• Slovenia, carceri sovraffollate di passeur della Rotta Balcanica. Sono quasi la metà

    Gli arresti compiuti nei confronti dei trafficanti di esseri umani, colloquialmente noti come passeur, sta generando un sovraffollamento delle carceri della Slovenia. La Rotta Balcanica e in generale l’immigrazione clandestina si ripercuote pertanto anche sul sistema carcerario sloveno; un problema noto a Trieste e in Friuli Venezia Giulia dove la mancanza di spazi e di condizioni adeguate per i detenuti costituiscono una problematica sollevata più volte dalle istituzioni attive nell’ambito.
    Le centinaia di arresti compiuti negli ultimi anni hanno portato a una saturazione delle carceri della Slovenia. Vi sono 1808 persone detenute in totale; in particolare “tutte le sezioni maschili sono sovraffollate” ha comunicato l’amministrazione slovena alla STA – Slovenian Press Agency.
    La situazione maggiormente grave è, qual è naturale, a Lubiana dove l’occupazione sfonda il 200%; a Maribor è del 171%, a Celje del 165%; il carcere di maggiori dimensioni in Slovenia, a Dob, ha un’occupazione pari al 128%.
    Sugli odierni 1808 carcerati, 850 figurano come cittadini stranieri implicati nella tratta di esseri umani.

    Vi è attualmente un nuovo carcere in via di costruzione a Dobrunje, a est di Lubiana, il cui completamento è previsto entro il 2025. Tuttavia, anche se venisse inaugurato in questi giorni, non risolverebbe il sovraffollamento odierno. In mancanza di alternative, similmente a quanto avviene in Italia, ci si limita a spostare i condannati di carcere in carcere; si sta inoltre valutando se ridurre o meno la durata della pena. Non migliora la situazione la carenza di personale addetto al sistema penitenziario; appena 550 addetti per gestire quasi duemila detenuti. Parte del personale penitenziario è inoltre prossimo alla pensione.
    Man mano che la Rotta Balcanica, col giungere della primavera -estate 2024, ritornerà a essere attiva il problema si ripresenterà tanto in Slovenia, quanto in Friuli Venezia Giulia, dove le difficoltà di gestione delle carceri costituiscono un argomento ricorrente.

    https://www.triesteallnews.it/2024/03/slovenia-carceri-sovraffollate-di-passeur-della-rotta-balcanica-sono-
    #Slovénie #criminalisation_de_la_migration #trafiquants #passeurs #asile #migrations #réfugiés #emprisonnement #prisons #frontière_sud-alpine #Balkans #route_des_Balkans

  • I processi farsa che in Marocco trasformano i migranti in trafficanti

    Quasi 70 persone in transito sono state accusate di reati legati all’immigrazione irregolare in seguito al “massacro di Melilla” del 24 giugno 2022. Una strategia, con il benestare dell’Ue, per scoraggiare le partenze e gli arrivi nel Paese.

    Ange Dajbo si trova a oltre quattromila chilometri da casa sua ma a meno di dieci minuti di strada in auto dalla destinazione finale del suo viaggio. Nonostante non sia mai stata così vicina all’enclave spagnola di Melilla (assieme a Ceuta le uniche frontiere terrestri dell’Unione europea con l’Africa) la donna ivoriana di 31 anni è più lontana che mai dalla Spagna. Non ci sono soltanto decine di chilometri di filo spinato, rilevatori di movimento, droni, e numerose squadre della polizia marocchina e spagnola a separarla dall’Europa. A fine settembre scorso, Ange Dajbo e suo marito Alphonse, genitori di un bambino di un anno, sono stati processati dal giudice di Nador, città nel Nord del Paese, entrambi accusati di reati legati all’immigrazione irregolare.

    Le autorità marocchine accusano i Dajbo di essere la catena di trasmissione tra la comunità subsahariana e una rete di trafficanti, sulla base di una deposizione alla polizia giudiziaria che la famiglia racconta essergli stata estorta con la violenza. “Ero venuto in Marocco per emigrare irregolarmente -si legge nel documento- ma poi ho iniziato questo business e con i 500 dirham (46 euro, ndr) a persona che guadagnavo mantenevo me e mia moglie”. Questo impianto accusatorio è valso ad Alphonse Dajbo la condanna a un anno di carcere, una pena che potrebbe salire in appello. Sua moglie è stata assolta. “Noi non parliamo neanche arabo -ricorda Ange Dajbo- non capivamo di cosa ci accusavano e non sappiamo cosa ci hanno fatto firmare”.

    Il 18 ottobre 2022, pochi giorni dopo la nascita di suo figlio, 470 migranti tentano in massa l’attraversamento della frontiera di Melilla. Una settimana dopo la polizia marocchina, di notte, sfonda la porta del loro appartamento e li arresta. “Abbiamo vissuto mesi nascosti in una foresta. Quando ho scoperto di essere incinta abbiamo trovato una camera in affitto per accudire il bambino, mentre mio marito faceva qualche lavoretto come carrozziere o garzone al mercato”, racconta la donna mentre discute la strategia difensiva con l’avvocato Mbarek Bouirig, che si è fatto carico probono della difesa della famiglia.

    Città del Nord del Marocco come Nador, Tangeri e Fnidaq sono diventate magneti per i candidati all’emigrazione. A migliaia si nascondono nelle foreste in periferia nel timore di essere arrestati, processati o deportati verso il Sud del Regno dove c’è richiesta di manodopera agricola a basso costo.

    L’avvocato, che assiste altri dieci migranti coinvolti in processi simili a Nador, ritiene che l’impianto accusatorio dei pubblici ministeri “risenta dell’influenza della politica migratoria dello Stato”. In altre parole, secondo Bouirig, il processo alla famiglia Dajbo è soltanto uno dei tasselli della strategia del governo, volta scoraggiare i migranti subsahariani non solo dal tentare il passaggio, ma anche dal sostare nelle città frontaliere in attesa della notte giusta per partire in gommone per la Spagna o tentare di oltrepassare il confine terrestre con Melilla. Nel 2023 circa 15mila migranti sono arrivati in Spagna dal Nord del Marocco e altri 35mila si sono diretti alle Canarie partendo dal Sud del Regno: numeri che si avvicinano a quelli degli arrivi in Grecia (43mila) e non erano così cospicui dal 2018, su una rotta che ha fatto più di 950 vittime secondo l’Ong Caminando Fronteras.

    Il 24 giugno 2022, Ange e Alphonse Dajbo si trovavano a Casablanca quando circa duemila migranti, principalmente sudanesi, attaccarono in massa la barriera dell’enclave in quello che è passato alle cronache come “il massacro di Melilla”. La reazione violenta della Guardia Civil spagnola e della Gendarmerie marocchina ha causato la morte di almeno 37 persone, mentre 77 risultano tutt’oggi scomparse.

    Nonostante entrambi i Paesi abbiano aperto dei fascicoli per indagare sulle responsabilità delle autorità, i soli colpevoli a essere individuati dai giudici marocchini sono stati 33 migranti, di cui 18 hanno visto triplicare la pena in appello arrivando a condanne anche di tre anni in carcere. Altri 32 sono tutt’ora in giudizio con l’accusa di appartenere a reti criminali. “A partire da quella data abbiamo riscontrato un aumento dei procedimenti giudiziari a carico dei migranti subsahariani”, spiega Omar Naji, responsabile dell’Association marocaine des droits de l’homme (Amdh).

    Da allora analizza l’attività dei tribunali della regione per la controversa pratica di perseguire le persone in transito come trafficanti, una strategia apparentemente progettata per scoraggiare ulteriori flussi migratori. Benché non sia disponibile nessun dato statistico sui procedimenti aperti nei confronti dei migranti subsahariani, Omar Naji è convinto che i numeri di quella che definisce “repressione giudiziaria delle migrazioni” siano in costante aumento.

    Sono 1.221 i morti registrati nel 2022 lungo la rotta, sia di terra sia di mare, tra il Marocco e l’Unione europea a fronte di 30mila arrivi. Nel 2015 erano decedute 67 persone su 17mila che erano riuscite a raggiungere il territorio europeo. È il tragico costo della “gestione dei flussi” dell’Ue

    “Un processo non lascia cicatrici sul corpo -osserva nel suo ufficio a Nador- ma allarma l’intera comunità con la minaccia della privazione della libertà, una delle poche gioie della vita che resta ai migranti”. Il Marocco è considerato un partner strategico per il controllo dell’immigrazione e la sua collaborazione con l’Ue illustra ciò che potrebbe accadere anche in Tunisia, da dove sono già partiti più di 95mila migranti nel 2023. Anche se i numeri dell’Alto commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr) non distinguono tra i morti via mare lungo la rotta delle Isole Canarie e quelli lungo la frontiera terrestre con Ceuta e Melilla, secondo l’Amdh i dati restano indicativi del fatto che ci sia una correlazione tra l’aumento dei fondi europei e l’aumento delle persone che muoiono.

    “Addobbato con la retorica del voler salvare vite umane e del combattere le reti criminali, il denaro europeo ha reso il passaggio più remunerativo per i trafficanti e più rischioso per i migranti”, spiega Omar Naji, che sottolinea anche come il Marocco renda più o meno porose le sue frontiere per rinforzare la propria posizione nello scacchiere diplomatico. A fronte di 234 milioni di euro stanziati dal 2015, di cui quasi quattro quinti spesi per la gestione dei confini, e di ulteriori 500 milioni fino al 2027, il numero dei migranti che hanno perso la vita nel tragitto dal Marocco all’Europa è salito vertiginosamente: da 67 morti su circa 17mila arrivi nel 2015, a 1.221 su 30mila nel 2022.

    L’Europa riconosce il Marocco come un “Paese sicuro”, ma poche persone più di Aboubacar Wann Diallo sanno che la realtà è più ombreggiata delle categorie del diritto. Esce dalla prigione di Nador dopo aver visitato uno dei sopravvissuti alla strage del 24 giugno, oggi in galera. “Come sta?”, crepita una voce all’altro capo del telefono, in Sudan. “Abdallah è triste, ma sta bene. Vi manda un abbraccio”, risponde Aboubacar alla madre del condannato.

    Dopo esser fuggito dalle persecuzioni politiche nel suo Paese, il guineano laureato in giurisprudenza è arrivato in Marocco nel 2013 dove oggi lavora per un’associazione locale: accompagna i migranti di passaggio nella regione, ma soprattutto trascorre le sue giornate tra l’obitorio, il tribunale e il carcere, occupato nel reperire informazioni sui migranti arrestati e nel riconoscimento dei morti in mare o alla frontiera terrestre. “Cerco di restare professionale -spiega-. Ma vacillo quando ascolto la voce in pena della madre di un fratello condannato ingiustamente o deceduto”.

    Racconta che i pubblici ministeri richiedono condanne dure per i migranti, a volte senza conoscere il dossier: “Sembra che ci sia una volontà politica di mandare un messaggio alla comunità nera: se attraversate, andate in prigione”. Aboubacar è diventato una figura rispettata in città e ha saputo costruire stretti legami con le autorità politiche, giudiziarie e di pubblica sicurezza di Nador, superando le discriminazioni quotidiane contro i neri subsahariani. Ma non tutti hanno la stessa fortuna.

    A Oujda, città frontaliera con l’Algeria a circa due ore di macchina da Nador, due famiglie di quattro persone della Costa d’Avorio vivono in un appartamento di trenta metri quadrati in un quartiere periferico. Ritenendo la rotta marocchina troppo rischiosa, stanno preparando le valige per attraversare l’Algeria e raggiungere l’Europa dalla Tunisia. “Preferiamo attraversare il deserto piuttosto che essere obbligati a vivere nascosti per paura di finire in galera”, afferma Karen Jospeh, trentacinquenne camerunense. Come loro, secondo un volontario locale di Alarm Phone, circa 200 persone al giorno stanno facendo la stessa scelta.

    https://altreconomia.it/i-processi-farsa-che-in-marocco-trasformano-i-migranti-in-trafficanti

    #Maroc #migrations #criminalisation_de_la_migration #justice (well...) #procès #dissuasion #Melilla #24_juin_2022 #trafiquants_d'êtres_humains #répression #répression_judiciaire #externalisation

  • Improving the humanitarian situation of refugees, migrants and asylum seekers in #Calais and #Dunkirk areas

    The report presented by #Stephanie_Krisper (Austria, ALDE) to the Migration Committee, meeting in Paris, highlighted that the basic needs of a high number of refugees, migrants and asylum seekers in the areas of Calais and Dunkirk (France), were not met. It mentions in particular insufficient places of accommodation situated in remote places that are difficult to access, problematic access to food and water with insufficient and overcrowded distribution points, deficient access to non-food items such as blankets or tents, and limited access to healthcare.

    This report follows a fact-finding visit carried out on 25 and 26 October 2023 by a parliamentary delegation chaired by Ms Krisper, whose objective was to examine the situation of asylum seekers and migrants as well as their defenders in the city of Calais and its surroundings.

    It underlines that these people are stuck in Calais and Dunkirk areas mainly because they have nowhere to go and generally cannot return to their country of origin, a situation exacerbated by the inadequacy of the formal reception system, the lack of information about asylum seekers’ rights as well as cumbersome and long procedures.

    Faced with “this appalling situation, especially since winter is here”, the parliamentarians recommend urgently increasing humanitarian and health assistance through additional volunteers and resources for the associations acting on spot, especially the non-mandated structures. The dignity and fundamental rights of these people must be preserved, and violations and harassments committed by police forces must end, they added.

    The report also warns of the danger these people face by risking their lives when crossing the Channel to the United Kingdom, at the mercy of criminal smuggling networks.

    Finally, the parliamentarians call for a shared responsibility between all European countries, “in order not to leave the burden to countries on the external border of the EU, where congestions points are observed”.

    In addition to its President, Ms Krisper, the delegation was composed of Jeremy Corbyn (United Kingdom, SOC), Emmanuel Fernandes (France, GUE), Pierre-Alain Fridez (Switzerland, SOC) and Sandra Zampa (Italy, SOC).

    Pour télécharger le rapport:
    https://rm.coe.int/report-of-the-ad-hoc-sub-committee-to-carry-out-a-fact-finding-visit-t/1680adaf30

    https://pace.coe.int/en/news/9317/improving-the-humanitarian-situation-of-refugees-migrants-and-asylum-seeke
    #France #Manche #La_Manche #asile #migrations #réfugiés #rapport #visite_parlementaire #Dunkerque #frontières #hébergement #accès_à_l'eau #besoins_fondamentaux #nourriture #accès_à_la_nourriture #accès_aux_soins #santé #droits_fondamentaux #dignité #violences_policières #harcèlement_policier #harcèlement #traversée #passeurs #trafiquants_d'êtres_humains #conseil_de_l'Europe

  • Les départs du #Sénégal vers les #Canaries : une société en proie au #désespoir économique, à la #répression politique et à l’ingérence européenne

    La #route_Atlantique fait encore la une, avec une forte augmentation des passages dans les dernières semaines : à peu près 4000 personnes sont arrivées aux Canaries en septembre et plus 6 000 dans les deux premières semaines d’octobre. Mais le phénomène sous-jacent se dessine déjà depuis juin : la plupart des embarcations sur la route Atlantique font leur départ au Sénégal. Ainsi cet été 2023 les deux tiers des voyages se sont faits dans des #pirogues venant du Sénégal, et un tiers seulement en provenance du Maroc et du Sahara Occidental.

    „Ces derniers temps nous revivons une situation des départs du Sénégal qui nous rappelle le phénomène “#Barça_ou_Barsakh” en 2006 – 2008 et en 2020/2021. Ce slogan “Barça ou Barsakh” qui signifie „soit on arrive à Barcelone, soit on meurt“ est le reflet du plus grand désespoir“ explique Saliou Diouf de Boza Fii, une organisation sénégalaise qui lutte pour la liberté de circulation.

    La population sénégalaise et surtout la #jeunesse fait face à un dilemme impossible : rester et mourir à petit feu dans la galère, ou partir dans l’espoir d’avoir des probabilités de vivre dignement en Europe. À la profonde #crise_économique (effondrement des moyens de subsistance en raison de la #surpêche des eaux sénégalaises et des conséquences du #changement_climatique) s’ajoute l’#injustice de la politique européenne des #visas qui sont quasi impossibles à obtenir. La crise politique au Sénégal rend la situation catastrophique : de nombreux-euses manifestant-es sont abusé-es et arbitrairements emprisonné-es, il y a même des morts. Cela pousse les jeunes à quitter le pays, en empruntant les moyens les plus risqués.

    Nous exprimons notre colère face à cette situation est nous sommes en deuil pour les centaines de personnes mortes en mer cet été.

    Pourtant, les autorités sénégalaises ne se mobilisient pas en soutien à la popluation mais reproduisent à l’identique le discours européen contre la migration qui vise à criminaliser et réprimer la #liberté_de_circulation. Le gouvernment sénégalais a créé une entité dénommée #CILEC (#Comité_interministériel_de_lutte_contre_l’émigration_clandestine). Ce dernier est constitué en grande partie de personnes gradées de l’armée Sénégalaise. Le 27 juillet, le gouvernment a adopté le plan d’action #SNLMI (#Stratégie_nationale_de_lutte_contre_la_migration_irrégulière_au_Sénégal) qui consiste à traquer des soit-disant 3passeurs que l’on traite de #trafiquants_d’êtres_humains. Le 4 août 2023 des répresentants de l’Union Européene et du gouvernement du Sénégal ont inauguré un grand bâtiment pour abriter la DPAF (Division de la police de l’air et des frontières). Toutes ces mesures sont prises en pleine #crise_politique dans le pays : une honte et un manque de respect envers la population.

    Ces derniers mois, il y a une série d’actes de répression qui montre comment le gouvernment sénégalais cherche à intimider la population entière, et surtout la population migrante. Les autorités utilisent l’armée,la gendarmerie et la police pour étouffer toute situation qui pourrait amener des polémiques dans le pays, ce qui est illustré par la liste suivante :

    - Le 10 juillet, 101 personnes ont prit départ de Fass Boye, à Thies. Plus d’un mois après, 38 survivants ont ête retrouvé à 275km du Cap-Vert, seuls 7 corps ont été retrouvés. Quand le gouvernement sénégalais a décidé de rapatrier seulements les survivants et de laisser les morts au Cap-Vert, les populations de Fass Boye ont manifesté contre cette décision. Après les manifestations, la gendarmerie est revenue à 3h du matin pour rentrer dans les maisons pour attraper des manifestant-es, les frapper, puis les amener au poste de police.
    – Dans la nuit du 9 au 10 août sur la plage de Diokoul Kaw dans la commune Rufisque à Dakar, une centaine de jeunes Sénégalais se préparaient pour un départ vers les îles Canaries. Le groupe attendait la pirogue au bord de la mer, à environ 2h du matin. La police sénégalaise a repéré le groupe et après des tirs en l’air pour disperser la foule, un agent de la gendarmerie a ouvert le feu sur la foule qui remontait vers les maisons. Malheureusementune balle a atteint par derrière un jeune garçon qui est finalement mort sur le coup. Jusqu’à présent, ce dossier est sans suite.
    – Un groupe de 184 personnes a quitté le Sénégal le 20 août et a été intercepté par la Guardia Civil espagnole dans les eaux mauritaniennes, qui a ensuite effectué un refoulement. Le groupe a été mis dans les mains de la marine sénégalaise le 30 août et a subi de nombreuses maltraitances de la part des agents espagnols et sénégalais. En plus, 8 personnes sont sous enquête de la Division nationale de lutte contre le trafic (DNLT) et on les poursuit pour association de malfaiteurs, complicité de trafic de migrants par la voie maritime et mise en danger de la vie d’autrui.
    - Le 18 septembre à Cayar dans la région de Thiès, un groupe de personnes qui embarquait pour partir aux Canaries a été interpellé par la gendarmerie lors du départ. Mais l’arrestation a fini par des affrontements entre les gendarmes et la population. Comme d’habitude, les gendarmes sont arrivés encore plus tard dans la nuit pour rentrer dans les maisons pour attraper, frapper et puis encore amener les gens au poste de police.

    Ces exemples démontrent que la stratégie du gouvernment est de semer la peur avec la #violence pour intimider et dissuader la popluation de partir. Nous dénonçons cette politique que nous jugeons injuste, violante, barbare et autoritaire.

    Dans l’indignation devant la médiocrité de nos gouvernants, nous continuons à voir nos frères et sœurs mourir sur les routes migratoires. Aujourd’hui les départs du Sénégal font l’actualité des médias internationaux, mais les problèmes datent depuis des décennies, voir des siècles et prennent racine dans l’#exploitation_capitaliste des nos resources, la politique néo-coloniale et meurtrière de l’Union Européenne et l’incompétence de nos gouvernments.

    https://alarmphone.org/fr/2023/10/20/les-departs-du-senegal-vers-les-canaries

    #émigration #facteurs-push #push-factors #migrations #asile #réfugiés #intimidation #dissuasion #mourir_aux_frontières #décès #morts_aux_frontières #capitalisme

    ping @_kg_ @karine4

  • Study: A legal vacuum - the systematic criminalisation of migrants for driving a boat or car to Greece

    The fight against migrant smuggling has been a top priority of European migration policy since 2015, with a vast amount of resources being invested into this policy goal. This study gives new and in-depth insights about the criminalisation of people on the move for “smuggling” in Greece, analysing the current legal framework as well as its practical enforcement. It shows that instead of protecting the rights of smuggled migrants and asylum seekers, these policies criminalise them and expose them to long prison sentences with the accusation of smuggling, all simply for having crossed the border by boat or car.

    This is made possible both by the legal framework set up in Greece and the EU, which is formulated very broadly, and further reinforced by an implementation that is characterised by gross rights violations such as arbitrary arrests, torture, abuse, coercion, and lack of access to legal support and interpretation.

    Individuals are typically arrested immediately upon arrival, held in pre-trial detention for months, and have very limited options to defend themselves and access support. The trials that tackle these accusations are very short and flout basic standards of fairness.

    The report examines a total of 81 trials of 95 people who were arrested and tried in Greece for smuggling in eight different locations, namely in Komotini, Thessaloniki, Rhodes, Samos, Lesvos, Crete, Syros and Kalamata. The findings are alarming:

    Main findings

    - Arresting boat / car drivers or other individuals on board for the offence of smuggling is a routine practice by law enforcement, with little regard for the actual involvement or intention of the accused;

    – Smuggled people themselves, including asylum seekers, are systematically convicted of smuggling because they (allegedly) drove or assisted in driving the boat or car;

    – At least 1374 people were arrested for smuggling in 2022;

    – Arrests and preliminary investigations are riddled with gross human rights violations; including arbitrary arrests, violence and coercion, little to no access to interpretation or legal support as well as problems in accessing the asylum procedure during detention;

    – 84% of the cases are subjected to pre-trial detention, lasting an average of 8 months. As of February 28, 2023 there are 634 people in pre-trial detention for smuggling.

    – Judgements are issued on the basis of limited and questionable evidence, such as the testimony of a single police or coast guard officer; the police or coast guard officers who provided the testimony on which the indictments were based did not appear in 68% of all documented cases to be cross-examined;

    – On average, trials last for 37 minutes, which drops to 17 minutes in trials with state-appointed lawyers; the shortest trial we documented lasted 6 minutes;

    – Trials lead to an average prison sentence of 46 years and a fine of 332.209 Euros;

    - 52% of all convicted people are serving a prison sentence of 15 years to life;

    - As of February 28, 2023 there are 2154 people who are detained in Greek prisons with the accusation of smuggling (which remains the second largest group per crime); nearly 90% of them are third-country nationals (1897).

    https://www.borderline-europe.de/unsere-arbeit/studie-ein-rechtsfreier-raum-die-systematische-kriminalisierung-vo

    #criminalisation #asile #migrations #réfugiés #Grèce #scafisti #rapport #passeurs #trafiquants #emprisonnement #Borderline_Europe #Boderline-Europe

  • LE #TRAFIQUANT | #ARTE_Radio
    https://www.arteradio.com/serie/le_trafiquant

    #entretien
    #drogue

    LE TRAFIQUANT
    Par #Hugo_Lemonier

    Où planquer son produit, comment se jouer des frontières, comment semer les flics en filature… Né dans une famille de #bandits_corses, #Milou a passé sa vie au sommet de la #voyoucratie. De son enfance pauvre à la Belle de Mai jusqu’à ses années dans la #French_Connection, il raconte tout. 8 épisodes à suivre pour un #récit puissant et addictif. Une production ARTE Radio.

  • Migration de transit : #Belgique et #France appellent #Frontex à l’aide

    L’agence aux frontières extérieures pourrait fournir une surveillance aérienne pour identifier les embarcations tentant de traverser la #Manche depuis les côtes françaises.

    Et pourquoi ne pas aider le nord ? Dans le cadre des « #consultations_de_Val_Duchesse » – rencontre entre gouvernements français et belge sur les thématiques sécuritaires –, Sammy Mahdi, le secrétaire d’Etat à l’Asile et la Migration, a appuyé la #demande française d’un #renfort de l’agence des frontières extérieures, Frontex, pour surveiller la #côte_d’Opale. En cause : le nombre grandissant de traversées de migrants tentant de rejoindre l’Angleterre par la mer. En à peine deux jours, ce week-end, près de 250 personnes ont ainsi été secourues par les autorités alors qu’elles étaient en difficulté en mer. « Depuis le Brexit, la lutte contre la transmigration n’est pas devenue plus facile », a souligné le secrétaire d’Etat dans un communiqué. « Frontex apporte son aide dans le sud et l’est de l’Europe, mais devrait également le faire dans le nord. »

    Phénomène longtemps marginal, les traversées irrégulières de la Manche par bateau ont commencé à augmenter à partir de fin 2019 et n’ont pas cessé depuis. Un transfert s’expliquant probablement par la sévérité des contrôles des camions, par l’imminence du Brexit – dont le bruit courait qu’il aurait un impact sur la possibilité de franchir la frontière avec des contrôles douaniers systématiques – et peut-être par l’effet dissuasif du drame de l’Essex, lorsque 39 personnes avaient été retrouvées mortes dans un camion frigorifique. Mais aussi… par son taux de réussite. Depuis le début de l’année, la préfecture maritime Manche-mer du Nord a enregistré 1.231 tentatives de traversées impliquant plus de 31.500 personnes (certaines personnes ayant pu être impliquées dans plusieurs traversées). Seules un quart ont été interceptées et ramenées vers les côtes françaises. Et comme le Royaume-Uni a refusé de négocier un volet « réadmission » dans le cadre de l’accord du Brexit (pour remplacer le règlement Dublin), il doit gérer les personnes migrantes une fois débarquées.

    Pour les autorités belges, mais surtout françaises, le défi tient à l’immensité de la zone à surveiller. Alors que les départs avaient jusqu’à récemment lieu depuis les alentours de Calais, le point le plus proche de l’Angleterre, ils se sont dispersés vers le sud à mesure de la hausse des contrôles, allant jusqu’au Touquet, à 70 km de là. Ils sont en revanche toujours rarissimes côté belge. Les petites embarcations restent la norme – Decathlon a annoncé il y a quelques jours suspendre la vente de ses kayaks dans les magasins de Calais et Grande-Synthe, constatant un « détournement de leur usage sportif » –, signe de traversées autonomes. « Mais depuis 2019, avec la montée en puissance de réseaux criminels, voire mafieux, nous voyons des embarcations de plus en plus grandes et de plus en plus chargées, engendrant un effet de saturation ponctuelle. Les embarcations plus robustes, type voiliers ou chalutiers, restent plus anecdotiques », indique la préfecture maritime. Comprendre : les moyens de traversée les plus sûrs sont les plus rares. Or, la Manche est réputée être une autoroute de cargos, très dangereuse pour de petites embarcations la traversant.

    La France a déjà considérablement renforcé les moyens de surveillance et le travail de coordination pour mieux contrôler la côte, soutenue par une enveloppe de 62 millions d’euros promise par le Royaume-Uni. Un cadre opérationnel doit encore être déterminé pour définir l’intervention de Frontex : combien de temps, quels moyens humains, matériels… L’agence indique que la demande concerne du « soutien de surveillance aérienne ».

    « Ce serait la première fois que Frontex s’emploie à stopper les flux sortants au lieu de protéger les frontières extérieures contre les menaces extérieures », souligne le cabinet du secrétaire d’Etat Sammy Mahdi. « Mais si vous regardez les chiffres des départs en 2021, c’est une façon valable de penser. Si ce modèle continue à porter ses fruits avec les arrivées au Royaume-Uni, la transmigration sera difficile à arrêter. »

    https://www.lesoir.be/407906/article/2021-11-22/migration-de-transit-belgique-et-france-appellent-frontex-laide
    #asile #migrations #réfugiés #frontières #aide

    • Frontex deploys Danish surveillance aircraft over northern France

      Frontex has deployed a plane to support French and Belgian authorities trying to spot illegal boat crossing activity, a week after 27 migrants drowned when their dinghy deflated in the Channel, the European Union’s joint frontier force said.

      In a statement, Frontex said the plane, provided by Denmark had landed in Lille, northern France, adding the aircraft was equipped with modern sensors and radar to support land and sea border control.

      The deployment was decided during a meeting on Sunday in Calais between French Interior Minister Gerald Darmanin and some of his European counterparts, an event to which British Interior Minister Priti Patel had been disinvited following a letter from British Prime Minister Boris Johnson letter that angered Paris. (https://www.reuters.com/world/europe/france-says-it-will-not-be-held-hostage-by-british-politics-migration-2021-)

      France and Britain are at loggerheads over post-Brexit trading rules and fishing rights and last week relations soured further after 27 people died trying to cross the Channel.

      “The evolution of the situation in the Channel is a matter of concern. Upon the request from member States, Frontex deployed a plane in France to support them with aerial surveillance in just three days,” Frontex Director Fabrice Leggeri said.

      “We are starting with one plane, but we stand ready to reinforce our support if needed.”

      The aim of the operation on the coastline is to prevent the rising number of sea crossings.

      https://www.reuters.com/world/europe/frontex-deploys-danish-surveillance-aircraft-over-northern-france-2021-12-0

      #Danemark #militarisation_des_frontières

    • Le ministre de l’Intérieur @GDarmanin a annoncé la semaine dernière la mise en service d’un avion de l’agence #Frontex pour surveiller les traversées de migrants dans la Manche.

      Repéré par notre collègue @MickaelGoavec, l’appareil a commencé à survoler la zone aujourd’hui.

      Comment s’y prendre pour pister l’appareil ?
      La photo ci-dessus ne montre pas l’immatriculation.

      En cherchant sur Twitter on tombe sur un autre tweet du ministère @Interieur_Gouv et on devine les chiffres «  ??-080 ».

      En passant cette image dans Bing et en zoomant sur l’avion, on tombe sur plusieurs photos d’un appareil ressemblant fortement à celui évoqué par @GDarmanin.

      On peut alors récolter « l’empreinte » de l’avion :

      Immat. : C-080 de la Royal Danish Air Force
      Code ICAO/HEX : 45F422

      En poursuivant les recherches, on tombe sur cette note diffusée par le ministère des Affaires étrangères danois.

      Elle indique que l’avion a été envoyé par le #Danemark pour contribuer à l’opération Triton de lutte contre l’immigration illégale en Méditerranée en 2017.

      Comme beaucoup d’avions militaires et gouvernementaux, le parcours de vol est masqué sur la plupart des sites comme @flightradar24
      ou @flightaware
      .

      Le site @RadarBox24 montre un parcours partiel mais précise bien que les informations sont « bloquées ».

      Mais certains internautes l’ont déjà repéré avant qu’il n’atterrisse à Lille.

      Et d’autres sites, notamment @ADSBexchange, n’acceptent généralement pas les demandes des particuliers ou des organisations souhaitant masquer leurs avions des sites de tracking.

      On peut donc suivre le parcours de l’appareil de surveillance en direct sur ce site :
      https://globe.adsbexchange.com/?icao=45f422

      On remarque un « motif » de surveillance et une altitude basse, un peu moins de 400m.

      Il semble aussi s’attarder sur les dunes qui entourent les villes de #Dunkerque et #GrandeSynthe, où les migrants ont installé des campements.

      https://twitter.com/RevelateursFTV/status/1466745416045764614

    • Migrants dans la Manche : Frontex a la « possibilité de déployer des personnels au sol »

      Fabrice Leggeri, directeur exécutif de Frontex, a été auditionné ce mercredi 8 décembre devant la commission des affaires étrangères du Sénat. Il est revenu sur la « nouvelle opération » de #surveillance_aérienne dans la Manche, qui a commencé début décembre, ainsi que sur les différentes crises auxquelles fait face l’agence européenne. « On va vivre pour longtemps avec une pression migratoire forte », prévient-il.

      Entre la France et le Royaume-Uni, la tension reste forte sur la question de l’immigration depuis le naufrage, au large de Calais, d’une embarcation causant la mort de 27 personnes, le 24 novembre dernier. Hier, lors de son audition à la commission des Lois de l’Assemblée nationale, le ministre de l’Intérieur Gérald Darmanin a demandé, une fois de plus, au Royaume-Uni « d’ouvrir une voie légale d’immigration » pour réduire le nombre de traversées illégales entre les deux pays. Ce mercredi, Fabrice Leggeri, le directeur exécutif de Frontex, a détaillé devant les membres de la commission des affaires étrangères du Sénat la « #nouvelle_opération » de surveillance de l’agence européenne de #garde-côtes et #gardes-frontières dans la Manche. « L’#avion de Frontex est arrivé à Lille le 1er décembre et a commencé ses patrouilles [..]. Nous fournissons depuis quelques semaines des #images_satellitaires à la France - la Belgique est intéressée, les Pays Bas aussi - pour détecter quelques jours à l’avance des #préparatifs_de_départs, des activités de #passeurs ou de #trafiquants près de la #côte », indique-t-il.

      « Nous pouvons faire davantage » si des États le souhaitent

      Pour assurer la #surveillance des dizaines de kilomètres de côtes, en France, en Belgique ou même aux Pays-Bas, Fabrice Leggeri garantit que « nous pouvons faire davantage s’il y a un souhait [des pays] d’aller plus loin ». Outre « le #rapatriement et l’#éloignement des #étrangers_en_situation_irrégulière, nous avons la possibilité de déployer des personnels de gardes-frontières au #sol qui pourraient avoir des missions de surveillance en complément et sous la direction des autorités nationales ». Sans oublier le devoir d’information de l’agence si elle observe « des situations de détresse en mer ».

      Interrogé sur la tenue de discussions avec le Royaume-Uni pour pouvoir intervenir sur leur territoire, le directeur de Frontex pointe « un paradoxe. Nous sommes présents physiquement en Albanie, en Serbie, parce qu’il y a un accord entre l’Union Européenne et ces pays-là, mais il n’y en a pas le Royaume-Uni. Pas d’accord post-Brexit pour coopérer avec eux dans la Manche ». Et Fabrice Leggeri d’insister sur sa volonté de travailler « dans un cadre juridique. On ne peut pas faire du bricolage à la carte ».

      « Avoir un cadre juridique clair »

      Sur d’autres frontières, en Biélorussie, Pologne et Lituanie, le patron de Frontex – qui parle de « #menace_hybride, d’une instrumentalisation des migrants comme moyen de pression politique ou géopolitique - rapporte aussi « une incertitude juridique qui me préoccupe au moins autant que la force physique ». Il donne l’exemple d’une loi lituanienne, adoptée à l’été 2021 en réponse à l’afflux de migrants à sa frontière : « Certains disent que cette loi n’est pas conforme à l’ordre juridique de l’Union européenne. […] Il est important pour l’agence d’avoir un cadre juridique clair. Ce n’est pas le cas actuellement ».

      Au total, entre 2 000 et 2 200 personnels de Frontex sont déployés dans l’Union Européenne. Les plus grosses opérations ont, pour le moment, lieu en Grèce (400 personnels), Italie (200), Espagne (200) et en Lituanie (une centaine). L’objectif est d’atteindre les 10 000 agents en 2027. Qui seront les bienvenus, selon Fabrice Leggeri. Car en plus de la lutte contre la criminalité et la prévention des menaces terroristes, « on va vivre pour longtemps avec une #pression_migratoire forte. La démographie l’explique, les déséquilibres économiques aussi, accentués avec la #crise_sanitaire ».

      https://www.publicsenat.fr/article/parlementaire/migrants-dans-la-manche-frontex-a-la-possibilite-de-deployer-des-personn

    • Frontex en action dans la Manche : la Grande-Bretagne, une force d’attraction pour les réfugiés

      Le pilote danois #Michael_Munkner est de retour à la base après cinq heures et demie de vol au-dessus de la Manche.

      Il est commandant de l’avion « #Côte_d'Opale » dans le cadre de l’opération européenne Frontex. Depuis le naufrage d’un radeau qui a tué 27 demandeurs d’asile le mois dernier, il surveille la zone :

      « Je ne peux pas entrer dans le détail de ce que nous avons vu exactement, mais nous avons pris quelques photos que nous pouvons vous montrer des différents camps que nous surveillons en particulier à Calais et Dunkerque. Nous surveillons les camps pour voir, ce qu’ils font, s’ils se préparent à partir, et aussi bien sûr les plages pour voir s’il y a des départs. »

      L’agence Frontex a organisé des vols au-dessus de la zone à la demande de la France. La mission est censée durer jusqu’à la fin de l’année.

      Si les agents ont admis que des discussions sur le renouvellement de leur mandat étaient en cours, certains doutent de l’efficacité des mesures prises pour dissuader les personnes désespérées d’effectuer la traversée de la Manche.

      « Je pense que les gens tenteront la traversée. S’ils sont suffisamment désespérés, ils iront, quoi qu’il arrive. J’espère simplement que nous pourrons être là pour aider à éviter les pertes de vies humaines » explique Michael Munkner, le commandant du détachement Frontex pour la Manche.

      Elyaas Ehsas est un réfugié afghan. Il est d’accord pour dire que les exilés continueront de chercher à traverser par tous les moyens pour se rendre au Royaume-Uni, malgré les obstacles.

      « S’ils avaient une chance de rester dans leur pays d’origine, ils resteraient. Imaginez comme ça... quelqu’un dans votre pays vous prend tout, que feriez-vous ? »

      Elyaas a quitté l’Afghanistan il y a 6 ans. Après avoir vu sa demande d’asile rejetée par la Suède, il avait aussi pensé à faire la traversée de la Manche :

      « Une des raisons pour lesquelles les gens traversent et prennent beaucoup de risques, c’est à cause de l’accord de Dublin, ils se disent si je vais au Royaume-Uni, il n’y a pas de règlement de Dublin au Royaume-Uni à cause du Brexit. Le Royaume-Uni a quitté l’Union européenne, et donc il n’y a pas d’empreintes digitales. Au moins, ils peuvent rester là-bas pendant un certain temps et se reconstruire une nouvelle vie. »

      Le règlement de Dublin part du principe que les réfugiés bénéficient du même niveau de protection dans tous les États membres de l’UE, et qu’ils doivent demander l’asile dans le pays d’arrivée.

      Les 27 ont reconnu les limites du dispositif et promis de créer un nouveau système de gouvernance migratoire.

      Le mois dernier, Elyaas a pu faire une nouvelle demande d’asile, cette fois-ci en France. Mais son histoire n’est pas encore terminée. Il dit que si les autorités françaises rejettent sa demande, il poursuivra son voyage quelles qu’en soient les conséquences.

      https://fr.euronews.com/2021/12/17/frontex-en-action-dans-la-manche-la-grande-bretagne-une-force-d-attract

  • Israël rétrogradé dans un rapport d’État américain sur le trafic d’êtres humains Amy Spiro
    https://fr.timesofisrael.com/israel-retrograde-dans-un-rapport-detat-americain-sur-le-trafic-de

    Israël a été rétrogradé du niveau 1 au niveau 2 dans un rapport sur le trafic d’êtres humains publié jeudi par le département d’État américain. Selon le rapport, la décision a été prise car Israël n’a pas « satisfait les normes minimales pour l’élimination du trafic mais fait des efforts significatifs pour y parvenir ».


    Illustration : Des manifestants prennent part à une manifestation contre la prostitution devant le club de strip-tease Gogo à Tel Aviv, le 22 décembre 2016. (FLASH90)

    « Le gouvernement [d’Israël] a maintenu des efforts terriblement insuffisants pour prévenir la traite des êtres humains et les politiques gouvernementales à l’égard des travailleurs étrangers ont augmenté leur vulnérabilité au trafic », selon le rapport détaillé du département d’État. « Les migrants et demandeurs d’asile érythréens et soudanais, hommes et femmes, sont très vulnérables au trafic sexuel et au trafic de main-d’œuvre en Israël. »

    Israël était classé comme un pays de niveau 1 depuis 2012. Avec Chypre, la Nouvelle-Zélande, la Norvège, le Portugal et la Suisse, Israël a été jugé cette année comme n’ayant pas fait de « progrès appréciables » dans la lutte contre la traite des êtres humains et a donc été rétrogradé. L’Allemagne, le Danemark, l’Italie, la Norvège et près de 100 autres pays sont tous considérés comme des pays de niveau 2. Plus de 50 pays figurent sur la « liste de surveillance de niveau 2 » et 17 autres sur la liste de niveau 3.

    Le rapport note que « les enfants israéliens, les femmes et les filles bédouines et palestiniennes, les femmes étrangères et les adultes et enfants transgenres sont vulnérables à la traite sexuelle en Israël », ajoutant que de nombreux trafiquants utilisent les réseaux sociaux pour exploiter les jeunes filles. « En 2020, une ONG a signalé qu’il y avait environ 3 000 enfants israéliens victimes de trafic sexuel en Israël. »

    Selon le département d’État, qui s’est appuyé en partie sur les ONG locales pour obtenir des données et des informations, les « politiques d’identification des victimes du gouvernement israélien ont parfois retraumatisé les victimes de trafic et retardé l’accès aux soins nécessaires, parfois pendant des années ». L’étude note également qu’en matière de travail forcé, « les Palestiniens et les travailleurs étrangers, principalement originaires d’Asie du Sud et du Sud-Est, d’Europe de l’Est et de l’ancienne Union soviétique » sont considérés comme les populations les plus vulnérables.

    Le rapport a également critiqué Israël pour une baisse du nombre d’enquêtes et des poursuites en matière de traite d’êtres humains en 2020 par rapport à 2019. Il note qu’en 2020, la police israélienne a ouvert 11 enquêtes, contre 18 en 2019. Le rapport a également cité seulement neuf poursuites au total en 2020, contre 20 en 2019.

    Mais le rapport du Département d’État a félicité Israël pour avoir continué à offrir « un large éventail de services de protection pour les victimes de toutes les formes de trafic », ainsi que pour avoir encouragé les victimes « à aider à l’enquête et à la poursuite de leurs trafiquants » sans exiger leur participation à des affaires judiciaires pour obtenir des visas.

    Le département d’État a recommandé à Israël d’adopter une longue liste de mesures, dont l’accélération du processus d’identification et d’orientation des victimes de trafic « vers les soins appropriés sans les traumatiser à nouveau », l’augmentation du nombre de fonctionnaires travaillant à l’identification des victimes de trafic, un meilleur dépistage des victimes parmi les migrants africains et les travailleurs étrangers, et la création d’une commission ou d’une sous-commission de la Knesset chargée de la traite des travailleurs.

    L’année dernière, Israël a inculpé l’ancienne athlète de haut niveau Svetlana Gnezdilov pour avoir dirigé un réseau de trafic sexuel qui aurait amené des femmes de l’étranger dans le pays à des fins de prostitution. Selon l’acte d’accusation, Svetlana Gnezdilov a géré ce réseau de trafic pendant cinq ans dans plusieurs appartements de la région métropolitaine de Tel Aviv, sous couvert de services de massage.

    #esclavage #racisme #esclavage_moderne #exploitation #migrations #prostitution #migration #trafic #trafic_sexuel #réseaux_sociaux #trafiquants

  • France : Macron annonce un doublement des #forces_de_sécurité aux frontières

    Le président français Emmanuel Macron a annoncé jeudi un doublement des forces contrôlant les frontières de la France, de 2.400 à 4.800, pour lutter contre la menace terroriste, les trafics et l’immigration illégale.

    Le président français Emmanuel Macron a annoncé jeudi un doublement des forces contrôlant les frontières de la France, de 2.400 à 4.800, pour lutter contre la menace terroriste, les trafics et l’immigration illégale.

    Ce doublement a été décidé « en raison de l’intensification de la #menace » après les récents #attentats, dont celui de Nice (Sud-Est), a expliqué le chef de l’État à la frontière franco-espagnole, au #col_du_Perthus, où « quatre unités mobiles » sont « en cours de déploiement ».

    Accompagné du ministre de l’Intérieur Gérald Darmanin et du secrétaire d’Etat chargé des Affaires européennes Clément Beaune, Emmanuel Macron s’est également dit « favorable » à une refondation « en profondeur » des règles régissant l’#espace_Schengen de #libre_circulation en Europe, et à « un plus grand contrôle » des frontières.

    « Je porterai en ce sens des premières propositions au Conseil » européen de décembre, pour « repenser l’organisation » de #Schengen et « intensifier notre protection commune aux frontières avec une véritable #police_de_sécurité_aux_frontières_extérieures », a-t-il ajouté. Avec la « volonté d’aboutir sous la présidence française », au premier semestre 2022.

    Cette refondation doit rendre l’espace Schengen « plus cohérent », pour qu’il « protège mieux ses frontières communes », qu’il « articule mieux » les impératifs de responsabilité de protection de frontières et de « #solidarité » et que « la charge ne soit pas qu’aux pays de première entrée ».

    « La France est un des principaux pays d’arrivée d’#immigration_secondaire », lorsque les migrants #déboutés d’un pays tentent leur chance dans un autre en Europe, et « je souhaite profondément aussi qu’on change les règles du jeu », a-t-il dit.

    Il a également plaidé pour « intensifier » la lutte contre l’#immigration_clandestine et les réseaux de #trafiquants « qui, de plus en plus souvent, sont liés aux réseaux terroristes ».

    « Nous prendrons les lois qui sont nécessaires, si elles correspondent à des besoins identifiés », a-t-il ajouté, mais la situation « ne justifie pas de changer la Constitution », a-t-il assuré, face à des pressions de responsables politiques de droite et d’extrême droite.

    Arrivé à la mi-journée au col du Perthus, Emmanuel Macron s’est entretenu avec les policiers de la #police_aux_frontières (#PAF) qui contrôlent les véhicules entrant en France par l’autoroute ou la nationale qui le traversent. L’un d’eux lui a notamment fait la démonstration d’un drone surveillant les voies de passage et les sentiers frontaliers.

    Puis il a visité le Centre franco-espagnol de coopération policière et douanière, où sont affectées 24 personnes des deux pays à plein temps. « Nous partageons un espace de travail et de convivialité (...) La coopération marche très bien », lui a assuré un responsable espagnol.

    « Depuis 2017, la coordination entre les services de renseignement a été renforcée et confiée à la DGSI (sécurité intérieure, ndlr). Les moyens financiers, humains et technologiques ont été considérablement augmentés », a déclaré Emmanuel Macron dans un tweet posté durant sa visite.

    Quelque 35.000 véhicules passent tous les jours sur l’autoroute et la route qui franchissent le col, entre les villes du Perthus en France et de La Jonquera en Espagne.

    L’#Espagne est l’une des principales portes d’entrée des immigrés clandestins en France, qui arrivent par la côte en provenance d’Afrique du nord. Plus de 4.000 migrants ont été refusés ces trois derniers mois dans le département des #Pyrénées-Orientales, selon un responsable de la PAF. Une partie d’entre eux étaient des Algériens tentant d’entrer en France.

    https://www.mediapart.fr/journal/fil-dactualites/051120/france-macron-annonce-un-doublement-des-forces-de-securite-aux-frontieres

    #fermeture_des_frontières #frontières #France #terrorisme #migrations #immigration_illégale #militarisation_des_frontières

  • Dans l’est de la #Turquie, le trajet tragique des migrants afghans

    Fuyant les talibans, de nombreuses familles partent trouver refuge en Europe. En chemin, elles sont souvent bloquées dans les #montagnes kurdes, où elles sont à la merci des #trafiquants d’êtres humains et de la #police.

    Le dos voûté sous leurs lourds sacs à dos, la peau brûlée par le soleil et les lèvres craquelées par la soif, Nizamuddin et Zabihulah sont à bout de forces. Se traînant pesamment en bord de route, près de la petite ville de #Çaldiran dans l’extrême est de la Turquie, ils cherchent désespérément un moyen d’abréger leur trajet. « Nous marchons presque sans arrêt depuis deux jours et deux nuits. Nous avons franchi sept ou huit montagnes pour arriver ici depuis l’Iran », raconte le premier. Affamés, les pieds enflés, et dépités par le refus généralisé de les conduire vers la grande ville de #Van à une centaine de kilomètres de là, ils finissent par se laisser tomber au sol, sous un arbre.

    « J’ai quitté l’#Afghanistan il y a huit mois parce que les talibans voulaient me recruter. C’était une question de temps avant qu’ils m’emmènent de force », explique Zabihulah. Originaire de la province de Jozjan, dans le nord de l’Afghanistan, où vivent sa femme et son très jeune fils, son quotidien était rythmé par les menaces de la rébellion afghane et la misère économique dans laquelle est plongé le pays en guerre depuis plus de quarante ans. « Je suis d’abord allé en Iran pour travailler. C’était épuisant et le patron ne m’a pas payé », relate-t-il. Ereinté par les conditions de vie, le jeune homme au visage fin mais marqué par le dur labeur a décidé de tenter sa chance en Turquie. « C’est ma deuxième tentative, précise-t-il. L’an dernier, la police iranienne m’a attrapé, m’a tabassé et tout volé. J’ai été renvoyé en Afghanistan. Cette fois, je vais rester en Turquie travailler un peu, puis j’irai en Grèce. »

    Pierres tombales

    Comme Nizamuddin et Zabihulah, des dizaines de milliers de réfugiés afghans (mais aussi iraniens, pakistanais et bangladais) pénètrent en Turquie illégalement chaque année, en quête d’un emploi, d’une vie plus stable et surtout de sécurité. En 2019, les autorités turques disent avoir appréhendé 201 437 Afghans en situation irrégulière. Deux fois plus que l’année précédente et quatre fois plus qu’en 2017. Pour la majorité d’entre eux, la province de Van est la porte d’entrée vers l’Anatolie et ensuite la Grèce. Cette région reculée est aussi la première muraille de la « forteresse Europe ».

    Si le désastre humanitaire en mer Méditerranée est largement documenté, la tragédie qui se déroule dans les montagnes kurdes des confins de la Turquie et de l’#Iran est plus méconnue mais tout aussi inhumaine. Régulièrement, des corps sont retrouvés congelés, à moitié dévorés par les animaux sauvages, écrasés aux bas de falaises, criblés de balles voire noyés dans des cours d’eau. Dans un des cimetières municipaux de Van, un carré comptant plus d’une centaine de tombes est réservé aux dépouilles des migrants que les autorités n’ont pas pu identifier. Sur les pierres tombales, quelques chiffres, lettres et parfois une nationalité. Ce sont les seuls éléments, avec des prélèvements d’ADN, qui permettront peut-être un jour d’identifier les défunts. Un large espace est prévu pour les futures tombes, dont certaines sont déjà creusées en attente de cercueils.

    Pour beaucoup de réfugiés, la gare routière de Van est le terminus du voyage. « Le passeur nous a abandonnés ici, nous ne savons pas où aller ni quoi faire », raconte Nejibulah, le téléphone vissé à la main dans l’espoir de pouvoir trouver une porte de sortie à ses mésaventures. A 34 ans, il a quitté Hérat, dans l’ouest de l’Afghanistan, avec douze membres de sa famille dont ses trois enfants. Après quinze jours passés dans des conditions déplorables dans les montagnes, la famille a finalement atteint le premier village turc pour tomber entre les mains de bandits locaux. « Ils nous ont battus et nous ont menacés de nous prendre nos organes si nous ne leur donnions pas d’argent », raconte Nejibulah. Son beau-frère exhibe deux profondes blessures ouvertes sur sa jambe. Leurs proches ont pu rassembler un peu d’argent pour payer leur libération : 13 000 lires turques (1 660 euros) en plus des milliers de dollars déjà payés aux passeurs. Ces derniers sont venus les récupérer pour les abandonner sans argent à la gare routière.
    Impasse

    La police vient régulièrement à la gare arrêter les nouveaux arrivants pour les emmener dans l’un des deux camps de rétention pour migrants de la province. Là-bas, les autorités évaluent leurs demandes de protection internationale. « Sur le papier, la Turquie est au niveau des standards internationaux dans la gestion des migrants. Le problème, c’est le manque de sensibilité aux droits de l’homme des officiers de protection », explique Mahmut Kaçan, avocat et membre de la commission sur les migrations du barreau de Van. Le résultat, selon lui, c’est une politique de déportation quasi systématique. Si les familles obtiennent en général facilement l’asile, les hommes seuls n’auraient presque aucune chance, voire ne pourraient même pas plaider leur cas.

    Pour ceux qui obtiennent le droit de rester, les conditions de vie n’en restent pas moins très difficiles. Le gouvernement qui doit gérer plus de 4 millions de réfugiés, dont 3,6 millions de Syriens, leur interdit l’accès aux grandes villes de l’ouest du pays telles Istanbul, Ankara et Izmir. Il faut parfois des mois pour obtenir un permis de séjour. L’obtention du permis de travail est quasiment impossible. En attendant, ils sont condamnés à la débrouille, au travail au noir et sous-payé et aux logements insalubres.

    La famille Amiri, originaire de la province de Takhar dans le nord de l’Afghanistan, est arrivée à Van en 2018. « J’étais cuisinier dans un commissariat. Les talibans ont menacé de me tuer. Nous avons dû tout abandonner du jour au lendemain », raconte Shah Vali, le père, quadragénaire. Sa femme était enceinte de sept mois à leur arrivée en Turquie. Ils ont dormi dans la rue, puis sur des cartons pendant des semaines dans un logement vétuste qu’ils occupent toujours. La petite dernière est née prématurément. Elle est muette et partiellement paralysée. « L’hôpital nous dit qu’il faudrait faire des analyses de sang pour trouver un traitement, sans quoi elle restera comme ça toute sa vie », explique son père. Coût : 800 lires. La moitié seulement est remboursée par la sécurité sociale turque. « Nous n’avons pas les moyens », souffle sa mère Sabira. Les adultes, souffrant aussi d’afflictions, n’ont pas accès à la moindre couverture de santé. Shah Vali est pourtant d’humeur heureuse. Après deux ans de présence en Turquie, il a enfin trouvé un emploi. Au noir, bien sûr. Il travaille dans une usine d’œufs. Salaire : 1 200 lires. Le seuil de faim était estimé en janvier à 2 219 lires pour un foyer de quatre personnes. « Nous avons dû demander de l’argent à des voisins, de jeunes Afghans, eux-mêmes réfugiés », informe Shah Vali. Pour lui et sa famille, le voyage est terminé. « Nous voulions aller en Grèce, mais nous n’avons pas assez d’argent. »

    Lointaines, économiquement peu dynamiques, les provinces frontalières de l’Iran sont une impasse pour les réfugiés. Et ce d’autant que, depuis 2013, aucun réfugié afghan n’a pu bénéficier d’une réinstallation dans un pays tiers. « Sans espoir légal de pouvoir aller en Europe ou dans l’ouest du pays, les migrants prennent toujours plus de risques », souligne Mahmut Kaçan. Pour contourner les check-points routiers qui quadrillent cette région très militarisée, les traversées du lac de Van - un vaste lac de montagne aux humeurs très changeantes - se multiplient. Fin juin, un bateau a sombré corps et biens avec des dizaines de personnes à bord. A l’heure de l’écriture de cet article, 60 corps avaient été retrouvés. L’un des passeurs était apparemment un simple pêcheur.

    Climat d’#impunité

    Face à cette tragédie, le ministre de l’Intérieur turc, Suleyman Soylu, a fait le déplacement, annonçant des moyens renforcés pour lutter contre le phénomène. Mahmut Kaçan dénonce cependant des effets d’annonce et l’incurie des autorités. « Combien de temps un passeur res te-t-il en prison généralement ? Quelques mois au plus, s’agace-t-il. Les autorités sont focalisées sur la lutte contre les trafics liés au PKK [la guérilla kurde active depuis les années 80] et ferment les yeux sur le reste. » Selon lui, les réseaux de trafiquants se structureraient rapidement. Publicités et contacts de passeurs sont aisément trouvables sur les réseaux sociaux, notamment sur Instagram. Dans un climat d’impunité, les #passeurs corrompent des #gardes-frontières, qui eux-mêmes ne sont pas poursuivis en cas de bavures. « Le #trafic_d’être_humain est une industrie sans risque, par comparaison avec la drogue, et très profitable », explique l’avocat. Pendant ce temps, les exilés qui traversent les montagnes sont à la merci de toutes les #violences. Avec la guerre qui s’intensifie à nouveau en Afghanistan, le flot de réfugiés ne va pas se tarir. Les Afghans représentent le tiers des 11 500 migrants interceptés par l’agence européenne Frontex aux frontières sud-est de l’UE, entre janvier et mai.

    https://www.liberation.fr/planete/2020/07/20/dans-l-est-de-la-turquie-le-trajet-tragique-des-migrants-afghans_1794793
    #réfugiés #asile #migrations #parcours_migratoires #itinéraires_migratoires #réfugiés_afghans #Caldiran #Kurdistan #Kurdistan_turc #morts #décès #Iran #frontières #violence

    ping @isskein @karine4

    • Lake Van: An overlooked and deadly migration route to Turkey and Europe

      On the night of 27 June, at least 61 people died in a shipwreck on a lake in Van, a Turkish province bordering Iran. The victims were asylum seekers, mostly from Afghanistan, and the wreck shed light on a dangerous and often overlooked migration route used by people trying to move west from the border to major cities, such as Ankara and Istanbul, or further beyond to Europe.

      Turkey hosts the largest refugee population in the world, around four million people. A significant majority – 3.6 million – are Syrians. Afghans are the second largest group, but since 2018 they have been arriving irregularly in Turkey and then departing for Greece in larger numbers than any other nationality.

      Driven by worsening conflict in their country and an economic crisis in Iran, the number of Afghans apprehended for irregularly entering Turkey increased from 45,000 in 2017 to more than 200,000 in 2019. At the same time, the number of Afghans arriving in Greece by sea from Turkey increased from just over 3,400 to nearly 24,000.

      During that time, Turkey’s policies towards people fleeing conflict, especially Afghans, have hardened. As the number of Afghans crossing the border from Iran increased, Turkey cut back on protections and accelerated efforts to apprehend and deport those entering irregularly. In 2019, the Turkish government deported nearly 23,000 Afghans from the country, according to the UN’s emergency aid coordination body, OCHA.

      Early on, travel restrictions put in place due to the coronavirus appeared to reduce the number of people entering Turkey irregularly. But seven months on, the pandemic is worsening the problems that push people to migrate. The economic crisis in Iran has only intensified, and the head of the UN’s migration agency, IOM, in Afghanistan has warned that COVID-19-induced lockdowns have “amplified the effects of the conflict”.

      Like the victims of the wreck, most people travelling on the clandestine route through Van are from Afghanistan – others are mainly from Iran, Pakistan, and Bangladesh. The lake, 50 kilometres from the border, straddles two provinces – Van and Bitlis – and offers a way for asylum seekers and migrants to avoid police and gendarmerie checkpoints set up along roads heading west.

      Due to its 200-kilometre border with Iran, Van has long been a hub for smuggling sugar, tea, and petrol, according to Mahmut Kaçan, a lawyer with the Migration and Asylum Commission at the Van Bar Association. In recent years, a people smuggling industry has also grown up to cater to the needs of people crossing the border and trying to move deeper into Turkey. Lake Van – so large that locals simply call it ‘the sea’ – plays an important role.

      “There have been a lot of refugees on ‘the sea’ in the last 10 years,” Mustafa Abalı, the elected leader of Çitören, a village close to where many of the boats set out across the lake, told The New Humanitarian, adding that the numbers have increased in the past two to three years.
      ‘Policy of impunity’

      When the shipwreck happened, on 27 June, the picture that initially emerged was murky: Rumours circulated, but the local gendarmerie blocked lawyers and journalists from reaching the lake’s shore.

      After two days, the Van governorship announced that security forces had found a missing boat captain alive and launched a search mission. It took weeks, but search teams eventually recovered 56 bodies from the wreck, which had come to rest more than 100 metres below the lake’s surface.

      Abalı described the scene on the beach where the rescue teams were working. “I was crying; everyone was crying; even the soldiers were crying… We were all asking, ‘how could this happen?’” he said.

      The testimony the boat captain provided to police after he was detained on smuggling charges gave a few clues. On board with his cousin and 70 to 80 asylum seekers, he recalled how they left that night at around 9pm from Van city to cross the lake. He said he pushed out into the open water, with the lights off to avoid attention, but the waves were large and the boat capsized. The captain, the lone known survivor, said he managed to swim ashore.

      The shipwreck was the deadliest on Lake Van, but not the first. In December 2019, seven asylum seekers died in a wreck on the lake. After that incident, authorities only issued one arrest warrant, which expired after 27 days, and the suspected smuggler was released.

      Kaçan, from the Van Bar Association, said the handling of that case pointed to a “policy of impunity” that allows the smuggling industry to flourish in Van. “It’s not a risky job,” he said, referring to the chances of getting caught and the lack of punishment for those who are.

      That said, the case against the captain from the 27 June shipwreck is ongoing, and at least eight other people have now been detained in connection with the incident, according to Kaçan.

      A report from the Van Bar Association alleges that this impunity extends to the Iran-Turkey border, but according to Kaçan it‘s unlikely smugglers bringing people into Turkey – sometimes in groups of up to 100 or 200 people – would pass the frontier entirely undetected. Turkey is building a wall along much of it, and there’s a heavy military and surveillance presence in the area. “Maybe not all of them, but some of the officers are cooperating with the smugglers,” Kaçan said. “Maybe [the smugglers] bribe them. That’s a possibility.”

      After a lull during the initial round of pandemic-related travel restrictions in March and April, migration across the Iran-Turkey border began to pick up again in May, according to people TNH spoke to in Van. Smugglers are even advertising their services on Instagram – a sign of the relative freedom with which they operate.

      TNH contacted a Turkish-speaking Iranian smuggler through the social media platform. The smuggler said he was based in the western Iranian city of Urmia, about 40 kilometres from the Turkish border, and gave his name as Haji Qudrat. On a video call, Haji Qudrat counted money as he spoke. “Everyone knows us,” he said. “There’s no problem with the police.” He turned the phone to show a room full of 20 to 30 people. “They’re all Afghans. Tonight they’re all going to Van,” he added.

      TNH asked both the Turkish interior ministry and the Van governorship for comment on the allegations of official cooperation with people smugglers and possible bribery, but neither had responded by the time of publication.
      A cemetery on a hill

      While crossing into Turkey from Iran doesn’t seem too problematic, the situation for asylum seekers in Van is not so relaxed.

      The region is the second poorest of Turkey’s 81 provinces – many people who enter irregularly want to head west to Turkey’s comparatively wealthier cities to search for informal employment, reunite with family members, or try to cross into Greece and seek protection in Europe, according to a recent report by the Mixed Migration Centre.

      Under Turkey’s system for international protection, non-Europeans fleeing war or persecution are supposed to get a temporary residency permit and access to certain services, such as medical care. But they are also registered to a particular city or town and are required to check in at the immigration office once a week. If they want to travel outside the province where they are registered, people with international protection have to first apply for permission from authorities. Even if it is granted, they are required to return within 30 days.

      Since the uptick in border crossings in 2018, it has become more difficult for Afghans to access international protection in Turkey, and Turkish authorities have occasionally apprehended and deported large numbers of Afghans – especially single men – without allowing them to apply for protection in the first place.

      As a result, many prefer to avoid contact with Turkish authorities altogether, using smugglers to carry on their journeys. In September, news channels aired footage of a minibus that had been stopped in the province. It had the capacity to hold 14 passengers, but there were 65 people inside, trying to head west.

      Buses carrying asylum seekers on Van’s windy, mountainous roads frequently crash, and every spring, when the snow melts, villagers find the corpses of those who tried to walk the mountain pass in the winter. Their bodies are buried in a cemetery with the scores who have drowned in Lake Van.

      The cemetery is on a hill in Van, the city, and it is full of the graves of asylum seekers who died somewhere along the way. The graves are marked by slabs, and most of the people are unidentified. Some of the slabs simply read “Afghan” or “Pakistan”. Others are only marked with the date the person died or their body was found. The cemetery currently has around 200 graves, but it has space for many more.

      https://www.thenewhumanitarian.org/news-feature/2020/10/20/turkey-afghanistan-migrants-refugees-asylum

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      http://www.vanbarosu.org.tr/uploads/2694.pdf
      #rapport

      #Van #lac #Lac_Van #cimetière

  • Des trajectoires immobilisées : #protection et #criminalisation des migrations au #Niger

    Le 6 janvier dernier, un camp du Haut-Commissariat des Nations Unies pour les Réfugiés (HCR) situé à une quinzaine de kilomètres de la ville nigérienne d’Agadez est incendié. À partir d’une brève présentation des mobilités régionales, l’article revient sur les contraintes et les tentatives de blocage des trajectoires migratoires dans ce pays saharo-sahélien. Depuis 2015, les projets européens se multiplient afin de lutter contre « les causes profondes de la migration irrégulière ». La Belgique est un des contributeurs du Fonds fiduciaire d’urgence de l’Union européenne pour l’Afrique (FFUE) et l’agence #Enabel met en place des projets visant la #stabilisation des communautés au Niger

    http://www.liguedh.be/wp-content/uploads/2020/04/Chronique_LDH_190_voies-sures-et-legales.pdf
    #immobilité #asile #migrations #réfugiés #Agadez #migrations #asile #réfugiés #root_causes #causes_profondes #Fonds_fiduciaire #mécanisme_de_transit_d’urgence #Fonds_fiduciaire_d’urgence_pour_l’Afrique #transit_d'urgence #OIM #temporaire #réinstallation #accueil_temporaire #Libye #IOM #expulsions_sud-sud #UE #EU #Union_européenne #mise_à_l'abri #évacuation #Italie #pays_de_transit #transit #mixed_migrations #migrations_mixtes #Convention_des_Nations_Unies_contre_la_criminalité_transnationale_organisée #fermeture_des_frontières #criminalisation #militarisation_des_frontières #France #Belgique #Espagne #passeurs #catégorisation #catégories #frontières #HCR #appel_d'air #incendie #trafic_illicite_de_migrants #trafiquants

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    Sur l’incendie de janvier 2020, voir :
    https://seenthis.net/messages/816450

    ping @karine4 @isskein :
    Cette doctorante et membre de Migreurop, Alizée Dauchy, a réussi un super défi : résumé en 3 pages la situation dans laquelle se trouve le Niger...

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    Pour @sinehebdo, un nouveau mot : l’#exodant
    –-> #vocabulaire #terminologie #mots

    Les origine de ce terme :

    Sur l’origine et l’emploi du terme « exodant » au Niger, voir Bernus (1999), Bonkano et Boubakar (1996), Boyer (2005a). Les termes #passagers, #rakab (de la racine arabe rakib désignant « ceux qui prennent un moyen de trans-port »), et #yan_tafia (« ceux qui partent » en haoussa) sont également utilisés.

    https://www.reseau-terra.eu/IMG/pdf/mts.pdf

  • Niger : Has Securitisation Stopped Traffickers ?

    In the past five years there has been an increase in border controls and foreign military presence in Niger; paradoxically this has only diversified and professionalised the criminal networks operating there. In fact, this development was to be expected. Sustained law enforcement against smugglers removes the weaker players while allowing those with greater means and connexions to adapt, evolve and in some cases even monopolise criminal markets. As such, although Western-supported goals of curtailing irregular migration in Niger have been reached in the short term, criminal networks continue to thrive with devastating consequences for the wider Sahel region. Recorded migrant deaths in northern Niger have hit record highs and illicit flows of drugs and arms through the country continue to fuel conflicts. To address the country’s chronic lack of security and underdevelopment, innovative approaches that prioritise the fight against criminal networks while considering the negative socio-economic impacts of interventions must be developed.

    The economic, social and security landscape of Niger has undergone four milestone events, which have all led to changes in the country’s criminal networks. These included the criminalisation of the migration industry in May 2015; the clampdown on the Djado goldfield in February 2017; the ensuing multiplication of armed actors and growing banditry, which had already increased after the outbreak of the conflicts in Libya in 2011 and northern Mali in 2012; and the militarisation of Niger since 2014.

    The EU-backed enforcement of law 2015-036 criminalising migrant smuggling in mid-2016 delivered a first, considerable blow to northern Niger’s informal economy. Transporting foreign migrants to Libya, a practice that had become a source of livelihood for thousands of people in northern Niger, was outlawed overnight. Dozens of passeurs (migrant smugglers) and coxeurs (middlemen who gather migrants for passeurs) were arrested and hundreds of vehicles were seized in a crackdown that shocked the system.

    The second blow, which was closely linked to the first, was the closure of the Djado goldfield in February 2017. Up until its closure, the gold economy had been a vital back-up for ex-passeurs. Many had repurposed their activities towards the transport of artisanal miners to and from northern Niger’s gold mines to compensate for lost revenue from the outlawing of migrant smuggling. Many passeurs also invested in artisanal gold extraction. The goldfield was officially shut down for security reasons, as it had become a key hub for the operations of armed bandits. However, the fact that it was also a key stopover location for migrants travelling north was perhaps more influential in the government’s decision-making.

    Many analysts have attributed the rise in banditry and convoy hijackings over the past two years to these two economic blows. While it is difficult to determine whether the actors involved in these attacks are the same as those previously involved in the migration industry, it is clear that the lack of economic opportunities have pushed some to seek alternative sources of revenue.

    Although the migration industry initially shrank, it has now partially recovered (albeit still very far from 2015/2016 levels) with the transport of Nigerien migrants who are increasingly seeking seasonal work in Libya. But although a majority of passeurs have repurposed their activities towards the tolerated practice of transporting Nigeriens to Libya, many passeurs are still ready to transport foreign migrants, who pay up to eight times what local Nigeriens pay. To do so, smuggling networks have become both more professional and clandestine. Passeurs also take more dangerous and remote routes through the desert that avoid security forces. This has posed a significant risk to migrants, who are increasingly vulnerable to death from unexpected breakdowns in the desert. The number of recorded migrant deaths increased from 71 in 2015 to 427 in 2017.

    Currently, the number of active drivers is close to that before the peak of migration in 2015/2016. But the number of migrants who can afford the journey has lessened. In some reported cases, the price for the Agadez-Sebha journey has increased five-fold since 2016. Passeurs incur higher costs primarily as a result of longer, more clandestine routes that require more fuel. They must also pay higher fees to coxeurs, whose role in gathering migrants for passeurs has become central since migrants have been more difficult to find in Agadez. Prior to 2016, migrants could easily reach the town with commercial bus companies. Today, these undergo stringent checks by Nigerien police. Even migrants from the Economic Community of West African States (ECOWAS), who have the right to visa-free travel to Niger with valid documentation, are having to pay higher bribes to security forces to reach Agadez through commercial transportation.

    To compensate for this lack of more lucrative foreign migrants, many passeurs have turned to the smuggling of synthetic opioids (especially Tramadol), the demand for which has boomed across the Sahel-Sahara in recent years.[1] Smugglers can sell Tramadol purchased from Nigeria for up to 15 times the price in Libya, transporting the drugs along the Chadian border through Niger.

    These developments have mostly been undeterred by the increased militarisation of Niger since 2014, which saw the posting of French and American security forces in key strategic locations in the north (with bases in Madama, Dirkou, Agadez, Aguelal) and south (in the Tillabéri and Diffa regions). While their primary concern has been the fight against terrorist networks in the Sahel, French security forces in Madama have also specifically targeted arms and high-value narcotics trafficking (albeit prioritising those suspected of having links to terrorist networks). The increased scrutiny of French troops on key trafficking crossroads is seen as a key factor in making the trans-Sahelian cocaine route less attractive for conveying drugs from Latin America to destination markets in Europe and the Middle East, with traffickers increasingly favouring maritime routes instead.

    The increased targeting of drug convoys by armed groups is also a key factor behind the reduced use of the trans-Sahel cocaine route. These groups, which have multiplied in northern Mali, southern Libya and north-western Chad since the Libyan revolution in 2011 and Malian rebellion in 2012, have increasingly shifted their business model towards armed robbery and the hijacking of convoys that transit northern Niger. One such group includes armed men mostly composed of Chadian military defectors, who have used the Djado area (600 km north-east of Agadez) as a base to target convoys trafficking drugs, arms and goods but also artisanal miners traveling to and from gold mines (such as the Tchibarakaten goldfield).[2] The Forces Armées Nigériennes, whose capacity is limited in northern Niger’s difficult terrain, have so far failed to overrun the group.

    Nevertheless, recent cocaine seizures, including a record seizure of 789 kilograms of cocaine in March 2019 in Guinea-Bissau, suggest that the route is still being used, boosted by increasing cocaine production in Colombia in recent years. In fact, trafficking routes seem to have simply pushed outwards to areas bordering Algeria and Chad, avoiding the patrolling and surveillance activity taking place out of the French outpost of Madama.[3] However, this route shift may be temporary. France’s withdrawal from its temporary base in Madama since May (although officially announced in July) has reduced its oversight over the Toummo crossing and Salvador Pass, both key trafficking gateways to Libya. In reaction to France’s withdrawal from Madama, one passeur interviewed by phone boasted: ‘maintenant on opère comme des rois [now we operate like kings]’.[4]

    Niger’s stability relies on a fragile economic, political and social equilibrium that is threatened by the current approaches to achieving Western priorities of reduced terrorism and irregular migration. The EU and its member states successfully addressed the latter by disrupting the business model of passeurs and raising the costs of migration. But while the EU must be commended for initiating projects to compensate for passeurs’ lost income, these have not yielded the results that had been hoped for. Many passeurs accuse the local non-governmental organisation in charge of dispensing funds of having been nepotistic in its fund allocation. Only a fraction of passeurs received EU support, leaving many to be forced back into their old activities.

    If support is not effectively delivered in the long term, current approaches to reducing irregular migration and terrorism may be undermined: poverty and unemployment fuel the very elements that securitisation hopes to tackle.

    Currently, strategies to tackle smuggling and illicit flows have targeted easily-replaceable low-level actors in criminal economies. Yet to have a longer-lasting impact, actors higher up in the value chain would need to be targeted. Criminal culture in Niger is as much a top-down issue as it is a bottom-up one. The participation of the Nigerien political elite in trans-Sahelian illicit economies is strong. Their business interests are as much a catalyst of flows as the widespread poverty and lack of economic opportunities that push so many into criminal endeavours. This involvement is well-known and recognised by international partners behind the scenes, yet it is not prioritised, perhaps for fear of impeding on strategic counterterrorism and anti-irregular migration goals. Meanwhile, the illicit flows of arms, drugs, goods, and people continue to foster instability in the wider region.

    References

    [1] Micallef, M. Horsley R. & Bish, A. (2019) The Human Conveyor Belt Broken – assessing the collapse of the human-smuggling industry in Libya and the central Sahel, The Global Initiative Against Transnational Organized Crime, March 2019.

    [2] Micallef, M., Farrah, R. & Bish, A. (forthcoming) After the Storm, Organized Crime across the Sahel-Sahara following the Libyan Revolution and Malian Rebellion, Global Initiative against Transnational Organized Crime.

    [3] Micallef, M., Farrah, R. & Bish, A. (forthcoming) After the Storm, Organized crime across the Sahel-Sahara following the Libyan Revolution and Malian rebellion, Global Initiative against Transnational Organized Crime.

    [4] Telephone interview with Tebu passeur based in Dirkou, July 2019.

    https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/niger-has-securitisation-stopped-traffickers-23838
    #Niger #trafiquants #frontières #fermeture_des_frontières #smugglers #smuggling #migrations #réseaux_criminels #asile #réfugiés #criminalisation #économie #économie_informelle #passeurs #saisonniers_nigériens #prix #Sebha #Agadez #pauvreté #chômage #travail #Tramadol #drogue #trafic_de_drogue
    ping @karine4 @pascaline

  • Salvini avverte i migranti : « Più partite più morirete, noi non apriamo i porti »

    Il vicepremier e ministro dell’Interno, Matteo Salvini, h parlato a Mattino 5: «Noi stiamo lavorando in Africa. In Italia è finito il business dei trafficanti e di chi non scappa dalla guerra. I porti italiani sono chiusi»
    "I migranti - ha spiegato - si salvano, come ha fatto la guardia costiera libica, e si riportano indietro, così la gente smetterà di pagare gli #scafisti per un viaggio che non ha futuro. Più persone partono più persone muoiono".


    https://www.globalist.it/news/2019/01/22/salvini-avverte-i-migranti-piu-partite-piu-morirete-noi-non-apriamo-i-port

    Je crois que les limites de l’#indécence ont été atteints...
    #Salvini #Matteo_Salvini #Italie #mots #vocabulaire #terminologie #ports #migrations #catégorisation #tri #réfugiés #ports_fermés #business #trafiquants #passeurs #smugglers #smuggling #gardes-côtes_libyens #pull-back #refoulement #push-back #scafista #mourir_en_mer #mort #Méditerranée #décès #business

  • Esclave en #Tunisie : le calvaire d’une migrante ivoirienne séquestrée par une riche famille de #Tunis (1/4)

    Depuis l’été 2018, de plus en plus d’embarcations partent de Tunisie pour traverser la mer #Méditerranée. En face, l’Union européenne grince des dents. Pourtant, Tunis ne réagit pas, ou si peu. Déjà confronté à une crise économique et sociale majeure, le pays n’a pas - encore - fait de la #crise_migratoire une priorité. La Tunisie n’a toujours pas mis en place une politique nationale d’asile et il n’existe presqu’aucune structure d’aide pour les migrants. InfoMigrants s’est rendu sur place pour enquêter et a rencontré Jeanne-d’Arc, une migrante ivoirienne, séquestrée et réduite en #esclavage pendant plusieurs mois par une famille tunisienne aisée. Elle se dit aujourd’hui abandonnée à son sort.

    Son visage exprime une détermination sans faille, la voix est claire, forte. « Non, je ne veux pas témoigner de manière anonyme, filmez-moi, montrez-moi. Je veux parler à visage découvert. Pour dénoncer, il ne faut pas se cacher ». Jeanne-d’Arc, est dotée d’un courage rare. Cette Ivoirienne, à la tête d’un salon de coiffure afro à Tunis, #sans_papiers, refuse l’anonymat tout autant que le mutisme. « Il faut que je raconte ce que j’ai subi il y quelques années pour éviter à d’autres filles de se faire piéger ».

    C’était il y a 5 ans, en décembre 2013, et les souvenirs sont toujours aussi douloureux. Pendant 5 mois, Jeanne-d’Arc a été l’#esclave_domestique d’une famille aisée de Tunis. « L’histoire est si banale…, commence-t-elle. Vous avez un #trafiquant qui promet à votre famille de vous faire passer en Europe et puis qui trahit sa promesse et vous vend à quelqu’un d’autre », résume-t-elle, assise sur le canapé de son salon dont les néons éclairent la pièce d’une lumière blafarde. « Quand nous sommes arrivées à Tunis, j’ai vite compris que quelque chose ne tournait pas rond, il y avait plusieurs jeunes filles comme nous, on nous a emmenées dans un appartement puis réparties dans des familles... Je n’ai rien pu faire. Une fois que vous êtes sortie de votre pays, c’est déjà trop tard, vous avez été vendue ».

    #Passeport_confisqué

    Comme de nombreuses autres Ivoiriennes, Jeanne-d’Arc a été victime de réseaux criminels « bien rôdés » dont l’intention est d’attirer des migrantes d’#Afrique_subsaharienne pour ensuite les « louer » à de riches familles tunisiennes. Pendant 5 mois, Jeanne-d’Arc ne dormira « que quand sa patronne s’endormira », elle nettoiera chaque jour ou presque « les 6 chambres, 4 salons et deux cuisines » du triplex de ses « patrons » qui vivent dans une banlieue chic de la capitale, la « #cité_el_Ghazala ». « La patronne m’a confisqué mon passeport. Évidemment je n’étais pas payée. Jamais. On me donnait l’autorisation de sortir de temps en temps, je pouvais dormir aussi, j’avais plus de chance que certaines. »

    Jeanne d’Arc a raconté son histoire au Forum tunisien des droits économiques et sociaux (FTDES), une association qui vient en aide, entre autres, aux migrants. L’association tente depuis longtemps d’alerter les autorités sur ces réseaux - ivoiriens notamment - de #traite_d’êtres_humains. Des mafias également bien connues de l’organisation internationale des migrations (#OIM). « Comme beaucoup de pays dans le monde, la Tunisie n’est pas épargnée par ce phénomène [de traite] dont les causes sont multiples et profondes », a écrit l’OIM dans un de ces communiqués. Depuis 2012, l’OIM Tunisie a détecté 440 victimes de traite, 86 % viennent de #Côte_d'Ivoire.

    Pour lutter contre ce fléau, la Tunisie a adopté en août 2016 une #loi relative à la prévention et à la lutte contre la traite des personnes - loi qui poursuit et condamne les auteurs de trafics humains (#servitude_domestique, #exploitation_sexuelle…). Ce cadre juridique devrait en théorie permettre aujourd’hui de protéger les victimes – qui osent parler - comme Jeanne-d’Arc. Et pourtant, « l’État ne fait rien », assure-t-elle. « L’OIM non plus… Une loi, c’est une chose, la réalité, c’est autre chose ».

    L’enfer des « #pénalités » imposées aux migrants sans-papiers en Tunisie

    Car Jeanne-d’Arc a essayé de s’en sortir après sa « libération », un jour de janvier 2014, quand sa patronne lui a rendu son passeport et lui a ordonné de partir sur le champ, elle a cru son calvaire terminé. Elle a cru que l’État tunisien allait la protéger.

    « C’est tout le contraire... À peine libérée, un ami m’a parlé de l’existence de ’pénalités’ financières en Tunisie… Il m’a dit que j’allais certainement devoir payer une amende. Je ne connaissais pas ce système. Je ne pensais pas être concernée. J’étais prise au #piège, j’ai été anéantie ».

    La demande d’asile de Jeanne-d’Arc a été rejetée en 2015. Crédit : InfoMigrants

    En Tunisie, selon la loi en vigueur, les étrangers en #situation_irrégulière doivent s’acquitter de « pénalités de dépassement de séjour », sorte de sanctions financières contre les sans papiers. Plus un migrant reste en Tunisie, plus les pénalités s’accumulent. Depuis 2017, cette amende est plafonnée à 1 040 dinars tunisiens (environ 320 euros) par an, précise le FTDES. « C’est une triple peine, en plus d’être en situation irrégulière et victime de la traite, une migrante doit payer une taxe », résume Valentin Bonnefoy, coordinateur du département « Initiative pour une justice migratoire » au FTDES.

    Malgré l’enfer qu’elle vient de vivre, Jeanne d’Arc est confrontée à une nouvelle épreuve. « Mon ami m’a dit : ‘Tu pourras vivre ici, mais tu ne pourras pas partir’... » En effet, les « fraudeurs » ne sont pas autorisés à quitter le sol tunisien sans s’être acquitté de leur dette. « Si j’essaie de sortir du pays, on me réclamera l’argent des pénalités que j’ai commencé à accumuler quand j’étais esclave !… Et ça fait 5 ans que je suis en Tunisie, maintenant, le calcul est vite fait, je n’ai pas assez d’argent. Je suis #bloquée ».

    Asile rejeté

    Ces frais effraient les étrangers de manière générale – qui craignent une accumulation rapide de pénalités hebdomadaires ou mensuelles. « Même les étudiants étrangers qui viennent se scolariser en Tunisie ont peur. Ceux qui veulent rester plus longtemps après leurs études, demander une carte de séjour, doivent parfois payer ces pénalités en attendant une régularisation. C’est environ 20 dinars [6 euros] par semaine, pour des gens sans beaucoup de ressources, c’est compliqué », ajoute Valentin Bonnefoy de FTDES.

    Pour trouver une issue à son impasse administrative et financière, Jeanne-d’Arc a donc déposé en 2015 un dossier de demande d’asile auprès du Haut-commissariat à l’ONU – l’instance chargée d’encadrer les procédures d’asile en Tunisie. Elle pensait que son statut de victime jouerait en sa faveur. « Mais ma demande a été rejetée.La Côte d’Ivoire n’est pas un pays en guerre m’a-t-on expliqué. Pourtant, je ne peux pas y retourner, j’ai des problèmes à cause de mes origines ethniques », dit-elle sans entrer dans les détails. Jeanne d’arc a aujourd’hui épuisé ses recours. « J’ai aussi pensé à dénoncer la famille qui m’a exploitée à la justice, mais à quoi bon... Je suis fatiguée… »

    « J’ai le seul salon afro du quartier »

    Après une longue période d’abattement et de petits boulots, Jeanne-d’Arc a récemment repris du poil de la bête. « Je me suis dit : ‘Ce que tu veux faire en Europe, pourquoi ne pas le faire ici ?’ ». Avec l’aide et le soutien financier d’un ami camerounais, la trentenaire sans papiers a donc ouvert un salon de coiffure afro, dans un quartier populaire de Tunis. « Je paye un loyer, le bailleur se fiche de ma situation administrative, du moment que je lui donne son argent ».

    Les revenus sont modestes mais Jeanne d’Arc défend sa petite entreprise. « Je me suis installée ici, dans un quartier sans migrants, parce que je ne voulais pas de concurrence. Je suis le seul salon afro du secteur, et plus de 90 % de ma clientèle est tunisienne », dit-elle fièrement, en finissant de tresser les nattes rouges et noires d’une jeune fille. Mais les marchandises manquent et ses étals sont ostensiblement vides. « J’ai besoin de produits, de mèches, d’extensions… Mais pour m’approvisionner, il faudrait que je sorte de Tunisie... Je ne sais pas comment je vais faire ».

    Pour les migrants comme Jeanne-d’Arc acculés par les pénalités, la seule solution est souvent la fuite par la mer. « Payer un #passeur pour traverser la Méditerranée peut s’avérer moins cher que de payer cette amende », résume Valentin Bonnefoy de FTDES. Une ironie que souligne Jeanne d’Arc en souriant. « En fait, ce gouvernement nous pousse à frauder, à prendre des dangers… Mais moi, que vais-je faire ? », conclut-elle. « Je ne veux pas aller en #Europe, et je ne peux pas retourner vivre en Côte d’Ivoire. Je suis définitivement prisonnière en Tunisie ».

    http://www.infomigrants.net/fr/post/12875/esclave-en-tunisie-le-calvaire-d-une-migrante-ivoirienne-sequestree-pa

    #UNHCR #demande_d'asile

  • Human #Trafficking-Smuggling_Nexus in Libya

    Probably nowhere more than in Libya have the definitional lines between migrant smuggling and human trafficking become as blurred or contested. Hundreds of thousands of migrants have left Libya’s shores in the hope of a new life in Europe; tens of thousands have died in the process.

    The inhumane conditions migrants face in Libya are well documented. The levels of brutality and exploitation they experience in Libya’s turbulent transitional environment have led to smuggling and trafficking groups being bundled under one catch-all heading by authorities and policymakers, and targeted as the root cause of the migration phenomenon. In many respects, this would appear to conveniently serve the interests of EU leaders and governments, who choose to disguise the anti-migration drive they urgently seek support for behind a policy of cracking down on both trafficking and smuggling rings, which they conflate as a common enemy, and one and the same.

    Given the highly complex context of Libya, this report proposes instead that any intervention to address the so-called migrant crisis should place the human rights of migrants at its centre, as opposed to necessarily demonizing smugglers, who are often the migrants’ gatekeepers to a better existence elsewhere.

    http://globalinitiative.net/human-trafficking-smuggling-nexus-in-libya
    #Libye #trafiquants #smugglers #passeurs #asile #migrations #réfugiés #milices #visualisation

    Pour télécharger le #rapport :
    http://globalinitiative.net/wp-content/uploads/2018/07/Reitano-McCormack-Trafficking-Smuggling-Nexus-in-Libya-July-2018.p

    cc @reka @isskein

  • Le Parole Sono Importanti – Perché prendercela con gli Scafisti è come dare capate ad un albero

    Il primo ricordo che ho del termine “Scafisti” risale agli anni Novanta, quando migliaia di Albanesi attraversavano il canale di Otranto per venire qui a ricostruirsi una vita (in moltissimi ce l’hanno fatta, e la comunità albanese è oggi una delle più integrate in Italia, ma questa è un’altra storia). Anche durante quell’esodo si moriva, e anche allora il nemico pubblico era lo Scafista. Lo Scafista era già senza scrupoli per antonomasia, si parlava di guerra agli Scafisti, di profughi nelle mani degli Scafisti, di benpensanti (il termine buonisti è nuovo di zecca) che finiscono per fare il gioco degli Scafisti.

    Tutto è cambiato, e non è cambiato niente.

    https://russellinsahel.wordpress.com/2017/08/06/le-parole-sono-importanti-perche-prendercela-con-gli-scafi

    #mots #vocabulaire #terminologie #scafisti #trafficanti #passeurs #smugglers #trafiquants #smuggling #Traffickers #migrations #asile #réfugiés #scafista
    #Italie #condamnations #criminalisation #emprisonnement

    • Scafisti per forza

      “I trafficanti ci hanno detto che le ultime due persone a imbarcarsi avrebbero dovuto prendere timone e bussola. Io gli ho detto che non sapevo usare la bussola né guidare la barca”, dice un minorenne africano sospettato dalle autorità italiane di essere uno scafista. “Hanno risposto che non gli interessava. Poi mi hanno picchiato con un tubo”. Secondo i dati del ministero dell’interno, in Italia dal 2013 sono stati arrestati oltre 1.500 scafisti. Ma quanti di questi erano davvero complici dei trafficanti e non semplici migranti obbligati a mettersi al timone? “Se ti viene detto: ‘porta il gommone’ non puoi dire di no, è una questione di vita o di morte”, spiega Amir Sharaf, interprete del Gruppo interforze di contrasto all’immigrazione clandestina.

      Nei tribunali italiani le pene richieste per chi è accusato di aver guidato un gommone di migranti sono spesso molto severe. Per la prima volta però, l’8 settembre 2016, nella sentenza di assoluzione di due presunti scafisti, un giudice di Palermo ha descritto la loro condizione come dettata da uno “stato di necessità”.

      https://www.internazionale.it/video/2018/04/11/scafisti-per-forza

      Quelques citations transcrite à partir de la vidéo

      Carlo Parini, Gruppo interforze contrasto immigrazione clandestina:

      «La figura dello scafista non è la figura di uno veramente appartenente all’organizzazione»

      #Statisiques #chiffres:
      «Secondo i dati del ministero dell’interno, tra agosto 2015 e luglio 2016, sono stati arrestati 793 scafisti. Dal 2013 gli arresti sono stati 1511»
      "Per le autorità italiane non è facile individuare i responsabili del traffico di esseri umani in Libia. E spesso gli scafisti sono solo migranti costretti a condurre i gommoni"

      Amir Sharaf, interprete, Gruppo interforze contrasto immigrazione clandestina

      «Gli scafisti, quelli che arrivano dalla Libia, sono migranti normali, che vengono costretti, ad un certo punto anche picchiati, malmenati, minacciati. Se ti trovi in Libia, nella stessa condizione, e ti viene detto: ’Tocca (?) quel gommone!’ Tu non potresti mai dire no. Perché dire no è un suicidio. Lì, c’è una necessità di non morire»

      Giusy Latino, progetto Open Europe:
      Projet qui s’occupe de loger et conseiller les personnes qui sont identifiées, à leur débarquement, comme «scafisti».
      Giusy dit:

      «Sicuramente passano da qualche giorno a qualche settimana di carcere. Con un’accusa del genere, il passaggio obbligato è il carcere»

      Lamin Sar, presunto scafista:

      «Mi chiamo Lamin Sar, vengo dal Senegal, ho 18 anni. Quando sono arrivato in Libia ho pagato con i miei soldi. In un primo momento un libico guidava la barca. Dopo aver chiamato i soccorsi, ha detto: ’Ritorno in Libia.’ Io non sapevo guidare la barca, però in quel momento tutti gli altri si sono vergognati e per paura non volevano fare niente. Sono stato io a correre un rischio per aiutare gli altri. Però avevo paura come gli altri. Quando siamo arrivati in Italia mi hanno portato subito in prigione. Il mio primo giorno in Italia ho dormito in prigione. Dopo qualche giorno mi hanno detto di andare in un ufficio e un ragazzo senegalese che parla italiano meglio di me mi ha detto: ’Loro dicono che sei tu che guidavi la barca.’ In quel momento ho capito perché ero in prigione».

      «L’8 settembre 2016 il giudice di palermo Omar Modica ha assolto due presunti scafisti, accusati anche di omicidio. Nella traversata erano morte 12 persone. L’accusa aveva chiesto l’ergastolo. Nella sentenza di assoluzione si parla per la prima volta di #stato_di_necessità, affermando che gli accusati erano stati costretti a guidare il gommone»
      #état_de_nécessité

      Gigi Omar Modica, giudice di Palermo:

      Cosa si chiede a questi soggetti? Gli si chiede: chi era alla guida del mezzo e chi portava la bussola. Punto. Si scava? A volte credo di no. A ciò va aggiunto che chi parla dopo un po’ ha il permesso di soggiorno per motivi di giustizia, perché testimone di un processo. Queste cose non si sanno? Gli immigrati non lo sanno? Lo fanno spontaneamente? No, ve lo dico io. Questo per capire come non siamo di fronte al classico testimone con la pancia piena, tranquillo, beato, che va lì e dice tutto. Siamo di fronte a soggetti che hanno paura a parlare e che spontaneamente non ti dicono nulla. Se poi noi ce la prendiamo con questi morti di fame che materialmente vengono catturati, che vengono colti alla guida di questi natanti, non compiamo un atto di giustizia. Quindi le pene che vengono richieste, pene stellari, mi sembra tutto profondamente ingiusto."

      #justice #injustice

      Cinzia Pecoraro, avvocato:

      «Spesso i trafficanti utilizzano come scafisti dei minori. Nel caso di un ragazzo che sto seguendo, che è stato arrestato come presunto scafista, ha dichiarato la sua data di nascita, settembre 1999, però in Italia vi è un metodo utilizzato per stabilire l’età anagrafica di un soggetto: radiografia del polso. E’ stata effettuata la radiografia del posto di Joof Alfusainey ed è risultato avere più di 18 anni. Joof è stato detenuto per quasi un anno presso il carcere di Palermo, quindi tra soggetti maggiorenni. Joof all’epoca aveva 15 anni»

      Joof Alfusainey, presunto scafista

      «Mi chiamo Alfusainey Joof, vengo dal Gambia et ho 17 anni. Sono arrivato in Italia l’11 giugno 2016, un sabato. Ho attraversato Senegal, Mali, Burkina Faso, Nigeria. Poi sono arrivato in Libia. Questa era la mia tessera di studente quando vivevo in Gambia. Perché in Gambia, se sei minorenne, non puoi avere documenti come il passaporto.»

      –-> après recours de l’avocate, Joof a été considéré mineur.

      La suite du témoignage de Joof:

      «Arrivati in Italia, mi hanno fatto scendere dalla nave soccorso per primo caricandomi su un’ambulanza e portandomi in ospedale. Arrivato in ospedale ho visto la polizia, a quel punto ho scoperto di essere accusato di aver guidato la barca. Ho provato molte volte a dirgli che non ero stato io a guidare la barca, ma a loro non interessava. Non mi hanno neanche dato la possibilità di parlare, anche se era un mio diritto. Ma a loro non interessava e continuavano a dire che ero stato io. Mi stavano accusando senza prove. Non avevano nulla, nessuna foto, nessun video che mi incriminassero. Solo parole.»

      Cinzia Pecoraro, avvocato:

      «Una risposta all’opinione pubblica, la si deve dare. Quindi sicuramente si sceglie la risposta dei numeri. Quindi: tot sbarchi, tot arresti, tot condanne. E già è una risposta all’opinione pubblica. E quindi i numeri adesso sono altissimi, le aule di giustizia traboccano di questi procedimenti, che spesso però colpiscono a mio parere le persone sbagliate.»

      La suite du témoignage de Joof:

      «Alcune persone in Africa, soprattutto in Libia, sanno che una volta in Italia, chi accusa qualcuno di aver guidato la barca ottiene un permesso di soggiorno. Anche io avrei potuto indicare qualcuno, e dire che era stato lui a guidare la barca, e così avrei ottenuto il permesso di soggiorno. Ma cosa avrei dovuto fare? Io non volevo accusare nessuno. Non volevo mettere un’altra persone nei guai.»

      #guerre_entre_pauvres #chantage

      #test_osseux #âge #mineur #majeur #âge_osseux #criminalisation

    • Why is the Syracuse man who saved thousands of migrants out of a job?

      After more than a decade of heading Sicily’s taskforce on illegal immigration, #Carlo_Parini has been told his role will end.

      The history of the migrant crisis in the central Mediterranean, the story of its dead and shipwrecked, is all contained in a messy desk overflowing with files and folders in a tiny room in the prosecutor’s office in Syracuse.

      Somewhere among the heaps of papers is Commissario Carlo Parini, head of an illegal-immigration taskforce. Parini is pensive. Late last month it was announced that the taskforce’s office in the historic south-eastern Sicilian city was closing, with an abrupt explanation: “Arrivals from Libya in Sicily have decreased by 80%, and this office is no longer needed.”

      From 2006 until earlier this month, the 56-year-old Parini – who at 6ft 5in towers over most people – headed the Interforce Group on Illegal Immigration in Sicily (Gicic). In that time nearly 200,000 people arrived in the island. Their stories are all catalogued in the dusty folders that cover his office. Over the past few days they have been transferred to cardboard boxes, their final destination the basement.

      “They say the arrivals are over,” says Parini. “And yet this year we intercepted 12 sailing boats transporting 900 migrants from Turkey. We’ve followed these investigations for many years. We had almost arrived at the heart of the criminal organisation. It’s a shame to stop now.”

      Looking around the office in search of something he fears has been lost, he suddenly exclaims. “Here it is! Finally! I’d been looking for this for days. Read this: it’s the first migrant case I worked on.”

      He remembers it as if it were yesterday. Thirty-five shivering Sri Lankans arrived in Italy from Egypt aboard a wooden boat one winter evening in 1999, when Parini was still a junior anti-Mafia police officer. As he waited for their arrival at the port of Riposto, just along the coast from Syracuse, he had no idea that the moment would change his life and set the course for the next 20 years of his career.

      The following day the newspapers in Italy reported confidently that the arrivals were “an isolated case”. No one – not the police, and certainly not the press – could have predicted then what would happen over the coming years, when Europe would be forced to come to grips with the most intense migrant and refugee crisis since the second world war. That arrival in the port of Riposto was a mere hint of what was to come.

      In 2000, 2,782 migrants crossed the Mediterranean to reach Sicily; 18,225 came in 2002. In 2011 it was 57,181. Between 2006 and last November, Parini handled 1,084 arrivals, investigated the deaths of more than 2,000 migrants, and arrested 1,081 people accused of human trafficking. This last total earned him the attention of the international press, who lionised him. It even earned him a nickname: “Smuggler Hunter”.

      “We worked day and night, relentlessly,” Parini says. “We’d spend entire days at the port. One of my colleagues had a heart attack. He had had no sleep for three consecutive days. And then that cursed day came in October 2013 that changed the migrant crisis for ever. That day that changed us all.”

      The mass drowning off Lampedusa on 3 October 2013 marked a turning point. That night 368 people perished in the sea in an attempt to reach Sicily. Until then European governments had largely watched from their capitals. Now they agreed that it was time to act. On 18 October, Italy launched the Mare Nostrum operation, a military intervention for humanitarian ends intended to prevent such tragedies. Parini became one of the commanders of the mission, and aboard the military ship San Giorgio he began patrolling the waters of the central Mediterranean and rescuing migrant boats in distress.

      “We saved thousands of lives,” Parini says. “And at the same time we attempted to investigate the people involved in the trafficking business, who were exploiting migrants and getting rich in the process.”

      Italian prosecutors convinced their EU counterparts to join the crusade on the premise of a somewhat romantic principle: that the same strategy employed to capture mafiosi could be used to combat people-smugglers. Sicilian prosecutors suspected that among smugglers there was a power structure regulated by an honour code similar to the Cosa Nostra’s. Wire taps – such a vital weapon in the fight against the Mafia – also came in handy. Sitting behind their desks, the prosecutors eavesdropped on hundreds of people in Africa.

      But without credible intelligence the hunt from a distance against human traffickers was deeply frustrating. “We arrested thousands of boat drivers,” says Parini. “That was our duty. But the real smugglers were in Libya. And we didn’t have men in Libya.’’

      While the prosecutors continued their hunt, in Europe the presence of migrants and refugees led to protests, a rise in rightwing populism, and authoritarian and repressive policies towards asylum seekers.

      Mare Nostrum was superseded by Operation Triton, which was intended to patrol the Mediterranean more than save lives. In 2015 non-governmental ships began rescue operations in Libyan waters, saving tens of thousands of lives, while the Italian authorities began attacking aid groups, confiscating vessels without just cause.

      “Personally, in my work I have never had problems with NGOs,” says Parini. “In fact, some of them were very efficient.”

      Migrant arrivals started to nosedive in February 2017 when, in an attempt to stem the flow, Marco Minniti, the former interior minister from the centre-left Democratic party, struck a deal with the Libyan coastguard that allowed it to return migrants and refugees to a country where aid agencies say they suffer torture and abuse. “I have no knowledge of what is going on in Libya,” says Parini. “But given what I’ve been told by the thousands of migrants that I’ve questioned, it must be hell. Injuries and signs of torture on their bodies are proof. Many women were raped in Libya, and those who gave birth in Sicily abandoned their children because they were the result of physical violence, a violence that they wanted to forget for ever.”

      Amnesty International estimates that about 20,000 people were intercepted by the coastguard in 2017 and taken back to Libya.

      This June a new government took power in Rome in the form of an alliance between the populist Five Star Movement and the rightwing League. The new interior minister, Matteo Salvini, is noted for his anti-immigrant policies and his first move was to close Italy’s ports to the rescue boats. Parini prefers not to comment on Salvini’s tactics, and perhaps his silence speaks louder than words.

      Today NGO rescue boats have almost disappeared from the central Mediterranean. People seeking asylum are still risking the crossing but, without the rescue boats, shipwrecks are likely to rise dramatically. The death toll has fallen in the past year, but the number of those drowning as a proportion of arrivals has risen sharply in the past few months, with the possibility of dying during the crossing now three times higher.

      Parini left his office in mid-December. After heading one of the most important taskforces charged with fighting illegal immigration in Italy, he is now working for the customs bureau. The history of the migrant crisis, now stored in a basement in Syracuse, will also be indelibly lodged in the memory of this man: a man who will never forget the 167 bodies he was forced to look in the face.

      “I will take those faces to my grave, and maybe even beyond,” says Parini.

  • Molti esperti hanno espresso il timore che i fondi stanziati dall’Italia e dall’Unione europea per finanziare la guardia costiera libica finiscano indirettamente nelle mani dei trafficanti. Un’inchiesta di Nancy Porsia per Trt World, infatti, ha mostrato che il capo della guardia costiera a Zawiya, Abdurahman Milad, è una delle figure chiave del traffico di esseri umani nella regione.

    Milad è accusato di avere legami con le milizie di Tripoli che portano i migranti dal Sahara alla costa, prima che siano imbarcati verso l’Italia. “Le mafie si sono infiltrate, ricattano molte delle unità di polizia, delle guardie costiere delle città e dei villaggi libici”, aveva detto una fonte della sicurezza italiana all’inviato del quotidiano italiano Repubblica in Libia Vincenzo Nigro.

    http://www.internazionale.it/notizie/annalisa-camilli/2017/04/29/italia-libia-migranti-guardia-costiera
    #migranti #migration #asile #Italie

    • Il risultato degli accordi anti-migranti: aumentati i prezzi dei viaggi della speranza

      L’accordo tra Europa e Italia da una parte e Niger dall’altra per bloccare il flusso dei migranti verso la Libia e quindi verso le nostre coste ha ottenuto risultati miseri. O meglio un paio di risultati li ha avuti: aumentare il prezzo dei trasporti – e quindi i guadagni dei trafficanti di uomini – e aumentare a dismisura i disagi e i rischi dei disperati che cercano in tutti i modi di attraversare il Mediterraneo. Insomma le misure adottate non scoraggiano chi vuole partire. molti di loro muoiono ma non muore la loro speranza di una vita migliore.

      http://www.africa-express.info/2017/02/03/il-risultato-dellaccordo-con-il-niger-sui-migranti-aumentati-prezzi

    • Migranti: da vertice al Viminale con ministri Libia, Niger, Ciad centri accoglienza in paesi transito

      La strategia del Viminale si fonda su due pilastri: rafforzare la guardia costiera libica, mettendola in condizioni di operare per fermare i barconi – e in quest’ottica va la consegna entro giugno di 10 motovedette – e ristabilire il controllo sui cinquemila chilometri di confine sud che da anni sono in mano alle organizzazioni di trafficanti di esseri umani.

      Su quest’ultimo fronte il primo passo è stato il patto siglato il 2 aprile scorso sempre al Viminale con le principali tribù del Fezzan. Oggi, con la firma sulla dichiarazione da parte di Minniti, del ministro libico Aref Khoja e dei colleghi di Niger e Ciad, Mohamed Bazoum e Ahmat Mahamat Bachir e’stato fatto un altro passo per rafforzare i confini formando gli agenti e creando una “rete di contatto” tra tutte le forze di
      polizia della zona.

      http://www.onuitalia.com/2017/05/21/migranti-da-vertice-al-viminale-con-ministri-libia-niger-ciad-centri-acco

    • Sempre più a Sud: Minniti ora vuole i Cie in Niger e in Ciad

      La foto ricordo scattata domenica scorsa al Viminale mostra una «storica» stretta di mano a quattro tra il nostro ministro dell’Interno Marco Minniti e i suoi omologhi di Ciad, Libia e Niger, dopo la firma di una dichiarazione congiunta per istituire una «cabina di regia» comune allo scopo di sigillare i confini a sud e evitare la partenza di migranti verso l’Italia e l’Europa.

      La dichiarazione impegna l’Italia a «sostenere la costruzione e la gestione, conformemente a strandard umanitari internazionali, di centri di accoglienza per migranti irregolari in Niger e in Ciad». Chi controlli la rispondenza di questi centri «di accoglienza» a standard di umanità internazionalmente riconosciuti non è chiaro, né chi li debba gestire e con quali fondi. E neanche è dato sapere in quale modo si intenda «promuovere lo sviluppo di una economia legale alternativa a quella legata ai traffici illeciti in particolare al traffico di esseri umani». Ma i quattro ministri sono immortalati con ampi sorrisi, che dovrebbero migliorare la «sicurezza percepita» a cui tiene tanto il titolare del Viminale.

      Per chi non si accontenta di sorrisi e annunci, la situazione in Libia e tra una frontiera e l’altra nel Sahara, lungo la rotta dei migranti, è sempre più incandescente. A Zawiya, città costiera dove è florido il business dei barconi, è esplosa ieri un’autobomba.

      Nel Fezzan il bilancio del truculento assalto della settimana scorsa alla base aerea di Brak al Shati, controllata dalle milizie del generale Haftar, è salito a 141 morti, tra i quali 15 civili. E si scopre – attraverso la Commissione nazionale diritti umani della Libia – che al seguito della Terza Forza, negli squadroni della città stato di Misurata che costituiscono l’ossatura delle milizie fedeli al governo Serraj di Tripoli, quello con cui l’Italia sta stringendo accordi per fermare i migranti, c’erano anche «foreign fighters provenienti dal Ciad e qaedisti delle Brigate di difesa di Bengasi».

      Serraj, per far vedere di non aver gradito l’assalto che ha violato la tregua con Haftar, ha sospeso il ministro della Difesa Al Barghouthi e il capo della Terza Forza, Jamal al Treiki, ma si tratta di un pro forma che neanche il suo ministro ha preso sul serio, infatti ha continuato a incontrare i capi misuratini per verificare «la presenza di cellule dell’ Isis» sopravvissute all’assedio di Sirte. Gli Usa intendono mantenere una presenza militare in Libia, ha detto il generale Waldhauser, proprio per combattere le cellule dell’Isis che stanno tentando di riorganizzarsi.

      Intanto l’Alto commissario Onu per i rifugiati Filippo Grandi, per la prima volta in visita ai centri di detenzione per migranti in Libia in queste ore, si è detto «scioccato» dalle condizioni in cui si trovano bambini, donne e uomini «che non dovrebbero sopportare tali difficoltà». Grandi fa presente che oltre ai profughi africani (1,1 milioni) in Libia ci sono 300 mila sfollati interni a causa del conflitto che dal 2011 non è mai finito.

      https://ilmanifesto.it/sempre-piu-a-sud-minniti-ora-vuole-i-cie-in-niger-e-in-ciad

  • Clingendael report : EU external migration policies misaligned with reality

    On the February 1, Dutch think tank #Clingendael released a report on the relationship between irregular migration and conflict and stability in Mali, Niger and Libya. The report’s main finding is that current EU policies are misaligned with the reality of trans-Saharan migration.

    The report argues that European external migration policies fail to take into account the diverse socio-political dynamics of intra-African migration. EU policies focus on stemming migration flows through securitised measures as a means to stop human smuggling. However, it disregards local actors such as transportation companies facilitating irregular movements, local security forces gaining income by bribery and road taxes, political elites facilitating irregular migration in exchange for money and local population offering to sell food and lodging to earn a living. Ignoring such essential local dynamics prevents the establishment of effective migration management policies. A worrying mistake given the EU’s increased focus on the external dimension of migration in the context of the Partnership Framework.

    The report encourages the EU to focus on peace building processes and invest in both conflict- and politically sensitive state building as well as regional cooperation.

    http://www.ecre.org/clingendael-report-eu-external-migration-policies-misaligned-with-reality
    #rapport #externalisation #asile #migrations #réfugiés #Libye #Sahel #Gao #Agadez #Niger #routes_migratoires #Mali #Tamanrasset #Niamey #Sebba #Arlit #Séguédine #Algérie #Murzuq #Ghadames #Ghat #Tripoli #EU #UE #Union_européenne #détention_administrative #rétention #passeurs #trafiquants #trafic_d'êtres_humains #gardes-côtes

    Lien vers le rapport :


    https://www.clingendael.nl/sites/default/files/turning_the_tide.pdf

    cc @isskein @reka

    • Our analyses from January: externalisation of migration control

      We pay but others do it. This first and foremost has been the response of the European Union
      to the so
      –called “refugee crisis”. Under the title of the
      European Agenda on Migration
      , in May
      2015 the European Commission proposed a series of measures to stop what
      it called “the
      human misery created by those who exploit migrants.” This document established as a priority
      cooperation with third countries to jointly address the causes of emigration. In practice, this
      cooperation has been limited to promoti
      ng the readmission of irregular migrants, border control
      and the reception of asylum
      –seekers and refugees in third countries. The EU’s agreements
      with Turkey (March 2016) and more recently with Niger, Nigeria, Senegal, Mali and Ethiopia
      (June 2016) represent the implementation of this approach.

      http://www.statewatch.org/analyses/no-305-viewpoint-migration-more-externalisation.pdf

    • Ecco l’accordo con la Libia sui migranti…

      Praticamente si chiede di far soffrire, di far subire violazioni, magari anche di uccidere, o di estorcere soldi ai migranti lontano dai nostri confini. Lontano dalle macchine fotografiche dei giornalisti, lontano da chi può raccontare cosa succede.


      http://www.africarivista.it/ecco-laccordo-con-la-libia-sui-migranti/111726

    • Profughi: un piano studiato per tenerli lontano, ad ogni costo

      Ora è operativo. Dal pomeriggio del 2 febbraio, con la firma congiunta del premier Gentiloni e del presidente del Governo di Alleanza di Tripoli, Fayez Serraj, è entrato in vigore a tutti gli effetti il piano sull’immigrazione concordato tra Italia e Libia dal ministro Minniti all’inizio di gennaio. Lo hanno chiamato memorandum sui migranti. Gentiloni lo ha presentato come “una svolta nella lotta al traffico degli esseri umani”, sollecitando il sostegno politico e finanziario dell’Unione Europea. In realtà è un piano di respingimento e deportazione, da attuare in più fasi e in modi diversi, a seconda delle condizioni e delle circostanze: l’ultima di tutta una serie di barriere messe su da Roma e da Bruxelles, negli ultimi dieci anni, per esternalizzare le frontiere della Fortezza Europa, spostandole il più a sud possibile e affidandone la sorveglianza a Stati “terzi” come, appunto, la Libia. Sorveglianza remunerata con milioni di euro, ben inteso: milioni per affidare ad altri il lavoro sporco di bloccare i profughi, non importa come, prima che raggiungano il Mediterraneo e, ancora, di “riprendersi” quelli respinti dall’Europa, con l’obiettivo, poi, di convincerli in qualche modo a ritornare “volontariamente” nel paese d’origine. A prescindere se il “paese d’origine” è sconvolto da guerre, terrorismo, dittature e persecuzioni, miseria e fame endemiche, carestia.

      http://habeshia.blogspot.ch/2017/02/profughi-un-piano-studiato-per-tenerli.html

    • La « forteresse » Europe commence en #Afrique_du_nord

      Le 3 février 2017, les représentants de l’Union européenne réunis à Malte se sont séparés après avoir entériné un plan d’action destiné à freiner – et éventuellement arrêter - les arrivées de réfugiés en provenance de #Libye principalement. Face à une situation incontrôlable dans ce pays, les dirigeants européens se tournent de plus en plus vers les pays voisins, la #Tunisie, l’#Egypte et l’#Algérie afin de les pousser à respecter ou intégrer les dispositifs de gestion des flux migratoires qu’ils ont mis en place. La chancelière allemande Angela Merkel a fait personnellement le déplacement pour convaincre les responsables de ces Etats à coopérer moyennant de substantielles aides matérielles et financières. Si les rencontres n’ont pas abouti aux résultats escomptés, force est de constater que les pratiques de contrôle et de répression de ces pays se professionnalisent et s’adaptent progressivement aux exigences de leurs partenaires du Nord.

      http://www.algeria-watch.org/fr/article/analyse/mellah_forteresse.htm

    • L’Afrique du Nord, dernier recours de l’Europe ?

      Depuis que l’accord controversé, conclu entre la Turquie et l’Union européenne (UE) en mars 2016, a largement réussi à empêcher les demandeurs d’asile d’atteindre l’Europe par la Méditerranée orientale, les dirigeants européens se sont tournés vers la partie centrale de cette mer. Avec les élections qui approchent dans plusieurs États de l’Union et les craintes suscitées par la perspective de voir de nouvelles vagues de migrants entrer en Europe au printemps, les responsables politiques tentent de trouver des solutions rapides pour montrer qu’ils sont capables de gérer la crise.

      Au-delà de ce contexte électorale, l’UE dans son ensemble est pressée de formuler, et pas seulement des solutions d’urgence, une vision stratégique de long à même de relever le défi que présente la question migratoire. Et pour trouver de telles solutions, elle est contrainte de se tourner vers les pays nord-africains.

      http://www.alternatives-economiques.fr/lafrique-nord-dernier-recours-de-leurope/00077792

      En anglais : carnegieendowment.org/sada/68097

    • Migration monitoring in the Mediterranean region – Libyan military to be linked up to European surveillance systems

      The Mediterranean countries of the EU are establishing a network to facilitate communication between armed forces and the border police. Libya, Egypt, Algeria and Tunisia are also set to take part. This would make them, through the back door, part of the surveillance system #EUROSUR. Refugees could then be seized on the open seas before being returned to Libya.

      https://digit.site36.net/2017/04/25/migration-monitoring-in-the-mediterranean-region-libyan-military-to-be

    • Security and migration amongst EU priorities for cooperation with “modern, democratic” Egypt

      Joint priorities adopted today by the EU and Egypt for 2017 to 2020 include a commitment from the EU to “support the Egyptian government’s efforts to strengthen its migration governance framework, including elements of legislative reform and strategies for migration management,” and to “support Egypt’s efforts to prevent and combat irregular migration, trafficking and smuggling of human beings, including identifying and assisting victims of trafficking.”

      http://www.statewatch.org/news/2017/jul/eu-egypt-priorities.htm

    • Niger : #ingérence et #néocolonialisme, au nom du #Développement

      Le 10 octobre 2016, la chancelière allemande Angela Merkel était reçue en grande pompe à Niamey. Elle ne faisait pas mystère que ses deux préoccupations étaient la « #sécurité » et « l’#immigration ». Il s’agissait de mettre en œuvre des « recommandations » répétées à l’envie : le Niger, « pays de transit », devait être accompagné afin de jouer le rôle de filtre migratoire. Des programmes de « renforcement des institutions locales » feraient advenir cette grande césure entre les « réfugiés » à protéger sur place et les « migrants » à « reconduire » vers leurs « pays d’origine ». Autrement dit, comme l’a récemment exprimé le président français, le Niger et ses voisins (Libye, Tchad…) devaient accepter de se couvrir de camps et de jouer le rôle de #hotspot (voir Note #4). Le #néo-colonialisme d’une telle vision des rapports euro-africains a poussé les très conciliantes autorités nigériennes à rappeler que les intérêts de leurs ressortissants et la souveraineté nationale devaient être l’objet de plus d’égards. Ces négociations inter-gouvernementales sont toujours en cours alors qu’en Libye elles ont été directement menées avec des chefs de milices, prêts à jouer les geôliers à condition de pouvoir capter les fonds qui se déversent sur les gardes-frontières de l’Union européenne (UE).

      http://www.migreurop.org/article2840.html

    • Niger : #Niamey, capitale cernée par les crises

      Exode de migrants, conflits ethniques exacerbés par une guerre contre le jihad et une montée de l’islam politique… Dans la ville, devenue réceptacle des problèmes actuels du Sahel, la tension est omniprésente.

      Ce sont des victimes invisibles. Emportées par un cycle sans fin de représailles dans un coin reculé du monde. La scène de la tuerie est pourtant terrifiante : « Les assaillants sont arrivés vers 17 heures et se sont rendus directement à la mosquée où ils ont tué à coup de mitraillettes automatiques une dizaine de personnes. Puis ils se sont dirigés à l’intérieur du campement nomade où ils ont tiré sur des personnes qu’ils ont croisées », affirme un communiqué officiel relayé par la presse au Niger. Bilan ? 17 morts, vendredi à Inates, un bled perdu dans le sud de ce pays sahélien et proche de la frontière avec le Mali. A part les autorités du pays, aucun témoin extérieur, journaliste ou humanitaire, n’a pu se rendre seul sur place. Car Inates se trouve dans cette nouvelle zone de tous les périls, située au nord de Niamey, la capitale. Le 11 avril, Joerg Lang, un humanitaire allemand, pensait pouvoir s’y rendre incognito en dissimulant son visage sous un keffieh, foulard traditionnel, et en circulant à bord d’une voiture banalisée. Il a été enlevé sur la route du retour, non loin d’Inates.

      L’attaque du 19 mai n’est que la dernière d’une longue série, qui oppose depuis peu des nomades, touaregs et peuls, de chaque côté de la frontière qui sépare le Niger et le Mali. « Il y a trois semaines, de jeunes Peuls, venus du Niger, ont exécuté 18 Touaregs de l’autre côté de la frontière, au Mali. Cette fois-ci, les assaillants voulaient en tuer autant chez les Peuls, en représailles. Sauf que l’une des victimes a finalement survécu », indique Mohamed Bazoum, ministre de l’Intérieur du Niger. Les forces de sécurité sont pourtant loin d’être absentes dans ce pays, qui est même devenu le nouveau hub militaire régional d’une coalition internationale en lutte contre les forces jihadistes au Sahel. A Niamey, la capitale, située à seulement 250 kilomètres d’Inates, des gaillards musclés aux cheveux très courts ont remplacé les touristes dans les hôtels, qui ne désemplissent pas. On y croise des Français, des Américains, et même désormais des Allemands.
      Théories complotistes

      C’est au Mali, pays gangrené depuis plusieurs années par les mouvements jihadistes, et désormais aussi au Burkina Faso voisin, que se joue l’essentiel de cette guerre asymétrique. Mais c’est bien au Niger que s’implantent de plus en plus les bases arrières étrangères engagées dans cette bataille du Sahel. Pourtant le Niger n’a jamais connu de mouvement jihadiste autochtone. Son point faible, ce sont justement ses frontières. Et notamment celles avec le Mali et le Burkina Faso, dans ce petit triangle où se trouve aussi Niamey. Une capitale en apparence assoupie, particulièrement en ce mois de mai où la température frôle souvent les 45 °C. Mais le calme de la ville est trompeur. Tous les accès extérieurs sont verrouillés par des barrages, les fameuses « ficelles ». Et les entrées et les sorties sont fortement contrôlées. Les dunes orange qu’on aperçoit parfois au loin évoquent ainsi un monde potentiellement hostile, qui donne à la capitale nigérienne un air de forteresse isolée guettant l’ennemi, comme dans le roman de l’Italien Dino Buzzati, le Désert des Tartares. Mais qui est exactement l’ennemi ?

      A Niamey, nombreux sont ceux qui s’interrogent : « Les Américains ont construit une immense base à Agadez [à 950 kilomètres au nord-est de Niamey, ndlr]. Les Français et les Allemands renforcent leurs installations près de l’aéroport. Visiblement, ils sont là pour rester longtemps. Mais dans quel but ? Est-ce seulement pour notre sécurité ? » s’inquiète Abdoulaye, un jeune entrepreneur de la capitale. Les intentions « réelles » des Occidentaux au Niger font l’objet de nombreuses conversations et les théories complotistes ne manquent pas. Pourtant, même dans ce cas de la tuerie d’Inates, c’est bien l’influence des jihadistes qui est aussi en jeu. « Les Peuls se sont fait piéger. Depuis quelques années, la pression démographique et la raréfaction des terres pastorales les ont poussés vers le nord du Mali. Mais en s’y implantant, ils ont dû choisir leur camp dans un conflit purement malien. Et se sont laissé instrumentaliser par les forces jihadistes de l’Etat islamique en Afrique de l’Ouest alors qu’une partie des Touaregs soutient désormais la coalition internationale », affirme le général Abou Tarka qui dirige la Haute Autorité pour la consolidation de la paix, un organisme né lors des rébellions touaregs des années 90 et qui tente aujourd’hui de désamorcer cette bombe communautariste parée des oripeaux jihadistes. « C’est une guerre de pauvres, de populations qui se sentent souvent abandonnées », confie le général.

      Le conflit dans le sud-ouest est récent. Mais dans le sud-est du pays, une autre zone dessine depuis plus longtemps un front sensible avec la présence de la secte Boko Haram qui a infiltré la région de Diffa, en provenance du Nigeria voisin. Il existe d’autres frontières sensibles dans ce vaste « pays de sable, en apparence immobile », comme le décrit le père Mauro, un prêtre italien très investi aux côtés des migrants. Les Nigériens immigrent peu, et encore moins vers l’Europe. Mais depuis longtemps, le pays est une zone de passage pour tous ceux qui veulent tenter la traversée de la Méditerranée à partir des côtes libyennes. Depuis 2016, les Européens ont fait pression sur le pouvoir en place pour restreindre ces mouvements. En criminalisant les passeurs, mais aussi en faisant de Niamey et d’Agadez des « hot spots » censés dissuader les traversées clandestines, grâce à l’espoir d’un passage légal vers l’Europe, du moins pour ceux qui peuvent prétendre au statut de réfugié. Ces derniers mois, des charters ont même ramené au Niger des candidats à l’asile en Europe, jusqu’alors détenus dans les geôles libyennes. « Mais aujourd’hui ces rotations sont quasiment à l’arrêt car les autorités se sont rendu compte que les Européens, et notamment les Français, n’acceptaient les réfugiés qu’au compte-gouttes, malgré leurs promesses », explique un responsable du Haut Commissariat aux réfugiés (HCR) à Niamey.

      Cette nouvelle stratégie impose aussi un tri entre « bons » et « mauvais » migrants. Dans une rue ombragée du centre de la capitale, des hommes prennent l’air, assis devant une maison gardée par des vigiles. Les visages sont maussades, les regards fuyants, et les gardiens ont vite fait d’éconduire les visiteurs étrangers qui tentent de parler à ces migrants rapatriés de Libye et qui ont, eux, accepté de rentrer dans leur pays. Ceux qui refusent ce retour « volontaire » se dispersent dans la ville, formant une cohorte invisible qui échappe aux radars. « En réalité, les passages de migrants ne se sont pas arrêtés. Il y a de nouvelles routes, plus dangereuses », confie un officiel nigérien. En revanche, la création des hot spots attire désormais d’autres candidats à l’exil. Début mai, des centaines de Soudanais ont ainsi envahi les rues d’Agadez dans l’espoir d’obtenir le sésame miraculeux de l’asile en Europe. Mais, excédées par ces arrivées massives, les autorités de la ville ont envoyé de force, le 12 mai, 145 d’entre eux à la frontière libyenne, en plein désert. Depuis, leur sort est inconnu.
      Arrestations

      En privé, les responsables nigériens se moquent parfois de l’autosatisfaction des Européens sur les mirages de cette nouvelle politique migratoire. Et fustigent les faux-semblants de l’aide, en principe massive, accordée au pays : « On nous dit que le Niger est désormais le pays d’Afrique le plus aidé par l’Europe. Mais ce sont les ONG étrangères qui captent toute cette aide », peste un haut responsable. Ce n’est pas le seul mirage financier dans l’un des pays les plus pauvres de la planète. En décembre, un grand raout organisé à Paris avait permis en principe au Niger d’engranger 23 milliards de dollars (19 milliards d’euros) de promesses d’investissements. Six mois plus tard, les promesses sont restées… des promesses : « La concrétisation des projets est effectivement assez lente », reconnaît, un peu gênée, la responsable d’une agence onusienne. Reste qu’en raison des enjeux sécuritaires et migratoires, le Niger est bien devenu « le chouchou de la communauté internationale », comme le rappelle Issa Garba, porte-parole local de l’association Tournons la page.

      Au début de l’année, la société civile avait organisé des manifestations dans les rues de Niamey pour protester contre une loi de finances qui instaure de nouvelles taxes et augmente les prix de l’électricité et de l’eau. Mais à partir du 25 mars, le mouvement a été brutalement décapité avec l’arrestation d’une vingtaine de leaders de la société civile. « Ils ne représentent rien, ils veulent juste créer le chaos et susciter un coup d’Etat militaire », balaye Mohamed Bazoum, le ministre de l’Intérieur. « Tout ce que nous demandons, c’est une bonne gouvernance et l’abandon de lois qui frappent les plus pauvres », rétorque Issa Garba. Reste que face aux arrestations, la communauté internationale se tait. Et la rue, elle, a compris le message : une journée ville morte décrétée par la société civile le 14 mai a été un échec et les manifestations n’ont pas repris. « Je soutiens ces leaders, mais je n’ai aucune envie de me retrouver moi aussi en prison », résume Mokhtar, un jeune homme très pieux. Dans la base arrière des Occidentaux en guerre contre le jihadisme au Sahel, d’autres influences s’imposent pourtant silencieusement. « Au Niger, l’islam gagne du terrain », souligne un professeur d’université, citant le nombre exponentiel de femmes voilées et de salles de prières dans les facs. « Le jour où les imams nous demanderont de sortir dans la rue, là, j’obéirais. Car l’islam est dans nos cœurs », constate de son côté Mokhtar.


      http://www.liberation.fr/planete/2018/05/23/niger-niamey-capitale-cernee-par-les-crises_1652220

      Signalé par Alizée Dauchy sur la liste Migreurop, avec ce commentaire :

      un article rédigé par Maria Malagardis publié dans Libération le 23 mai :
      http://www.liberation.fr/planete/2018/05/23/niger-niamey-capitale-cernee-par-les-crises_1652220

      et à écouter sur France Culture un podcast avec Maria Malagardis en première partie :
      https://www.franceculture.fr/emissions/cultures-monde/culturesmonde-du-vendredi-25-mai-2018

      sur la question migratoire :
      Elle revient (min’9) notamment sur ’l’hypocrisie des #hotspot", avec très peu de #réinstallation en Europe, malgré les engagements pris (la France s’est engagée à 3000 #réinstallations jusqu’en 2019).

      Procédure d’asile : Idée admise de trier sur la base de la nationalité à la place des demandes individuelles. Autrement : rapatriement volontaire dans les pays d’origine / les migrants se fondent dans la nature.
      Effet pervers : de nouvelles populations se rendent au Niger pour demander l’asile, exemple des soudanais à #Agadez (Cf. http://www.rfi.fr/afrique/20180526-niger-refugies-soudanais-darfour-agadez-statut-migrants).
      Elle qualifie le Niger de « passoire de mouvements », en « rotation perpétuelle ».

      sur la loi de finance :
      Augmentation des taxes sur l’électricité et l’eau, loi typique d’austérité. Manifestations dans la rue dès la promulgation.
      Interdiction des manifestations par les autorités nigériennes, arrestations d’activistes dès le 25 mars, 26 personnes de la société civile ont été arrêtées.
      Silence de la part de la communauté internationale, elle parle de dérive autoritaire car chèque en blanc de la communauté internationale.

      Loi de finance élaborée avec le parrainage des européens, notamment des français avec des conseillers techniques français du ministère de l’économie.
      « Accord tacite » davantage que « silence tacite ». Communauté internationale a besoin d’un Niger calme et silencieux.

      sur la question jihadiste :
      Pas de mouvement nigérien jihadiste autochtone contrairement au Mali et au Burkina Faso.
      Niger était un exemple de stabilité, où l’on louait le règlement de la question touareg, il est aujourd’hui le pays le plus menacé.

      #hotspots #tri #catégorisation #djihadisme #EI #Etat_islamique

    • « Pour le HCR, l’essentiel est d’aider les pays qui hébergent vraiment les réfugiés, en Afrique ou en Asie »

      Filippo Grandi : « L’essentiel est qu’on nous donne les moyens d’aider les pays qui hébergent vraiment les réfugiés »

      Le haut-commissaire des Nations unies pour les réfugiés revient sur les difficultés de l’UE à apporter une solution commune à la crise migratoire et s’inquiète de la diminution de la solidarité en Europe.

      LE MONDE | 09.11.2018
      Propos recueillis par Jean-Baptiste Chastand

      A la tête de l’Agence des Nations unies pour les réfugiés (HCR) depuis 2016, Filippo Grandi appelle l’Union européenne (UE) à préserver le droit d’asile et considère que le retour des réfugiés syriens dans leur pays se fera au compte-gouttes.

      La crise migratoire déchirait l’Union européenne depuis 2015. Elle semble être passée au second plan des pré­occupations. Le problème est-il réglé ?

      Il y a eu des manipulations excessives de la part de ceux qui ont parlé d’invasion, de la fin de l’identité européenne ou de menaces sécuritaires. Maintenant que l’intérêt politique se décale, le risque consiste à ne pas faire ce qu’il faudrait pour mieux gérer ces mouvements de populations. L’Europe n’a pas encore donné toutes les réponses. Or, un report ne peut qu’aggraver la situation en cas de nouvelle crise.

      Les « centres contrôlés » et les « plates-formes de débarquement » destinés à centraliser le traitement des demandeurs d’asile paraissent dans l’impasse…

      La convention de Dublin, destinée à éviter le « tourisme de l’asile » en prévoyant que le premier pays d’accueil doit gérer les de­mandes d’asile, est mise à l’épreuve par les arrivées nombreuses dans quelques pays, qui se sont retrouvés pénalisés par rapport aux autres. Il faut passer à autre chose. On a longuement évoqué une répartition entre les 28 Etats, mais ça ne fonctionne pas, car seuls quelques pays y sont prêts. Moins de 100 000 personnes arrivées en Europe en 2018, c’est gérable.

      La prise en charge par des Etats d’une partie des passagers de l’Aquarius, par exemple, ressemble à une forme de partage, sauf que chaque nouveau bateau s’est transformé en crise. Un tel système devrait être décidé au préalable. Le problème est l’absence de consensus sur le lieu où ce partage doit se faire. Ce n’est pas au HCR de déterminer où ces centres d’accueil et de réception doivent se trouver, mais à l’Europe. Le rôle du HCR est de donner tous les instruments pour les gérer de manière correcte.

      Et qu’en est-il de l’idée de « centres ­d’accueil » hors Europe, comme au Maghreb ?

      Le HCR travaille dans tous les pays du monde pour gérer l’asile. Le gérer avec efficacité aide à stabiliser ces flux. Par ailleurs, nous n’accepterons jamais que les demandes d’asile en Europe soient gérées hors de son territoire. L’Europe doit garder ses portes ouvertes. Il faut qu’il y soit toujours possible de demander l’asile, sans être renvoyé vers des pays tiers. Cela dit, si l’Europe est prête à prendre des réfugiés dès le Niger, par exemple, dans le cadre de la « réinstallation » [transfert au sein de l’UE, par des voies sûres et légales, de personnes déplacées ayant besoin d’une protection], ce processus peut être renforcé.

      Vous êtes donc opposé à des plates-formes pour débarquer, en Afrique, des migrants sauvés en Méditerranée ?

      Si quelqu’un est sauvé dans les eaux territoriales tunisiennes, puis renvoyé en Tunisie, c’est légitime. C’est le droit. En Libye, les garde-côtes ont été renforcés par l’Europe de manière plus ou moins transparente. C’est une bonne idée, à condition de renforcer aussi les institutions qui gèrent les migrants, et pas seulement celles qui les empêchent de partir.

      L’Autriche, qui assure ce semestre la présidence tournante de l’UE, cherche à instaurer un accord avec l’Egypte. Y êtes-vous ­favorable ?

      Nous travaillons depuis longtemps en Egypte, qui héberge plus de 250 000 réfugiés. Si les Etats veulent nous aider à y renforcer les structures, c’est une bonne chose, mais cela ne doit pas être un moyen d’empêcher les gens de partir vers l’Europe.

      Pourquoi le HCR participe-t-il à cette politique d’externalisation des frontières européennes ?

      La Turquie héberge 4 millions de réfugiés. Vous voudriez qu’on ne les aide pas ? Au moment de l’accord UE-Turquie, auquel le HCR n’a pas été associé, on nous a demandé de vérifier que son contenu n’allait pas à l’encontre des normes internationales. Le HCR a travaillé avec la Grèce pour s’assurer qu’il n’y ait pas d’expulsion vers la Turquie de personnes qui pourraient y courir des risques.

      En 2015, l’Europe a lancé l’initiative d’un fonds pour l’Afrique. Il est sous-financé, et la plupart des ressources sont utilisées pour le contrôle des frontières et non pour traiter les causes des départs. Je le regrette.

      La situation de surpopulation et ­d’insalubrité du camp de Moria, sur l’île grecque de Lesbos, est catastrophique. Le HCR y participe…

      C’est difficile en effet, d’autant que le nombre d’arrivées continue à augmenter J’en ai parlé au premier ministre grec, Alexis ­Tsipras, et au ministre de l’immigration, qui vont faire un effort pour transférer des personnes sur le continent. J’ai reçu des assurances. Si on arrive à réguler la population dans les îles, on arrivera à mieux gérer la situation.

      Accordez-vous foi aux perspectives démographiques alarmistes du journaliste et chercheur Stephen Smith, qui prévoit une explosion migratoire venue d’Afrique ?

      L’invasion est un peu une légende : 70 % des mouvements de population en Afrique restent à l’intérieur du continent et ne vont pas vers l’Europe. Cela dit, il y aura toujours des migrations : les gens se déplacent toujours vers la prospérité. Quand il n’y a pas de possibilité d’émigrer de manière légale, ne reste que l’asile. Ce n’est pas bien, car ces demandes encombrent les systèmes d’asile et les délégitimisent, en créant dans l’opinion publique une confusion entre immigration et asile.

      Aujourd’hui, 80 % des demandeurs d’asile en Europe sont venus pour des raisons économiques, comment faire ?

      L’un des problèmes est l’impossibilité pour les déboutés du droit d’asile de retourner chez eux. Il faut trouver des accords de réadmission avec les pays d’origine, mais c’est coûteux et politiquement difficile pour ces derniers. En Libye, un accord avec l’Union africaine autorisant le HCR et l’Organisation internationale pour les migrations d’y travailler, a permis le retour de 30 000 migrants chez eux [depuis début 2017]. Ils ont été réadmis parce que les images terribles des gens exploités dans les prisons libyennes ont eu un impact. Ce processus doit s’élargir.

      Pensez-vous que les réfugiés syriens retourneront dans leur pays ?

      Il y a une petite augmentation des demandes de retour de Syriens vivant en Jordanie et au Liban, mais il ne s’agit que de quelques milliers de personnes sur plusieurs millions. Le droit au retour existe, mais il doit être le résultat d’un choix personnel. Il reste des obstacles sécuritaires et matériels. Les réfugiés ont peur d’être enrôlés pour le service militaire, ils redoutent des représailles ou de ne pas retrouver leurs biens. La situation dans la province d’Idlib [minée par les affrontements inter-rebelles et l’insécurité galopan­te] n’encourage pas non plus les gens à rentrer. La reconstruction de la Syrie est un sujet politiquement sensible, mais j’appelle les pays donateurs à au moins aider les gens qui font le choix du retour.

      Comment jugez-vous la politique migratoire d’Emmanuel Macron ?

      En France, il faut améliorer la mise à l’abri, l’accueil, certains aspects de la procédure, mais la loi asile et immigration [définitivement adoptée à l’Assemblée le 1er août] a permis des progrès. A l’échelle européenne, le discours solidaire du président est très positif [il s’était engagé, en automne 2017, à offrir en deux ans 10 000 places de réinstallation aux réfugiés liés au HCR, notamment au Niger et au Tchad]. L’augmentation relative des places de réinstallation pour les réfugiés et l’action rapide de l’Ofpra [Office français de protection des réfugiés et apatrides] au Niger ont été exemplaires.

      Comprenez-vous que l’afflux massif d’une population culturellement musulmane dans une région majoritairement judéo-chrétienne puisse créer des tensions ?

      Toute absorption de personnes issues d’une culture minoritaire est complexe, mais elle est possible et souhaitable ! Je crois à la diversité, même si je sais que ce n’est pas populaire de le dire. Lors de réunions européennes, en particulier dans l’est de l’Europe, j’ai entendu certains pays parler d’homogénéité. Mais ce n’est pas dans la tradition de l’Europe. Les valeurs chrétiennes sont précisément des valeurs de solidarité et de partage. L’homogénéité est une utopie négative qu’il faut contrer à tout prix. La diversité est un élément d’enrichissement. Les villes vivantes dans le monde sont des villes diverses ; ce sont elles qui sont à l’avant-garde ! Les Européens ont suffisamment d’outils économiques, sociaux et culturels pour gérer cette diversité.

      Etes-vous inquiet de la montée de l’extrême droite en Italie ?

      [Le ministre de l’intérieur italien] Matteo Salvini mène plusieurs batailles. Sur la question de la répartition des migrants en Europe, je suis d’accord avec lui : l’Italie ne peut pas recevoir tout le monde. Mais son discours très agressif, même s’il n’est pas forcément raciste, est susceptible de créer une atmosphère où le racisme peut prospérer. Cela m’inquiète beaucoup. Son langage ouvre la porte à des tendances extrêmes au sein des sociétés.

      La montée du populisme dans le monde pose-t-elle des problèmes pour une organisation multilatérale comme le HCR ?

      Pour l’instant, personne ne nous dit d’arrêter notre travail, qui, il faut le rappeler, est effectué à 90 % hors de l’Europe. Pour nous, l’essentiel est d’obtenir les ressources pour aider les pays qui hébergent vraiment les réfugiés, c’est-à-dire souvent des pays pauvres en Afrique ou en Asie. Je crains que la diminution de la solidarité en Europe et la stigmatisation du droit d’asile aux Etats-Unis donnent un mauvais exemple. Les pays pauvres me demandent de plus en plus pourquoi ils devraient prendre des réfugiés alors que l’Europe n’en veut pas. Or, pour des Etats voisins de pays en guerre, cela signifierait renvoyer des gens dans ces zones de conflit. C’est cela qui m’inquiète le plus.

      https://www.lemonde.fr/international/article/2018/11/09/filippo-grandi-l-essentiel-est-qu-on-nous-donne-les-moyens-d-aider-les-pays-

      Avec ce commentaire de Emmanuel Blanchard via la mailing-list Migreurop :

      Une interview inquiétante à plus d’un titre : #Filippo_Grandi suggère que le HCR pourrait être plus impliqué encore en Lybie et dans tout pays d’Afrique du Nord prêt à s’impliquer dans des programmes de retours de boat-people et autres projets de gestion de « centres d’accueil et de réception ». Il ouvre même grand la porte pour une collaboration poussée avec l’UE en Egypte, même s’il prévient que le rôle du HCR ne peut pas être de contribuer à « des moyens d’empêcher les gens de partir vers l’Europe ». Il critique en effet à mots couverts certaines dimensions des politiques européennes de contrôle des frontières extérieures (voir passages soulignés en gras).
      A noter que sous couvert « d’équilibre », le journaliste du Monde - qui s’est autorisé une critique de la « politique d’externalisation des frontières européennes » - reprend certains des argumentaires « anti-migrants » les plus éculés.

  • Etre #Journaliste et être une #femme dans l’état de #Veracruz au #mexique
    https://reflets.info/etre-journaliste-et-etre-une-femme-dans-letat-de-veracruz-au-mexique

    Paloma Junquera (1) est correspondante d’un quotidien mexicain dans l’état de Veracruz. Elle connaissait Ruben Espinosa, le célèbre photojournaliste de cette même région assassiné dans un appartement à Mexico. Petit voyage dans l’état de Veracruz sur la côte est du Mexique. Vingt-et-un journalistes et photographes, selon l’ONG de défense de la liberté de la presse Articulo […]

    #Entretiens #Monde #Articulo_19 #Police #Quartels #Trafiquants_de_drogue

  • Egypt Passes Law to Curb Trafficking of Migrants Bound for Europe

    CAIRO — Egypt passed legislation on Monday to crack down on people traffickers linked to a major surge in the numbers of migrants departing from the country’s Mediterranean coast on often disastrous sea journeys to Europe.

    http://www.nytimes.com/reuters/2016/10/17/world/africa/17reuters-europe-migrants-egypt.html?smid=tw-share&_r=0
    #Egypte #passeurs #asile #migrations #réfugiés #smugglers #trafiquants

  • Refugees and migrants fleeing sexual violence, abuse and exploitation in Libya

    Horrifying accounts of sexual violence, killings, torture and religious persecution collected by Amnesty International reveal the shocking range of abuses along the smuggling routes to and through Libya. The organization spoke to at least 90 refugees and migrants at reception centres in Puglia and Sicily, who had made the journey across the Mediterranean from Libya to southern Italy in the past few months, and who were abused by people smugglers, traffickers, organized criminal #gangs and armed groups.


    https://www.amnesty.org/en/latest/news/2016/07/refugees-and-migrants-fleeing-sexual-violence-abuse-and-exploitation-in-lib
    #Libye #migrations #asile #réfugiés #violence #abus #passeurs #trafiquants

  • Au coeur de la traque aux #trafiquants de migrants

    Suite à la mort de 70 migrants dans un camion en Autriche en 2015, la Confédération a créé une #task_force spécialisée dans la lutte contre les passeurs. Après neuf mois d’existence, le #Girp a ouvert six enquêtes sur des filières.


    http://enquete.lematindimanche.ch/migrants
    #passeurs #asile #migrations #frontières #Tessin #Suisse
    #cartographie #flèches #gardes-frontières