• La collaborazione tra l’Università di Bologna e il complesso militare industriale israeliano

    Un gruppo di docenti dell’ateneo ha lanciato una petizione online (https://docs.google.com/forms/d/e/1FAIpQLSfSq4-0GGl6r8CGHuLaXohv4LNbVeUE3FW4AvAEbFp7AWkMcw/viewform?pli=1) in cui chiede di sospendere immediatamente i progetti di ricerca e collaborazione con il gruppo #Thales e l’istituto israeliano #Technion. Avrebbero “forti e dirette connessioni con la violazione dei diritti umani dei palestinesi a Gaza e nei crimini descritti dalla Corte internazionale di giustizia”

    Un gruppo di docenti dell’Università di Bologna ha lanciato una petizione online in cui chiede all’ateneo più antico del mondo di sospendere immediatamente i progetti di ricerca e collaborazione con il gruppo Thales e l’istituto israeliano Technion, in quanto avrebbero “forti e dirette connessioni con la violazione dei diritti umani dei palestinesi a Gaza e nei crimini descritti dalla Corte internazionale di giustizia”. Ovvero l’ipotesi di condotta genocidiaria, avanzata dal Sudafrica contro Israele, attualmente sotto la lente del più alto Tribunale delle Nazioni Unite.

    Finora sono circa 300 i docenti, i ricercatori e il personale tecnico amministrativo che hanno firmato la petizione: si aspettano che l’ateneo bolognese si faccia realmente “portavoce degli ideali di pace e di giustizia nella Conferenza dei rettori delle università italiane (Crui)”, dando seguito e concretezza all’impegno preso di “discutere il tema del coinvolgimento delle università italiane nei territori palestinesi occupati, nei contesti di guerra e, più genericamente, nella filiera bellica”.

    È con queste parole, infatti, che il Senato accademico dell’Università di Bologna, il 21 maggio scorso, si è espresso, approvando una mozione sulla guerra a Gaza, presentata dai rappresentanti della componente studentesca.

    “La petizione arriva a seguito dei risultati dell’interrogazione sulla due diligence del marzo scorso -spiega Pierluigi Musarò, Professore di Sociologia dei processi culturali e comunicativi dell’Unibo- e risponde agli obblighi previsti dal diritto umanitario internazionale, cioè evitare qualsiasi complicità con soggetti responsabili delle violazioni dei diritti umani, in questo caso della popolazione palestinese”.

    Il 19 marzo, infatti, un gruppo formato da rappresentanze studentesche, docenti e personale amministrativo ha chiesto formalmente alla governance di ateneo di rendere pubblico lo stato delle proprie collaborazioni e delle partnership con realtà militari industriali, in particolare in relazione alla condotta di Israele a Gaza dall’ottobre 2023.

    Ne è risultata una dettagliata disamina dello stato della cooperazione scientifico-tecnica portata avanti da diverse strutture dell’ateneo con istituti universitari israeliani e con alcune aziende che i docenti definiscono “altamente problematiche, poiché direttamente connesse con i crimini di guerra che l’esercito e lo Stato israeliano stanno commettendo nella Striscia di Gaza”.

    Tra queste, ci sarebbero il gruppo Thales e il centro di ricerca israeliano Technion. Il primo, si legge nella petizione, è controllato dal governo francese e partecipato dall’impresa bellica Dassault: è l’undicesimo produttore di armi globale, il quarto in Europa, con proventi legati alla vendita di armi per circa otto miliardi di euro nel 2023. Opera nel settore delle tecnologie aerospaziali, in quelle di difesa e sicurezza (radar e sonar; sensori di target aerei; sistemi di comunicazione radio tattica; sistemi di comando e controllo; veicoli blindati; sistemi navali; missili e droni) e nelle tecnologie di identificazione biometrica e di identità digitale.

    “Con la compagnia israeliana Elbit System -scrivono i docenti- Thales produce il killer drone Hermes 450, utilizzato dall’esercito israeliano contro la popolazione civile e responsabile della strage dei sette volontari dell’Ong World Kitchen, avvenuta a Gaza il 3 Aprile 2024”. O ancora: “la partnership Thales-Elbit System, tramite la sussidiaria Uav tactical system, produce l’ultima generazione di droni-killer Orbiter, utilizzati dall’esercito israeliano in Cisgiordania sin dal 2008 e ora a Gaza”.

    Technion, invece, è l’istituto israeliano di tecnologia e “da decenni un centro di ricerca scientifica e tecnologica inscindibilmente legato all’apparato militare israeliano e all’occupazione dei territori palestinesi”. Oltre che “un’istituzione cruciale per lo sviluppo delle tecnologie utilizzate dall’esercito israeliano contro i palestinesi in azioni regolari e diffuse di sorveglianza, furto di terreni, sfratti ingiustificati, restrizioni alla libertà di movimento e repressione violenta”.

    Technion è coinvolto anche nello sviluppo per la tecnologia dei droni -si legge ancora- come lo Stealth, che può volare fino a 1.850 miglia e sganciare bombe da 500 chilogrammi tramite controllo remoto.

    Il documento passa in rassegna numerosi prodotti e soprattutto le relazioni tra le due aziende in questione con altre società del settore bellico israeliane e di altri paesi come Francia e Gran Bretagna. Il tutto rapportato al conflitto in corso e alle precedenti offensive nella Striscia di Gaza, per le quali, si ricorda, il Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite e altre organizzazioni internazionali hanno accusato Israele di crimini di guerra.

    Alla luce di tutto questo, ribadiscono i docenti, “si profila la necessità di un maggiore livello di attenzione da parte dell’ateneo, circa le implicazioni etiche delle proprie partnership, al fine di evitare qualsiasi possibilità di complicità con enti e aziende coinvolte nella violazione dei diritti umani della popolazione palestinese e nella potenziale condotta genocidiaria dello Stato di Israele”.

    Si chiede pertanto che l’ateneo si impegni a “sospendere tutte le collaborazioni con soggetti commerciali, industriali e di ricerca, legati all’industria bellica israeliana, a partire, con esito immediato, dal gruppo Thales e dall’istituto Technion”. Di non rinnovare accordi con università israeliane che risultano “complici nella violazione dei diritti umani dei palestinesi, fino a quando il governo israeliano non rispetterà il diritto internazionale”. E infine, di creare un vero e proprio “Osservatorio etico, per il monitoraggio e la valutazione sistematica e continuativa nel tempo di tutte le relazioni che l’ateneo intrattiene con imprese che fanno parte del complesso militare/industriale/energetico, nel campo della ricerca o nella normale gestione operativa e nei rapporti istituzionali, indipendentemente dagli Stati coinvolti”.

    https://altreconomia.it/la-collaborazione-tra-luniversita-di-bologna-e-il-complesso-militare-in

    #résistance #Bologne #université_de_Bologne #Palestine #Israël #complexe_militaro-industriel #collaborations

  • Border security with drones and databases

    The EU’s borders are increasingly militarised, with hundreds of millions of euros paid to state agencies and military, security and IT companies for surveillance, patrols and apprehension and detention. This process has massive human cost, and politicians are planning to intensify it.

    Europe is ringed by steel fences topped by barbed wire; patrolled by border agents equipped with thermal vision systems, heartbeat detectors, guns and batons; and watched from the skies by drones, helicopters and planes. Anyone who enters is supposed to have their fingerprints and photograph taken for inclusion in an enormous biometric database. Constant additions to this technological arsenal are under development, backed by generous amounts of public funding. Three decades after the fall of the Berlin Wall, there are more walls than ever at Europe’s borders,[1] and those borders stretch ever further in and out of its territory. This situation is the result of long-term political and corporate efforts to toughen up border surveillance and controls.

    The implications for those travelling to the EU depend on whether they belong to the majority entering in a “regular” manner, with the necessary paperwork and permissions, or are unable to obtain that paperwork, and cross borders irregularly. Those with permission must hand over increasing amounts of personal data. The increasing automation of borders is reliant on the collection of sensitive personal data and the use of algorithms, machine learning and other forms of so-called artificial intelligence to determine whether or not an individual poses a threat.

    Those without permission to enter the EU – a category that includes almost any refugee, with the notable exception of those who hold a Ukrainian passport – are faced with technology, personnel and policies designed to make journeys increasingly difficult, and thus increasingly dangerous. The reliance on smugglers is a result of the insistence on keeping people in need out at any cost – and the cost is substantial. Thousands of people die at Europe’s borders every year, families are separated, and people suffer serious physical and psychological harm as a result of those journeys and subsequent administrative detention and social marginalisation. Yet parties of all political stripes remain committed to the same harmful and dangerous policies – many of which are being worsened through the new Pact on Migration and Asylum.[2]

    The EU’s border agency, Frontex, based in Warsaw, was first set up in 2004 with the aim of providing technical coordination between EU member states’ border guards. Its remit has been gradually expanded. Following the “migration crisis” of 2015 and 2016, extensive new powers were granted to the agency. As the Max Planck Institute has noted, the 2016 law shifted the agency from a playing “support role” to acting as “a player in its own right that fulfils a regulatory, supervisory, and operational role.”[3] New tasks granted to the agency included coordinating deportations of rejected refugees and migrants, data analysis and exchange, border surveillance, and technology research and development. A further legal upgrade in 2019 introduced even more extensive powers, in particular in relation to deportations, and cooperation with and operations in third countries.

    The uniforms, guns and batons wielded by Frontex’s border guards are self-evidently militaristic in nature, as are other aspects of its work: surveillance drones have been acquired from Israeli military companies, and the agency deploys “mobile radars and thermal cameras mounted on vehicles, as well as heartbeat detectors and CO2 monitors used to detect signs of people concealed inside vehicles.”[4] One investigation described the companies that have held lobbying meetings or attended events with Frontex as “a Who’s Who of the weapons industry,” with guests including Airbus, BAE Systems, Leonardo and Thales.[5] The information acquired from the agency’s surveillance and field operations is combined with data provided by EU and third country agencies, and fed into the European Border Surveillance System, EUROSUR. This offers a God’s-eye overview of the situation at Europe’s borders and beyond – the system also claims to provide “pre-frontier situational awareness.”

    The EU and its member states also fund research and development on these technologies. From 2014 to 2022, 49 research projects were provided with a total of almost €275 million to investigate new border technologies, including swarms of autonomous drones for border surveillance, and systems that aim to use artificial intelligence to integrate and analyse data from drones, satellites, cameras, sensors and elsewhere for “analysis of potential threats” and “detection of illegal activities.”[6] Amongst the top recipients of funding have been large research institutes – for example, Germany’s Fraunhofer Institute – but companies such as Leonardo, Smiths Detection, Engineering – Ingegneria Informatica and Veridos have also been significant beneficiaries.[7]

    This is only a tiny fraction of the funds available for strengthening the EU’s border regime. A 2022 study found that between 2015 and 2020, €7.7 billion had been spent on the EU’s borders and “the biggest parts of this budget come from European funding” – that is, the EU’s own budget. The total value of the budgets that provide funds for asylum, migration and border control between 2021-27 comes to over €113 billion[8]. Proposals for the next round of budgets from 2028 until 2035 are likely to be even larger.

    Cooperation between the EU, its member states and third countries on migration control comes in a variety of forms: diplomacy, short and long-term projects, formal agreements and operational deployments. Whatever form it takes, it is frequently extremely harmful. For example, to try to reduce the number of people arriving across the Mediterranean, member states have withdrawn national sea rescue assets (as deployed, for example, in Italy’s Mare Nostrum operation) whilst increasing aerial surveillance, such as that provided by the Israel-produced drones operated by Frontex. This makes it possible to observe refugees attempting to cross the Mediterranean, whilst outsourcing their interception to authorities from countries such as Libya, Tunisia and Egypt.

    This is part of an ongoing plan “to strengthen coordination of search and rescue capacities and border surveillance at sea and land borders” of those countries. [9] Cooperation with Tunisia includes refitting search and rescue vessels and providing vehicles and equipment to the Tunisian coastguard and navy, along with substantial amounts of funding. The agreement with Egypt appears to be structured along similar lines, and five vessels have been provided to the so-called Libyan Coast Guard in 2023.[10]

    Frontex also plays a key role in the EU’s externalised border controls. The 2016 reform allowed Frontex deployments at countries bordering the EU, and the 2019 reform allowed deployments anywhere in the world, subject to agreement with the state in question. There are now EU border guards stationed in Albania, Montenegro, Serbia, Bosnia and Herzegovina, and North Macedonia.[11] The agency is seeking agreements with Niger, Senegal and Morocco, and has recently received visits from Tunisian and Egyptian officials with a view to stepping up cooperation.[12]

    In a recent report for the organisation EuroMed Rights, Antonella Napolitano highlighted “a new element” in the EU’s externalisation strategy: “the use of EU funds – including development aid – to outsource surveillance technologies that are used to entrench political control both on people on the move and local population.” Five means of doing so have been identified: provision of equipment; training; financing operations and procurement; facilitating exports by industry; and promoting legislation that enables surveillance.[13]

    The report highlights Frontex’s extended role which, even without agreements allowing deployments on foreign territory, has seen the agency support the creation of “risk analysis cells” in a number of African states, used to gather and analyse data on migration movements. The EU has also funded intelligence training in Algeria, digital evidence capacity building in Egypt, border control initiatives in Libya, and the provision of surveillance technology to Morocco. The European Ombudsman has found that insufficient attention has been given to the potential human rights impacts of this kind of cooperation.[14]

    While the EU and its member states may provide the funds for the acquisition of new technologies, or the construction of new border control systems, information on the companies that receive the contracts is not necessarily publicly available. Funds awarded to third countries will be spent in accordance with those countries’ procurement rules, which may not be as transparent as those in the EU. Indeed, the acquisition of information on the externalisation in third countries is far from simple, as a Statewatch investigation published in March 2023 found.[15]

    While EU and member state institutions are clearly committed to continuing with plans to strengthen border controls, there is a plethora of organisations, initiatives, campaigns and projects in Europe, Africa and elsewhere that are calling for a different approach. One major opportunity to call for change in the years to come will revolve around proposals for the EU’s new budgets in the 2028-35 period. The European Commission is likely to propose pouring billions more euros into borders – but there are many alternative uses of that money that would be more positive and productive. The challenge will be in creating enough political pressure to make that happen.

    This article was originally published by Welt Sichten, and is based upon the Statewatch/EuroMed Rights report Europe’s techno-borders.

    Notes

    [1] https://www.tni.org/en/publication/building-walls

    [2] https://www.statewatch.org/news/2023/december/tracking-the-pact-human-rights-disaster-in-the-works-as-parliament-makes

    [3] https://www.mpg.de/14588889/frontex

    [4] https://www.theguardian.com/global-development/2021/dec/06/fortress-europe-the-millions-spent-on-military-grade-tech-to-deter-refu

    [5] https://frontexfiles.eu/en.html

    [6] https://www.statewatch.org/publications/reports-and-books/europe-s-techno-borders

    [7] https://www.statewatch.org/publications/reports-and-books/europe-s-techno-borders

    [8] https://www.statewatch.org/publications/reports-and-books/europe-s-techno-borders

    [9] https://www.statewatch.org/news/2023/november/eu-planning-new-anti-migration-deals-with-egypt-and-tunisia-unrepentant-

    [10] https://www.statewatch.org/media/4103/eu-com-von-der-leyen-ec-letter-annex-10-23.pdf

    [11] https://www.statewatch.org/analyses/2021/briefing-external-action-frontex-operations-outside-the-eu

    [12] https://www.statewatch.org/news/2023/november/eu-planning-new-anti-migration-deals-with-egypt-and-tunisia-unrepentant-, https://www.statewatch.org/publications/events/secrecy-and-the-externalisation-of-eu-migration-control

    [13] https://privacyinternational.org/challenging-drivers-surveillance

    [14] https://euromedrights.org/wp-content/uploads/2023/07/Euromed_AI-Migration-Report_EN-1.pdf

    [15] https://www.statewatch.org/access-denied-secrecy-and-the-externalisation-of-eu-migration-control

    https://www.statewatch.org/analyses/2024/border-security-with-drones-and-databases
    #frontières #militarisation_des_frontières #technologie #données #bases_de_données #drones #complexe_militaro-industriel #migrations #réfugiés #contrôles_frontaliers #surveillance #sécurité_frontalière #biométrie #données_biométriques #intelligence_artificielle #algorithmes #smugglers #passeurs #Frontex #Airbus #BAE_Systems #Leonardo #Thales #EUROSUR #coût #business #prix #Smiths_Detection #Fraunhofer_Institute #Engineering_Ingegneria_Informatica #informatique #Tunisie #gardes-côtes_tunisiens #Albanie #Monténégro #Serbie #Bosnie-Herzégovine #Macédoine_du_Nord #Egypte #externalisation #développement #aide_au_développement #coopération_au_développement #Algérie #Libye #Maroc #Afrique_du_Nord

  • Le #lobbying sans #frontières de #Thales
    (publié en 2021, ici pour archivage)

    Pour vendre ses systèmes de surveillance aux confins de l’Union européenne, l’entreprise use de son influence. Indirectement, discrètement, efficacement.

    Ce 23 mai 2017, au sixième étage de l’immense tour vitrée qui héberge les locaux de #Frontex à Varsovie, en Pologne, les rendez-vous sont réglés comme du papier à musique. L’agence européenne de gardes-frontières et de gardes-côtes reçoit des industriels pour des discussions consacrées à l’utilisation de la biométrie aux confins de l’Union. Leonardo, Safran, Indra… Frontex déroule le tapis rouge aux big boss de la sécurité et de la défense. Juste après la pause-déjeuner, c’est au tour de #Gemalto, qui sera racheté deux ans plus tard par Thales (lire l’épisode 5, « Thales s’immisce dans ta face »), de déballer pendant quarante-cinq minutes ses propositions. Un document PowerPoint de 14 pages sert de support visuel. L’entreprise franco-néerlandaise y développe diverses utilisations de la reconnaissance faciale aux frontières : en collectant un selfie grâce à son téléphone avant de voyager, en plein vol dans un avion ou dans un véhicule qui roule. Oubliant de s’interroger sur la légalité et le cadre juridique de cette technologie, la présentation conclut : « La reconnaissance faciale en mouvement n’a pas été testée dans les essais de “frontières intelligentes” mais devrait. » Une manière à peine voilée de dire que Frontex devrait coupler des logiciels de reconnaissance faciale aux caméras de surveillance qui lorgnent les frontières extérieures de l’Europe, afin de mieux identifier et surveiller ceux qui tentent de pénétrer dans l’UE.

    Ce document est l’un des 138 dévoilés le 5 février dernier par les « Frontex Files », enquête diligentée par la chaîne de télévision publique allemande ZDF, en collaboration avec l’ONG européenne Corporate Europe Observatory. Ce travail lève le voile sur des réunions menées par Frontex avec 125 lobbyistes, reçus entre 2018 et 2019… ainsi que sur leur opacité, puisque 72 % d’entre elles se sont tenues très discrètement, en dehors des règles de transparence édictées par l’Union européenne.

    Depuis 2016, Frontex joue un rôle dans la lutte contre la criminalité transfrontalière. Son budget atteint 544 millions en 2021

    Fondée en 2004 pour aider les pays européens à sécuriser leurs frontières, Frontex est devenue une usine à gaz de la traque des réfugiés. Depuis 2016 et un élargissement de ses fonctions, elle joue désormais un rôle dans la lutte contre la criminalité transfrontalière. Alors qu’il plafonnait à 6 millions d’euros en 2005, son budget atteint 544 millions en 2021. Pour le prochain cycle budgétaire de l’UE (2021-2027), la Commission européenne a attribué une enveloppe de 12,7 milliards d’euros à la gestion des frontières et de 9,8 milliards à la migration.

    Thales et Gemalto trônent dans le top 10 des entreprises ayant eu le plus d’entretiens avec l’agence européenne : respectivement trois et quatre réunions. Mais les deux sociétés devraient être comptées comme un tout : en rachetant la seconde, la première a logiquement profité des efforts de lobbying que celle-ci avait déployés auparavant. Pour le géant français, l’enjeu des frontières est majeur, ainsi que nous le racontions précédemment (lire l’épisode 6, « Thales police les frontières »). #Murs, #clôtures, #barbelés, #radars, #drones, systèmes de reconnaissance d’#empreintes_digitales biométriques… Chaque année, les marchés attribués se comptent en millions d’euros. L’ONG Transnational Institute parle de « business de l’édification de murs », du nom d’un de ses rapports, publié en novembre 2019. Celui-ci met la lumière sur les trois entreprises qui dévorent la plus grosse part du gâteau : l’espagnole #Leonardo (ex-#Finmeccanica), #Airbus et bien sûr Thales. Un profit fruit de plus de quinze années de lobbying agressif.

    Thales avance à couvert et s’appuie sur l’#European_Organisation_for_Security, un think tank qui regroupe ses principaux alliés et concurrents

    Flash-back en 2003. Le traumatisme des attentats du 11-Septembre est encore vif. L’Union européenne aborde l’épineuse question de la sécurisation de ses frontières. Elle constitue un « groupe de personnalités », dont la mission est de définir les axes d’un futur programme de recherche européen sur la question. Au milieu des commissaires, chercheurs et représentants des institutions s’immiscent les intérêts privés de sociétés spécialisées dans la défense : Thales, Leonardo, mais aussi l’allemande #Siemens et la suédoise #Ericsson. Un an plus tard, le rapport suggère à l’UE de calquer son budget de recherche sur la sécurité sur celui des États-Unis, soit environ quatre dollars par habitant et par an, raconte la juriste Claire Rodier dans son ouvrage Xénophobie business : à quoi servent les contrôles migratoires ? (La Découverte, 2012). En euros, la somme s’élève à 1,3 milliard par an. La machine est lancée. Les lobbyistes sont dans la place ; ils ne la quitteront pas.

    Au sein du registre de transparence de l’Union européenne, Thales publie les détails de ses actions d’influence : un lobbyiste accrédité au Parlement, entre 300 000 et 400 000 euros de dépenses en 2019 et des réunions avec des commissaires et des membres de cabinets qui concernent avant tout les transports et l’aérospatial. Rien ou presque sur la sécurité. Logique. Thales, comme souvent, avance à couvert (lire l’épisode 1, « Nice, le “little brother” de Thales ») et s’appuie pour faire valoir ses positions sur l’#European_Organisation_for_Security (EOS), un think tank qui regroupe ses principaux alliés et concurrents : #Airbus, Leonardo ou les Français d’#Idemia. Bref, un lobby. L’implication de Thales dans #EOS est tout à fait naturelle : l’entreprise en est la créatrice. Un homme a longtemps été le visage de cette filiation, #Luigi_Rebuffi. Diplômé en ingénierie nucléaire à l’université polytechnique de Milan, cet Italien au crâne dégarni et aux lunettes rectangulaires doit beaucoup au géant français. Spécialisé dans la recherche et le développement au niveau européen, il devient en 2003 directeur des affaires européennes de Thales. Quatre ans plus tard, l’homme fonde EOS. Détaché par Thales, il en assure la présidence pendant dix ans avant de rejoindre son conseil d’administration de 2017 à 2019.

    Depuis, il a fondé et est devenu le secrétaire général de l’#European_Cyber_Security_Organisation (#Ecso), représentant d’influence enregistré à Bruxelles, dont fait partie #Thales_SIX_GTS France, la filiale sécurité et #systèmes_d’information du groupe. À la tête d’Ecso, on trouve #Philippe_Vannier, également président de la division #big_data et sécurité du géant français de la sécurité #Atos… dont l’ancien PDG #Thierry_Breton est depuis 2019 commissaire européen au Marché intérieur. Un jeu de chaises musicales où des cadres du privé débattent désormais des décisions publiques.

    Entre 2012 et 2016, Luigi Rebuffi préside l’European Organisation for Security… et conseille la Commission pour ses programmes de recherche en sécurité

    Luigi Rebuffi sait se placer et se montrer utile. Entre 2012 et 2016, il occupe, en parallèle de ses fonctions à l’EOS, celle de conseiller pour les programmes de recherche en sécurité de la Commission européenne, le #Security_Advisory_Group et le #Protection_and_Security_Advisory_Group. « C’est une position privilégiée, analyse Mark Akkerman, chercheur et coauteur du rapport “Le business de l’édification de murs” de l’ONG Transnational Institute. Rebuffi faisait partie de l’organe consultatif le plus influent sur les décisions de financement par l’UE de programmes de recherche et d’innovation dans le domaine de la sécurité. »

    Ce n’est donc pas un hasard si, comme le note le site European Research Ranking, qui compile les données publiées par la Commission européenne, Thales est l’un des principaux bénéficiaires des fonds européens sur la #recherche avec 637 projets menés depuis 2007. La sécurité figure en bonne place des thématiques favorites de la société du PDG #Patrice_Caine, qui marche main dans la main avec ses compères de la défense Leonardo et Airbus, avec lesquels elle a respectivement mené 48 et 109 projets.

    Entre 2008 et 2012, l’Union européenne a, par exemple, attribué une subvention de 2,6 millions d’euros à un consortium mené par Thales, dans le cadre du projet #Aspis. Son objectif ? Identifier des systèmes de #surveillance_autonome dans les #transports_publics. Des recherches menées en collaboration avec la #RATP, qui a dévoilé à Thales les recettes de ses systèmes de sécurité et les coulisses de sa première ligne entièrement automatisée, la ligne 14 du métro parisien. Un projet dont l’un des axes a été le développement de la #vidéosurveillance.

    Thales coordonne le projet #Gambas qui vise à renforcer la #sécurité_maritime et à mieux repérer les bateaux de réfugiés tentant de rejoindre l’Europe

    À la même période, Thales s’est impliqué dans le projet #Oparus, financé à hauteur de 1,19 million d’euros par la Commission européenne. À ses côtés pour penser une stratégie européenne de la surveillance terrestre et maritime par #drones, #EADS (ancien nom d’#Airbus) ou #Dassault_Aviation. Depuis le 1er janvier dernier, l’industriel français coordonne aussi le projet Gambas (1,6 million de financement), qui vise à renforcer la sécurité maritime en améliorant le système de surveillance par #radar #Galileo, développé dans le cadre d’un précédent #projet_de_recherche européen pour mieux repérer les bateaux de réfugiés tentant de rejoindre l’Europe. Une #technologie installée depuis 2018 aux frontières européennes.

    Des subventions sont rattachées aux derniers programmes de recherche et d’innovation de l’Union européenne : #PR7 (2007-13) et #Horizon_2020 (2014-20). Leur petit frère, qui court jusqu’en 2027, s’intitule, lui, #Horizon_Europe. L’une de ses ambitions : « La sécurité civile pour la société ». Alors que ce programme s’amorce, Thales place ses pions. Le 23 novembre 2020, l’entreprise s’est entretenue avec #Jean-Éric_Paquet, directeur général pour la recherche et l’innovation de la Commission européenne. Sur quels thèmes ? Ont été évoqués les programmes Horizon 2020 et Horizon Europe, et notamment « dans quelles mesures [les] actions [de la Commission] pourraient susciter l’intérêt de Thales, en vue d’un soutien renforcé aux PME mais aussi aux écosystèmes d’innovation au sein desquels les groupes industriels ont un rôle à jouer », nous a répondu par mail Jean-Éric Paquet.

    L’European Organisation for Security s’intéresse aussi directement aux frontières européennes. Un groupe de travail, coprésidé par #Peter_Smallridge, chef des ventes de la division « #borders_and_travel » de Thales et ancien de Gemalto, poursuit notamment l’ambition « d’encourager le financement et le développement de la recherche qui aboutira à une industrie européenne de la sécurité plus forte ». Entre 2014 et 2019, EOS a organisé 226 réunions pour le compte d’Airbus, Leonardo et Thales, dépensant 2,65 millions d’euros pour la seule année 2017. Le chercheur Mark Akkerman est formel : « Toutes les actions de lobbying sur les frontières passent par l’EOS et l’#AeroSpace_and_Defence_Industries_Association_of_Europe (#ASD) », l’autre hydre de l’influence européenne.

    L’AeroSpace and Defence Industries Association of Europe a particulièrement souligné la nécessité de renforcer les liens entre les politiques de sécurité européennes et l’industrie de la sécurité.
    Sonya Gospodinova, porte-parole de la Commission chargée de l’industrie de la défense

    Dans ses derniers comptes publiés, datés de 2018, EOS déclare des dépenses de lobbying en nette baisse : entre 100 000 et 200 000 euros, un peu moins que les 200 000 à 300 000 euros de l’ASD. La liste des interlocuteurs de ces structures en dit beaucoup. Le 12 février 2020, des représentants d’EOS rencontrent à Bruxelles #Despina_Spanou, cheffe de cabinet du Grec #Margarítis_Schinás, vice-président de la Commission européenne chargé des Migrations. Le 11 juin, c’est au tour de l’ASD d’échanger en visioconférence avec Despina Spanou, puis début juillet avec un autre membre du cabinet, #Vangelis_Demiris. Le monde de l’influence européenne est petit puisque le 30 juin, c’est Ecso, le nouveau bébé de Luigi Rebuffi, d’organiser une visioconférence sur la sécurité européenne avec le trio au grand complet : Margarítis Schinás, Despina Spanou et Vangelis Demiris. Pour la seule année 2020, c’est la troisième réunion menée par Ecso avec la cheffe de cabinet.

    Également commissaire chargé de la Promotion du mode de vie européen, Margarítis Schinás a notamment coordonné le rapport sur la « stratégie de l’UE sur l’union de la sécurité ». Publié le 24 juillet 2020, il fixe les priorités sécuritaires de la Commission pour la période 2020-2025. Pour lutter contre le terrorisme et le crime organisé, le texte indique que « des mesures sont en cours pour renforcer la législation sur la sécurité aux frontières et une meilleure utilisation des bases de données existantes ». Des points qui étaient au cœur de la discussion entre l’ASD et son cabinet, comme l’a confirmé aux Jours Sonya Gospodinova, porte-parole de la Commission chargée de l’industrie de la défense. « Lors de cette réunion, l’ASD a particulièrement souligné la nécessité de renforcer les liens entre les politiques de sécurité européennes et l’industrie de la sécurité », confie-t-elle. Difficile d’avoir le son de cloche des lobbyistes. Loquaces quand il s’agit d’échanger avec les commissaires et les députés européens, Luigi Rebuffi, ASD, EOS et Thales n’ont pas souhaité répondre à nos questions. Pas plus que l’une des autres cibles principales des lobbyistes de la sécurité, Thierry Breton. Contrairement aux Jours, l’AeroSpace and Defence Industries Association of Europe a décroché deux entretiens avec l’ancien ministre de l’Économie de Jacques Chirac en octobre dernier, pour aborder des sujets aussi vastes que le marché international de l’#aérospatiale, la #défense ou la #sécurité. À Bruxelles, Thales et ses relais d’influence sont comme à la maison.

    https://lesjours.fr/obsessions/thales-surveillance/ep7-lobbying-europe

    #complexe_militaro_industriel #surveillance_des_frontières #migrations #réfugiés #contrôles_frontaliers #lobby

    • Thales police les frontières

      De Calais à Algésiras, l’entreprise met ses technologies au service de la politique antimigratoire de l’Europe, contre de juteux contrats.

      Cette journée d’octobre, Calais ne fait pas mentir les préjugés. Le ciel est gris, le vent âpre. La pluie mitraille les vitres de la voiture de Stéphanie. La militante de Calais Research, une ONG qui travaille sur la frontière franco-anglaise, nous promène en périphérie de la ville. Un virage. Elle désigne du doigt un terrain poisseux, marécage artificiel construit afin de décourager les exilés qui veulent rejoindre la Grande-Bretagne. À proximité, des rangées de barbelés brisent l’horizon. Un frisson claustrophobe nous saisit, perdus dans ce labyrinthe de clôtures.

      La pilote de navire marchand connaît bien la région. Son collectif, qui réunit chercheurs et citoyens, effectue un travail d’archiviste. Ses membres collectent minutieusement les informations sur les dispositifs technologiques déployés à la frontière calaisienne et les entreprises qui les produisent. En 2016, ils publiaient les noms d’une quarantaine d’entreprises qui tirent profit de l’afflux de réfugiés dans la ville. Vinci, choisi en septembre 2016 pour construire un mur de 4 mètres de haut interdisant l’accès à l’autoroute depuis la jungle, y figure en bonne place. Tout comme Thales, qui apparaît dans la liste au chapitre « Technologies de frontières ».

      Thales vend son dispositif comme un outil pour protéger les employés, mais on voit bien que c’est pour empêcher les réfugiés de passer.
      Stéphanie, militante de l’ONG Calais Research

      Stéphanie stoppe sa voiture le long du trottoir, à quelques mètres de l’entrée du port de Calais. Portes tournantes et lecteurs de badges, qui permettent l’accès aux employés, ont été conçus par Thales. Le géant français a aussi déployé des dizaines de caméras le long de la clôture de 8 000 mètres qui encercle le port. « Thales vend son dispositif comme un outil pour protéger les employés, glisse Stéphanie, mais on voit bien que c’est pour empêcher les réfugiés de passer. » Le projet Calais Port 2015 – année initialement fixée pour la livraison –, une extension à 863 millions d’euros, « devrait être achevé le 5 mai 2021 », d’après Jean-Marc Puissesseau, PDG des ports de Calais-Boulogne-sur-Mer, qui n’a même pas pu nous confirmer que Thales en assure bien la sécurité, mais chiffre à 13 millions d’euros les investissements de sécurité liés au Brexit. Difficile d’en savoir plus sur ce port 2.0 : ni Thales ni la ville de Calais n’ont souhaité nous répondre.

      Les technologies sécuritaires de Thales ne se cantonnent pas au port. Depuis la mise en place du Brexit, la société Eurotunnel, qui gère le tunnel sous la Manche, a mis à disposition de la police aux frontières les sas « Parafe » (« passage automatisé rapide aux frontières extérieures ») utilisant la reconnaissance faciale du même nom, conçus par Thales. Là encore, ni Eurotunnel ni la préfecture du Pas-de-Calais n’ont souhaité commenter. L’entreprise française fournit aussi l’armée britannique qui, le 2 septembre 2020, utilisait pour la première fois le drone Watchkeeper produit par Thales. « Nous restons pleinement déterminés à soutenir le ministère de l’Intérieur britannique alors qu’il s’attaque au nombre croissant de petits bateaux traversant la Manche », se félicite alors l’armée britannique dans un communiqué. Pour concevoir ce drone, initialement déployé en Afghanistan, Thales a mis de côté son vernis éthique. Le champion français s’est associé à Elbit, entreprise israélienne connue pour son aéronef de guerre Hermes. En 2018, The Intercept révélait que ce modèle avait été utilisé pour bombarder Gaza, tuant quatre enfants. Si le patron de Thales, Patrice Caine, appelait en 2019 à interdire les robots tueurs, il n’éprouve aucun état d’âme à collaborer avec une entreprise qui en construit.

      Du Rafale à la grande mosquée de la Mecque, Thales s’immisce partout mais reste invisible. L’entreprise cultive la même discrétion aux frontières européennes

      À Calais comme ailleurs, un détail frappe quand on enquête sur Thales. L’entreprise entretient une présence fantôme. Elle s’immisce partout, mais ses six lettres restent invisibles. Elles ne figurent ni sur la carlingue du Rafale dont elle fournit l’électronique, ni sur les caméras de vidéosurveillance qui lorgnent sur la grande mosquée de la Mecque ni les produits informatiques qui assurent la cybersécurité du ministère des Armées. Très loquace sur l’efficacité de sa « Safe City » mexicaine (lire l’épisode 3, « Thales se prend un coup de chaud sous le soleil de Mexico ») ou les bienfaits potentiels de la reconnaissance faciale (lire l’épisode 5, « Thales s’immisce dans ta face »), Thales cultive la même discrétion sur son implication aux frontières européennes. Sur son site francophone, une page internet laconique mentionne l’utilisation par l’armée française de 210 mini-drones Spy Ranger et l’acquisition par la Guardia civil espagnole de caméras Gecko, œil numérique à vision thermique capable d’identifier un bateau à plus de 25 kilomètres. Circulez, il n’y a rien à voir !

      La branche espagnole du groupe est plus bavarde. Un communiqué publié par la filiale ibérique nous apprend que ces caméras seront installées sur des 4x4 de la Guardia civil « pour renforcer la surveillance des côtes et des frontières ». Une simple recherche sur le registre des appels d’offres espagnols nous a permis de retracer le lieu de déploiement de ces dispositifs. La Guardia civil de Melilla, enclave espagnole au Maroc, s’est vue attribuer une caméra thermique, tout comme celle d’Algésiras, ville côtière située à quelques kilomètres de Gibraltar, qui a reçu en complément un logiciel pour contrôler les images depuis son centre de commandement. Dans un autre appel d’offres daté de novembre 2015, la Guardia civil d’Algésiras obtient un des deux lots de caméras thermiques mobiles intégrées directement à un 4x4. Le second revient à la police des Baléares. Montant total de ces marchés : 1,5 million d’euros. Des gadgets estampillés Thales destinés au « Servicio fiscal » de la Guardia civil, une unité dont l’un des rôles principaux est d’assurer la sécurité aux frontières.

      Thales n’a pas attendu 2015 pour vendre ses produits de surveillance en Espagne. D’autres marchés publics de 2014 font mention de l’acquisition par la Guardia civil de Ceuta et Melilla de trois caméras thermiques portables, ainsi que de deux systèmes de surveillance avec caméras thermiques et de quatre caméras thermiques à Cadix et aux Baléares. La gendarmerie espagnole a également obtenu plusieurs caméras thalesiennes « Sophie ». Initialement à usage militaire, ces jumelles thermiques à vision nocturne, dont la portée atteint jusqu’à 5 kilomètres, ont délaissé les champs de bataille et servent désormais à traquer les exilés qui tentent de rejoindre l’Europe. Dans une enquête publiée en juillet dernier, Por Causa, média spécialisé dans les migrations, a analysé plus de 1 600 contrats liant l’État espagnol à des entreprises pour le contrôle des frontières, dont onze attribués à Thales, pour la somme de 3,8 millions d’euros.

      Algésiras héberge le port le plus important du sud de l’Espagne, c’est depuis des années l’une des portes d’entrées des migrants en Europe.
      Salva Carnicero, journaliste à « Por Causa »

      Le choix des villes n’est bien sûr pas anodin. « Algésiras héberge le port le plus important du sud de l’Espagne, c’est depuis des années l’une des portes d’entrées des migrants en Europe », analyse Salva Carnicero, qui travaille pour Por Causa. Dès 2003, la ville andalouse était équipée d’un dispositif de surveillance européen unique lancé par le gouvernement espagnol pour contrôler sa frontière sud, le Système intégré de surveillance extérieure (SIVE). Caméras thermiques, infrarouges, radars : les côtes ont été mises sous surveillance pour identifier la moindre embarcation à plusieurs dizaines de kilomètres. La gestion de ce système a été attribuée à l’entreprise espagnole Amper, qui continue à en assurer la maintenance et a remporté plusieurs appels d’offres en 2017 pour le déployer à Murcie, Alicante et Valence. Une entreprise que Thales connaît bien, puisqu’elle a acquis en 2014 l’une des branches d’Amper, spécialisée dans la création de systèmes de communication sécurisés pour le secteur de la défense.

      Ceuta et Melilla, villes autonomes espagnoles ayant une frontière directe avec le Maroc, sont considérées comme deux des frontières européennes les plus actives. En plus des caméras thermiques, Thales Espagne y a débuté en septembre 2019, en partenariat avec l’entreprise de sécurité suédoise Gunnebo, l’un des projets de reconnaissance faciale les plus ambitieux au monde. Le logiciel thalesien Live Face Identification System (LFIS) est en effet couplé à 35 caméras disposées aux postes-frontières avec l’Espagne. L’objectif : « Surveiller les personnes entrant et sortant des postes-frontières », et permettre « la mise en place de listes noires lors du contrôle aux frontières », dévoile Gunnebo, qui prédit 40 000 lectures de visages par jour à Ceuta et 85 000 à Melilla. Une technologie de plus qui complète l’immense clôture qui tranche la frontière. « Les deux vont de pair, le concept même de barrière frontalière implique la présence d’un checkpoint pour contrôler les passages », analyse le géographe Stéphane Rosière, spécialisé dans la géopolitique et les frontières.

      Chercheur pour Stop Wapenhandel, association néerlandaise qui milite contre le commerce des armes, Mark Akkerman travaille depuis des années sur la militarisation des frontières. Ses rapports « Border Wars » font figure de référence et mettent en exergue le profit que tirent les industriels de la défense, dont Thales, de la crise migratoire. Un des documents explique qu’à l’été 2015, le gouvernement néerlandais a accordé une licence d’exportation de 34 millions d’euros à Thales Nederland pour des radars et des systèmes C3. Leur destination ? L’Égypte, un pays qui viole régulièrement les droits de l’homme. Pour justifier la licence d’exportation accordée à Thales, le gouvernement néerlandais a évoqué « le rôle que la marine égyptienne joue dans l’arrêt de l’immigration “illégale” vers Europe ».

      De l’Australie aux pays du Golfe, l’ambition de Thales dépasse les frontières européennes

      L’ambition de Thales dépasse l’Europe. L’entreprise veut surveiller aux quatre coins du monde. Les drones Fulmar aident depuis 2016 la Malaisie à faire de la surveillance maritime et les caméras Gecko – encore elles –, lorgnent sur les eaux qui baignent la Jamaïque depuis 2019. En Australie, Thales a travaillé pendant plusieurs années avec l’entreprise publique Ocius, aidée par l’université New South Wales de Sydney, sur le développement de Bluebottle, un bateau autonome équipé d’un radar dont le but est de surveiller l’espace maritime. Au mois d’octobre, le ministère de l’industrie et de la défense australien a octroyé à Thales Australia une subvention de 3,8 millions de dollars pour développer son capteur sous-marin Blue Sentry.

      Une tactique rodée pour Thales qui, depuis une quinzaine d’années, profite des financements européens pour ses projets aux frontières. « L’un des marchés-clés pour ces acteurs sont les pays du Golfe, très riches, qui dépensent énormément dans la sécurité et qui ont parfois des problèmes d’instabilité. L’Arabie saoudite a barriérisé sa frontière avec l’Irak en pleine guerre civile », illustre Stéphane Rosière. En 2009, le royaume saoudien a confié la surveillance électronique de ses 8 000 kilomètres de frontières à EADS, aujourd’hui Airbus. Un marché estimé entre 1,6 milliard et 2,5 milliards d’euros, l’un des plus importants de l’histoire de la sécurité des frontières, dont l’attribution à EADS a été vécue comme un camouflet par Thales.

      Car l’entreprise dirigée par Patrice Caine entretient une influence historique dans le Golfe. Présent aux Émirats Arabes unis depuis 45 ans, l’industriel y emploie 550 personnes, principalement à Abu Dhabi et à Dubaï, où l’entreprise française est chargée de la sécurité d’un des plus grands aéroports du monde. Elle y a notamment installé 2 000 caméras de vidéosurveillance et 1 200 portillons de contrôle d’accès.

      Au Qatar, où elle comptait, en 2017, 310 employés, Thales équipe l’armée depuis plus de trois décennies. Depuis 2014, elle surveille le port de Doha et donc la frontière maritime, utilisant pour cela des systèmes détectant les intrusions et un imposant dispositif de vidéosurveillance. Impossible de quitter le Qatar par la voie des airs sans avoir à faire à Thales : l’entreprise sécurise aussi l’aéroport international d’Hamad avec, entre autres, un dispositif tentaculaire de 13 000 caméras, trois fois plus que pour l’intégralité de la ville de Nice, l’un de ses terrains de jeu favoris (lire l’épisode 1, « Nice, le “little brother” de Thales »).

      La prochaine grande échéance est la Coupe du monde de football de 2022, qui doit se tenir au Qatar et s’annonce comme l’une des plus sécurisées de l’histoire. Thales participe dans ce cadre à la construction et à la sécurisation du premier métro qatari, à Doha : 241 kilomètres, dont 123 souterrains, et 106 stations. Et combien de milliers de caméras de vidéosurveillance ?

      https://lesjours.fr/obsessions/thales-surveillance/ep6-frontieres-europe

  • #Patrice_Caine. Big boss de #Thales
    (publié en 2020, ici pour archivage)

    Brillant, lisse et discret, le président-directeur général de Thalès ressemble à son groupe. L’enfant du XVe arrondissement de Paris coche toutes les cases de l’aristocratie républicaine : lycée privée catholique, grande prépa à Versailles puis Polytechnique et les Mines. Passé par le cabinet du secrétaire à l’industrie Christian Pierret sous le gouvernement Jospin, il rentre à Thales en 2002 pour ne plus jamais la quitter. Devenu PDG en 2014, le discret patron de 50 ans se construit peu à peu une belle réputation. Son objectif ? Faire de Thales une entreprise 2.0 à grand coup de big data. Son plus beau coup d’éclat ? Le rachat du spécialiste de l’identité biométrique #Gemalto, propulsant Thales leader mondial du marché. Son talent ? Faire oublier, avec de beaux discours, que son entreprise vend avant tout des #armes.

    https://lesjours.fr/obsessions/thales-surveillance/ep2-patrice-caine

    voir aussi la série sur Thales ("sous l’oeil de Thales"), publiée en 2021 par Les Jours :
    https://lesjours.fr/personnages/thales/#episodes

  • Général Michel Yakovleff « La France se prépare à une guerre en Europe » - #Mutation_Magazine
    https://mutation-magazine.com/general-michel-yakovleff-la-france-se-prepare-a-une-guerre-en-eur

    Le conflit entre la Russie et l’Ukraine dure depuis bientôt deux ans, il s’agit de la première guerre sur le sol européen depuis la Seconde Guerre mondiale. L’armée française s’entraîne depuis quelques années en prévision d’une guerre de haute intensité. Michel Yakovleff, ancien général de corps d’armée et ancien membre de l’état-major de l’OTAN, analyse la situation.

    avec des illustrations de Laurent Courau
    https://mondocourau.com
    #Europe #OTAN #guerre #cyber_guerre #Russie #Ukraine #armement #armée_française

    • La France, sous l’influence de ses états majors, a toujours entretenu le retour éventuel du spectre de la guerre. Jusque dans les années 90, de grandes manœuvres avaient lieu annuellement surtout dans la région Est et aussi en Allemagne, où un contingent occupait le terrain. Si on a pu croire pendant les deux dernières décennies que les velléités bellicistes de nos dirigeant avaient été mises en sourdine, c’étaient à la faveur d’une pause dans l’affrontement des deux blocs historiques OTAN vs Russie/Chine. Mais les généraux sont teigneux : ils ont continué à entretenir le « moral des troupes » en saupoudrant leurs capacités de nuisance sur les états d’Afrique, en particulier dans la zone sahélienne. Et notre petit timonier n’a aucune envie de céder sa place en tant que gendarme global, même si, « en même temps » (et plus souvent qu’à son tour) il se fait rosser par un autre Guignol ...

      Ceci dit, à force de clamer partout « nous sommes en guerre », les élites de la macronie ont fini par accoucher du SNU ... Mais mettre ainsi toute une nation sous pression et ce de façon récurrente, c’est quand même une belle illustration de la #stratégie_du_choc ...

      Les forces françaises en Allemagne : https://fr.wikipedia.org/wiki/Forces_fran%C3%A7aises_en_Allemagne

      Les interventions de l’armée française dans le monde depuis 1981 :
      https://www.vie-publique.fr/eclairage/20138-chronologie-les-interventions-exterieures-de-larmee-francaise

    • Subvention à l’industrie de l’armement : la Région Bretagne complice du massacre
      https://contre-attaque.net/2023/11/08/subvention-a-lindustrie-de-larmement-la-region-bretagne-complice-du-

      En France, l’argent public sert à distribuer des « aides » aux grandes entreprises qui réalisent déjà des bénéfices astronomiques. Les gouvernements néolibéraux ont voté des programmes de distribution d’argent aux grandes firmes pour les « inciter » à créer des emplois en France. C’est tout bénef’. Et parmi les entreprises « soutenues », certaines sont particulièrement nocives voire criminelles.

      « Scorpion » un programme franco-israélien – pour « Synergie du contact renforcé par la polyvalence et l’infovalorisation », un acronyme aussi pourri que cette collaboration de la mort.

      Comment Israël développe Scorpion, futur cœur de la défense francaise https://seenthis.net/messages/908917
      Un article de Jean Stern (mars 2021)

      Dans une opacité complète, militaires et ingénieurs français et israéliens coopèrent sur la guerre du futur, alliant commandement numérique, drones et robots, même si sur le front des ventes d’armes, les deux pays sont également des concurrents.

      #Israël #Thales

  • Who profits from brutal and muderous Pushbacks?

    The podcast is in English

    Anlässlich des World Refugee Days am 20. Juni hört ihr einen Podcast von unserem Kooperationsradio Radio Mytilini auf Lesvos. Es geht um die brutalen und mörderischen Pushbacks an den Außengrenzen der EU und wer davon finanziell profitiert. Die Menschen die solche Pushbacks durchführen werden dafür bezahlt, wo das Geld herkommt erfahrt ihr in dieser Sendung.

    https://de.cba.fro.at/624115
    #asile #migrations #réfugiés #push-backs #refoulements #frontières #profit #Grèce #responsabilité #mer_Egée #Evros #frontières_terrestres #frontières_maritimes #violence #complexe_militaro-industriel #integrated_border_management_fund #technologie #Thales #Frontex #european_peace_facility #visa #industrie_militaire #consultants #McKinzie #accord_UE-Turquie

    #podcast #audio

    ping @_kg_ @kaparia

  • Pendant ce temps-là, les puissances occidentales mettent en ordre de bataille les esprits et transforment à vitesse accélérée leurs économies en «  économies de guerre  »

    Contre la guerre en Ukraine et sa généralisation
    https://mensuel.lutte-ouvriere.org/2023/02/25/contre-la-guerre-en-ukraine-et-sa-generalisation_521781.html

    Poutine, qui nie jusqu’à l’existence d’une nation ukrainienne, aura, par son sanglant mépris des peuples, contribué à ce que s’affirme le sentiment d’appartenir à l’Ukraine, alors qu’il peinait à prendre corps malgré les efforts du pouvoir et des nationalistes.

    L’échec relatif de Poutine résulte, entend-on souvent, de la mobilisation d’un peuple dressé pour défendre sa patrie, rien de tel ne motivant les soldats russes. Certes. Mais ce n’est qu’une partie de la réalité. Si l’Ukraine a tenu bon, malgré une industrie et une armée a priori moins fortes que celles du Kremlin, elle le doit avant tout à la trentaine de membres de l’OTAN, dont les États-Unis, l’Allemagne, la Grande-Bretagne, la France, qui l’ont armée, financée et soutenue de bien des façons. Et ils ne cessent de surenchérir en ce domaine, tel Biden encore le 20 février à Kiev.

    Quand les pays de l’OTAN livrent à l’Ukraine des armements de plus en plus sophistiqués, de plus en plus efficaces, ils poursuivent un objectif immédiat proclamé  : éviter la défaite de l’Ukraine et faire durer la guerre afin d’affaiblir la Russie, et si possible la mettre à genoux.

    Cela pour montrer au monde entier ce qu’il en coûte de ne pas s’incliner devant l’ordre impérialiste. Les propos de Biden à Varsovie  : «  L’Ukraine ne sera jamais une victoire pour la Russie  », son refus affiché de toute négociation avec Poutine, le fait que les dirigeants occidentaux ont tous adopté la même posture et le même langage ces derniers temps, tout cela va dans le même sens.

    Le conflit en cours n’est pas la principale raison d’une escalade que l’Occident mène tambour battant. Il fait aussi office de toile de fond pour une mise en ordre de bataille des esprits, ne serait-ce que par la banalisation d’une guerre qui s’installe pour durer, dans une Europe qui n’en avait plus connu depuis 1945, exception faite des bombardements de la Serbie par l’OTAN, il y a un quart de siècle.

    Une mise sur le pied de guerre qui vaut aussi pour les économies de chaque pays, dans un monde capitaliste qui s’enfonce dans la crise sans que ses dirigeants y voient d’issue. Certes, les dirigeants du monde capitaliste n’ont pas encore choisi la fuite en avant vers une conflagration généralisée, comme celle qui conduisit à la Première et à la Deuxième Guerre mondiale, mais rien ne garantit que le conflit ukrainien ne risque pas, à tout moment, de précipiter l’humanité dans une nouvelle guerre mondiale.

    Le conflit en Ukraine sert déjà de terrain d’entraînement aux États impérialistes pour préparer l’éventualité d’un affrontement dit de haute intensité, que les états-majors militaires et politiques envisagent explicitement. Il sert aussi aux chefs de file de l’impérialisme à renforcer des blocs d’États alliés, avec leurs réseaux de bases sur le pourtour de la Russie et de la Chine.

    sommant les autres États de se rallier à ces alliances militaires et d’adopter des trains de sanctions contre la Russie, même quand cela va à l’encontre de leurs intérêts et de ceux, sonnants et trébuchants, de leurs capitalistes. On le constate pour l’arrêt des importations de gaz et de pétrole russes, l’interdiction de commercer avec la Russie, d’y maintenir des activités industrielles, ce qui pénalise des pays européens, dont l’Allemagne et la France, mais profite aux États-Unis.

    Si un fait nouveau, capital pour l’avenir de l’humanité, s’est fait jour au feu de cette guerre, c’est l’évolution rapide de la situation mondiale dans le sens de sa #militarisation.

    Poutine a répondu de façon monstrueuse à la pression continue de l’impérialisme en Europe de l’Est en lançant ses missiles et ses tanks sur l’Ukraine le 24 février 2022. Mais c’est l’impérialisme qui s’est préparé depuis longtemps à aller à la confrontation.

    ... à plonger tôt ou tard l’Ukraine dans la guerre, donc à faire de ses habitants les otages d’une rivalité qui les dépasse, car elle oppose le camp mené par les États-Unis à la Russie, avec son dictateur, ses bureaucrates et ses oligarques pillards. D’un côté ou de l’autre, il n’y a nulle place pour le droit des peuples à décider de leur destinée, même si on veut nous le faire croire.

    L’ex-chancelière Angela Merkel n’en croit rien. Elle le dit dans une interview où elle revient sur la crise qui s’ouvrit en février 2014, quand le président ukrainien d’alors, contesté par la rue et surtout lâché par des secteurs de la bureaucratie et de l’oligarchie, dut s’enfuir. Le pouvoir issu du #Maïdan s’alignant sur les États-Unis, Poutine récupéra alors la #Crimée et poussa le Donbass à faire sécession. Les accords de Minsk, que Merkel parrainait avec Hollande et auxquels avaient souscrit Moscou et Kiev, devaient régler pacifiquement le différend, prétendait-elle à l’époque. Elle avoue désormais qu’il s’agissait d’un leurre. «  Poutine, explique-t-elle, aurait [alors] pu facilement gagner. Et je doute fortement que l’OTAN aurait eu la capacité d’aider l’Ukraine comme elle le fait aujourd’hui. […] Il était évident pour nous tous que le conflit allait être gelé, que le problème n’était pas réglé, mais cela a justement donné un temps précieux à l’Ukraine.  » Et à l’OTAN pour préparer l’affrontement avec Moscou.

    Le conflit couvait depuis l’effondrement de l’#URSS en 1991. Dès ce moment-là, États-Unis et Union européenne furent à la manœuvre pour aspirer l’Europe de l’Est dans l’orbite de l’OTAN. Des conseillers de la Maison-Blanche expliquaient qu’il fallait détacher l’Ukraine de la Russie, pour que celle-ci n’ait plus les moyens de redevenir une grande puissance.

    Or, après les années Eltsine (1991-1999), d’effondrement économique, d’éclatement de l’État et de vassalisation humiliante du pays par l’Occident, Poutine et la bureaucratie russe voulaient restaurer la #Grande_Russie.

    Une première tentative de l’Occident pour aspirer l’Ukraine eut lieu en 2004 sous l’égide du tandem ­Iouchtchenko­-­Timochenko, tombeur du pro-russe Ianoukovitch. Elle tourna court, la population, dégoûtée, finissant par rappeler Ianoukovitch. Elle allait le chasser à nouveau en 2014. Cette fois fut la bonne pour le camp occidental et signifiait la guerre  : dans le #Donbass, que l’armée de Kiev et des troupes d’extrême droite disputaient aux séparatistes, elle fit 18 000 morts et des centaines de milliers de réfugiés. Huit ans plus tard, tout le pays bascula dans l’horreur.

    Les dirigeants américains et européens savaient que Moscou ne pouvait accepter une Ukraine devenue la base avancée de l’OTAN. Ils savaient quels risques mortels leur politique impliquait pour les Ukrainiens, et pour la jeunesse russe que Poutine enverrait tuer et se faire tuer. Cette guerre, l’OTAN l’avait rendue inéluctable depuis 2014, en armant, entraînant, conseillant l’#armée_ukrainienne et les troupes des nationalistes fascisants.

    Les dirigeants occidentaux n’en avaient cure, car faire la guerre avec la peau des peuples est une constante de la politique des puissances coloniales, puis impérialistes. On le vérifie encore une fois dans le sang et la boue des tranchées en #Ukraine, dans les ruines des HLM de #Kharkiv, #Kherson ou #Donetsk que les missiles des uns ou des autres ont fait s’effondrer sur leurs habitants. N’en déplaise aux médias d’ici qui ressassent la fable d’un conflit soudain opposant le petit David ukrainien isolé et désarmé qu’agresserait sans raison le grand méchant Goliath russe.

    À l’occasion du premier l’anniversaire de l’invasion de l’Ukraine, on a eu droit au rouleau compresseur d’une #propagande sans fard dans les #médias. Il y aurait le camp du Mal (la Russie, l’Iran et surtout la Chine), face au camp du Bien, celui des puissances qui, dominant la planète, y garantissent la pérennité du système d’exploitation capitaliste au nom de la démocratie ou de la sauvegarde de pays comme l’Ukraine, dès lors qu’ils leur font allégeance.

    Cette propagande massive vise à s’assurer que l’opinion publique adhère sans réserve à ce qu’on lui présente comme la défense d’un peuple agressé, en fait, à la guerre que mènent les grandes puissances par Ukrainiens interposés. Car, au-delà de ce qu’il adviendra de la Russie et du régime de Poutine – une des préoccupations contradictoires des États impérialistes, qui disent vouloir la victoire de Kiev tout en craignant qu’une défaite de Poutine déstabilise de façon incontrôlable la Russie et son «  étranger proche  » – ces mêmes États visent un objectif au moins aussi important pour eux. Ils veulent enchaîner à leur char de guerre leur propre population, dans le cadre ukrainien, tout en ayant en vue des conflits plus larges à venir.

    En fait, le conflit ukrainien a tout du prologue d’un affrontement plus ou moins généralisé, dont politiques, généraux et commentateurs désignent déjà la cible principale  : la Chine. Ainsi, Les Échos du 15 février a mis à sa une un article qui titrait  : «  Pour l’Amérique, la Chine redevient l’ennemi numéro un  », après que «  la guerre en Ukraine [avait un temps détourné son attention] de la confrontation  » avec la Chine.

    Déjà, les steppes, les villes et le ciel d’Ukraine servent autant aux états-majors et industriels occidentaux à affronter la #Russie, par soldats ukrainiens interposés, qu’à tester sur le vif leurs #blindés, pièces d’#artillerie, #systèmes_de_commandement, de communication, d’interception, de renseignement, et à en tirer les leçons voulues. Ils y voient aussi une aubaine pour se débarrasser de #munitions et d’engins plus ou moins anciens que les combats vont consommer . Conséquence favorable pour eux, cela justifie l’escalade des livraisons d’armes et, de ce fait, l’explosion des #budgets_militaires afin de doper les #industries_de_guerre.

    Cette conjoncture permet à des États d’engranger des commandes, parfois énormes, de pays dépendants de protecteurs plus puissants et des leaders des marchés de l’#armement.

    Ainsi, Varsovie a envisagé de donner à Kiev des vieux Mig-29 de conception soviétique pour les remplacer par des F-16 américains, et promis de lui livrer d’anciens chars Leopard, qu’elle remplacera par de nouveaux modèles. Évidemment, cela ne fait l’affaire ni de Dassault ni du char Leclerc français qui peine à trouver preneur. C’est que, même alliés au sein de l’OTAN, voire soucieux d’afficher leur unité, comme Biden l’a souligné lors de la promesse que lui et Scholtz ont voulue simultanée de livrer des tanks à Kiev, les États impérialistes restent rivaux sur ce terrain, comme sur d’autres. Les États-Unis se réservent la part du lion, avec des commandes d’armement qui ont doublé en 2022, à la mesure de leur puissance industrielle, de leur suprématie militaire… et des guerres à venir.

    Ces commandes d’armes pour l’Ukraine, qui s’ajoutent à celles que l’on dit destinées à remettre à niveau chaque armée occidentale, servent autant à tenir la dragée haute à #Poutine qu’à transformer à vitesse accélérée les #économies occidentales en «  #économies_de_guerre  », selon les termes même du programme que se sont fixé les ministres de la Défense des pays de l’#OTAN, lors de leur sommet des 14-15 février à Bruxelles. Depuis des mois, les dirigeants politiques occidentaux et plus encore les chefs de leurs armées discutent publiquement et concrètement d’une guerre généralisée qu’ils savent s’approcher. Ainsi, à Brest, l’#amiral_Vandier, chef d’état-major de la Marine, a lancé à la nouvelle promotion d’élèves-­officiers  : «  Vous entrez dans une Marine qui va probablement connaître le feu à la mer.  » Certains avancent même une date pour cela, tel le général Minihan, chef des opérations aériennes aux #États-Unis  : «  J’espère me tromper, mais mon intuition me dit que nous nous affronterons en 2025  » avec la #Chine.

    Ukraine  : un effroyable bilan humain, social et économique

    En attendant, la guerre en Ukraine a déjà tué ou blessé 180 000 militaires russes, à peine moins de soldats ukrainiens, et tué plus de 30 000 civils, estime le chef de l’armée norvégienne, membre de l’OTAN. 7,5 millions d’Ukrainiens ont trouvé refuge en Pologne, Slovaquie, Autriche, etc., et en Russie. Parmi eux se trouvent une écrasante majorité de femmes et d’enfants, car les hommes de 18 à 60 ans, mobilisables, ont l’interdiction de quitter le territoire. Il y a aussi plusieurs millions de déplacés dans le pays même.

    De nombreuses villes, grandes ou petites, ont été bombardées, parfois rasées, les infrastructures énergétiques partout frappées, ce qui a plongé la population dans l’obscurité et le froid. Le montant des destructions de routes, ponts, voies ferrées, ports, aéroports, entreprises, écoles, hôpitaux, logements… atteignait 326 milliards de dollars, selon ce qu’estimait le Premier ministre en septembre dernier. Ce montant, déjà colossal, n’a pu que croître depuis, ne serait-ce que parce qu’il s’accompagne d’énormes détournements qu’ont effectués et que vont effectuer ministres, généraux, bureaucrates et oligarques ukrainiens.

    Zelensky a reconnu la corruption de l’appareil d’État jusqu’au sommet quand il a limogé une partie de son gouvernement, dont les ministres de la Défense et de la Reconstruction, et plusieurs très hauts dirigeants. Cela ne change rien à la nature d’un État qui, source principale des nantis comme en Russie, est l’un des plus corrompus au monde  : plus que l’État russe, dit-on, ce qui n’est pas rien. En fait, Zelensky n’avait pas le choix  : une commission américaine de haut niveau avait débarqué à Kiev pour vérifier ce que devenait l’aide colossale fournie par l’oncle d’Amérique. Après tout, même si l’État américain est richissime, il a aussi ses bonnes œuvres (industriels de l’armement, financiers, capitalistes de haut vol) et ne veut pas qu’une trop grosse part des profits de guerre file dans poches des bureaucrates, oligarques et maffieux ukrainiens.

    Et puis, au moment même où l’Occident annonçait fournir des tanks à l’État ukrainien, il ne s’agissait pas que le régime apparaisse pour ce qu’il est  : celui de bandits prospérant sur le dos de la population. Cela s’adressait moins à l’opinion occidentale, qui ne connaît de la situation que ce qu’en disent les médias, qu’à la population ukrainienne.

    Victime des bombardements et exactions de l’armée russe, elle se rend compte qu’elle est aussi la victime des parasites de la haute bureaucratie, des ministres véreux ou des généraux voleurs. Et l’union sacrée n’a pas fait disparaître les passe-droits qui permettent aux nantis de profiter en paix de leur fortune à l’étranger, tandis que leurs sbires de la police raflent les hommes, valides ou pas, pour le front. Les résistances que cela provoque ici ou là n’ont rien pour étonner dans un tel contexte, d’autant que, si l’armée a d’abord pu compter sur des volontaires, ceux qu’elle mobilise maintenant n’en font, par définition, pas partie.

    Tout à leurs commentaires dithyrambiques sur un régime censé incarner la démocratie et l’unité d’un peuple derrière ses dirigeants, les médias français préfèrent tirer un voile pudique sur des faits qui pourraient gâcher leur tableau mensonger.

    [...] Le régime de la bureaucratie russe et de ses oligarques milliardaires, lui-même bien mal en point socialement et économiquement, corrompu, policier et antiouvrier, ne peut représenter aucun avenir pour la population ukrainienne, même russophone.

    Quant au régime qu’incarne Zelensky, ce chargé de pouvoir des grandes puissances et de leurs trusts qui lorgnent sur les richesses agricoles et minières de l’Ukraine ainsi que sur sa main-d’œuvre qualifiée, afin de l’exploiter avec des salaires misérables , ce qui a commencé dès 2014, le conflit lui a sans doute sauvé la mise, au moins dans un premier temps. Comme dans toute guerre, la population s’est retrouvée bon gré mal gré derrière un pouvoir qui se faisait fort de la défendre. Mais gageons que de larges pans des classes populaires n’ont pas oublié pour autant ce qu’avait fini par leur inspirer cet acteur devenu président, qui avait joué au «  serviteur du peuple  » pour mieux préserver les intérêts des nantis.

    S’affrontant sur le terrain par peuples interposés, les dirigeants occidentaux, représentants d’une bourgeoisie impérialiste qui domine le monde, les dirigeants russes, représentants des parasites qui exploitent les travailleurs de Russie, les dirigeants ukrainiens, représentants de leurs oligarques autant que des trusts occidentaux, sont tous des ennemis des classes populaires, de la classe ouvrière.

    Et les travailleurs, où qu’ils se trouvent, quelle que soit leur nationalité, leur langue ou leur origine, n’ont aucune solidarité à avoir, sous quelque prétexte que ce soit, avec «  l’ennemi principal qui est toujours dans notre propre pays  », comme disait le révolutionnaire allemand Karl Liebknecht en 1916, en pleine Première Guerre mondiale.

    Partout, la marche à une économie de guerre

    Le 6 février, Antonio Guterres, secrétaire général de l’ONU [...] : «   Le monde se dirige les yeux grand ouverts [vers] une guerre plus large .  »

    On vient d’en avoir la confirmation au sommet des ministres de la Défense des membres de l’OTAN. Il leur a été demandé, selon Les Échos, «  de passer en #économie_de_guerre  », de relancer et activer la #production_d’armements, et d’abord d’#obus, de #chars et de pièces d’artillerie, pour faire face à «  une #guerre_d’usure  » en Ukraine. Et de préciser que si, il y a dix ans, les États-Unis demandaient à leurs alliés de monter leurs #dépenses_militaires à 2 % de leur produit intérieur brut, ce chiffre est désormais considéré comme un plancher que beaucoup ont dépassé. La conférence sur la sécurité en Europe qui a suivi, à Munich, a réuni la plupart des dirigeants européens et mondiaux pour aller dans le même sens.

    C’est ce qu’ils font en cherchant à persuader leur population de l’inéluctabilité de la guerre  ; en lui désignant comme ennemis certains pays, au premier rang desquels la Russie et la Chine  ; en déployant une propagande insidieuse mais permanente dans les médias autour de thèmes guerriers  ; en mettant l’accent sur la préparation de la #jeunesse à servir «  sa  » nation, à la défendre, sans jamais dire qu’il s’agira de la transformer en #chair_à_canon pour les intérêts des classes possédantes. Le gouvernement français s’en charge avec son #Service_national_universel, qui vise à apprendre à des jeunes à marcher au pas, avec des reportages télévisés plus ou moins suscités sur le service à bord de navires de guerre, sur des régions sinistrées (Saint-Étienne) où la reprise de la production d’armes ferait reculer le chômage. Le nouveau ministre allemand de la Défense se situe sur le même terrain, lui qui veut rétablir le service militaire et faire de la Bundeswehr la première armée du continent grâce aux 100 milliards de hausse de son #budget.

    En juin dernier, Macron avait annoncé la couleur avec son plan Économie de guerre doté par l’État de 413 milliards sur sept ans. Il fallait «  aller plus vite, réfléchir différemment sur les rythmes, les montées en charge, les marges, pour pouvoir reconstituer plus rapidement ce qui est indispensable pour nos #armées, pour nos alliés ou pour celles [comme en Ukraine] que nous voulons aider  ». Et, s’adressant aux dirigeants de l’organisme qui regroupe les 4 000 entreprises du secteur militaire, il leur avait promis des décisions et, surtout, des #investissements. Pour les #profits, la guerre est belle…

    Bien au-delà du conflit ukrainien, la cause profonde de l’envolée des budgets militaires est à chercher dans la crise du système capitaliste mondial, qui va s’aggravant sans que quiconque dans les milieux dirigeants de la bourgeoisie en Europe et en Amérique sache comment y faire face.

    Comme à chaque fois que le monde se trouve confronté à une telle situation, la bourgeoisie et ses États en appellent à l’industrie d’armement pour relancer l’économie. Car, grâce au budget militaire des États, elle échappe à la chute de la demande qui affecte les secteurs frappés par la baisse du pouvoir d’achat des couches populaires et, en dopant le reste de l’économie par des commandes de machines, de logiciels, de matériaux, de matières premières, etc., la bourgeoisie peut espérer que cela l’aidera à maintenir le taux de profit général.

    [...] même quand certains prétendent chercher une solution de paix à une guerre que leur politique a suscitée, la logique de leur politique d’armement continu de l’un des deux camps sur le terrain, celle de la militarisation de l’économie de nombreux pays sur fond d’une crise générale dont l’évolution leur échappe, tout cela fait que, de la guerre en Ukraine à un conflit plus large, la distance pourrait être bien plus courte qu’on ne le croit.

    Contrairement à ce qu’affirme Guterres, ce n’est pas toute l’humanité qui avance vers l’abîme les yeux grands ouverts. Les dirigeants politiques de la bourgeoisie ne peuvent pas ne pas voir ce qu’ils trament, eux, et dans quels intérêts, ceux de la bourgeoisie. Cela, ils le discernent en tout cas bien mieux que les masses du monde entier, auxquelles on masque la réalité, ses enjeux et son évolution qui s’accélère.

    Oui, en Ukraine, en Russie, comme partout ailleurs, le niveau de la conscience et de l’organisation de la classe ouvrière est très en retard sur cette course à la guerre dans laquelle la bourgeoisie engage l’humanité. Et plus encore au regard de ce qu’il faudrait pour l’enrayer, la transformer en guerre de classe pour l’émancipation des travailleurs du monde entier.

    C’est ce que firent les bolcheviks en Russie en 1917, en pleine guerre mondiale. C’est sur cette voie qu’il faut que s’engagent, en communistes révolutionnaires et internationalistes, en militants de la seule classe porteuse d’avenir, le prolétariat, toutes celles et tous ceux qui veulent changer le monde avant qu’il ne précipite à nouveau l’humanité dans la barbarie. Alors, pour paraphraser ce que Lénine disait de la révolution d’Octobre  : «  Après des millénaires d’esclavage, les esclaves dont les maîtres veulent la guerre leur [répondront]  : Votre guerre pour le butin, nous en ferons la guerre de tous les esclaves contre tous les maîtres.  »

    #guerre_en_ukraine #capitalisme #crise

    • Royaume-Uni : hausse significative du budget militaire

      A l’occasion de la mise à jour de sa doctrine de politique étrangère, le Royaume-Uni a annoncé son intention de porter à terme son #budget_défense à 2,5 % du PIB.

      Face aux « nouvelles menaces », le #Royaume-Uni va investir cinq milliards de livres supplémentaires dans sa politique de défense. Cette rallonge va porter ce budget à 2,25 % du PIB à horizon 2025, un redressement jamais vu depuis la guerre froide.
      Cette enveloppe doit permettre de « reconstituer et de renforcer les stocks de #munitions, de moderniser l’entreprise nucléaire britannique et de financer la prochaine phase du programme de #sous-marins_Aukus », a souligné Downing Street dans un communiqué, le jour même de la signature à San Diego du contrat entre l’Australie, les Etats-Unis et le Royaume-Uni. A terme, l’objectif est de revenir à des dépenses militaires équivalentes à 2,5 % du PIB, bien au-dessus de l’engagement pris au niveau de l’#Otan (2 % du PIB).

      Ces annonces interviennent au moment où le Royaume-Uni met à jour sa doctrine de politique étrangère dans un document de 63 pages qui fait la synthèse des principaux risques pour la sécurité du pays. La dernière mouture, publiée il y a trois ans, exposait les ambitions de la « Global Britain » de Boris Johnson au lendemain du Brexit. La #Russie y était identifiée comme la principale menace pour la sécurité. La #Chine était qualifiée de « défi systémique » et le document annonçait un « pivot » du Royaume-Uni vers l’axe Indo-Pacifique.
      Les tendances observées sont toujours les mêmes, mais « elles se sont accélérées ces deux dernières années », observe cette nouvelle revue. « Nous sommes maintenant dans une période de risques renforcés et de volatilité qui va probablement durer au-delà des années 2030 », note le rapport.

      (Les Échos)

      #militarisation #impérialisme

    • Les importations d’armes en Europe en forte hausse

      Les #achats_d'armement ont quasiment doublé l’an dernier sur le sol européen

      Depuis le début de la guerre en Ukraine, l’Europe s’arme massivement. C’est ce que confirme le dernier rapport de l’#Institut_international_de_recherche_sur_la_paix_de_Stockholm (Sipri), publié lundi. Hors Ukraine, les #importations_d'armements sur le Vieux Continent se sont envolées de 35 % en 2022. En intégrant les livraisons massives d’#armes à l’Ukraine, elles affichent une hausse de 93 %.

      […] Sur la période 2018-2022, privilégiée par le #Sipri pour identifier les tendances de fond, les importations d’armes européennes affichent ainsi une hausse de 47 % par rapport aux cinq années précédentes, alors qu’au niveau mondial, les transferts internationaux d’armes ont diminué de 5,1 % sur cette période. Un contraste majeur qui témoigne de la volonté des Européens d’« importer plus d’armes, plus rapidement », explique Pieter ​Wezeman, coauteur du rapport.
      Dans cette optique, outre les industriels locaux, les Européens comptent sur les #Etats-Unis. Sur la période 2018-2022, ces derniers ont représenté 56 % des #importations_d'armes de la région. Le premier importateur en #Europe a été le Royaume-Uni, suivi de l’#Ukraine et de la Norvège.
      […]

      En France, #Emmanuel_Macron a proposé une augmentation de 100 milliards d’euros pour la loi de programmation militaire 2024-2030 par rapport à la période 2019-2025. Le Premier ministre britannique, #Rishi_Sunak, vient pour sa part d’annoncer que le #Royaume-Uni allait investir 5 milliards de livres (5,6 milliards d’euros) supplémentaires dans la défense, dans un contexte de « nouvelles menaces venues de #Russie et de #Chine ». Plus symbolique encore, l’Allemagne du chancelier #Olaf_Scholz a annoncé, en mai 2022, le lancement d’un fonds spécial de 100 milliards pour moderniser son armée et rompre avec des décennies de sous-investissement.

      (Les Échos)

      #militarisation

    • La France s’apprête à relocaliser sur son sol une vingtaine de productions industrielles militaires , révèle mardi franceinfo. Ces relocalisations sont une déclinaison de « l’économie de guerre » réclamée par l’Élysée.

      Le mois dernier, on a appris que la France s’apprêtait à relocaliser la production de #poudre pour ses obus d’artillerie (de 155mm). Selon nos informations, en tout, il y aura une vingtaine de relocalisations stratégiques en France.

      Dans le détail, la France va donc de nouveaux produire sur son territoire des #coques de bateaux produites jusqu’à présent dans les pays de l’Est, des explosifs pour gros calibres produits en Suède, Italie ou encore Allemagne, mais, surtout, des pièces jugées « critiques » pour certains moteurs d’hélicoptères. On parle ici précisément des disques des turbines haute-pression des bi-moteurs RTM322. Jusqu’à présent, ces pièces étaient élaborées aux Etats-Unis puis forgées en Angleterre. Bientôt, l’élaboration et la forge seront faites en France dans l’usine #Aubert_et_Duval située dans le Puy-de-Dôme. […]

      (France Info)

      #militarisation #relocalisation #industrie_de_la_défense

    • Emmanuel Chiva est à la tête (de l’emploi) de la direction générale de l’armement (DGA). Son sale boulot : mettre en œuvre l’« économie de guerre » voulue par Macron.

      Un type qui pratique au quotidien "l’argent magique" et un "pognon de dingue" (public) au service des capitalistes de l’armement. Le principe : un vol à grande échelle des fruits du travail de millions de travailleurs pour produire en masse du matériel de destruction massive.

      Pour nous en faire accepter les conséquences (les futures baisses du pouvoir d’achat, les hôpitaux fermés, les écoles surchargées, les enseignants en sous-effectif, les transports dégradés, un budget de l’État écrasé par la dette, etc.), Le Monde lui tend ses colonnes : « Nous sommes entrés dans l’économie de guerre »
      https://www.lemonde.fr/international/article/2023/03/15/emmanuel-chiva-dga-nous-sommes-entres-dans-l-economie-de-guerre_6165595_3210

    • La marche vers un économie de guerre
      https://lutte-ouvriere.be/la-marche-vers-un-economie-de-guerre

      [...] Les USA augmentent fortement leur budget militaire, l’Allemagne débloque 100 milliards pour l’armée, la France annonce plus de 400 milliards de budget pour les prochaines années et en Belgique, 14 milliards de dépenses guerrières supplémentaires sont prévues d’ici 2030.

      Pour faire accepter l’envolée des dépenses militaires, alors que partout les besoins des populations sont criants, les dirigeants des pays capitalistes cherchent à persuader de l’inéluctabilité de la guerre. Ils désignent comme ennemis certains pays, au premier rang desquels la Russie et la Chine, et déploient une propagande insidieuse mais permanente dans les médias autour de thèmes guerriers.

      Les gouvernements mettent aussi l’accent sur la préparation de la jeunesse qu’ils comptent utiliser comme chair à canon. L’Etat belge s’en est chargé en ouvrant cette année, dans 13 écoles de la fédération Wallonie Bruxelles, une option « métiers de la Défense et de la sécurité » dans laquelle des jeunes sont préparés à devenir agent de sécurité, policier ou militaire, à partir de la quatrième secondaire technique !

      Au-delà du conflit ukrainien, la cause profonde de l’envolée des budgets militaires est à chercher dans la crise du système capitaliste mondial qui ne fait que s’aggraver.

    • Vers un doublement du budget militaire / Le Japon tourne la page du pacifisme
      https://www.monde-diplomatique.fr/2023/03/POUILLE/65605

      Ce samedi 27 novembre 2021, le premier ministre japonais Kishida Fumio effectue une visite matinale des troupes de défense terrestre sur la base d’Asaka, au nord de Tokyo. Après un petit tour en char d’assaut, il prononce un discours de rupture : « Désormais, je vais envisager toutes les options, y compris celles de posséder des capacités d’attaque de bases ennemies, de continuer le renforcement de la puissance militaire japonaise. » Selon le chef du gouvernement, « la situation sécuritaire autour du Japon change à une vitesse sans précédent. Des choses qui ne se produisaient que dans des romans de science-fiction sont devenues notre réalité ». Un an plus tard, M. Kishida annonce le doublement des dépenses de #défense et débloque l’équivalent de 315 milliards de dollars sur cinq ans. Le #Japon va ainsi disposer du troisième budget militaire du monde derrière ceux des États-Unis et de la Chine. Il représentera 2 % du produit intérieur brut (PIB), ce qui correspond à l’engagement pris en 2014 par les vingt-huit membres de l’Organisation du traité de l’Atlantique nord (#OTAN)… dont il ne fait pourtant pas partie.

      Ces décisions — qui s’inscrivent dans le cadre de la nouvelle « stratégie de sécurité nationale » dévoilée en août 2022 — changent profondément les missions des forces d’autodéfense, le nom officiel de l’#armée_nippone. Elles ne s’en tiendront plus, en effet, à défendre le pays mais disposeront des moyens de contre-attaquer. Et même de détruire des bases militaires adverses.

      Cette #militarisation et cette imbrication renforcée avec les États-Unis sonnent, pour la presse chinoise, comme dune dangereuse alerte. Certes, les rapports sino-japonais s’étaient déjà dégradés quand Tokyo avait acheté, le 11 septembre 2012, trois des îles Senkaku/Diaoyu à leur propriétaire privé et que, dans la foulée, Pékin avait multiplié les incursions dans la zone (8). Les visites régulières d’Abe au sanctuaire Yasukuni, qui honore la mémoire des criminels de guerre durant la seconde guerre mondiale, n’avaient rien arrangé.

      Mais le climat s’était plutôt apaisé dans la dernière période. « J’étais parvenu à un consensus important [avec Abe] sur la construction de relations sino-japonaises répondant aux exigences de la nouvelle ère (9) », a même témoigné le président chinois après l’assassinat de l’ex-premier ministre, en juillet 2022. Depuis l’annonce de la nouvelle stratégie de défense, le ton a changé.

      [...] en tournant le dos brutalement à sa politique pacifiste, le Japon se place en première ligne face à Pékin et éloigne tout espoir d’autonomie vis-à-vis des États-Unis. Cette impossible entrée dans l’après-guerre froide cohabite pourtant avec un dynamisme régional haletant où, de Hanoï à Colombo, ce pays vieillissant a construit les leviers de sa future croissance. Il y est en concurrence directe avec la Chine, très présente. Déjà, la plupart des pays asiatiques refusent de choisir entre Pékin et Washington, qui leur promet la sécurité. Et avec Tokyo ?

      (Le Monde diplomatique, mars 2023)

      #budget_militaire

    • Le géant de l’armement Rheinmetall surfe sur la remilitarisation de l’Europe (Les Échos)

      L’entrée au DAX, lundi, du premier producteur de munitions et constructeur de chars en Europe consacre le retour en force des combats conventionnels terrestres. Après une année 2022 record, Rheinmetall s’attend à faire mieux encore en 2023.

      Ce lundi, Armin Papperger, le patron de Rheinmetall, se fera un plaisir de sonner la cloche de la Bourse de Francfort pour marquer l’entrée de son groupe dans le Dax après une année record. Son cours a doublé et sa valorisation avoisine 10,5 milliards d’euros. « Le changement d’ère et la guerre en Europe ont ouvert une nouvelle page pour #Rheinmetall », a-t-il déclaré jeudi, lors de la présentation des résultats du premier producteur de munitions et constructeur de chars en Europe.

      Le retour des combats conventionnels terrestres a dopé le résultat net de ce dernier : il a bondi de 61 %, à 469 millions d’euros pour un chiffre d’affaires record de 6,4 milliards d’euros, en hausse de 13,25 %. Le résultat opérationnel (Ebit hors effets exceptionnels) a, lui, progressé de 27 %, à 754 millions d’euros. Et ce n’est qu’un début : « Je m’attends à ce que l’année 2023 soit de loin la meilleure année de l’histoire de l’entreprise en termes de commandes », a annoncé Armin Papperger.

      Carnet de commandes record

      Il a plusieurs fois loué devant la presse l’efficacité du nouveau ministre de la Défense Boris Pistorius, qui devrait, selon lui, permettre de débloquer enfin les 100 milliards du fonds de modernisation de l’armée allemande. Sur cette enveloppe, le patron de Rheinmetall estime pouvoir capter 38 milliards d’euros d’ici à 2030, dont 20 milliards répartis à parts équivalentes entre les chars et la numérisation des forces terrestres, et 8 milliards pour les munitions. A ces montants s’ajoute la hausse prévisible du budget de la défense allemande : Boris Pistorius a réclamé 10 milliards de plus par an et il faudrait même 10 milliards supplémentaires pour atteindre les 2 % du PIB. Un objectif pour tous les membres de l’Otan qui devrait rapidement devenir un prérequis minimum. Le réarmement généralisé des pays de l’Alliance atlantique ne peut donc que profiter à Rheinmetall. Il vient en outre d’élargir sa palette en s’invitant dans la fabrication du fuselage central du F-35 américain qui devrait lui rapporter plusieurs milliards d’euros. Le groupe, qui affichait déjà l’an dernier un carnet de commandes record de 24 milliards d’euros, estime avoir les capacités pour faire bien davantage.

      600.000 obus

      En Ukraine, Rheinmetall assure ainsi pouvoir livrer un peu moins de la moitié des besoins de la production d’artillerie. Avec l’achat du fabricant espagnol Expal Systems, qui devrait être bouclé dans l’année, la capacité annuelle du groupe passe à environ 450.000 obus, voire 600.000 d’ici à deux ans.

      Rheinmetall est en train d’agrandir une usine en Hongrie et souhaite en ouvrir une de poudre en Saxe avec la participation financière de Berlin. Selon Armin Papperger, l’intégration verticale de l’entreprise, qui produit elle-même ses composants, la met par ailleurs à l’abri d’un chantage éventuel de la Chine sur les matières premières. Quant à la main-d’oeuvre, elle ne manquerait pas : le groupe se dit « inondé de candidatures », il a recruté 3.000 personnes l’an dernier et compte en faire autant cette année. Toutes les planètes sont donc alignées aux yeux de Rheinmetall pour pousser les feux. Le groupe vise un chiffre d’affaires de 7,4 à 7,6 milliards d’euros en 2023, ce qui représenterait une nouvelle hausse de 15,5 % à 18,7 %. Sa marge opérationnelle devrait passer de 11,8 % à 12 % environ.

      #militarisation #militarisme #capitalisme #troisième_guerre_mondiale

    • La guerre en Ukraine accélère la militarisation

      La guerre en Ukraine accélère la militarisation de l’Europe. Tragédie pour les populations ukrainienne et russe qui ont déjà payé cette guerre de 30 000 morts, elle est une aubaine pour les militaires et les marchands d’armes. Première guerre dite «  de haute intensité  » en Europe depuis 1945, sur un front de plus de 1 000 kilomètres, elle permet aux militaires de tester leurs matériels, de valider ou adapter leurs doctrines d’utilisation. Elle offre un marché inespéré pour les marchands d’armes appelés à fournir munitions et missiles, drones ou chars détruits en grande quantité. Elle accélère la hausse des budgets militaires de tous les États.

      Une militarisation engagée avant la guerre en Ukraine

      La hausse des dépenses militaires dans le monde était engagée avant l’invasion russe de l’Ukraine. Selon le dernier rapport du Sipri, l’Institut international pour la paix de Stockholm, publié le 25 avril, les dépenses militaires dans le monde ont dépassé en 2021, pour la première fois, la barre des 2 000 milliards de dollars, avec 2 113 milliards de dollars, soit 2,2 % du PIB mondial. C’est la septième année consécutive de hausse des dépenses militaires dans le monde selon ce rapport, qui précise  : «  Malgré les conséquences économiques de la pandémie de Covid-19, les dépenses militaires mondiales ont atteint des niveaux records.  »

      Si la Russie, présentée comme le seul agresseur et va-t-en-guerre, a augmenté son budget militaire en 2021, qui atteint 66 milliards de dollars et 4 % de son PIB, elle n’arrive qu’en cinquième position dans le classement des puissances les plus dépensières, derrière les États-Unis, la Chine, l’Inde et la Grande-Bretagne.

      En Grande-Bretagne, avec 68,3 milliards de dollars, les dépenses militaires sont en hausse de 11,1 %. Après le Brexit, Boris Johnson a multiplié les investissements, en particulier dans la marine. Peu avant sa démission, il affirmait vouloir restaurer l’impérialisme britannique en tant que «  première puissance navale en Europe  » et marquait à la culotte les autres puissances impérialistes du continent. Il a été l’un des premiers dirigeants européens à se rendre à Kiev pour afficher son soutien à Zelensky. Toute une brochette de politiciens britanniques milite pour que les dépenses militaires augmentent plus vite encore dans les années à venir. Ainsi, Nile Gardiner, ancien collaborateur de Thatcher, affirmait en mars au Daily Express : «  Les dépenses de défense devraient doubler, de deux à quatre pour cent [du PIB] dans les années à venir si la Grande-Bretagne veut sérieusement redevenir une puissance mondiale.  »

      Johnson a renforcé par divers canaux sa coopération militaire avec les États-Unis. Ces liens étroits entre les impérialismes britannique et américain ont été illustrés par l’alliance #Aukus (acronyme anglais pour Australie, Royaume-Uni et États-Unis) contre la Chine. Cette alliance s’est concrétisée par la commande australienne de huit sous-marins à propulsion nucléaire, pour la somme de 128 milliards de dollars. Déjà en hausse de 4 % en 2021 par rapport à 2020, les dépenses militaires de l’Australie sont donc appelées à augmenter. C’est aussi la politique occidentale agressive vis-à-vis de la Chine, et les pressions américaines, qui ont poussé le Japon à dépenser 7 milliards de dollars de plus en 2021 pour ses armées, la plus forte hausse depuis 1972.

      Selon le rapport du #Sipri, dès 2021, donc avant la guerre en Ukraine, huit pays européens membres de l’#Otan avaient porté leurs dépenses militaires à 2 % de leur PIB, ce que réclament depuis longtemps les États-Unis à leurs alliés. Avec 56,6 milliards de dollars (51 milliards d’euros) dépensés en 2021, la France est passée de la huitième à la ­sixième place des États pour leurs dépenses en armement. La loi de programmation militaire 2019-2025 avait déjà prévu un budget de 295 milliards d’euros sur six ans, pour arriver à plus de 2,5 % du PIB en 2025.

      La guerre en Ukraine a donc éclaté dans ce contexte d’augmentation générale des dépenses d’armement, qu’elle ne peut qu’accélérer et renforcer.

      Les leçons de la guerre en Ukraine

      Pour les états-majors et les experts, la #guerre_en_Ukraine n’est pas une tragédie mais d’abord un formidable terrain d’expérimentation des matériels de guerre et des conditions de leur mise en œuvre. Chaque épisode – offensive contrariée des armées russes au début de la #guerre, retrait du nord de l’#Ukraine puis offensive dans le #Donbass, destruction méthodique des villes – et les diverses façons d’utiliser l’artillerie, les drones, l’aviation, les moyens de communication et de renseignement sont étudiés pour en tirer le maximum de leçons. Depuis six mois, des milliers d’experts et d’ingénieurs chez #Thales, #Dassault, #Nexter, MBDA (ex-Matra), #Naval_Group ou chez leurs concurrents américains #Lockheed_Martin, #Boeing ou #Northrop_Grumman, étudient en détail comment cette guerre met en lumière «  la #numérisation du champ de bataille, les besoins de munitions guidées, le rôle crucial du secteur spatial, le recours accru aux drones, robotisation, cybersécurité, etc.  » (Les Échos du 13 juin 2022). Ces experts ont confronté leurs points de vue et leurs solutions technologiques à l’occasion de l’immense salon de l’#armement et de la sécurité qui a réuni, début juin à Satory en région parisienne, 1 500 #marchands_d’armes venus du monde entier. Un record historique, paraît-il  !

      Les leçons de la guerre en Ukraine ne sont pas seulement technologiques. Comme l’écrivait le journal Les Échos du 1er avril 2022, «  la guerre entre grands États est de retour en Europe. » Cette guerre n’a plus rien à voir avec «  les “petites guerres” comme celles de Bosnie ou du Kosovo, ni les opérations extérieures contre des groupes terroristes (Al Qaida, Daech) ou des États effondrés (Libye, 2011)  ». Pour les militaires, cette guerre n’est plus «  une guerre échantillonnaire mais une guerre de masse  », tant du point de vue du nombre de soldats tués ou blessés au combat que du nombre de munitions tirées et du matériel détruit.

      Entre février et juin, selon les estimations réalisées malgré la censure et les mensonges de chaque camp, cette guerre aurait fait 30 000 morts russes et ukrainiens, plusieurs centaines par jour. L’Ukraine rappelle que la guerre est une boucherie, que les combats exigent sans cesse leur chair à canon, avec des soldats qui pourrissent et meurent dans des tranchées, brûlent dans des chars ou sont tués ou estropiés par des obus et des missiles. Leur guerre «  de haute intensité  », c’est avant tout des morts, parmi les militaires comme les civils. Préparer les esprits à accepter de «  mourir pour nos valeurs démocratiques  », autre déclinaison du «  mourir pour la patrie  », est l’un des objectifs de la #propagande des gouvernements occidentaux qui mettent en scène la guerre en Ukraine.

      Côté matériel, les armées russes ont perdu plusieurs centaines de chars. Les États-Unis et leurs alliés ont livré plusieurs dizaines de milliers de missiles sol-sol ou sol-air de type Javelin ou Stinger, à 75 000 dollars pièce. Une semaine après le début de l’invasion russe, le colonel en retraite Michel Goya, auteur d’ouvrages sur les guerres contemporaines, écrivait  : «  L’#armée_de_terre française n’aurait plus aucun équipement majeur au bout de quarante jours  » (véhicules de combat, pièces d’artillerie…). La conclusion de tous ces gens-là est évidente, unanime  : il faut «  des forces plus nombreuses, plus lourdement équipées [qui] exigeront des budgets de défense accrus  » (Les Échos, 1er avril 2022). Augmenter les budgets militaires, drainer toujours plus d’argent public vers l’industrie militaire ou sécuritaire, c’est à quoi s’emploient les ministres et les parlementaires, de tous les partis, depuis des années.

      Des complexes militaro-industriels concurrents

      La guerre en Ukraine, avec l’augmentation spectaculaire des #budgets_militaires qu’elle accélère, est une aubaine pour les marchands d’armes. Mais elle intensifie en même temps la guerre que se livrent ces industriels. L’annonce par le chancelier allemand, fin février, d’un emprunt de 100 milliards d’euros pour remettre à niveau la #Bundeswehr, autrement dit pour réarmer l’Allemagne, a déclenché des polémiques dans l’#Union_européenne. Le journal Les Échos du 30 mai constatait avec dépit  : «  L’#armée_allemande a annoncé une liste de courses longue comme le bras, qui bénéficiera essentiellement aux industries américaines  : achat de #F-35 à Lockheed Martin, d’hélicoptères #Chinook à Boeing, d’avions P8 à Boeing, de boucliers antimissiles à Israël, etc.  » Au grand dam des militaristes tricolores ou europhiles, le complexe militaro-industriel américain profitera bien davantage des commandes allemandes que les divers marchands de mort européens.

      Il en est ainsi depuis la naissance de l’Union européenne  : il n’y a pas une «  #défense_européenne  » commune car il n’y a pas un #impérialisme européen unique, avec un appareil d’État unique défendant les intérêts fondamentaux d’une #grande_bourgeoisie européenne. Il y a des impérialismes européens concurrents, représentant des capitalistes nationaux, aux intérêts économiques complexes, parfois communs, souvent opposés. L’#impérialisme_britannique est plus atlantiste que les autres puissances européennes et très tourné vers son vaste ex-­empire colonial. L’#impérialisme_français a développé ses armées et sa marine pour assurer sa mainmise sur son pré carré ex-colonial, en particulier en Afrique. L’impérialisme allemand, qui s’est retranché pendant des décennies derrière la contrition à l’égard des années hitlériennes pour limiter ses dépenses militaires, en se plaçant sous l’égide de l’Otan et des #États-Unis, a pu consacrer les sommes économisées à son développement économique en Europe centrale et orientale. Les interventions militaires ou diplomatiques n’étant que la continuation des tractations et des rivalités commerciales et économiques, il n’a jamais pu y avoir de défense européenne commune.

      Les rivalités permanentes entre Dassault, Airbus, #BAE, #Safran ont empêché la construction d’un avion de combat européen. La prépondérance des États-Unis dans l’Otan et leur rôle majeur en Europe de l’Est et dans la guerre en Ukraine renforcent encore les chances du #secteur_militaro-industriel américain d’emporter les futurs marchés. Ces industriels américains vendent 54 % du matériel militaire dans le monde et réalisent 29 % des exportations. L’aubaine constituée par les futures dépenses va aiguiser les appétits et les rivalités.

      Bien sûr, les diverses instances européennes s’agitent pour essayer de ne pas céder tout le terrain aux Américains. Ainsi, le commissaire européen au Commerce et ex-ministre français de l’Économie, Thierry Breton, vient de débloquer 6 milliards d’euros pour accélérer le lancement de 250 satellites de communication de basse orbite, indispensables pour disposer d’un réseau de communication et de renseignement européen. Jusqu’à présent, les diverses armées européennes sont dépendantes des États-Unis pour leurs renseignements militaires, y compris sur le sol européen.

      À ce jour, chaque pays européen envoie en Ukraine ses propres armes, plus ou moins compatibles entre elles, selon son propre calendrier et sa volonté politique. Les champs de bataille du Donbass servent de terrain de démonstration pour les canons automoteurs français Caesar, dont les journaux télévisés vantent régulièrement les mérites, et les #chars allemands Gepard, anciens, ou Leopard, plus récents. La seule intervention commune de l’Union européenne a été le déblocage d’une enveloppe de financement des livraisons d’armes à l’Ukraine, d’un montant de 5,6 milliards sur six ans, dans laquelle chaque État membre peut puiser. C’est une façon de faciliter l’envoi d’armes en Ukraine aux pays de l’UE les moins riches. Avec l’hypocrisie commune aux fauteurs de guerre, les dirigeants de l’UE ont appelé cette enveloppe «  la facilité européenne pour la paix  »  !

      Vers une économie de guerre  ?

      Pour passer d’une «  guerre échantillonnaire  » à une «  guerre de masse  », la production d’armes doit changer d’échelle. Pour ne parler que d’eux, les fameux canons Caesar de 155 millimètres sont produits en nombre réduit, une grosse dizaine par an, dans les usines #Nexter de Bourges, pour la somme de 5 millions d’euros l’unité. Pour en livrer une douzaine à l’Ukraine, le gouvernement a dû les prélever sur la dotation de l’armée française, qui n’en a plus que 64 en service. Juste avant le début de la guerre en Ukraine, Hervé Grandjean, le porte-parole des armées, rappelait les objectifs de l’armée française pour 2025  : «  200 chars Leclerc, dont 80 rénovés, 135 #blindés_Jaguar, 3 300 #blindés_légers, 147 hélicoptères de reconnaissance et d’attaque dont 67 Tigre, 115 #hélicoptères de manœuvre, 109 #canons de 155 et 20 drones tactiques notamment  ». En comparaison, et même si les chars des différentes armées n’ont ni les mêmes caractéristiques ni la même valeur, en trois mois de guerre en Ukraine, plus de 600 chars russes ont été détruits ou mis hors service.

      La guerre en Ukraine devrait donc permettre aux militaires d’obtenir davantage de coûteux joujoux. Ils ont reçu le soutien inconditionnel du président de la Cour des comptes, l’ex-socialiste Pierre Moscovici, pour qui «  l’aptitude des armées à conduire dans la durée un combat de haute intensité n’est pas encore restaurée  ». Et dans son discours du 14 juillet, Macron a confirmé une rallonge de 3 milliards d’euros par an pour le budget de l’armée. Mais pour rééquiper en masse les armées européennes, il faut que les capacités de production suivent. Le 13 juin, Le Monde titrait  : «  Le ministère de la Défense réfléchit à réquisitionner du matériel du secteur civil pour refaire ses stocks d’armes  », et précisait  : «  L’État pourrait demander à une PME de mécanique de précision qui ne travaille pas pour le secteur de la défense de se mettre à disposition d’un industriel de l’armement pour accélérer ses cadences.  » Et comme toujours, l’État s’apprête à prendre en charge lui-même «  les capacités de production de certaines PME de la défense, en payant par exemple des machines-outils  ». Les capitalistes n’étant jamais si bien servis que par eux-mêmes, le chef de l’UIMM, le syndicat des patrons de la métallurgie, est désormais #Éric_Trappier, le PDG de Dassault.

      Produire plus massivement du matériel militaire coûtera des dizaines, et même des centaines, de milliards d’euros par an. Il ne suffira pas de réduire encore plus les budgets de la santé ou de l’école. Les sommes engagées seront d’un tout autre niveau. Pour y faire face, les États devront s’endetter à une échelle supérieure. Les gouvernements européens n’ont peut-être pas encore explicitement décidé un tel tournant vers la production en masse de ce matériel militaire, mais les plus lucides de leurs intellectuels s’y préparent. L’économiste et banquier Patrick Artus envisageait dans Les Échos du 8 avril le passage à une telle «  #économie_de_guerre  ». Pour lui, cela aurait trois conséquences  : une hausse des #dépenses_publiques financées par le déficit du budget de l’État avec le soutien des #banques_centrales  ; une forte inflation à cause de la forte demande en énergie et en métaux parce que les #dépenses_militaires et d’infrastructures augmentent  ; enfin la rupture des interdépendances entre les économies des différents pays à cause des ruptures dans les voies d’approvisionnement.

      Avant même que les économies européennes ne soient devenues «  des économies de guerre  », les dépenses publiques au service des capitalistes ne cessent d’augmenter, l’inflation revient en force, aggravée par la spéculation sur les pénuries ou les difficultés d’approvisionnement de telle ou telle matière première. L’#économie_capitaliste est dans une impasse. Elle est incapable de surmonter les contradictions qui la tenaillent, et se heurte une fois de plus aux limites du marché solvable et à la concurrence entre capitalistes, qui engendrent les rivalités entre les puissances impérialistes  ; à la destruction des ressources  ; et à son incapacité génétique d’en planifier l’utilisation rationnelle au service de l’humanité. La course au militarisme est inexorable, car elle est la seule réponse à cette impasse qui soit envisageable par la grande bourgeoisie. Cela ne dépend absolument pas de la couleur politique de ceux qui dirigent les gouvernements. Le militarisme est inscrit dans les gènes du capitalisme.

      Le #militarisme, une fuite en avant inexorable

      Il y a plus d’un siècle, #Rosa_Luxemburg notait que le militarisme avait accompagné toutes les phases d’accumulation du #capitalisme  : «  Il est pour le capital un moyen privilégié de réaliser la plus-value.  » Dans toutes les périodes de crise, quand la rivalité entre groupes de capitalistes pour s’approprier marchés et matières premières se tend, quand le marché solvable se rétrécit, le militarisme a toujours représenté un «  champ d’accumulation  » idéal pour les capitalistes. C’est un marché régulier, quasi illimité et protégé  : «  L’#industrie_des_armements est douée d’une capacité d’expansion illimitée, […] d’une régularité presque automatique, d’une croissance rythmique  » (L’accumulation du capital, 1913). Pour la société dans son ensemble, le militarisme est un immense gâchis de force de travail et de ressources, et une fuite en avant vers la guerre généralisée.

      Pour les travailleurs, le militarisme est d’abord un vol à grande échelle des fruits de leur travail. La production en masse de matériel de destruction massive, ce sont des impôts de plus en plus écrasants pour les classes populaires qui vont réduire leur pouvoir d’achat, ce sont des hôpitaux fermés, des écoles surchargées, des enseignants en sous-effectif, des transports dégradés, c’est un budget de l’État écrasé par la charge de la dette. Pour la #jeunesse, le militarisme, c’est le retour au service militaire, volontaire ou forcé, c’est l’embrigadement derrière le nationalisme, l’utilisation de la guerre en Ukraine pour redonner «  le sens du tragique et de l’histoire  », selon la formule du chef d’état-major des armées, Thierry Burkhard.

      L’évolution ultime du militarisme, c’est la #guerre_généralisée avec la #mobilisation_générale de millions de combattants, la militarisation de la production, la #destruction méthodique de pays entiers, de villes, d’infrastructures, de forces productives immenses, de vies humaines innombrables. La guerre en Ukraine, après celles en Irak, en Syrie, au Yémen et ailleurs, donne un petit aperçu de cette barbarie. La seule voie pour éviter une barbarie plus grande encore, qui frapperait l’ensemble des pays de la planète, c’est d’arracher aux capitalistes la direction de la société.

      Un an avant l’éclatement de la Première Guerre mondiale, #Rosa_Luxemburg concluait son chapitre sur le militarisme par la phrase  : «  À un certain degré de développement, la contradiction [du capitalisme] ne peut être résolue que par l’application des principes du socialisme, c’est-à-dire par une forme économique qui est par définition une forme mondiale, un système harmonieux en lui-même, fondé non sur l’accumulation mais sur la satisfaction des besoins de l’humanité travailleuse et donc sur l’épanouissement de toutes les forces productives de la terre.  » Ni Rosa Luxemburg, ni #Lénine, ni aucun des dirigeants de la Deuxième Internationale restés marxistes, c’est-à-dire communistes, révolutionnaires et internationalistes, n’ont pu empêcher l’éclatement de la guerre mondiale et la transformation de l’Europe en un gigantesque champ de bataille sanglant. Mais cette guerre a engendré la plus grande vague révolutionnaire de l’histoire au cours de laquelle les soldats, ouvriers et paysans insurgés ont mis un terme à la guerre et menacé sérieusement la domination du capital sur la société. L’issue est de ce côté-là.

    • France. Militaires et industriels doutent d’être suffisamment gavés

      Les « promesses déjà annoncées : une hausse de 5 milliards d’euros pour combler le retard dans les drones, un bond de 60 % des budgets des trois agences de renseignement, une relance des commandes dans la défense sol-air , la reconstitution des stocks de munitions. Il a aussi promis plus de navires et de satellites pour l’Outre-Mer, des avancées dans la cyberdéfense, le spatial, la surveillance des fonds marins, le doublement du budget des forces spéciales, et enfin une progression de 40 % des budgets pour la maintenance des équipements, afin d’en accroître les taux de disponibilité.

      Ajouter à cette liste un doublement de la réserve, une participation potentiellement accrue au service national universel, la promesse de dégager 10 milliards pour l’innovation... « Toutes les lignes budgétaires vont augmenter, sauf la provision pour les opérations extérieures », a déclaré le ministre. Selon lui, les dépenses pour aider l’armée ukrainienne ne seront pas imputées sur le budget des armées. Ce dont beaucoup de militaires doutent. Un partage des frais entre ministères est plus probable.

      (Les Échos)

    • Pour eux, la guerre n’est pas une tragédie, mais une aubaine.

      Entre 2018 et 2022, la France a vu sa part dans les ventes mondiales d’armes passer de 7 à 11 %.

      Actuellement 3e sur le marché de l’armement, elle se rapproche de la 2e place. Un record qui contribue à la surenchère guerrière, en Ukraine et ailleurs, et qui alimente les profits des marchands d’armes.

    • La nouvelle #loi_de_programmation_militaire a été présentée en Conseil des ministres ce mardi 4 avril. Un budget de la défense en hausse de 40 % par rapport à la #LPM 2019-2025. Un montant historique

      D’autant que la LPM 2024-2030 n’inclura pas le montant de l’aide militaire à l’#Ukraine

      La politique de l’actuel président de la République contraste avec celle de ses prédécesseurs. Comme beaucoup de ses voisins, la France a vu ses dépenses de défense diminuer depuis la fin de la #guerre_froide

      Réarmement spectaculaire de la #Pologne par le biais de la Corée du Sud

      « Ce pays est en première ligne et sera potentiellement une grande puissance militaire en 2030 », a affirmé Bruno Tertrais, directeur adjoint de la Fondation pour la recherche stratégique lors de son audition au Sénat. Le 30 janvier dernier, le Premier ministre polonais a ainsi annoncé que le budget de la défense atteindrait 4 % du PIB en 2023.

      #militarisation #budget_de_la_défense

    • On ne prépare une guerre qu’à la condition de pouvoir la gagner. Et en l’état, les occidentaux commencent tout juste à comprendre que ce qu’ils pensaient assuré (première frappe nucléaire et bouclier ABM) de la part des américains, n’est finalement pas du tout si assuré que cela et que même, ma foi, la guerre est peut-être déjà perdue.

    • En l’état, ce n’est pas la guerre. Mais, oui, ils s’y préparent.

      Et cette nouvelle guerre mondiale ne sera pas déclenchée nécessairement quand ils seront certains de « pouvoir la gagner ».

    • L’Union européenne et ses obus : un petit pas de plus vers une économie de guerre
      https://journal.lutte-ouvriere.org/2023/05/10/lunion-europeenne-et-ses-obus-un-petit-pas-de-plus-vers-une-

      Mercredi 3 mai, le commissaire européen Thierry Breton a présenté son plan pour produire un million de munitions lourdes par an. Les industries d’armement européennes ne sont plus adaptées au rythme de production nécessaire pour des guerres de « haute intensité », ou même simplement telle que celle en Ukraine.

      Alors que l’armée ukrainienne tire 5 000 obus d’artillerie par jour de combat, la production annuelle du fabricant français Nexter ne permettrait de tenir ce rythme... que huit jours. Thierry Breton a annoncé une enveloppe de 500 millions d’euros pour stimuler dans ce sens les industriels de l’Union européenne. Elle fait partie d’un plan de deux milliards d’euros annoncé fin mars pour fournir des obus à l’armée de Kiev, sous prétexte « d’aider » l’Ukraine. Il s’agit d’abord de puiser dans les stocks nationaux, puis de passer des commandes, et enfin de remplir les caisses des industriels pour qu’ils produisent plus vite.

      Les sommes déployées par l’UE sont très marginales par rapport aux dépenses faites par chaque puissance impérialiste pour financer son propre armement et enrichir ses capitalistes de l’armement. Ainsi, la programmation militaire française a augmenté de 100 milliards d’euros, tandis que le gouvernement allemand promet, lui, 100 milliards pour moderniser son armée.

      L’annonce européenne vise sans doute surtout à afficher à l’échelle du continent, donc aux yeux d’un demi-milliard d’Européens, que l’on va vers une économie de guerre et qu’il faut s’y adapter dès maintenant. Dans ce qu’a déclaré Thierry Breton, il y a aussi l’idée de s’attaquer à tous les goulots d’étranglement qui bloquent cette marche vers une économie de guerre. Il prévoit des dérogations aux règles européennes, déjà peu contraignantes, sur le temps de travail, c’est-à-dire de donner carte blanche aux patrons pour allonger la journée de travail dans les usines concernées. Le flot d’argent public dépensé en armement, que ce soit au niveau des États ou de l’Union européenne, sera pris sur la population d’une façon ou une autre. Chaque milliard en plus pour les obus signifiera un hôpital en moins demain.

  • Antonio Guterres (#ONU) : « Nous marchons, les yeux grands ouverts, vers une guerre plus large »

    La seule guerre que nous avons à mener, c’est la guerre pour nos intérêts de travailleurs ! Éditorial des bulletins d’entreprise #LO du 13 février 2023

    http://www.lutte-ouvriere.org/editoriaux/la-seule-guerre-que-nous-avons-mener-cest-la-guerre-pour-nos-interet

    Depuis le 19 janvier, nous sommes engagés dans un bras de fer pour empêcher le report de l’âge de la retraite à 64 ans. Mais comment ne pas s’inquiéter, aussi, des bruits de bottes qui ne cessent de se rapprocher ?

    La #guerre_en_Ukraine menace toujours de dégénérer en déflagration généralisée. Aussi lourd de dangers, il y a l’affrontement économique et politique des deux géants que sont les #États-Unis et la #Chine. Celui-ci est déjà marqué d’une série d’actes guerriers. La semaine dernière, les États-Unis ont détruit un #ballon _chinois qu’ils accusaient d’#espionnage. En même temps, ils installaient quatre nouvelles bases militaires aux Philippines, à proximité d’une Chine encerclée par les bases américaines.

    Le secrétaire général de l’ONU, #Antonio_Guterres, s’en est alarmé : « Nous marchons, les yeux grands ouverts, vers une guerre plus large », a-t-il déclaré. C’est un fait : toutes les grandes puissances préparent la guerre en se réarmant à marche forcée. Elles ont même, désormais, avec l’Ukraine, un terrain d’entraînement. C’est là-bas que sont testés les canons et les missiles dernier cri, les chars et les drones bourrés de technologie.

    Qu’ils le veuillent ou non, tous les pays sont déjà pris au piège de cette guerre et de la rivalité sino-américaine. Plus les évènements s’envenimeront, plus ils seront sommés de choisir leur camp.

    Ici, la #propagande présente les États-Unis, l’#Otan et l’#Union européenne [#UE] comme des forces de paix garantes de la liberté, de la démocratie et du droit des peuples, quand la #Russie et la Chine seraient l’incarnation de la dictature et de l’oppression, autrement dit, l’axe du mal.

    C’est oublier que les puissances occidentales n’hésitent pas à fomenter des coups d’État et à appuyer des dictatures sanglantes, comme en #Arabie_Saoudite ou en Afrique, quand elles veulent exploiter et piller une région. Quand un régime leur est hostile, il n’y a pas de souveraineté qui tienne, elles envahissent le pays et le combattent, comme elles l’ont fait en Irak et en #Afghanistan. Pour soutenir #Israël, leur plus fidèle allié au #Proche-Orient, elles ferment les yeux sur la colonisation de la #Cisjordanie et enterrent le droit des #Palestiniens à disposer de leur propre État.

    Les relations internationales ne sont pas guidées par des valeurs morales, mais par la lutte permanente des grandes puissances pour l’accès aux #matières_premières, la captation de nouveaux marchés et pour la suprématie économique. Pas un km2 de la terre, des océans, et maintenant de l’espace, n’y échappe. C’est de ces rivalités-là que sont victimes, aujourd’hui, les Ukrainiens.

    Les dirigeants occidentaux exploitent les atrocités commises par l’armée russe pour chauffer l’opinion à blanc et pour qu’elle accepte, résignée, de s’engager davantage dans la #guerre.

    Comme s’il était possible de stopper le carnage en amenant toujours plus d’armes sur le terrain ! Et qui peut croire que #Joe_Biden ou #Emmanuel_Macron s’inquiètent des travailleurs et des pauvres d’Ukraine, quand ils montrent tous les jours qu’ils n’ont que faire des classes populaires de leur propre pays !

    En Ukraine, il s’avère, sans surprise, que les prétendus défenseurs du peuple se préoccupent d’abord et surtout de leur coffre-fort. Plusieurs proches de #Zelensky ont en effet profité de la guerre pour toucher des pots-de-vin. Jusqu’au ministre de la Défense qui a détourné des millions du budget de l’armée ! Et ce n’est rien à côté des profits empochés par les industriels de l’armement, #Dassault, #Thalès… mais cela nous rappelle que, si la guerre est une tragédie pour les peuples, elle est toujours une gigantesque affaire commerciale pour la #bourgeoisie.

    Alors, non au #bourrage_de_crâne va-t-en guerre ! Non à la livraison d’armes à Zelensky ! Non à l’augmentation des budgets militaires ! La guerre que se mènent les grandes puissances avec, aujourd’hui, la peau des Ukrainiens, et demain, peut-être avec la nôtre, n’est pas notre guerre !

    Nous, travailleurs, n’avons pas à choisir entre la grande bourgeoisie exploiteuse occidentale et les oligarques russes ou les nouveaux capitalistes chinois. Ils font partie de la même classe exploiteuse. Partout, c’est de cette classe qu’il faut nous protéger en défendant nos intérêts de travailleurs. Ici, nous avons à poursuivre notre combat contre la retraite à 64 ans, le recul de nos salaires et des #droits_ouvriers. Il faut le faire en ayant en tête la nécessité de reconstruire une force politique pour pouvoir, demain, refuser de servir de chair à canon dans la guerre que fomentent les capitalistes.

    #réforme_des_retraites #guerre_mondiale #lutte_de_classe

    • Provenant du direct du Monde sur le guerre en Ukraine :
      – Le Quai d’Orsay demande aux Français de quitter sans délai la Biélorussie
      – Le département d’état demande lui aux citoyens américains de quitter immédiatement la Russie
      – L’Otan signale que l’Ukraine « consommerait » plus de munitions que les pays de l’alliance peuvent en produire.

    • Une éditorialiste dans Les Échos du 15 février 2023 :

      La reprise des tensions dit plus que jamais que, pour les Etats-Unis, la guerre en Ukraine est une distraction au sens pascalien du terme et que la confrontation existentielle est bien celle qui les oppose à la Chine.

  • Reims expérimente une intelligence artificielle de Thalès pour surveiller ses habitants, et personne n’est au courant | StreetPress
    https://www.streetpress.com/sujet/1674664403-reims-intelligence-artificielle-camera-surveillance-police-d

    StreetPress révèle la collaboration entre Reims et le géant français de la défense, Thalès. À partir de 2021, la police municipale a utilisé un algorithme vidéo utilisant l’intelligence artificielle pour analyser ses ressortissants.

    Si vous avez déjà flâné aux alentours de la cathédrale Notre-Dame de Reims (51), vous avez peut-être été analysé par une intelligence artificielle. L’outil « Savari », conçu par le géant français Thalès (1), a été intégré aux caméras de surveillance de l’agglomération et utilisé par la police municipale, pour une expérimentation d’un an. Le but : repérer automatiquement des regroupements ou des intrusions, et identifier des armes ou des véhicules. Problème, ni les habitants et ni les élus de l’opposition n’ont été informés.

    Une révélation qui arrive au moment où le Sénat vient d’adopter, mardi 24 janvier 2023, l’article 7 du projet de loi des Jeux Olympiques. Il autorise ces expérimentations de caméras dotées d’algorithmes à compter de cette année en vue des JO de 2024 à Paris.

    En novembre dernier, Amnesty International avait alerté sur « les risques de dérives dangereuses » pour les libertés individuelles que comporte cette loi. À la différence de la vidéo-surveillance classique, ce type d’outil peut conduire à « un traitement massif de données à caractère personnel, y compris parfois de données sensibles », explique la CNIL dans un rapport publié en juillet 2022.

    Reims n’a pas attendu que les parlementaires l’autorisent dans la capitale pour faire ses propres tests et profiter du vide juridique. C’est Arnaud Robinet, maire de la ville depuis 2014, affilié au mouvement Horizons d’Édouard Philippe, qui aurait décidé de cette collaboration. Contacté par StreetPress, l’édile de droite a refusé de répondre à nos questions.
    Algorithme et « deep learning »

    Savari est une « vidéosurveillance intelligente, clé de la sécurité urbaine des Smart Cities ». C’est ainsi que Thalès présente sa solution sur le site du Salon des maires, un séminaire annuel pendant lequel les entreprises tiennent des stands pour draguer les élus.

    Elle utilise des « algorithmes vidéos intelligents » et du « deep learning » pour « surveiller, superviser et analyser automatiquement » des situations telles que des regroupements et des intrusions. Elle peut aussi « détecter, identifier et classifier » des armes, des vélos ou des véhicules, assure le fleuron français. À l’aide de la lecture automatique des plaques d’immatriculation (LAPI), Savari permet également de faire du contrôle routier et de mettre des amendes à ceux qui ne paient pas leur stationnement.

    Une expérimentation faite dans le dos des Rémois

    « Ce qui me choque, c’est que ça a été fait dans une grande opacité. Ce n’est pas normal que les citoyens ne soient pas informés », s’indigne Léo Tyburce, élu Europe-Écologie-Les-Verts à Reims, informé de l’expérimentation de Thalès dans sa ville par StreetPress. Lors du conseil municipal du 16 novembre 2021, l’écolo avait interpellé le maire Arnaud Robinet au sujet de l’utilisation d’une intelligence artificielle dans les caméras de la commune évoquée lors d’une précédente réunion publique. L’édile de droite avait renvoyé la balle à son Monsieur sécurité, Xavier Albertini.

    « Dans le cadre de l’évolution de l’organisation de la police municipale, il a été souhaité de mettre en place une étude et le développement avec une entreprise nationale d’un logiciel qui n’est pas de la reconnaissance faciale (…) mais c’est une capacité de reconnaître un certain nombre d’éléments et en particulier, dans la limite de la réglementation, de reconnaître n’importe quel véhicule qui se trouve pris par le champ des caméras », avait déclaré l’adjoint. La vidéo du conseil municipal est toujours en ligne. Il admet donc qu’une étude liée aux caméras de surveillance est en cours avec une entreprise nationale. Sans dévoiler de laquelle il pourrait s’agir, ni dévoiler l’intégralité des usages de cette technologie.

    À l’époque, le conseiller municipal de l’opposition Léo Tyburce est rassuré par cette réponse. « On m’avait répondu, ne vous inquiétez pas tout roule, c’est juste pour repérer les véhicules… » Aujourd’hui, il se sent trompé :

    « Finalement, on voit que ça permet de repérer des groupements de personnes, d’installer une sorte de surveillance urbaine. J’aurais aimé qu’il y ait un débat public autour de cette question. Il y a un manque de transparence terrible. »

    Le Rémois Antoine (2), membre d’Action non-violente COP21, n’était pas au courant de l’utilisation d’une intelligence artificielle par les forces de l’ordre. « Ça m’intéresse de savoir que l’outil repère les rassemblements parce qu’on fait des actions non déclarées », pointe-t-il. Le militant pour l’environnement connaît pourtant bien les caméras de surveillance de sa ville. Avec son groupe, ils s’attaquent aux panneaux publicitaires rétroéclairés. « On se rend bien compte une fois qu’on lève la tête qu’on est surveillés de tous les côtés. » Alors, pour ne pas se faire prendre, ils ont établi une cartographie des zones surveillées :

    « On en avait repéré une soixantaine sur à peine un km carré en centre-ville en 2021. »

    Ce n’est pas un hasard si Thalès a réussi à vendre son outil à la « cité des Sacres », particulièrement friande de caméras de surveillance. Arnaud Robinet en a fait un argument de campagne. Depuis 2014, pas moins de 218 caméras supplémentaires ont été installées dans l’agglomération rémoise, qui n’en comptait que 36. Le maire adepte de la rengaine sécuritaire a même inauguré en 2016 un Centre de Surveillance Urbain (CSU) au sein de l’hôtel de police où 120 agents observent les images 24h/24 et 7 jours sur 7.

    La multiplication des caméras et donc des vidéos à analyser est un des arguments avancés par Xavier Robinet pour justifier l’acquisition d’un algorithme. Au conseil municipal, après avoir assuré qu’il ne s’agissait que de surveiller des voitures, il ajoute : « D’un point de vue technique, ce sont 56.000 types de véhicules différents (…) qui sont ainsi rentrés dans une base de données et quand y a une réquisition pour rechercher un véhicule, il y a une quasi-instantanéité de l’ensemble des caméras. »

    Pour les industriels du secteur, la multiplication des caméras de surveillance rend nécessaire l’intelligence artificielle pour aider les humains, devenus trop peu nombreux. Un « bluff technologique », selon La Quadrature du Net, qui défend les droits et les libertés sur Internet. « Il y a un énorme marché privé qui est en train de se lancer et qui est en partie financé par des fonds publics », analyse Martin Drago, spécialiste de ces questions au sein de l’association.
    Sept millions d’euros pour filmer ses habitants

    Arnaud Robinet a dû mettre le prix pour acquérir le tout nouveau produit du géant de l’aérospatial. Dans le budget de la ville, pour son second mandat qui a commencé en 2020, pas moins de sept millions d’euros sont dédiés à des investissements pour la vidéo-surveillance et l’équipement de la police municipale. Un logiciel dit « d’aide à la relecture », qui doit aider les policiers à fournir des éléments probants à l’autorité judiciaire lors des réquisitions, a été financé par ce budget. Mais le montant exact n’est pas connu. Ni Thalès, ni la mairie de Reims n’ont souhaité nous le fournir.

    Reims vient ainsi s’ajouter à une longue liste de villes françaises qui ont passé des contrats avec des entreprises leur proposant d’expérimenter la « vidéosurveillance algorithmique ». Sur son site Tecnopolice.fr, La Quadrature du Net en a répertorié dans une dizaine de villes. À Nîmes (30) ou Moirans (38), l’outil de l’entreprise israélienne Briefcam analyse les faits et gestes des habitants. Marseille (13) collabore depuis 2018 avec l’entreprise locale SNEF. En 2016, Toulouse (31) a passé un contrat avec la boîte américaine IBM. Coût pour la ville du Sud : 47.350 euros.

    Ces expérimentations coûtent des milliers d’euros aux collectivités. Leur utilité reste pourtant à démontrer. Dans un rapport publié en 2020, la Cour des comptes a jugé qu’« aucune corrélation globale n’a été relevée entre l’existence de dispositifs de vidéoprotection et le niveau de la délinquance commise sur la voie publique, ou encore les taux d’élucidation ».

    À LIRE AUSSI : En 2010, déjà, StreetPress testait les caméras de surveillance de Levallois-Perret

    Du No man’s land juridique à la légalisation ?

    D’après le spécialiste Martin Drago, qui gère la campagne Technopolice, le déploiement de ces outils a été facilité par le flou juridique qui les entoure. « Dans le code pénal, il y a des articles précis sur les caméras de vidéosurveillance, mais rien sur la vidéosurveillance algorithmique qui porte pourtant de nouvelles atteintes aux libertés individuelles. » Il ajoute :

    « Les industriels de la surveillance profitent de ce no man’s land juridique pour faire des expérimentations. »

    https://reims.sous-surveillance.net
    https://seenthis.net/messages/988273

    #vidéosurveillance #vidéosurveillance_intelligente #analyse_comportementale #contrôle_social #jeux_olympiques #deep_learning #smart_city #Thalès

  • Classer pour dominer [et réprimer] : petite Histoire critique du fichage en France | LQDN | 07.09.22

    https://www.laquadrature.net/2022/09/07/classer-pour-dominer-petite-histoire-critique-du-fichage-en-france

    Qui c’est les plus forts ? Évidemment c’est les Bleus !

    Finalement abandonné face à la controverse, le projet SAFARI déboucha sur une commission d’enquête qui donna naissance à la Commission nationale de l’informatique et des libertés (CNIL) et à la loi Informatique et Libertés du 6 janvier 1978, socle de la protection des données personnelles encore en vigueur aujourd’hui. Au-delà de la création d’un encadrement juridique, cet épisode marque une amorce de politisation sur le sujet. Cette réflexion avait d’ailleurs débuté avant ce scandale, le directeur du « service des écoles et techniques » mentionné plus haut écrivait lui-même en 1969 :

    « La mise en mémoire d’un certain nombre de données n’est-elle pas attentatoire à la liberté et même à la dignité de l’homme ? Ne présente t-elle pas des dangers si nous connaissons à nouveau comme naguère la férule d’un État totalitaire, le joug d’une police politique orientée non vers le maintien de l’ordre public, la prévention et la répression des crimes, mais vers l’asservissement des citoyens libres, privés par une minorité de leurs moyens d’expression ? Le problème vaut qu’on y réfléchisse longuement et profondément ».

    [sauf que]

    Malheureusement ce ne fut pas le cas, ces pratiques d’identification de surveillance étant probablement bien trop ancrées dans les rouages de l’institution policière.

    Dès les années 1980, avec la généralisation des ordinateurs, la police commençait à collecter des informations de façon massive et désordonnée. Plutôt que de limiter ces pratiques, il fut au contraire décidé de rationaliser et d’organiser cette quantité de données au sein de fichiers centralisés pour en tirer une utilité. C’est dans ce contexte qu’est apparue l’idée du fichier STIC (Système de traitement des infractions constatées), visant à intégrer toutes les informations exploitées par les services de police dans une seule et même architecture, accessible à tous les échelons du territoire. Finalement mis en œuvre et expérimenté dans les années 1990, le fichier STIC cristallisa de nombreuses tensions entre le Ministère de l’Intérieur et la CNIL qui durent négocier pendant plusieurs années afin d’en fixer le cadre légal. Si la CNIL a obtenu des garanties dans un accord à l’arrachée en 1998, cette victoire a paradoxalement signé la fin de son influence et de sa légitimité. En effet, dans les années qui suivirent, toutes les réserves qu’elles avait pu obtenir ont été ostensiblement bafouées. Mais surtout, cette longue bataille qui avait concrètement ralenti et empêché le développement du fichier souhaité par le Ministère poussa le gouvernement à supprimer par la suite le pouvoir d’autorisation attribué à la CNIL afin de ne plus être gêné dans ses projets. C’est pourquoi, en 2004, la modification de la Loi pour la confiance dans l’économie numérique (LCEN) acta la suppression du pouvoir de contrainte de la CNIL pour le transformer en simple avis consultatif. Cela signifie qu’elle ne dispose plus de l’autorité nécessaire pour empêcher ou limiter la création de fichiers de police par le gouvernement. Cette modification législative marque un tournant dans le droit des fichiers et des données personnelles ainsi que dans la pratique policière. Les garde-fous ayant sauté, l’espace politique pour parvenir à une surveillance massive se libère, les limites légales devenant purement cosmétiques.

    #chassez_le_naturel

  • « Les #réfugiés sont les #cobayes des futures mesures de #surveillance »

    Les dangers de l’émigration vers l’Europe vont croissant, déplore Mark Akkerman, qui étudie la #militarisation_des_frontières du continent depuis 2016. Un mouvement largement poussé par le #lobby de l’#industrie_de_l’armement et de la sécurité.

    Mark Akkerman étudie depuis 2016 la militarisation des frontières européennes. Chercheur pour l’ONG anti-militariste #Stop_Wapenhandel, il a publié, avec le soutien de The Transnational Institute, plusieurs rapports de référence sur l’industrie des « #Safe_Borders ». Il revient pour Mediapart sur des années de politiques européennes de surveillance aux frontières.

    Mediapart : En 2016, vous publiez un premier rapport, « Borders Wars », qui cartographie la surveillance aux frontières en Europe. Dans quel contexte naît ce travail ?

    Mark Akkerman : Il faut se rappeler que l’Europe a une longue histoire avec la traque des migrants et la sécurisation des frontières, qui remonte, comme l’a montré la journaliste d’investigation néerlandaise Linda Polman, à la Seconde Guerre mondiale et au refus de soutenir et abriter des réfugiés juifs d’Allemagne. Dès la création de l’espace Schengen, au début des années 1990, l’ouverture des frontières à l’intérieur de cet espace était étroitement liée au renforcement du contrôle et de la sécurité aux frontières extérieures. Depuis lors, il s’agit d’un processus continu marqué par plusieurs phases d’accélération.

    Notre premier rapport (https://www.tni.org/en/publication/border-wars) est né durant l’une de ces phases. J’ai commencé ce travail en 2015, au moment où émerge le terme « crise migratoire », que je qualifierais plutôt de tragédie de l’exil. De nombreuses personnes, principalement motivées par la guerre en Syrie, tentent alors de trouver un avenir sûr en Europe. En réponse, l’Union et ses États membres concentrent leurs efforts sur la sécurisation des frontières et le renvoi des personnes exilées en dehors du territoire européen.

    Cela passe pour une part importante par la militarisation des frontières, par le renforcement des pouvoirs de Frontex et de ses financements. Les réfugiés sont dépeints comme une menace pour la sécurité de l’Europe, les migrations comme un « problème de sécurité ». C’est un récit largement poussé par le lobby de l’industrie militaire et de la sécurité, qui a été le principal bénéficiaire de ces politiques, des budgets croissants et des contrats conclus dans ce contexte.

    Cinq ans après votre premier rapport, quel regard portez-vous sur la politique européenne de sécurisation des frontières ? La pandémie a-t-elle influencé cette politique ?

    Depuis 2016, l’Europe est restée sur la même voie. Renforcer, militariser et externaliser la sécurité aux frontières sont les seules réponses aux migrations. Davantage de murs et de clôtures ont été érigés, de nouveaux équipements de surveillance, de détection et de contrôle ont été installés, de nouveaux accords avec des pays tiers ont été conclus, de nouvelles bases de données destinées à traquer les personnes exilées ont été créées. En ce sens, les politiques visibles en 2016 ont été poursuivies, intensifiées et élargies.

    La pandémie de Covid-19 a certainement joué un rôle dans ce processus. De nombreux pays ont introduit de nouvelles mesures de sécurité et de contrôle aux frontières pour contenir le virus. Cela a également servi d’excuse pour cibler à nouveau les réfugiés, les présentant encore une fois comme des menaces, responsables de la propagation du virus.

    Comme toujours, une partie de ces mesures temporaires vont se pérenniser et on constate déjà, par exemple, l’évolution des contrôles aux frontières vers l’utilisation de technologies biométriques sans contact.

    En 2020, l’UE a choisi Idemia et Sopra Steria, deux entreprises françaises, pour construire un fichier de contrôle biométrique destiné à réguler les entrées et sorties de l’espace Schengen. Quel regard portez-vous sur ces bases de données ?

    Il existe de nombreuses bases de données biométriques utilisées pour la sécurité aux frontières. L’Union européenne met depuis plusieurs années l’accent sur leur développement. Plus récemment, elle insiste sur leur nécessaire connexion, leur prétendue interopérabilité. L’objectif est de créer un système global de détection, de surveillance et de suivi des mouvements de réfugiés à l’échelle européenne pour faciliter leur détention et leur expulsion.

    Cela contribue à créer une nouvelle forme d’« apartheid ». Ces fichiers sont destinés certes à accélérer les processus de contrôles aux frontières pour les citoyens nationaux et autres voyageurs acceptables mais, surtout, à arrêter ou expulser les migrantes et migrants indésirables grâce à l’utilisation de systèmes informatiques et biométriques toujours plus sophistiqués.

    Quelles sont les conséquences concrètes de ces politiques de surveillance ?

    Il devient chaque jour plus difficile et dangereux de migrer vers l’Europe. Parce qu’elles sont confrontées à la violence et aux refoulements aux frontières, ces personnes sont obligées de chercher d’autres routes migratoires, souvent plus dangereuses, ce qui crée un vrai marché pour les passeurs. La situation n’est pas meilleure pour les personnes réfugiées qui arrivent à entrer sur le territoire européen. Elles finissent régulièrement en détention, sont expulsées ou sont contraintes de vivre dans des conditions désastreuses en Europe ou dans des pays limitrophes.

    Cette politique n’impacte pas que les personnes réfugiées. Elle présente un risque pour les libertés publiques de l’ensemble des Européens. Outre leur usage dans le cadre d’une politique migratoire raciste, les technologies de surveillance sont aussi « testées » sur des personnes migrantes qui peuvent difficilement faire valoir leurs droits, puis introduites plus tard auprès d’un public plus large. Les réfugiés sont les cobayes des futures mesures de contrôle et de surveillance des pays européens.

    Vous pointez aussi que les industriels qui fournissent en armement les belligérants de conflits extra-européens, souvent à l’origine de mouvements migratoires, sont ceux qui bénéficient du business des frontières.

    C’est ce que fait Thales en France, Leonardo en Italie ou Airbus. Ces entreprises européennes de sécurité et d’armement exportent des armes et des technologies de surveillance partout dans le monde, notamment dans des pays en guerre ou avec des régimes autoritaires. À titre d’exemple, les exportations européennes au Moyen-Orient et en Afrique du Nord des dix dernières années représentent 92 milliards d’euros et concernent des pays aussi controversés que l’Arabie saoudite, l’Égypte ou la Turquie.

    Si elles fuient leur pays, les populations civiles exposées à la guerre dans ces régions du monde se retrouveront très certainement confrontées à des technologies produites par les mêmes industriels lors de leur passage aux frontières. C’est une manière profondément cynique de profiter, deux fois, de la misère d’une même population.

    Quelles entreprises bénéficient le plus de la politique européenne de surveillance aux frontières ? Par quels mécanismes ? Je pense notamment aux programmes de recherches comme Horizon 2020 et Horizon Europe.

    J’identifie deux types d’entreprises qui bénéficient de la militarisation des frontières de l’Europe. D’abord les grandes entreprises européennes d’armement et de sécurité, comme Airbus, Leonardo et Thales, qui disposent toutes d’une importante gamme de technologies militaires et de surveillance. Pour elles, le marché des frontières est un marché parmi d’autres. Ensuite, des entreprises spécialisées, qui travaillent sur des niches, bénéficient aussi directement de cette politique européenne. C’est le cas de l’entreprise espagnole European Security Fencing, qui fabrique des fils barbelés. Elles s’enrichissent en remportant des contrats, à l’échelle européenne, mais aussi nationale, voire locale.

    Une autre source de financement est le programme cadre européen pour la recherche et l’innovation. Il finance des projets sur 7 ans et comprend un volet sécurité aux frontières. Des programmes existent aussi au niveau du Fonds européen de défense.

    Un de vos travaux de recherche, « Expanding the Fortress », s’intéresse aux partenariats entre l’Europe et des pays tiers. Quels sont les pays concernés ? Comment se manifestent ces partenariats ?

    L’UE et ses États membres tentent d’établir une coopération en matière de migrations avec de nombreux pays du monde. L’accent est mis sur les pays identifiés comme des « pays de transit » pour celles et ceux qui aspirent à rejoindre l’Union européenne. L’Europe entretient de nombreux accords avec la Libye, qu’elle équipe notamment en matériel militaire. Il s’agit d’un pays où la torture et la mise à mort des réfugiés ont été largement documentées.

    Des accords existent aussi avec l’Égypte, la Tunisie, le Maroc, la Jordanie, le Liban ou encore l’Ukraine. L’Union a financé la construction de centres de détention dans ces pays, dans lesquels on a constaté, à plusieurs reprises, d’importantes violations en matière de droits humains.

    Ces pays extra-européens sont-ils des zones d’expérimentations pour les entreprises européennes de surveillance ?

    Ce sont plutôt les frontières européennes, comme celle d’Evros, entre la Grèce et la Turquie, qui servent de zone d’expérimentation. Le transfert d’équipements, de technologies et de connaissances pour la sécurité et le contrôle des frontières représente en revanche une partie importante de ces coopérations. Cela veut dire que les États européens dispensent des formations, partagent des renseignements ou fournissent de nouveaux équipements aux forces de sécurité de régimes autoritaires.

    Ces régimes peuvent ainsi renforcer et étendre leurs capacités de répression et de violation des droits humains avec le soutien de l’UE. Les conséquences sont dévastatrices pour la population de ces pays, ce qui sert de moteur pour de nouvelles vagues de migration…

    https://www.mediapart.fr/journal/international/040822/les-refugies-sont-les-cobayes-des-futures-mesures-de-surveillance

    cité dans l’interview, ce rapport :
    #Global_Climate_Wall
    https://www.tni.org/en/publication/global-climate-wall
    déjà signalé ici : https://seenthis.net/messages/934948#message934949

    #asile #migrations #complexe_militaro-industriel #surveillance_des_frontières #Frontex #problème #Covid-19 #coronavirus #biométrie #technologie #Idemia #Sopra_Steria #contrôle_biométrique #base_de_données #interopérabilité #détection #apartheid #informatique #violence #refoulement #libertés_publiques #test #normalisation #généralisation #Thales #Leonardo #Airbus #armes #armements #industrie_de_l'armement #cynisme #Horizon_Europe #Horizon_2020 #marché #business #European_Security_Fencing #barbelés #fils_barbelés #recherche #programmes_de_recherche #Fonds_européen_de_défense #accords #externalisation #externalisation_des_contrôles_frontaliers #Égypte #Libye #Tunisie #Maroc #Jordanie #Liban #Ukraine #rétention #détention_administrative #expérimentation #équipements #connaissance #transfert #coopérations #formations #renseignements #répression

    ping @isskein @karine4 @_kg_

    • Le système électronique d’#Entrée-Sortie en zone #Schengen : la biométrie au service des #frontières_intelligentes

      Avec la pression migratoire et la vague d’attentats subis par l’Europe ces derniers mois, la gestion des frontières devient une priorité pour la Commission.

      Certes, le système d’information sur les #visas (#VIS, #Visa_Information_System) est déployé depuis 2015 dans les consulats des États Membres et sa consultation rendue obligatoire lors de l’accès dans l’#espace_Schengen.

      Mais, depuis février 2013, est apparu le concept de « #frontières_intelligentes », (#Smart_Borders), qui recouvre un panel ambitieux de mesures législatives élaborées en concertation avec le Parlement Européen.

      Le système entrée/sortie, en particulier, va permettre, avec un système informatique unifié, d’enregistrer les données relatives aux #entrées et aux #sorties des ressortissants de pays tiers en court séjour franchissant les frontières extérieures de l’Union européenne.

      Adopté puis signé le 30 Novembre 2017 par le Conseil Européen, il sera mis en application en 2022. Il s’ajoutera au « PNR européen » qui, depuis le 25 mai 2018, recense les informations sur les passagers aériens.

      Partant du principe que la majorité des visiteurs sont « de bonne foi », #EES bouleverse les fondements mêmes du #Code_Schengen avec le double objectif de :

      - rendre les frontières intelligentes, c’est-à-dire automatiser le contrôle des visiteurs fiables tout en renforçant la lutte contre les migrations irrégulières
      - créer un #registre_central des mouvements transfrontaliers.

      La modernisation de la gestion des frontières extérieures est en marche. En améliorant la qualité et l’efficacité des contrôles de l’espace Schengen, EES, avec une base de données commune, doit contribuer à renforcer la sécurité intérieure et la lutte contre le terrorisme ainsi que les formes graves de criminalité.

      L’#identification de façon systématique des personnes qui dépassent la durée de séjour autorisée dans l’espace Schengen en est un des enjeux majeurs.

      Nous verrons pourquoi la reconnaissance faciale en particulier, est la grande gagnante du programme EES. Et plus seulement dans les aéroports comme c’est le cas aujourd’hui.

      Dans ce dossier web, nous traiterons des 6 sujets suivants :

      - ESS : un puissant dispositif de prévention et détection
      - La remise en cause du code « frontières Schengen » de 2006
      - EES : un accès très réglementé
      - La biométrie faciale : fer de lance de l’EES
      - EES et la lutte contre la fraude à l’identité
      - Thales et l’identité : plus de 20 ans d’expertise

      Examinons maintenant ces divers points plus en détail.

      ESS : un puissant dispositif de prévention et détection

      Les activités criminelles telles que la traite d’êtres humains, les filières d’immigration clandestine ou les trafics d’objets sont aujourd’hui la conséquence de franchissements illicites de frontières, largement facilités par l’absence d’enregistrement lors des entrées/ sorties.

      Le scénario de fraude est – hélas – bien rôdé : Contrôle « standard » lors de l’accès à l’espace Schengen, puis destruction des documents d’identité dans la perspective d’activités malveillantes, sachant l’impossibilité d’être authentifié.

      Même si EES vise le visiteur « de bonne foi », le système va constituer à terme un puissant dispositif pour la prévention et la détection d’activités terroristes ou autres infractions pénales graves. En effet les informations stockées dans le nouveau registre pour 5 ans– y compris concernant les personnes refoulées aux frontières – couvrent principalement les noms, numéros de passeport, empreintes digitales et photos. Elles seront accessibles aux autorités frontalières et de délivrance des visas, ainsi qu’à Europol.

      Le système sera à la disposition d’enquêtes en particulier, vu la possibilité de consulter les mouvements transfrontières et historiques de déplacements. Tout cela dans le plus strict respect de la dignité humaine et de l’intégrité des personnes.

      Le dispositif est très clair sur ce point : aucune discrimination fondée sur le sexe, la couleur, les origines ethniques ou sociales, les caractéristiques génétiques, la langue, la religion ou les convictions, les opinions politiques ou toute autre opinion.

      Sont également exclus du champ d’investigation l’appartenance à une minorité nationale, la fortune, la naissance, un handicap, l’âge ou l’orientation sexuelle des visiteurs.​

      La remise en cause du Code frontières Schengen

      Vu la croissance attendue des visiteurs de pays tiers (887 millions en 2025), l’enjeu est maintenant de fluidifier et simplifier les contrôles.

      Une initiative particulièrement ambitieuse dans la mesure où elle remet en cause le fameux Code Schengen qui impose des vérifications approfondies, conduites manuellement par les autorités des Etats Membres aux entrées et sorties, sans possibilité d’automatisation.

      Par ailleurs, le Code Schengen ne prévoit aucun enregistrement des mouvements transfrontaliers. La procédure actuelle exigeant seulement que les passeports soient tamponnés avec mention des dates d’entrée et sortie.

      Seule possibilité pour les gardes-frontières : Calculer un éventuel dépassement de la durée de séjour qui elle-même est une information falsifiable et non consignée dans une base de données.

      Autre contrainte, les visiteurs réguliers comme les frontaliers doivent remplacer leurs passeports tous les 2-3 mois, vue la multitude de tampons ! Un procédé bien archaïque si l’on considère le potentiel des technologies de l’information.

      La proposition de 2013 comprenait donc trois piliers :

      - ​La création d’un système automatisé d’entrée/sortie (Entry/ Exit System ou EES)
      - Un programme d’enregistrement de voyageurs fiables, (RTP, Registered Traveller Program) pour simplifier le passage des visiteurs réguliers, titulaires d’un contrôle de sûreté préalable
      – La modification du Code Schengen

      Abandon de l’initiative RTP

      Trop complexe à mettre en œuvre au niveau des 28 Etats Membres, l’initiative RTP (Registered Travelers Program) a été finalement abandonnée au profit d’un ambitieux programme Entry/ Exit (EES) destiné aux visiteurs de courte durée (moins de 90 jours sur 180 jours).

      Précision importante, sont maintenant concernés les voyageurs non soumis à l’obligation de visa, sachant que les détenteurs de visas sont déjà répertoriés par le VIS.

      La note est beaucoup moins salée que prévue par la Commission en 2013. Au lieu du milliard estimé, mais qui incluait un RTP, la proposition révisée d’un EES unique ne coutera « que » 480 millions d’EUR.

      Cette initiative ambitieuse fait suite à une étude technique menée en 2014, puis une phase de prototypage conduite sous l’égide de l’agence EU-LISA en 2015 avec pour résultat le retrait du projet RTP et un focus particulier sur le programme EES.

      Une architecture centralisée gérée par EU-LISA

      L’acteur clé du dispositif EES, c’est EU-LISA, l’Agence européenne pour la gestion opérationnelle des systèmes d’information à grande échelle dont le siège est à Tallinn, le site opérationnel à Strasbourg et le site de secours à Sankt Johann im Pongau (Autriche). L’Agence sera en charge des 4 aspects suivants :

      - Développement du système central
      - Mise en œuvre d’une interface uniforme nationale (IUN) dans chaque État Membre
      - Communication sécurisée entre les systèmes centraux EES et VIS
      - Infrastructure de communication entre système central et interfaces uniformes nationales.

      Chaque État Membre sera responsable de l’organisation, la gestion, le fonctionnement et de la maintenance de son infrastructure frontalière vis-à-vis d’EES.

      Une gestion optimisée des frontières

      Grâce au nouveau dispositif, tous les ressortissants des pays tiers seront traités de manière égale, qu’ils soient ou non exemptés de visas.

      Le VIS répertorie déjà les visiteurs soumis à visas. Et l’ambition d’EES c’est de constituer une base pour les autres.

      Les États Membres seront donc en mesure d’identifier tout migrant ou visiteur en situation irrégulière ayant franchi illégalement les frontières et faciliter, le cas échéant, son expulsion.

      Dès l’authentification à une borne en libre–service, le visiteur se verra afficher les informations suivantes, sous supervision d’un garde-frontière :

      - ​Date, heure et point de passage, en remplacement des tampons manuels
      - Notification éventuelle d’un refus d’accès.
      - Durée maximale de séjour autorisé.
      - Dépassement éventuelle de la durée de séjour autorisée
      En ce qui concerne les autorités des Etats Membres, c’est une véritable révolution par rapport à l’extrême indigence du système actuel. On anticipe déjà la possibilité de constituer des statistiques puissantes et mieux gérer l’octroi, ou la suppression de visas, en fonction de mouvements transfrontières, notamment grâce à des informations telles que :

      - ​​​Dépassements des durées de séjour par pays
      - Historique des mouvements frontaliers par pays

      EES : un accès très réglementé

      L’accès à EES est très réglementé. Chaque État Membre doit notifier à EU-LISA les autorités répressives habilitées à consulter les données aux fins de prévention ou détection d’infractions terroristes et autres infractions pénales graves, ou des enquêtes en la matière.

      Europol, qui joue un rôle clé dans la prévention de la criminalité, fera partie des autorités répressives autorisées à accéder au système dans le cadre de sa mission.

      Par contre, les données EES ne pourront pas être communiquées à des pays tiers, une organisation internationale ou une quelconque partie privée établie ou non dans l’Union, ni mises à leur disposition. Bien entendu, dans le cas d’enquêtes visant l’identification d’un ressortissant de pays tiers, la prévention ou la détection d’infractions terroristes, des exceptions pourront être envisagées.​

      Proportionnalité et respect de la vie privée

      Dans un contexte législatif qui considère le respect de la vie privée comme une priorité, le volume de données à caractère personnel enregistré dans EES sera considérablement réduit, soit 26 éléments au lieu des 36 prévus en 2013.

      Il s’agit d’un dispositif négocié auprès du Contrôleur Européen pour la Protection des Données (CEPD) et les autorités nationales en charge d’appliquer la nouvelle réglementation.

      Très schématiquement, les données collectées se limiteront à des informations minimales telles que : nom, prénom, références du document de voyage et visa, biométrie du visage et de 4 empreintes digitales.

      A chaque visite, seront relevés la date, l’heure et le lieu de contrôle frontière. Ces données seront conservées pendant cinq années, et non plus 181 jours comme proposé en 2013.

      Un procédé qui permettra aux gardes-frontières et postes consulaires d’analyser l’historique des déplacements, lors de l’octroi de nouveaux visas.
      ESS : privacy by design

      La proposition de la Commission a été rédigée selon le principe de « respect de la vie privée dès la conception », mieux connue sous le label « Privacy By Design ».

      Sous l’angle du droit, elle est bien proportionnée à la protection des données à caractère personnel en ce que la collecte, le stockage et la durée de conservation des données permettent strictement au système de fonctionner et d’atteindre ses objectifs.

      EES sera un système centralisé avec coopération des Etats Membres ; d’où une architecture et des règles de fonctionnement communes.​

      Vu cette contrainte d’uniformisation des modalités régissant vérifications aux frontières et accès au système, seul le règlement en tant que véhicule juridique pouvait convenir, sans possibilité d’adaptation aux législations nationales.

      Un accès internet sécurisé à un service web hébergé par EU-LISA permettra aux visiteurs des pays tiers de vérifier à tout moment leur durée de séjour autorisée.

      Cette fonctionnalité sera également accessible aux transporteurs, comme les compagnies aériennes, pour vérifier si leurs voyageurs sont bien autorisés à pénétrer dans le territoire de l’UE.

      La biométrie faciale, fer de lance du programme EES

      Véritable remise en question du Code Schengen, EES permettra de relever la biométrie de tous les visiteurs des pays tiers, alors que ceux soumis à visa sont déjà enregistrés dans le VIS.

      Pour les identifiants biométriques, l’ancien système envisageait 10 empreintes digitales. Le nouveau combine quatre empreintes et la reconnaissance faciale.

      La technologie, qui a bénéficié de progrès considérables ces dernières années, s’inscrit en support des traditionnelles empreintes digitales.

      Bien que la Commission ne retienne pas le principe d’enregistrement de visiteurs fiables (RTP), c’est tout comme.

      En effet, quatre empreintes seront encore relevées lors du premier contrôle pour vérifier que le demandeur n’est pas déjà répertorié dans EES ou VIS.

      En l’absence d’un signal, l’autorité frontalière créera un dossier en s’assurant que la photographie du passeport ayant une zone de lecture automatique (« Machine Readable Travel Document ») correspond bien à l’image faciale prise en direct du nouveau visiteur.

      Mais pour les passages suivants, c’est le visage qui l’emporte.

      Souriez, vous êtes en Europe ! Les fastidieux (et falsifiables) tampons sur les passeports seront remplacés par un accès à EES.

      La biométrie est donc le grand gagnant du programme EES. Et plus seulement dans les aéroports comme c’est le cas aujourd’hui.

      Certains terminaux maritimes ou postes frontières terrestres particulièrement fréquentés deviendront les premiers clients de ces fameuses eGates réservées aujourd’hui aux seuls voyageurs aériens.

      Frontex, en tant qu’agence aidant les pays de l’UE et les pays associés à Schengen à gérer leurs frontières extérieures, va aider à harmoniser les contrôles aux frontières à travers l’UE.

      EES et la lutte contre la fraude à l’identité

      Le dispositif EES est complexe et ambitieux dans la mesure où il fluidifie les passages tout en relevant le niveau des contrôles. On anticipe dès aujourd’hui des procédures d’accueil en Europe bien meilleures grâce aux eGates et bornes self-service.

      Sous l’angle de nos politiques migratoires et de la prévention des malveillances, on pourra immédiatement repérer les personnes ne rempliss​​ant pas les conditions d’entrée et accéder aux historiques des déplacements.

      Mais rappelons également qu’EES constituera un puissant outil de lutte contre la fraude à l’identité, notamment au sein de l’espace Schengen, tout visiteur ayant été enregistré lors de son arrivée à la frontière.

      Thales et l’identité : plus de 20 ans d’expertise

      Thales est particulièrement attentif à cette initiative EES qui repose massivement sur la biométrie et le contrôle des documents de voyage.

      En effet, l’identification et l’authentification des personnes sont deux expertises majeures de Thales depuis plus de 20 ans. La société contribue d’ailleurs à plus de 200 programmes gouvernementaux dans 80 pays sur ces sujets.

      La société peut répondre aux objectifs du programme EES en particulier pour :

      - Exploiter les dernières technologies pour l’authentification des documents de voyage, l’identification des voyageurs à l’aide de captures et vérifications biométriques, et l’évaluation des risques avec accès aux listes de contrôle, dans tous les points de contrôle aux frontières.
      - Réduire les coûts par l’automatisation et l’optimisation des processus tout en misant sur de nouvelles technologies pour renforcer la sécurité et offrir davantage de confort aux passagers
      - Valoriser des tâches de gardes-frontières qui superviseront ces dispositifs tout en portant leur attention sur des cas pouvant porter à suspicion.
      - Diminuer les temps d’attente après enregistrement dans la base EES. Un facteur non négligeable pour des frontaliers ou visiteurs réguliers qui consacreront plus de temps à des activités productives !

      Des bornes d’enregistrement libre-service comme des frontières automatiques ou semi-automatiques peuvent être déployées dans les prochaines années avec l’objectif de fluidifier les contrôles et rendre plus accueillant l’accès à l’espace Schengen.

      Ces bornes automatiques et biométriques ont d’ailleurs été installées dans les aéroports parisiens d’Orly et de Charles de Gaulle (Nouveau PARAFE : https://www.thalesgroup.com/fr/europe/france/dis/gouvernement/controle-aux-frontieres).

      La reconnaissance faciale a été mise en place en 2018.

      Les nouveaux sas PARAFE à Roissy – Septembre 2017

      Thales dispose aussi d’une expertise reconnue dans la gestion intégrée des frontières et contribue en particulier à deux grand systèmes de gestion des flux migratoires.

      - Les systèmes d’identification biométrique de Thales sont en particulier au cœur du système américain de gestion des données IDENT (anciennement US-VISIT). Cette base de données biographiques et biométriques contient des informations sur plus de 200 millions de personnes qui sont entrées, ont tenté d’entrer et ont quitté les États-Unis d’Amérique.

      - Thales est le fournisseur depuis l’origine du système biométrique Eurodac (European Dactyloscopy System) qui est le plus important système AFIS multi-juridictionnel au monde, avec ses 32 pays affiliés. Le système Eurodac est une base de données comportant les empreintes digitales des demandeurs d’asile pour chacun des états membres ainsi que des personnes appréhendées à l’occasion d’un franchissement irrégulier d’une frontière.

      Pour déjouer les tentatives de fraude documentaire, Thales a mis au point des équipements sophistiqués permettant de vérifier leur authenticité par comparaison avec les modèles en circulation. Leur validité est aussi vérifiée par connexion à des bases de documents volés ou perdus (SLTD de Interpol). Ou a des watch lists nationales.

      Pour le contrôle des frontières, au-delà de ses SAS et de ses kiosks biométriques, Thales propose toute une gamme de lecteurs de passeports d’équipements et de logiciels d’authentification biométriques, grâce à son portefeuille Cogent, l’un des pionniers du secteur.

      Pour en savoir plus, n’hésitez pas à nous contacter.​

      https://www.thalesgroup.com/fr/europe/france/dis/gouvernement/biometrie/systeme-entree-sortie
      #smart_borders #Thales #overstayers #reconnaissance_faciale #prévention #détection #fraude_à_l'identité #Registered_Traveller_Program (#RTP) #EU-LISA #interface_uniforme_nationale (#IUN) #Contrôleur_Européen_pour_la_Protection_des_Données (#CEPD) #Privacy_By_Design #respect_de_la_vie_privée #empreintes_digitales #biométrie #Frontex #bornes #aéroport #PARAFE #IDENT #US-VISIT #Eurodac #Gemalto

  • À #Calais, une #surveillance du ciel au tunnel

    #Drones, #reconnaissance_faciale, #capteurs_de_CO2 et de battements cardiaques : face à l’afflux de réfugiés, la frontière franco-britannique est surveillée à grands coups d’#intelligence_artificielle. Premier volet de notre série sur la #cybersurveillance des frontières.

    Pablo lève les yeux au ciel et réfléchit. Brusquement, il fixe son ordinateur. Le chargé de communication et plaidoyer chez Human Rights Observers (HRO) fouille dans ses dossiers, ouvre un document d’une quinzaine de pages. « Tu vois, ce jour-là, ils ont utilisé un drone », indique-t-il en pointant l’écran du doigt. Le 9 juin, l’association pour laquelle il travaille assiste à une expulsion de réfugié·es à #Grande-Synthe. Dans son compte-rendu, elle mentionne la présence d’un drone. Des vols d’aéronefs, hélicoptères ou avions, devenus routiniers.

    En cette matinée de fin juin, Pablo a donné rendez-vous sur son lieu de travail, « l’entrepôt », comme il l’appelle. Ce vaste bâtiment désaffecté d’une zone industrielle à l’est de Calais héberge plusieurs associations locales. Les bureaux de HRO sont spartiates : un simple préfabriqué blanc planté dans la cour.

    C’est ici que ses membres se réunissent pour documenter les #violences d’État perpétrées contre les personnes en situation d’exil à la frontière franco-britannique, plus spécifiquement à Calais et à Grande-Synthe. Depuis plus de 20 ans, la ville est érigée en symbole de la crise migratoire. L’évacuation et la destruction de la jungle en octobre 2016 n’ont rien changé. Désormais réparties dans de multiples camps précaires, des centaines de migrants et migrantes tentent le passage vers l’Angleterre au péril de leur vie. Selon le ministère de l’intérieur, ils et elles étaient 52 000 en 2021, un record, contre « seulement » 10 000 en 2020.

    Sous l’impulsion des pouvoirs publics, Calais se barricade. Plus que les maisons de briques rouges, ce sont les #clôtures géantes, les rangées de #barbelés et les #marécages_artificiels qui attirent la vue. Tout semble construit pour décourager les exilé·es de rejoindre la Grande-Bretagne. « Avant, il n’y avait pas tout ça. C’est devenu assez oppressant », regrette Alexandra. Arrivée il y a sept ans dans le Pas-de-Calais, elle travaille pour l’Auberge des migrants, association qui coordonne le projet HRO.

    Quatre #caméras empilées sur un pylône à l’entrée du port rappellent que cette frontière n’est pas que physique. #Vidéosurveillance, #drones, #avions, #détecteurs_de_CO2… Le littoral nord incarne le parfait exemple de la « #smart_border ». Une frontière invisible, connectée. Un eldorado pour certaines entreprises du secteur de l’intelligence artificielle, mais un cauchemar pour les exilé·es désormais à la merci des #algorithmes.

    Si des dizaines de #caméras lorgnent déjà sur le port et le centre-ville, la tendance n’est pas près de s’inverser. La maire LR, #Natacha_Bouchart, qui n’a pas donné suite à notre demande d’interview, prévoit d’investir 558 000 euros supplémentaires en #vidéosurveillance en 2022.

    « C’est la nouvelle étape d’une politique en place depuis plusieurs décennies », analyse Pierre Bonnevalle, politologue, auteur d’un long rapport sur le sujet. À Calais, la #bunkérisation remonte, selon le chercheur, au milieu des années 1990. « À cette époque commencent les premières occupations des espaces portuaires par des personnes venues des pays de l’Est qui souhaitaient rejoindre la Grande-Bretagne. Cela entraîne les premières expulsions, puis un arrêté pris par la préfecture pour interdire l’accès au port. »

    Les années suivantes, c’est à #Sangatte que se dessinent les pratiques policières d’aujourd’hui. Dans cette commune limitrophe de Calais, un hangar préfigure ce que sera la « #jungle » et héberge jusqu’à 2 000 exilé·es. « La police cible alors tous ceux qui errent dans la ville, tentent d’ouvrir des squats, de dormir dans un espace boisé. » Une manière de « contenir le problème », de « gagner du temps ».

    En parallèle, la ville s’équipe en vidéosurveillance et en barbelés. En 2016, l’expulsion de la jungle fait émerger la politique gouvernementale actuelle : l’#expulsion par les forces de l’ordre, toutes les 24 ou 48 heures, des camps où vivent les personnes exilées.

    #Surveillance_aérienne

    Calme et grisâtre en ce jour de visite, le ciel calaisien n’est pas épargné. Depuis septembre 2020, l’armée britannique fait voler un drone #Watchkeeper, produit par l’industriel français #Thales, pour surveiller la mer. « Nous restons pleinement déterminés à soutenir le ministère de l’intérieur britannique alors qu’il s’attaque au nombre croissant de petits bateaux traversant la Manche », se félicite l’armée britannique dans un communiqué.

    Selon des données de vol consultées par Mediapart, un drone de l’#Agence_européenne_pour_la_sécurité_maritime (#AESM) survole également régulièrement les eaux, officiellement pour analyser les niveaux de pollution des navires qui transitent dans le détroit du Pas-de-Calais. Est-il parfois chargé de missions de surveillance ? L’AESM n’a pas répondu à nos questions.

    Au sein du milieu associatif calaisien, la présence de ces volatiles numériques n’étonne personne. « On en voit souvent, comme des hélicoptères équipés de caméras thermiques », confie Marguerite, salariée de l’Auberge des migrants. Chargée de mission au Secours catholique, Juliette Delaplace constate que cette présence complexifie leur travail. « On ne sait pas si ce sont des drones militaires, ou des forces de l’ordre, mais lorsque l’on intervient et que les exilés voient qu’un drone nous survole, c’est très compliqué de gagner leur confiance. »

    En décembre 2021, à la suite d’une demande expresse du ministre de l’intérieur, Gérald Darmanin, l’agence européenne #Frontex a dépêché un #avion pour surveiller la côte pendant plusieurs semaines. « Une mission toujours en cours pour patrouiller aux frontières française et belge », précise Frontex.

    « On sent une évolution des #contrôles depuis l’intervention de cet avion, qui a œuvré principalement la nuit, confie le maire d’une ville du Nord. Beaucoup de gens tentaient de monter dans des camions, mais cela a diminué depuis que les contrôles se sont durcis. »

    Il faut dire que la société #Eurotunnel, qui gère le tunnel sous la Manche, ne lésine pas sur les moyens. En 2019, elle a dépensé 15 millions d’euros pour installer des sas « #Parafe » utilisant la reconnaissance faciale du même nom, mise au point par Thales. Lors du passage de la frontière, certains camions sont examinés par des capteurs de CO2 ou de fréquence cardiaque, ainsi que par de l’#imagerie par #ondes_millimétriques, afin de détecter les personnes qui pourraient s’être cachées dans le chargement.

    « C’est un dispositif qui existe depuis 2004, lorsque Nicolas Sarkozy a fait évacuer le camp de Sangatte, informe un porte-parole d’Eurotunnel. Depuis 2015, il y a tellement de demandes de la part des routiers pour passer par ce terminal, car ils peuvent recevoir des amendes si un migrant est trouvé dans leur camion, que nous avons agrandi sa capacité d’accueil et qu’il fait partie intégrante du trajet. »

    Des outils de plus en plus perfectionnés qui coïncident avec l’évolution des modes de passage des personnes exilées, analyse le politologue Pierre Bonnevalle. « Pendant longtemps, il s’agissait de surveiller les poids lourds. Le #port et le #tunnel sont aujourd’hui tellement bunkérisés que les exilés traversent en bateau. »

    Les technologies employées suivent : en novembre 2021, le ministère de l’intérieur annonçait la mise à disposition de 4 x 4, de lunettes de vision nocturne ou de #caméras_thermiques pour équiper les gendarmes et policiers chargés de lutter contre l’immigration clandestine sur les côtes de la Manche.

    « Ces technologies ne servent à rien, à part militariser l’espace public. J’ai encore rencontré des associatifs la semaine dernière qui me disaient que cela n’a aucun impact sur le nombre de passages et les risques pris par ces gens », tempête l’eurodéputé et ancien maire de Grande-Synthe Damien Carême.

    Elles ont malgré tout un #coût : 1,28 milliard d’euros depuis 1998, selon Pierre Bonnevalle, dont 425 millions pour la seule période 2017-2021. « C’est une estimation a minima, pointe-t-il. Cela ne prend pas en compte, par exemple, le coût des forces de l’ordre. »

    Publié en novembre 2021, un rapport de la commission d’enquête parlementaire sur les migrations détaille les dépenses pour la seule année 2020 : l’État a investi 24,5 millions dans des dispositifs humanitaires d’hébergement, contre 86,4 pour la mobilisation des forces de l’ordre. Des sommes qui désespèrent Pablo, le militant de Human Rights Observers. « Cela aurait permit de bâtir de nombreux centres d’accueil pour que les exilés vivent dans des conditions dignes. » L’État semble avoir d’autres priorités.

    #technologie #frontières #contrôles_frontaliers #asile #migrations #réfugiés #surveillance_des_frontières #militarisation_des_frontières #IA #AI #complexe_militaro-industriel #Manche #La_Manche #France #UK #Angleterre
    –-

    via @olaf #merci :
    https://seenthis.net/messages/968794

  • Guerre en Ukraine : du matériel militaire français accusé d’avoir servi dans le massacre de Boutcha
    https://disclose.ngo/fr/article/des-equipements-militaires-francais-impliques-dans-le-massacre-de-boutcha

    Des caméras thermiques de Thales ont été retrouvées sur un char russe capturé par l’armée ukrainienne. Elles pourraient avoir été utilisées lors de crimes de guerre en Ukraine. Lire l’article

  • Se questa è l’Europa. Una cortina di ferro per i migranti

    La Polonia costruirà da dicembre una barriera per fermare il flusso di profughi spinti verso il confine dal governo della Bielorussia. Negli ultimi 50 anni costruiti 65 muri di confine

    Non sarà facile, quando toccherà agli storici, spiegare che l’epoca dei muri non è più solo quella del Vallo di Adriano o il tempo del cinese Qin Shi Huang, l’imperatore padre della Grande Muraglia. Epoche in cui le fortificazioni servivano a proteggersi dalle incursioni armate. Non nel 2021, quando miliardi di euro vengono investiti per respingere nient’altro che persone disarmate.

    Il 60% delle nuove barriere è stato voluto per ostacolare le migrazioni forzate. Negli ultimi 50 anni (1968-2018) sono stati costruiti oltre 65 muri di confine. L’Europa (26%) è seconda solo all’Asia (56%). A oltre trent’anni dalla caduta del muro di Berlino, il 60% della popolazione mondiale (circa 4,7 miliardi di persone) vive in Paesi che hanno costruito un qualche argine contro i flussi di persone.

    Il centro studi ’Transnational Institute’ ha calcolato che solo dal 1990 al 2019 i Paesi Ue dell’area Schengen si sono dotati di oltre mille chilometri di recinzioni. E presto saranno più del doppio. La spesa totale ha sfiorato il miliardo di euro. A cui andranno aggiunti gli stanziamenti per i 508 chilometri di frontiera che la Lituania ha deciso di puntellare con pali d’acciaio e filo spinato. Come la Polonia, del resto, che con i lituani condivide l’affaccio sulla Bielorussia. Ieri la conferma: da dicembre il governo polacco costruirà una nuova barriera al confine. «È sconcertante quanto avviene in più luoghi ai confini dell’Unione. È sorprendente – ha detto ieri il presidente Sergio Mattarella – il divario tra i grandi principi proclamati e il non tener conto della fame e del freddo cui sono esposti esseri umani ai confini dell’Unione» .

    Per venirne a capo bisogna seguire i soldi. Tanti soldi. Si scopre così che il filo spinato e le armi per ricacciare indietro i poveri sono prima di tutto un colossale giro d’affari. A poco servono le inchieste amministrative e quelle penali sulle operazioni condotte da agenzie come Frontex, nata per supportare la sorveglianza dei confini esterni e finita accusata di malversazioni e di aver cooperato nelle operazioni più cruente nei Balcani, nel Canale di Sicilia e nell’Egeo. Entro il 2027 si passerà dagli attuali 1.500 a 10mila effettivi, di cui 7 mila distaccati dalle forze dell’ordine nazionali, e avrà nel bilancio un budget superiore alla maggior parte delle agenzie dell’Unione Europea: circa 5,6 miliardi di euro fino al 2027.

    Direttamente o attraverso consociate, beneficiano dei cospicui investimenti europei le più importanti aziende del comparto difesa: tra cui #Airbus, #Thales, #Leonardo, #Lockheed_Martin, #General_Dynamics, #Northrop_Grumman, #L3_Technologies, #Elbit, #Indra, #Dat-Con, #Csra, #Leidos e #Raytheon. Tra i principali beneficiari degli appalti per i muri le grandi firme dell’industria bellica. C’è #European_Security_Fencing, produttore spagnolo di filo spinato, utilizzato nelle recinzioni al confine con Spagna/Marocco, Ungheria/Serbia, Bulgaria/Turchia, Auanche stria/Slovenia, Regno Unito/ Francia. Poi la società slovena “#Dat-Con” incaricata di costruire barriere in Croazia, a Cipro, in Macedonia, Moldavia, Slovenia e Ucraina.

    E ancora il costruttore navale olandese #Damen, le cui navi sono state utilizzate in operazioni di frontiera da Albania, Belgio, Bulgaria, Portogallo, Paesi Bassi, Romania, Svezia e Regno Unito, oltre che Libia, Marocco, Tunisia e Turchia. I francesi siedono al tavolo dei grandi appalti con “#Sopra_Steria”, il principale contraente per lo sviluppo e la manutenzione del Sistema d’informazione visti ( #Vis), il Sistema d’informazione Schengen (#Sis_II) e Dattiloscopia europea (#Eurodac). Poi di nuovo una compagnia spagnola, la #Gmv incaricata di implementare #Eurosur, il sistema europeo di sorveglianza delle frontiere esterne.

    Prima di oggi le imprese hanno beneficiato del budget di 1,7 miliardi di euro del Fondo per le frontiere esterne della Commissione europea (2007-2013) e del Fondo per la sicurezza interna – frontiere (2014-2020) di 2,76 miliardi di euro. Per il nuovo bilancio Ue (20212027), la Commissione europea ha stanziato 8,02 miliardi di euro al Fondo per la gestione integrata delle frontiere; 11,27 miliardi di euro a Frontex (di cui 2,2 miliardi di euro saranno utilizzati per acquisire e gestire mezzi aerei, marittimi e terrestri) e almeno 1,9 miliardi di euro di spesa totale (20002027) per le sue banche dati di identità e Eurosur (il sistema europeo di sorveglianza delle frontiere).

    Commentando le ultime notizie dalla frontiera orientale, il presidente della commissione Cei per i migranti, il vescovo Giancarlo Perego, ha usato parole che ben riassumono la deriva del continente dei muri: «Una sconfitta dell’umanesimo su cui si fonda l’Europa, una sconfitta della democrazia. L’Europa dei muri è un’Europa che dimostra di cedere alla paura, un’Europa in difesa da un mondo che cammina». Oppure, per dirla con Papa Francesco, le moderne muraglie sono «una cosa insensata, che separa e contrappone i popoli».

    https://www.avvenire.it/attualita/pagine/una-cortina-di-ferro-per-i-migranti

    #murs #barrières_frontalières #migrations #asile #réfugiés #frontières #complexe_militaro-industriel #business

  • Data et nouvelles technologies, la face cachée du contrôle des mobilités

    Dans un rapport de juillet 2020, l’#Agence_européenne_pour_la_gestion_opérationnelle_des_systèmes_d’information_à_grande_échelle (#EU-Lisa) présente l’#intelligence_artificielle (#IA) comme l’une des « #technologies prioritaires » à développer. Le rapport souligne les avantages de l’IA en matière migratoire et aux frontières, grâce, entre autres, à la technologie de #reconnaissance_faciale.

    L’intelligence artificielle est de plus en plus privilégiée par les acteurs publics, les institutions de l’UE et les acteurs privés, mais aussi par le #HCR et l’#OIM. Les agences de l’UE, comme #Frontex ou EU-Lisa, ont été particulièrement actives dans l’expérimentation des nouvelles technologies, brouillant parfois la distinction entre essais et mise en oeuvre. En plus des outils traditionnels de #surveillance, une panoplie de technologies est désormais déployée aux frontières de l’Europe et au-delà, qu’il s’agisse de l’ajout de nouvelles #bases_de_données, de technologies financières innovantes, ou plus simplement de la récupération par les #GAFAM des données laissées volontairement ou pas par les migrant·e·s et réfugié∙e∙s durant le parcours migratoire.

    La pandémie #Covid-19 est arrivée à point nommé pour dynamiser les orientations déjà prises, en permettant de tester ou de généraliser des technologies utilisées pour le contrôle des mobilités sans que l’ensemble des droits des exilé·e·s ne soit pris en considération. L’OIM, par exemple, a mis à disposition des Etats sa #Matrice_de_suivi_des_déplacements (#DTM) durant cette période afin de contrôler les « flux migratoires ». De nouvelles technologies au service de vieilles obsessions…

    http://migreurop.org/article3021.html

    Pour télécharger la note :
    migreurop.org/IMG/pdf/note_12_fr.pdf

    #migrations #réfugiés #asile #frontières #mobilité #mobilités #données #technologie #nouvelles_technologies #coronavirus #covid #IOM
    #migreurop

    ping @etraces

    voir aussi :
    Migreurop | Data : la face cachée du contrôle des mobilités
    https://seenthis.net/messages/900232

    • European funds for African IDs: migration regulation tool or privacy risk?

      The first person you meet after you land at Blaise Diagne Airport in Dakar is a border guard with a digital scanner.

      The official will scan your travel document and photograph and take a digital print of your index fingers.

      It’s the most visible sign of the new state-of-the-art digital biometrics system that is being deployed in the airport with the help of EU funding.

      The aim is to combat the increasingly sophisticated fake passports sold by traffickers to refugees.

      But it also helps Senegal’s government learn more about its own citizens.

      And it’s not just here: countries across West Africa are adopting travel documentation that has long been familiar to Europeans.

      Passports, ID cards and visas are all becoming biometric, and a national enrolment scheme is underway.

      In Europe too, there are proposals to create a biometric database of over 400 million foreign nationals, including fingerprints and photographs of their faces.

      The new systems are part of efforts to battle illegal migration from West Africa to the EU.

      ‘Fool-proof’ EU passport online

      Many are still plying the dangerous route across the Sahara and the Mediterranean to reach Europe, but a growing number are turning to the criminal gangs selling forged passports to avoid the treacherous journey over desert and sea.

      There’s a burgeoning market in travel documents advertised as ‘fake but real”.

      Prices vary according to the paperwork: an EU Schengen transit visa costs €5,000, while a longer-stay visa can be twice as high.

      Some forgers have even mastered the ability to incorporate holograms and hack the biometric chips.

      “Morphing” is an image processing technique that merges two people’s photographs into a single new face that appears to contain entirely new biometric data.

      Frontex, the EU’s border guard agency, says 7,000 people were caught trying to enter the Schengen area in 2019 carrying such documents — but it admits the true figure could be much higher.

      Sending migrants back

      Last year, the largest number of travellers with fake documents arrived via Turkish and Moroccan international airports.

      Many were caught in Italy, having arrived via Casablanca from sub-Saharan countries like Ghana, Mali, Nigeria and Senegal.

      A Frontex team responsible for deporting migrants without the correct paperwork was deployed this year at Rome’s Fiumicino Airport.

      It’s the first sign of a new European Commission regulation expanding the agency’s role, which includes access to biometric data held by member states, according to Jane Kilpatrick, a researcher at the civil liberties think-tank Statewatch.

      “The agency’s growing role in the collection of data, it links overtly to the agency’s role in deporting individuals from the EU,” she said.

      Over 490,000 return decisions were issued by member states last year, but only a third were actually sent back to a country outside the EU.

      There are multiple reasons why: some countries, for example, refuse to accept responsibility for people whose identity documents were lost, destroyed or stolen.

      Legally binding readmission agreements are now in place between the EU and 18 other countries to make that process easier.
      There are no records

      But a bigger problem is the fact that many African countries know very little about their own citizens.

      The World Bank estimates the continent is home to roughly half of the estimated one billion people on the planet who are unable to prove their identities.

      An absence of digitisation means that dusty registers are piling up in storage rooms.

      The same goes for many borders: unlike the scene at Dakar’s airport, many are still without internet access, servers, scanners and cameras.

      That, the Commission says, is why EU aid funds are being used to develop biometric identity systems in West African countries.

      The EU Trust Fund for Africa has allotted €60 million to support governments in Senegal and Côte d’Ivoire in modernising their registry systems and creating a national biometric identity database.

      Much of the funding comes through Civipol, a consulting firm attached to France’s interior ministry and part-owned by Milipol, one of the most important arms trade fairs in the world.

      It describes the objective of the programme in Côte d’Ivoire as identifying “people genuinely of Ivorian nationality and organising their return more easily”.
      Data security concerns

      European sources told Euronews that the EU-funded projects in West Africa were not designed to identify potential migrants or deport existing ones.

      A Commission spokesperson insisted no European entity — neither Frontex, nor member states, nor their partners — had access to the databases set up by West African countries.

      But the systems they are funding are intimately connected to anti-migration initiatives.

      One is the Migrant Information and Data Analysis System (MIDAS), a migration database that can send automatic queries to Interpol watchlists to detect travel documents and people possibly linked to organised crime, including human trafficking.

      Connections like these, and the role of French arms giants like Thales in the growing biometric market, has led data protection experts to become worried about possible abuses of privacy.
      World’s newest biometric market

      As Africa becomes the coveted market for biometric identification providers, the watchdog Privacy International has warned it risks becoming a mere testing ground for technologies later deployed elsewhere.

      So far 24 countries on the continent out of 53 have adopted laws and regulations to protect personal data.

      A letter by Privacy International, seen by Euronews, says EU must “ensure they are protecting rights before proceeding with allocating resources and technologies which, in absence of proper oversight, will likely result in fundamental rights abuses.”

      It has published internal documents tracking the development of Senegal’s system that suggest no privacy or data protection impact assessments have been carried out.

      Civipol, the French partner, denies this: it told Euronews that the Senegalese Personal Data Commission took part in the programme and Senegalese law was respected at every stage.

      Yet members of Senegal’s independent Commission of Personal Data (CDP), which is responsible for ensuring personal data is processed correctly, admit implementation and enforcement remained a challenge — even though they are proud of their country’s pioneering role in data governance in Africa.

      For the Senegalese cyber activist Cheick Fall, the charge is more serious: “Senegal has sinned by entrusting the processing of these data to foreign companies.”

      https://www.euronews.com/2021/07/30/european-funds-for-african-ids-migration-regulation-tool-or-privacy-risk

      #biométrie #aéroport #Afrique #étrangers #base_de_données_biométrique #empreintes_digitales #passeports #visas #hologramme #Morphing #image #photographie #Frontex #EU_Trust_Fund_for_Africa #Trust_Fund #Civipol #Milipol #armes #commerce_d'armes #Côte_d’Ivoire #Afrique_de_l'Ouest #Migrant_Information_and_Data_Analysis_System (#MIDAS) #Interpol #Thales #Sénégal #Senegalese_Personal_Data_Commission #Commission_of_Personal_Data (#CDP)

    • EU Watchdog Finds Commission Failed to Protect Human Rights From its Surveillance Aid to African Countries

      The European #Ombudsman has found that the European Commission failed to take necessary measures to ensure the protection of human rights in the transfers of technology with potential surveillance capacity supported by its multi-billion #Emergency_Trust_Fund_for_Africa

      The decision by the EU’s oversight body follows a year-long inquiry prompted by complaints outlining how EU bodies and agencies are cooperating with governments around the world to increase their surveillance powers filed by Privacy International, Access Now, the Border Violence Monitoring Network, Homo Digitalis, International Federation for Human Rights (FIDH), and Sea-Watch.

      The complainants welcome the decision by the European Ombudsman and call on the Commission to urgently review its support for surveillance in non-EU countries and to immediately implement the Ombudsman’s recommendations in their entirety. 

      The inquiry, which investigated the support of projects across Africa aimed at bolstering surveillance and tracking powers and involved extensive evidence-gathering from the Commission and complainants, found that “the Commission was not able to demonstrate that the measures in place ensured a coherent and structured approach to assessing the human rights impacts”.

      It recommends that the Commission now require that an “assessment of the potential human rights impact of projects be presented together with corresponding mitigation measures.” The lack of such protections, which the Ombudsman called a “serious shortcoming”, poses a clear risk that these surveillance transfer might cause serious violations of or interferences with other fundamental rights. 

       

      Ioannis Kouvakas, Senior Legal Officer at Privacy International, commenting on the decision:

      “This landmark decision in response to our complaint marks a turning point for the European Union’s external policy and sets a precedent that will hopefully protect the rights of communities in some of the most vulnerable situations for the years to come.”

      An FIDH Spokesperson said:

      “Indeed, this decision warns once again the European Commission about its failure to comply with its human rights obligations. The decision makes clear that the EU has to better develop its processes to effectively put the protection of human rights at core of the design and the implementation of its policies and external activities. All human rights and all activities are at stake.”

      Marwa Fatafta from Access Now said:

      “We welcome the Ombudsman’s decision which scrutinises the EU’s failure to protect and respect the human rights of people living off its shores. The EU’s ongoing surveillance transfers to authoritarian regimes in Africa and elsewhere cannot continue business as usual. We hope this decision will help hold the EU accountable to its values overseas, and protect the rights and freedoms of vulnerable communities from intrusive tracking and government surveillance.”

      Homo Digitalis said:

      “The shortcomings that the Ombudsman has identified prove that the Commission is not able to demonstrate that the measures in place ensure a coherent and structured approach to assessing the human rights impacts of #EUTFA projects. This is an important first step, but we need specific accountability mechanisms in place to address violations of rights and freedoms in EUTFA projects. This cannot be ensured via just some revised templates.”

      https://privacyinternational.org/press-release/4992/eu-watchdog-finds-commission-failed-protect-human-rights-its-s
      #EUTF_for_Africa

  • #Border_Profiteers. Corporations profiting from borders, detentions and deportations - Berlin edition

    This brochure has gathered a list of corporations that profit from deportations, from managing detention centers, from building fences, selling ships, drones or planes patrolling the Mediterranean, subcontracted security guards, providing data collection, border surveillance software, id control mechanisms, racist policy consultation, prison construction and any other form of oppression that limits peoples freedom of movement and right to stay.

    The external borders of Europe are not in Berlin, but the border regime is all around us. This regime consists of more than just the state. In capitalism, many forms of border oppression are subcontracted to corporations. Borders are very profitable. Therefore this market is dominated by huge multinational corporations. And since keywords of the European borders are militarisation and surveillance, the list of corporate border profiteers is full of the usual suspects that also profit from war, prisons and privacy infringement.

    The goal of this booklet is to promote action in Berlin and Brandenburg. Hence the focus is very much on companies that have an office in Berlin or action possibilities based on local struggles.

    List of Border Profiteers

    1. DEPORTATION COLLABORATORS
    #Lufthansa#Eurowings
    #Privilege_Style
    #Corendon_Airlines
    #Turyol / #Jalem_Tur
    #Enter_Air

    2. BORDER MILITARISATION
    #Airbus#Hensholdt
    #Otokar#Koç_Holding
    #Thales

    3. DETENTION INDUSTRY
    #European_Homecare
    #Pulsm#Morten_Group
    #Markgraf
    #Baukontor_Lange

    4. SURVEILLANCE SOFTWARE
    #Sopra_Steria
    #Cevision

    5. PRIVATE GUARDS
    #City_Schutz
    #Securitas
    #L&S_Sicherheit
    #Secura_Protect

    6. BORDER CONSULTANCY
    #McKinsey

    Quelques captures d’écran :

    https://noborderassembly.blackblogs.org/2021/04/14/new-brochure-border-profiteers

    Pour télécharger la brochure :
    https://noborderassembly.blackblogs.org/wp-content/uploads/sites/1214/2021/04/Border-Profiteers-berlin.pdf

    #profit #business #complexe_militaro-industriel #frontières #asile #migrations #réfugiés #renvois #Allemagne #compagnies_aériennes #sécurité #détention_administrative #rétention #consultants #militarisation_des_frontières #renvois #expulsions #charter #Frontex

    #no_border_assembly #rapport

  • Technopolice, villes et vies sous surveillance
    https://www.laquadrature.net/2021/01/03/technopolice-villes-et-vies-sous-surveillance

    Depuis plusieurs années, des projets de « Smart Cities » se développent en France, prétendant se fonder sur les nouvelles technologies du « Big Data » et de l’« Intelligence Artificielle » pour améliorer notre quotidien urbain. Derrière ce vernis de ces villes soi-disant « intelligentes », se cachent des dispositifs souvent dangereusement sécuritaires. D’une part, car l’idée de multiplier les capteurs au sein d’une ville, d’interconnecter l’ensemble de ses réseaux et d’en gérer l’entièreté depuis un centre (...)

    #Cisco #Gemalto #Huawei #Thalès #algorithme #capteur #CCTV #PARAFE #SmartCity #biométrie #facial #reconnaissance #vidéo-surveillance #comportement #surveillance #BigData #TAJ #Technopolice (...)

    ##LaQuadratureduNet

  • Here’s how a well-connected security company is quietly building mass biometric databases in West Africa with EU aid funds
    https://www.privacyinternational.org/news-analysis/4290/heres-how-well-connected-security-company-quietly-building-mas

    Documents disclosed to Privacy International reveal how the European Union has been using aid funds to finance the development of biometric identity systems in countries in Africa as part of its response to migration, and highlight urgent concerns. Key points The EU is using aid funds to build mass-scale and high-risk biometric identification systems to manage migration flows to Europe and to facilitate deportations ; Civipol, a well-connected French company owned by some of the (...)

    #Airbus #Safran #Thalès #biométrie #migration #militaire #données #facial #reconnaissance #iris #empreintes (...)

    ##PrivacyInternational

  • 6 out of 10 people worldwide live in a country that has built border walls

    Days after the drawn-out U.S. elections, a new report reveals that the wall sold by Trump as a supposed achievement of his administration is just one of more than 63 new border walls built along borders or in occupied territories worldwide.

    Today, 31 years after the fall of the Berlin Wall, we find ourselves in a world with more walls than ever. 4.679 billion people in the world (60.98%) live in a country that has built one of these walls on its borders, concludes the report “Walled world: towards Global Apartheid” co published by the Centre Delàs d’Estudis per la Pau, Transnational Institute, Stop Wapenhandel and Stop the Wal Campaign.

    Beyond the surge in physical walls, many more countries have militarized their frontiers through the deployment of troops, ships, aircraft, drones, and digital surveillance, patrolling land, sea and air. If we counted these ‘walls’, they would number hundreds. As a result, it is now more dangerous and deadly than ever to cross borders for people fleeing poverty and violence.

    In addition, the research highlights that, as in the United States, immigration and terrorism are the main reasons given by states for the construction of walls, both justifications together represent 50%, half of the world’s walls.

    Israel tops the list of countries that have built the most walls, with a total of 6. It is followed by Morocco, Iran and India with 3 walls each. Countries with 2 border walls are South Africa, Saudi Arabia, United Arab Emirates, Jordan, Turkey, Turkmenistan, Kazakhstan, Hungary and Lithuania.

    “The global trend in border management policies is to build a world in which segregation and inequality are reinforced. In this walled world, commerce and capital are not restricted, yet it increasingly excludes people based on their class and origin”, states Ainhoa ​​Ruiz Benedicto, co-author of the report and researcher at the Centre Delàs d’Estudis per la Pau.

    The report focuses on a few specific walls in different regions, highlighting the following:

    Four of the five countries bordering Syria have built walls: Israel, Turkey, Jordan and Iraq.
    India has built 6,540 km of barriers against its neighboring countries, covering 43% of its borders.
    Morocco built an occupation wall with Western Sahara considered “the greatest functional military barrier in the world”, 2,720 km long.

    In addition to physical walls, the militarization of border areas continues to increase, in which walls are just one means of stopping people crossing territories.. The report highlights two cases:

    Mexico has notably militarized its border with Guatemala with equipment and financing through the US funded Frontera Sur program.
    Australia has turned the sea into a barrier with the deployment of its armed forces and the Maritime Border Command of the Australian Border Force, in addition to an offshore detention system that violates human rights.

    The business of building walls

    Finally, the report analyzes the industry that profits from this surge in wall-building and the criminalization of people fleeing poverty and violence. The report concludes that the border security industry is diverse, as shown by the number of companies involved in the construction of Israel’s walls, with more than 30 companies from the military, security, technology and construction sectors.

    “Many walls and fences are built by local construction companies or by state entities, such as the military. However, the walls are invariably accompanied by a range of technological systems, such as monitoring, detection and identification equipment, vehicles, aircraft and arms, which military and security firms provide”, explains Mark Akkerman, co-author of the report and researcher at Stop Wapenhandel. Companies such as Airbus, Thales, Leonardo, Lockheed Martin, General Dynamics, Northrop Grumman and L3 Technologies are the main beneficiaries of border contracts - in particular providing the technology that accompanies the walls in both the US and in EU member states. In the specific cases studied in the report, companies such as Elbit, Indra, Dat-Con, CSRA, Leidos and Raytheon also stand out as key contractors.

    “Three decades after the fall of the Berlin Wall, it is extremely sad that the wall has become the symbol of our time. Not only is it a betrayal of people’s hopes in 1989, but it also locks us into a fortress with no way out in which we lose our very humanity. All the research tells us that we can expect more migration in the coming decades. Therefore, it is of profound importance to seek other dignified and humane ways to respond to the needs of people who are forced to flee their homes for reasons of poverty, violence and climate change”, warns Nick Buxton, co-editor of the report and researcher at TNI.

    https://www.tni.org/en/article/6-out-of-10-people-worldwide-live-in-a-country-that-has-built-border-walls

    #murs #barrières_frontalières #cartographie #visualisation #frontières #business #complexe_militaro-industriel #migrations #asile #réfugiés #Airbus #Thales #Leonardo #Lockheed_Martin #General_Dynamics #Northrop_Grumman #L3_Technologies #Elbit #Indra #Dat-Con #CSRA #Leidos #Raytheon #chiffres #statistiques #militarisation_des_frontières #contrôles_frontaliers #terrorisme #anti-terrorisme #Israël #Maroc #Inde #Iran #ségrégation #monde_ségrégué #monde_muré #technologie

    #rapport #TNI

    ping @reka @karine4 @_kg_

  • Reconnaissance faciale, un remède miracle ?
    https://lvsl.fr/reconnaissance-faciale-un-remede-miracle

    Depuis quelques temps déjà, un débat autour de la reconnaissance faciale s’érige auprès des sphères politico-industrielles ainsi qu’au sein des organisations de défense des libertés, un développement technologique qui fascine autant qu’il inquiète. Vendue par ses promoteurs comme la solution miracle aux problèmes sécuritaires, la reconnaissance faciale est une véritable marotte contemporaine. Confortablement installées sur un marché mondial qui se compte en plusieurs milliards de dollars, bon nombre (...)

    #Cognitec #Google #Idemia #Safran #Thalès #NEC #Amazon #Facebook #algorithme #CCTV #Rekognition #biométrie #facial #reconnaissance #vidéo-surveillance #surveillance #LaQuadratureduNet #Technopolice #DeepFace #Alicem #Gemalto #CNIL #TAJ #TES #S2ucre (...)

    ##[fr]Règlement_Général_sur_la_Protection_des_Données__RGPD_[en]General_Data_Protection_Regulation__GDPR_[nl]General_Data_Protection_Regulation__GDPR_ ##Cisco ##SmartCity ##biais ##Morpho ##sexisme ##discrimination

  • Nice
    https://technopolice.fr/nice

    Projet « Safe City » À Nice, dans le cadre du « Projet d’expérimentation Safe City » voté par la Ville en juin, Thales et le consortium qu’il dirige veulent aller plus loin, en créant le « Waze de la sécurité » à la mode Big Data. Pour aider les « décideurs », il s’agit de « collecter le maximum de données existantes et d’en chercher les corrélations et les signaux faibles », de « développer les nouveaux algorithmes d’analyse et de corrélation permettant de mieux comprendre une situation et de développer des (...)

    #Two-I #Thalès #algorithme #CCTV #SmartCity #smartphone #biométrie #émotions #facial #reconnaissance #vidéo-surveillance #enseignement #SocialNetwork #surveillance # #CNIL #LaQuadratureduNet (...)

    ##_ ##Technopolice

  • Paris
    https://technopolice.fr/paris

    Projet « Safe City » En mars 2017, il a été annoncé que la société Thalès voulait implémenter à La Défense sa solution « Safe City », également développée à Nice, pour en faire « le quartier d’affaires le plus sûr du monde ». Les technologies annoncées sont les suivantes : « caméras prédictives, détecteurs de coups de feu, capteurs de température ou encore détecteurs de présence » ainsi qu’un « logiciel de traitement intelligent de l’image qui permettra d’optimiser les bandes-vidéo captées par l’une des 1 200 (...)

    #Axone #RATP #Thalès #algorithme #capteur #CCTV #drone #smartphone #biométrie #aérien #facial #prédiction #reconnaissance #vidéo-surveillance #comportement #mouvement #surveillance #ConseilConstitutionnel-FR #LaQuadratureduNet #LDH-France (...)

    ##Technopolice

  • Vidéosurveillance et intelligence artificielle : le grand flou de la RATP
    https://www.mediapart.fr/journal/france/280720/videosurveillance-et-intelligence-artificielle-le-grand-flou-de-la-ratp

    Intéressée par la « vidéosurveillance automatisée », la régie publique multiplie les expérimentations avec des partenaires privés. Dernier en date : un laboratoire d’intelligence artificielle à la station Châtelet-Les Halles, sur lequel règne une grande opacité. Faute de réponses de la RATP, Mediapart a décidé de saisir la Cada pour faire respecter le droit de savoir des usagers. Elles ne scruteront plus les passants. Installées début mai à la station de métro et de RER Châtelet-Les Halles, à Paris, dans (...)

    #Axone #Datakalab #RATP #Thalès #algorithme #CCTV #biométrie #facial #reconnaissance #vidéo-surveillance #[fr]Règlement_Général_sur_la_Protection_des_Données_(RGPD)[en]General_Data_Protection_Regulation_(GDPR)[nl]General_Data_Protection_Regulation_(GDPR) #masque #surveillance (...)

    ##[fr]Règlement_Général_sur_la_Protection_des_Données__RGPD_[en]General_Data_Protection_Regulation__GDPR_[nl]General_Data_Protection_Regulation__GDPR_ ##_ ##CNIL ##LaQuadratureduNet ##LDH-France ##Hypervision3D ##SmartCity ##Huawei ##comportement ##Deepomatic

  • EU pays for surveillance in Gulf of Tunis

    A new monitoring system for Tunisian coasts should counter irregular migration across the Mediterranean. The German Ministry of the Interior is also active in the country. A similar project in Libya has now been completed. Human rights organisations see it as an aid to „#pull_backs“ contrary to international law.

    In order to control and prevent migration, the European Union is supporting North African states in border surveillance. The central Mediterranean Sea off Malta and Italy, through which asylum seekers from Libya and Tunisia want to reach Europe, plays a special role. The EU conducts various operations in and off these countries, including the military mission „#Irini“ and the #Frontex mission „#Themis“. It is becoming increasingly rare for shipwrecked refugees to be rescued by EU Member States. Instead, they assist the coast guards in Libya and Tunisia to bring the people back. Human rights groups, rescue organisations and lawyers consider this assistance for „pull backs“ to be in violation of international law.

    With several measures, the EU and its member states want to improve the surveillance off North Africa. Together with Switzerland, the EU Commission has financed a two-part „#Integrated_Border_Management Project“ in Tunisia. It is part of the reform of the security sector which was begun a few years after the fall of former head of state Ben Ali in 2011. With one pillar of this this programme, the EU wants to „prevent criminal networks from operating“ and enable the authorities in the Gulf of Tunis to „save lives at sea“.

    System for military and border police

    The new installation is entitled „#Integrated_System_for_Maritime_Surveillance“ (#ISMariS) and, according to the Commission (https://www.europarl.europa.eu/doceo/document/E-9-2020-000891-ASW_EN.html), is intended to bring together as much information as possible from all authorities involved in maritime and coastal security tasks. These include the Ministry of Defence with the Navy, the Coast Guard under the Ministry of the Interior, the National Guard, and IT management and telecommunications authorities. The money comes from the #EU_Emergency_Trust_Fund_for_Africa, which was established at the Valletta Migration Summit in 2015. „ISMariS“ is implemented by the Italian Ministry of the Interior and follows on from an earlier Italian initiative. The EU is financing similar projects with „#EU4BorderSecurity“ not only in Tunisia but also for other Mediterranean countries.

    An institute based in Vienna is responsible for border control projects in Tunisia. Although this #International_Centre_for_Migration_Policy_Development (ICMPD) was founded in 1993 by Austria and Switzerland, it is not a governmental organisation. The German Foreign Office has also supported projects in Tunisia within the framework of the #ICMPD, including the establishment of border stations and the training of border guards. Last month German finally joined the Institute itself (https://www.andrej-hunko.de/start/download/dokumente/1493-deutscher-beitritt-zum-international-centre-for-migration-policy-development/file). For an annual contribution of 210,000 euro, the Ministry of the Interior not only obtains decision-making privileges for organizing ICMPD projects, but also gives German police authorities the right to evaluate any of the Institute’s analyses for their own purposes.

    It is possible that in the future bilateral German projects for monitoring Tunisian maritime borders will also be carried out via the ICMPD. Last year, the German government supplied the local coast guard with equipment for a boat workshop. In the fourth quarter of 2019 alone (http://dipbt.bundestag.de/doc/btd/19/194/1919467.pdf), the Federal Police carried out 14 trainings for the national guard, border police and coast guard, including instruction in operating „control boats“. Tunisia previously received patrol boats from Italy and the USA (https://migration-control.info/en/wiki/tunisia).

    Vessel tracking and coastal surveillance

    It is unclear which company produced and installed the „ISMariS“ surveillance system for Tunisia on behalf of the ICPMD. Similar facilities for tracking and displaying ship movements (#Vessel_Tracking_System) are marketed by all major European defence companies, including #Airbus, #Leonardo in Italy, #Thales in France and #Indra in Spain. However, Italian project management will probably prefer local companies such as Leonardo. The company and its spin-off #e-GEOS have a broad portfolio of maritime surveillance systems (https://www.leonardocompany.com/en/sea/maritime-domain-awareness/coastal-surveillance-systems).

    It is also possible to integrate satellite reconnaissance, but for this the governments must conclude further contracts with the companies. However, „ISMariS“ will not only be installed as a Vessel Tracking System, it should also enable monitoring of the entire coast. Manufacturers promote such #Coastal_Surveillance_Systems as a technology against irregular migration, piracy, terrorism and smuggling. The government in Tunisia has defined „priority coastal areas“ for this purpose, which will be integrated into the maritime surveillance framework.

    Maritime „#Big_Data

    „ISMariS“ is intended to be compatible with the components already in place at the Tunisian authorities, including coastguard command and control systems, #radar, position transponders and receivers, night vision equipment and thermal and optical sensors. Part of the project is a three-year maintenance contract with the company installing the „ISMariS“.

    Perhaps the most important component of „ISMariS“ for the EU is a communication system, which is also included. It is designed to improve „operational cooperation“ between the Tunisian Coast Guard and Navy with Italy and other EU Member States. The project description mentions Frontex and EUROSUR, the pan-European surveillance system of the EU Border Agency, as possible participants. Frontex already monitors the coastal regions off Libya and Tunisia (https://insitu.copernicus.eu/FactSheets/CSS_Border_Surveillance) using #satellites (https://www.europarl.europa.eu/doceo/document/E-8-2018-003212-ASW_EN.html) and an aerial service (https://digit.site36.net/2020/06/26/frontex-air-service-reconnaissance-for-the-so-called-libyan-coast-guar).

    #EUROSUR is now also being upgraded, Frontex is spending 2.6 million Euro (https://ted.europa.eu/udl?uri=TED:NOTICE:109760-2020:TEXT:EN:HTML) on a new application based on artificial intelligence. It is to process so-called „Big Data“, including not only ship movements but also data from ship and port registers, information on ship owners and shipping companies, a multi-year record of previous routes of large ships and other maritime information from public sources on the Internet. The contract is initially concluded for one year and can be extended up to three times.

    Cooperation with Libya

    To connect North African coastguards to EU systems, the EU Commission had started the „#Seahorse_Mediterranean“ project two years after the fall of North African despots. To combat irregular migration, from 2013 onwards Spain, Italy and Malta have trained a total of 141 members of the Libyan coast guard for sea rescue. In this way, „Seahorse Mediterranean“ has complemented similar training measures that Frontex is conducting for the Coastal Police within the framework of the EU mission #EUBAM_Libya and the military mission #EUNAVFOR_MED for the Coast Guard of the Tripolis government.

    The budget for „#Seahorse_Mediterranean“ is indicated by the Commission as 5.5 million Euro (https://www.europarl.europa.eu/doceo/document/E-9-2020-000892-ASW_EN.html), the project was completed in January 2019. According to the German Foreign Office (http://dipbt.bundestag.de/doc/btd/19/196/1919625.pdf), Libya has signed a partnership declaration for participation in a future common communication platform for surveillance of the Mediterranean. Tunisia, Algeria and Egypt are also to be persuaded to participate. So far, however, the governments have preferred unilateral EU support for equipping and training their coastguards and navies, without having to make commitments in projects like „Seahorse“, such as stopping migration and smuggling on the high seas.

    https://digit.site36.net/2020/06/28/eu-pays-for-surveillance-in-gulf-of-tunis

    #Golfe_de_Tunis #surveillance #Méditerranée #asile #migrations #réfugiés #militarisation_des_frontières #surveillance_des_frontières #Tunisie #externalisation #complexe_militaro-industriel #Algérie #Egypte #Suisse #EU #UE #Union_européenne #Trust_Fund #Emergency_Trust_Fund_for_Africa #Allemagne #Italie #gardes-côtes #gardes-côtes_tunisiens #intelligence_artificielle #IA #données #Espagne #Malte #business

    ping @reka @isskein @_kg_ @rhoumour @karine4

    –—

    Ajouté à cette métaliste sur l’externalisation des frontières :
    https://seenthis.net/messages/731749#message765330

    Et celle-ci sur le lien entre développement et contrôles frontaliers :
    https://seenthis.net/messages/733358#message768701

  • Pourquoi la France a-t-elle choisi des drones américains plutôt que français ?
    http://www.slate.fr/story/191382/armee-ministere-defense-armement-drones-reaper-etats-unis-male-in-europe

    Le chercheur Samuel B.H. Faure revient sur les raisons du revirement du ministère de la Défense entre 2011 et 2013. Grâce à la conduite de plus de 150 entretiens dans les milieux militaires, politiques et industriels, Samuel B.H. Faure, maître de conférences à Sciences Po Saint-Germain-en-Laye, offre dans son ouvrage Avec ou sans l’Europe - Le dilemme de la politique française d’armement (à paraître le 18 juin aux Éditions de l’université de Bruxelles) une plongée inédite dans le monde méconnu de (...)

    #Dassault #EADS #Sagem #Thalès #drone #militaire #aérien #arme #lobbying #surveillance