• La voix des autres

    Rim, tunisienne, travaille en France en tant qu’interprète dans le cadre des procédures de demande d’asile. Chaque jour, elle traduit les récits d’hommes et de femmes exilés dont les voix interrogent sa propre histoire.

    https://www.arte.tv/fr/videos/117669-000-A/la-voix-des-autres
    #interprètes #traduction #asile #migrations #réfugiés #France #accompagnement_juridique #procédure_d'asile

    ping @karine4

  • Gli utili record dei padroni del cibo a scapito della sicurezza alimentare

    I cinque principali #trader di prodotti agricoli a livello mondiale hanno fatto registrare utili e profitti record tra il 2021 e il 2023. Mentre il numero di persone che soffrono la fame ha toccato i 783 milioni. Il report “Hungry for profits” della Ong SOMO individua le cause principali di questa situazione. E propone una tassa sui loro extra-profitti

    Tra il 2021 e il 2022 -anni in cui il numero di persone che soffrono la fame nel mondo è tornato ad aumentare, così come i prezzi dei beni agricoli spinti verso l’alto da inflazione e speculazione finanziaria- i profitti dei primi cinque trader di materie prime agricole a livello globale sono schizzati verso l’alto.

    Nel 2022 le multinazionali riunite sotto l’acronimo Abccd (Archer-Daniels-Midland company, Cargill, Cofco e Louis Dreyfus Company) hanno comunicato ai propri stakeholder un aumento degli utili per il 2021 compreso tra il 75% e il 260% rispetto al 2016-2020. “Mentre nel 2022 i profitti netti sono raddoppiati o addirittura triplicati rispetto allo stesso periodo. In base ai rapporti finanziari trimestrali disponibili al pubblico, i profitti netti dei commercianti di materie prime agricole sono rimasti eccessivamente alti nei primi nove mesi del 2023”, si legge nel rapporto “Hungry for profits” curato dalla Ong olandese Somo. Dati che fanno comprendere meglio quali sono i fattori che influenzano l’andamento del costo dei prodotti agricoli e -soprattutto- chi sono i reali vincitori dell’attuale sistema agroindustriale.

    La statunitense Cargill è la prima tra i Big five in termini di ricavi (165 miliardi di dollari nel 2022) e utili (6,6 miliardi), seguita dalla cinese Cofco (che nello stesso anno ha superato i 108 miliardi di dollari e i 3,3 miliardi di utili) e da Archer-Daniels-Midland company (Adm, con 101 miliardi di ricavi e 4,3 miliardi di utili). Nello stesso anno il numero di persone che soffrono la fame ha raggiunto i 783 milioni (122 milioni in più rispetto al 2019) e i prezzi dei prodotti alimentari hanno continuato a crescere, spinti dall’inflazione.

    Complessivamente questi cinque colossi detengono una posizione di oligopolio sul mercato globale dei prodotti di base come i cereali (di cui controllano una quota che va dal 70-90%), soia e zucchero. “Questo alto grado di concentrazione e il conseguente controllo sulle più importanti materie prime agricole del mondo, conferisce loro un enorme potere contrattuale per plasmare il panorama alimentare globale”, spiega Vincent Kiezebrink, ricercatore di Somo e autore della ricerca.

    La posizione dominante che di fatto ricoprono sul mercato globale rappresenta uno dei fattori che ha permesso agli Abccd di registrare profitti e utili da record negli ultimi tre anni. “La sola Cargill è responsabile della movimentazione del 25% di tutti i cereali e i semi di soia prodotti dagli agricoltori statunitensi -si legge nel report-. Anche il principale mercato agricolo per l’approvvigionamento di soia, l’America Latina, è dominato dagli Abccd: oltre la metà di tutte le esportazioni di questo prodotto passano da loro”.

    La situazione non cambia se si guarda a quello che succede in Europa: l’olandese Bunge e la statunitense Cargill da sole sono responsabili di oltre il 30% delle esportazioni di soia dal Brasile verso l’Unione europea. Bunge, in particolare, è il principale fornitore di soia per l’industria della carne dell’Ue con una chiara posizione di monopolio in alcuni mercati come il Portogallo, dove controlla il 90-100% delle vendite di olio di soia grezzo.

    Questa concentrazione è stata costruita nel tempo attraverso fusioni e acquisizioni che non sono state limitate dalle autorità per la concorrenza: quelle europee, ad esempio, hanno valutato un totale di 60 fusioni relative alle società Abccd dal 1990 a oggi. “Tutte le operazioni, tranne una, sono state autorizzate incondizionatamente -si legge nel report-. La prossima grande fusione in arrivo è quella tra la canadese Viterra (specializzata nella produzione e nel commercio di cereali, ndr) e Bunge. Un’operazione senza precedenti nel settore agricolo globale e che avvicinerà la nuova società alle dimensioni di Adm e Cargill”.

    Un secondo elemento che ha permesso a queste Big five di accumulare ricavi senza precedenti in questi anni è poi la loro capacità di influenzare la disponibilità dei beni alimentari attraverso un’enorme potenzialità di stoccaggio. “Il rapporto speciale 2022 del Gruppo internazionale di esperti sui sistemi alimentari sostenibili (Ipes) ha evidenziato che i trader conservano notevoli riserve di cereali -si legge nel report-. E sono incentivati ‘a trattenere le scorte fino a quando i prezzi vengono percepiti come massimi’”. Per avere un’idea delle quantità di materie prime in ballo, basti pensare che la capacità di stoccaggio combinata di Adm, Bunge e Cofco, è pari a circa 68 milioni di tonnellate, è simile al consumo annuo di grano di Stati Uniti, Turchia e Regno Unito messi assieme.

    Terzo e ultimo elemento individuato nel report è il fatto che queste società sono integrate verticalmente e hanno il pieno controllo della filiera produttiva dal campo alla tavola: forniscono cioè agli agricoltori prestiti, sementi, fertilizzanti e pesticidi; immagazzinano, trasformano e trasportano i prodotti alimentari.

    A fronte di questa situazione, Somo ha invitato la Commissione europea a intervenire per porre un freno alla crescente monopolizzazione del comparto: “L’indagine dovrebbe concentrarsi sul potere che può essere esercitato nei confronti dei fornitori per comprimere i loro margini di profitto -concludono i ricercatori-. È preoccupante che alle multinazionali sia stato permesso di triplicare i loro profitti facendo salire i prezzi degli alimenti, mentre le persone in tutto il mondo soffrono di una crisi del costo della vita e i più poveri sono alla fame”. Per questo motivo l’organizzazione suggerisce di applicare un’imposta sugli extra-profitti delle società Abccd che, con un’ipotetica aliquota fiscale del 33%. A fronte di utili che hanno toccato i 5,7 miliardi di dollari nel 2021 e i 6,4 miliardi nel 2022, permetterebbe di generare un gettito fiscale pari rispettivamente a 1,8 e 2 miliardi di dollari.

    https://altreconomia.it/gli-utili-record-dei-padroni-del-cibo-a-scapito-della-sicurezza-aliment
    #agriculture #business #profits #industrie_agro-alimentaire #sécurité_alimentaire #inflation #Archer-Daniels-Midland_company #Cargill #Cofco #Louis_Dreyfus_Company (#Abccd) #oligopole #céréales #soja #sucre

  • Ich, der Weltretter​
    https://taz.de/Motorrad-statt-Flieger/!vn5991559

    First World Problems
    Quand un auteur de presse connu veut donner le responsable climatique c’est un échec fini. Il raconte l’exemple des conditions auxquelles on s’expose quand on veut juste faire un saut chez un copain en Italie. Comme le Tasse il témoigne à la fois de sa situation de classe (d’invité à la cour italienne d’un mécène) et des conséquences de cette situation de classe (voyages démocratisées au prix de la destruction du monde). Il arrache le masque écolo aux protagonistes bourgeois voire petit bougeois verts.

    15.2.2024 von Arno Frank - Arno Franks bester Freund feiert seine Geburtstage an der Adria. Als ökologisch bewusster Partygast entschied er sich bei der Anreise gegen das Flugzeug.

    Mein bester Freund pflegt seine Geburtstage in einer Villa am Strand der Adria zu feiern. Das Haus ist eigentlich ein winziges Dörfchen in extrem abgelegener Gegend, es liegt auf einem felsigen Sporn im Meer, erreichbar zuletzt nur über ein bizarres Wollknäuel an Serpentinen und ganz am Ende zu Fuß über Stock und Stein. In dieser paradiesischen Abgeschiedenheit könnte mein bester Freund in Ruhe einen Roman schreiben oder, ebenfalls in Ruhe, perverse Orgien feiern. Lieber lädt er seine Freunde ein. Deshalb ist er mein bester Freund.

    Vergangenes Jahr hatte ich nur wenig Zeit und wollte eigentlich mit dem Zug anreisen. Aus ökologischen Erwägungen, versteht sich. Und weil ich auf Schienen sehr gut arbeiten kann. Weil mich das Fliegen stresst, ehrlich gesagt. Und weil’s, noch ehrlicher gesagt, auch irgendwie cool wäre. Aus Jux erkundigte ich mich bei der Bahn – und »staunte«, wie man so sagt, »nicht schlecht«.

    Es ist tatsächlich möglich, innerhalb eines einzigen Tages von Hessen nach Apulien zu fahren. Ich müsste nur um 5.26 Uhr in Wiesbaden in den ICE 991 nach München steigen, knapp vier Stunden später dort nur 16 Minuten warten, um dann den EC 83 nach Bologna zu nehmen, wo ich nur 26 Minuten nach meiner Ankunft um 16.45 Uhr bereits den FR 8815 nach Süden nehmen könnte, den ich dann nach einer Reisezeit von insgesamt 15 Stunden und 27 Minuten erreicht haben würde. In Foggia, so heißt das da, ist es dann gerade mal 21.19 Uhr, und ich kann mir nach einem Expresso im Stehen einen Mietwagen suchen.

    Mit dem Mietwagen bräuchte ich dann nochmal knapp zwei Stunden für die letzten 100 Kilometer bis zum Strand, anders geht es nicht. Um ein Auto kommt also nicht herum, wer Herumkommen will im wilden Süden. Ich hatte mich dennoch gegen diese Zugreise entschieden, weil ich erfahrungsgemäß dem Umstiegsspielraum von nur 16 Minuten in München nicht traue und keine Nacht in einem bayerischen Hotel verbringen wollte.
    Reality-Check auf dem Feuerstuhl

    Also nahm ich mein Motorrad, das kommt mit fünf Litern aus. Für 1.500 Kilometer würde ich ebenfalls 15 Stunden brauchen, Tankpausen nicht eingerechnet, könnte mich am Ende auf den Serpentinen vergnügen und wäre vor Ort mobil. Es ist immer irrsinnig wichtig, »vor Ort mobil« zu sein, sogar im Paradies. Außerdem ist mein Motorrad eine Italienerin, das schien mir passend. Und auch irgendwie cool, wenn auch auf altmodischere Weise als eine Bahnfahrt.

    Nach dann doch knapp 20 Stunden stumpfsinnigen Pfahlsitzens bei Dauerregen auf italienischen Autobahnen kam ich in tiefster Nacht als psychisches und physisches Wrack an – und ließ mich ausgiebig von den übrigen Gästen bemitleiden, die fast alle von Deutschland nach Neapel geflogen (zwei Stunden) und von dort mit dem Mietwagen »rübergefahren« waren an die Adria (vier Stunden).
    Komplizierte Kalkulationen

    Immerhin wurde mir unter beifälligem Schulterklopfen der (imaginäre) Preis der »umweltfreundlichsten Anfahrt zuteil«. Ich bezweifelte allerdings, dass mir diese Ehre zustand. Eine vierköpfige Familie war in einem Auto etwa 1.000 Kilometer von München nach Apulien gegondelt, ich hingegen hatte ganz alleine auf meinem Bock gesessen. Das müsse man, warf ich ein, ins Kalkül ziehen. Die Autofahrer dachten nach, machten dann aber zu ihrem Nachteil fairerweise geltend, dass in einem eleganten Mittelklassekombi der Marke BMW doch bedeutend mehr Rohstoffe und Energie stecken als in einem alten Moped.

    Hier hätten wir nun Zettel und Stift zücken und die in beiden Fahrzeugen gebundene »graue Energie« ausrechnen können, multipliziert um den Faktor vier, den Reifenabrieb addiert, die Verbrauchswerte exakt kalkuliert, solche Sachen. Dinge jedenfalls, die noch vor zehn Jahren kein Thema gewesen wären. Wir haben die Nacht dann doch lieber dem schmackhaften Primitivo gewidmet.

    Dieses Jahr bin ich dann nach Neapel geflogen und mit dem Mietwagen an die Adria gefahren. Mea culpa, mea maxima culpa. Zum Ausgleich werde ich dann im kommenden Jahr wohl wirklich die Bahn nehmen. Oder dem Geburtstag meines besten Freundes halt gleich per Videocall beiwohnen.

    #voyage #train #avion #moto #écologie #climat #wtf

  • Existe-t-il un « devoir de travailler », comme l’a suggéré Gabriel Attal ?
    https://www.lemonde.fr/politique/article/2024/02/15/existe-t-il-un-devoir-de-travailler-comme-l-a-suggere-gabriel-attal_6216756_


    Le premier ministre, Gabriel Attal, en déplacement à Villejuif, dans la banlieue sud de Paris, le 14 février 2024. EMMANUEL DUNAND / AFP

    Invoqué par le premier ministre au sujet de la grève des contrôleurs de la SNCF, le principe d’un « devoir de travailler » figure bien dans le Préambule de la Constitution de 1946. Il n’en demeure pas moins un concept juridiquement « flou », rappelle la maître de conférences en droit social, Bérénice Bauduin, dans un entretien au « Monde ».
    Propos recueillis par Louise Vallée

    Quarante-huit heures avant le mouvement de grève des contrôleurs de la SNCF prévu ce week-end, le premier ministre Gabriel Attal a opposé mercredi 14 février le droit de grève à un devoir de travailler. « Les Français (…) savent que la grève est un droit, mais je crois qu’ils savent aussi que travailler est un devoir », a lancé le premier ministre, interrogé sur le mouvement qui devrait perturber la circulation des trains en plein week-end de vacances scolaires.

    Les deux principes que M. Attal semble opposer sont extraits du Préambule de la Constitution de 1946. L’alinéa 5 affirme que « chacun a le devoir de travailler et le droit d’obtenir un emploi » tandis que le septième précise que « le droit de grève s’exerce dans le cadre des lois qui le réglementent ». Quelle est la portée juridique de ces deux principes ? Sont-ils vraiment opposables ? Pour Bérénice Bauduin, maître de conférences en droit social à l’université Paris-I-Panthéon-Sorbonne, il serait « hypocrite » de mettre ainsi en regard deux principes qui n’ont pas la même valeur dans la jurisprudence constitutionnelle, où le « devoir de travailler » ne figure pas.

    Sommes-nous tous soumis à un « devoir de travailler » ?

    Le devoir de travailler est une notion très large ; on peut y mettre un peu ce qu’on veut car elle n’a pas été réellement définie juridiquement. Surtout, elle n’a jamais fait l’objet d’une décision de jurisprudence par le Conseil constitutionnel. C’est-à-dire que ses membres n’ont jamais eu à se prononcer sur une loi qui viendrait se confronter à ce principe. L’idée même d’un devoir de travailler est gênante car, dans le droit français, on ne peut pas obliger quelqu’un à travailler. On ne peut pas empêcher un salarié de démissionner, c’est un droit protégé. Même le principe de réquisition, qui peut s’appliquer dans certaines circonstances, est très encadré. Cela va aussi à l’encontre de certains principes internationaux, comme le travail forcé qui est interdit par l’organisation internationale du travail.

    Si le « devoir de travailler » a pu être opposé au droit de grève dans certains discours politiques, d’un point de vue juridique, le Conseil constitutionnel refuse de se saisir de notions qui sont trop floues, et pour lesquelles il n’est pas en mesure de déterminer ce qu’a été la volonté du constituant. Le devoir de travailler a peut-être été pensé en 1946 comme un devoir moral. Mais il est difficile d’établir que la volonté des constituants était d’en faire une obligation imposable aux citoyens.

    Un principe qui figure dans le Préambule de la Constitution peut donc ne pas avoir de réelle valeur juridique ?

    Le Préambule de la Constitution de 1946, dont sont issus le principe du « droit de grève » comme celui du « devoir de travailler » a été écrit sous la IVe République, au sortir de la seconde guerre mondiale. A l’époque, c’est un texte principalement symbolique qui vise à garantir une République avec plus de droits sociaux, pour compléter la Déclaration des droits de l’homme qui se concentre plutôt sur les droits civils, et éviter une nouvelle exploitation politique de la misère, comme celle qui avait conduit le nazisme au pouvoir. Mais le texte n’avait pas été pensé par ses rédacteurs comme pouvant avoir une valeur juridique contraignante.
    Ce n’est que depuis une décision de juillet 1971 que le Conseil constitutionnel s’est reconnu compétent pour contrôler la conformité des lois aux droits et libertés fondamentales garantis par la Constitution. Tous les principes qui figurent dans le préambule de 1946 n’ont toutefois pas été activés de la même manière dans la jurisprudence.

    Peut-on dans ce cas opposer droit de grève et devoir de travailler, comme semble le faire Gabriel Attal ?

    On peut être tentés de les opposer dans certains discours, mais cette opposition est de l’ordre du sophisme. Sur le droit de grève, le Conseil constitutionnel a été amené à plusieurs reprises à se prononcer sur des lois qui avaient pour objectif d’encadrer ce droit, comme l’instauration d’un préavis obligatoire, ou la loi relative à la continuité du service public. Pour limiter le droit de grève, il faut justifier d’un objectif proportionné, de même valeur constitutionnelle.
    Ce n’est pas le cas pour le devoir de travailler. Même dans une décision comme celle de décembre 2022 sur l’application de la loi relative à l’assurance-chômage, le Conseil constitutionnel ne s’appuie pas sur le « devoir de travailler » mais y invoque plutôt un « objectif d’intérêt public » ou une incitation des travailleurs à retourner à l’emploi.

    Il y a donc quelque chose d’assez hypocrite à utiliser, comme s’ils avaient la même valeur, le droit de grève, protégé en tant que tel par des décisions du Conseil constitutionnel, et le devoir de travailler qui, juridiquement, est inexistant. Par ailleurs, la grève n’est pas une méconnaissance du devoir de travailler. On ne fait pas grève dans le but de ne pas travailler, mais bien pour obtenir la satisfaction de revendications professionnelles.

    #Préambule_de_la_Constitution #Devoir #devoir_de_travailler #travail #grève #droit_de_grève #chômage

  • #Roma_coloniale

    Sul colonialismo italiano pesa il torto di una rimozione storica, culturale e politica, ancora inspiegabile: un buco nel registro delle morti del Novecento, pagine bianche nei manuali di storia nazionale.
    Il Colonialismo spiega, più di quel che si è portati a credere, il pregiudizio razzista che ancora oggi pervade le piaghe più nascoste della società italiana; un razzismo ordinario, che può esplodere, a certe condizioni, in episodi terribili, oppure continuare a covare sotto la cenere.

    Roma è una città distratta. Le tracce coloniali, incomprese, sono ovunque: viali, piazze, obelischi, cinema, statue, targhe, tutti omaggi dedicati all’impero. Si incontrano a Villa Borghese, al Circo Massimo, alla Stazione Termini, a San Giovanni, al Foro Italico, a Garbatella, a Casalbertone. E in un intero quartiere: quello Africano.
    Forse è venuto il momento di discuterne, di ricercarle e assegnare loro un significato storico più doloroso e più giusto, senza continuare a sperare nell’oblio.

    https://lecommariedizioni.it/prodotto/roma-coloniale
    #Rome #colonialisme #Italie #Italie_coloniale #colonialisme_italien #livre #traces #toponymie #toponymie_politique #toponymie_coloniale #noms_de_rue #liste #inventaire

    –-

    ajouté à la métaliste sur le colonialisme italien :
    https://seenthis.net/messages/871953

  • Kaolack : 46 présumés candidats à l’immigration clandestine, interceptés
    https://www.dakaractu.com/Kaolack-46-presumes-candidats-a-l-immigration-clandestine-interceptes_a24

    Kaolack : 46 présumés candidats à l’immigration clandestine, interceptés
    46 présumés candidats à l’immigration clandestine ont été interceptés dans la nuit de lundi à mardi vers 23 h 45 mn, à l’entrée de la commune de Kaolack. Âgés entre 12 et 35 ans, ils étaient à bord d’un véhicule de type Ndiaga-ndiaye lors de leur interpellation. Selon une source, ils devaient se rendre à Joal-Fadiouth où une embarcation les attendait.

    #Covid-19#migration#migrant#senegal#migrationirreguliere#kaolack#joalfadiouth#traversee#sante

  • #Université, service public ou secteur productif ?

    L’#annonce d’une “vraie #révolution de l’Enseignement Supérieur et la Recherche” traduit le passage, organisé par un bloc hégémonique, d’un service public reposant sur des #carrières, des #programmes et des diplômes à l’imposition autoritaire d’un #modèle_productif, au détriment de la #profession.

    L’annonce d’une « #vraie_révolution » de l’Enseignement Supérieur et la Recherche (ESR) par Emmanuel Macron le 7 décembre, a pour objet, annonce-t-il, d’« ouvrir l’acte 2 de l’#autonomie et d’aller vers la #vraie_autonomie avec des vrais contrats pluriannuels où on a une #gouvernance qui est réformée » sans recours à la loi, avec un agenda sur dix-huit mois et sans modifications de la trajectoire budgétaire. Le président sera accompagné par un #Conseil_présidentiel_de_la_science, composé de scientifiques ayant tous les gages de reconnaissance, mais sans avoir de lien aux instances professionnelles élues des personnels concernés. Ce Conseil pilotera la mise en œuvre de cette « révolution », à savoir transformer les universités, en s’appuyant sur celles composant un bloc d’#excellence, et réduire le #CNRS en une #agence_de_moyen. Les composantes de cette grande transformation déjà engagée sont connues. Elle se fera sans, voire contre, la profession qui était auparavant centrale. Notre objet ici n’est ni de la commenter, ni d’en reprendre l’historique (Voir Charle 2021).

    Nous en proposons un éclairage mésoéconomique que ne perçoit ni la perspective macroéconomique qui pense à partir des agrégats, des valeurs d’ensemble ni l’analyse microéconomique qui part de l’agent et de son action individuelle. Penser en termes de mésoéconomie permet de qualifier d’autres logiques, d’autres organisations, et notamment de voir comment les dynamiques d’ensemble affectent sans déterminisme ce qui s’organise à l’échelle méso, et comment les actions d’acteurs structurent, elles aussi, les dynamiques méso.

    La transformation de la régulation administrée du #système_éducatif, dont nombre de règles perdurent, et l’émergence d’une #régulation_néolibérale de l’ESR, qui érode ces règles, procède par trois canaux : transformation du #travail et des modalités de construction des #carrières ; mise en #concurrence des établissements ; projection dans l’avenir du bloc hégémonique (i.e. les nouveaux managers). L’action de ces trois canaux forment une configuration nouvelle pour l’ESR qui devient un secteur de production, remodelant le système éducatif hier porté par l’État social. Il s’agissait de reproduire la population qualifiée sous l’égide de l’État. Aujourd’hui, nous sommes dans une nouvelle phase du #capitalisme, et cette reproduction est arrimée à l’accumulation du capital dans la perspective de #rentabilisation des #connaissances et de contrôle des professionnels qui l’assurent.

    Le couplage de l’évolution du système d’ESR avec la dynamique de l’#accumulation, constitue une nouvelle articulation avec le régime macro. Cela engendre toutefois des #contradictions majeures qui forment les conditions d’une #dégradation rapide de l’ESR.

    Co-construction historique du système éducatif français par les enseignants et l’État

    Depuis la Révolution française, le système éducatif français s’est déployé sur la base d’une régulation administrée, endogène, co-construite par le corps enseignant et l’État ; la profession en assumant de fait la charge déléguée par l’État (Musselin, 2022). Historiquement, elle a permis la croissance des niveaux d’éducation successifs par de la dépense publique (Michel, 2002). L’allongement historique de la scolarité (fig.1) a permis de façonner la force de travail, facteur décisif des gains de productivité au cœur de la croissance industrielle passée. L’éducation, et progressivement l’ESR, jouent un rôle structurant dans la reproduction de la force de travail et plus largement de la reproduction de la société - stratifications sociales incluses.

    À la fin des années 1960, l’expansion du secondaire se poursuit dans un contexte où la détention de diplômes devient un avantage pour s’insérer dans l’emploi. D’abord pour la bourgeoisie. La massification du supérieur intervient après les années 1980. C’est un phénomène décisif, visible dès les années 1970. Rapidement cela va télescoper une période d’austérité budgétaire. Au cours des années 2000, le pilotage de l’université, basé jusque-là sur l’ensemble du système éducatif et piloté par la profession (pour une version détaillée), s’est effacé au profit d’un pilotage pour et par la recherche, en lien étroit avec le régime d’accumulation financiarisé dans les pays de l’OCDE. Dans ce cadre, l’activité économique est orientée par l’extraction de la valeur financière, c’est à dire principalement par les marchés de capitaux et non par l’activité productive (Voir notamment Clévenot 2008).
    L’ESR : formation d’un secteur productif orienté par la recherche

    La #massification du supérieur rencontre rapidement plusieurs obstacles. Les effectifs étudiants progressent plus vite que ceux des encadrants (Piketty met à jour un graphique révélateur), ce qui entrave la qualité de la formation. La baisse du #taux_d’encadrement déclenche une phase de diminution de la dépense moyenne, car dans l’ESR le travail est un quasi-coût fixe ; avant que ce ne soit pour cette raison les statuts et donc la rémunération du travail qui soient visés. Ceci alors que pourtant il y a une corrélation étroite entre taux d’encadrement et #qualité_de_l’emploi. L’INSEE montre ainsi que le diplôme est un facteur d’amélioration de la productivité, alors que la productivité plonge en France (voir Aussilloux et al. (2020) et Guadalupe et al. 2022).

    Par ailleurs, la massification entraine une demande de différenciation de la part les classes dominantes qui perçoivent le #diplôme comme un des instruments de la reproduction stratifiée de la population. C’est ainsi qu’elles se détournent largement des filières et des établissements massifiés, qui n’assurent plus la fonction de « distinction » (voir le cas exemplaire des effectifs des #écoles_de_commerce et #grandes_écoles).

    Dans le même temps la dynamique de l’accumulation suppose une population formée par l’ESR (i.e. un niveau de diplomation croissant). Cela se traduit par l’insistance des entreprises à définir elles-mêmes les formations supérieures (i.e. à demander des salariés immédiatement aptes à une activité productive, spécialisés). En effet la connaissance, incorporée par les travailleurs, est devenue un actif stratégique majeur pour les entreprises.

    C’est là qu’apparaît une rupture dans l’ESR. Cette rupture est celle de la remise en cause d’un #service_public dont l’organisation est administrée, et dont le pouvoir sur les carrières des personnels, sur la définition des programmes et des diplômes, sur la direction des établissements etc. s’estompe, au profit d’une organisation qui revêt des formes d’un #secteur_productif.

    Depuis la #LRU (2007) puis la #LPR (2020) et la vague qui s’annonce, on peut identifier plusieurs lignes de #transformation, la #mise_en_concurrence conduisant à une adaptation des personnels et des établissements. Au premier titre se trouvent les instruments de #pilotage par la #performance et l’#évaluation. À cela s’ajoute la concurrence entre établissements pour l’#accès_aux_financements (type #Idex, #PIA etc.), aux meilleures candidatures étudiantes, aux #labels et la concurrence entre les personnels, pour l’accès aux #dotations (cf. agences de programmes, type #ANR, #ERC) et l’accès aux des postes de titulaires. Enfin le pouvoir accru des hiérarchies, s’exerce aux dépens de la #collégialité.

    La généralisation de l’évaluation et de la #sélection permanente s’opère au moyen d’#indicateurs permettant de classer. Gingras évoque une #Fièvre_de_l’évaluation, qui devient une référence définissant des #standards_de_qualité, utilisés pour distribuer des ressources réduites. Il y a là un instrument de #discipline agissant sur les #conduites_individuelles (voir Clémentine Gozlan). L’important mouvement de #fusion des universités est ainsi lié à la recherche d’un registre de performance déconnecté de l’activité courante de formation (être université de rang mondial ou d’université de recherche), cela condensé sous la menace du #classement_de_Shanghai, pourtant créé dans un tout autre but.

    La remise en question du caractère national des diplômes, revenant sur les compromis forgés dans le temps long entre les professions et l’État (Kouamé et al. 2023), quant à elle, assoit la mise en concurrence des établissements qui dépossède en retour la profession au profit des directions d’établissement.

    La dynamique de #mise_en_concurrence par les instruments transforme les carrières et la relation d’#emploi, qui reposaient sur une norme commune, administrée par des instances élues, non sans conflit. Cela fonctionne par des instruments, au sens de Lascoumes et Legalès, mais aussi parce que les acteurs les utilisent. Le discours du 7 décembre est éloquent à propos de la transformation des #statuts pour assurer le #pilotage_stratégique non par la profession mais par des directions d’établissements :

    "Et moi, je souhaite que les universités qui y sont prêtes et qui le veulent fassent des propositions les plus audacieuses et permettent de gérer la #ressource_humaine (…) la ministre m’a interdit de prononcer le mot statut. (…) Donc je n’ai pas dit qu’on allait réformer les statuts (…) moi, je vous invite très sincèrement, vous êtes beaucoup plus intelligents que moi, tous dans cette salle, à les changer vous-mêmes."

    La démarche est caractéristique du #new_management_public : une norme centrale formulée sur le registre non discutable d’une prétérition qui renvoie aux personnes concernées, celles-là même qui la refuse, l’injonction de s’amputer (Bechtold-Rognon & Lamarche, 2011).

    Une des clés est le transfert de gestion des personnels aux établissements alors autonomes : les carrières, mais aussi la #gouvernance, échappent progressivement aux instances professionnelles élues. Il y a un processus de mise aux normes du travail de recherche, chercheurs/chercheuses constituant une main d’œuvre qui est atypique en termes de formation, de types de production fortement marqués par l’incertitude, de difficulté à en évaluer la productivité en particulier à court terme. Ce processus est un marqueur de la transformation qui opère, à savoir, un processus de transformation en un secteur. La #pénurie de moyen public est un puissant levier pour que les directions d’établissement acceptent les #règles_dérogatoires (cf. nouveaux contrats de non titulaires ainsi que les rapports qui ont proposé de spécialiser voire de moduler des services).

    On a pu observer depuis la LRU et de façon active depuis la LPR, à la #destruction régulière du #compromis_social noué entre l’État social et le monde enseignant. La perte spectaculaire de #pouvoir_d’achat des universitaires, qui remonte plus loin historiquement, en est l’un des signaux de fond. Il sera progressivement articulé avec l’éclatement de la relation d’emploi (diminution de la part de l’emploi sous statut, #dévalorisation_du_travail etc.).

    Arrimer l’ESR au #régime_d’accumulation, une visée utilitariste

    L’État est un acteur essentiel dans l’émergence de la production de connaissance, hier comme commun, désormais comme résultat, ou produit, d’un secteur productif. En dérégulant l’ESR, le principal appareil de cette production, l’État délaisse la priorité accordée à la montée de la qualification de la population active, au profit d’un #pilotage_par_la_recherche. Ce faisant, il radicalise des dualités anciennes entre système éducatif pour l’élite et pour la masse, entre recherche utile à l’industrie et recherche vue comme activité intellectuelle (cf. la place des SHS), etc.

    La croissance des effectifs étudiants sur une période assez longue, s’est faite à moyens constants avec des effectifs titulaires qui ne permettent pas de maintenir la qualité du travail de formation (cf. figure 2). L’existence de gisements de productivité supposés, à savoir d’une partie de temps de travail des enseignants-chercheurs inutilisé, a conduit à une pénurie de poste et à une recomposition de l’emploi : alourdissement des tâches des personnels statutaires pour un #temps_de_travail identique et développement de l’#emploi_hors_statut. Carpentier & Picard ont récemment montré, qu’en France comme ailleurs, le recours au #précariat s’est généralisé, participant par ce fait même à l’effritement du #corps_professionnel qui n’a plus été à même d’assurer ni sa reproduction ni ses missions de formation.

    C’est le résultat de l’évolution longue. L’#enseignement est la part délaissée, et les étudiants et étudiantes ne sont plus au cœur des #politiques_universitaires : ni par la #dotation accordée par étudiant, ni pour ce qui structure la carrière des universitaires (rythmée par des enjeux de recherche), et encore moins pour les dotations complémentaires (associées à une excellence en recherche). Ce mouvement se met toutefois en œuvre en dehors de la formation des élites qui passent en France majoritairement par les grandes écoles (Charle et Soulié, 2015). Dès lors que les étudiants cessaient d’être le principe organisateur de l’ESR dans les universités, la #recherche pouvait s’y substituer. Cela intervient avec une nouvelle convention de qualité de la recherche. La mise en œuvre de ce principe concurrentiel, initialement limité au financement sur projets, a été élargie à la régulation des carrières.

    La connaissance, et de façon concrète le niveau de diplôme des salariés, est devenu une clé de la compétitivité, voire, pour les gouvernements, de la perspective de croissance. Alors que le travail de recherche tend à devenir une compétence générale du travail qualifié, son rôle croissant dans le régime d’accumulation pousse à la transformation du rapport social de travail de l’ESR.

    C’est à partir du système d’#innovation, en ce que la recherche permet de produire des actifs de production, que l’appariement entre recherche et profit participe d’une dynamique nouvelle du régime d’accumulation.

    Cette dynamique est pilotée par l’évolution jointe du #capitalisme_financiarisé (primauté du profit actionnarial sur le profit industriel) et du capitalisme intensif en connaissance. Les profits futurs des entreprises, incertains, sont liés d’une part aux investissements présents, dont le coût élevé repose sur la financiarisation tout en l’accélérant, et d’autre part au travail de recherche, dont le contrôle échappe au régime historique de croissance de la productivité. La diffusion des compétences du travail de recherche, avec la montée des qualifications des travailleurs, et l’accumulation de connaissances sur lequel il repose, deviennent primordiaux, faisant surgir la transformation du contenu du travail par l’élévation de sa qualité dans une division du travail qui vise pourtant à l’économiser. Cela engendre une forte tension sur la production des savoirs et les systèmes de transmission du savoir qui les traduisent en connaissances et compétences.

    Le travail de recherche devenant une compétence stratégique du travail dans tous les secteurs d’activité, les questions posées au secteur de recherche en termes de mesure de l’#efficacité deviennent des questions générales. L’enjeu en est l’adoption d’une norme d’évaluation que les marchés soient capables de faire circuler parmi les secteurs et les activités consommatrices de connaissances.

    Un régime face à ses contradictions

    Cette transformation de la recherche en un secteur, arrimé au régime d’accumulation, suppose un nouveau compromis institutionnalisé. Mais, menée par une politique néolibérale, elle se heurte à plusieurs contradictions majeures qui détruisent les conditions de sa stabilisation sans que les principes d’une régulation propre ne parviennent à émerger.

    Quand la normalisation du travail de recherche dévalorise l’activité et les personnels

    Durant la longue période de régulation administrée, le travail de recherche a associé le principe de #liberté_académique à l’emploi à statut. L’accomplissement de ce travail a été considéré comme incompatible avec une prise en charge par le marché, ce dernier n’étant pas estimé en capacité de former un signal prix sur les services attachés à ce type de travail. Ainsi, la production de connaissance est un travail entre pairs, rattachés à des collectifs productifs. Son caractère incertain, la possibilité de l’erreur sont inscrits dans le statut ainsi que la définition de la mission (produire des connaissances pour la société, même si son accaparement privé par la bourgeoisie est structurel). La qualité de l’emploi, notamment via les statuts, a été la clé de la #régulation_professionnelle. Avec la #mise_en_concurrence_généralisée (entre établissements, entre laboratoires, entre Universités et grandes écoles, entre les personnels), le compromis productif entre les individus et les collectifs de travail est rompu, car la concurrence fait émerger la figure du #chercheur_entrepreneur, concerné par la #rentabilisation des résultats de sa recherche, via la #valorisation sous forme de #propriété_intellectuelle, voire la création de #start-up devenu objectifs de nombre d’université et du CNRS.

    La réponse publique à la #dévalorisation_salariale évoquée plus haut, passe par une construction différenciée de la #rémunération, qui rompt le compromis incarné par les emplois à statut. Le gel des rémunérations s’accompagne d’une individualisation croissante des salaires, l’accès aux ressources étant largement subordonné à l’adhésion aux dispositifs de mise en concurrence. La grille des rémunérations statutaires perd ainsi progressivement tout pouvoir organisationnel du travail. Le rétrécissement de la possibilité de travailler hors financements sur projet est indissociable du recours à du #travail_précaire. La profession a été dépossédée de sa capacité à défendre son statut et l’évolution des rémunérations, elle est inopérante à faire face à son dépècement par le bloc minoritaire.

    La contradiction intervient avec les dispositifs de concurrence qui tirent les instruments de la régulation professionnelle vers une mise aux normes marchandes pour une partie de la communauté par une autre. Ce mouvement est rendu possible par le décrochage de la rémunération du travail : le niveau de rémunération d’entrée dans la carrière pour les maîtres de conférences est ainsi passé de 2,4 SMIC dans les années 1980 à 1,24 aujourd’hui.

    Là où le statut exprimait l’impossibilité d’attacher une valeur au travail de recherche hors reconnaissance collective, il tend à devenir un travail individualisable dont le prix sélectionne les usages et les contenus. Cette transformation du travail affecte durablement ce que produit l’université.

    Produire de l’innovation et non de la connaissance comme communs

    Durant la période administrée, c’est sous l’égide de la profession que la recherche était conduite. Définissant la valeur de la connaissance, l’action collective des personnels, ratifiée par l’action publique, pose le caractère non rival de l’activité. La possibilité pour un résultat de recherche d’être utilisé par d’autres sans coût de production supplémentaire était un gage d’efficacité. Les passerelles entre recherche et innovation étaient nombreuses, accordant des droits d’exploitation, notamment à l’industrie. Dans ce cadre, le lien recherche-profit ou recherche-utilité économique, sans être ignoré, ne primait pas. Ainsi, la communauté professionnelle et les conditions de sa mise au travail correspondait à la nature de ce qui était alors produit, à savoir les connaissances comme commun. Le financement public de la recherche concordait alors avec la nature non rivale et l’incertitude radicale de (l’utilité de) ce qui est produit.

    La connaissance étant devenue un actif stratégique, sa valorisation par le marché s’est imposée comme instrument d’orientation de la recherche. Finalement dans un régime d’apparence libérale, la conduite politique est forte, c’est d’ailleurs propre d’un régime néolibéral tel que décrit notamment par Amable & Palombarini (2018). Les #appels_à_projet sélectionnent les recherches susceptibles de #valorisation_économique. Là où la #publication fait circuler les connaissances et valide le caractère non rival du produit, les classements des publications ont pour objet de trier les résultats. La priorité donnée à la protection du résultat par la propriété intellectuelle achève le processus de signalement de la bonne recherche, rompant son caractère non rival. La #rivalité exacerbe l’effectivité de l’exclusion par les prix, dont le niveau est en rapport avec les profits anticipés.

    Dans ce contexte, le positionnement des entreprises au plus près des chercheurs publics conduit à une adaptation de l’appareil de production de l’ESR, en créant des lieux (#incubateurs) qui établissent et affinent l’appariement recherche / entreprise et la #transférabilité à la #valorisation_marchande. La hiérarchisation des domaines de recherche, des communautés entre elles et en leur sein est alors inévitable. Dans ce processus, le #financement_public, qui continue d’endosser les coûts irrécouvrables de l’incertitude, opère comme un instrument de sélection et d’orientation qui autorise la mise sous contrôle de la sphère publique. L’ESR est ainsi mobilisée par l’accumulation, en voyant son autonomie (sa capacité à se réguler, à orienter les recherches) se réduire. L’incitation à la propriété intellectuelle sur les résultats de la recherche à des fins de mise en marché est un dispositif qui assure cet arrimage à l’accumulation.

    Le caractère appropriable de la recherche, devenant essentiel pour la légitimation de l’activité, internalise une forme de consentement de la communauté à la perte du contrôle des connaissances scientifiques, forme de garantie de sa circulation. Cette rupture de la non-rivalité constitue un coût collectif pour la société que les communautés scientifiques ne parviennent pas à rendre visible. De la même manière, le partage des connaissances comme principe d’efficacité par les externalités positives qu’il génère n’est pas perçu comme un principe alternatif d’efficacité. Chemin faisant, une recherche à caractère universel, régulée par des communautés, disparait au profit d’un appareil sous doté, orienté vers une utilité de court terme, relayé par la puissance publique elle-même.

    Un bloc hégémonique réduit, contre la collégialité universitaire

    En tant que mode de gouvernance, la collégialité universitaire a garanti la participation, et de fait la mobilisation des personnels, car ce n’est pas la stimulation des rémunérations qui a produit l’#engagement. Les collectifs de travail s’étaient dotés d’objectifs communs et s’étaient accordés sur la #transmission_des_savoirs et les critères de la #validation_scientifique. La #collégialité_universitaire en lien à la définition des savoirs légitimes a été la clé de la gouvernance publique. Il est indispensable de rappeler la continuité régulatrice entre liberté académique et organisation professionnelle qui rend possible le travail de recherche et en même temps le contrôle des usages de ses produits.

    Alors que l’université doit faire face à une masse d’étudiants, elle est évaluée et ses dotations sont accordées sur la base d’une activité de recherche, ce qui produit une contradiction majeure qui affecte les universités, mais pas toutes. Il s’effectue un processus de #différenciation_territoriale, avec une masse d’établissements en souffrance et un petit nombre qui a été retenu pour former l’élite. Les travaux de géographes sur les #inégalités_territoriales montrent la très forte concentration sur quelques pôles laissant des déserts en matière de recherche. Ainsi se renforce une dualité entre des universités portées vers des stratégies d’#élite et d’autres conduites à accepter une #secondarisation_du_supérieur. Une forme de hiatus entre les besoins technologiques et scientifiques massifs et le #décrochage_éducatif commence à être diagnostiquée.

    La sectorisation de l’ESR, et le pouvoir pris par un bloc hégémonique réduit auquel participent certaines universités dans l’espoir de ne pas être reléguées, ont procédé par l’appropriation de prérogatives de plus en plus larges sur les carrières, sur la valorisation de la recherche et la propriété intellectuelle, de ce qui était un commun de la recherche. En cela, les dispositifs d’excellence ont joué un rôle marquant d’affectation de moyens par une partie étroite de la profession. De cette manière, ce bloc capte des prébendes, assoit son pouvoir par la formation des normes concurrentielles qu’il contrôle et développe un rôle asymétrique sur les carrières par son rôle dominant dans l’affectation de reconnaissance professionnelle individualisée, en contournant les instances professionnelles. Il y a là création de nouveaux périmètres par la norme, et la profession dans son ensemble n’a plus grande prise, elle est mise à distance des critères qui servent à son nouveau fonctionnement et à la mesure de la performance.

    Les dispositifs mis en place au nom de l’#excellence_scientifique sont des instruments pour ceux qui peuvent s’en emparer et définissant les critères de sélection selon leur représentation, exercent une domination concurrentielle en sélectionnant les élites futures. Il est alors essentiel d’intégrer les Clubs qui en seront issus. Il y a là une #sociologie_des_élites à préciser sur la construction d’#UDICE, club des 10 universités dites d’excellence. L’évaluation de la performance détermine gagnants et perdants, via des labels, qui couronnent des processus de sélection, et assoit le pouvoir oligopolistique et les élites qui l’ont porté, souvent contre la masse de la profession (Musselin, 2017).

    Le jeu des acteurs dominants, en lien étroit avec le pouvoir politique qui les reconnait et les renforce dans cette position, au moyen d’instruments de #rationalisation de l’allocation de moyens pénuriques permet de définir un nouvel espace pour ceux-ci, ségrégué du reste de l’ESR, démarche qui est justifié par son arrimage au régime d’accumulation. Ce processus s’achève avec une forme de séparatisme du nouveau bloc hégémonique composé par ces managers de l’ESR, composante minoritaire qui correspond d’une certaine mesure au bloc bourgeois. Celles- et ceux-là même qui applaudissent le discours présidentiel annonçant la révolution dont un petit fragment tirera du feu peu de marrons, mais qui seront sans doute pour eux très lucratifs. Toutefois le scénario ainsi décrit dans sa tendance contradictoire pour ne pas dire délétère ne doit pas faire oublier que les communautés scientifiques perdurent, même si elles souffrent. La trajectoire choisie de sectorisation déstabilise l’ESR sans ouvrir d’espace pour un compromis ni avec les personnels ni pour la formation. En l’état, les conditions d’émergence d’un nouveau régime pour l’ESR, reliant son fonctionnement et sa visée pour la société ne sont pas réunies, en particulier parce que la #rupture se fait contre la profession et que c’est pourtant elle qui reste au cœur de la production.

    https://laviedesidees.fr/Universite-service-public-ou-secteur-productif
    #ESR #facs #souffrance

  • A Mayotte, Gérald Darmanin annonce la suppression du droit du sol dans l’archipel pour faire taire la colère de la population
    https://www.lemonde.fr/societe/article/2024/02/12/a-mayotte-gerald-darmanin-annonce-la-suppression-du-droit-du-sol-dans-l-arch

    A Mayotte, Gérald Darmanin annonce la suppression du droit du sol dans l’archipel pour faire taire la colère de la population
    Par Jérôme Talpin (Mamoudzou, envoyé spécial)
    Cette fois, pas de traditionnels colliers de fleurs pour l’accueil. Pas de shengué, ce chant de bienvenue. Et pas d’enivrant bain de foule ponctué de messages louangeurs, comme ce fut le cas à Mamoudzou, le 25 juin 2023. Après le lancement de l’opération « Wuambushu » de lutte contre la délinquance, l’immigration clandestine et l’habitat insalubre, Gérald Darmanin avait été qualifié à l’époque par la foule d’« homme de la situation ».
    Venu dimanche 11 février à Mayotte, paralysée depuis trois semaines par les multiples barrages des collectifs de citoyens pour protester contre l’insécurité et le poids de l’immigration irrégulière, le ministre de l’intérieur et des outre-mer a été accueilli par des huées. Elles étaient lancées par un peu plus de 400 manifestants maintenus à distance, dont beaucoup de « mamans » des collectifs, vêtues de leur salouva.Pour dessiner une fin de crise et donner de nouvelles « preuves d’amour aux Mahorais », Gérald Darmanin, accompagné de la nouvelle ministre déléguée aux outre-mer, Marie Guévenoux, a annoncé des « mesures extrêmement fortes ». La veille, avant de prendre l’avion, il avait préparé le terrain dans une vidéo en s’adressant aux Mahorais : « Aidez-moi à rétablir la paix publique, discutons, travaillons ensemble. »
    Très remontés, les différents collectifs regroupés dans le mouvement des Forces vives dénonçaient jusqu’à sa venue un « mépris ». « Le gouvernement ne veut pas entendre les cris des Mahorais », s’insurgeait Saïd Kambi, un des leaders des Forces vives. La lenteur prise pour aboutir à un remaniement n’a cessé d’accentuer cette conviction. Ayant réalisé à Mayotte son plus gros score au premier tour de la présidentielle de 2022 (42,68 % des suffrages), Marine Le Pen s’est engouffrée dans cette brèche en fustigeant, vendredi 9 février, « une population mahoraise totalement abandonnée » face à une « quasi-guerre civile ».
    Pour éteindre cette colère longtemps restée sourde dans une île de 310 000 habitants où, selon l’Insee, près d’un habitant sur deux en 2017 était étranger, Gérald Darmanin a lancé solennellement, dès sa descente d’avion, sa série d’annonces : « Le président de la République m’a chargé de dire aux Mahorais que nous allons prendre une décision radicale qui est l’inscription de la fin du droit du sol à Mayotte dans une révision constitutionnelle. » « Il ne sera plus possible de devenir français si l’on n’est pas soi-même enfant de parent français, précise le ministre. Nous couperons l’attractivité qu’il peut y avoir dans l’archipel. » Une mesure réclamée depuis des années par la majorité des élus et de la population mais « jamais accordée ».
    Sa conséquence est qu’elle va renforcer les spécificités et les exceptions du droit des étrangers sur le sol mahorais. Car à Mayotte, le droit du sol comporte déjà de nombreuses dérogations pour dissuader l’immigration irrégulière. (...) Selon M. Darmanin, cette mesure va diminuer de 80 % le nombre de titres de séjour délivrés à Mayotte en raison de liens familiaux. D’après l’Insee, sur un peu plus de 10 770 naissances en 2022, près de sept nourrissons sur dix ont au moins un parent étranger.
    Gérald Darmanin a, en outre, souligné que la loi relative à l’immigration « a beaucoup durci les conditions de regroupement familial à Mayotte », tout en reprochant à certains parlementaires mahorais de ne pas l’avoir votée. Selon lui, les nouvelles conditions – trois ans de résidence et un titre de séjour d’au moins cinq ans – vont « diviser par cinq le nombre de regroupements familiaux à Mayotte ».
    La troisième mesure annoncée était l’une des principales « conditions » des Forces vives pour négocier : la fin du visa territorialisé. Ces titres de séjour délivrés localement autorisent uniquement une présence sur l’île. Les collectifs réclamaient la suppression de cette autre exception qui, selon eux, fait de l’île une impasse où les étrangers sont maintenus, afin de protéger La Réunion et l’Hexagone. (...)
    La fin du visa territorialisé doit être incluse dans le projet de loi Mayotte promis « avant l’été » par Marie Guévenoux. Le ministre de l’intérieur a toutefois voulu placer l’île devant ses responsabilités en épinglant « la bonne société mahoraise parfois complice » pour faire venir des travailleurs étrangers, ou qui monnaye des certificats de
    Autre sujet qui cristallise les colères à Mayotte : le camp de migrants africains venus de la région des Grands Lacs et de Somalie, qui sont installés autour du stade de Cavani, à Mamoudzou, dans des abris construits avec du bois et des bâches. L’installation régulière de nouveaux migrants est vue comme l’ouverture d’une « seconde route migratoire », après celle venue des Comores. (...)
    Gérald Darmanin promet en réponse « l’évacuation totale du camp ». Selon lui, les réfugiés ayant obtenu l’asile « vont être rapatriés dans l’Hexagone ». Cinquante d’entre eux ont pris l’avion dimanche soir, après quarante premiers départs fin janvier. Des retours volontaires dans les pays d’origine vont être proposés. Une nouveauté à Mayotte. Pour ceux qui ont été déboutés de leur demande, il y aura aussi des « expulsions immédiates », selon Gérald Darmanin.
    L’installation de ce camp d’environ 700 migrants africains a joué un rôle de déclencheur dans cette crise. A Mayotte, leur stigmatisation est prégnante. L’extrême droite s’est emparée du sujet pour en faire un épouvantail sur le thème de la submersion migratoire qu’elle prédit pour la France hexagonale.
    Dans ses interventions sur la chaîne d’info CNews, l’un des fondateurs du média Livre Noir, Erik Tegnér, présent à Mayotte, a associé systématiquement les clandestins aux « pillages des maisons des Mahorais ». Et a prétendu avoir découvert un « nouveau camp » de migrants dans la rue à côté de l’association d’entraide Solidarité Mayotte, alors que leur présence date de mai 2023. Dans une autre vidéo diffusée à l’antenne, le militant d’extrême droite a désigné sans retenue « les Somaliens » comme « encore plus dangereux que les Comoriens ». Pour « empêcher le passage des kwassa-kwassa des filières d’immigration », Gérald Darmanin a promis, en outre, la mise en place d’« un rideau de fer dans l’eau ». Avec le déploiement de bateaux de la marine nationale face aux côtes tanzaniennes, d’où partent ces migrants africains, et de drones marins.
    En prélude à sa visite, Gérald Darmanin avait également annoncé le départ de l’opération « Wuambushu 2 ». Il a salué à l’aéroport les quinze gendarmes du GIGN arrivés en renfort pour aboutir à un plus grand nombre d’interpellations dans les bidonvilles les plus sensibles. (...) De ces annonces, élus et responsables des Forces vives retiennent avant tout la fin du droit du sol à Mayotte et du titre de séjour territorialisé. (...)

    #Covid-19#migration#france#mayotte#droitdusol#visasterritorialise#fluxmigratoire#regroupementfamilial#expulsion#traversee#sante#afrique

  • Au Royaume-Uni, un rapport parlementaire étrille le projet de loi qui permet l’expulsion de migrants vers le Rwanda
    https://www.lemonde.fr/international/article/2024/02/12/au-royaume-uni-un-rapport-parlementaire-etrille-le-projet-de-loi-qui-permet-

    Au Royaume-Uni, un rapport parlementaire étrille le projet de loi qui permet l’expulsion de migrants vers le Rwanda
    Le Monde avec AFP
    Considéré par le gouvernement britannique comme le socle de sa politique migratoire, le projet de loi visant à expulser les migrants arrivés illégalement au Royaume-Uni vers le Rwanda a été sévèrement critiqué par une commission parlementaire, lundi 12 février.Celle-ci, composée de douze membres travaillistes et conservateurs de la Chambre des communes et de la Chambre des lords, a jugé dans un rapport que ce texte est « fondamentalement incompatible » avec les obligations du Royaume-Uni en matière de droits humains.
    Le projet de loi a été rédigé en réponse à la Cour suprême britannique qui a jugé illégal en novembre 2023 d’envoyer des migrants au Rwanda où leurs demandes d’asile seraient évaluées. Pour les hauts magistrats, le pays ne pouvait être considéré comme sûr pour les clandestins. Pour répondre à ce camouflet juridique, le gouvernement britannique avait signé un nouveau traité avec Kigali en décembre 2023 afin de garantir « entre autres que le Rwanda n’expulsera pas vers un autre pays les personnes transférées dans le cadre du partenariat », avait alors assuré le ministère de l’intérieur britannique. Le gouvernement avait également annoncé la présentation d’une « législation d’urgence » pour désigner le Rwanda comme un pays sûr.
    C’est ce projet de loi qui a été étrillé lundi par la commission parlementaire. Dans son rapport, cette dernière s’inquiète ainsi de « l’obligation pour les tribunaux de considérer le Rwanda comme un pays “sûr” et de la limitation de l’accès aux tribunaux pour faire appel des décisions ». De plus, il n’est « pas clair », selon elle, que les migrants expulsés vers le Rwanda puissent avoir « la garantie » de ne pas être envoyés dans un pays où ils pourraient être persécutés.
    « Les droits humains sont universels », souligne la commission parlementaire. Mais le projet de loi « porte atteinte à ce principe essentiel en refusant à un groupe particulier [les migrants expulsés] les protections garanties par la loi sur les droits humains ». Avec ce projet, des organismes publics seraient « autorisés à agir en violation de la Convention européenne des droits de l’homme », alerte la commission.
    Qualifiant ce projet de « priorité nationale urgente », le premier ministre britannique, Rishi Sunak, souhaite par ce biais dissuader les migrants de traverser la Manche sur des embarcations de fortune – près de 30 000 personnes sont arrivées par ce moyen sur les côtes britanniques en 2023.Malgré de nombreuses critiques au Royaume-Uni – le projet divise même au sein du parti conservateur de M. Sunak –, le gouvernement est parvenu à faire adopter son texte en janvier par la Chambre des communes en récoltant 320 votes pour et 276 contre. Alors qu’il est débattu actuellement à la Chambre des lords, le Labour, mené par Keir Starmer, a d’ores et déjà promis de l’abroger s’il arrive au pouvoir après les législatives, prévues en l’état à l’automne.

    #Covid-19#migration#migrant#royaumeuni#manche#traversee#droit#asile#politiquemigratoire#payssur#rwanda#sante

  • Cycling is ten times more important than electric cars for reaching net-zero cities

    Globally, only one in 50 new cars were fully electric in 2020, and one in 14 in the UK. Sounds impressive, but even if all new cars were electric now, it would still take 15-20 years to replace the world’s fossil fuel car fleet.

    The emission savings from replacing all those internal combustion engines with zero-carbon alternatives will not feed in fast enough to make the necessary difference in the time we can spare: the next five years. Tackling the climate and air pollution crises requires curbing all motorised transport, particularly private cars, as quickly as possible. Focusing solely on electric vehicles is slowing down the race to zero emissions.

    This is partly because electric cars aren’t truly zero-carbon – mining the raw materials for their batteries, manufacturing them and generating the electricity they run on produces emissions.

    Transport is one of the most challenging sectors to decarbonise due to its heavy fossil fuel use and reliance on carbon-intensive infrastructure – such as roads, airports and the vehicles themselves – and the way it embeds car-dependent lifestyles. One way to reduce transport emissions relatively quickly, and potentially globally, is to swap cars for cycling, e-biking and walking – active travel, as it’s called.

    Active travel is cheaper, healthier, better for the environment, and no slower on congested urban streets. So how much carbon can it save on a daily basis? And what is its role in reducing emissions from transport overall?

    In new research, colleagues and I reveal that people who walk or cycle have lower carbon footprints from daily travel, including in cities where lots of people are already doing this. Despite the fact that some walking and cycling happens on top of motorised journeys instead of replacing them, more people switching to active travel would equate to lower carbon emissions from transport on a daily and trip-by-trip basis.
    What a difference a trip makes

    We observed around 4,000 people living in London, Antwerp, Barcelona, Vienna, Orebro, Rome and Zurich. Over a two-year period, our participants completed 10,000 travel diary entries which served as records of all the trips they made each day, whether going to work by train, taking the kids to school by car or riding the bus into town. For each trip, we calculated the carbon footprint.

    Strikingly, people who cycled on a daily basis had 84% lower carbon emissions from all their daily travel than those who didn’t.

    We also found that the average person who shifted from car to bike for just one day a week cut their carbon footprint by 3.2kg of CO₂ – equivalent to the emissions from driving a car for 10km, eating a serving of lamb or chocolate, or sending 800 emails.

    When we compared the life cycle of each travel mode, taking into account the carbon generated by making the vehicle, fuelling it and disposing of it, we found that emissions from cycling can be more than 30 times lower for each trip than driving a fossil fuel car, and about ten times lower than driving an electric one.

    We also estimate that urban residents who switched from driving to cycling for just one trip per day reduced their carbon footprint by about half a tonne of CO₂ over the course of a year, and save the equivalent emissions of a one-way flight from London to New York. If just one in five urban residents permanently changed their travel behaviour in this way over the next few years, we estimate it would cut emissions from all car travel in Europe by about 8%.

    Nearly half of the fall in daily carbon emissions during global lockdowns in 2020 came from reductions in transport emissions. The pandemic forced countries around the world to adapt to reduce the spread of the virus. In the UK, walking and cycling have been the big winners, with a 20% rise in people walking regularly, and cycling levels increasing by 9% on weekdays and 58% on weekends compared to pre-pandemic levels. This is despite cycle commuters being very likely to work from home.

    Active travel has offered an alternative to cars that keeps social distancing intact. It has helped people to stay safe during the pandemic and it could help reduce emissions as confinement is eased, particularly as the high prices of some electric vehicles are likely to put many potential buyers off for now.

    So the race is on. Active travel can contribute to tackling the climate emergency earlier than electric vehicles while also providing affordable, reliable, clean, healthy and congestion-busting transportation.

    https://theconversation.com/cycling-is-ten-times-more-important-than-electric-cars-for-reaching
    #vélo #cyclisme #voitures_électriques #villes #urban_matter #transport

  • Ritratti - #Andrea_Zanzotto


    A partir de la minute 1’06 :

    «Abbiamo anche un’altra definizione della storia, che è quella di Cicerone. La storia, una volta passata, diventa solo mappe, tracce lasciate sulla terra, diventa quindi geografia, e fantasmi, leggende che trascorrono e che mutano e che possono anche essere cambiate. Quindi si può dire che ogni mutazione storica tende a descrivere tutta la storia precedente in funzione di se stessa, e di preparazione al grande evento della sua presenza. (...) Il paesaggio è fondamentale, perché si riempie di segni, di mappe. Noi, di fronte alla storia, siamo sempre inermi, perché solo il paesaggio può restituirci le tracce. (...) Adesso la tecnica serve moltissimo alla ricerca di queste tracce, anche le fotografie fatte dai satelliti mettono in evidenza le rovine di una città. Mentre la tradizione e la storia era stata orale e la descrizione degli eventi veniva alterata a seconda dei bisogni. (...) (E’ apparsa) la storia come historía , nel senso di indagine giornalistica quasi attraverso l’archeologia. Resta comunqua valida sempre l’idea di storia che se non ha mappe che diventano geografia, diventano scrittura sul terreno, quasi in termini alla Derrida, graphi sul terreno, e fantasmi su cui ancorare i nostri ricordi... sulla storia devo concludere in modo antitetico e spaccato: da una parte svalutazione senza le mappe, ma le mappe ci sono. I fantasmi restano e possono diventar leggende. Bisogna invece che cessi la riutilizzazione della storia come opus maxime oratorium di tipo ciceroniano, cioè: rifacciamola perché ci serve a giustificarci adesso. In fondo i fondamentalismi non sono che la cancerosa restituzione della storia di una sua presunta fondazione della realtà di oggi falsificando la storia delle origini. Ogni fondamentalismo cambia la storia delle origini per giustificare quello che sta facendo in questo momento, che in realtà non ha nulla a che fare. Questa sarebbe la funzione deteriore, ultima, da eliminare. Quella invece che deve resistere, è quella che deve resistere attraverso la poesia perché nulla più che la parola vibrante, purché si conosca la lingua» (réponse interrompue par la vidéo, trop courte hélas...)

    https://www.youtube.com/watch?v=uKnXcreM9mA

    Bonus de ce #film :
    Ritratti. Andrea Zanzotto

    L’incontro si sviluppa entro tre nuclei fondamentali di ricerca: la natura, la storia, la lingua. La natura, intesa in un primo momento dal poeta come pensiero al quale rivolgersi in un continuo scambio e risonanza, ed in seguito anche come improvvisa mutazione, cementificazione ed offesa. Andrea Zanzotto ripercorre, poi, i segni fondamentali di quello che è stato detto il secolo dell’ottimismo, secolo che ha visto crescere la fede nella scienza ma anche il collasso di qualsiasi forma di razionalità. La lingua è intesa come scoperta di un viaggio accidentato, segno di un lessico familiare, musica e canti di un paese, ma anche di un andare mendicando di altri linguaggi, ricercare le stratificazioni che li hanno intessuti, un balbettio; sino ad arrivare a quelli che sono i destinatari della poesia ed i luoghi della lettura per riscoprirne la sacralità. Il ritratto è a matita.

    https://www.jolefilm.com/film/andrea-zanzotto

    #traces #histoire #géographie #signes #paysage #fondamentalisme #film #documentaire #interview #film_documentaire

  • Un médecin du travail jugé trop conciliant avec des salariés a été sanctionné
    https://www.mediapart.fr/journal/economie-et-social/080224/un-medecin-du-travail-juge-trop-conciliant-avec-des-salaries-ete-sanctionn

    Jean-Louis Zylberberg a été lourdement sanctionné par l’Ordre pour avoir délivré des certificats d’inaptitude à six salariés de la même entreprise. Leur patron jugeait qu’il s’agissait d’avis « de complaisance ». L’affaire repose le débat autour du secret médical dans le monde du travail.
    [...]
    Pour la CGT, syndicat auquel appartient le médecin sanctionné, c’est au contraire une « attaque inconcevable à l’encontre de l’autonomie d’exercice des médecins et, à terme, dangereuse pour la santé des salarié·es ». Dans un communiqué de soutien, l’organisation insiste : « Les intérêts des salarié·es et la protection de leur santé ne peuvent pas être bafoués par les intérêts économiques du patronat. » Sollicité par Mediapart, le conseil de l’ordre des médecins n’a pas donné suite.

    Depuis 2007, tout employeur peut attaquer un médecin auprès de l’Ordre « dès lors qu’il est lésé de manière suffisamment directe et certaine par un certificat ou une attestation établie ». Avant cette date, seuls les patient·es, assurances, la Sécurité sociale ou des associations de malades pouvaient introduire une plainte disciplinaire. Mais un mot, ajouté dans un article du Code de la santé publique, a tout changé. L’adverbe « notamment » a été accolé à la liste des plaignant·es potentiel·les.

    « Les employeurs se sont engouffrés dans la brèche », déplore le député insoumis François Ruffin, qui a adressé une question écrite fin décembre 2023 au ministre du travail, à la suite de la convocation du docteur Zylberberg. « De plus en plus de médecins doivent faire face à des sanctions disciplinaires pour avoir simplement fait leur travail : tenter de protéger la santé des salariés », ajoute l’élu LFI dans son texte. La CGT abonde et demande, dans son communiqué, que « l’État prenne ses pleines responsabilités, en retirant le terme “notamment” […] du Code de la santé publique » afin de garantir « l’indépendance et la protection de la médecine du travail ».

    Les certificats et attestations faisant le lien entre la santé physique ou mentale et le travail sont dans la ligne de mire des employeurs. L’association Santé et médecine du travail (a-SMT), présidée par Jean-Louis Zylberberg, estime que deux cent plaintes sont ainsi portées chaque année contre des praticien·nes, dont la moitié concernerait les médecins du travail.
    [...]
    Le secret médical est ici une question centrale. « Il est inadmissible qu’un·e médecin ait à choisir entre violer le secret médical en divulguant des informations sur le/la patient·e ou renoncer à se défendre et à avoir un procès équitable », tempête la CGT. Dominique Huez, de l’association Santé et médecine du travail, abonde : « Dans le cas du docteur Zylberberg, des avis d’inaptitude sont pointés. Or, il nous est interdit de parler de la santé du patient sur ces certificats car ils sont transmis à l’employeur et cela briserait le secret médical ! »
    [...]
    Le docteur Zylberberg ajoute : « La parole des salariés est gommée. Personne ne les entend alors que ce sont les seuls qui peuvent parler. Mais le principe du contradictoire ne fait pas partie de la procédure », ironise-t-il.

    #santé #travail #santé_au_travail #médecine_du_travail

  • Tunisie : 13 morts et 27 disparus soudanais dans le naufrage d’un bateau en métal au large de Sfax - InfoMigrants
    https://www.infomigrants.net/fr/post/55077/tunisie--13-morts-et-27-disparus-soudanais-dans-le-naufrage-dun-bateau

    Actualités Tunisie : 13 morts et 27 disparus soudanais dans le naufrage d’un bateau en métal au large de Sfax
    Par La rédaction Publié le : 08/02/2024
    Au moins 13 migrants sont morts jeudi dans le naufrage de leur embarcation partie de Sfax, en Tunisie. Les victimes sont toutes soudanaises et possédaient des cartes de demandeurs d’asile du Haut-commissariat aux réfugiés (HCR).Treize migrants soudanais sont morts et vingt-sept sont portés disparus après le naufrage jeudi 8 février 2024 de leur embarcation en fer partie clandestinement de la côte tunisienne près de Sfax, a indiqué Farid Ben Jha, porte-parole de tribunal de Monastir.
    Au total, 42 Soudanais se trouvaient sur une embarcation de fortune partie du littoral de Jebiniana, près de Sfax (centre-est), selon le récit aux autorités des deux uniques survivants du naufrage. Des opérations sont en cours pour tenter de retrouver d’autres naufragés, a assuré Farid Ben Jha.
    Tous des hommes et ressortissants soudanais, les victimes possédaient des cartes de demandeurs d’asile délivrées par le Haut-commissariat des Nations unies aux réfugiés (HCR) en Tunisie. Ces personnes avaient embarqué sur un bateau de métal très fragile, fait de morceaux de ferraille soudés à la va-vite, selon les premiers éléments recueillis. De nombreux Soudanais, ayant fui leur pays et la Libye voisine, vivent en Tunisie, notamment vers Médenine et Sfax, dans des conditions précaires, malgré la protection - ou demande de protection - du HCR. Tunis n’a pas de politique d’asile et ne s’est donc pas doté d’un cadre légal national nécessaire à la prise en charge des étrangers. Les questions de protection sont donc déléguées au HCR. Mais en l’absence d’une politique d’intégration, beaucoup de Soudanais survivent dans la rue, sur les chantiers, sans perspectives économiques et professionnelles.
    Une enquête a été ouverte pour déterminer les responsabilités de ce naufrage, a détaillé Farid Ben Jha, n’excluant pas la probabilité que ces migrants aient été « exploités dans une affaire de traite humaine ou dans la formation d’un groupe criminel pour rallier clandestinement l’Europe ».
    La Tunisie est, avec la Libye, le principal point de départ pour des milliers de migrants qui cherchent à rejoindre clandestinement l’Europe. Les premières côtes italiennes dont l’île de Lampedusa sont situées à moins de 150 km de la région de Sfax.
    Sur toute l’année 2023, le nombre de candidats à l’émigration clandestine interceptés par les autorités tunisiennes s’était établi à 70 000 personnes, soit plus du double pour la même période l’année précédente, selon des statistiques du porte-parole de la Garde nationale. Dans le détail, plus de 54 000 candidats étaient des étrangers, en majorité des ressortissants d’Afrique subsaharienne, et le reste des Tunisiens (plus de 15 000).
    Ces départs de Noirs vers l’Europe ont connu une accélération en Tunisie après un discours fin février du président Kaïs Saïed, dénonçant l’arrivée « de hordes de migrants clandestins » qu’il avait présentés comme une menace démographique pour son pays.
    Des Tunisiens sont aussi concernés par ces départs et ces drames. Deux jeunes de 16 et 17 ans sont morts, après avoir passé près de 8h dans le conteneur frigorifique d’un navire en partance pour l’Italie au mois de janvier. Des opérations de recherche avaient aussi été lancées en Méditerranée pour tenter de retrouver une quarantaine de migrants tunisiens qui avaient tenté la traversée vers l’Italie dans la nuit du 10 au 11 janvier. Selon l’Organisation internationale pour les migrations (OIM), plus de 2 270 personnes sont mortes en 2023 en Méditerranée centrale en tentant de rallier clandestinement l’Europe, soit 60 % de plus que l’année précédente.

    #Covid-19#migrant#migration#tunisie#mediterranee#routemigratoire#sfax#migrationirreguliere#traversee#mortalite#sante

    • Badinter, un type qui sait se faire sa publicité.

      En 1966, il avait épousé en secondes noces Élisabeth Bleustein-Blanchet, fille de Marcel Bleustein-Blanchet, fondateur de Publicis.
      Des euros par centaines de millions.

      S’il n’avait pas supprimé la peine de mort, un ou une autre s’en serait chargé.

    • Rappelons que c’est François Mittérrand qui voulait l’abolition de la peine de mort.

      Homme politique Badinter, garde des Sceaux, président du Conseil constitutionnel, sénateur, passa son existence à défendre les intérêts de la grande bourgeoisie à laquelle il appartenait.
      Se plaçant systématiquement du côté de sa classe, il s’opposera toujours aux mesures sociales et politiques venues de la gauche.
      Dès 1981 il s’opposa en Conseil des ministres aux nationalisations pourtant prévues par le programme du nouveau président. Puis fut le comptable scrupuleux de l’indemnisation des actionnaires des sociétés concernées.

      On ajoutera sans allonger la liste son aveu d’avoir fait du Conseil constitutionnel, un bouclier contre l’expression souveraine du parlement. Sans oublier son aversion pour les couches populaires dont témoignèrent ses prises de position au moment de la crise des #gilets_jaunes.

  • Une organisation en #souffrance

    Les Français seraient-ils retors à l’effort, comme le laissent entendre les mesures visant à stigmatiser les chômeurs ? Et si le nombre de #démissions, les chiffres des #accidents et des #arrêts_de_travail étaient plutôt le signe de #conditions_de_travail délétères.

    Jeté dans une #concurrence accrue du fait d’un #management personnalisé, évalué et soumis à la culture froide du chiffre, des baisses budgétaires, le travailleur du XXIe siècle est placé sous une #pression inédite...

    L’étude de 2019 de la Darès (Ministère du Travail) nous apprend que 37% des travailleurs.ses interrogés se disent incapables de poursuivre leur activité jusqu’à la retraite. Que l’on soit hôtesse de caisse (Laurence) ou magistrat (Jean-Pierre), tous témoignent de la dégradation de leurs conditions de travail et de l’impact que ces dégradations peuvent avoir sur notre #santé comme l’explique le psychanalyste Christophe Dejours : “Il n’y a pas de neutralité du travail vis-à-vis de la #santé_mentale. Grâce au travail, votre #identité s’accroît, votre #amour_de_soi s’accroît, votre santé mentale s’accroît, votre #résistance à la maladie s’accroît. C’est extraordinaire la santé par le travail. Mais si on vous empêche de faire du travail de qualité, alors là, la chose risque de très mal tourner.”

    Pourtant, la #quête_de_sens est plus que jamais au cœur des revendications, particulièrement chez les jeunes. Aussi, plutôt que de parler de la semaine de quatre jours ou de développer une sociabilité contrainte au travail, ne serait-il pas temps d’améliorer son #organisation, d’investir dans les métiers du « soin » afin de renforcer le #lien_social ?

    Enfin, la crise environnementale n’est-elle pas l’occasion de réinventer le travail, loin du cycle infernal production/ consommation comme le pense la sociologue Dominique Méda : “Je crois beaucoup à la reconversion écologique. Il faut prendre au sérieux la contrainte écologique comme moyen à la fois de créer des emplois, comme le montrent les études, mais aussi une possibilité de changer radicalement le travail en profondeur.”

    https://www.radiofrance.fr/franceculture/podcasts/lsd-la-serie-documentaire/une-organisation-en-souffrance-5912905

    #travail #audio #sens #reconnaissance #podcast #déshumanisation #grande_distribution #supermarchés #Carrefour #salariat #accidents_du_travail # location-gérance #jours_de_carence #délai_de_carence #financiarisation #traçabilité #performance #néo-taylorisme #taylorisme_numérique #contrôle #don #satisfaction #modernisation #mai_68 #individualisation #personnalisation #narcissisation #collectif #entraide #épanouissement #marges_de_manoeuvre #intensification_du_travail #efficacité #rentabilité #pression #sous-traitance #intensité_du_travail #santé_au_travail #santé #épidémie #anxiété #dépression #santé_publique #absentéisme #dégradation_des_conditions_de_travail #sommeil #identité #amour_de_soi #santé_par_le_travail #tournant_gestionnaire #gouvernance_de_l'entreprise #direction_d'entreprise #direction #règles #lois #gestionnaires #ignorance #objectifs_quantitatifs #objectifs #performance #mesurage #évaluation #traçabilité #quantification #quantitatif #qualitatif #politique_du_chiffre #flux #justice #charge_de_travail

    25’40 : #Jean-Pierre_Bandiera, ancien président du tribunal correctionnel de Nîmes :

    « On finit par oublier ce qu’on a appris à l’école nationale de la magistrature, c’est-à-dire la motivation d’un jugement... On finit par procéder par affirmation, ce qui fait qu’on gagne beaucoup de temps. On a des jugements, dès lors que la culpabilité n’est pas contestée, qui font abstraction de toute une série d’éléments qui sont pourtant importants : s’attarder sur les faits ou les expliquer de façon complète. On se contente d’une qualification développée : Monsieur Dupont est poursuivi pour avoir frauduleusement soustrait 3 véhicules, 4 téléviseurs au préjudice de Madame Durant lors d’un cambriolage » mais on n’est pas du tout en mesure après de préciser que Monsieur Dupont était l’ancien petit ami de Madame Durant ou qu’il ne connaissait absolument pas Madame Durant. Fixer les conditions dans lesquelles ce délit a été commis de manière ensuite à expliquer la personnalisation de la peine qui est quand même la mission essentielle du juge ! Il faut avoir à chaque fois qu’il nous est demandé la possibilité d’adapter au mieux la peine à l’individu. C’est très important. On finit par mettre des tarifs. Quelle horreur pour un juge ! On finit par oublier la quintessence de ce métier qui est de faire la part des choses entre l’accusation, la défense, l’auteur de faits, la victime, et essayer d’adopter une sanction qui soit la plus adaptée possible. C’est la personnalisation de la peine, c’est aussi le devenir de l’auteur de cette infraction de manière à éviter la récidive, prévoir sa resocialisation. Bref, jouer à fond le rôle du juge, ce qui, de plus en plus, est ratatiné à un rôle de distributeur de sanctions qui sont plus ou moins tarifées. Et ça c’est quelque chose qui, à la fin de ma carrière, c’est quelque chose qui me posait de véritables problèmes d’éthique, parce que je ne pensais pas ce rôle du juge comme celui-là. Du coup, la qualité de la justice finit par souffrir, incontestablement. C’est une évolution constante qui est le fruit d’une volonté politique qui, elle aussi, a été constante, de ne pas consacrer à la justice de notre pays les moyens dont elle devait disposer pour pouvoir fonctionner normalement. Et cette évolution n’a jamais jamais, en dépit de tout ce qui a pu être dit ou écrit, n’ai jamais été interrompue. Nous sommes donc aujourd’hui dans une situation de détresse absolue. La France est donc ??? pénultième au niveau européen sur les moyens budgétaires consacrés à sa justice. Le Tribunal de Nîme comporte 13 procureurs, la moyenne européenne nécessiterait qu’ils soient 63, je dis bien 63 pour 13. Il y a 39 juges au Tribunal de Nîmes, pour arriver dans la moyenne européenne il en faudrait 93. Et de mémoire il y a 125 greffiers et il en faudrait 350 je crois pour être dans la moyenne. Il y avait au début de ma carrière à Nîmes 1 juge des Libertés et de la détention, il y en a aujourd’hui 2. On a multiplié les chiffres du JLD par 10. Cela pose un problème moral et un problème éthique. Un problème moral parce qu’on a le sentiment de ne pas satisfaire au rôle qui est le sien. Un problème éthique parce qu’on finit par prendre un certain nombre de recul par rapport aux valeurs que l’on a pourtant porté haut lorsqu’on a débuté cette carrière. De sorte qu’une certaine mélancolie dans un premier temps et au final un certain découragement me guettaient et m’ont parfois atteint ; mes périodes de vacances étant véritablement chaque année un moment où la décompression s’imposait sinon je n’aurais pas pu continuer dans ces conditions-là. Ce sont des heures de travail qui sont très très chargés et qui contribuent aussi à cette fatigue aujourd’hui au travail qui a entraîné aussi beaucoup de burn-out chez quelques collègues et puis même, semble-t-il, certains sont arrivés à des extrémités funestes puisqu’on a eu quelques collègues qui se sont suicidés quasiment sur place, vraisemblablement en grande partie parce que... il y avait probablement des problèmes personnels, mais aussi vraisemblablement des problèmes professionnels. Le sentiment que je vous livre aujourd’hui est un sentiment un peu partagé par la plupart de mes collègues. Après la réaction par rapport à cette situation elle peut être une réaction combative à travers des engagements syndicaux pour essayer de parvenir à faire bouger l’éléphant puisque le mammouth a déjà été utilisé par d’autres. Ces engagements syndicaux peuvent permettre cela. D’autres ont plus ou moins rapidement baissé les bras et se sont satisfaits de cette situation à défaut de pouvoir la modifier. Je ne regrette rien, je suis parti serein avec le sentiment du devoir accompli, même si je constate que en fermant la porte du tribunal derrière moi je laisse une institution judiciaire qui est bien mal en point."

    Min. 33’15, #Christophe_Dejours, psychanaliste :

    « Mais quand il fait cela, qu’il sabote la qualité de son travail, qu’il bâcle son travail de juge, tout cela, c’est un ensemble de trahisons. Premièrement, il trahi des collègues, parce que comme il réussi à faire ce qu’on lui demande en termes de quantité... on sait très bien que le chef va se servir du fait qu’il y en a un qui arrive pour dire aux autres : ’Vous devez faire la même chose. Si vous ne le faites pas, l’évaluation dont vous allez bénéficier sera mauvaise pour vous, et votre carrière... vous voulez la mutation ? Vous ne l’aurez pas !’ Vous trahissez les collègues. Vous trahissez les règles de métier, vous trahissez le justiciable, vous trahissez les avocats, vous leur couper la parole parce que vous n’avez pas le temps : ’Maître, je suis désolé, il faut qu’on avance.’ Vous maltraitez les avocats, ce qui pose des problèmes aujourd’hui assez compliqués entre avocats et magistrats. Les relations se détériorent. Vous maltraitez le justiciable. Si vous allez trop vite... l’application des peines dans les prisons... Quand vous êtes juges des enfants, il faut écouter les enfants, ça prend du temps ! Mais non, ’va vite’. Vous vous rendez compte ? C’est la maltraitance des justiciables sous l’effet d’une justice comme ça. A la fin vous trahissez la justice, et comme vous faites mal votre travail, vous trahissez l’Etat de droit. A force de trahir tous ces gens qui sont... parce que c’est des gens très mobilisés... on ne devient pas magistrat comme ça, il faut passer des concours... c’est le concours le plus difficile des concours de la fonction publique, c’est plus difficile que l’ENA l’Ecole nationale de magistrature... C’est des gens hyper engagés, hyper réglo, qui ont un sens de la justice, et vous leur faites faire quoi ? Le contraire. C’est ça la dégradation de la qualité. Donc ça conduit, à un moment donné, à la trahison de soi. Ça, ça s’appelle la souffrance éthique. C’est-à-dire, elle commence à partir du moment où j’accepte d’apporter mon concours à des actes ou à des pratiques que le sens moral réprouve. Aujourd’hui c’est le cas dans la justice, c’est le cas dans les hôpitaux, c’est le cas dans les universités, c’est le cas dans les centres de recherche. Partout dans le secteur public, où la question éthique est décisive sur la qualité du service public, vous avez des gens qui trahissent tout ça, et qui entrent dans le domaine de la souffrance éthique. Des gens souffrent dans leur travail, sauf que cette souffrance, au lieu d’être transformée en plaisir, elle s’aggrave. Les gens vont de plus en plus mal parce que le travail leur renvoie d’eux-mêmes une image lamentable. Le résultat c’est que cette trahison de soi quelques fois ça se transforme en haine de soi. Et c’est comme ça qu’à un moment donné les gens se suicident. C’est comme ça que vous avez des médecins des hôpitaux, professeurs de médecine de Paris qui sautent par la fenêtre. Il y a eu le procès Mégnien, au mois de juin. Il a sauté du 5ème étage de Georges-Pompidou. Il est mort. Comment on en arrive là ? C’est parce que les gens ont eu la possibilité de réussir un travail, de faire une oeuvre, et tout à coup on leur casse le truc. Et là vous cassez une vie. C’est pour cela que les gens se disent : ’Ce n’est pas possible, c’est tout ce que j’ai mis de moi-même, tous ces gens avec qui j’ai bossé, maintenant il faut que ça soit moi qui donne le noms des gens qu’on va virer. Je ne peux pas faire ça, ce n’est pas possible.’ Vous les obligez à faire l’inverse de ce qu’ils croient juste, de ce qu’ils croient bien. Cette organisation du travail, elle cultive ce qu’il y a de plus mauvais dans l’être humain. »

    #suicide #trahison #souffrance_éthique

    • Quels facteurs influencent la capacité des salariés à faire le même travail #jusqu’à_la_retraite ?

      En France, en 2019, 37 % des salariés ne se sentent pas capables de tenir dans leur travail jusqu’à la retraite. L’exposition à des #risques_professionnels – physiques ou psychosociaux –, tout comme un état de santé altéré, vont de pair avec un sentiment accru d’#insoutenabillité du travail.

      Les métiers les moins qualifiés, au contact du public ou dans le secteur du soin et de l’action sociale, sont considérés par les salariés comme les moins soutenables. Les salariés jugeant leur travail insoutenable ont des carrières plus hachées que les autres et partent à la retraite plus tôt, avec des interruptions, notamment pour des raisons de santé, qui s’amplifient en fin de carrière.

      Une organisation du travail qui favorise l’#autonomie, la participation des salariés et limite l’#intensité_du_travail tend à rendre celui-ci plus soutenable. Les mobilités, notamment vers le statut d’indépendant, sont également des moyens d’échapper à l’insoutenabilité du travail, mais ces trajectoires sont peu fréquentes, surtout aux âges avancés.

      https://dares.travail-emploi.gouv.fr/publication/quels-facteurs-influencent-la-capacite-des-salaries-faire-
      #statistiques #chiffres

  • L’UE va débloquer une enveloppe de 200 millions d’euros pour aider la Mauritanie à bloquer les canots de migrants - InfoMigrants
    https://www.infomigrants.net/fr/post/55075/lue-va-debloquer-une-enveloppe-de-200-millions-deuros-pour-aider-la-ma

    L’UE va débloquer une enveloppe de 200 millions d’euros pour aider la Mauritanie à bloquer les canots de migrants
    Par Leslie Carretero Publié le : 08/02/2024
    Bruxelles va octroyer une aide de 200 millions d’euros à la Mauritanie pour tenter d’intercepter davantage de canots de migrants en route vers les Canaries. Au mois de janvier, plus de 80% des canots débarqués dans l’archipel espagnol avaient pris la mer depuis les plages mauritaniennes.
    Le Premier ministre espagnol, Pedro Sanchez, et la présidente de la Commission européenne, Ursula von der Leyen, sont en visite en Mauritanie ce jeudi 8 février. À travers ce voyage, les deux responsables politiques, qui ont été reçus par le président mauritanien Mohamed Ould Ghazouani, entendent développer leur coopération sur la question migratoire. Selon les informations de la presse espagnole, Bruxelles va débloquer une enveloppe de 200 millions d’euros pour aider la Mauritanie à contrôler les flux de migrants. Depuis plusieurs semaines, l’Espagne fait pression sur l’Union européenne (UE) pour qu’elle augmente son aide financière à ce pays d’Afrique de l’ouest.
    Madrid s’inquiète en effet de l’augmentation des débarquements de migrants venus des rives mauritaniennes. Jusque-là exceptionnels en raisons d’accords entre les deux pays, les départs depuis la Mauritanie connaissent une forte hausse cette année. En janvier, plus de 7 000 migrants sont arrivés aux Canaries, dont 80 % avaient pris la mer depuis les côtes mauritaniennes, distantes d’environ 1 000 km de l’archipel espagnol.
    Les autorités espagnoles observent cette tendance depuis la fin d‘année dernière mais le phénomène a pris de l’ampleur au mois de janvier. Et d’après une responsable canarienne, « 300 000 personnes attendent d’embarquer » en Mauritanie pour rejoindre les îles des Canaries.
    Nouakchott relâcherait-elle la surveillance de ses côtes ces derniers mois afin d’obtenir plus d’argent de l’UE ? C’est en tout cas ce que laisse entendre des sources gouvernementales espagnoles.Depuis plus de 20 ans, la Mauritanie reçoit des sommes conséquences de l’Espagne et de l’Union européenne pour la gestion des migrants. Pour la période 2022-2027, l’allocation de l’UE s’élevait à 12,5 millions d’euros. À cela s’ajoutent les subventions annuelles de l’Espagne pour la formation et l’équipement des garde-côtes mauritaniens, qui atteignent 10 millions d’euros. En échange, Nouakchott s’engage à accueillir sur le sol mauritanien les exilés entrés de manière irrégulière aux Canaries après avoir quitté le pays, et à bloquer les départs des canots.
    Par ailleurs, une cinquantaine d’agents espagnols disposant de leurs propres moyens terrestres, patrouilleurs, bateaux, hélicoptères et avions sont déployés dans le pays pour surveiller les plages et les eaux mauritaniennes. Mais la Mauritanie semble réclamer davantage. Lors d’une réunion à Bruxelles le 11 décembre en présence de hauts responsables espagnols et européens, des représentants mauritaniens ont exigé plus de moyens matériels et technologiques pour lutter contre l’immigration irrégulière. « La Mauritanie a insisté pour recevoir davantage d’attention de la part de l’UE, prenant référence le prétendu grief comparatif avec la Tunisie », selon une source diplomatique citée par El Pais.
    L’an dernier, une enveloppe d’un milliard d’euros a été allouée à Tunis pour redresser son économie, dont 150 millions pour les questions migratoires en échange d’un plus grand contrôle des frontières maritimes. Or, pour les associations, la solution à la crise migratoire ne se trouve pas dans l’externalisation et la militarisation des frontières. « C’est le manque de ressources pour survivre qui pousse les gens à fuir », estime Daniel Martinez, responsable de la communication du Service jésuite des migrants (SJM), contacté par le média espagnol Alfa & Omega. « Les gens continueront d’atteindre le continent par des itinéraires de plus en plus dangereux. C’est un pas de plus vers la création d‘une Europe forteresse », regrette-t-il.
    Selon l’association Caminando Fronteras, des centaines de personnes sont déjà portées disparues sur la route mauritanienne ces deux derniers mois. « Il est désormais plus important que jamais de renforcer les recherches pour éviter un nouveau massacre », insiste l’association.

    #Covid-19#migrant#migration#espagne#mauritanie#canaries#UE#routemigratoire#traversee#frontiere#sante#migrationirreguliere

  • Energy, Power and Transition. State of Power 2024

    The fossil fuel based energy system has shaped capitalism and our geopolitical order. Our 12th State of Power report unveils the corporate and financial actors that underpin this order, the dangers of an unjust energy transition, lessons for movements of resistance, and the possibilities for transformative change.

    https://www.tni.org/en/publication/energy-power-and-transition

    #transition_énergétique #énergie #énergie_fossile #rapport #tni #capitalisme #pétrole #résistance #

  • « Environ la moitié des jeunes sur le marché du travail exercent un emploi sans lien direct avec leur formation initiale »
    https://www.lemonde.fr/campus/article/2024/02/07/environ-la-moitie-des-jeunes-sur-le-marche-du-travail-exercent-un-emploi-san

    La dernière enquête « Génération » du Céreq porte sur les jeunes sortis en 2017 du système éducatif et interrogés à la fin de 2020, soit trois ans après leur arrivée sur le marché du travail. On observe qu’ils sont en moyenne plus diplômés que leurs prédécesseurs : la moitié des sortants sont diplômés du supérieur, avec une forte progression des bac + 3 et bac + 5. Certes, ils ont pris de plein fouet la crise sanitaire, qui a mis un temps l’économie à l’arrêt, mais ils s’en tirent mieux que la génération 2010, qui a subi durablement les effets de la crise financière de 2008. La génération 2017 se distingue des précédentes par un accès à l’emploi à durée indéterminée [EDI] plus rapide et plus fréquent au cours des trois premières années de vie active.
    En revanche, les inégalités sur le marché du travail restent très marquées selon le niveau et la spécialité de formation. Un #diplôme plus élevé continue de garantir de meilleures conditions d’insertion que celui qui est juste au-dessous. Le type de filière joue aussi un rôle : si un accès rapide (deux mois en moyenne) ou différé (dix-huit mois en moyenne) à l’EDI prévaut largement pour les diplômés d’école d’ingénieurs, de commerce ou encore de licence professionnelle industrielle, les parcours enchaînant les emplois à durée déterminée sont surreprésentés chez les diplômés de la santé et du social, tout comme les diplômés de licence ou de master littérature et sciences humaines.
    Les #salaires varient également avec le niveau de formation – de 1 380 euros net pour ceux qui sortent non diplômés à 3 125 euros pour les docteurs de la santé – et avec la filière de formation – les sortants de master d’art touchent 1 800 euros, quand ceux d’éco-gestion obtiennent 2 350 euros.

    Les choix de filières et de spécialités des étudiants d’aujourd’hui vous semblent-ils correspondre aux besoins du marché du travail ?

    F. L. : Les travaux du Céreq montrent de longue date que le lien formation-emploi est un processus complexe qui ne se résume pas à une simple adéquation entre une formation et un métier. Ainsi, environ la moitié des jeunes entrants sur le marché exercent un emploi sans lien direct avec leur formation initiale. L’enseignement supérieur a cette vocation à forger des compétences de haut niveau qui peuvent être transférables d’une spécialité à l’autre. Le sociologue Yves Lichtenberger l’a très bien dit dans une tribune [sur Aefinfo.fr, en mai 2022] : « On ne forme pas aux métiers de demain, on permet à des étudiants de devenir capables de les faire émerger. »

    https://justpaste.it/drfzl

    "Pour lier formations et emplois, il faut sortir de l’adéquationisme", Yves Lichtenberger, sous #paywall
    https://www.aefinfo.fr/depeche/672955-pour-lier-formations-et-emplois-il-faut-sortir-de-ladequationisme-yve

    #emploi #formation #apprentissage #étudiants #travail

    • https://www.youtube.com/watch?v=GFoTT0cpzx4

      Racconta Stefano Massini:

      “L’uomo nel lampo” è un dialogo in musica. C’è un padre morto giovanissimo in un incidente sul lavoro, uno di quelli che funestano le nostre cronache, senza far notizia al punto tale che neppure destano più scandalo perché il lavoro è diventato un far west e i diritti sono un lusso. L’assuefazione alle cosiddette morti bianche è ormai un dato di fatto, e con questo brano di teatro-canzone tentiamo di sollevare il velo della narcosi. La canzone è un piccolo ritratto di vita, drammatica perchè cristallizza un dialogo impossibile: da quella fotografia appesa in salotto, il padre non smette mai di parlare al figlio, che nel frattempo cresce nella leggenda di quel papà “morto dentro un lampo”. È un nuovo capitolo della collaborazione che da anni mi lega a Paolo Jannacci, e che dal 2020 ci ha visti nei teatri di tutta Italia con le repliche di “Storie” del Piccolo Teatro di Milano. Questa collaborazione mi rende ancora più fiero dal momento che si inscrive nella scia di un impegno civile, quello sulle morti cosiddette “bianche”, che tante volte ho denunciato anche per ragioni familiari.

      Aggiunge Paolo Jannacci:

      “Riuscire a tutelare e tutelarsi nel mondo del lavoro ci sottrae dalla meschinità che spesso ci domina. “L’uomo nel lampo” è un piccolo contributo in chiave poetica, per non dimenticare chi è morto sul lavoro e per mantenersi sempre in guardia, perché ne va della nostra vita. L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro, ma spesso ce ne dimentichiamo. Altro non posso dire perché sono solo un saltimbanco… Ma si sa: i saltimbanchi, da sempre, raccontano amare verità”.

      –---

      Ehi, ehi Michè,
      Sono io Michè, questa voce lontana
      Dicono, sai la vita è strana
      Ma più che strana è proprio bastarda
      Ed io lo so perché mi riguarda

      Da quando il mio filo si è rotto
      Sono una foto appesa in salotto
      E in quella foto oltretutto...
      Ma dai Michè son così brutto:
      Occhi chiusi, viso scuro...
      Che se mi avessero detto giuro
      «Questa foto resterà di te»
      Accidenti Michè, mi sarei messo in posa
      1,2,3, flash, perfetto
      Sono io, sì,
      sono l’uomo di cui ti hanno detto
      Che un lampo mi portò via
      E di me non resta, che una fotografia

      C’era una volta un uomo che vide come un lampo
      sorrise e alzò le mani come per abbracciarlo
      L’uomo nel lampo che non è più tornato
      Lo videro in quel lampo e lì si è addormentato
      Proprio quel lampo che portò via mio padre
      e che da quel momento è musica nel vento

      Sai Michè,
      non è che sono solo in questo posto
      C’è più folla che a Rimini ad agosto
      Tutti come me finiti fuori pista
      Tutti fuori dalla lista
      Tutti con il marchio addosso di questo paradosso
      Che il lavoro porta sotto terra
      e l’operaio muore come in guerra

      Ma io Michè, io che ridevo anche dei guai
      io, che la battuta non mi mancava mai,
      Quando mi dicono: «la fabbrica è una miniera»
      Rispondo «No, piuttosto è una galera»
      Perché loro si fanno l’ora d’aria
      e pure noi, nel senso che saltiamo in aria
      E nelle fiamme di sei metri e via..
      Passi da uomo a fotografia.

      C’era una volta un uomo che vide come un lampo
      sorrise e alzò le mani come per fermarlo
      L’uomo nel lampo che non è più tornato
      Lo videro in quel lampo

      Questo lampo non ha odore ne colore
      Il lampo uccide ma senza far rumore
      Poi ti guardi ad uno specchio
      E lì vorresti perdonare

      E vabbè, basta dai...
      Da questa foto mi guardo intorno
      E non ho smesso un solo giorno
      in silenzio fotografato e muto di dirti:
      «Ciao Michè, sono il padre che non hai conosciuto»

      #accidents_de_travail #travail #mourir_au_travail #musique #chanson #musique_et_politique #Stefano_Massini #Paolo_Jannacci #morts_blanches

  • Zéro artificialisation nette : « En Ile-de-France, produire des logements sans détruire les espaces naturels, c’est possible »
    https://www.lemonde.fr/idees/article/2024/02/09/zero-artificialisation-nette-en-ile-de-france-produire-des-logements-sans-de

    L’objectif du zéro artificialisation nette (ZAN) d’ici à 2050, instauré par la loi Climat & Résilience de 2021, et précisé par la loi ZAN de 2023, contraint les collectivités à intégrer l’exigence de sobriété foncière dans leur politique d’aménagement. L’urgence de préserver la biodiversité et d’éviter toute destruction supplémentaire d’espaces naturels est en effet devenue évidente. Alors que sécheresses, canicules et inondations se multiplient, il est grand temps de se donner les moyens de bâtir un monde vivable.

    Certains exécutifs régionaux ne semblent pourtant pas partager cette vision. La région francilienne bénéficie ainsi d’une dérogation à la loi Climat & Résilience, à l’inverse des autres régions métropolitaines. Cette dérogation lui laisse la liberté de fixer sa propre trajectoire à condition d’atteindre le zéro #artificialisation nette en 2050.
    Or, l’Ile de France se cantonne à poursuivre une trajectoire trop peu ambitieuse. Un objectif de -20 % d’artificialisation nette d’ici à 2031, puis un nouveau de − 20 % d’ici 2040 sont visés et inscrits dans la version actuelle du schéma d’aménagement régional (le SDRIF-E), en cours de révision. Dans son avis du 21 décembre 2023, l’autorité environnementale est pourtant très claire : « la trajectoire proposée de consommation d’espace ne conduit pas à l’absence d’artificialisation nette à l’horizon 2050 ».

    Baisse de la qualité de vie

    La région francilienne se met donc délibérément « hors la loi » à horizon 2050. L’Ile-de-France est loin d’être la plus mauvaise élève sur le rythme d’artificialisation, mais elle reste tout de même la région la plus bétonnée de France et celle souffrant le plus de la concentration démographique et économique (îlots de chaleur, congestion des axes de transport, pollutions atmosphériques).
    La santé des habitants y est fortement menacée, et la baisse de la qualité de vie est désormais manifeste. Seulement 29 % des salariés seraient prêts à s’installer en Ile-de-France (données de l’Observatoire des Métropoles, Stan & Newton Offices - novembre 2023.), la qualité de vie et de l’environnement étant le critère déterminant de l’attractivité d’un territoire.

    Face à ce triste constat et à l’heure de la planification territoriale, il est urgent de se saisir du SDRIF-E comme d’une opportunité pour planifier le ZAN à horizon 2040 et garantir un environnement vivable aux habitants et aux habitantes.

    L’objectif des 70 000 logements par an

    Plusieurs personnes publiques associées à l’élaboration du document, à l’image de la Ville de #Paris et du Conseil économique social et environnemental régional, représentation de la société civile francilienne, ont regretté le manque de mesures prescriptives et ambitieuses permettant de réaliser l’objectif ZAN, pourtant affiché dans l’exposé des motifs du SDRIF-E.

    Un réel enjeu de santé et de bien-être est présent dans ce choix de planifier la trajectoire ZAN. Alertée de toute part, la Région #Ile-de-France est aujourd’hui face à ses responsabilités dans l’élaboration de son schéma d’aménagement. Le SDRIF-E est l’occasion de se donner les moyens d’une ambition politique forte. La loi du Grand Paris de 2010 imposant l’objectif des 70 000 logements par an contraint la région Ile-de-France à augmenter son parc de logements.

    Une contrainte qui semble s’ériger en totale contradiction avec l’exigence de sobriété foncière imposée par le paquet législatif et réglementaire des dernières années. Cette équation complexe, supposée insolvable, est en fait largement réalisable au vu des leviers disponibles. Cet argument ne peut plus être entendu comme un prétexte pour artificialiser. Au-delà du fort potentiel que représente la part de logements inoccupés et des ajustements qu’il serait judicieux d’opérer dans l’attribution des logements, l’effort de production de logements doit être tourné vers le #logement social très déficitaire

    En finir avec les projets anachroniques

    Or, produire ces logements sans détruire les espaces naturels, c’est possible. Les moyens sont multiples : réutilisation du bâti existant par la rénovation ou la reconversion de bureaux en logements, réhabilitation des friches, densification douce. L’ensemble de ces solutions répondant aux principes de l’économie circulaire méritent d’être entendues à leur juste valeur par la Région.

    De nombreux projets en cours portent encore l’héritage d’une vision dépassée de l’aménagement du territoire, se plaçant alors en totale contradiction avec les objectifs de planification. Le secteur des #transports et plus précisément des axes routiers en est l’exemple parfait. Alors que l’on dit vouloir viser la neutralité carbone en 2050 au niveau national et que la décarbonation des transports représente un levier majeur dans la réalisation de cet objectif, les instances exécutives continuent de soutenir des projets destructeurs du vivant et de l’avenir.

    Le dispositif ZAN a l’ambition de replacer la fonction du vivant au cœur des arbitrages. Concilier non-artificialisation et activité humaine doit permettre d’en finir avec les projets anachroniques, allant contre les objectifs de transition écologique (zéro émission nette, zéro perte nette de #biodiversité). La voie des documents d’urbanisme doit être privilégiée pour territorialiser l’objectif ZAN. Or, concernant l’Ile-de-France, certaines ambitions locales, protectrices du vivant, pourraient être rapidement sapées par l’adoption de l’actuel document cadre.
    Le SDRIF-E pourrait se montrer bien trop permissif quant au devenir de certains espaces naturels, agricoles et forestiers, laissant ainsi la porte ouverte aux futures exploitations et destructions. L’enquête publique sur le SDRIF-E ouverte du 1er février au 16 mars 2024, est l’occasion de faire remonter ces préoccupations et de demander l’inscription effective du territoire francilien dans la trajectoire ZAN nationale.

    Luc Blanchard(Coprésident de FNE Ile-de-France et membre du Conseil économique social et environnemental régional) et Muriel Martin-Dupray(Administratrice de FNE au niveau national et coprésidente de FNE Ile-de-France depuis 2020)

    #métropole #écologie

    • « Il est logique de reconnaître aux Maires la possibilité d’exiger des devoirs en contrepartie de droits, le respect de son pays et des morts pour la France en fait partie. »

      Le front de l’air est vraiment putride.
      Bientot le RSA conditionné à la présence lors des commemoration de Pétain et Maurras. La CAF à condition de dire notre fierté pour Depardieu....
      Bientôt tu pourra crever la dalle si t’es pas Charlie

    • Le tribunal administratif de Toulon a (...) validé le 26 janvier 2024, cette décision du maire, adoptée en septembre 2022, par la majorité des élus de #droite. Cette mesure avait été cependant contestée par la suite par la préfecture qui dénonçait : "une ingérence dans les libertés d’association et de conscience".

      Le tribunal administratif de Toulon a estimé que cette dernière favorisait "l’engagement des associations lors d’événements ayant un intérêt public local" sans enfreindre "le principe de neutralité".

      #Associations #subventions

      Droits et devoirs : la rupture Macron
      https://www.mediapart.fr/journal/france/250322/droits-et-devoirs-la-rupture-macron

      Pour le président-candidat, « les devoirs valent avant les droits ». Cette logique, qui va à l’encontre des principes fondamentaux de l’État social et l’#État_de_droit, irrigue l’ensemble de son projet de réélection. En distinguant les bons et les mauvais citoyens.
      Romaric Godin et Ellen Salvi
      25 mars 2022


      EmmanuelEmmanuel Macron a rarement parlé de « droits » sans y accoler le mot « devoirs ». En 2017 déjà, il présentait les contours de sa future réforme de l’assurance-chômage, en expliquant vouloir « un système exigeant de droits et de devoirs ». Deux ans plus tard, au démarrage du « grand débat national », pensé comme une campagne de mi-mandat pour endiguer la crise des « gilets jaunes », il déplorait l’usage de l’expression « cahier de doléances », lui préférant celle de « cahiers de droits et de devoirs » [le droit de se plaindre, et surtout le devoir de la fermer et d’obéir, ndc]..
      À l’époque, le chef de l’État prenait encore soin, au moins dans son expression, de maintenir un semblant d’équilibre. Mais celui-ci a volé en éclats au printemps 2021, en marge d’un déplacement à Nevers (Nièvre). Interpellé par un homme sans papiers, le président de la République avait déclaré : « Vous avez des devoirs, avant d’avoir des droits. On n’arrive pas en disant : “On doit être considéré, on a des droits.” » Avant d’ajouter, sans l’ombre d’une ambiguïté : « Les choses ne sont pas données. »

      Jeudi 17 mars, le président-candidat a de nouveau invoqué la question des devoirs en abordant le volet régalien de son projet. Rappelant son engagement à accueillir des familles ukrainiennes fuyant la guerre, il a immédiatement prévenu vouloir « changer les modes d’accès aux titres de séjour » et notamment les titres de séjour longs, qui seront désormais accordés « dans des conditions beaucoup plus restrictives ». Parce que non, définitivement, « les choses ne sont pas données ».
      Cette rhétorique du donnant-donnant irrigue aujourd’hui l’ensemble du programme d’Emmanuel Macron. Elle s’impose ainsi dans le volet économique de celui-ci. La mesure la plus représentative en la matière étant sans doute la mise sous condition de travail ou de formation du revenu de solidarité active (#RSA). Le porte-parole du gouvernement, Gabriel Attal, a d’ailleurs explicitement indiqué que cette proposition s’inscrivait dans cette « logique de droits et devoirs » proposée par le candidat.
      Une logique, ou plus exactement une précédence, que le chef de l’État a lentement installée, l’étendant des sans-papiers à tous les citoyens et citoyennes. « Être #citoyen, ce n’est pas demander toujours des droits supplémentaires, c’est veiller d’abord à tenir ses devoirs à l’égard de la nation », avait-il lancé en août 2021. « Être un citoyen libre et toujours être un citoyen responsable pour soi et pour autrui ; les devoirs valent avant les droits », insistait-il en décembre, à destination des personnes non vaccinées.

      Une vision digne de l’Ancien Régime

      Emmanuel Macron a balayé, en l’espace de quelques mois, l’héritage émancipateur de la Déclaration des droits de l’homme et du citoyen de 1789. Pour les rédacteurs de cette dernière, rappelait l’avocat Henri Leclerc dans ce texte, « les droits qu’ils énoncent sont affaire de principe, ils découlent de la nature de l’homme, et c’est pourquoi ils sont imprescriptibles ; les devoirs eux sont les conséquences du contrat social qui détermine les bornes de la liberté, par la loi, expression de la volonté générale ».
      « Ce sont les sociétés totalitaires qui reposent d’abord sur l’#obéissance à des impératifs non négociables qui, en fait, ne sont pas des devoirs auxquels chacun devrait subordonner librement ses actes, écrivait-il en guise de conclusion. Les sociétés démocratiques reposent sur l’existence de droits égaux de citoyens libres qui constituent le peuple d’où émane la souveraineté. Chacun y a des devoirs qui, sans qu’il soit nécessaire de les préciser autrement, répondent à ses droits universels. »
      Début 2022, face aux critiques – Jean-Luc Mélenchon avait notamment tweeté : « Les devoirs avant les droits, c’est la monarchie féodale et ses sujets. Le respect des droits créant le devoir, c’est la République et la citoyenneté » –, Gabriel Attal avait assuré un nouveau service après-vente. Dans Le Parisien, le porte-parole du gouvernement avait expliqué vouloir « poursuivre la redéfinition de notre contrat social, avec des devoirs qui passent avant les droits, du respect de l’autorité aux prestations sociales ».

      La conception conservatrice du « bon sens »

      Cette « redéfinition de notre contrat social » se traduit par plusieurs mesures du projet présidentiel : le RSA donc, mais aussi l’augmentation des salaires du corps enseignant contre de nouvelles tâches – « C’est difficile de dire : on va mieux payer tout le monde, y compris celles et ceux qui ne sont pas prêts à davantage s’engager ou à faire plus d’efforts », a justifié Emmanuel Macron [avant d’introduire la notion de #salaire_au_mérite dans la fonction publique, ndc]–, ou même la réforme des retraites qui soumet ce droit devenu fondamental à des exigences économiques et financières.
      Cette vision s’appuie sur une conception conservatrice du « bon sens », qui conditionne l’accès aux droits liés aux prestations sociales à certains comportements méritants. Elle va à l’encontre total des principes qui fondent l’État social. Ce dernier, tel qu’il a été conçu en France par le Conseil national de la Résistance, repose en effet sur l’idée que le capitalisme fait porter sur les travailleurs et travailleuses un certain nombre de risques contre lesquels il faut se prémunir.

      Ce ne sont pas alors d’hypothétiques « devoirs » qui fondent les droits, c’est le statut même du salarié, qui est en première ligne de la production de valeur et qui en essuie les modalités par les conditions de travail, le chômage, la pénibilité, la faiblesse de la rémunération. Des conditions à l’accès aux droits furent toutefois posées d’emblée, l’État social relevant d’un compromis avec les forces économiques qui ne pouvaient accepter que le risque du chômage, et sa force disciplinaire centrale, ne disparaisse totalement.
      Mais ces conditions ne peuvent prendre la forme de devoirs économiques, qui relèvent, eux, d’une logique différente. Cette logique prévoit des contreparties concrètes aux aides sociales ou à la rémunération décente de certains fonctionnaires. Et ce, alors même que chacun, y compris Emmanuel Macron, convient de la dévalorisation du métier d’enseignant. Elle conduit à modifier profondément la conception de l’aide sociale et du traitement des fonctionnaires. À trois niveaux.
      Le premier est celui de la définition même des « devoirs ». Devoirs envers qui ou envers quoi ? Répondre à cette question, c’est révéler les fondements philosophiques conservateurs du macronisme. Un bénéficiaire du RSA aurait des devoirs envers un État et une société qui lui demandent de vivre avec un peu plus de 500 euros par mois ? Il aurait en quelque sorte des « contreparties » à payer à sa propre survie.
      Si ces contreparties prenaient la forme d’un travail pour le secteur privé, celui-ci deviendrait la source du paiement de l’allocation. C’est alors tout le centre de gravité de l’État social qui évoluerait, passant du travail au capital. En créant la richesse et en payant l’allocation, les entreprises seraient en droit de demander, en contrepartie, du travail aux allocataires au RSA, lesquels deviendraient forcément des « chômeurs volontaires » puisque le travail serait disponible.

      Les allocataires du RSA devront choisir leur camp

      Ce chômage volontaire serait une forme de comportement antisocial qui ferait perdre à la société sa seule véritable richesse : celle de produire du profit. On perçoit, dès lors, le retournement. La notion de « devoirs » place l’allocataire du RSA dans le rôle de #coupable, là où le RMI, certes imaginé par Michel Rocard dans une logique d’insertion assez ambiguë, avait été pensé pour compléter l’assurance-chômage, qui laissait de côté de plus en plus de personnes touchées par le chômage de longue durée.

      Ce retournement a une fonction simple : #discipliner le monde du travail par trois mouvements. Le premier, c’est celui qui veut lui faire croire qu’il doit tout au capital et qu’il doit donc accepter ses règles. Le second conduit à une forme de #criminalisation de la #pauvreté qui renforce la peur de cette dernière au sein du salariat – un usage central au XIXe siècle. Le dernier divise le monde du travail entre les « bons » citoyens qui seraient insérés et les « mauvais » qui seraient parasitaires.
      C’est le retour, déjà visible avec les « gilets jaunes », à l’idée que déployait Adolphe Thiers dans son discours du 24 mai 1850, en distinguant la « vile multitude » et le « vrai peuple », « le pauvre qui travaille » et le « vagabond ». Bientôt, les allocataires du RSA devront choisir leur camp. Ce qui mène à la deuxième rupture de cette logique de « devoirs ». Le devoir suprême, selon le projet d’Emmanuel Macron, est de travailler. Autrement dit de produire de la valeur pour le capital.

      Individualisation croissante

      C’est le non-dit de ces discours où se retrouvent la « valeur #travail », les « devoirs générateurs de droits » et le « #mérite ». Désormais, ce qui produit des droits, c’est une capacité concrète à produire cette valeur. Il y a, dans cette démarche, une logique marchande, là où l’État social traditionnel voyait dans la protection sociale une fenêtre de démarchandisation – c’est parce qu’on devenait improductif qu’on devait être protégé. À présent, chacun, y compris les plus fragiles, doit faire preuve de sa capacité constante de production pour justifier son droit à survivre.

      Cette #marchandisation va de pair avec une individualisation croissante. Dans le modèle traditionnel, la pensée est systémique : le capitalisme produit des risques sociaux globaux dont il faut protéger tous les travailleurs et travailleuses. Dans le modèle des contreparties, chacun est mis face à l’injonction de devoir justifier individuellement ses droits par une mise à l’épreuve du marché qui est le juge de paix final. On comprend dès lors pourquoi Christophe Castaner prétend que l’allocation sans contrepartie est « la réponse des lâches ».
      Car ce choix laisserait les individus sans obligations devant le marché. Or, pour les partisans d’Emmanuel Macron, comme pour Friedrich Hayek, la seule façon de reconnaître un mérite, c’est de se confronter au marché qui donne à chacun ce à quoi il a droit. La vraie justice est donc celle qui permet d’être compétitif. C’est la vision qu’a d’ailleurs défendue le président-candidat le 22 mars, sur France Bleu, en expliquant que la « vraie inégalité » résidait dans « les inégalités de départ ». L’inégalité de résultat, elle, n’est pas remise en cause. [voir L’égalité des chances contre l’égalité http://www.cip-idf.org/article.php3?id_article=4443]

      Le dernier point d’inflexion concerne l’État. Dans la logique initiale de la Sécurité sociale, la protection contre les risques induits par le capitalisme excluait l’État. De 1946 à 1967, seuls les salariés géraient la Sécu. Pour une raison simple : toutes et tous étaient les victimes du système économique et les bénéficiaires de l’assurance contre ces risques. Le patronat cotisait en tant qu’origine des risques, mais ne pouvait décider des protections contre ceux qu’il causait. Ce système a été progressivement détruit, notamment en s’étatisant.
      Le phénomène fut loin d’être anecdotique puisqu’il a modifié le modèle initial et changé la nature profonde de l’État : désormais, le monde du travail est redevable à celui-ci et au patronat de ses allocations. Ces deux entités – qui en réalité n’en forment qu’une – exigent des contreparties aux allocataires pour compenser le prix de leur prise en charge. L’État étant lui-même soumis à des choix de rentabilité, l’allocataire doit devenir davantage rentable. Dans cet état d’esprit, cette « #rentabilité » est synonyme « d’#intérêt_général ».
      Les propositions sur le RSA et le corps enseignant entrent dans la même logique. Emmanuel Macron agit en capitaliste pur. Derrière sa rhétorique des droits et des devoirs se profilent les vieilles lunes néolibérales : marchandisation avancée de la société, discipline du monde du travail et, enfin, idée selon laquelle l’État serait une entreprise comme les autres. Le rideau de fumée de la morale, tiré par un candidat qui ose parler de « dignité », cache mal le conservatisme social de son système de pensée.

      Romaric Godin et Ellen Salvi

      #subventions #associations #contrepartie #droits #devoirs #égalité #inégalité

  • RSA sous condition : la ministre du Travail annonce un élargissement de l’expérimentation « à 47 départements d’ici la fin du mois » - Public Sénat
    https://www.publicsenat.fr/actualites/emploi/rsa-sous-condition-la-ministre-du-travail-annonce-un-elargissement-de-le

    « La meilleure émancipation, c’est le travail », résume Catherine Vautrin au micro de Public Sénat pour expliquer la position du gouvernement en matière de lutte contre le chômage. À ce titre, la ministre du Travail, de la Santé et des Solidarités, a annoncé un élargissement de l’expérimentation du conditionnement du #RSA à 15 heures d’activité : « Aujourd’hui, il y a 18 expérimentations, nous allons passer à 47 d’ici la fin du mois. »

    Lors de son discours de politique générale, le Premier ministre avait déjà annoncé que ce dispositif – voté dans le cadre de la loi « pour le plein emploi » – serait généralisé à toute la France d’ici à 2025.
    Une réforme de l’allocation spécifique de solidarité

    Dans son discours devant l’Assemblée nationale, Gabriel Attal avait également annoncé son souhait de supprimer l’allocation spécifique de solidarité pour les #chômeurs en fin de droit, pour la remplacer par le versement du RSA.

    La disparition de cette allocation, destinée aux demandeurs d’emploi qui ont épuisé leurs droits à l’assurance chômage, suscite des inquiétudes. Les associations craignent une précarisation des chômeurs de longue durée, les départements – qui sont responsables du versement du RSA – alertent sur la création d’une nouvelle charge financière.

    « Un demandeur d’emploi, ce qu’il cherche c’est à retourner dans l’emploi. Notre objectif, c’est de l’accompagner à aller dans l’emploi, c’est la meilleure émancipation possible pour lui », assume de son côté Catherine Vautrin.

    Vain dieu, cette fois-ci je ne vais pas y couper alors que je ne cherche pas vraiment à retrouver du travail, le salaire me suffirai !

  • FROM LIBYA TO TUNISIA : HOW THE EU IS EXTENDING THE PUSH-BACK REGIME BY PROXY IN THE CENTRAL MEDITERRANEAN

    On August 21, 2023, the rescue ship Aurora from Sea Watch was detained by the Italian authorities after refusing to disembark survivors in Tunisia as ordered by the Rome MRCC (Maritime Rescue Coordination Center), a country which by no means can be considered a place of safety.

    This episode is just one example of the efforts of European states to avoid arrivals on their shores at all costs, and to evade their responsibility for reception and #Search_and_Rescue (#SAR). Already in 2018, the European Commission, with its disembarkation platform project, attempted to force sea rescue NGOs to disembark survivors in North Africa. While this project was ultimately unsuccessful as it stood, European states have endeavored to increase the number of measures aimed at reducing crossings in the central Mediterranean.

    One of the strategies employed was to set up a “push-back by proxy regime”, outsourcing interceptions at sea to the Libyan Coast guards, enabling the sending back of people on the move to a territory in which their lives are at risk, undertaken by Libyan border forces under the control of the EU authorities, in contravention of principle of non-refoulement, one of the cornerstones of international refugee law. Since 2016, the EU and its member states have equipped, financed, and trained the Libyan coastguard and supported the creation of a MRCC in Tripoli and the declaration of a Libyan SRR (search and rescue region).

    This analysis details how the European Union and its member states are attempting to replicate in Tunisia the regime of refoulement by proxy set up in Libya just a few years earlier. Four elements are considered: strengthening the capacities of the Tunisian coastguard (equipment and training), setting up a coastal surveillance system, creating a functional MRCC and declaring a Tunisian SRR.
    A. Building capacity of the Garde Nationale Maritime
    Providing equipment

    For several decades now, Tunisia has been receiving equipment to strengthen its coast guard capabilities. After the Jasmine Revolution in 2011, Italy-Tunisia cooperation deepened. Under the informal agreement of April 5, 2011, 12 boats were delivered to the Tunisian authorities. In 2017, in a joint statement by the IItalian Ministry of Foreign Affairs and its Tunisian counterpart, the two parties committed to “closer cooperation in the fight against irregular migration and border management,” with a particular focus on the maritime border. In this context, the Italian Minister declared Italy’s support for the modernization and maintenance of the patrol vessels supplied to Tunisia (worth around 12 million euros) and the supply of new equipment for maritime border control. On March 13, 2019, Italy also supplied Tunisia with vehicles for maritime border surveillance, sending 50 4-wheelers designed to monitor the coasts.

    Recently, Germany also started to support the coast guard more actively in Tunisia, providing it with equipment for a boat workshop designed to repair coast guard vessels in 2019. As revealed in an answer to a parliamentary question, in the last two years, the Federal Police also donated 12 inflatable boats and 27 boat motors. On the French side, after a visit in Tunis in June 2023, the Interior Minister Gérard Darmanin announced 25 million euros in aid enabling Tunisia to buy border policing equipment and train border guards. In August 2023, the Italian authorities also promised hastening the provision of patrol boats and other vehicles aimed at preventing sea departures.

    Apart from EU member states, Tunisia has also received equipment from the USA. Between 2012 and 2019, the Tunisian Navy was equipped with 26 US-made patrol boats. In 2019, the Tunisian national guard was also reinforced with 3 American helicopters. Primarily designed to fight against terrorism, the US equipment is also used to monitor the Tunisian coast and to track “smugglers.”

    Above all, the supply of equipment to the Tunisian coastguard is gaining more and more support by the European Union. Following the EU-Tunisia memorandum signed on July 16, 2023, for which €150 million was pledged towards the “fight against illegal migration”, in September 2023, Tunisia received a first transfer under the agreement of €67 million “to finance a coast guard vessel, spare parts and marine fuel for other vessels as well as vehicles for the Tunisian coast guard and navy, and training to operate the equipment.”

    In a letter to the European Council, leaked by Statewatch in October 2023, the European Commission president Ursula von der Leyen highlighted the provision of vessels and support to the Tunisian coast guards: “Under the Memorandum of Understanding with Tunisia, we have delivered spare parts for Tunisian coast guards that are keeping 6 boats operation and others will be repaired by the end of the year.”
    Trainings the authorities

    In addition to supplying equipment, the European countries are also organizing training courses to enhance the skills of the Tunisian coastguard. In 2019, Italy’s Interior Ministry released €11 million to Tunisia’s government for use in efforts to stem the crossing of people on the move from Tunisia, and to provide training to local security forces involved in maritime border control.

    Under the framework of Phase III of the EU-supported IBM project (Integrated Border Management), Germany is also organizing training for the Tunisian coast guards. As revealed in the answer to a parliamentary question mentioned before, the German Ministry of Interior admitted that 3.395 members of the Tunisian National Guard and border police had been trained, including within Germany. In addition, 14 training and advanced training measures were carried out for the National Guard, the border police, and the coast guard. These training sessions were also aimed at learning how to use “control boats.”

    In a document presenting the “EU Support to Border Management Institutions in Libya and Tunisia” for the year 2021, the European Commission announced the creation of a “coast guard training academy.” In Tunisia, the project consists of implementing a training plan, rehabilitating the physical training environment of the Garde Nationale Maritime, and enhancing the cooperation between Tunisian authorities and all stakeholders, including EU agencies and neighboring countries. Implemented by the German Federal Police and the International Centre for Migration Policy Development (ICMPD), the project started in January 2023 and is supposed to run until June 2026, to the sum of 13,5 million EUR.

    Although the European Commission underlines the objective that “the Training Academy Staff is fully aware and acting on the basis of human rights standards” the increase in dangerous maneuvers and attacks perpetrated by the Tunisian coast guard since the increase in European support leaves little doubt that respect for human rights is far from top priority.

    On November 17, 2023, the ICMPD announced on its Linkedin account the inauguration of the Nefta inter-agency border management training center, as a benefit to the three agencies responsible for border management in Tunisia (Directorate General Directorate of Borders and Foreigners of the Ministry of the Interior, the General Directorate of Border Guard of the National Guard and the General Directorate of Customs).
    B. Setting up a coastal surveillance system

    In addition to supplying equipment, European countries also organize training courses to enhance the skills of European coastguards in the pursuit of an “early detection” strategy, which involves spotting boats as soon as they leave the Tunisian coast in order to outsource their interception to the Tunisian coastguard. As early as 2019, Italy expressed its willingness to install radar equipment in Tunisia and to establish “a shared information system that will promptly alert the Tunisian gendarmerie and Italian coast guard when migrant boats are at sea, in order to block them while they still are in Tunisian waters.” This ambition seems to have been achieved through the implementation of the system ISMaris in Tunisia.
    An Integrated System for Maritime Surveillance (ISMaris)

    The system ISMaris, or “Integrated System for Maritime Surveillance”, was first mentioned in the “Support Programme to Integrated Border Management in Tunisia” (IBM Tunisia, launched in 2015. Funded by the EU and Switzerland and implemented by the International Centre for Migration Policy Development (ICMPD), the first phase of the program (2015-2018) supported the equipment of the Garde Nationale Maritime with this system, defined as “a maritime surveillance system that centralizes information coming from naval assets at sea and from coastal radars […] [aiming] to connect the sensors (radar, VHF, GPS position, surveillance cameras) on board of selected Tunisian Coast Guard vessels, control posts, and command centers within the Gulf of Tunis zone in order for them to better communicate between each other.”

    The implementation of this data centralization system was then taken over by the “Border Management Programme for the Maghreb Region” (BMP-Maghreb), launched in 2018 and funded by the EU Emergency Trust Fund for Africa. The Tunisia component, funded with €24,5 million is implemented by ICMPD together with the Italian Ministry of Interior and designed to “strengthen the capacity of competent Tunisian authorities in the areas of maritime surveillance and migration management, including tackling migrant smuggling, search and rescue at sea, as well as in the coast guard sphere of competence.” With the BMP programme, the Tunisian Garde Maritime Nationale was equipped with navigational radars, thermal cameras, AIS and other IT equipment related to maritime surveillance.
    Data exchange with the EU

    The action document of the BMP program clearly states that one of the purposes of ISMaris is the reinforcement of “operational cooperation in the maritime domain between Tunisia and Italy (and other EU Member States, and possibly through EUROSUR and FRONTEX).” Established in 2013, the European Border Surveillance system (EUROSUR) is a framework for information exchange and cooperation between Member States and Frontex, to prevent the so-called irregular migration at external borders. Thanks to this system, Frontex already monitors the coast regions off Tunisia using aerial service and satellites.

    What remains dubious is the connection between IS-Maris and the EU surveillance-database. In 2020, the European Commission claimed that ISMariS was still in development and not connected to any non-Tunisian entity such as Frontex, the European Border Surveillance System (EUROSUR) or the Italian border control authorities. But it is likely that in the meantime information exchange between the different entities was systematized.

    In the absence of an official agreement, the cooperation between Frontex and Tunisia is unclear. As already mentioned in Echoes#3, “so far, it has not been possible to verify if Frontex has direct contact with the Tunisian Coast Guard as it is the case with the Libyan Coast Guard. Even if most of the interceptions happen close to Tunisian shores, some are carried out by the Tunisian Navy outside of territorial waters. […] Since May 2021 Frontex has been flying a drone, in addition to its different assets, monitoring the corridor between Tunisia and Lampedusa on a daily basis. While it is clear that Frontex is sharing data with the Italian authorities and that Italian authorities are sharing info on boats which are on the way from Tunisia to Italy with the Tunisian side, the communication and data exchanges between Frontex and Tunisian authorities remain uncertain.”

    While in 2021, Frontex reported that “no direct border related activities have been carried out in Tunisia due to Tunisian authorities’ reluctance to cooperate with Frontex”, formalizing the cooperation between Tunisia and Frontex seems to remain one of the EU’s priorities. In September 2023, a delegation from Tunisia visited Frontex headquarters in Poland, with the participation of the Ministries of Interior, Foreign Affairs and Defence. During this visit, briefings were held on the cross-border surveillance system EUROSUR and where all threads from surveillance from ships, aircraft, drones and satellites come together.

    However, as emphasized by Mathias Monroy, an independent researcher working on border externalization and the expansion of surveillance systems, “Tunisia still does not want to negotiate such a deployment of Frontex personnel to its territory, so a status agreement necessary for this is a long way off. The government in Tunis is also not currently seeking a working agreement to facilitate the exchange of information with Frontex.”

    This does not prevent the EU from continuing its efforts. In September 2023, in the wake of the thousands of arrivals on the island of Lampedusa, the head of the European Commission, Ursula von der Leyen, reaffirmed, in a 10-point action plan, the need to have a “working arrangement between Tunisia and Frontex” and to “step up border surveillance at sea and aerial surveillance including through Frontex.” In a letter written by the European Commission in reply to the LIBE letter about the Tunisia deal sent on the Greens Party initiative in July 2023, the EU also openly admits that IT equipment for operations rooms, mobile radar systems and thermal imaging cameras, navigation radars and sonars have been given to Tunisia so far and that more surveillance equipment is to come.

    To be noted as well is that the EU4BorderSecurity program, which includes support to “inter-regional information sharing, utilizing tools provided by Frontex” has been extended for Tunisia until April 2025.
    C. Supporting the creation of a Tunisian MRCC and the declaration of a Search and rescue region (SRR)
    Building a MRCC in Tunisia, a top priority for the EU

    In 2021, the European Commission stated the creation of a functioning MRCC in Tunisia as a priority: “Currently there is no MRCC in Tunisia but the coordination of SAR events is conducted by Tunisian Navy Maritime Operations Centre. The official establishment of a MRCC is a necessary next step, together with the completion of the radar installations along the coast, and will contribute to implementing a Search and rescue region in Tunisia. The establishment of an MRCC would bring Tunisia’s institutional set-up in line with the requirements set in the International Convention on Maritime Search and Rescue (SAR) of 1979 (as required by the Maritime Safety Committee of the International Maritime Organisation IMO).”

    The objective of creating a functioning Tunisian MRCC is also mentioned in a European Commission document presenting the “strategy for the regional, multi-country cooperation on migration with partner countries in North Africa” for the period 2021-2027. The related project is detailed in the “Action Document for EU Support to Border Management Institutions in Libya and Tunisia (2021),” whose overall objective is to “contribute to the improvement of respective state services through the institutional development of the Maritime Rescue Coordination Centres” in the North Africa region. The EU also promotes a “regional approach to a Maritime Rescue Coordination Center,” that “would improve the coordination in the Central Mediterranean in conducting SAR operations and support the fight against migrant smuggling and trafficking in human beings networks in Libya and Tunisia.”

    The Tunisia component of the programs announces the objective to “support the establishment of a Maritime Rescue Coordination Centre, [… ] operational 24/7 in a physical structure with functional equipment and trained staff,” establishing “cooperation of the Tunisian authorities with all national stakeholders, EU agencies and neighbouring countries on SAR.”

    This project seems to be gradually taking shape. On the website of Civipol, the French Ministry of the Interior’s service and consultancy company, a new project entitled “Support for Search and Rescue Operations at Sea in Tunisia” is mentioned in a job advertisement. It states that this project, funded by the European Union, implemented together with the GIZ and starting in September 2023, aims to “support the Tunisian authorities in strengthening their operational capacities (fleet and other)” and “provide support to the Tunisian authorities in strengthening the Marine Nationale and the MRCC via functional equipment and staff training.”

    In October 2023, the German development agency GIZ also published a job offer for a project manager in Tunisia, to implement the EU-funded project “Support to border management institution (MRCC)” in Tunisia (the job offer was deleted from the website in the meantime but screenshots can be shared on demand). The objective of the project is described as such: “improvement of the Tunisia’s Search and Rescue (SAR) capacity through reinforced border management institutions to conduct SAR operations at sea and the fight against migrant smuggling and human being trafficking by supporting increased collaboration between Tunisian actors via a Maritime RescueCoordination Centre (MRCC).”

    According to Mathias Monroy, other steps have been taken in this direction: “[the Tunisian MRCC] has already received an EU-funded vessel tracking system and is to be connected to the “Seahorse Mediterranean” network. Through this, the EU states exchange information about incidents off their coasts. This year Tunisia has also sent members of its coast guards to Italy as liaison officers – apparently a first step towards the EU’s goal of “linking” MRCC’s in Libya and Tunisia with their “counterparts” in Italy and Malta.”

    The establishment of a functional MRCC represents a major challenge for the EU, with the aim to allow Tunisia to engage actively in coordination of interceptions. Another step in the recognition of the Tunisian part as a valid SAR actor by the IMO is the declaration of a search and rescue region (SRR).
    The unclear status of the current Tunisian area of responsibility

    Adopted in 1979 in Hamburg, the International Convention on Maritime Search and Rescue (SAR – Search & Rescue Convention) aimed to establish an international search and rescue plan to encourage cooperation and coordination between neighboring states in order to ensure better assistance to persons in distress at sea. The main idea of the convention is to divide seas and oceans into search and rescue zones in which states are responsible for providing adequate SAR services, by establishing rescue coordination centers and setting operating procedures to be followed in case of SAR operations.

    Whereas Tunisia acceded to the treaty in 1998, this was not followed by the delimitation of the Tunisian SAR zone of responsibilities nor by regional agreements with neighboring states. It is only in 2013 that Tunisia declared the limits of its SRR, following the approval of the Maghreb Convention in the Field of Search and Rescue in 2013 and by virtue of Decree No. 2009-3333 of November 2, 2009, setting out the intervention plans and means to assist aircraft in distress. In application of this norm, Tunisian authorities are required to intervene immediately, following the first signal of help or emergency, in the limits of the Tunisia sovereign borders (12 nautical miles). This means that under national legislation, Tunisian authorities are obliged to intervene only in territorial waters. Outside this domain, the limits of SAR interventions are not clearly defined.

    A point to underline is that the Tunisian territorial waters overlap with the Maltese SRR. The Tunisian Exclusive Economic Zone – which does not entail any specific duty connected to SAR – also overlaps with the Maltese SRR and this circumstance led in the past to attempts by the Maltese authorities to drop their SAR responsibilities claiming that distress cases were happening in this vast area. Another complex topic regards the presence, in international waters which is part of the Maltese SRR, of Tunisian oil platforms. Also, in these cases the coordination of SAR operations have been contested and were often subject to a “ping-pong” responsibility from the involved state authorities.
    Towards the declaration of a huge Tunisian SRR?

    In a research document published by the IMO Institute (International Maritime Organization), Akram Boubakri (Lieutenant Commander, Head, Maritime Affairs, Tunisian Coast Guard according to IMO Institute website) wrote that at the beginning of 2020, Tunisia officially submitted the coordinates of the Tunisian SRR to the IMO. According to this document, these new coordinates, still pending the notification of consideration by the IMO, would cover a large area, creating two overlapping areas with neighboring SAR zones – the first one with Libya, the second one with Malta* (see map below):

    *This delimitation has to be confirmed (tbc). Nothing proves that the coordinates mentioned in the article were actually submitted to the IMO

    As several media outlets have reported, the declaration of an official Tunisian SRR is a project supported by the European Union, which was notably put back on the table on the occasion of the signing of the Memorandum of Understanding signed in July 2023 between the EU and Tunisia.

    During the summer 2023, the Civil MRCC legal team initiated a freedom of information access request to the Tunisian authorities to clarify the current status of the Tunisian SRR. The Tunisian Ministry of Transport/the Office of the Merchant Navy and Ports replied that”[n]o legal text has yet been published defining the geographical marine limits of the search and rescue zone stipulated in the 1979 International Convention for Search and Rescue […]. We would like to inform you that the National Committee for the Law of the Sea, chaired by the Ministry of National Defence, has submitted a draft on this subject, which has been sent in 2019 to the International Maritime Organisation through the Ministry of Transport.” A recourse to the Ministry of Foreign Affairs and the Interior was sent but no reply was received yet.

    Replying in December 2023 to a freedom of information access request initiated by the Civil MRCC, the IMO stated that “Tunisia has not communicated their established search and rescue region to the IMO Secretariat.” However, on November 3, 2023, the Tunisian Ministerial Council adopted a “draft law on the regulation of search and rescue at sea in Tunisia’s area of responsibility.” A text which, according to FTDES, provides for the creation of a Tunisian SAR zone, although it has not yet been published. While the text still has to be ratified by the parliament, it is quite clear that the Tunisian authorities are currently making concrete steps to align on the IMO standards and, by doing so, on the EU agenda.
    Conclusion: A EU strategy to escape from its SAR responsibilities

    While some analysts have seen the drop in arrivals in Italy from Tunisia in recent months as a sign of the “success” of the European Union’s strategy to close its borders (in November, a drop of over 80% compared to the summer months), in reality, the evolution of these policies proves that reinforcing a border only shifts migratory routes. From autumn onwards, the Libyan route has seen an increase in traffic, with many departing from the east of the country. These analyses fail to consider the agency of people on the move, and the constant reinvention of strategies for transgressing borders.

    While condemning the generalization of a regime of refoulement by proxy in the central Mediterranean and the continued brutalization of the border regime, the Civil MRCC aims to give visibility to the autonomy of migration and non-stop solidarity struggles for freedom of movement!

    https://civilmrcc.eu/from-libya-to-tunisia-how-the-eu-is-extending-the-push-back-regime-by-prox

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