#traiskirchen

  • Ors, la multinazionale della detenzione amministrativa sbarca in Italia

    Con alle spalle denunce di malagestione, la multinazionale arriva in Italia nel 2018 vincendo i primi appalti da società inattiva. Al suo interno, ex politici e imprenditori contribuiscono al suo ruolo come leader nel settore dell’accoglienza. Oggi gestisce il Cpr di Roma, dopo la chiusura di quello di Torino.

    Appena insediatosi come amministratore delegato del gruppo Ors – Organisation for Refugees Services – nel 2017, Jürg Rötheli si trova a dover gestire una situazione complessa. La multinazionale, leader in Europa nei settori dell’accoglienza e della detenzione amministrativa, ha una presenza consolidata in Svizzera, il Paese natio, ma la perdita di alcuni appalti e una riduzione sostanziale del numero di richiedenti asilo in Svizzera, portano il Ceo a dover ridefinire la strategia del gruppo. Rötheli assume così le vesti di innovatore e avvia un processo strategico per ristrutturare la società e lanciarla verso nuovi mercati, guardando in modo particolare al Mediterraneo e l’Italia.

    «L’assegnazione di appalti a fornitori di servizi privati consente di sgravare notevolmente le strutture statali. L’Italia rappresenta un primo importante passo per la nostra espansione nel Mediterraneo», scrive il gruppo elvetico. Il motto della multinazionale è, come specifica nel proprio sito, «neutrali, flessibili, affidabili». In un’intervista Jürg Rötheli afferma: «Grazie agli standard e ai processi che abbiamo integrato nel nostro sistema di gestione della qualità, possiamo costruire e aprire strutture praticamente durante la notte» (https://www.sqs.ch/de/blog/unser-kollektives-know-how-staendig-und-ueberall-verfuegbar-machen).

    Ors lavora in questo settore da oltre 30 anni e, oltre ad aver gestito centri di accoglienza in un regime quasi di monopolio in Svizzera, ha filiali in Austria, Germania, Spagna e Grecia. Negli anni ‘90 la Svizzera conferisce ai privati l’onere di gestire l’accoglienza e Ors, già attiva dal 1977 con altre denominazioni, si fa trovare pronta. Entra nel settore con Ors Service AG, società creata nel 1992 a Zurigo. Rötheli, prima di prendere la guida di Ors, era stato Ceo della società pubblicitaria elvetica Clear Channel Svizzera, e membro della direzione della principale società di telecomunicazioni del Paese, il Gruppo Swisscom.

    –—

    L’inchiesta in breve

    - Ors è una multinazionale svizzera nata nel 1977 a Zurigo. Dalla fornitura di servizi a pubblico e privato è poi entrata nel mondo dell’accoglienza, espandendosi anche in Germania, Austria e più di recente in Italia e Spagna
    - Dopo diverse denunce di malagestione in centri di accoglienza in Svizzera e Austria, e il calo dei richiedenti asilo nel Paese natio, decide di espandersi nel Mediterraneo e aprire una filiale in Italia nel 2018, Ors Italia srl
    – La società però inizia la sua attività solo nel gennaio 2020, riuscendo comunque ad aggiudicarsi il Cpr di Macomer e il centro di prima accoglienza Casa Malala, pur essendo inattiva, ma il Tar del Friuli Venezia-Giulia revoca l’assegnazione del centro nei pressi di Trieste proprio per il suo stato di inattività
    - Ors è l’unica, tra le società che gestiscono i Cpr in Italia, a essere rappresentata in Parlamento da una società di lobbying, la Telos Analisi e Strategie
    – All’inizio del 2022 Ors Italia inizia la gestione dei Cpr di Roma, che continua ancora oggi, e Torino, chiuso dopo le proteste dei detenuti a febbraio per le condizioni di trattenimento
    - A fine 2022 è stata acquisita dal colosso britannico Serco e può vantare la collaborazione di un comitato consultivo composto da ex politici e imprenditori, come Ruth Metzler, attuale presidente della Fondazione della Guardia svizzera pontificia.

    –—

    I centri gestiti dalla multinazionale, e dalle diverse filiali, sono stati nel tempo oggetto di inchieste e di accuse di mala gestione. Un rapporto di Amnesty International ha denunciato nel 2015 le condizioni inumane in cui le persone migranti erano costrette a vivere nel centro di #Traiskirchen, in Austria (https://www.amnesty.at/media/1928/research-traiskirchen.pdf). La struttura, «progettata per 1.800 persone, era arrivata a ospitarne 4.600». In questo modo Ors, secondo l’Ong, puntava a «un taglio dei costi e alla massimizzazione del profitto con “risparmi” su visite sanitarie, corsi di formazione, cibo e qualità degli alloggi». Un’inchiesta giornalistica del 2018 ha raccontato come Ors avesse ottenuto dal Governo austriaco un finanziamento di circa 250 milioni di euro, in netto rialzo rispetto al passato (https://www.addendum.org/asyl/ors).

    Anche in Svizzera è stato messo in dubbio il corretto operato della multinazionale, che è stata accusata, nel 2016, di non disporre di alimenti per bambini a sufficienza e di attuare punizioni collettive e vessazioni alle persone accolte nel centro federale d’asilo di Aesch (Basilea), allestito in una sorta di bunker, e poi chiuso, alla fine del 2016 (https://www.bazonline.ch/wie-asylsuchende-schikaniert-werden-921469837455).

    –—

    L’assetto societario

    La storia societaria di Ors è molto ramificata. Nel 1977 a Zurigo nasce la casa madre Ors Service SA, con l’obiettivo di offrire servizi generici a pubblico e privato. Cambia nome definitivamente nel 1992 in Ors Service AG, un anno dopo aver preso in carico il primo appalto nel centro di registrazione per richiedenti asilo di Kreuzlingen. Nel 1999 viene creata la OX Holding AG (oggi Ors Group AG) che agisce come società fiduciaria, gestendo beni, titoli e obbligazioni della casa madre. Il 26 giugno 2009 la casa madre viene venduta a un fondo di private equity di Zurigo, la Invision AG, che ha la funzione di finanziare progetti in settori come l’informatica, le telecomunicazioni e i servizi sanitari.

    Nel 2013, viene creato il fondo di private equity OXZ Holding AG che acquista delle azioni della fiduciaria Ors Group AG. In questo modo, la società elvetica consolida lo svolgimento di operazioni speculative per attrarre capitali. Nello stesso momento è la Equistone Partners, una delle più grandi società di investimento di Londra, a finanziare la Ors Group AG, di fatto togliendo la società dalle mani della svizzera Invision. Equistone ha l’obiettivo di acquisire aziende o asset di imprese non quotate attraverso una serie di fondi di private equity a loro volta partecipati da investitori istituzionali come gli americani California State Teachers’ Retirement System e il Maryland State Retirement and Pension System e l’agenzia governativa di previdenza sociale dell’Arabia Saudita. Sarà la società londinese a portare Ors nel mercato tedesco e italiano.

    Oggi, le tre società più grandi del gruppo, Ors Group AG, Ors Service AG e la OXZ Holding AG hanno tutte lo stesso indirizzo a Zurigo, e condividono anche i vertici. Nel settembre del 2022, Equistone ha venduto le sue quote a Serco Group Plc per 44 milioni di franchi svizzeri. Soprannominata “the biggest company you’ve never heard of”, la più grande compagnia di cui avete mai sentito parlare, Serco è un gruppo britannico che fornisce servizi di outsourcing al settore pubblico in tutto il mondo. Ora che è proprietaria del gruppo Ors, la multinazionale inglese si è detta pronta a fornire i suoi servizi anche al nostro Paese.

    –—

    L’espansione nel Mediterraneo

    Per espandersi verso nuovi mercati, Rötheli nomina un gruppo di personalità di alto profilo strategico, tra cui ex politici ed ex membri dei consigli di amministrazione del settore finanziario privato, riunite in un comitato consultivo che avrebbe il compito di raccomandare «soluzioni per la messa in atto della strategia e l’ulteriore sviluppo delle decisioni», si legge nella relazione 2021 (https://www.yumpu.com/it/document/read/66997937/ors-relazione-annuale-2021). A guidare il comitato è Ruth Mezler Arnold, avvocata, esponente per lungo tempo del Partito Popolare Democratico ed ex ministra della Giustizia in Svizzera, nonché dal 2018 presidente della Fondazione della guardia svizzera pontificia del Vaticano.

    La multinazionale approda in Italia il 25 luglio 2018, iscrivendosi al registro delle imprese con il nome di Ors Italia srl, totalmente controllata dalla casa madre. Il momento è favorevole. Il 1 giugno 2018 entra in carica il governo “Giallo-Verde” con Matteo Salvini ministro dell’Interno.

    Il segretario della Lega da anni pone al centro della sua politica il tema migratorio, in nome della chiusura dei confini e della sicurezza. Simbolo della sua azione da ministro, i decreti sicurezza, con cui ha permesso il taglio dei fondi all’accoglienza, l’abolizione della protezione umanitaria e il potenziamento del sistema dei rimpatri. I decreti hanno, ancora una volta, favorito il sistema emergenziale dei Centri di accoglienza straordinaria a scapito del modello virtuoso di accoglienza diffusa, che dovrebbe costituire il sistema principale. La riduzione dei fondi per l’accoglienza «va evidentemente a penalizzare i centri più piccoli e a incentivare quelli medi e soprattutto grandi, per i quali sono possibili economie di scala», si legge nel rapporto del 2019 Centri d’Italia di ActionAid. Una politica che ha creato un terreno fertile per grandi centri di accoglienza gestiti da grandi società che, risparmiando sui servizi offerti, operano con l’obiettivo di fare profitto, creando paradossalmente maggiore insicurezza.

    Il Ceo Rötheli si trova anche ai vertici di Ors Italia srl. Allo stesso modo, un’altra figura con una lunga esperienza nella multinazionale ricopre più di una carica: Maurizio Reppucci, membro del consiglio di amministrazione del gruppo e amministratore delegato della filiale italiana. Reppucci da Managing director di una sussidiaria di Ors, ABS Betreuungsservice AG, per cinque anni si è occupato di rifugiati, programmi di impiego e assistenza. La gestione di Abs è stata però criticata dal quotidiano svizzero Obersee Nachrichten, che ha denunciato le condizioni critiche di alcuni centri. Consigliere del ramo italiano è invece il cugino di Maurizio, Antonio Reppucci, ex sindaco di un paese nella zona di Avellino e in passato assessore ai lavori pubblici, oltre ad essere stato per un periodo consulente del Parlamento italiano.

    L’attività economica di Ors Italia inizierà a gennaio 2020 ma già nel periodo di inattività riesce a vincere importanti appalti: il Centro di permanenza per i rimpatri di Macomer, in Sardegna, e un centro di prima accoglienza in Friuli Venezia Giulia, Casa Malala. Si aggiudicherà poi il centro di accoglienza di Monastir e i Cpr di Roma e Torino. Per essere sicura di imporsi politicamente nel contesto italiano, la nuova srl si serve di una società di lobbying, e della sua agenda di contatti e relazioni: Telos Analisi e Strategie, studio professionale che si occupa di rappresentare gli interessi dei propri assistiti in Parlamento e si posiziona tra le prime 10 società nel campo del lobbismo italiano.

    Nell’accordo firmato nel 2020, la multinazionale elvetica delega alla lobby l’organizzazione di meeting con rappresentanti istituzionali. Lo scopo principale, secondo la relazione annuale di Telos (https://rappresentantidiinteressi.camera.it/sito/legal_32/scheda-persona-giuridica.html), sarebbe quello di «innalzare il livello di consapevolezza dei parlamentari sulle difficoltà nella gestione del Centro di accoglienza straordinaria (Cas) di Monastir e del Centro di permanenza per il rimpatrio (Cpr) di Macomer […]», nonché per sollecitare nel 2021 risposte sull’emergenza Covid nei centri. Su questi temi si sarebbero svolte due videochiamate con due deputati: Marco Di Maio, di Italia Viva, e Andrea Vallascas, all’epoca nel Movimento 5 Stelle, lo stesso che l’anno precedente aveva presentato un’interrogazione al ministero dell’Interno per chiedere conto delle violazioni all’interno del Cpr sardo. Ors è l’unica tra le cooperative e società multinazionali che hanno gestito o gestiscono un Cpr ad avere consulenti come Telos a rappresentare i loro interessi alla Camera dei Deputati.

    In pochi anni la società si aggiudica importanti appalti

    La multinazionale sembra mettere in campo diverse strategie per assicurarsi il maggior numero di appalti in Italia. In una gara indetta dalla Prefettura di Trieste ha dichiarato, infatti, di fronte alle perplessità di un’offerta estremamente bassa, che «l’assestamento nel mercato italiano riveste una maggiore importanza rispetto a un maggiore utile di impresa», dicendo di fatto di essere disposta ad andare in perdita o rinunciare all’utile pur di assicurarsi il mercato italiano, producendo una distorsione della concorrenza. L’appalto in questione era per la gestione di Casa Malala, un centro di prima accoglienza al confine con la Slovenia, fino a quel momento gestito dal Consorzio Italiano di Solidarietà (Ics) e Caritas, organizzazioni no profit presenti sul territorio da oltre vent’anni.

    Ors Italia il 15 settembre 2020 si aggiudica il centro con un ribasso del 14%. Ics, nel ricorso presentato al Tar del Friuli, ha però evidenziato che al momento del bando, nell’agosto 2019, Ors risultava inattiva, elemento che dovrebbe escludere una società dalla gara pubblica.

    Nella sua offerta, la casa madre svizzera aveva assicurato la «disponibilità piena e incondizionata a sopperire alle mancanze di capacità tecnica e professionale di Ors Italia», tramite la filiale austriaca, senza però indicare quali mezzi e risorse sarebbero state coperte. Dal ricorso emerge poi come sia stato possibile proporre un ribasso del 14%: da un lato, Ors ha inquadrato tutto il personale, compresi gli operatori diurni e notturni, in un contratto collettivo riservato alle «posizioni di lavoro relative all’esecuzione di attività semplici ed elementari di tipo manuale», non prendendo neanche in considerazione le ore potenziali di ferie, malattia e permessi. Dall’altro, nell’offerta della multinazionale i costi per colazione, pranzo, cena, compresi i costi del personale, ammontano a 4,88 euro pro die pro capite. Ics invece per la somministrazione del pranzo e della cena spende 9-10 euro. Il Tar ha accolto il ricorso, stabilendo che «lo stato di inattività di un’impresa è preclusivo alla possibilità di concorrere a una gara per l’aggiudicazione di un pubblico appalto» e affidando la gestione alle due no profit.

    Il primo appalto ottenuto in Italia da Ors, con un ribasso del 3%, è invece il Cpr sardo di Macomer, che ha gestito per un anno da gennaio 2020 al 2021. Inizialmente la multinazionale era arrivata solo seconda alla gara, è però riuscita a vincerla dopo l’intervento della Cabina di regia del ministero dell’Interno. Le varie richieste di Ors alla Prefettura di Nuoro di annullare la gara «per presunte irregolarità nella valutazione dell’offerta presentata dalla ditta» non avevano infatti ottenuto risposta affermativa, fino a che la decisione non è stata demandata al ministero. La Prefettura ha alla fine stipulato il contratto con Ors, per «l’urgenza di attivare il servizio», avvalendosi però della facoltà di risolverlo perché l’informazione antimafia – necessaria per il sistema di prevenzione dell’infiltrazione criminale – era ancora in «fase di istruttoria/verifica», come ha evidenziato anche il deputato Erasmo Palazzotto in un’interrogazione all’allora Ministra dell’interno Luciana Lamorgese. Le verifiche si sono poi concluse in assenza di interdittive antimafia il 28 ottobre 2020, tre mesi prima della scadenza dell’appalto.
    Le condizioni di trattenimento nei Cpr

    L’arrivo di Ors nel Cpr di Macomer è segnato fin da subito da un rapporto del Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale Mauro Palma (https://www.garantenazionaleprivatiliberta.it/gnpl/resources/cms/documents/b7b0081e622c62151026ac0c1d88b62c.pdf), che effettua una visita al Cpr nell’aprile del 2020, riscontrando un numero inadeguato di lavoratori. Subito dopo, la Prefettura di Nuoro annuncia un incremento dei servizi sanitari nel centro. Solo due mesi dopo, sono gli stessi detenuti a protestare per la qualità dei servizi e la violazione dei diritti fondamentali.

    La rivolta è «scatenata il 18.06.2020 da un gruppo di migranti saliti sul tetto della struttura di Macomer per protestare contro le condizioni di vita all’interno della struttura. Il culmine della ribellione si è verificato quando un uomo si è cucito le labbra ed è stato trasferito in infermeria», scrivono le consigliere regionali Maria Laura Orrù e Laura Caddeo in un’interrogazione dopo una visita nel luglio 2020 (https://www.consregsardegna.it/xvilegislatura/interrogazioni/614). Le consigliere segnalano poi un uso diffuso dei sedativi, confermato anche da un’avvocata che prestava assistenza legale ad alcuni trattenuti, e che ha denunciato il trattenimento di persone affette da gravi forme di diabete. Per finire, l’interrogazione ricorda la violazione del diritto alla difesa, sia perché le comunicazioni sulle nomine dei difensori sarebbero arrivate solo pochi minuti prima delle udienze di convalida, sia per l’assenza di mediatori linguistici durante i colloqui.

    L’esperienza di Ors in Sardegna finisce con l’arrivo del nuovo gestore Ekene a gennaio 2022, ma nello stesso periodo inizia quella a Roma, nel Cpr di Ponte Galeria. A fine novembre era morto Wissem Ben Abdel Latif, un ragazzo tunisino di 26 anni rimasto legato per tre giorni in un corridoio del reparto psichiatrico dell’Ospedale San Camillo. Era stato trasferito lì dopo alcuni giorni passati nella struttura detentiva di Roma, diretta da Vincenzo Lattuca che è stato confermato da Ors quando è subentrata nella gestione del centro. Anche nella capitale si lamenta l’insufficienza di operatori, spesso assunti da agenzie interinali, che in alcuni casi si sarebbero licenziati per le condizioni di lavoro estenuanti. A testimoniare problemi molto simili a quelli riscontrati a Macomer, ci sono l’ex Garante delle persone private della libertà personale di Roma Gabriella Stramaccioni, la senatrice Ilaria Cucchi e il deputato Aboubakar Soumahoro. Ors, raggiunta via mail, sui dipendenti ha risposto: «La decisione di accettare o meno un lavoro è a discrezione dell’individuo».

    Di nuovo, ci sarebbero stati trattenimenti di persone non adatte alla vita in comunità ristrette, come il caso di un ragazzo che ha ingoiato un pezzo di vetro durante una visita della garante a ottobre 2022, poi dimesso dal Cpr. O la detenzione, denunciata da Soumahoro, di tre ragazzi minorenni, che secondo la normativa non potrebbero essere reclusi nei centri. Lo stesso Lattuca, direttore del centro, avrebbe confermato al deputato che al momento della visita il 65% delle persone trattenute aveva problemi di tossicodipendenza.

    Ma ciò che rende Ponte Galeria un unicum nella detenzione amministrativa italiana è la sezione femminile. A fine marzo 2023, Cucchi ha denunciato la presenza di cinque donne, nonostante il capitolato d’appalto non menzioni la presenza femminile tra la popolazione detenuta e, di conseguenza, neanche la presenza di personale femminile, necessario per «assicurare l’equilibrio di genere e tenere conto delle esigenze di carattere culturale e religioso», come si specificava nel precedente appalto.
    Le proteste di Torino

    A febbraio 2022 Ors assume la gestione del Cpr di Torino, raccogliendo l’eredità lasciata dalla multinazionale francese Gepsa, segnata dalle morti di Hossain Faisal e Moussa Balde. La multinazionale elvetica tenta un cambio di rotta rispetto alla precedente gestione ma emergono da subito criticità. Il medico convenzionato di Ors segnala, durante una visita della Coalizione italiana libertà e diritti civili (Cild), a giugno 2022, la presenza di detenuti sottoposti a terapia con metadone, casi di autolesionismo (che a marzo 2022 erano arrivati a quota 10-12 al giorno), abuso di psicofarmaci e tranquillanti. A luglio dello stesso anno, ci è stato permesso di entrare a visitare la struttura, scortati da 11 militari. Durante la nostra permanenza, diversi trattenuti hanno denunciato disagi psicologici: «Hanno sbagliato a chiamarlo centro, questo è il braccio della morte», ha detto uno di loro.

    Passa ancora qualche mese quando, il 4 febbraio di quest’anno, scoppiano le rivolte dei trattenuti. Secondo il blog No Cpr Torino (https://nocprtorino.noblogs.org/articoli), che ha raccolto testimonianze dall’interno, la protesta è partita dalle condizioni di detenzione: «Il cibo è avariato e contiene psicofarmaci, le celle sono fredde, non c’è acqua calda e le sezioni sono piene di spazzatura», si legge. Durante la nostra visita, un trattenuto si è rivolto al funzionario della Prefettura segnalando che lo shampoo e la carta igienica non venivano forniti da due settimane. La visita non ci ha fornito elementi per confermare o smentire le altre violazioni, ma è necessario evidenziare che il nostro ingresso era annunciato da diverse settimane e l’ente gestore era a conoscenza del nostro arrivo.
    Il racconto di No Cpr Torino continua: tre persone sarebbero state portate in ospedale dopo aver subito un pestaggio da parte delle forze dell’ordine. Uno di loro ha raccontato: «Ti colpiscono alla testa. Questo è un luogo pericoloso, qui non picchiano bene. Magari in carcere ti picchiano ma alle gambe. Qui, no. Non arrivano a picchiarti i singoli ma una squadra intera». Le proteste tornano a riaccendersi il 20 febbraio, questa volta per un’epidemia di scabbia secondo quanto riportato da No Cpr Torino, seguite da uno sciopero della fame di circa 20 reclusi.

    https://www.youtube.com/watch?v=qbHsMTNG6_0&embeds_referring_euri=https%3A%2F%2Firpimedia.irpi.eu%2

    A inizio marzo il centro viene chiuso perché inagibile. La Commissione Legalità e diritti delle persone private della libertà personale, in seduta congiunta con la Commissione speciale per il contrasto dei fenomeni di intolleranza e razzismo del Comune di Torino, convocano per un’audizione Ors, con l’obiettivo di riferire su quanto si è verificato nel centro, ma l’ente gestore comunica che non avrebbe partecipato. Durante la seduta, il presidente della Commissione Legalità, Luca Pidello, si reputa «non soddisfatto» della relazione e, dopo la notizia sui lavori di ristrutturazione della struttura, scrive:

    «La domanda è […] se abbia senso continuare ad investire in una struttura di questo tipo […] o se magari queste risorse non possano essere impiegate in altro genere di politiche che possano portare ad un livello di integrazione maggiore».

    Dieci giorni dopo, la relazione arriva al Consiglio comunale di Torino. Nella seduta viene approvato un ordine del giorno che auspica la definitiva chiusura del Cpr e impegna il Sindaco e la giunta a farsi portavoci dell’istanza al Governo nazionale (www.comune.torino.it/cittagora/altre-notizie/sala-rossa-non-riapra-il-cpr-le-risorse-per-le-politiche-migratorie.html). Ad oggi, ancora nessuna istanza è stata presentata al Governo da parte dell’amministrazione torinese.

    L’attività di Ors all’estero

    Un anno dopo l’approdo in Italia, nel 2019 il gruppo apre una filiale in Spagna, Ors España Servicios Sociales. Sul sito della multinazionale, il motivo dell’apertura ai Paesi del sud del Mediterraneo è giustificato dal costante aumento dei flussi migratori che apre a sua volta nuove opportunità di mercato. Sempre nel 2019, in un post su Linkedin, Jürg Rötheli pubblicava una foto con l’attuale ministro degli Esteri italiano Antonio Tajani e annunciava così l’apertura di una rappresentanza di Ors a Bruxelles.

    Ora che la società svizzera è stata venduta al gruppo Serco, anche Jürg Rötheli è entrato a far parte del colosso britannico: è stato nominato direttore operativo della sezione immigrazione. Si prospetta quindi una nuova fase per Ors, forte del sostegno di una multinazionale come Serco.

    Stando ai dati del 2022, Ors gestisce in tutti i Paesi in cui opera 120 strutture, di cui 95 solo in Svizzera, con un fatturato di oltre 173 milioni di franchi, pari a più di 180 milioni di euro. L’arrivo di Rötheli alla guida della società non ha frenato però le accuse di mala gestione. Nel 2018 alcune associazioni svizzere hanno svolto inchieste e successivamente denunciato Ors per le condizioni di vita all’interno delle strutture gestite a Friburgo. I testimoni raccontano di difficoltà o totale mancanza di accesso alle cure, violenze verbali e talvolta fisiche, molestie sessuali e acqua fredda nelle docce in pieno inverno. Nel centro federale di Basilea è stato denunciato l’uso sistematico delle celle di isolamento e di pestaggi nei confronti dei richiedenti asilo. A Boudry, si racconta invece di un «sistema punitivo»: i testimoni parlano di un costante uso dello spray al peperoncino, placcaggi a terra e insulti omofobi.

    Con l’invasione russa dell’Ucraina nel febbraio 2022, quasi sei milioni di persone hanno chiesto asilo in Europa e gli appalti di Ors sono aumentati di un terzo: nel 2021 erano 80, con 1.400 dipendenti, 900 in meno dell’anno successivo.

    Come ricorda Rötheli nella relazione annuale del 2022, la Svizzera ha accolto 85.000 rifugiati ucraini e 30.000 richiedenti asilo legati alla migrazione regolare fino al marzo 2023. La maggior parte di loro, specifica il Ceo della società, è stata seguita da Ors. Per questo la perdita di molti appalti in Austria e di 19 centri in Svizzera non sembra preoccupare il gruppo elvetico. Rötheli, all’indomani dell’acquisizione da parte di Serco, ha commentato: «La partnership con Serco ci apre nuove prospettive. Allo stesso tempo, garantiamo continuità ai nostri clienti in tutti i Paesi in cui operiamo e in tutti i settori di attività» (https://it.ors-group.org/press-release-serco-it).

    https://irpimedia.irpi.eu/cprspa-roma-torino-multinazionale-ors
    #CPR #rétention #détention_administrative #Rome #asile #migrations #réfugiés #ORS #privatisation #Jürg_Rötheli #Italie

    –—

    ajouté au fil de discussion sur la présence d’ORS en Italie :
    https://seenthis.net/messages/884112

    lui-même ajouté à la métaliste autour de #ORS, une #multinationale #suisse spécialisée dans l’ « #accueil » de demandeurs d’asile et #réfugiés :
    https://seenthis.net/messages/802341

  • VIOLENCE REPORTS

    The collective expulsion and violent return of asylum seekers to the Bosnian border surrounding #Velika_Kladuša is a routine occurrence. Men, women, and even children regularly return from their attempts to cross through Croatia and Slovenia with split lips, black eyes, and broken bones. The search for safety and asylum is all too often met with police batons and closed fists.

    The brutal practices of the Croatian police are against international laws and directives. Firstly, the beating and deportation of all people on the move, both irregular migrants and asylum seekers, is against the prohibition of collective expulsion (Article 4 Protocol 4 ECHR*), and the absolute prohibition of torture and non-humane or degrading treatment or punishment (Article 3 ECHR*).

    Secondly, according to the EU Directive on Asylum Procedures (2005/85/EC), all people on the move are entitled to information about asylum, translation assistance, the ability to present their case to a competent authority, notification of the outcome, and the right to appeal a negative decision (1). But most importantly, viewing people searching safety as mere illegal numbers and dangerous bodies pushes them to a grey zone. Within this grey zone, they are stripped of the right to have rights, resulting in their humiliation without legal consequence, leaving perpetrators unrecognisable and unpunished.

    Thousands of lives are being slowly destroyed while the EU community silently overlooks the brutality of its own border regime, absolving itself of any real sense of responsibility.

    To this end, No Name Kitchen, in coordination with several other independent groups operating in the area, has been engaged in the collection and presentation of the violence which occurs at Europe’s doorstep. In this capacity, we collect the testimonies of victims of border violence and present them to a variety of actors within the field in the hopes of highlighting the systematic nature of this violence. The methodological process for these reports is centered on leveraging the close social contact that we have as independent volunteers with refugees and migrants to monitor pushbacks from Croatia. When individuals return with significant injuries or stories of abuse, one of our violence monitoring volunteers will sit down with them and collect their testimonies. We collect hard data (dates, geo-locations, officer descriptions, photos of injuries/medical reports, etc.) but also open narratives of the abuse.

    http://www.nonamekitchen.org/en/violence-reports

    Lien pour télécharger le rapport :


    http://www.nonamekitchen.org/wp-content/uploads/2019/01/Finished-Border-Violence-on-the-Balkan-Route.pdf
    #violence #rapport #route_des_balkans #Balkans #asile #migrations #réfugiés #Bosnie #frontières #Croatie #Slovénie

    • Garaža za mučenje migranata

      “Policija je dovela njih sedmero u garažu u Korenicu, gdje su im oduzeli sve stvari. Slomili su im mobitele, uništili punjače. Uzeli su im novac, cigarete i hranu. Kad su skinuli odjeću policajci su ih počeli tući rukama, laktovima, nogama”. U posljednjih pola godine pojavila su se višestruka svjedočanstva koja ukazuju na to da hrvatska policija pritvara i muči izbjeglice i migrante u garaži u policijskoj postaji u Korenici. Garaža s plavim vratima, u kojoj, kako se opisuje u svjedočanstvima, izbjeglice i migranti bivaju pretučeni i izgladnjivani, nalazi se svega par metara od dječjeg igrališta.

      U više izvještaja različitih organizacija, a najnovije i u posljednjem izvještaju Border Violence Monitoringa, opisuju se garažna mjesta za pritvaranja i zlostavljanje, koja po opisu mogu odgovarati policijskoj postaji u Korenici, koja je zbog blizina granice često u službi odvraćanja izbjeglica i migranta natrag u Bosnu i Hercegovinu.

      Prema posljednjim svjedočanstvima u travnju je grupa muškaraca iz Sirije, Alžira i Maroka, uhvaćena blizu granice sa Slovenijom, odvedena u garažu u Korenicu i zatim vraćena natrag u Bosnu i Hercegovinu. Izrazili su namjeru za službenim traženjem azila, ali im je odbijen pristup proceduri, iako na nju imaju zakonsko pravo.

      “Policija je dovela njih sedmero u garažu u Korenicu, gdje su im oduzeli sve stvari. Slomili su im mobitele, uništili punjače. Uzeli su im novac, cigarete i hranu. Jednoj su osobi uzeli čak i naočale. U prostoru je samo prljavi pod, bez deka, spužvi, wc-a. Morali su na njemu ležati, iako je bilo užasno hladno. Kad su skinuli odjeću policajci su ih počeli tući rukama, laktovima, nogama. Imali su i elektrošokere i pepper sprej, koje su koristili nekoliko puta. Svi su ljudi plakali”, stoji u svjedočanstvu.

      Prva svjedočanstva i opisi garaže pojavili su se u prosincu prošle godine, od strane migranata koji su nakon prelaska granice u Hrvatsku uhićeni, odvedeni u “garažu” pa protjerani natrag u Bosnu i Hercegovinu, bez da im je omogućeno pravo da u Hrvatskoj zatraže azil.

      U prosincu 2018. godine, kako je evidentirao Border Violence Monitoring, grupu Alžiraca je nakon prelaska granice pokupio kombi s policajcima u maskirnim uniformama, koji su izgledali kao vojska. Odveli su ih u garažu.

      “Policijska postaja je ispred garaže. Dvorište je između policijske postaje i garaže. Unutra je umiovaonik i grijalica, te svjetla na stropu. Prostorija je malena. Nema prozora, samo plava vrata”, stoji u opisu. Istaknuli su kako je bilo hladno te zbog hladnoće nisu mogli spavati. Policajci su, navodi se, s njima pričali nasilno te su im odbili dati hranu.

      Naposljetku su, s drugim migrantima koji su već bili u garaži, bez da im se omogući da zatraže azil, izbačeni u planinama i poslani da hodaju natrag u Bosnu satima. Kad su izišli iz kombija, policajci su naložili vatru u koju su bacili sve njihove stvari. “Jedan je policajac htio uzeti i deku u kojoj je bila umotana djevojčica iz iračke obitelji, ali ga je drugi policajac zaustavio da to ne napravi”, navodi se u svjedočanstvu. Vreće za spavanje i šatori su završili u plamenu.

      “Policija radi što hoće”, komentar je koji se učestalo čuje među brojnim izbjeglicama koji su više puta protjerani iz Hrvatske. Većina odvraćenih i protjeranih u Velikoj Kladuši, gradu blizu granice u kojem smo nedavno bili, žale se upravo najgorljivije na hrvatsku policiju.

      I mještani Velike Kladuše, pogotovo oni koji svakodnevno pomažu izbjeglicama i migrantima, ističu kako ljudi s granice dolaze izmučeni i gladni, nerijetko s modricama, ožiljcima, otvorenim ranama. “Svi ti prizori podsjećaju me na zadnji rat, jedino što nema bombardiranja”, komentira nam jedna mještanka. Nasilje koje provodi hrvatska granična policija tako je postalo svakodnevna tema.

      Krajem prošle godine pojavljuje se još jedno svjedočanstvo o “garaži”, u kojem stoji: “Stavili su nas u ćeliju, ali to zapravo nije ćelija, nego više kao garaža, s plavim vratima i pločicama. Ispred je parkiralište i policijska postaja”. “Kad nas je policija uhvatila, nisu nam dali ništa. Tamo je bio neki stari kruh, dosta star. Zatražio sam taj kruh, ali mi ga nisu dali”, opisuje jedan od migranata.

      Ponukani ovim svjedočanstvima i opisima garaže za mučenje, nedavno smo posjetili Korenicu. Na ulazu u Korenicu primjećujemo jedan policijski auto parkiran kraj šume, i policajca koji se upravo izvlači iz šume prema autu. Tijekom zimskih mjeseci mogli smo čitati kako “službenici postaje granične policije Korenice provode mjere pojačanog suzbijanja nezakonitih migracija”. U razgovoru s mještanima doznajemo kako su pojačane policijske snage u okolici u posljednje vrijeme, a izbjeglice i migrante se intenzivno traži po okolnim brdima.

      Prilikom našeg kratkog boravka u Korenici, ispred policijske postaje se izmijenio velik broj policajaca, dolazili su i odlazili autima i kombijima. Osim policajaca u redovnim uniformama, bilo je i obučenih u tamnozelene uniforme. U postaju dolaze i kombiji bez policijskih oznaka, a prisutni su i policajci u civilnoj odjeći.

      Prednji dio postaje sastoji se od velike zgrade s mnogo prozora, dok je unutarnji dio kompleksa ograđen i s malim dvorištem na kojem je parkirano nekoliko policijskih automobila i kombija, uz prostorije koje nalikuju na garaže, s plavim vratima. Te prostorije s jedne strane gledaju i na obližnje dječje igralište i na tom dijelu nema nijednog prozora. U dvorištu se nalaze i Toi Toi WC-i.

      U najnovijem svjedočanstvu koje je dokumentirao Border Violence Monitoring stoji: “Možemo ići samo dva puta dnevno na zahod, ujutro i navečer. Za ovo nas se vodi van u dvorište, gdje se nalaze tri plastična WC-a”, što ukazuje da postoji mogućnost da se radi upravo o ovoj policijskoj postaji. Aktivisti nam potvrđuju kako su svjedočanstva o “garaži” postala učestalija i sve detaljnija u opisima.

      I u svjedočanstvima iz ožujka izbjeglice i migranti navode kako su bili zatvoreni satima bez vode i hrane, te su iz nužde morali urinirati u kutu prostorije. “Bili smo kao kokoši. Ne želim se prisjećati tog trenutka. Bili smo poput životinja”, opisuje jedan migrant. “Pod je betoniran, hladno je, moramo spavati na njemu. Postoji samo jedna slavina za vodu i mali grijač na zidu. Vrata su plava i na njima je ispisano na mnogo jezika, datumi, imena i mjesta. Pakistanski, alžirski, marokanski, iranski, sirijski, odasvud”, opisuje se.

      Kad su pušteni iz pritvora garaže, kažu, policija ih je ostavila u planinskom području i poslala da hodaju kilometrima natrag prema Bihaću. Učestalo se spominje oduzimanje novca i mobitela i vrijednih stvari koje migranti sa sobom nose.

      Procedure odvraćanja izbjeglica i migranata obično se izvode iza zatvorenih vrata i u skrovitim područjima, čime se umanjuje rizik da će biti onih koji će im svjedočiti. Paralelu možemo povući i sa tzv. trećestupanjskim policijskim ispitivanjima.

      “Većina trećestupanjskih ispitivanja događala se tijekom pritvaranja na izoliranim lokacijama, uključujući policijske postaje, garaže, ponekad i hotele i mrtvačnice. Ali obično se takva mučenja događaju u pozadinskim sobama, incommunicado prostorijama, posebno dizajniranima u ove svrhe. U javnosti se postojanje takvih prostorija poriče, a njihovo održavanje zahtjeva šutnju čitavog sustava. Policija je rijeko kažnjavana za brutalne metode ispitivanja, korištene za izvlačenje priznanja, ali i da se ’nepoželjne’ otjera iz grada”, navodi se u radu Police Interrogation and Coercion in Domestic American History: Lessons for the War on Terror, Richarda A. Leoa i Alexe Koenig.

      “Ovakve prakse postaju sredstvo putem kojeg policija nadilazi svoju ispitivačku ulogu, pojačava svoju moć i zaobilazi ulogu koja je dizajnirana kako bi se spriječila koncentracija i zlouporaba moći od strane države”, zaključuju autori.

      Brutalne prakse zlostavljanja i prisilnih protjerivanja koje provode policijski službenici na hrvatskoj granici i o kojima sad već postoje kontinuirana i detaljna svjedočanstva, protivne su i domaćim i međunarodnim zakonima te direktivama.

      “Premlaćivanje i deportacija ljudi protivni su zabrani kolektivnih protjerivanja (Članak 4 Protokola 4 ECHR) i zabrani mučenja i nečovječnog ili ponižavajućeg postupanja ili kazni (Članak 3 ECHR)”, navodi se u Petom izvještaju o nezakonitim protjerivanjima i nasilju Republike Hrvatske, koji su nedavno objavile organizacije Are You Syrious?, Centar za mirovne studije i Incijativa Dobrodošli.

      Vraćanje migranata u Bosnu i Hercegovinu bez uzimanja u obzir osobnih okolnosti svakog pojedinog slučaja, a posebice zanemarujući njihovu potrebu za međunarodnom zaštitom, pa čak i na izričito traženje azila, uporaba sredstava prisile te ponižavanje ozbiljna su povreda izbjegličkih i migantskih prava, ali i enorman prijestup MUP-a, na što je upozoravala i pučka pravobraniteljica.

      MUP-u smo uputili upit za komentar o opžubama za nasilje i mučenje od strane hrvatske policije, kao i za slučaj “garaže” koju se povezuje s policijskom postajom u Korenici. Upitali smo ih i jesu li, s obzirom na svjedočanstva koja se pojavljuju od prosinca, reagirali na optužbe i posvetili se detaljnoj istrazi i uvidu u potencijalne prijestupe i prekoračenja policijske ovlasti u Korenici. Do zaključenja teksta odgovor na upite nismo dobili.

      Kada su u pitanju optužbe za policijsko nasilje, u prijašnjim reakcijama iz MUP-a su isticali kako “prilikom postupanja prema migrantima policija poštuje njihova temeljna prava i dostojanstvo te im omogućuje pristup sustavu međunarodne zaštite, ukoliko im je takva zaštita potrebna, sukladno općim dokumentima o ljudskim pravima, regulativi EU-a te nacionalnom zakonodavstvu. Želimo naglasiti nultu stopu tolerancije ovog ministarstva na nezakonitu uporabu sredstava prisile od strane hrvatske policije naspram bilo koje populacije, kao i nultu stopu tolerancije nad neprocesuiranjem bilo kojeg kaznenog djela ili prekršaja počinjenog od strane policijskih službenika”.

      Kako je moguće da se u zemlji “nulte stope tolerancije na nezakonitu upotrebu sredstava prisile” kontinuirano pojavljuju svjedočanstva o garažama za mučenje? Ostaje nam zapitati se je li zaista moguće da su sva ova detaljna svjedočanstva, koja se u mnogočemu podudaraju, prikupljena u različitim vremenskim periodima, od ljudi čiji se putevi uglavnom nisu sreli, lažna? Volonteri i aktivisti koji prikupljaju svjedočanstva također se rotiraju i dolaze iz različitih organizacija, pa je i njihova “sugestivnost” faktor koji bi se moglo prekrižiti.

      Garaža za mučenje mali je prostor, ali je bijeg od suočavanja s njenim postojanjem velik i indikativan. Arundhati Roy piše: “Ne postoje oni koji nemaju glas. Postoje samo oni koji su namjerno ušutkani i oni koje biramo da ne čujemo.”

      https://www.h-alter.org/vijesti/garaza-za-mucenje-migranata
      #Korenica

      Commentaire reçu par email de Inicijativa Dobrodosli, le 22.05.2019 :

      H-alter published a text based on refugee testimonies and previously published reports of torture in a blue-coloured door garage that may correspond to the description of the police station in Korenica, located near the children’s playground. The testimonies describe denial of food, limited use of toilet and physical violence that occurs not only at the border but also in the depths of the Croatian territory.

    • ‘Nobody Hears You’ : Migrants, Refugees Beaten on Balkan Borders

      Migrants and refugees say they continue to face violence at the hands of police while trying to cross the Balkan peninsula.

      It was supposed to have closed. But migrants and refugees from the Middle East, Asia and Africa are still crossing the Balkan peninsula en route to Western Europe. Many report brutality at the hands of the police.

      In April this year, some 3,600 migrants and refugees – mainly from Afghanistan and Iran – were registered in Serbia, according to the United Nations refugee agency, UNHCR.

      Bosnia last year registered 25,000, though only 3,500 chose to stay in the country while the rest crossed quickly into European Union member Croatia.

      No Name Kitchen, NNK, an NGO assisting migrants and refugees, says police violence is on the rise.

      Between May 2017 and May last year, NNK recorded 215 reported cases of push-backs by Croatian police to Serbia, of which 45 per cent involved physical violence.

      Between May 2017 and December last year, there were 141 push-backs from Croatia to Bosnia, NNK reported, of which 84 per cent involved violence.

      Croatian authorities denied police used violence against migrants and refugees, telling BIRN that such accusations were often made up.

      BIRN journalists spoke to a number of refugees and migrants in Serbia, Bosnia and Slovenia about their experiences with Croatian police. Most chose to be identified only by their first names.

      Ahmed: ‘Nobody hears you’

      “They make the music loud and start beating us, one by one. With sticks, electrical sticks…,” said Ahmed, a Moroccan who had spent the past month in a migrant camp in the small Serbian border town of Sid.

      Ahmed said he had tried several times to cross the nearby border into Croatia, running a gauntlet known among migrants and refugees as ‘The Game’, but had been turned back each time by Croatian police.

      “I’ve been captured and they turn me back, beat me and turn me back,” he told BIRN. “They would come out from the car, one by one and they start, like that until you scream and nobody hears you,” he said.

      Ali: ‘Police have no heart’

      Ali and a group of friends had made it into Croatia from Bosnia in April and walked for six days in the direction of Slovenia.

      “Police officers, they caught us and after that, they brought us in the police station and we were for four hours in the police station like a prisoner and after that… they beat us,” he told BIRN in the northwestern Bosnian town of Bihac, a hub for migrants and refugees trying to cross the Croatian border.

      “Police have no heart. They don’t want to see that the guys are human. It’s really horrible.”

      Nue: ‘I don’t have a country’

      Some of those BIRN spoke to said they were fleeing repression in their own countries.

      Nue, a Palestinian now also stuck in Sid, said: “My country, I don’t have a country because I am from Palestine… I have ID just to say I am from Palestine.”

      Nue said that when he tried to cross the border, he was caught by the Croatian police. He pointed to a cut on his head.

      “When he’s [the police officer] catching me, he does like this,” he said, imitating being beaten. “I have to just stay in the tent because maybe I have a problem in my head because [the beating was] very strong.”

      Nue said he was now sleeping in the street.

      Another man, in the centre of Sid, said police were also violent towards his wife, who was nine months pregnant when BIRN spoke to the couple.

      “They don’t care if she’s pregnant or not,” he said. “There is no human qualities in them, you understand. I never seen such people.”

      Muhamed: Old and new injuries

      Muhamed, from Tunisia, said he had been in Serbia for six weeks having been beating by police on the Croatian border.

      “They done with you everything,” he said, and showed injuries he said were inflicted the day before by Croatian police.

      Muhamed said he was beaten for 10 minutes and then sent back to Serbia.

      “Everytime, doing this, everytime, look, this old and this new,” he said, pointing to the bruises and cuts.

      Khalid: It was necessary

      In a migrant camp in Slovenia, Khalid, from Eritrea, said he had been deported back to Bosnia eight times.

      “I came to Ljubljana by walk,” he said.

      “[Croatian police] deported me eight times – four times to [Velika Kladusa] and four times to Bihac. They beat us, and they take [our] phones. They make many things.”

      Though he personally had not faced violence, Khalid said he knew of many others who had.

      “All the people now, they forget everything because they crossed the borders and also we have to tell them sorry, we cross your country… It was necessary to do it.”

      Activist: ‘It’s worse and worse’

      Diego Menjibar, an activist with No Name Kitchen, told BIRN:

      “They are beaten by batons in borders. Also, with fist, kicking them. We have a lot of cases every week of people beaten with batons, with physical violence, also verbal violence and some of them, they also passed out while they [were] beat, so we have a doctor here.”

      Menjibar spoke in a disused factory in Sid that is now filled with tents for migrants and refugees. Roughly 100 pass through the camp each day.

      “We talk with the people in the squat and we listen what they say and every time it’s worse and worse,” he said.

      Beaten around the legs

      In April, Swiss broadcaster SRF and the crew of the TV programme “Rundschau” spent three weeks in the fields on the Bosnian-Croatian border speaking to migrants and refugees in the moment after they were turned back by Croatian police.

      “I was literally running after these people when they came down [after being deported],” SRF journalist Nicole Vögele told BIRN. “I was aware that now what we really need is a full line of evidence.”

      In May, SRF broadcast a piece showing Croatian police pushing back migrants and refugees into Bosnia. Vögele said many sustained injuries to their legs from being beaten by police with sticks.

      “Most of them were showing me the [lower] parts of the legs,” Vögele said. “Two days later, I asked them if they have same traces because just an hour after the beating, as you can imagine you can see a bit of red. But two days later it is clearly visible.”

      In the SRF report, an Afghan family, including small children, spoke of bring stopped in the forest by Croatian policemen.

      “They pointed their guns at us and said ‘Stop’. We were very scared and cried,” said the oldest of the children. When the family asked for asylum, the police officers laughed and said that they would be given “Bosnian asylum” – meaning that they would be deported back to Bosnia.

      Injuries

      The Serbian-based NGO Asylum Protection Centre has also gathered extensive evidence of Croatian police brutality.

      In late April, Rados Djurovic, the director of the centre, said instances of violence were on the rise.

      The NGO has also gathered evidence of migrant families, including children, being starved and exhausted and illegally pushed back into Serbia by Hungarian police.

      Police denial

      The office of the Croatian ombudsperson said it had acted in more than 50 cases concerning refugees and migrants.

      The cases “often involve complaints on various grounds, including police treatment,” the office said in a written reply to BIRN.

      Most complaints concerned Croatian and Hungarian police.

      “The complaints relate to various types of violence, from hits by hands and sticks to the bite of official dogs,” the office said.

      The local health centre in Bihac, in northwestern Bosnia, said it saw up to 10 cases of violent injuries each month, “but injuries are done by various subjects, i.e. the internal conflicts of migrants, third parties and / or police”.

      Croatia’s interior ministry said it had looked into all complaints of alleged coercive measures against migrants and that none had warranted further criminal investigation.

      “In all these cases, detailed field inspections were carried out in police administrations, and so far in none of the cases have been found that police officers are using forced means against migrants,” it told BIRN.

      The ministry stressed its respect for the fundamental rights and dignity of migrants and that it used “prescribed procedure for returning to the country from which they illegally entered into the Republic of Croatia.”

      “Migrants are most often falsely accusing police officers of violence, expecting such accusations will help them with a new attempt to enter the Republic of Croatia and continue their journey towards the destination countries,” it said.

      In Bosnia, a police spokesman in the Una-Sana canton, where Bihac is located, said police had not received any complaints of violence against migrants and refugees by Bosnian police.

      https://balkaninsight.com/2019/06/13/nobody-hears-you-migrants-refugees-beaten-on-balkan-borders

    • Un monde de murs : en Bosnie, la matraque et les poings comme frontière

      L’Europe a fait tomber ses murs mais bétonne ses frontières. Depuis 2018, des milliers de personnes tentent de traverser le corridor croate depuis la Bosnie pour atteindre l’espace Schengen. Migrants et ONG dénoncent des refoulements ultra-violents.

      Le camp de #Vučjak est situé sur une ancienne décharge. D’après le responsable de la Croix-Rouge, du méthane s’échappe du sol dans certaines zones. Autour des terrains empruntés chaque jour par les migrants sont susceptibles d’abriter des #mines_antipersonnel. - Kristof Vadino.

      Ici, on appelle ça le « #game ». Tenter de franchir la frontière entre la Bosnie et la Croatie et atteindre la Slovénie puis l’Italie sans se faire pincer. Le « game », Anwar peut en parler : il a « joué », il a perdu. Ils sont un petit groupe d’adolescents pakistanais et afghans dans le coin d’une grande tente du camp de Vučjak, dans les montagnes du nord de la Bosnie, à manger à même le sol le deuxième (et dernier) repas de la journée. Certains sont majeurs. « La police a tout pris : mes vêtements, mes chaussures… Ils ont tout jeté dans le feu. Et puis, ils ont frappé, fort », raconte le jeune Pakistanais. Parce qu’on demande, il précise : coups de poing, coups de pied, coups de matraque. « Ils nous ont poussés dans la rivière, l’eau était vraiment très froide, mais ils nous ont forcés à rester là deux heures. Ensuite, on a dû monter dans un véhicule et ils ont mis la climatisation à fond. » Ils ont été renvoyés pieds nus dans la forêt.

      Si, à vol d’oiseau la frontière n’est qu’à quelques kilomètres du camp, il faut plusieurs heures de marche pour passer la montagne, notoirement habitée par loups, serpents et ours (un psychologue croate de Médecins du Monde raconte avoir suivi une enfant traumatisée après que sa famille a été prise en chasse par un ours). Cette fois-ci, Anwar s’en sort bien, des contusions mais pas de blessures. Celle d’avant, au tibia, a cicatrisé. Une fois, il est parvenu à marcher pendant dix jours en Croatie. Il approchait de la frontière slovène lorsqu’on l’a attrapé. « A chaque fois, ils nous lâchent dans la montagne quand ils nous ramènent. » Les violences ? « Toujours. » Un ami l’a dépanné d’une paire de chaussures et de vêtements, mais il faudra quelque temps avant de réunir à nouveau le matériel nécessaire pour camper dans la « jungle » le long des routes croates. Avant d’avoir une opportunité avec les passeurs aussi. Le tarif : 1.200 euros – payables à l’arrivée – pour rejoindre Trieste à pied depuis la Bosnie. L’option « taxi » est beaucoup plus sûre, mais trois à quatre fois plus chère.

      « C’est dur », mais pas question de dévisser de l’objectif. « Inch Allah, je retenterai et je rejoindrai la Belgique », assure Anwar, dans un grand sourire fayot. « Il n’y a pas de vie pour nous au Pakistan. » Autour, les copains qui comprennent un peu l’anglais acquiescent, sérieux.
      Une petite équipe pour 700 hommes

      L’acharnement, c’est l’impossibilité de faire machine arrière : la dette contractée auprès de sa famille – les terres vendues, les sacrifices pour financer le voyage –, l’obligation de réussite. C’est aussi que, si violentes que puissent être les fins de partie, le « game » vaut le coup. Depuis 2018, un peu plus de 50.000 migrants sont entrés en Bosnie. D’après les chiffres de l’Organisation internationale pour les migrations (OIM), ils seraient actuellement autour de 7.000 sur le territoire ; 700 ont fait le choix de rentrer dans leur pays d’origine. Les autres sont vraisemblablement passés en Europe.

      Comme beaucoup, Anwar a passé quelques nuits devant les portes de Bira, le vaste entrepôt qui parque depuis un an plus de 1.500 hommes, mineurs isolés et familles à quelques kilomètres de là. Il est complet en permanence (1.800 personnes en ce moment). L’espace permettrait de rajouter des containers pour ouvrir 500 places supplémentaires, mais le gouvernement local restreint strictement la capacité. Les conditions sont rudes mais, à côté du camp « cauchemar » de Vučjak, c’est trois étoiles. « J’ai dit à la barrière de Bira que j’avais 17 ans », raconte Anwar. « Mais ils n’ont pas voulu que j’entre. » Il a fini par lâcher l’affaire et revenir au camp.

      Dans la tente des garçons, le container de la Croix-Rouge locale conserve les pains qui restent du petit-déjeuner. Les retardataires et retournés frappent régulièrement à la porte pour en récupérer. « It’s oooooopeeeeeen. » Affalé sur la table, le garçon aux traits tirés retire prestement le masque médical en se redressant. Mohamed Cehic gère la toute petite équipe de la Croix-Rouge qui tente tant bien que mal, seule, de répondre aux besoins des 700 hommes du camp. Cinq « volontaires » mobilisés sept jours par semaine. Il est épuisé. « Rien à voir avec le travail, j’ai juste mal dormi », assure le responsable. Avant de prendre les rênes du camp, il avait travaillé un mois dans les centres gérés par l’OIM, où la Croix-Rouge assure la distribution des repas. Et avant cela, il était à l’école. Il a 19 ans.

      « On fait tout : on a monté les tentes, on collecte et distribue la nourriture, les vêtements, tout », explique Mohamed Cehic. « Ce n’est pas un camp, je dirais plutôt un… site de transit. La situation n’est pas bonne. Ce n’est pas facile pour les gens. » Il est parfois interrompu par les puissantes rafales de vent qui rabattent pluie et branches contre la paroi du container. Reprend quand cela se calme. « L’hiver approche. C’est la montagne ici, il fait beaucoup plus froid qu’en ville. Ça va vite devenir très difficile. » Est-ce qu’il y a d’autres questions, parce qu’il devrait y aller là, il y a encore… beaucoup.
      « Si une solution n’est pas trouvée rapidement, les gens vont mourir »

      Dehors, les sollicitations reprennent. Deux hommes reviennent de l’unité mobile que Médecins sans frontières fait désormais venir quatre fois par semaine à un kilomètre de là (il n’y avait avant cela aucun accès à l’aide médicale). Ils ont un papier certifiant leur diagnostic : tuberculose. Il faut organiser leur transport à l’hôpital. Entendant parler de « docteur », d’autres arrivent. Un homme a le poignet blessé. « Police. » Il a improvisé un bandage avec un t-shirt déchiré et de la ficelle. Un autre encore ; une plaie suinte à travers le tissu à sa cheville. « C’est trop tard pour le docteur. Demain. » L’eau dans la tente ? « Je sais, on n’a rien pour réparer. » Médicament ? Vêtements ? Non ; plus tard : désolé, je ne peux rien faire ; demain. « Je ne sais pas si on pourra continuer comme ça », reconnaît Mohamed Cehic. « Les autorités ont dit que le camp fermerait le 15 novembre, mais honnêtement, je ne sais plus à qui faire confiance. » Même la nourriture manque. Dans son dernier rapport, la Croix-Rouge affirme ne pas parvenir à fournir les 2.200 calories minimum nécessaires. Le chef de mission de l’OIM, Peter Van der Auweraert, est, lui, plus catégorique : « Si une solution n’est pas trouvée rapidement, les gens vont mourir. »

      Vučjak n’a rien d’un camp spontané. Il résulte de la volonté du gouvernement cantonal d’éloigner les migrants des centres-villes et des habitations. Nouvellement empruntée, la route bosnienne a vu le nombre de migrants soudainement augmenter début 2018, passant de 1.116 personnes en 2017 à 23.848 l’année suivante. Même si un centre d’accueil existe à Sarajevo (saturé, comme les autres), la population se concentre dans le seul canton d’Una Sana, très proche de la Slovénie et de l’Italie. Ce qui a pesé sur la population. En l’espace de dix mois, la police du canton a ouvert 185 dossiers criminels à l’encontre de migrants, incluant un meurtre, trois tentatives de meurtre et des intrusions dans des maisons (« Plutôt en quête d’abris que de vol », nuance le porte-parole de la police). Des migrants étaient victimes dans 26 dossiers. Mais s’agissant de Vučjak, l’OIM et la plupart des autres organisations (y compris l’Union européenne, qui finance tous les centres) ont refusé de jouer le jeu. Le site, une ancienne décharge, n’a pas été testé pour sa toxicité. Sans eau courante, ni électricité, il est entouré de zones toujours susceptibles d’abriter des mines antipersonnel, résidus de guerre.
      Violences policières

      Seule la Croix-Rouge a répondu à l’appel du gouvernement et jongle depuis avec des bouts de ficelle. Enfin, des colsons pour l’heure, seul moyen de rabibocher les tentes déchirées par les intempéries. Au petit matin, les hommes transis de froid se rassemblent près des feux aux abords des tentes. Voire à l’intérieur. C’est dangereux, mais comme tout. Encore emmitouflé dans une mince couverture, un homme se lance dans une grande supplique à l’Union européenne. « Vous nous repoussez, d’accord, mais s’il vous plaît, arrêtez de nous punir. Arrêtez les violences. »

      La violence « supposée » de la police croate, toutes les personnes rencontrées qui sont revenues de la frontière disent en avoir fait l’expérience. Les estropiés qui « se sont fait mal » en tentant de traverser font désormais partie du paysage cantonal. Tant à Vučjak que dans les rues et les centres gérés par l’OIM. Comme Ghulem, 38 ans, croisé à Miral, le centre de Velika Kladusa, dans son fauteuil roulant. Lorsque ses amis l’ont ramené du « game » il y a un mois, incapable de tenir sur ses jambes, les médecins ont fait une radio. Mais on ne lui a jamais communiqué les résultats. Il peut légèrement les bouger maintenant, pas plus. Il a mal, surtout le soir. C’était sa première tentative. Un seul coup de matraque sous les genoux. Il y pense tout le temps. Des migrants racontent que la police tape toujours plus dur sur les Pakistanais – majoritaires en ce moment – sans qu’on sache pourquoi.

      Naeem était presque en Italie, lorsque la police slovène l’a intercepté et remis aux forces croates. Retour à la montagne. Le bâton a frappé tellement fort qu’il a creusé des trous dans la chair. Sa jambe a doublé de volume avec l’infection. Un mois plus tard, les plaies suintent encore à travers les pansements. Il a de la chance, il a accès à un docteur.
      Histoires de disparitions

      Contactée, la Commission européenne assure prendre la situation très au sérieux et attend que la Croatie la « tienne informée ». Fin 2018, Bruxelles débloquait une enveloppe de 6,8 millions d’euros pour permettre à la Croatie de renforcer le contrôle de ses frontières – condition pour une intégration future du pays dans l’espace Schengen – « dans le respect du droit de l’Union européenne ». Outre l’achat de matériel, la création de nouveaux postes-frontières et le renforcement des équipes, l’argent devait financer un « monitoring indépendant », censé essentiellement passer en revue les procédures en place. Quant aux violences policières et au déni d’asile, la Croatie « s’est engagée à enquêter sur toute allégation de mauvais traitement de migrants et réfugiés à la frontière ». Le ministère de l’Intérieur croate n’a pas donné suite à nos requêtes (refusant par ailleurs l’accès à un centre d’accueil de Zagreb).
      Quotidien de migrant

      Le monitoring se fait surtout du côté des ONG. Une poignée d’organisations actives dans les Balkans alimente continuellement le Border Violence Monitoring de rapports d’entretiens menés avec des migrants, souvent complétés de rapports médicaux corroborant les témoignages. De quoi conforter l’idée d’un usage systématique de la violence incluant torture par le froid, passage à tabac, destructions des biens et vêtements et, dans certains cas, des morsures de chiens, os brisés par des coups de bâton…

      L’angle mort pour l’heure, ce sont les disparitions. Dans les camps circulent de nombreuses histoires de noyade lors de la traversée de la Glina, la rivière qui sépare la Bosnie de la Croatie. Mais elles restent quasi impossibles à documenter. Alertées par les migrants, les ONG ont amené (poussé) la police bosnienne à découvrir trois corps – dont un dans la rivière – depuis le mois de septembre, induisant ainsi l’ouverture d’enquêtes. Depuis son lit superposé dans l’immense dortoir de Miral, un garçon essaie de se faire entendre, cherche du regard un Pakistanais capable de traduire. « S’il vous plaît, mes amis, ils sont restés là-bas. » Quatre jours plus tôt, il a laissé quatre compagnons dans les bois, à proximité de la frontière slovène, raconte-t-il. « Ils ont mangé des baies empoisonnées. Ils ne se sont pas réveillés. » Les informations lui manquent, il n’a pas de données GPS. « C’est près d’un village. S’il vous plaît. Il faut les aider. »

      Déni d’asile

      L.K.

      D’après les témoignages de migrants et d’organisations locales, de nombreux cas de refoulements se feraient depuis les commissariats de police croates, seuls endroits où les personnes peuvent déclarer leur intention de demander l’asile. « Il est déjà arrivé que des personnes viennent directement dans nos locaux, qu’on les renvoie vers les commissariats… et qu’elles se retrouvent en Bosnie le lendemain », raconte Tajana Tadic, de l’association citoyenne Are you Sirious. « Ça nous met dans une situation compliquée. C’est délicat de demander aux gens de faire confiance une autorité dont ils ont peur, tout en sachant qu’ils ont de bonnes raisons de se méfier. »

      La Croatie, cela dit, accueille des demandeurs d’asile. Des familles surtout. Médecins du Monde y assure le screening médical et les consultations psychologiques. « On constate essentiellement des maladies de peau, des blessures traumatiques et des problèmes respiratoires. Côté psychologique, leur esprit est encore tourné vers la route, l’urgence d’avancer. Ce n’est qu’après quelque temps que les problèmes apparaissent, quand ils sortent du “mode survie” », explique une psychologue. « On voit des symptômes dépressifs, des crises de panique, de l’anxiété, des troubles de stress post-traumatiques… »

      https://plus.lesoir.be/259302/article/2019-11-08/un-monde-de-murs-en-bosnie-la-matraque-et-les-poings-comme-frontiere
      #Vucjak #the_game #Cazin #Bihac #Vedika_Kladusa

    • Réfugiés en Bosnie-Herzégovine : à la frontière croate, le « game » a repris

      Bloqués depuis la mi-avril par les mesures de confinement liés à la pandémie, les candidats à l’exil sont de plus en plus nombreux à reprendre la route de Bihać pour tenter de passer en Croatie puis se diriger vers l’Europe occidentale. Malgré les violences, les humiliations et les actes de torture commis par la police, dénoncés par Amnesty international (https://www.amnesty.be/infos/actualites/article/croatie-violences-policieres-torture-infligees-migrantes)

      « Je vais en Italie. J’ai fait 100 km à pied pour arriver ici », raconte Velid, un Afghan. Trois jours plus tôt, il est parti du camp de Blažuj, près de Sarajevo, afin d’essayer de passer la frontière croate par Bihać, dans le nord-ouest de la Bosnie-Herzégovine. Velid dort dans des bâtiments abandonnés en attendant de tenter le « game ». « Je n’ai rien à boire ni à manger. Les conditions de logement sont mauvaises, sans eau, ni électricité. On a essayé d’aller dans un camp officiel, mais les gens de la sécurité nous disent qu’il n’y a pas de place pour nous. ». Velid est accompagné d’Abdul Samed, lui aussi venu de Blažuj avec l’objectif de rallier l’Italie.

      Muhamed Husein est Pakistanais. Il y a trois semaines, il logeait au camp Lipa, à 30 km de Bihać. Il a fini dans les locaux désaffectés de Krajinametal après avoir échoué à passer la frontière croate. « Nous sommes arrivés dans ce bâtiment. Nous n’avons pas d’eau, pas de chaussures. Le camp de Lipa est plein et de nouvelles personnes arrivent. Quand on essaie de pénétrer en Croatie, la police nous attrape et nous reconduit à la frontière. Mais nous, on veut aller en Italie. »

      Suite à l’assouplissement des mesures de lutte contre la pandémie, l’arrivée de réfugiés et de migrants sur le territoire du canton d’Una-Sana (USK) est en forte hausse. Selon les informations de la police locale, ces dix derniers jours, 1500 à 2000 nouveaux réfugiés et migrants seraient entrés dans le canton. « Chaque jour, entre 100 et 150 nouveaux migrants en moyenne arrivent dans notre canton en autocar, depuis Sarajevo, Tuzla et Banja Luka », confirme Ale Šiljededić, porte-parole de la police de l’USK. « Comme nous avons pu nous en assurer lors de nos contrôles, certains ont des cartes de camps en activité en Bosnie-Herzégovine, plus précisément à Sarajevo, ce qui signifie qu’ils en partent librement, sans le moindre contrôle ni surveillance. »

      Dans le canton de Bihać, les autorités sont inquiètes

      Selon les autorités municipales, l’augmentation des arrivées à Bihać réveille la crainte que la situation ne revienne à son état d’avant l’état d’urgence, quand les bâtiments abandonnés, mais également les parcs de la ville, étaient devenus des lieux de rassemblement et de vie pour les migrants faute de place dans les camps officiels saturés. « Il n’y a pas eu de nouvelles arrivées pendant la pandémie », précise Ale Šiljededić. « Nous avons vidé les bâtiments squattés et installé les migrants dans le camp Lipa. Ces jours-ci, ces espaces se remplissent à nouveaux, car les centres d’accueil affichent complet. »

      Selon les données de l’Organisation internationale pour les migrations (OIM), en charge de la gestion des camps officiels en Bosnie-Herzégovine, 3500 migrants séjournent actuellement dans les camps du Canton d’Una-Sana, dont 1200 dans le nouveau camp de Lipa. Autre problème pour les autorités municipales, le camp de Bira, situé dans la ville de Bihać, dont la fermeture traîne depuis des mois. D’après l’OIM, il accueille à l’heure actuelle quelque 610 migrants. « Bira doit fermer, c’est notre objectif à long terme, mais fermer Bira et avoir des milliers de migrants dans la nature et dans les rues, ce n’est pas non plus une solution », a déclaré le maire Šuhret Fazlić lors d’une conférence de presse le 4 juin.

      Sur la base des conclusions du Groupe opérationnel de suivi de la crise migratoire dans le Canton d’Una-Sana, la police contrôle les autocars qui entrent sur le territoire du canton. « Malheureusement, nous n’arrivons pas complètement à dissuader les migrants d’entrer dans le canton, car la majorité d’entre eux poursuit son chemin vers Bihać à pied ou par d’autres moyens », précise Ale Šiljededić.

      Les migrants ont le même objectif que les Bosniens

      Azra Ibrahimović-Srebrenica, directrice du camp d’Ušivak, près de Sarajevo, confirme que les migrants sont à nouveau en mouvement. Pendant le confinement, il y avait dans ce centre d’accueil dirigé par l’OIM environ 900 migrants, ils ne sont plus que 400 aujourd’hui. « Leur objectif n’est pas la Bosnie-Herzégovine, mais les pays d’Europe occidentale », rappelle-t-elle. « Toute surveillance de la direction du camp cesse quand les migrants les quittent », poursuit-elle. « D’après ce qu’ils nous disent, ils utilisent les transports publics, selon l’argent dont ils disposent. Certains paient leur voyage, et ceux qui ne peuvent pas s’acheter un billet partent à pied. »

      Les restrictions de déplacement des migrants sont-elles toujours en vigueur ? Pour l’OIM, « depuis l’adoption de la décision du Conseil des ministres sur la restriction des déplacements et du séjour des étrangers, qui a suivi l’annonce officielle de la pandémie de Covid-19, il est impossible de quitter les centres d’accueil temporaires de manière régulière ». Cette décision, adoptée le 16 avril, interdit les déplacements et le séjour des sans-papiers en dehors des centres d’accueil. Mais les migrants, comme l’a confirmé l’OIM, quittent en général les camps en sautant les barrières.

      La population locale est inquiète, « mais c’est principalement à cause des préjugés envers les migrants », affirme la directrice du camp Ušivak. L’objectif de ces derniers, rappelle-t-elle, est exactement le même que celui des citoyens bosniens qui quittent le pays : une vie meilleure. « Les gens se font des idées fausses et des préjugés sur la base de quelques individus problématiques. En réalité, nous avons dans nos centres des gens charmants, bien élevés, éduqués, cultivés, des sportifs talentueux, comme ce groupe de six footballeurs qui se sont entraînés avec le petit club près du camp. Nous avons aussi des musiciens, des enseignants, des médecins... » Selon les données de l’OIM, il y aurait actuellement sur l’ensemble du territoire de la Bosnie-Herzégovine, plus de 5700 migrants logés dans les sept centres d’accueil sous sa tutelle.

      https://www.courrierdesbalkans.fr/A-la-frontiere-Bosnie-Herzegovine-Croatie-les-migrants-tentent-de

  • Interpellation | Encadrement des réfugiés par la société ORS. Transparence exigée
    https://asile.ch/2017/07/05/interpellation-encadrement-refugies-societe-ors-transparence-exigee

    Le Conseiller national Balthasr Glättli (Groupe des Verts) a déposé, le 14 juin 2017, une motion demandant des détails sur les conditions d’adjudication des mandats d’hébergement et d’encadrement à la société ORS. Il demande notamment plus de transparence sur les conditions requises auprès de cette entreprise par le Département fédéral de justice et police (DFJP) […]

  • RTS | Des voix s’élèvent contre la prise en charge des migrants par des entreprises privées
    http://www.asile.ch/vivre-ensemble/2015/08/27/rts-des-voix-selevent-contre-la-prise-en-charge-des-migrants-par-des-entrepris

    Amnesty International dénonce la situation dans le centre de migrants de Traiskirchen en #Autriche. L’organisation pointe du doigt la surpopulation et les conditions d’hygiène déplorables qui y règnent. Or ce centre est géré par la filiale autrichienne de l’entreprise privée zurichoise ORS. Une nouvelle qui relance le débat sur l’encadrement des requérants par des privés.

    #Documentation #Publications_-_Analyses_récentes #privatisation

  • Privatisierung bei Flüchtlingslagern ist gescheitert

    Die Schweizer Asylfirma #ORS hat die Zustände menschenunwürdigen Zustände in Flüchtlingslagern nicht gewollt. Aber sie ist vor allem ihren Aktionären verpflichtet.

    http://www.derbund.ch/ausland/europa/privatisierung-bei-fluechtlingslagern-ist-gescheitert/story/20864328
    #privatisation #asile #réfugiés #centres_d'accueil #migrations #Suisse #Autriche #Allemagne #Traiskirchen #travail #conditions_de_travail #actionnariat

    • Schweizer Firma kassiert Millionen für ein Flüchtlingslager in Österreich, wo 1500 Menschen unter freiem Himmel schlafen müssen

      Im österreichischen Flüchtlingslager in Traiskirchen herrschen prekäre Verhältnisse. Es fehlt an fast allem, nicht einmal Betten gibt es. Für die Betreuung der Asylbewerber ist die Schweizer Firma ORS zuständig. ORS reagiert jetzt und hat eine Untersuchung angeordnet.

      http://www.watson.ch/Schweiz/International/932476539-Schweizer-Firma-kassiert-Millionen-f%C3%BCr-ein-Fl%C3%BCchtlingslag

    • Regardez ce que l’ORS écrivait sur son site... bilan de leur activité de l’année 2014 :
      Retour sur une année riche en événements

      Le flux continu de réfugiés en direction de l’Europe s’est accompagné d’une hausse des demandes d’asile en Suisse depuis le milieu de l’année. De juillet à septembre 2014, la Suisse a ainsi enregistré un total de 7825 demandes d’asile, soit près de 45% de plus qu’au deuxième trimestre 2014 (5384 demandes d’asile) et près de 65% de plus qu’à la même période de l’année précédente. Cette progression est due au nombre toujours élevé de réfugiés qui ont traversé la Méditerranée pour se rendre au sud de l’Italie avant de poursuivre leur route vers le nord. Ces chiffres ont aussi eu un effet sur le travail de l’ORS : de nouveaux hébergements – durables et temporaires – ont été ouverts au niveau fédéral et dans les cantons, parfois comme prévu, parfois dans l’urgence. Nous souhaitons revenir rapidement sur certaines de ces évolutions.

      http://www.ors.ch/fr-CH/News/2014/Retour-sur-une-annee-riche-en-evenements?feed=News

    • Endergebnisse der Amnesty International Research-Mission in Traiskirchen

      Traiskirchen ist ein Symptom systematischer Mängel in Österreichs Umgang mit Asylwerbern. Die Research-Mission von Amnesty International stellte ernsthafte Verletzung von bindenden Stan-dards in der Bundesbetreuungsstelle Traiskirchen fest. Heinz Patzelt, Generalsekretär von AI Österreich beschreibt die Situation als „Strukturelles Versagen“.

      https://www.amnesty.at/media/1929/endergebnisse-der-amnesty-international-research-mission-in-traiskirchen.pdf

    • Erstes Undercover-Video und Augenzeugenberichte aus 
Erstaufnahme-Zentrum Traiskirchen

      Seit mehreren Wochen herrschen chaotische Zustände. Österreich verletzt fast alle Menschenrechtskonventionen.Traiskirchen gilt mittlerweile als das Symbol für das Versagen der Regierungen in der Flüchtlingshilfe. Markus S. dokumentierte entsetzliche Zustände im Erstaufnahme-Zentrum.

      Irgendwann reichte es Markus S. – er hatte so viele gegensätzliche Informationen über die Situation im Erstaufnahmezentrum Traiskirchen gehört, dass er beschloss, sich selbst ein Bild zu machen. Er begab sich heimlich und mit einer versteckten Kamera in die Einrichtung. Seine Mutter stammt aus Afghanistan, er spricht Farsi.

      Donnerstag, acht Uhr: 3400 Menschen leben noch in Traiskirchen, 200 davon sind obdachlos. Immer noch ist das Lager knapp doppelt überbelegt, aber die Zeltstadt aus gespendeten Zelten ist endlich abgebaut. Fast hat es den Anschein einer leichten Entspannung in den vergangenen Wochen. Ein junger Österreicher widerspricht: „Ich war zweieinhalb Tage im Lager und hatte sogar Probleme, irgendwo Klopapier zu finden“, sagte er Markus S. (Name geändert).

      Er sprang am Sonntag über die schlecht bewachte Mauer des Lagers. Er blieb bis Dienstag unerlaubt und unentdeckt im Lager und filmte die empörenden Zustände. Was er sah, schockierte ihn.

      Keine Mülleimer, alles liegt auf den Lagergängen
      „In den Häusern gibt es keine Mülleimer, auf keinem Stockwerk. Die Asylwerber lagern den Müll in den Ecken“, sagt S.. Nur einmal am Tag wird aufgeräumt. Deutschkurse seien völlig gestrichen worden, um weiteren Wohnraum für die Flüchtlinge zu schaffen.
      Schwarzmarkt

      Ständig fahren vor den Toren des Lagers Menschen mit gesammelten Hilfslieferungen vor. Doch: „Einige junge Männer stehen am Zaun und nehmen Spenden entgegen, die sie dann im Lager verkaufen, gegen andere Güter tauschen oder für sich behalten.“ Dinge, die abgegeben werden, kommen nur so dorthin, wo sie jetzt am meisten gebraucht werden: „Den Sicherheitsleuten ist völlig egal, was passiert. Sie spielen auf dem Handy oder tratschen.“

      Eine der wenigen Beschäftigungsmöglichkeiten ist jene als so-genannter Remunerant für die das Lager betreuende Firma ORS. Für drei Euro pro Stunde können die Asylsuchenden etwa Reinigungsarbeiten erledigen. Doch die Wartelisten sind lang – erst nach drei bis vier Monaten habe man eine Chance, eingeteilt zu werden.
      Müll am Gang

      Wer einen Job ergattert, muss etwa Müll einsammeln. S. nahm Bilder von Müllbergen auf. Das Problem sei, dass es zu wenige Mistkübel gibt. Den Bewohnern bleibt nichts anderes übrig, als den Müll in den Gängen abzustellen. „Natürlich stinkt das dann.“

      Wie schon Amnesty International machte auch S. die Erfahrung, dass die hygienischen Zustände katastrophal sind. Weder bekämen die Bewohner Seife, Shampoo oder Zahnbürsten, noch gäbe es Klopapier. Wie die Leute dann ihr Geschäft verrichten? „Ich weiß ehrlich nicht, wie sie das lösen.“ Zumindest bei den Duschen sei nachgebessert worden: Dort seien nun Vorhänge angebracht.

      S. testete auch die medizinische Versorgung. Unter dem Vorwand akuter Bauchschmerzen ging er zu den Ärzten. Dort wurde er wieder weggeschickt. Bereits Ärzte ohne Grenzen hatten kritisiert, dass die behördlich vorgesehene Untersuchung der Neuankömmlinge zuerst stattfindet, auch wenn bereits untergebrachte Patienten über akute Beschwerden klagen.
      Auch Markus Keller bestätigte uns die Situation, er war am 26.August vor Ort.

      Kurzbericht: Ich war heute das erste mal in Traiskirchen und da ich alleine mit Leela (Hund) gefahren bin, wusste ich nicht so recht, was ich mitnehmen sollte. Hab mich dann für Papier und Filzstifte entschieden, damit sich die Kids dort beschäftigen können.

      Das Positive: Auf mich machte es einen recht ordentlichen Eindruck, es gibt offenbar genug zu Essen (sogar genug, dass bereits überraschend viel irgendwo stehen und liegen gelassen wird). Das aber offenbar nur dank freiwilliger Helfer, die mit mobilen Küchen und Obst etc. dort hinkommen.
      Dass bei so vielen Menschen, die auf engsten Raum zusammengepfercht werden, entsprechender Mist nicht ausbleibt, ist klar (man gehe nach dem Fest mal auf die Donauinstel!).

      Auch beim Roten Kreuz hat sich der Ansturm in Grenzen gehalten und es ist – soweit ich das sehen konnte – alles in halbwegs geordneten Bahnen abgelaufen. Auch von den meisten anderen Dingen (Kleidung, Spielsachen, Stofftiere, etc.) dürfte es ausreichend geben, da sehr viel davon am Boden herum liegt.

      Zwar ist es ganz sicher nicht schön, dort sein zu müssen, aber auf mich hat es jetzt nicht nach „humanitärer Katastrophe“ ausgesehen (was vor ein paar Tagen/Wochen vermutlich noch anders war).

      Jedenfalls sind Leela und ich durch die Gegend gepilgert und haben an die Kids die Malsachen ausgeteilt … und das war zweifellos das Highlight meines Tages – die Gesichter, die zaghaften Annäherungsversuche an Leela [ist noch kein Jahr alt, hat aber 30 KG – ist also „auf Augenhöhe“ mit den Kindern und wie die anfängliche Furcht blitzartig wie weggeblasen war.
      (eine Gruppe von Kids wollte ich dann fotografieren, die Bilder sind aber leider nichts geworden)

      …und dann kam der Dämpfer:

      Durch die Gitter musste ich mitansehen, wie die „Security“ Zelte abreißt, die darin befindlichen Sachen auf den Boden schmeißt und die zur Reinigung eingeteilten Flüchtlinge diese Sachen dann in Müllsäcke gestopft haben (wie müssen DIE sich dabei wohl fühlen???). Was dort an Lebensmitteln, Wasser, Kinderspielsachen, Malbüchern und anderen Habseligkeiten einfach in den Müll geworfen wurde, während die Besitzer offenbar draußen unterwegs (oder bereits deportiert) waren, strotzt jeglicher Beschreibung.
      Dinge, die vermutlich erst vor Tagen engagierte Bürger/innen gekauft und den Menschen geschenkt haben! Leute, die vielleicht selbst kaum Geld haben, aber trotzdem etwas tun wollen – und dann wird das einfach entsorgt!

      Ich habe mich dann kurz mit einem „Zaungast“ darüber unterhalten und ihm ist es offenbar ähnlich gegangen wie mir – wir konnten nur mit riesigen Augen da stehen und die Köpfe schütteln.

      Was geht in einem „Menschen“ vor, der so etwas tut?
      Und das Argument „das ist mein Job“ gilt nicht!
      Da geh ich lieber Scheißhäuser putzen als so einen unwürdigen und asozialen Job zu machen!
      Sogar beim Heer gibt es die Regel, dass ein Soldat einen unmoralischen Befehl verweigern muss! Nicht „kann“! Er MUSS ihn verweigern!

      Fazit: Die Menschen, mit denen ich (mit Händen und Füßen) „gesprochen“ habe – Leela war hier ein wunderbarer „Eisbrecher“ – sind unter den gegebenen Umständen recht gut drauf, sie sind ruhig und führen sich auch so auf, wie „es sich gehört“ (mir wäre nichts aufgefallen, das unsere „besorgten Bürger“ irgendwie ankreiden könnten).

      Die Behandlung durch UNS (Regierung/Sicherheitskräfte/Behörden) jedoch erachte ich als Schande! Ich schäme mich zutiefst, dass „mein Land“ so mit Menschen umgeht, die alles verloren haben und hier bei uns Hilfe suchen!

      Und ich fühle mich hilf- und machtlos angesichts so vieler hilfesuchender Menschen auf der einen und solcher unmenschlichen Bestien auf der anderen Seite!

      Noch ein Zeugenbericht von John S. ebenfalls am 26.August in Traiskirchen:

      Heute wurden alle Zelte auf dem Gelände des EAZ Traiskirchen entfernt. Die den Flüchtlingen gespendeten Zelte wurden von der Security abgerissen und auf ein Auto geworfen, die zur Reinigung eingeteilten Flüchtlinge stopften die Habseligkeiten ihrer Leidensgenossen in blaue Müllsäcke. Was damit geschah ist unbekannt – die Zelte, die nun mal Eigentum der Flüchtlinge sind, dürften ihnen nicht mehr ausgehändigt worden sein.
      Einer von vielen Rechtsbrüchen.

      Wie auf dem Luftbild zu sehen ist, sind 63 kleine und 34 doppelt so große Zelte zu erkennen – vermutlich sind hinter dem SIAK-Gebäude noch mehr kleine Zelte aufgestellt worden.
      Die Liegen stehen in den scheinbar vollbelegten Zelten extrem dicht beieinander, was eine geschätzte Belegung pro kleinem Zelt von 12 Personen ausmacht.
      In Summe wären somit ca. 1572 Flüchtlinge am SIAK-Gelände in Zelten untergebracht.

      Aufgenommen am Freitag, 14. August 2015 in Traiskirchen. – FOTO: APA/HELMUT FOHRINGER
      Darf eine private Firma an der Betreuung von Asylbewerbern Geld verdienen?

      Mit Recht kann man fragen, warum die Betreuung von Asylsuchenden einem gewinnorientierten Unternehmen anvertraut wird. Schließlich könnte eine Firma versucht sein, wenig Geld in die Qualität der Betreuung zu stecken, um dafür mehr in der eigenen Kasse zu behalten.

      Auch in Deutschland oder Österreich ist die ORS AG tätig. So unter anderem in Bayern: Künftig sollen dort bis zu 400 Asylbewerber in rund 60 Zimmern untergebracht werden. Für den Betrieb hat die Regierung erstmals ein einziges Privatunternehmen engagiert: Die ORS Deutschland GmbH übernimmt die komplette Versorgung. Die Firma ist erst seit vergangener Woche im Handelsregister angemeldet und eine Tochter der Schweizer ORS Service AG. In der Schweiz betreibt das Unternehmen sein Geschäft seit mehr als 20 Jahren und betreut nach eigenen Angaben mehr als 4500 Asylsuchende.

      Immer mehr Flüchtlinge suchen in Österreich Zuflucht. Täglich werden über 300 Asylgesuche gestellt. Doch viele Gemeinden wollen keine Flüchtlinge aufnehmen. Die Regierung möchte deshalb 500 Asylsuchende in die Slowakei auslagern. Die Slowakei stellt die Unterkunft und die Verpflegung zur Verfügung. Das ist der Campus einer technischen Universität in Gabčíkovo in der Nähe von Bratislava. Die Asylverfahren werden aber von den österreichischen Behörden durchgeführt. Für die Sicherheit wird die Schweizer Firma ORS zuständig sein. Diese betreut bereits mehrere Flüchtlingsheime in Österreich, darunter das in Traiskirchen.

      Doch die ORS ist vor allem eine gewinnorientierte Aktiengesellschaft. Einst begann sie als einfache Personalvermittlungsfirma. Heute gehört das Unternehmen mit über 300 MitarbeiterInnen einer Private-Equity-Firma und einer Holding im steuergünstigen Kanton Zug (vgl. «Die Firmenstruktur der ORS»). Sie profitierte in den neunziger Jahren von der behördlichen Vorliebe für Outsourcing und drängte die Hilfswerke als Dienstleister aus dem Markt.

      Betrug der Umsatz der ORS im Jahr 1998 laut Medienberichten noch 20 Millionen Franken, hat er sich in der Zwischenzeit fast verdreifacht: Im Jahr 2010 setzte die ORS gemäß Wirtschaftsauskunftsdienst Teledata 55 Millionen Franken um. Und macht dabei Kasse mit den Asylsuchenden.
      Mit der Betreuung von Asylbewerbern lässt sich gutes Geld verdienen. Das zeigt die ORS Service AG, die sich innerhalb von 20 Jahren aus dem Nichts zu einem Unternehmen mit 70 Millionen Franken Umsatz entwickelt hat.

      Die Vorteile der ORS sind ihre Größe, ihre Flexibilität und ihre finanziellen Möglichkeiten. Dank der starken Marktstellung können Synergien genutzt und Kosten gesenkt werden – mit der Beteiligungsgesellschaft Invision Private Equity steht ein potenter Investor im Hintergrund. Die ORS AG gehört zur OX Holding. Seit 2009 ist die Beteiligungsgesellschaft Invision Hauptaktionär der OX Holding und damit auch der ORS AG. Die genauen Beteiligungen werden genauso wenig kommuniziert wie die Besitzverhältnisse bei Invision.

      Seit Anfang 2012 betreibt die ORS AG auch die vier Erstaufnahmezentren in Österreich. Laut offizieller Auskunft erhielt die ORS-Vorgängerin European Homecare (EHC) 2011 10,2 Millionen Euro für diese Aufgabe. EHC hatte den Vertrag mit der Regierung 2010 gekündigt – wegen Unrentabilität. Könnte das auch der ORS passieren, wenn weniger Flüchtlinge kommen?
      Der Aufstieg

      Als in den 1980er-Jahren Tausende Tamilen auf der Flucht vor dem Krieg in Sri Lanka in die Schweiz kamen, war die Infrastruktur für ihre Unterbringung praktisch inexistent. Privatpersonen und gemeinnützige Organisationen nahmen sich ihrer an, viel basierte auf Improvisation und freiwilligem Engagement. In den folgenden Jahrzehnten kamen Kurden und Bosnier, Albaner und Somalier – mit der Menge an Asylsuchenden erhöhte sich auch der Gesamtumsatz in der Betreuungsarbeit.

      1992 entdeckt die ORS Service AG das Geschäft für sich. Als der Kanton Baselland beim Stellenvermittlungsunternehmen Adia Interim (heute Adecco) anfragt, ob man die Betreuung einer Asylunterkunft in Liestal übernehmen könne, wird kurzerhand die Tochterfirma ORS gegründet. Im selben Jahr überträgt das damalige Bundesamt für Flüchtlinge der neu gegründeten Firma die Betreuung in den Empfangszentren des Bundes in Basel, Kreuzlingen, Chiasso und Carouge. 1998 betrug der Umsatz der Firma laut Medienberichten noch rund 20 Millionen Franken. Heute setzt die ORS in der Schweiz und in Österreich insgesamt geschätzte 70 Millionen Franken um. Quelle
      InfoBox:

      Die Firma ORS Services SA (Organisation für Regie und Spezialaufträge) wurde 1977 als Personalvermittlungsfirma in Lausanne gegründet. 1992 änderte sie ihren Namen in ORS Service AG und verlegte den Sitz nach Zürich. Der Zweck laut Handelsregister: Dienstleistungen im Personalbereich.

      Der Einstieg ins Asylwesen gelang dem Unternehmen 1991 im Kanton Baselland: Der damalige SVP-Regierungsrat Werner Spitteler beauftragte die ORS mit der Betreuung einer Asylunterkunft in Liestal. Ein Jahr später erhielt die ORS vom heutigen Bundesamt für Migration zum ersten Mal den Auftrag, Asylsuchende in den Empfangszentren Basel, Kreuzlingen, Chiasso und Carouge zu betreuen. Auch im Kanton Zürich, wo die ORS seit 1998 Betreuungsaufgaben wahrnimmt, erhielt sie den Zuschlag von der SVP – der damaligen Regierungsrätin Rita Fuhrer.

      Die ORS gehört laut Wirtschaftsauskunftsdienst Teledata der Private-Equity-Firma Invision. Das Unternehmen ist über einen Fonds namens Invision IV an der OX Holding beteiligt, die «Outsourcing-Lösungen» über ihre operative Geschäftseinheit ORS anbietet. Sowohl die OX Holding als auch Invision sind im steuergünstigen Kanton Zug beheimatet. Die Private-Equity-Firma will der WOZ auf Anfrage keine geschäftlichen Informationen über Beteiligungen preisgeben, schließlich sei man «eine private Gesellschaft». Sie bestätigt aber, dass sie seit 2009 an der ORS beteiligt ist – jedoch «nicht zu hundert Prozent».

      Im Frühjahr 2007 änderte die ORS Service AG laut Handelsregister den Geschäftszweck. Seither kann sie «alle kommerziellen und finanziellen Geschäfte durchführen, die der Verwirklichung ihres Zwecks förderlich sind», also auch Darlehen an oder Finanzierungen von Mutter- und Tochtergesellschaften.

      Derartige oder ähnliche Firmenstrukturen findet man im Kanton Zug häufig, oft bei ausländischen Firmen, die ihren Holdingsitz in die Innerschweiz verlegen, um innerhalb des Unternehmens Gewinne zu verschieben und so Steuern zu «optimieren».

      Invision ist eine führende, in der Schweiz und Deutschland ansässige Private Equity Gesellschaft mit Fokus auf kleine und mittelgrosse Unternehmen in Europa, insbesondere der DACH-Region. Seit 1997 hat Invision in über 50 Unternehmen investiert.
      In 2013 hat Invision den neuesten Fund, Invision V, in der Höhe von EUR 285 Mio. aufgelegt.

      Invision wurde als Investitionsdivision der Metro Holding gegründet
      Invision vollzog ein Spin-off aus der Metro Gruppe und fusionierte mit Aureus Private Equity
      Der Fund Invision IV wurde in der Höhe von EUR 185 Mio. aufgelegt
      Invision legte den neusten Fund, Invision V, mit Kapital von EUR 285 Mio. auf
      2014 eröffnete Invision eröffnet in Büro in Deutschland. http://www.invision.ch/de/geschichte.html

      Zusätzliche Informationen:

      Unterlassene Hilfeleistung für Flüchtlinge : Offener Brief – dem schließen wir uns an

      Outsourcing von Problemen – Troubleshooter ORS oder doch nur Gierschlund im Asyl-Megaprofitmachen?

      Eine Schande! Friedensnobelpreisträger EU mit Schlagstöcken und Tränengas gegen Flüchtlinge

      Aus allem wird ein Geschäft und die Flüchtlinge verkommen zu einer Ware – überall lauern irgendwelche Profitjäger, die mit den Flüchtlingen Kasse machen wollen, und auch wenn diese schon längst nichts mehr haben, dann wartet am Ende der Schlange ein privater Konzern, der die Flüchtlinge betreut, ORS AG.

      Netzfrauen Lisa Natterer und Doro Schreier

      https://netzfrauen.org/2015/08/28/erstes-undercover-video-und-augenzeugenberichte-aus-%E2%80%A8erstaufnahm
      via @_kg_

  • Austria: overwhelmed refugee centre closes to new arrivals

    One of Austria’s largest refugee centres is closing to new arrivals because it is bursting at the seams.

    The facility, in #Traiskirchen, south of Vienna, is designed to take up to 1,800 people. But more than double that number have reportedly arrived, forcing many to sleep outside with whatever bedding they can muster.

    http://www.euronews.com/2015/08/04/austria-overwhelmed-refugee-centre-closes-to-new-arrivals
    #Autriche #migration #réfugiés #asile #afflux #vocabulaire #terminologie #logement #hébergement