre peut réintroduire des contrôles aux frontières internes de Schengen. Pour les événements « imprévisibles », les contrôles aux frontières pourraient être instaurés pour une période de trente jours, extensibles jusqu’à trois mois (contre dix jours et deux mois actuellement) ; pour les événements prévisibles, elle propose des périodes renouvelables de six mois jusqu’à un maximum de deux ans… ou plus si les circonstances l’exigent. Les États membres devraient évaluer l’impact de ces mesures sur les régions frontalières et tenter de le minimiser - pour les travailleurs frontaliers, au nombre de 1,7 million dans l’Union, et le transit de marchandises essentielle, par exemple - et et envisager des mesures alternatives, comme des contrôles de police ciblés ou une coopération policière transfrontalières.
      Au bout de dix-huit mois, la Commission émettrait un avis sur la nécessité et la proportionnalité de ces mesures.
      De nouvelles règles pour empêcher les migrations secondaires

      L’exécutif européen propose aussi d’établir un cadre légal, actuellement inexistant, pour lutter contre les « migrations secondaires ». L’objectif est de faire en sorte qu’une personne en situation irrégulière dans l’UE qui traverse une frontière interne puisse être renvoyée dans l’État d’où elle vient. Une mesure de nature à satisfaire les pays du Nord, dont la Belgique, qui se plaignent de voir arriver ou transiter sur leur territoire des migrants n’ayant pas déposé de demandes d’asile dans leur pays de « première entrée », souvent situé au sud de l’Europe. La procédure réclame des opérations de police conjointes et des accords de réadmission entre États membres. « Notre réponse la plus systémique serait un accord sur le paquet migratoire », proposé par la Commission en septembre 2020, a cependant insisté le vice-président Schengen. Mais les États membres ne sont pas en mesure de trouver de compromis, en raison de positions trop divergentes.
      L’Europe doit se préparer à de nouvelles instrumentalisations de la migration

      La Commission veut aussi apporter une réponse à l’instrumentalisation de la migration telle que celle pratiquée par la Biélorussie, qui a fait venir des migrants sur son sol pour les envoyer vers la Pologne et les États baltes afin de faire pression sur les Vingt-sept. La Commission veut définir la façon dont les États membres peuvent renforcer la surveillance de leur frontière, limiter les points d’accès à leur territoire, faire appel à la solidarité européenne, tout en respectant les droits fondamentaux des migrants.
      Actuellement, « la Commission peut seulement faire des recommandations qui, si elles sont adoptées par le Conseil, ne sont pas toujours suivies d’effet », constate la commissaire aux Affaires intérieures Ylva Johansson.
      Pour faire face à l’afflux migratoire venu de Biélorussie, la Pologne avait notamment pratiqué le refoulement, contraire aux règles européennes en matière d’asile, sans que l’on donne l’impression de s’en émouvoir à Bruxelles et dans les autres capitales de l’Union. Pour éviter que cela se reproduise, la Commission propose des mesures garantissant la possibilité de demander l’asile, notamment en étendant à quatre semaines la période pour qu’une demande soit enregistrée et traitée. Les demandes pourront être examinée à la frontière, ce qui implique que l’État membre concerné devrait donner l’accès aux zones frontalières aux organisations humanitaires.

      La présidence française du Conseil, qui a fait de la réforme de Schengen une de ses priorités, va essayer de faire progresser le paquet législatif dans les six mois qui viennent. « Ces mesures constituent une ensemble nécessaire et robuste, qui devrait permettre de préserver Schengen intact », a assuré le vice-président Schinas. Non sans souligner que la solution systémique et permanente pour assurer un traitement harmonisé de l’asile et de la migration réside dans le pacte migratoire déposé en 2020 par la Commission et sur lequel les États membres sont actuellement incapables de trouver un compromis, en raison de leurs profondes divergences sur ces questions.

      https://www.lalibre.be/international/europe/2021/12/14/face-aux-risques-qui-pesent-sur-la-libre-circulation-la-commission-europeenn
      #réforme

  • Quelle #hospitalité est encore possible aujourd’hui ?

    À partir de quelques traits saillants de la définition de l’hospitalité, une analyse des pratiques d’hospitalité à l’épreuve du contexte politique actuel.

    Il existe plusieurs manières de définir l’hospitalité et l’une d’elles consiste à y voir un rapport positif à l’étranger. Autant dire un contre-courant radical des tendances du moment. L’action des gouvernements récents relèvent davantage d’une police des populations exilées, érigée en #politique mais qui précisément n’a rien de politique. Il s’agit d’une gestion, souvent violente et toujours anti-migratoire, des personnes, pour reprendre une idée empruntée à Étienne Tassin.

    Certes il existe une opposition à cette #gestion, mais elle ne forme pas un ensemble homogène. Elle est au contraire traversée de tensions et de conflits qui trouvent leurs racines dans des conceptions, moyens et temporalités différentes. Ce champ conflictuel met régulièrement en scène, pour les opposer, le milieu militant et les collectivités territoriales, pourtant rares à être volontaires pour entreprendre des #politiques_d’accueil*.

    L’#inconditionnalité de l’#accueil et la #réciprocité dans l’hospitalité sont deux piliers de ces pratiques. Elles nous aident à comprendre certaines tensions et certains écueils. Prenons-les pour guides dans une analyse des pratiques actuelles dites d’hospitalité, qu’elles soient privées ou institutionnelles.

    Inconditionnalité

    L’hospitalité se définit notamment par son inconditionnalité. Elle prévoit donc d’accueillir toute personne, quelle qu’elle soit, d’où qu’elle vienne et quelle que soit la raison de sa présence.

    Il est d’ailleurs intéressant de voir combien, dans la diversité des traditions d’hospitalité, cette question de l’origine de la personne accueillie est très différemment traitée. Certaines traditions interdisent simplement de questionner l’étranger·e accueilli·e sur qui ielle est et d’où ielle vient ; d’autres au contraire le prévoient, sans que cela conditionne ou détermine les modalités de l’hospitalité. Dans ce cas-là, il s’agit plutôt d’une pratique d’ordre protocolaire.

    Aujourd’hui, l’équivalent de cette question porte, outre le pays d’origine, sur le statut administratif de la personne accueillie, c’est-à-dire sur la légalité ou non de son séjour sur le territoire. Le pays d’origine nourrit un certain nombre de préjugés que peuvent refléter les offres d’hospitalité privée quand les volontaires à l’accueil expriment une préférence en matière de nationalité. Ces #préjugés sont très largement nourris par la médiatisation comme le révèlent les contextes de 2015 au plus fort de l’exil des Syrien·nes ou plus récemment à la fin de l’été 2021 après la prise de pouvoir par les Talibans à Kaboul. La médiatisation des crises façonne la perception des personnes en besoin d’hospitalité au point parfois de déterminer l’offre. Le #statut_administratif conditionne de façon plus significative l’accueil et il peut devenir un critère ; autant du côté des collectifs citoyens d’accueil que des institutions dont les moyens financiers sont généralement conditionnés par le profil du public bénéficiaire et la régularité du statut.

    Qui organise aujourd’hui un accueil inconditionnel ?

    Une enquête récente (dont quelques résultats sont publiés dans cet article : https://www.cairn.info/revue-migrations-societe-2021-3-page-65.htm) montre que les institutions et les collectivités territoriales rencontrent des contraintes qui entravent la mise en œuvre d’un accueil inconditionnel : la #catégorisation des publics destinataires distingués bien souvent par leur statut administratif et les territoires d’intervention en font partie. Les #collectifs_citoyens étudiés dans cette enquête réussissent à mettre ces contraintes à distance. Il faut préciser qu’à leur création, tous ne s’inscrivent pas dans un choix clair et conscient pour l’accueil inconditionnel mais c’est la pratique et ce qu’elle leur permet de comprendre du traitement administratif des populations exilées qui produit cet effet de mise à distance des contraintes. Le lien personnel créé par l’accueil explique également qu’il se poursuit au-delà des limites dans lesquelles le collectif s’est créé (statut administratif ; temporalité). Plusieurs collectifs montrent qu’un accueil inconditionnel a été effectivement mis en pratique, non sans débat, gestion de désaccords et disputes parfois, et grâce aux moyens à la disposition du collectif, à la capacité d’invention de ses membres et à l’indignation générée par le traitement administratif et politique des personnes et de la migration en général.

    Réciprocité

    « L’hospitalité, quoique asymétrique, rime avec réciprocité » (Anne Gotman)

    La réciprocité est un autre des éléments constitutifs fondamentaux de l’hospitalité. Comme le souligne #Anne_Gotman (Le sens de l’hospitalité), l’hospitalité pour s’exercer doit résoudre la contradiction entre la nécessaire réciprocité et l’#asymétrie évidente de la situation entre un besoin et une possibilité d’offre. Et c’est le décalage dans le temps qui permet cela : la réciprocité est mise en œuvre par la promesse d’accueil. On accueille inconditionnellement parce que tout le monde a besoin de savoir qu’ielle pourra être accueilli·e, sans faille, lorqu’ielle en aura besoin. Si l’on admet de considérer l’hospitalité comme une pratique de #don, la réciprocité est le #contre-don différé dans le temps.

    Cette interdépendance tient à un contexte où les circulations humaines et les voyages dépendaient de l’hospitalité sans laquelle il était impossible de trouver à se loger et se nourrir. Il s’agissait bien souvent d’un enjeu de survie dans des environnements hostiles. Si chacun·e a besoin de pouvoir compter sur l’hospitalité, chacun·e accueille. Aujourd’hui pourtant, la répartition des richesses et des pouvoirs au niveau global fait que ceux et celles qui voyagent n’ont plus besoin de l’hospitalité parce que cette fonction est devenue marchande et les voyageurs achètent l’« hospitalité » dont ielles ont besoin ; ce qui alors lui retire toute valeur d’hospitalité. Cette réalité crée une asymétrie, abyssale en réalité. Elle tire ses origines des fondations du capitalisme qui a construit l’Europe comme centre global et a posé les bases de la puissance et de la modernité occidentales.

    Aujourd’hui et dans le contexte français, cette asymétrie se retrouve dans une distribution de positions : celles et ceux qui sont les acteurs et actrices de l’hospitalité ne s’inscrivent plus dans ce système d’interdépendance dans lequel se situait l’hospitalité, ou se situe encore dans d’autres régions du monde. Ielles accueillent pour d’autres raisons. La #rencontre est souvent évoquée dans les enquêtes ethnographiques parmi les motivations principales des personnes engagées dans l’accueil des personnes venues chercher un refuge. Pourtant les personnes accueillies ne sont pas forcément dans cette démarche. Au contraire, parfois, elles se révèlent même fuyantes, renfermées par besoin de se protéger quand elles ont été abîmées par le voyage. Cette soif de rencontre qui anime les personnes offrant leur hospitalité n’est pas toujours partagée.

    Dans ce contexte, nous comprenons que l’hospitalité telle qu’elle est mise en œuvre aujourd’hui autour de nous, et du fait de l’asymétrie des positions, pose une relation d’#aide. Or celle-ci est elle-même fortement asymétrique car elle peut se révéler prolonger et reproduire, dans une autre modalité, la relation de #domination. La #relation_d’aide est dominante quand elle ne conscientise pas l’asymétrie justement des positions et des moyens des personnes qu’elle met en jeu. Elle sortira de cet écueil de prolonger la domination en trouvant une place pour la réciprocité. C’est #Paulo_Freire qui nous a appris que l’#aide_authentique est celle qui permet à toutes les personnes impliquées de s’aider mutuellement. Cela permet que l’acte d’aider ne se transforme pas en domination de celle ou celui qui aide sur celle ou celui aidé·e.

    Pour éviter de rejouer une relation de domination, l’hospitalité qu’elle soit privée ou institutionnelle doit trouver ou créer un espace pour l’#aide_mutuelle. Dans les pratiques actuelles de l’hospitalité, les situations d’asymétrie sont nombreuses.

    Les deux parties réunies autour la pratique de l’accueil ne disposent pas d’une répartition égale de l’information sur chacune. En effet, les personnes accueillies disposent généralement de très peu, voire pas du tout, d’information sur les personnes qui les accueillent. Alors que les hébergeur·ses connaissent les nom, prénom, date de naissance et pays d’origine, et parfois des détails du parcours de la personne qu’ielles accueillent. Cette asymétrie de connaissance organise bien différemment la rencontre, en fonction du côté duquel on se trouve. Sans information, ce sont les représentations déjà construites qui s’imposent et plusieurs personnes accueillies témoignent de la peur qu’elles ont à l’arrivée, à la première rencontre, une peur du mauvais traitement qui peu à peu cède la place à l’étonnement face à la générosité, parfois à l’abnégation, des personnes accueillantes. On comprend qu’il contraste fortement avec les représentations premières.

    Une autre asymétrie, créant une forte dépendance, repose sur le fait de posséder un #espace_intime, un #foyer. Les personnes accueillies n’en ont plus ; elles l’ont perdu. Et aucun autre ne leur est offert dans cette configuration. En étant accueilli·es, ielles ne peuvent se projeter à long terme dans un espace intime où ielles peuvent déposer leur bagage en sécurité, inviter des ami·es, offrir l’hospitalité. L’#hébergement est généralement, au moins au début, pensé comme #temporaire. Ielles n’ont pas la maîtrise de leur habitat d’une manière générale et plus particulièrement quand des heures d’entrée et de sortie de l’habitation sont fixées, quand ielles ne disposent pas des clés, quand ielles ne sont pas autorisé·es à rester seul·es.

    Enfin cette relation dissymétrique s’exprime également dans les #attentes perçues par les personnes accueillies et qui sont ressenties comme pesantes. Le récit de soi fait partie de ces attentes implicites. Les personnes accueillies parlent de peur de décevoir leurs hôtes. Ielles perçoivent l’accueil qui leur est fait comme très fragile et craignent de retourner à la rue à tout moment. Cette #précarité rend par ailleurs impossible d’évoquer des choses mal comprises ou qui ne se passent pas bien, et ainsi d’éluder des malentendus, de s’ajuster mutuellement.

    Cette asymétrie finalement dessine les contours d’une relation unilatérale de l’accueil [peut-on encore parler d’hospitalité ?]. Les personnes et les entités (les institutions qu’elles soient publiques – collectivités territoriales – ou privées – associations) qui organisent une offre d’hospitalité, ne laissant pas de place à la réciprocité. Cela signifie que cette offre produit de la #dépendance et une grande incertitude : on peut en bénéficier quand l’offre existe mais on est dépendant de son existence. Par exemple, certains dispositifs publics ont des saisonnalité ; ils ouvrent, ils ferment. De même que l’hospitalité privée peut prendre fin : les collectifs citoyens peuvent se trouver à bout de ressources et ne plus pouvoir accueillir. Ou de manière moins absolue : les règles de l’accueil, dans le cas de l’hébergement en famille, sont fixées unilatéralement par les personnes qui accueillent : les heures d’arrivée et de retour ; les conditions de la présence dans le foyer etc. Cette asymétrie nous semble renforcée dans le cas de l’hospitalité institutionnelle où l’apparition du lien personnel qui peut produire de la réciprocité par le fait de se rendre mutuellement des services par exemple, a plus de mal à trouver une place.

    On le voit, il est nécessaire d’imaginer la forme et les modalités que pourraient prendre la réciprocité dans le cadre de l’hospitalité institutionnelle où elle ne peut surgir naturellement, mais également s’assurer qu’elle trouve un espace dans les initiatives citoyennes.

    Michel Agier voit dans le #récit_de_soi, livré par les personnes accueillies, une pratique de la réciprocité. L’accueil trouvé auprès d’une famille ou d’un foyer par une personne venue chercher un refuge en Europe ce serait le don. L’histoire de son exil racontée à ses hôtes serait le contre-don. Pourtant une analyse différente peut être faite : dans ces circonstances, le récit entendu par les hôtes relève d’une injonction supplémentaire adressée aux personnes venues chercher un refuge. Qu’elle soit implicite ou ouvertement exprimée, cette injonction structure la relation de domination qu’ielles trouvent à leur arrivée. C’est pourquoi le #récit ne peut représenter cette réciprocité nécessaire à l’instauration de l’égalité.

    La place de la réciprocité et l’égalité dans les relations qui se nouent autour des actes d’hospitalité se jouent à n’en pas douter autour des représentations de personnes auxquelles ces pratiques s’adressent : les discours dominants, qu’ils soient médiatiques ou politiques, construisent les personnes venues chercher un refuge comme des #victimes. S’il serait injuste de ne pas les voir comme telles, en revanche, ce serait une #instrumentalisation de ne les voir que par ce prisme-là. Ce sont avant tout des personnes autonomes et non des victimes à assister. L’#autonomie respective des protagonistes de l’acte d’hospitalité ouvre l’espace pour la réciprocité.

    #Politisation

    Le 21 décembre 1996, au Théâtre des Amandiers de Nanterre où avait été organisée une soirée de soutien à la lutte des « sans papiers », #Jacques_Derrida s’émeut de l’invention de l’expression « #délit_d’hospitalité » et appelle à la #désobéissance_civile. Suite à l’adoption d’une loi qui prévoit un tel délit et des sanctions jusqu’à l’emprisonnement, le philosophe invite à défier le gouvernement en jugeant librement de l’hospitalité que nous voulons apporter aux personnes irrégularisées. Avec cet appel, il transforme une opposition binaire qui mettait face à face dans ce conflit l’État et des immigré·es, en un triangle avec l’intervention des citoyens. Il appelle à la politisation de l’hospitalité.

    De son côté, Anne Gotman reconnaît le sens politique de la sphère privée quand elle devient refuge. Cette politisation s’exprime également par la mutation du geste d’hospitalité initial qui est action #humanitaire et d’#urgence à la fin de l’été 2015, quand les citoyen·nes ouvrent leur maison, offrent un lit et un repas chaud. En réalité, ielles créent les conditions d’un accueil que l’État se refusent à endosser dans l’objectif de dégrader les conditions de vie des personnes venues chercher un refuge pour les décourager. L’action citoyenne est de ce point de vue une #opposition ou une #résistance. Cette #dimension_politique devient consciente quand les citoyen·nes côtoient le quotidien des personnes en recherche de refuge et découvrent le traitement administratif qu’ils et elles reçoivent. Cette découverte crée une réaction d’#indignation et pose les bases d’actes de résistance conscients, de l’ordre de la #désobéissance.

    –-

    * Ceci dit, l’association des villes et territoires accueillants, l’ANVITA, a vu récemment le nombre de ses adhérents considérablement augmenter : en novembre 2021, elle compte 52 membres-villes et 46 membres élu·es.

    –-> Intervention présentée à la semaine de l’Hospitalité, organisée entre le 13 et le 23 octobre par la métropole du Grand Lyon

    Références :

    – « Philosophie /et/ politique de la migration », Étienne Tassin, éditions Raison publique, 2017/1 n°21, p197-215

    – Le sens de l’hospitalité. Essai sur les fondements sociaux de l’accueil à l’autre, Anne Gotman, PUF 2001

    – Lettres à la Guinée-Bissau sur l’alphabétisation : une expérience en cours de réalisation, Paulo Freire, Maspero, 1978

    – Hospitalité en France : Mobilités intimes et politiques, Bibliothèque des frontières, Babels, Le passager clandestin, 2019, coordonné par Michel Agier, Marjorie Gerbier-Aublanc et Evangéline Masson Diaz

    – « Quand j’ai entendu l’expression “délit d’hospitalité”… », Jacques Derrida, Intervention retranscrite, 21/12/1996 au Théâtre des Amandiers ; http://www.gisti.org/spip.php?article3736

    https://blogs.mediapart.fr/modop/blog/221121/quelle-hospitalite-est-encore-possible-aujourd-hui

    ping @karine4 @isskein

  • Germany eases restrictions on church asylum

    Germany’s asylum office has moved away from its restrictive practice against church asylum. The introduced changes pertain to the time limits within which responsibility for an asylum seeker would move to Germany from other EU countries. The obstacles to church asylum had previously been so high that help for hardship cases was made nearly impossible.

    Germany’s Federal Office for Migration and Refugees (#BAMF) has changed course in regards to how it deals with church asylum cases, a spokesperson for BAMF confirmed on Thursday (January 14) in a reply to a request by the news agency KNA.

    According to BAMF, important changes have been applied to deadlines for transfers in so-called Dublin cases. People sheltering in church asylum now have to stick it out for only six month in order to drop out of the Dublin system. After six month, they no longer qualify to be transferred back to the EU country where they first had claimed asylum.

    With the time limit being shortened, the odds of an asylum seeker getting deported are effectively much lower, as the other EU country in such cases will no longer be responsible for people in church asylum after six month, in accordance with the Dublin Regulation
    EU regulation that lays down the criteria and mechanisms for determining the EU member state responsible for examining an application for international protection lodged in one of the member states by a third-country national or a stateless person. Many asylum seekers are so-called Dublin cases, meaning they first entered the EU in a country other than their current one and will likely be transferred back there since that country is responsible.
    .

    In other words: asylum seekers can now stay in Germany after spending six months in church asylum.

    Germany’s “Ökumenische Bundesarbeitsgemeinschaft Asyl in der Kirche” ("federal ecumenical work group for asylum in the church") welcomed the BAMF decision in an online statement and on Twitter.
    Important changes

    In 2018, the conference of Germany’s interior ministers had extended this period from 6 to 18 months, which rendered providing church asylum all but impossible.

    After the extension, the chances of migrants in church asylum receiving protection against deportation had dropped to nearly zero. In 2019, German authorities stopped such deportations on humanitarian grounds in fewer than 2% of cases.
    Court ruling against extension

    The German state interior ministers in 2018 decided to enact an extension from 6 to 18 months to make it more difficult for people in church asylum to simply sit out those deadlines.

    The basis for the extension was a provision of the Dublin Regulation that allowed an extension of the standard time limit if the asylum seeker is deemed “flüchtig” ("on the run").

    However, Germany’s highest court in June last year ruled that this interpretation was against the law. The ruling argued that people who enjoyed church asylum could not be regarded as “flüchtig” as they were not on the run, and their whereabouts were known to the authorities.

    As part of an agreement between the churches and German authorities dating back to 2015, churches have to inform authorities about cases of church asylum and the exact whereabouts of the accommodated person.

    https://www.youtube.com/watch?v=g2ArdgLTMok&feature=emb_logo

    ’Overdue step’

    The BAMF spokesperson said, however, that according to the law, people in church asylum would have to abandon that status if authorities decided that there was no special, individual case of hardship that needed to be evaluated.

    “Ökumenische Bundesarbeitsgemeinschaft Asyl in der Kirche” had called for the implementation of the change since said last year’s court ruling. Chairperson Dietlind Jochims, a woman minister in Hamburg, called it an “overdue step.”

    Strain on churches

    The one-sided extension of the deadline for Dublin cases in church asylum had put a strain on parishes, monasteries and religious orders.

    Jochims said she hoped for a “return to a solutions-oriented communication on humanitarian hardship cases.” She also called for taking back already granted extensions of deadlines in existing church asylum cases.

    According to its own information, BAMF received 355 church asylum notifications for 406 persons last year. The highest number of church asylum cases were reported in 2016, when more than 1,000 people, whose official asylum requests had earlier been rejected, sought refuge in German parishes.

    https://www.infomigrants.net/en/post/29675/germany-eases-restrictions-on-church-asylum

    #asile #migrations #réfugiés #Eglises #Eglise #Kirchenasyl
    #religion #Dublin #renvois #expulsions #asile_temporaire #temporaire #tolérance #18_mois

    ping @karine4 @isskein @_kg_

  • La Ville monde

    Mars 2016, faisant face à l’arrivée massive de réfugiés dans sa ville, Grande-Synthe, le Maire crée le premier camp UNHCR de France. Idéaliste et déterminé, l’architecte qui a conseillé à sa conception essaye de convaincre les acteurs de projeter ce lieu comme un quartier, mais sa pensée se cogne sans cesse à la réalité du terrain. De l’emménagement du camp à sa destruction, le réalisateur suit l’expérience dans toute sa complexité, ses espoirs, ses impasses, témoignant du rêve des uns devenu cauchemar des autres.

    http://www.film-documentaire.fr/4DACTION/w_fiche_film/53160

    #film #film_documentaire
    #migrations #asile #réfugiés #camp #campement #Grande-Synthe #Damien_Carême #camp_de_la_Linière #Cyrill_Hanappe #architecture #Utopia_56 #impensé #temporaire #urbanité #espace_public #ordre_républicain #France #dignité #sécurité #risques #drapeau #transit #identification #Afeji #urgence_humanitaire #Calais #jungle #bidonville #CAO #passeurs #ville_accueillante #quartiers_d'accueil #police #participation #incendie

    –----

    1’32’15 : Maire de Mythilène (Grèce)

    « Mon très cher maire, toutes les municipalités ont besoin de joindre leurs forces, et grâce à de petites constructions, elles pourront supporter cette charge, qui peut être modeste, et si nous travaillons tous ensemble, elle peut même devenir bénéfique pour nos petites communes »

  • La député LREM #Frédérique_Meunier a déposé une proposition de #loi le 19 MAI 2020...

    "PROPOSITION DE LOI VISANT À INSTAURER L’ENSEIGNEMENT NUMÉRIQUE DISTANCIEL DANS LES LYCÉES, COLLÈGES ET ÉCOLES ÉLÉMENTAIRES".

    Cette proposition de loi a un seul article qui introduit le mot
    « obligatoirement » au deuxième alinéa de l’article L 131-2 du code de
    l’éducation."

    Et regardez ce deuxième alinéa de l’article L 131-2 :

    Article L131-2 (Modifié par Loi n°2005-380 du 23 avril 2005 - art. 11
    JORF 24 avril 2005) - voir : https://www.ac-amiens.fr/dsden02/sites/dsden02/IMG/pdf/code_de_l_education_1_.pdf
    – L’instruction obligatoire peut être donnée soit dans les
    établissements ou écoles publics ou privés, soit dans les familles par
    les parents, ou l’un d’entre eux, ou toute personne de leur choix.
    – Un service public de l’enseignement à
    distance est « OBLIGATOIREMENT » organisé notamment pour assurer
    l’instruction des enfants qui ne peuvent être scolarisés dans une
    école ou dans un établissement scolaire.

    Ce qui était concevable uniquement en volontariat deviendra probablement obligatoire pour les enseignants...

    Or, avant cette loi :

    le décret portant sur le télétravail dans la fonction publique a été modifié le 5 mai 2020. Comme le souligne l’analyse d’Académia, il faudrait une loi pour changer la nécessité du #volontariat pour mettre les #personnels de la #fonction_publique en #télétravail. Cela n’a donc pas été modifié dans le décret du 5 mai 2020 amendant celui du 11 février 2016. Mais ledit décret prévoit désormais que lorsque le travailleur demande à télétravailler, « l’administration peut autoriser l’utilisation de l’équipement informatique personnel de l’agent ». Et soudain, tout s’éclaire. Nous rendre la vie impossible sur note lieu de travail à l’aide de mesures sanitaires si drastique qu’elles sont intenables en présentiel, c’est nous pousser à demander à télétravailler et à faire du distanciel, sans que les universités n’aient à débourser le moindre rond pour les coûts (matériel, communication, etc.) découlant de l’exercice de nos fonctions…

    #le_monde_d'après #ESR #école #enseignement #enseignement_à_distance #distanciel #France #obligatoire #travail

    Copié-collé de messages reçus via la mailing-list Facs et Labos en lutte.

    • Faudra-t-il transformer les universités en supermarchés pour y revoir les étudiants ?

      Alors que se prépare déjà une rentrée de septembre où l’enseignement à distance risque d’avoir une grande part, il est important d’exprimer que le tout-numérique est inacceptable.

      La scène est devenue banale : un appel est lancé, une tête apparaît dans une fenêtre, puis d’autres suivent. Soudain, un enseignant, fébrile, dans une pièce tant bien que mal isolée des autres occupants du domicile, s’essaie à dispenser ce que l’on appelait autrefois un cours. C’est ainsi que, dans un silence d’outre-tombe numérique, ce personnage malhabile s’emploie à singer quelques-uns des artifices pédagogiques d’antan : humour, interpellations ou art de la rhétorique. Sauf que cette fois-ci, rien. Le silence et l’écho de sa seule voix résonnent en guise de réponse à ce qui permettait jadis de capter l’attention et de partager des idées. Désormais, l’enseignant numérique fait cours, mais sans vraiment savoir à qui il s’adresse. Cet enseignant se rassure toutefois en se disant qu’en ces temps de crise, lui aussi est au « front » et qu’il n’est pas question d’abandonner ses étudiants. Pourtant il ressent une grande frustration et un sentiment de faire autre chose que ce pour quoi il avait choisi d’embrasser ce métier.

      La crise sanitaire que nous traversons a surpris par sa soudaineté en bouleversant profondément nos quotidiens. L’enseignement supérieur n’est pas en reste de ce choc. Face à la crise, l’injonction à la continuité pédagogique fut immédiate, et bon nombre de collègues se sont employés avec zèle à maintenir un semblant de normalité. Les outils d’enseignement à distance ont alors déferlé, chacun y allant de son nouveau logiciel à installer, si bien que les PC sont rapidement devenus de véritables démonstrateurs pour enseignants virtuels. Pourtant, alors que la crise se tasse, et que nous commençons à disposer de données sur l’incidence mineure de ce virus sur les moins de 50 ans, nous observons que certains semblent prendre goût à ce climat de crise.
      Deux métiers différents

      Tandis que nous ignorons beaucoup de choses sur le devenir de cette épidémie, nous voyons un nombre conséquent de responsables de l’enseignement supérieur pratiquer le zèle dans leurs anticipations, prévoyant dès le mois de mai la dégradation sine die de nos conditions d’enseignement. C’est ainsi que, sous ces injonctions anxiogènes, nous sommes priés d’imaginer une rentrée de septembre autour de scénarios invraisemblables : des étudiants ayant cours une semaine sur deux, des cours en ligne (sans consentement des enseignants, donc ?) ou encore de réduire la vie étudiante à néant.

      S’il est compréhensible de parer à tous les scénarios, pérorer ex cathedra sur ce que « sera » la rentrée de septembre dès mai trahit l’inavouable : certains profitent de cette crise pour avancer leur propre agenda. Ne nous y trompons pas : l’expérience de l’enseignement à distance pour tous est globalement un fiasco. S’il est d’ordinaire un complément utile de l’enseignement en présentiel, sa substitution intégrale en montre toutes ses limites.

      D’abord, nous constatons qu’enseigner à distance n’est pas qu’une transposition de l’enseignement physique face caméra. Il s’agit de compétences tout à fait différentes et donc de deux métiers différents. Transmettre est un acte complexe, dans lequel l’enseignant fait appel aux sens, à l’émotion et à différentes techniques pédagogiques. De plus, les étudiants ne sont pas tous égaux face au numérique et à l’apprentissage !

      La difficulté majeure de cette forme d’enseignement reste l’absence d’implication émotionnelle entre l’étudiant et l’enseignant. C’est une des raisons pour lesquelles l’apprentissage par Mooc [« Massive Open Online Course », cours en ligne ouverts à tous, ndlr] est un échec à former en masse : au mieux, seuls 10% des Mooc sont terminés par les personnes inscrites, alors même qu’elles sont volontaires !
      Injonctions pressantes

      Ensuite, nous pouvons questionner ce que cette évolution, que certains voudraient voir durable, dit de la vision divergente autour de notre profession. Pour ceux qui, ayant adopté goulûment la novlangue pédagogique et ses approches « par compétence », considèrent que l’enseignement à l’université doit être exclusivement une formation opérationnelle utilitariste, le cours en ligne est une aubaine pour alléger la charge (budgétaire ?) de l’enseignement présentiel. Mais cette fascination pour le virtuel conduit aussi à une négation de ce qu’est la vie étudiante, faite d’interaction en cours, certes, mais aussi d’amitiés et d’expériences structurantes à un âge où se bâtit la vie d’adulte. Là encore, le numérique n’est qu’un pis-aller.

      Certains collègues se veulent rassurants et expliquent que tout ceci n’est que passager. On voudrait les croire et imaginer qu’après avoir investi des millions d’euros dans des logiciels, des plateformes et des équipements numériques, les universités les remisent ensuite aux côtés des stocks de masques d’Etat pour la prochaine crise. Pourtant, un doute peut nous saisir en lisant certaines injonctions pressantes à nous « transformer ». N’oublions pas qu’en France, le temporaire en temps de crise a souvent des airs de pérennité. Qui se rappelle encore que l’impôt sur le revenu a été créé initialement pour financer la Première Guerre mondiale ? Cent ans après, l’impôt persiste. Faut-il en déduire que la guerre a été plus longue que prévu ?

      Cette tribune n’aura probablement aucune incidence sur le cours des choses, et chaque collègue prend place dans le camp des fatalistes ou des optimistes. Néanmoins, il est important d’exprimer que le tout-numérique est inacceptable. Faudra-t-il que nous déguisions nos universités en églises pour pouvoir y bénéficier de la liberté de culte et ainsi les rouvrir ? Ou bien faudra-t-il y installer des supermarchés pour que les étudiants puissent y reprendre leur place ? L’absurdité et l’asymétrie des règles de reprise d’activité masquent mal le sacrifice générationnel qui est programmé contre la jeunesse qui va affronter le chômage, après avoir été privée de ses études.

      Nos étudiants méritent notre indignation publique. Si elle ne suffit pas et que nous refusons d’être complices du naufrage numérique, il faudra alors songer à quitter le navire pour aider cette génération sacrifiée autrement.

      https://www.liberation.fr/debats/2020/05/29/faudra-t-il-transformer-les-universites-en-supermarches-pour-y-revoir-les
      #temporaire #pérennité #tout-numérique #émotions #enseignement #MOOC #métier #normalité #transmission_du_savoir #implication_émotionnelle #vie_étudiante #indignation #génération_sacrifiée

    • Le gouvernement reporte la responsabilité politique de l’abandon du présentiel sur les universités, à grands coups de circulaires particulièrement suggestives mais qui n’imposent rien, voir

      https://services.dgesip.fr/T712/S780/fiches_pratiques_et_informations

      Voir en particulier fiche 10 :
      https://services.dgesip.fr/fichiers/Fiche_10_-_Hybrider_la_formation_dans_un_contexte_restreint.pdf
      et fiche 6 :
      https://services.dgesip.fr/fichiers/Fiche_6_-_Evaluer_et_surveiller_a_distance.pdf

      Message reçu via la mailing-list Facs et Labos en lutte, le 02.06.2020.

      Avec ce commentaire supplémentaire :

      Pour Rennes 1, nous avons reçu le document en pj, qui nous réclame aussi comme en Franche Comté du 20% de présentiel 80% de distanciel, pour pouvoir tout désinfecter, ce qui n’est écrit nulle part dans les fiches de la DGESIP.

      Dans mon UFR, je me retrouve à réclamer d’enseigner le samedi pour pouvoir ne pas enseigner à distance.

      La question des horaires est délicate. Si les conditions politico-sanitaires imposent des salles peu remplies, les amphis vont être une denrée rare, et je préfèrerais, je dois dire, faire cours le samedi (en me libérant un autre jour) plutôt que de reprendre le cirque du téléenseignement.

      Et ce qui est dingue, c’est la sidération collective qui est la nôtre, là où il faudrait, partout, réclamer des moyens humains pour dédoubler les groupes.

      –-> La pièce-jointe dont elle parle est la « PROPOSITION DE LOI VISANT À INSTAURER L’ENSEIGNEMENT NUMÉRIQUE DISTANCIEL DANS LES LYCÉES, COLLÈGES ET ÉCOLES ÉLÉMENTAIRES » (voir ci-dessus) où elle a surligné ce passage :

  • Like after #9/11, governments could use coronavirus to permanently roll back our civil liberties

    The ’emergency’ laws brought in after terrorism in 2001 reshaped the world — and there’s evidence that it could happen again.

    With over a million confirmed cases and a death toll quickly approaching 100,000, Covid-19 is the worst pandemic in modern history by many orders of magnitude. That governments were unprepared to deal with a global pandemic is at this point obvious. What is worse is that the establishment of effective testing and containment policies at the onset of the outbreak could have mitigated the spread of the virus. Because those in charge failed to bring in any of these strategies, we are now seeing a worrying trend: policies that trample on human rights and civil liberties with no clear benefit to our health or safety.

    Broad and undefined emergency powers are already being invoked — in both democracies and dictatorships. Hungary’s Prime Minister Viktor Orban was granted sweeping new powers to combat the pandemic that are unlimited in scope and effectively turn Hungary’s democracy into a dictatorship. China, Thailand, Egypt, Iran and other countries continue to arrest or expel anyone who criticizes those states’ response to coronavirus.

    The US Department of Justice is considering charging anyone who intentionally spreads the virus under federal terrorism laws for spreading a “biological agent”. Israel is tapping into previously undisclosed smartphone data, gathered for counterterrorism efforts, to combat the pandemic. States in Europe, anticipating that measures against Covid-19 will violate their obligations under pan-European human rights treaties, are filing official notices of derogation.

    A chilling example of the effects of emergency powers on privacy rights and civil liberties happened during the aftermath of the September 11, 2001 attacks and the resulting “war on terror”, in which successive US presidents pushed the limits of executive power. As part of an effort to protect Americans from security threats abroad, US government officials justified the use of torture in interrogation, broad state surveillance tactics and unconstitutional military strikes, without the oversight of Congress. While the more controversial parts of those programs were eventually dismantled, some remain in place, with no clear end date or target.

    Those measures — passed under the guise of emergency — reshaped the world, with lasting impacts on how we communicate and the privacy we expect, as well as curbs on the freedoms of certain groups of people. The post-September 11 response has had far-reaching consequences for our politics by emboldening a cohort of populist leaders across the globe, who ride to election victories by playing to nationalist and xenophobic sentiments and warning their populations of the perils brought by outsiders. Covid-19 provides yet another emergency situation in which a climate of fear can lead to suspension of freedoms with little scrutiny — but this time we should heed the lessons of the past.

    First, any restriction on rights should have a clear sunset clause, providing that the restriction is only a temporary measure to combat the virus, and not indefinite. For example, the move to grant Hungary’s Viktor Orban sweeping powers has no end date — thus raising concerns about the purpose of such measures when Hungary is currently less affected than other regions of the world and in light of Orban’s general penchant for authoritarianism.

    Second, measures to combat the virus should be proportional to the aim and narrowly tailored to reach that outcome. In the case of the US Department of Justice debate as to whether federal terrorism laws can be applied to those who intentionally spread the virus, while that could act as a potent tool for charging those who actually seek to weaponize the virus as a biological agent, there is the potential for misapplication to lower-level offenders who cough in the wrong direction or bluff about their coronavirus-positive status. The application of laws should be carefully defined so that prosecutors do not extend the boundaries of these charges in a way that over-criminalizes.

    Third, countries should stop arresting and silencing whistleblowers and critics of a government’s Covid-19 response. Not only does this infringe on freedom of expression and the public’s right to know what their governments are doing to combat the virus, it is also unhelpful from a public health perspective. Prisons, jails and places of detention around the world are already overcrowded, unsanitary and at risk of being “superspreaders” of the virus — there is no need to add to an at-risk carceral population, particularly for non-violent offenses.

    Fourth, the collectors of big data should be more open and transparent with users whose data is being collected. Proposals about sharing a person’s coronavirus status with those around them with the aid of smartphone data should bring into clear focus, for everyone, just what privacy issues are at stake with big tech’s data collection practices.

    And finally, a plan of action should be put in place for how to move to an online voting system for the US elections in November 2020, and in other critical election spots around the world. Bolivia already had to delay its elections, which were key to repairing its democracy in a transitional period following former President Evo Morales’s departure, due to a mandatory quarantine to slow the spread of Covid-19. Other countries, including the US, should take note and not find themselves flat-footed on election day.

    A lack of preparedness is what led to the current scale of this global crisis — our rights and democracies should not suffer as a result.

    https://www.independent.co.uk/voices/911-coronavirus-death-toll-us-trump-government-civil-liberties-a94586

    #le_monde_d'après #stratégie_du_choc #11_septembre #coronavirus #covid-19 #pandémie #liberté #droits_humains #urgence #autoritarisme #terrorisme #privacy #temporaire #Hongrie #proportionnalité #liberté_d'expression #surveillance #big-data #données

    ping @etraces

  • Le #camp de #Nea_Kavala en #Grèce

    Dans l’Union européenne, certains camps pour personnes étrangères sont dits « ouverts » : les habitants sont libres d’y rester ou non, en attendant une réponse à leur demande d’asile – dans les faits, ils n’ont pas vraiment le droit ni les moyens de s’installer ailleurs.

    Le 28 février 2016, la création de ce camp intervient dans un contexte de #fermetures_des_frontières dans les #Balkans, et du besoin de répartir les habitants du camp d’#Idomeni. 3520 personnes sont alors transférées vers des tentes disposées sur le tarmac de l’aéroport militaire « Asimakopoulou »[1], pour une capacité d’accueil estimée à 2500 personnes. Sur le bitume, les personnes sont exposées aux vents et aux températures parfois extrêmes. Elles attendront le mois de novembre pour que des containers soient mis en place.

    Quatre ans plus tard, le camp est toujours là. L’Organisation Internationale pour les Migrations (OIM) considère Nea Kavala comme une « installation d’accueil de long terme » ; et y transfère notamment des réfugiés depuis le camp de Moria à Lesbos[2].

    Les habitants ont eu le temps de réaliser des « travaux d’agrandissement » sur certains containers (© Louis Fernier)

    La vie s’est organisée à la marge de la société grecque. Des personnes migrantes sont isolées, bloquées dans un lieu initialement prévu pour que des avions décollent et atterrissent. Sur le tarmac, les préfabriqués ont été installés « de façon à contenir les effets des rafales de vent » ; les personnes « accueillies » partagent des sanitaires extérieurs l’été comme l’hiver, et une unique source d’eau potable située à l’entrée du camp. Si elles le souhaitent, elles sont toutefois libres de marcher 5 KM le long d’une voie rapide pour atteindre la première pharmacie. Sur place, nos observations nous ont permis de réaliser la carte ci-après :

    Ce croquis illustre comment la vie prend forme dans un tel environnement. Les ressources et acteurs clés se situent presque exclusivement à l’entrée, dans le nord du camp.

    L’Etat grec a délégué la majeure partie des tâches de coordination au Danish Refugee Council. Les ministères de l’éducation et de la santé restent toutefois censés accomplir leurs missions respectives. Hélas, la majorité des enfants ne sont scolarisés que la moitié de la semaine, et le médecin du camp n’est présent que 15 heures par semaine. Deux associations non-gouvernementales, « Drop in the Ocean » et We Are Here », sont présentes au quotidien pour soutenir les personnes encampées. C’est au sein de We Are Here que nous effectuons une enquête de terrain depuis deux mois. Composée uniquement de bénévoles, cette association gère un espace social, organise des cours d’Anglais et de musique, et des activités pour les plus jeunes. Elle tient aussi un centre d’informations et un espace réservé aux femmes. Au quotidien, elle s’active dans un univers interculturel, comme le montre la diversité des nationalités présentes depuis 2016, et la nécessité de s’adapter en continue.

    Être bénévole à We Are Here, c’est aussi travailler dans un milieu en perpétuel mouvement : la population connait des fluctuations parfois très soudaines.

    Si la population n’a plus dépassé la capacité du camp depuis sa création, elle a connu certains pics – à la fin de l’été 2019 notamment. Les conditions de vie paraissaient alors peu dignes pour un « site d’accueil de long terme ». Une personne réfugiée témoignait le 02 septembre 2019 :

    “Nea Kavala Camp is one of hell’s chosen spots in Greece. And to think that this government sees it as a suitable place for vulnerable refugees shows to me how much it must hate us. Nobody should be expected to stay there.”

    Depuis le 12 mars 2020, les mesures de protection face au Covid-19 ont entraîné l’arrêt des activités de We Are Here ; cependant, nous sommes toujours en observation depuis le village voisin, en contact avec les habitants du camp. Et la crise sanitaire n’a pas freiné les travaux d’aménagement de Nea Kavala, en prévision de l’accueil de 1000 personnes transférées depuis l’île de Lesbos.

    A l’intérieur de ces tentes, les familles sont aujourd’hui réparties par petites salles. Un habitant nous rapporte que « l’on y entend les voisins, c’est très serré. Il y a une table, quatre chaises et quatre lits pour toute une famille ».

    Nea Kavala compte 372 arrivées depuis la fin du mois de février, dans le contexte actuel de pandémie mondiale. Le Danish Refugee Council estime que 700 nouvelles personnes arriveront encore d’ici l’été. Les locaux de We Are Here et de Drop in the Ocean ont été demandés pour organiser de potentielles mises en quarantaine. En attendant d’y retourner, nous espérons que le virus épargnera le camp ; et que l’ennui, l’isolement et les conditions d’accueil ainsi décrites n’entraineront pas de tensions. Nous retenons notre souffle.

    https://mi.hypotheses.org/2122
    #transferts #migrerrance #immobilité #Grèce_continentale #frontières #Thessalonique #Polykastro #Asimakopoulou #OIM #IOM #temporaire #isolement #marginalité #marges #aéroport #tarmac #préfabriqués #croquis #cartographie #visualisation #Danish_Refugee_Council #déscolarisation #accès_aux_soins #Drop_in_the_Ocean #We_are_here

  • Des trajectoires immobilisées : #protection et #criminalisation des migrations au #Niger

    Le 6 janvier dernier, un camp du Haut-Commissariat des Nations Unies pour les Réfugiés (HCR) situé à une quinzaine de kilomètres de la ville nigérienne d’Agadez est incendié. À partir d’une brève présentation des mobilités régionales, l’article revient sur les contraintes et les tentatives de blocage des trajectoires migratoires dans ce pays saharo-sahélien. Depuis 2015, les projets européens se multiplient afin de lutter contre « les causes profondes de la migration irrégulière ». La Belgique est un des contributeurs du Fonds fiduciaire d’urgence de l’Union européenne pour l’Afrique (FFUE) et l’agence #Enabel met en place des projets visant la #stabilisation des communautés au Niger

    http://www.liguedh.be/wp-content/uploads/2020/04/Chronique_LDH_190_voies-sures-et-legales.pdf
    #immobilité #asile #migrations #réfugiés #Agadez #migrations #asile #réfugiés #root_causes #causes_profondes #Fonds_fiduciaire #mécanisme_de_transit_d’urgence #Fonds_fiduciaire_d’urgence_pour_l’Afrique #transit_d'urgence #OIM #temporaire #réinstallation #accueil_temporaire #Libye #IOM #expulsions_sud-sud #UE #EU #Union_européenne #mise_à_l'abri #évacuation #Italie #pays_de_transit #transit #mixed_migrations #migrations_mixtes #Convention_des_Nations_Unies_contre_la_criminalité_transnationale_organisée #fermeture_des_frontières #criminalisation #militarisation_des_frontières #France #Belgique #Espagne #passeurs #catégorisation #catégories #frontières #HCR #appel_d'air #incendie #trafic_illicite_de_migrants #trafiquants

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    Sur l’incendie de janvier 2020, voir :
    https://seenthis.net/messages/816450

    ping @karine4 @isskein :
    Cette doctorante et membre de Migreurop, Alizée Dauchy, a réussi un super défi : résumé en 3 pages la situation dans laquelle se trouve le Niger...

    –---

    Pour @sinehebdo, un nouveau mot : l’#exodant
    –-> #vocabulaire #terminologie #mots

    Les origine de ce terme :

    Sur l’origine et l’emploi du terme « exodant » au Niger, voir Bernus (1999), Bonkano et Boubakar (1996), Boyer (2005a). Les termes #passagers, #rakab (de la racine arabe rakib désignant « ceux qui prennent un moyen de trans-port »), et #yan_tafia (« ceux qui partent » en haoussa) sont également utilisés.

    https://www.reseau-terra.eu/IMG/pdf/mts.pdf

  • Denmark’s government changes policy on UN quota refugees with new bill

    That means the application of the government’s view that the status of refugees should always be considered as temporary, and that their status should be revoked as soon as conditions in origin countries are deemed to enable this.

    https://www.thelocal.dk/20190130/denmarks-government-changes-policy-on-un-quota-refugees-with-new-bill

    #Danemark #réfugiés #asile #migrations #quota #statut_de_réfugié #temporaire #précarisation #pays_sûr #révocation #renvois #it_has_begun
    via @isskein

  • #8 / Habiter le temporaire et la contrainte : le Centre d’Accueil Provisoire de la Jungle de #Calais

    Depuis 1999, face à Douvres en Angleterre, l’histoire se répète inlassablement. Avec une courbe démographique en dents de scie, les migrant.e.s échouent dans le Calaisis. Mais si l’histoire bégaie, les chiffres témoignent depuis 2014 d’une nouvelle ère de migration de masse1 , se traduisant notamment par l’ouverture en 2015 du centre Jules Ferry, un centre d’accueil de jour pour les migrant.e.s. En août de cette même année, alors que près de 3 500 migrant.e.s étaient installés autour de ce centre, les pouvoirs publics annonçaient la mise en place d’un dispositif d’hébergement de nuit : « Notre objectif est sécuritaire et que plus aucun migrant ne doit dormir sur la lande, qui n’est ni un lieu d’hébergement, ni un projet de vie. On est dans un dispositif de mise à l’abri provisoire ». Voilà ce que déclarait la préfète du Pas-de-Calais quatre mois plus tard, lors de l’ouverture du camp de conteneurs pouvant accueillir 1 500 migrant.e.s au cœur de la « #New_Jungle ». Ce dispositif est appelé #Centre_d’Accueil_Provisoire (#CAP) où, comme son nom l’indique, tout semble avoir été pensé pour que les séjours y soient éphémères.


    http://www.revue-urbanites.fr/8-habiter-le-temporaire-et-la-contrainte-le-centre-daccueil-provisoi
    #durée #temporaire #éphémère #sécurité #surveillance #logement #hébergement #interdictions #architecture #cartographie #visualisation #campement #camp
    cc @reka

  • Mal-logement : un concours d’architecture pour concevoir des habitations temporaires, éco-pensées et économes - Localtis.info un service Caisse des Dépôts
    http://www.localtis.info/cs/ContentServer?pagename=Localtis/LOCActu/ArticleActualite&jid=1250268856290&cid=1250268781591
    Il s’agit donc bien d’institutionnaliser le #temporaire et la #précarité alors que nous manquant précisément de #logements pérennes !

    Les solutions proposées devront être « économiques et industrialisables ». Les modules qui vont constituer ces logements devront pouvoir être déplacés afin d’être réinstallés sur d’autres terrains ou pouvoir être reconfigurés pour répondre aux différentes typologies familiales. Les organisateurs du concours tiennent à ce que « la conception de ce dispositif repose sur l’utilisation majoritaire du bois et de ses dérivés ».

    #logement