• Inchiesta su #Ousmane_Sylla, morto d’accoglienza

    A distanza di un mese dal suicidio di Ousmane Sylla nel #Cpr di #Ponte_Galeria, il 4 febbraio 2024, sono emersi nuovi elementi sulla sua triste vicenda, non raccontati nelle prime settimane. La prima cosa che sappiamo ora per certo è che Ousmane voleva vivere. Lo dimostrano i video e le foto che ho avuto da persone che lo hanno conosciuto, che lo ritraggono mentre balla, gioca, canta, sorride e scherza con il suo compagno di stanza. La sua vita però è stata stravolta da una violenza ingiustificabile, che scaturisce dalle dinamiche perverse su cui si basa il nostro sistema di accoglienza (ma non solo) e che impongono di farsi delle domande.

    Già nei primi giorni dopo la morte si venne a sapere che Ousmane aveva denunciato maltrattamenti nella casa famiglia di cui era stato ospite, prima di essere trasferito al Cpr di Trapani. Gli avvocati che si stanno occupando del caso e alcune attiviste della rete LasciateCIEntrare hanno rintracciato la relazione psico-sociale redatta dalla psicologa A.C. del Cpr di Trapani Milo il 14 novembre 2023. Era passato un mese dal suo ingresso nella struttura, a seguito del decreto di espulsione emesso dalla prefettura di Frosinone in data 13 ottobre 2023.

    La relazione dice che Ousmane “racconta di essere arrivato in Italia sei anni fa; inizialmente ha vissuto in una comunità per minori a Ventimiglia in Liguria, poi una volta raggiunta la maggiore età è stato trasferito presso la casa famiglia di Sant’Angelo in Theodice (Cassino). Racconta che all’interno della struttura era solito cantare, ma questo hobby non era ben visto dal resto degli ospiti. Così, un giorno, la direttrice del centro decide di farlo picchiare da un ospite tunisino. In conseguenza delle percosse subite, Sylla si reca al consiglio comunale di Cassino, convinto di trovarsi in Questura, per denunciare la violenza di cui si dichiara vittima”.

    La casa famiglia di Sant’Angelo in Theodice è menzionata anche sulla scritta lasciata da Ousmane – sembrerebbe con un mozzicone di sigaretta – su una parete del Cpr di Roma, prima di impiccarsi a un lenzuolo, la notte tra il 3 e il 4 febbraio 2024.

    “LASCIATEMI PARLARE”
    Sulle cronache locali della Ciociaria, l’8 ottobre 2023 venne pubblicata la notizia di un giovane profugo africano presentatosi in consiglio comunale venerdì 6 ottobre (due giorni prima) per denunciare di aver subito violenze fisiche e maltrattamenti nella casa famiglia di cui era ospite, in questa frazione di Cassino di circa cinquecento abitanti. “Lasciatemi parlare o mi ammazzo”, avrebbe gridato, secondo Ciociaria oggi, che riferiva inoltre che “il giovane adesso ha paura di tornare nella casa famiglia”. La struttura era stata inaugurata sei mesi prima, il 3 aprile 2023, dal sindaco di Cassino Enzo Salera, originario proprio di Sant’Angelo, e dall’assessore con delega alle politiche sociali Luigi Maccaro, alla presenza del funzionario dei servizi sociali, Aldo Pasqualino Matera. Si trovano diversi articoli datati 4 aprile 2023, corredati di foto della cerimonia e della targa con il nome della casa famiglia. La struttura si chiamava Revenge, che significa rivincita ma anche vendetta.

    La casa famiglia è stata chiusa tra dicembre e gennaio per “irregolarità”; le indagini sono ancora in corso. Era gestita dalla società Erregi Progress s.r.l.s. con sede in Spigno Saturnia, in provincia di Latina; la titolare della società e responsabile della casa famiglia è Rossella Compagna (non Campagna, come riportato in alcune cronache), affiancata nella gestione dall’avvocato Michelangiolo Soli, con studio legale a Minturno. Oggi sappiamo che mancavano le autorizzazioni della Asl locale all’apertura, e altri adempimenti; e che la maggior parte degli operatori che si sono succeduti nel corso dei circa nove mesi di apertura non ha mai percepito lo stipendio, né la malattia: almeno quelli che non erano vicini alla responsabile. Alcuni di essi hanno fatto causa alla società e sono in attesa di risarcimento. Altri non avevano neanche le qualifiche per operare in una struttura per minori stranieri non accompagnati.

    Sono stata a Sant’Angelo in Theodice e ho incontrato diverse persone che hanno conosciuto Ousmane, che lo hanno seguito e aiutato durante il mese e mezzo circa della sua permanenza in paese. Grazie a loro ho potuto capire chi era Ousmane e ciò che ha vissuto in quel periodo. Ousmane è arrivato a Sant’Angelo tra la fine di agosto e l’inizio di settembre, insieme a un ragazzo marocchino, oggi maggiorenne. Provenivano da Ventimiglia, dove avevano trascorso insieme circa un mese in un campo della Croce Rossa Italiana, prima di essere trasferiti nella casa famiglia di Cassino. Ousmane non era però “da sei anni in Italia”, come trascritto dalla psicologa del Cpr di Trapani nella sua relazione. Sembrerebbe che fosse arrivato l’estate prima, nel 2023, a Lampedusa, come si intuisce anche dalla sua pagina Fb (“Fouki Fouki”). Il 3 agosto ha pubblicato un video in cui canta sulla banchina di un porto, quasi certamente siciliano. Forse era arrivato nella fase di sovraffollamento, caos e ritardi nei trasferimenti che spesso si verificano sull’isola in questa stagione. Avrebbe poi raggiunto Roma e successivamente Ventimiglia.

    Il suo “progetto migratorio” era quello di arrivare in Francia, dove ha un fratello, cantante rap e animatore d’infanzia, Djibril Sylla, che ho incontrato di recente: è venuto a Roma per riconoscere il corpo di Ousmane e consentirne il ritorno in Africa. Ousmane parlava bene il francese e lo sapeva anche scrivere, come dimostra la scritta che ha lasciato sul muro prima di uccidersi. Con ogni probabilità è stato respinto al confine francese, verso l’Italia. Ousmane non era minorenne; si era dichiarato minorenne probabilmente perché né allo sbarco né al confine con la Francia ha potuto beneficiare di un orientamento legale adeguato che lo informasse dei suoi diritti e delle possibilità che aveva. Il regolamento “Dublino”, in vigore da decenni, prevede che i migranti restino o vengano rinviati nel primo paese in cui risultano le loro impronte (ci sono delle apposite banche dati europee), impedendo loro di raggiungere i luoghi dove hanno legami e comunità di riferimento o semplicemente dove desiderano proseguire la loro vita.

    Una volta respinto, però, anziché fare domanda di protezione internazionale in Italia, Ousmane si è dichiarato minore, pur essendo ventunenne. Non sarà facile ricostruire chi possa averlo consigliato, guidato o influenzato in queste scelte e nei suoi rapporti con le autorità, dal suo arrivo in Italia in poi. Sappiamo, tuttavia, che dichiarandosi “minore” ha determinato l’inizio, incolpevole e inconsapevole, della fine della sua breve vita, non più in mano a lui da quel momento in poi.

    Dichiarandosi maggiorenne, Ousmane avrebbe potuto presentare una domanda di protezione. Nel paese da cui proveniva, la Guinea Conakry, vige una dittatura militare dal 2021. I migranti possono chiedere protezione internazionale se manifestano il timore, ritenuto fondato da chi esamina il loro caso, di poter subire “trattamenti inumani e degradanti”, ovvero un danno grave, nel proprio paese di provenienza, laddove lo Stato di cui sono cittadini non fornisca loro adeguate protezioni. A Ousmane è accaduto l’inverso: i trattamenti inumani e degradanti li ha subiti in Italia.

    Sin dal suo arrivo nella casa famiglia di Cassino, Ousmane ha patito uno stillicidio di vessazioni, minacce e deprivazioni, come ci riferiscono tutte le persone che lo hanno assistito e accompagnato in quel mese e mezzo, che testimoniano delle modalità inqualificabili con cui veniva gestita quella struttura, della brutalità con cui venivano trattati gli ospiti, del clima di squallore e terrore che vigeva internamente. Abbiamo ascoltato i messaggi vocali aggressivi che la responsabile inoltrava ai suoi operatori, sia ai danni degli operatori che degli ospiti, scarsamente nutriti e abbandonati a sé stessi, come appare anche dalle foto. Ousmane, a causa del suo atteggiamento ribelle e “resistente”, sarebbe stato punito ripetutamente con botte, privazione di cibo, scarpe, coperte e indumenti, e di servizi cui aveva diritto, non solo in quanto “minore”, ma in quanto migrante in accoglienza: per esempio, l’accesso ai dispositivi di comunicazione (telefono e scheda per poter contattare i familiari), la scuola di italiano, il pocket money.

    Tutte le persone con cui ho parlato sono concordi nel descrivere Ousmane come un ragazzo rispettoso, intelligente, altruista e sensibile; sano, dinamico, grintoso, si ispirava alla cultura rasta e cantava canzoni di rivolta e di libertà in slang giamaicano e in sousou, la sua lingua madre. La sua unica “colpa” è stata opporsi a quello che vedeva lì, riprendendo con foto e video le ingiustizie che subiva e vedeva intorno a sé. A causa di questo suo comportamento è stato discriminato dalla responsabile e da alcuni personaggi, come un ragazzo tunisino di forse vent’anni. Dopo un mese di detenzione lo stesso Ousmane raccontò alla psicologa del Cpr di Trapani che la responsabile della casa famiglia l’avrebbe fatto picchiare da un “ospite tunisino”.

    Il 6 ottobre 2023, forse indirizzato da qualche abitante del luogo, Ousmane raggiunse il consiglio comunale di Cassino, nella speranza che le autorità italiane potessero proteggerlo. Una consigliera comunale con cui ho parlato mi ha descritto lo stato di agitazione e sofferenza in cui appariva il ragazzo: con ai piedi delle ciabatte malridotte, si alzava la maglietta per mostrare i segni di percosse sul torace. Ousmane non fu ascoltato dal sindaco Salera, tutore legale dei minori non accompagnati della casa famiglia. Ousmane fu ascoltato solo dalla consigliera che comprendeva il francese, in presenza di poche persone, dopo che il sindaco e la giunta si erano allontanati. A quanto pare quel giorno si presentò in consiglio anche una delegazione di abitanti per chiedere la chiusura della struttura, ritenuta mal gestita e causa di tensioni in paese.

    Una settimana dopo, il 13 ottobre, Ousmane tornò al consiglio comunale, dichiarando di essere maggiorenne. Pare che prima avesse provato a rivolgersi alla caserma dei carabinieri – chiedeva dove fosse la “gendarmerie” – per mostrare i video che aveva nel telefono: la sua denuncia non fu raccolta, perché in quel momento mancava il maresciallo. Di nuovo, forse non sapremo mai da chi Ousmane sia stato consigliato, guidato e influenzato, nella sua scelta di rivelare la sua maggiore età. Perché non gli fu mai consentito di esporre denuncia e di ottenere un permesso di soggiorno provvisorio, per esempio per cure mediche, o per protezione speciale, visto che aveva subito danni psicofisici nella struttura di accoglienza, e che voleva contribuire a sventare dei crimini?

    Come in molte strutture per minori migranti, la responsabile era consapevole della possibilità che molti dei suoi ospiti fossero in realtà maggiorenni. “Una volta che scoprono che sono maggiorenni, devono tornare a casa loro, perché le strutture non li vogliono”, spiega in un messaggio audio ai suoi operatori. In un altro dei messaggi che ho sentito, questa consapevolezza assume toni intimidatori: “Quindi abbassassero le orecchie, perché io li faccio neri a tutti quanti”, diceva. “Io chiudo la casa, e poi riapro, con altra gente. Dopo un mese. Ma loro se ne devono andare affanculo. Tutti! Ne salvo due o tre forse. Chiudiamo, facciamo finta di chiudere. Loro se ne vanno in mezzo alla strada, via, e io faccio tutto daccapo, con gente che voglio io. Quindi abbassassero le orecchie perché mi hanno rotto i coglioni”. Nello stesso messaggio, la responsabile aggiunge: “Tu devi essere educato con me; e io forse ti ricarico il telefono; sennò prendi solo calci in culo, e io ti butto affanculo nel tuo paese di merda”.

    La minore età può essere usata come arma di ricatto. I migranti che si dichiarano minori, infatti, entrano nel circuito delle strutture per minori stranieri non accompagnati, e ottengono un permesso di soggiorno per minore età appena nominano un tutore (solitamente il sindaco). In caso di dubbio sulla minore età questi vengono sottoposti ad accertamenti psico-fisici, che consistono nella radiografia del polso e in una serie di visite specialistiche presso una struttura sanitaria.

    Per l’accoglienza di un minore straniero non accompagnato, il ministero dell’interno eroga ai comuni che ne fanno richiesta (tramite le prefetture) dai novanta ai centoventi euro al giorno, che finiscono in buona parte nelle tasche degli enti gestori (che per guadagnare possono risparmiare su cibo, servizi, personale, in quanto non sono previsti controlli davvero efficaci sulla gestione dei contributi statali). Ma anche i comuni hanno da guadagnare sull’accoglienza ai minori. A questo proposito, vale la pena richiamare le parole pronunciate dall’assessore ai servizi sociali Maccaro in occasione dell’apertura della casa famiglia e riportate in un articolo di Radio Cassino Stereo, presente in rete: “Una nuova realtà sociale al servizio del territorio è una ricchezza per tutto il sistema dei servizi sociali che vive della collaborazione tra pubblico e privato sociale. Siamo certi che questa nuova realtà potrà integrarsi in una rete sociale che in questi anni sta mostrando grande attenzione al tema dei minori”.

    Le autorità possono in qualsiasi momento sottoporre i giovani stranieri non accompagnati ad accertamento dell’età. È così che questi ragazzi divengono vulnerabili e costretti a sottostare a qualsiasi condizione venga loro imposta, poiché rischiano di perdere l’accoglienza e finire nei Cpr. Molti migranti ventenni con un viso da adolescente, come Ousmane, vengono incoraggiati a dichiararsi minori: più ce ne sono, più saranno necessarie strutture e servizi ben sovvenzionati (molto più dei servizi per maggiorenni).

    NEL LIMBO DEI CPR
    Dopo la seconda apparizione in consiglio comunale, il 13 ottobre, anziché essere supportato, tutelato e orientato ai suoi diritti, Ousmane è stato immediatamente colpito da decreto di espulsione, e subito trasferito (il 14 ottobre) nel Cpr di Trapani Milo, dove trascorrerà tre mesi. Inutile il tentativo dell’avvocato del Cpr Giuseppe Caradonna di chiederne dopo un mese il trasferimento, con una missiva indirizzata alla questura di Trapani, in cui scriveva “continua purtroppo a mantenere una condotta del tutto incompatibile con le condizioni del Centro [Cpr] (probabilmente per via di disturbi psichici derivanti da esperienze traumatiche) al punto da mettere a serio rischio la propria e l’altrui incolumità. A supporto della presente, allego una relazione psico-sociale, redatta in data odierna dalla dottoressa A.C., psicologa che opera all’interno della struttura, la quale ha evidenziato dettagliatamente la condizione in cui versa Ousmane Sylla. Pertanto, mi permetto di sollecitare un Suo intervento per far sì che quest’ultimo venga trasferito al più presto in una struttura più idonea e compatibile con il suo stato di salute mentale”.

    La psicologa aveva scritto: “Ritengo che l’utente possa trarre beneficio dal trasferimento presso un’altra struttura più idonea a rispondere ai suoi bisogni, in cui siano previsti maggiori spazi per interventi supportivi e una maggiore supervisione delle problematiche esposte”. Richiesta alla quale la questura di Trapani risponderà negativamente, con la motivazione che “lo straniero aveva fatto ingresso nella struttura munito di adeguata certificazione sanitaria che attesta l’idoneità alla vita in comunità ristretta e che costituisce condicio sine qua non per l’accesso all’interno dei Cpr”.

    Chi aveva redatto quella “adeguata certificazione sanitaria” di cui Ousmane era munito all’ingresso nel Cpr di Trapani, se ancora portava addosso i segni delle violenze subite, come testimoniato dalla consigliera cassinese che lo aveva ascoltato nella settimana precedente, rilevandone anche lo stato di estremo disagio psicologico?

    Ousmane affermava, ripetutamente, di voler tornare in Africa. Lo diceva anche alle operatrici della casa famiglia con cui abbiamo parlato: “Gli mancava la mamma”, hanno riferito, con la quale non poteva neanche comunicare, perché privato del telefono. Un’operatrice ricorda che una volta la disegnò, perché Ousmane amava anche disegnare, oltre che cantare e giocare a pallone. Studiava l’italiano con lei ed “era molto bravo”, dice, apprendeva rapidamente.

    Voleva tornare in Africa, non perché volesse rinunciare al sogno di una vita migliore in Europa, in Francia o in Italia, anche per poter aiutare la famiglia che vive in povertà in un sobborgo di Conakry (madre, sorelle e fratelli più piccoli), ma perché non aveva trovato qui alcuna forma di accoglienza degna di chiamarsi tale, se non nelle persone che lo hanno assistito, ascoltato e che testimoniano oggi in suo favore; persone che hanno fatto il possibile per lui, tuttavia non sono “bastate” a salvargli la vita; non per loro responsabilità, ma perché ignorate o sovrastate dalle istituzioni e dalle autorità che avrebbero potuto e dovuto tutelare Ousmane.

    Dopo tre mesi trascorsi nel Cpr di Trapani, Ousmane verrà trasferito a fine gennaio nel Cpr di Roma, per continuare a restare in un assurdo limbo, in condizioni “inumane e degradanti” nelle quali è ben noto versino i Cpr. L’Italia non ha accordi bilaterali con la Guinea Conakry, come con tanti altri paesi di provenienza dei migranti detenuti nei Cpr.

    Il 19 settembre 2023, il sito istituzionale integrazionemigranti.gov.it, informava che il giorno prima il Consiglio dei ministri aveva varato nuove norme contro l’immigrazione irregolare: “Si estende – come consentito dalla normativa euro-unitaria – a diciotto mesi (sei mesi iniziali, seguiti da proroghe trimestrali) il limite massimo di permanenza nei centri per il rimpatrio degli stranieri non richiedenti asilo, per i quali sussistano esigenze specifiche (se lo straniero non collabora al suo allontanamento o per i ritardi nell’ottenimento della necessaria documentazione da parte dei paesi terzi). Il limite attuale è di tre mesi, con una possibile proroga di quarantacinque giorni. […] Inoltre, si prevede l’approvazione, con decreto del presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del ministro della difesa, di un piano per la costruzione, da parte del Genio militare, di ulteriori Cpr, da realizzare in zone scarsamente popolate e facilmente sorvegliabili”. È il cosiddetto Decreto Cutro.

    Secondo la relazione del Garante nazionale per le persone private della libertà personale, sono transitate nei Cpr 6.383 persone, di cui 3.154 sono state rimpatriate. Quelle provenienti da Tunisia (2.308), Egitto (329), Marocco (189) e Albania (58), rappresentano il 49,4%. In base allo scopo dichiarato per cui esistono i Cpr, la maggioranza è stata trattenuta inutilmente.

    Come riporta il Dossier statistico sull’immigrazione 2023, “il governo si ripromette di aprire altri dodici centri, uno per ogni regione, in luoghi lontani dai centri abitati […]. Nei dieci centri attivi in Italia possono essere ospitate 1.378 persone. Tuttavia, complici la fatiscenza delle strutture e le continue sommosse, la cifra reale si dimezza. […] Dal 2019 al 2022, otto persone sono morte nei Cpr, in circostanze diverse. Infiniti sono i casi di autolesionismo e di violenza. Numerose sono le inchieste che confermano come in questi luoghi si pratichi abuso di psicofarmaci a scopo sedativo”.

    Il caso più noto è quello del ventiseienne tunisino Wissem Ben Abdel Latif, deceduto nel novembre 2021, ancora in circostante sospette, dopo essere rimasto legato a un letto per cento ore consecutive nel reparto psichiatrico del San Camillo di Roma. La detenzione amministrativa di Ousmane si sarebbe potuta protrarre molto a lungo, inutilmente. Sono pochissimi i migranti che a oggi beneficiano dei programmi di “rimpatrio assistito”, che prevedono anch’essi accordi e progetti con i paesi di origine per la loro effettiva attuazione. Con la Guinea Conakry non ci risultano accordi neanche sui rimpatri assistiti.
    Ousmane, trovato impiccato a un lenzuolo la mattina del 4 febbraio, non vedeva forse vie di uscita e ha scelto di morire per “liberarsi”, chiedendo, nel messaggio lasciato sul muro prima di togliersi la vita, che il suo corpo venisse riportato in Africa “affinché riposi in pace” e sua madre non pianga per lui. Alcuni migranti che hanno condiviso con lui la detenzione nel Cpr di Trapani, dicono fosse stato “imbottito di psicofarmaci”. A oggi, sono ancora tanti i lati oscuri di questa vicenda, ma sono in molti a invocare verità e giustizia per Ousmane Sylla, come per tutte le persone schiacciate dall’insostenibile peso del “sistema”, al quale alcune di esse – come Ousmane – hanno provato a ribellarsi, con coraggio e dignità.

    https://www.monitor-italia.it/inchiesta-su-ousmane-sylla-morto-daccoglienza
    #migrations #asile #réfugiés #Italie #décès #mourir_aux_frontières #morts_aux_frontières #Trapani #détention_administrative #rétention

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    Vu que Ousmane a été arrêté à Vintimille pour l’amener dans un centre de détention administrative dans le Sud de l’Italie et que, selon les informations que j’ai récolté à la frontière Vintimille-Menton, il avait l’intention de se rendre en France, j’ai décidé de l’inclure dans les cas des personnes décédées à la #frontière_sud-alpine.
    Ajouté donc à cette métaliste des morts à la frontière #Italie-#France (frontière basse, donc #Vintimille / #Alpes_Maritimes) :
    https://seenthis.net/messages/784767

  • «Trattenuti. Una radiografia del sistema detentivo per stranieri»
    https://www.meltingpot.org/2023/11/trattenuti-una-radiografia-del-sistema-detentivo-per-stranieri

    Un sistema inumano e costoso, inefficace e ingovernabile, che negli anni ha ottenuto un solo risultato evidente: divenire lo strumento per rimpatri accelerati dei cittadini tunisini, che nel periodo 2018-2021 rappresentano quasi il 50% delle persone in ingresso in un Centro di permanenza per il rimpatrio (CPR) e quasi il 70% dei rimpatri. Ma i migranti tunisini sono stati solo il 18% degli arrivi via mare nel 2018-2023. Quasi il 70% dei rimpatri dai CPR è di soli cittadini tunisini. Sono questi i tratti caratteristici del sistema dei CPR raccolti nel report “Trattenuti. Una radiografia del sistema detentivo per (...)

  • Italian prosecutor presses charges against the #Iuventa crew

    The Prosecutor of #Trapani officially charged 21 individuals and 3 organisations of aiding and abetting illegal immigration. All the accusations are related to operations conducted between 2016 and 2017. This is a political declaration of intent to criminalise solidarity, and it has a deadly consequence: people die, when they could be saved.

    The story
    As the EU transformed the Mediterranean sea into the deadliest border in the world, the rescue ship Iuventa, operated in a joint effort by more than 200 volunteers at sea, and supported by thousands on shore, started search and rescue operations in the central Mediterranean in July 2016. Their lifesaving efforts were forcibly stopped when, on the 2nd of August 2017, the ship was seized by the Italian prosecutor and ten people were put under investigation.

    More than three years after the seizure of the rescue ship Iuventa by Italian authorities, the Prosecutor of Trapani has declared the investigation against the Iuventa crew closed. The crew members who stand accused of aiding and abetting illegal immigration are facing up to 20 years in prison. Yet the legal fight is far from over.

    The legal case

    This day marks the beginning of the trial against the Iuventa crew despite initial accusation theories already having been publicly proven unfounded. The main so-called “eyewitness” who collected evidence against the Iuventa crew publicly revoked his testimony. He then stated to the press that he had been promised a job within the Italian right party Lega Nord in exchange for his witness statement. Furthermore, through a detailed reconstruction of events, renowned team of scientists „Forensic Architecture“, disproved the theses of the prosecution in a public analysis of Iuventa operations.

    “Saving lives is never a crime. We will prove that all the operations of the Iuventa crew were absolutely lawful. While the EU turned away from the Mediterranean transforming it into a mass grave for Europe’s undesirables, the crew of the Iuventa headed to sea as volunteers, in order to protect the fundamental rights to life and to seek asylum, as required by international law and before that by human solidarity”
    —> Francesca Cancellaro, lawyer of the group

    The crew
    While the EU turned away from the Mediterranean, paying militias to bring people back to places of abuse, and transforming the Mediterranean into a mass grave for Europe’s undesirables, the crew of the Iuventa headed to sea as volunteers, moved by an urge of
    solidarity.

    “Aslong as governments break their own laws, international conventions and maritime law, all accusations are like a joke to me. It would be funny if this joke didn’t mean death, distress and misery for the people on the move”
    —> Dariush, captain onboard the Iuventa

    “Although we stand accused, it is us who accuse European authorities of refusing safe passage and of letting people drown.”
    —> Sascha Girke, the former Head of Mission onboard the Iuventa

    https://iuventa10.org/2021/03/04/italian-prosecutor-presses-charges-against-the-iuventa-crew
    #Italie #condamnation #Iuventa #sauvetage #mer #Méditerranée #sauvetages_en_mer #migrations #justice (well...) #mer_Méditerranée #frontières #réfugiés #ONG #solidarité #criminalisation_de_la_solidarité

    • Message du team de la Iuventa :

      Cher(e)s ami(e)s, partisan(e)s et camarades,

      Après plus de 3 ans d’enquête, le procureur de Trapani (Sicile) a officiellement inculpé 21 individus et 3 organisations pour aide et encouragement à l’immigration illégale. Toutes ces accusations sont liées à des opérations conduites entre 2016 et 2017. Parmi ces individus sont des membres d’équipage de la Iuventa.

      Il s’agit ici d’une déclaration d’intention à criminaliser la migration et la solidarité - et les conséquences en sont fatales : des personnes meurent, alors qu’elles peuvent être sauvées !

      Nous nous battrons ! Il s’agit d’une affaire politique. Il ne s’agit pas de nous, mais de la politique meurtrière d’exclusion de l’UE et rien de moins que du droit à la vie que l’UE refuse systématiquement aux personnes.

      Nous avons besoin de votre soutien plus que jamais ! Le déroulement et l’issue de cette affaire dépendront énormément des médias et de l’opinion publique.

      Vous pouvez nous soutenir :

      En vous abonnant à nos réseaux sociaux et en publiant le contenu
      En transférant notre Communiqué de Presse à votre journaliste fiable (Ci-joint les version en Allemand, Anglais et Italien)
      En continuant à suivre nos chaînes pour plus d’informations - la lutte vient de commencer !

      Pour plus d’informations sur l’affaire et l’histoire de la Iuventa, vous pouvez visiter et partager notre site https://iuventa10.org

      Salutations solidaires !
      Iuventa Crew

      Message reçu via la mailing-list Migreurop, le 3 mars 2021

  • Rights in route. The “#quarantine_ships” between risks and criticisms

    The use of quarantine ships is one of the measures put in place by the Italian government to deal with the arrivals of foreign nationals in times of pandemic. Almost two months after the start of this experiment, it is possible to make a first assessment of the adequacy and criticism entailed in this measure.

    The first experiment was carried out on board the ship Rubattino, run by the Tirrenia company, which hosted 183 people between the 17 April and the 5 May. On the 19 April, the Ministry of Infrastructure and Transportations launched a procedure for the chartering of vessels for the assistance and “health surveillance” of migrants autonomously arriving on the Italian coasts or rescued in SAR operations. The #Moby_Zazà was then identified as a “quarantine ship” capable of accommodating up to 250 people. 160 migrants, whose Covid-19 test was finally negative, left the ship on the 30 May.

    The issue of the controversial interministerial decree no. 150 of 7 April 2020 gave rise to the redefinition of post-disembarkation procedures. The decree establishes that, during the health emergency caused by the spread of Covid-19, Italian ports cannot be classified as safe places, place of safety, for the landing of migrants.

    On 12 April, Decree no. 1287/2020 of the Head of the Civil Protection Department was published, entrusting the Department for Civil Liberties and Immigration of the Ministry of the Interior with the management of procedures related to the fiduciary isolation and quarantine of foreign citizens rescued or arrived independently by sea. On the basis of this decree, the Ministry of Interior, together with the Italian Red Cross, may use ships for the “health surveillance” period “with reference to persons rescued at sea and for whom it is not possible to indicate the “Place of Safety”. This indication, apparently sibylline, refers to the persons referred to in the decree of 7 April, i.e. persons rescued outside the Italian SAR by ships flying a foreign flag for which Italian ports cannot be considered “safe places”. Migrants arriving autonomously, i.e. not as a result of SAR operations, should in the first instance carry out the quarantine period in reception facilities on the territory and not on ships, unless it is for some reason impossible to identify such facilities, as in fact happened for many people disembarked in Italy in May and June.

    A number of problems arise from use of the so-called quarantine ships. First of all, it is a device for the deprivation of personal freedom which differs clearly from the measures to which foreign citizens who have come to Italy by other means have been subjected during the lockdown. The Interministerial Decree of 17 March provided that persons arriving from abroad, in the absence of symptoms, must report their return to the public sanitary office, prevention department, and undergo isolation and health surveillance for a period of 14 days. It is therefore a formula with markedly discriminatory characteristics.

    With regard to the conditions in which people are inside the ship, the words of the National Ombudsman for the rights of prisoners effectively paint the situation of the Moby Zaza: “the […] playful image painted on the hull, corresponds dramatically to the reality of those who, presumably escaped from wars or imprisonments, await the flow of the, though dutiful, quarantine with a lack of certain information and support against despair”.

    The use of ships for the quarantine also has important symbolic value both for migrants subjected to the measure and in the political debate linked to the issue of disembarkation and the sharing of responsibility among the European member states in the field of migration.

    Finally, no news has been spread about the procedures that are implemented on the ships, about the support that is or is not provided to foreign citizens, about the possible police investigations carried out on board and about institutional and non institutional actors operating on board.

    For this reason, a request for access to the files was sent to the Ministry of the Interior and the Ministry of Health to find out which procedures are implemented on board, how they are carried out and who is involved.

    From the first answers received from the Civil Liberty and Immigration Department, as implementing entity, it is clear only the role of the Italian Red Cross responsible for health care measures, cultural linguistic mediation, social assistance, psychological support and identification of vulnerabilities.

    Finally, particular attention deserves the future of this praxis: migration management policies in recent years teach us that the major innovations have been introduced to manage emergencies. The hotspots themselves were set up in 2015 as an extraordinary measure to deal with a situation where the number of people arriving in Italy and Greece was extremely high. However, this system, having ended “the emergency”, continued to operate and became fully integrated into the ordinary management system of migration, revolutionizing it and introducing serious violations of the rights of foreign citizens.

    It is therefore necessary to ensure that quarantine ships do not become the forerunner of “#hotspot_ships”, “hotspot platforms” or other systems aimed at preventing foreign citizens rescued at sea from disembarking in Italy. The conditions of the ships, their structural isolation, the difficult monitoring and the impossibility of the contacts with civil society, make this formula absolutely inadequate for carrying out the delicate operations of reception, information, definition of the legal status of foreign citizens.

    https://inlimine.asgi.it/rights-in-route-the-quarantine-ships-between-risks-and-criticisms

    #navi_quarantena #hotspot #bateaux_hotspots #frontières_mobiles #Italie #migrations #asile #réfugiés #frontières #navi-quarantena #Méditerranée #mer #bateaux_quarantaine #bateau_quarantaine

    ping @isskein

    • Cosa sono e quanto costano le navi da quarantena per i migranti?

      Le navi da quarantena sono traghetti privati usati per isolare i migranti arrivati in Italia via mare e sono state istituite dal governo il 12 aprile con un decreto della Protezione civile, dopo che era stato dichiarato lo stato di emergenza per l’epidemia di coronavirus. Lo stato di emergenza terminerà il 31 luglio e non è ancora chiaro se le navi da quarantena rimarranno operative. Secondo il decreto, sui traghetti dovrebbero essere trasferite tutte le persone che sono state soccorse dalle imbarcazioni delle ong, tuttavia negli ultimi mesi sono stati confinati su queste strutture anche alcuni migranti che erano arrivati a terra direttamente con delle imbarcazioni di fortuna partite dalla Tunisia o dalla Libia.

      Le navi da quarantena sono sotto accusa da quando, il 20 maggio scorso, un ragazzo tunisino di 28 anni si è buttato in mare per raggiungere a nuoto la costa ed è morto. L’ultimo caso di un trasbordo su una nave da quarantena che ha fatto discutere è quello che ha coinvolto la nave Ocean Viking dell’ong Sos Meditérranée: bloccata per dieci giorni in mare, la notte del 6 luglio ha ricevuto dalle autorità italiane l’autorizzazione ad attraccare a Porto Empedocle, da dove i migranti sono stati trasferiti sulla Moby Zazà, anche se sono risultati tutti negativi al test per il covid-19.

      Come funzionano
      I traghetti Rubattino e Moby Zazà della Compagnia italiana di navigazione (Cin, già Tirrenia) sono le due navi passeggeri usate per la quarantena dei migranti. La Rubattino è stata attiva fino al 7 maggio ed è stata usata per la quarantena di 180 persone soccorse dalla nave della ong Sea Eye, Alan Kurdi, il 17 aprile 2020 e dall’imbarcazione Aita Mari il 19 aprile 2020. La Moby Zazà è diventata operativa il 12 maggio e attualmente il contratto è valido fino al 13 luglio.

      Per il nolo di questa nave la Compagnia italiana di navigazione ha ricevuto una somma che oscilla tra 900mila euro e 1,2 milioni di euro. La sorveglianza sanitaria a bordo è svolta dagli operatori della Croce rossa italiana (Cri). “Le navi non sono ospedali, sono traghetti passeggeri, attrezzati per ospitare circa 250 persone”, spiega la responsabile immigrazione della Croce rossa (Cri) Francesca Basile. “Dal 15 maggio la Moby Zazà ha ospitato 680 persone”, continua Basile, che assicura che sulla nave medici, infermieri e operatori culturali sono protetti da dispositivi di sicurezza e seguono tutti i protocolli sanitari per garantire la salute delle persone.

      Chi risulta negativo al test per il coronavirus rimane a bordo per quindici giorni, chi risulta positivo rimane sulla nave fino al momento in cui il tampone diventa negativo. “Abbiamo riscontrato una trentina di persone positive al test dall’inizio dell’operazione a maggio. Erano tutti asintomatici. Sono stati isolati a bordo della nave in una zona rossa, su uno dei ponti. Finché il tampone non è diventato negativo”, spiega la responsabile della Croce rossa.

      I costi e le criticità
      Alcuni esperti hanno però evidenziato diverse criticità di queste navi, soprattutto dopo che il 20 maggio un ragazzo tunisino si è gettato in mare ed è morto, mentre tentava di raggiungere la costa a nuoto. Valentina Brinis, operatrice legale dell’ong Open Arms, spiega che tenere le persone per lunghi periodi a bordo di una nave provoca un disagio psicologico, che anche in passato ha spinto le persone a gettarsi in mare. “Come Open Arms abbiamo avuto esperienza di quanto sia rischioso tenere a bordo le persone per un periodo di tempo prolungato, come c’è già successo nell’agosto del 2019 nella missione 66”.

      In quel caso le condizioni psicologiche critiche delle persone erano state documentate anche dal procuratore di Agrigento, Luigi Patronaggio che aveva parlato di “grande disagio fisico e psichico, di profonda prostrazione psicologica e di altissima tensione emozionale che avrebbero potuto provocare reazioni difficilmente controllabili delle quali, peraltro, i diversi tentativi di raggiungere a nuoto l’isola costituivano solo un preludio”.

      Per l’operatrice la quarantena andrebbe svolta a terra, nei centri di accoglienza e negli hotspot, perché “sulla nave è difficile mantenere una situazione di calma quando le persone hanno un vissuto molto traumatico”. Spesso tra le altre cose le persone sono fatte scendere a terra per poi risalire a bordo della nave da quarantena, “creando incomprensioni e frustrazioni che possono essere state all’origine del gesto del ragazzo che si è gettato in mare”. Un altro elemento di criticità è la violazione delle leggi internazionali sul soccorso in mare: le Convenzioni internazionali sul soccorso in mare stabiliscono infatti che le persone soccorse debbano essere rapidamente portate a terra e solo una volta arrivate in un place of safety (Pos) i soccorsi sono da ritenersi conclusi.

      Infine non sono chiari i protocolli seguiti a bordo delle navi da quarantena, mentre nei centri a terra ci sono delle normative (i capitolati hotspot) che regolamentano ogni aspetto di questi luoghi in cui le persone sono private temporaneamente della libertà personale. Anche dal punto di vista medico, uno studio coordinato da Joacim Rocklöv, docente di epidemiologia all’Università Umeå, in Svezia, pubblicato sul Journal of travel medicine, ha mostrato che il confinamento delle persone a bordo delle navi (in quel caso si trattava della nave da crociera Diamond Princess) non è efficace per limitare il contagio. Secondo lo studio, l’evacuazione della nave avrebbe portato a un ottavo circa i casi riscontrati al termine della quarantena a bordo.

      Per l’esperto di diritto marittimo Fulvio Vassallo Paleologo anche la conformità alle leggi di questo tipo di navi è dubbia, anche se consentita dalle direttive europee: “Un documento non vincolante della Commissione Europea sembra prevedere, con limiti assai discrezionali, questa vistosa violazione delle regole dettate in materia di prima accoglienza dalle direttive dell’Unione europea, dal diritto internazionale del mare e dall’articolo 10 ter del testo unico sull’immigrazione n.286 del 1998”, afferma Vassallo Paleologo.

      Dopo l’Italia, anche Malta ha adottato questo tipo di navi turistiche adibite a navi da quarantena per gli stranieri

      Secondo la Commissione europea infatti,“per quanto riguarda le condizioni di accoglienza, gli stati membri possono avvalersi della possibilità prevista dalla direttiva 2013/33/UE di stabilire, in casi debitamente giustificati e per un periodo ragionevole di durata più breve possibile, modalità relative alle condizioni materiali di accoglienza diverse da quelle normalmente richieste. Tali modalità devono in ogni caso garantire che si provveda alle esigenze essenziali, compresa l’assistenza sanitaria. Le misure di quarantena o di isolamento per la prevenzione della diffusione della covid-19 non sono disciplinate dall’acquis dell’Unione europea in materia di asilo. Tali misure possono essere imposte anche ai richiedenti asilo conformemente alla normativa nazionale, a condizione che siano necessarie, proporzionate e non discriminatorie”.

      “Rimane dunque da accertare se il trattenimento in quarantena a bordo di navi traghetto ancorate in mare, come la Moby Zazà sia ‘necessario, proporzionato e non discriminatorio’. La prassi del trattenimento su navi traghetto destinate alla quarantena dei naufraghi ha comunque disatteso il chiaro indirizzo fornito dalla Corte di cassazione con la sentenza del 20 febbraio 2020, sul caso Rackete, che ribadisce come le operazioni di soccorso in mare si concludano soltanto con lo sbarco a terra, in conformità del diritto internazionale e della normativa interna”, conclude l’esperto.

      Dopo l’Italia, anche Malta ha adottato questo tipo di navi turistiche adibite a navi da quarantena per gli stranieri. Nelle ultime settimane sono state tenute al largo 425 persone su navi private, per un costo complessivo di 1,7 milioni di euro. “La maggior parte di questi soldi sono stati usati per le 33mila ore di sorveglianza ai migranti”, spiega il quotidiano The Times of Malta, soprattutto per evitare che facessero gesti di autolesionismo o che si gettassero in acqua. Ora La Valletta vorrebbe chiedere i soldi di questa operazione all’Unione europea, che ha già fatto sapere che non li rimborserà.

      https://www.internazionale.it/notizie/annalisa-camilli/2020/07/07/navi-quarantena-moby-zaza

      #coût #Italie #Malte #coronavirus #quarantaine #confinement #covid-19 #décret #protection_civile #ferries #privatisation #sauvetage #Rubattino #Compagnia_italiana_di_navigazione #Cin #Tirrenia #Croce_rossa_italiana (#Cri)

    • Migrant tourist boats operation cost €1.7 million

      The government provides a breakdown of costs as it pushes for EU funding.

      Hosting 425 migrants on four boats out at sea cost taxpayers €1.7 million and discussions to secure EU funds are ongoing, the government said on Monday.

      The vast majority of that cost - €1 million - went to pay for the 33,000 hours of security services needed to keep watch of the migrants.

      They were detained aboard the boats after Malta closed its ports when declaring a public health emergency over the COVID-19 pandemic.

      They were only brought ashore over fears of a takeover on one of them.

      On Monday the government said in a statement that renting the four vessels racked up a bill of €363,440: €3,000 a day for each Captain Morgan boat and €6,500 for one owned by Supreme Travel.

      The sum of €212,646.12 was paid out to 33 companies for the provision of food, drinks, sanitation products and clothes.

      Vessels needed to be rented out to deliver these items, and this cost €87,741. The disembarkation procedure meanwhile cost €10,908.12.

      In the statement the government said that talks with the EU about funding for the costs were ongoing.

      While the government has said that it expects the EU to foot the bill for the operation, the EU has said that Malta’s application for funding is “not eligible for support”.

      https://timesofmalta.com/articles/view/migrant-tourist-boats-operation-cost-17-million.803181

    • Italie : dans les #navires_de_quarantaine, des centaines de migrants enfermés loin des regards

      En raison du Covid-19, des centaines de migrants sont actuellement confinés dans des navires amarrés au large de ports italiens, afin d’observer une quarantaine de plusieurs semaines. La situation à bord est floue, presque aucune information ne circulant sur leurs conditions de vie.

      À leur arrivée à Lampedusa, après avoir traversé la Méditerranée, les migrants ne mettent pas tous le pied à terre. Ils sont le plus souvent transférés dans des ferries afin de limiter la surpopulation du seul centre d’accueil de l’île italienne qui dispose d’un peu moins de 100 places. Enfermés à bord de ces navires amarrés au large de plusieurs ports italiens, les exilés doivent observer une période de quarantaine de 14 jours, dans le but d’éviter la propagation de la pandémie de Covid-19.

      « En théorie, ils restent deux semaines, mais il semblerait que parfois cela dure plus longtemps », signale à InfoMigrants Flavio Di Giacomo, porte-parole de l’Organisation internationale des migrations (OIM).
      Très peu d’informations sur la situation à bord

      Les informations sur les conditions de vie à bord de ces centres flottants sont rares et difficiles à obtenir. Plusieurs centaines de migrants, pour la plupart originaires de Tunisie, vivent actuellement loin des regards dans ces bateaux.

      L’OIM admet avoir peu de détails sur la situation dans ces navires. « Nous n’avons pas d’équipe à l’intérieur de ces structures, donc peu d’informations à ce sujet. Nous ne savons pas combien de personnes y sont retenues, ni quel est leur quotidien », indique Flavio Di Giacomo.

      Selon Majdi Karbai, député tunisien du parti du courant démocratique joint par InfoMigrants, on dénombre environ 700 migrants pour le seul navire Azzura, positionné au large du port sicilien d’Augusta. « Je suis en contact avec des personnes à bord de ce ferry, mais je ne sais pas combien sont enfermées dans les autres navires. Il y en a aussi à Palerme ou en Calabre », précise-t-il.

      https://twitter.com/karbai/status/1311680948073832455

      Le 18 septembre, le député publie sur Twitter une vidéo filmée à bord de l’Azzurra, avec ce commentaire : « Tentative de suicide d’un migrant tunisien ». Les images laissent deviner un homme au sol au loin, entouré de plusieurs personnes. Il sera finalement pris en charge à l’hôpital, explique Majdi Karbai.
      Un migrant disparu après avoir tenté de s’échapper

      Le 1er octobre, il signale sur le même réseau social que cinq Tunisiens ont tenté de s’échapper d’un navire de quarantaine amarré à Palerme, en Sicile. « Deux sont tombés sur le quai et se sont cassés la jambe, trois se sont enfuis avant d’être arrêtés par la police », raconte le député.

      https://twitter.com/karbai/status/1311679465609719813

      Quelques jours plus tard, les médias italiens rapportent une histoire similaire. Dans la nuit du samedi 3 au dimanche 4 octobre, trois autres migrants ont sauté à l’eau depuis le navire Azzura. Deux d’entre eux ont été récupérés par des pompiers mais le troisième a disparu. Les recherches n’ont pas permis de le retrouver, laissant craindre une noyade.

      « Les migrants tentent de s’échapper de ces bateaux car ils redoutent d’être renvoyés en Tunisie », signale Majdi Karbai. Des dizaines de personnes ont en effet été transférées directement depuis ces navires vers des centres de renvoi, en vue d’une expulsion. D’autres ont reçu une obligation de quitter le territoire italien sous sept jours.

      « On ne sait pas pourquoi untel est renvoyé, et un autre écope de ce document. Tout est flou. Certains pourraient bénéficier d’une protection internationale mais ils n’ont eu accès à aucun avocat et n’ont pas pu demander l’asile », souligne le député. « Les droits de ces personnes sont bafoués », déplore encore Majdi Karbai.

      https://www.infomigrants.net/fr/post/27749/italie-dans-les-navires-de-quarantaine-des-centaines-de-migrants-enfer

      Déjà signalé sur seenthis par @veronique_petit :
      https://seenthis.net/messages/879809

    • Abbandonati nei #CAS quarantena in attesa del rimpatrio

      In questi giorni la campagna LasciateCIEntrare sta raccogliendo diverse testimonianze di cittadini tunisini stritolati all’interno del sistema di controllo e trattenimento a cui sono sottoposti una volta intercettati allo sbarco. Che siano posti su navi quarantena, di fatto diventate luoghi di detenzione illegittima, o immediatamente all’interno di Cas quarantena detentivi, le procedure a cui sono sottoposti sono perlopiù funzionali ad un rimpatrio immediato. In questo dispositivo di trattenimento-rimpatrio non c’è alcuno spazio per la salvaguardia dei diritti fondamentali e per la tutela delle persone.

      «Quali sono gli accordi criminali stipulati tra Tunisia ed Italia? Cos’è questa orribile macchina aspira e sputa uomini?», afferma Yasmine Accardo, referente della campagna che sta inviando segnalazioni al Garante delle persone private della libertà e insieme a LasciateCIEntrare invoca il rispetto dei diritti fondamentali.

      «Si tratta ancora una volta di situazioni di gravità assoluta che ricordano che in futuro sarà anche peggio e che dovrebbero portare ad una denuncia e mobilitazione univoca delle persone e delle organizzazioni che ancora credono che esista un mondo di diritto», continua l’attivista.

      «I nuovi tanto acclamati decreti si inseriscono così perfettamente in questo contesto: lasciate ogni speranza voi che entrate. Noi non ci stiamo! Chiediamo un’immediata mobilitazione perché vengano liberate queste persone trattenute illegittimamente ed in condizioni di trattamenti inumani e degradanti».

      Le ultime testimonianze raccolte provengono da gruppi di persone trattenute in Sicilia a Trapani e Caltanissetta.
      Testimonianze da Trapani

      Arrivati il 19 settembre a Lampedusa, i cittadini tunisini dopo circa 3 giorni sono stati trasferiti in quarantena in un Cas a Valderice a Trapani, chiamato “Villa Sant’Andrea”. Fin dallo sbarco non hanno ricevuto alcuna adeguata informativa. Sono stati letteralmente sbattuti in questo centro e obbligati, per l’emergenza sanitaria Covid-19, a restare in quarantena. Nessuna figura di mediazione, nessuna attenzione per far sì che questo periodo di isolamento, reso necessario di questi tempi, potesse esser compreso come qualcosa a tutela della propria e altrui salute.

      Alcuni fuggono dal centro ed immediatamente si scatena la protesta dei vicini che chiedono maggiori protezioni, con in prima linea il sindaco di Valderice che pretende maggiori controlli. Verranno quindi costruite sbarre e potenziata la sorveglianza.

      La popolazione ha paura ed un «CAS quarantena» non è gradito. Nessun tentativo di portare anche solo un messaggio di vicinanza positiva, di benvenuto. Insulti e rabbia accolgono le persone che arrivano. Ben inteso di questi tempi ognuno di noi (lo sa bene chi è stato o sta in quarantena) viene evitato e guardato come un untore, con pochissimi che si preoccupano della solitudine di chi si trova “internato” o di portare un minimo di conforto anche da lontano.

      La paura è fuori verso chi è imprigionato, e dentro chi è isolato non trova niente di buono, solo polizia, rabbia, insulti in stanze approntate alla bell’e meglio con materassi di gommapiuma per terra e le solite porzioni di cibo freddo ed immangiabile.

      La parola «accoglienza» è qualcosa di profondamente lontano e questo gruppo di tunisini è più “fortunato di altri” perché se non altro non sono costretti a rimanere nelle navi quarantena anche per oltre un mese.

      Il centro che li ospita in questa detenzione strutturata per la quarantena, e che in realtà diventa pre-rimpatrio, è gestito da Badia Grande, perché i re del business dell’accoglienza ovviamente ne hanno approfittato subito anche in questa situazione: tanto i servizi sono ridotti all’osso. Non ci sono nemmeno le coperte. Stanze e materassi buttati a terra. “Minimal reception” mentre c’è sempre un grande guadagno e intanto i diritti sono al ribasso, se non proprio in estinzione. Un lavoro facile facile: quarantena e via. Quarantena e via. Perché qui non ci sono persone. Sole ombre di cui non resteranno nemmeno i resti.

      Ci rimangono le storie come quella di G. che deve essere raccontata perché si sappia ciò che accade.

      Il 24 settembre la polizia entra nelle stanze per prendere un gruppo di uomini per portarli in un altro centro, scopriremmo poi che si tratta del Cpr di via Corelli a Milano. G. è disperato, non vuole essere rimpatriato e si butta dal secondo piano.

      Cade e si rompe entrambe le gambe. Viene condotto al pronto soccorso di Trapani dove farà l’intervento il 7 ottobre. Due giorni dopo è già di nuovo sul materasso di gommapiuma buttato a terra nel centro di Badia Grande. Ha dolore alle gambe e non sa a chi chiedere aiuto.

      Nei giorni di ospedalizzazione aveva detto “non voglio tornare in quel posto orribile! Fatemi restare in ospedale finchè non mi sento bene. Per camminare mi servono le stampelle, ma ora ho troppo dolore”.

      Eppure il medico del reparto in cui G. è rimasto per due settimane ha ritenuto di dimetterlo solo due giorni dopo l’intervento.

      G. è ancora in attesa di poter essere riconosciuto come persona. Persona. Non come richiedente protezione che è un salto troppo lungo, quando nemmeno le basi del diritto esistono più.

      Vorrebbe capire se ci sono diritti dove è arrivato, vorrebbe sapere quali sono le procedure e perché fin dall’inizio è stato trattato come un vestito vuoto. Vuole capire perché qui ha trovato solo restrizioni e dolore.

      Il 9 ottobre hanno rimpatriato 80 tunisini in un giorno.
      Testimonianze da Caltanissetta

      Erano sulla nave quarantena GNV di fronte a Trapani. L’8 ottobre, circa 200 persone sono state trasferite dentro il CARA di Caltanissetta, in un’area posta proprio a fianco del CPR, al momento inagibile.

      Giunti nel centro intorno all’una di notte hanno trovato ad accoglierli materassi per terra in uno spazio circondato da polizia e militari. In condizioni disumane per tutta la notte hanno provato a protestare senza ottenere che parole monche e rimandi.

      Il giorno successivo un unico operatore urlante insieme ad un mediatore ha spiegato a 200 persone, stanche e preoccupate di trovarsi in condizioni così degradanti, quali sono le procedure: se vogliono chiedere la protezione possono farlo e la domanda verrà valutata dalla Commissione in tempi rapidi: 5 gg. Chi non farà domanda verrà rimpatriato.

      Tra di loro vi sono persone vulnerabili con patologie croniche, come il diabete, e da quando sono stati posti in quarantena non hanno ricevuto i farmaci a loro indispensabili. Sulla nave hanno fatto il test per il Covid-19 risultando negativi, si aspettavano dunque di raggiungere un centro di accoglienza degno di questo nome: invece il duro asfalto e materassi in gommapiuma a terra. Le condizioni dei bagni sono ovviamente impressionanti. «Se entriamo ci prendiamo una malattia certamente», ci dicono.

      C’è grande preoccupazione inoltre per il virus. Alla fine del trasferimento gestito dalla Croce Rossa, si sono ritrovati tutti insieme i gruppi provenienti dai piani diversi della nave quarantena. Alcuni di loro ci dicono che al settimo piano avevano messo i positivi: «Qui invece siamo tutti insieme. Tra noi ci sono alcuni positivi. Se eravamo negativi ora ci infetteremo tutti». Altri ripetono: “Ci hanno detto che proprio perché ci sono i positivi meglio che ci rimpatriano presto così non ci infettiamo”.

      E’ il caos totale tra persone in lacrime e chi vorrebbe tentare il suicidio. In una situazione di continui trattenimenti e scarsa informativa dove "ci trattano come schiavi e peggio delle bestie. Può succedere qualsiasi cosa. Siamo tutti spaventati. Quanto manterremo l’equilibrio in questa situazione?”.

      Anche le informazioni relativamente a chi è infetto e chi non lo è derivano da una gestione vergognosamente approssimata, autorità e sottoposti che hanno mescolato persone senza spiegare nulla, come fossero chicchi di mais. Così aumenta la paura e il sospetto e si rischia la caccia all’untore in un gruppo di persone già fortemente provato. Nessuna di loro ha incontrato organizzazioni di tutela delle persone, tenute evidentemente alla larga o conniventi e silenti con quanto sta accadendo.

      https://www.meltingpot.org/Abbandonati-nei-CAS-quarantena-in-attesa-del-rimpatrio.html

      #Trapani #Caltanissetta

    • Italy Has Turned Cruise Liners Into Jails for Migrants

      With Italy’s tourist sector sunk by the pandemic, authorities are now hiring cruise ships as floating jails for refugees. The migrant prisons show capitalism’s ability to restructure in times of crisis — but also the potential resistance to it.

      How do you make a prison?

      We like to imagine things being built from scratch. Perhaps stone and mortar heaped up by little computer game figurines, or Lego building blocks piled high. Most of the time, we have a simple idea of how our world is constructed, falling back on the games we played as children. Maybe this was occasionally the case when colonizers built their outposts. Perhaps they, too, were children once. But today’s world is already too built up for such endeavors — too full of things. Capitalists prefer to use what they find lying around, rather than invest in start-ups.

      On the Mediterranean island of Sicily, the material at hand was the cruise ship — and the prison it has been converted into is the so-called quarantine ship, on which newly arriving immigrants are forcibly kept. These new prisons are the single piece of technology that most succinctly sums up the transformations underway in Italy’s COVID-19 capitalism. Doubtless, other islands and continents have their own landmarks strewn across the landscape of contagion, from the New York hotel rooms packed with the homeless, to the food warehouses of central Nigeria. (And to each monument, its resistance: the lawsuits being filed in US courts, or the looting of stockpiles by Nigerian protesters).

      The Sicilian case can, even so, be used to open up some wider questions about what’s going on in this surreal border moment in history, how capitalism is reacting, and what forms of resistance we are witnessing. For years, working-class Africans and Asians have hammered on the gates of Europe to readdress the balance in global inequalities. The articulate call for freedom that reverberates from the borders is not hard to hear: one need only block out the deafening silence of our current barbarism.

      So, what I will attempt to show, here, is that the resistance to the authoritarianism unleashed by the pandemic does have a side that can be supported by progressive forces — that is, without being dragged into the pitfalls of repudiating scientific evidence, casting aside our masks and our principles. It provides a way to hold onto the thought that perhaps, at the end of all this, our governments might build something other than prisons.
      From Cruise Ships To Floating Prisons

      One of the first media stories that lifted the pandemic beyond China’s borders (a long ten months ago) was the quarantining of the Diamond Princess. This British-owned cruise ship was quarantined at the port of Okinawa, Japan in early February, with almost four thousand passengers and crew on board. Over the following month, one-fifth of the passengers were infected and gradually flown off to their respective countries or disembarked at port (the crew were less fortunate and less mobile). There were fourteen deaths. This was followed by other mass outbreaks on cruise ships: the Rotterdam, the Zaandam, the Ruby Princess, and the Greg Mortimer — all luxury holiday vessels that helped spread the virus around the world. The last of these was probably responsible for half the cases in Australia.

      Alongside the many criticisms made of how the Japanese authorities blocked everyone on board, leading to unnecessary deaths, it quickly became clear that cruise holidays would be one of the first markets to be axed in the name of human survival. Or rather, that the perils were so clear that tourists would soon disappear — and the invisible hand of the market would do its work. The sector sank. The cruise companies had, recently, began to hoist hopes of a new start to their ventures — but the second wave dashed such vanities.

      Leaving aside the glee one may draw from the shipowners’ misfortune, cruise holidays also provide an extraordinary symbol of our contemporary crisis. They bring the generational divide — a far wealthier older generation with expendable capital — into collision with the hypermobile internationalism of contemporary capitalism. The same hypermobility, that is, which brought us just-in-time logistics operations, international art fairs, and (as the Marxist geographer David Harvey has rightly pointed out) the pandemic itself.

      The cruise holiday’s disappearance was marked by a “traumatic” event: holidaymakers being held in quarantine on the ships. Indeed, journalists focused on passengers’ complaints and the sight of the upper classes roughing it onboard, while paying much less attention to the thousands of crew members trapped in cramped conditions. And as the cruise companies went bust and photographs of the new ship graveyards circulated on the internet, replete with the watery tears of the World Economic Forum and Saudi princes, far fewer words have been given over to one of the more peculiar yet indicative ways in which the sector has been rerouted: the “quarantine ship.”

      The Italian government first landed on the idea of using ships to quarantine newly arrived migrants from Africa back in May, when the ferry liner Moby Zazà was sequestered for this purpose and docked near the island of Lampedusa with several hundred people trapped on board. Since then, two cruise companies — GNV and SNAV — have won public tenders to provide a small fleet of cruise ships employed to quarantine hundreds of people at a time. The companies are being paid around €100 per person, per day for this service: over €1 million a month per ship.

      Those on board — mostly from Tunisia, but also Bangladesh, Ethiopia, Libya, Syria, and across West Africa — have experienced widely varying living conditions in isolation. Some of the ships have doctors and lawyers on board. Less fortunate passengers have seen only guards, crew, and police dogs. Newly arriving migrants, having already passed through the hell and high water of the Libyan war and the Mediterranean Sea, are trapped on board for a month or more, in conditions that potentially favor rather than prevent contagion. Even more extraordinarily, several cases have been brought to light of asylum seekers being sent from centers on mainland Italy to the quarantine ships, whether as a prevention against contagion or simply to punish those who rebel.

      Perhaps we might more aptly baptize such vessels “temporary prison ships” or even “floating hot spots.” This last phrase is especially appropriate given that a few years ago the Italian government proposed that the so-called EU border “hot spot” centers (for the mass identification and detention of newly arriving immigrants, experimented on Italian and Greek islands) be set up on ships — naming them “floating hot spots,” no less. The idea was dumped by the EU for infringing on just one too many human rights. But in love, war, and pandemic, anything goes. Here’s a short transcription of a video made by a young Ghanaian man removed by the Red Cross from his refugee hostel in the middle of the night:

      Last Sunday they bring people, say that they want to test us for COVID-19 . . . they tell me, they said I have positive. They take me from Roma to Palermo . . . I was asking my camp people — who tell me I am positive — so tell me, where is my positive document? They couldn’t show me . . . So now everyone in Roma with coronavirus, they are going to collect them on the ship? They quarantine me in Palermo, now we are in the Bari seaport, right now. Since they brought me here, no medicine, I couldn’t see doctor with my face . . . Try your best, and post [this video] to everywhere, so that the Italian leaders can also play it, to hear it, to fight for we the immigrants.

      Luxury Containers

      The use of luxury structures as centers of confinement is familiar to recent immigrants in Italy — and indeed to anyone (of whatever politics) who has followed the development of the Italian asylum system. It is extremely common for asylum seekers to be housed in government-funded (but privately run) hostels in former hotels, whether in the mountains or on the beach. Again, we very often find that these buildings have a lackluster history of Mafia-ish building speculation, rickety funding programs, market failure, and, finally, reconversion into hostels for asylum seekers. Or, to be a little less diplomatic, temporary housing for poor blacks.

      Failed beach resorts and ski chalets were not the only businesses to be propped up: you also find a range of failed old people’s homes, failed foster homes, failed student halls, etc. Furthermore, over the years the hotel-turned-camp has become the unwitting symbol of the far-right’s smear campaign against the African working class. Labeled as feckless, lazy, and presumptuous, for years asylum seekers’ protests for basic amenities (Wi-Fi, decent food, medical attention) were reported under headlines such as “Migrants Refuse 5* Hotel” or “We Want WiFi! Hotel Not Good Enough For Migrants” and similar.

      This kind of conversion of large housing structures from holiday homes/vessels into prisons/sites of confinement — floating or otherwise — represents a moment in what we might call “capitalist restructuring,” in which fixed capital has to be put to new uses. Following the Italian recession of 2012, these hostels and other containers were filled with the proletariat castoff (in one way or another) by the concurrent Arab Spring. The “quarantine ships” provide another moment of such restructuring. This is representative of the kind of response we are seeing, and probably will continue to see, to the global recession of 2020: not cuts and austerity, but active investment and reconversion of industries, in spurts of booming and busting that follow the contractions and spasms of waves of contagion. So much for the ways of capital.

      The question hanging over all of this, however, is to what extent this new world of things can be reshaped toward greater freedom, and not less. Mothballed factories can often be reopened, so long as the appropriate use is found. Moments of restructuring are not maneuvered by divine forces, but by ideas and the capacity of human beings to act upon those ideas. In the quarantine ships, we find the enactment of a particular idea of containment and the reconversion of luxury capital to those ends. It privileges containment as prison, over containment as community.

      But what if the capital of luxury could be converted into a common luxury? What if the rusty wreckage of today could become the raw material of tomorrow’s visionary futures? The very idea around which these prisons are being formed is the kernel of revolutionary thought: isolation, exodus, the commune. For every Robinson Crusoe (isolated by accident), there is a Maroon community (isolated by choice!). There was and still is a choice about the direction that the current moment of restructuring takes.

      The fixed capital of old sectors now laid into the waste bin of history — luxury cruise ships, packed shopping malls, packed anything really — can be put to new uses of many kinds. What we have seen with the “quarantine ships” is the expression of an authoritarian tendency that has prevailed over a utopian one. The idea of isolation has been interpreted as a prison rather than a holiday, as Lord of the Flies rather than Never Never Land.

      Michel Foucault noted these two opposing tendencies some four decades ago when he wrote: “The exile of the leper and the arrest of the plague do not bring with them the same political dream. The first is that of a pure community, the second that of a disciplined society.” And what if — as the Zapatistas have suggested in their reaction to the pandemic — the disciplined society was not that of an authoritarian disciplining, but rather one in which we ourselves have taken responsibility? What if instead of trying to force people to stay in a place of violence, we could instead make a site of quarantine so full of care, of luxury, of fulfilled desires, that no one wanted to leave it?

      The type of society I am alluding to is one that we have mentioned already: the holiday resort. OK, perhaps not the holiday resort as such — not Princess Cruises or the Four Seasons. Maybe capitalism still hasn’t managed to provide us with a true holiday. But perhaps even this minute form of utopia, the utopia of not working, of minibars and sun loungers, of exotic locations and intimate company, contains a small, tarnished vision of freedom.
      Diving for Freedom

      Perhaps it seems fanciful, even in bad taste, to discuss the utopian potential of containment amid a pandemic. Even more so to ponder such possibilities for Europe’s most exploited and least free population, the recently arrived working-class Africans and Asians aboard these ships. But the drive for freedom is there — rearing its head despite all the odds.

      Migrants have broken out and evaded every prison designed to contain them. People have run away from quarantine centers on land, leading to manhunts for Arabs in the forests of Sicily’s mountain ranges. There have been mass breakouts at the militarized “hub” in Villa Sikania, where an Ethiopian man was killed by a speeding car as he ran from the gates. They have fought with the police on board the quarantine ships, they — “the Tunisian heroes” as a Moroccan comrade has dubbed them — have burnt their beds in the detention centers. They have swallowed razor blades to protest their watery imprisonment and impending deportation. Like the young Ghanaian man quoted above, they have reached out to leaders and formed alliances with activists.

      Some have even dived overboard to reach dry ground. At least one man on board the Moby Zazà, the very first quarantine ship, died in the effort — if we needed reminding that the flight from containment can be a fight to the death.

      This is not the first time that people rescued from the Mediterranean route have later drowned at sea, desperately trying to reach the shore or another ship. There can be few examples so horrendous of the fatality of freedom, of the sheer necessity of breaking away. But the tragedy and desperation of these deaths remove nothing from the impulse for freedom that they express. It is a recognition of what is at stake in this moment of capitalist restructuring.

      Calls for freedom during the pandemic — and movements against the restrictive measures imposed by governments — have been dominated by a very different tone. Every country (or at least the ones I am familiar with) has its own version of the movement against lockdowns, enforced mask-wearing, and so on. Is this the same impulse for freedom? Do such movements represent the same acknowledgment of capital’s new turn? Is resistance to the quarantine ships the same as resistance to bans on alcohol sales or mass consumption in shopping malls?

      I think not. Not so much for any of the “political” connotations of the no-mask movement in the United States (associated with Trumpism), nor because one urges a return to a bland consumerism while the other sheds light on the darker, carceral corners of European civilization. But rather, because they deal with very different levels of freedom, with different consequences for people’s lives.

      In a society characterized by an authoritarian turn, everyone moves down a step on the scale of human rights. Those who had all their rights recognized and guaranteed find themselves with a few small tears at the edges of their personal constitutional charter. Those who were further down the ladder perhaps find themselves less free, crammed into makeshift lodgings, forced to renege on aspects of their autonomy. Those who were already clasping to the bottom rung of the ladder, however, now find themselves cast into gray zones of legality, their every freedom arbitrarily removed without reason or rhyme. And it is in these gray zones that capital makes its earliest advances when it restructures. It begins here, and works its way up.

      Forget the mask-dodgers and their irrationality: the resistance we should be looking at is that of the fugitives from our new prisons.

      https://jacobinmag.com/2020/11/italy-migrants-cruise-lines-ships-prisons-coronavirus

    • Navi quarantena, due operatori umanitari raccontano “quel sistema sbagliato che sospende il diritto”

      Il racconto dall’interno dei ragazzi che erano a bordo insieme ad Abou, il ragazzo di 15 anni morto una volta sceso a terra. Senso di frustrazione, burn out e rabbia. “L’isolamento è impossibile. Una scelta solo mediatica, è ora di cambiare”

      Il primo forte senso di frustrazione è arrivato quando Abou,15 anni, non ce l’ha fatta. Il ragazzo è peggiorato in fretta, in pochi giorni, l’evacuazione medica non l’ha salvato. Sul caso è stata aperta un’inchiesta ma il dubbio che a incidere pesantemente su quella morte sia stato anche il “sistema delle navi quarantena” resta. E sapere di non aver fatto abbastanza, di non essersi opposti a una gestione sbagliata, tormenta le notti. E’ per questo che per la prima volta alcuni operatori che erano a bordo della nave Allegra hanno deciso di parlare con Redattore Sociale e raccontare cosa succede su questi spazi galleggianti, che il Governo italiano ha pensato come luoghi di isolamento temporaneo per i migranti. Abbiamo raccolto le loro testimonianze, i nomi che riportiamo sono di fantasia ( i ragazzi hanno chiesto di mantenere l’anonimato) ma ne abbiamo verificato le identità e il ruolo.
      Effetto burn out: “Dopo l’esperienza sulle navi quarantena ho avuto un crollo”

      “Dopo la morte di Abou non ho rinnovato la mia missione, dovevo stare un altro mese ma ho preferito scendere. Non volevo più lavorare, mi sono presa del tempo. Ora faccio altro” racconta Martina, che ha iniziato a fare l’operatrice umanitaria a 25 anni. “Ora ne ho 37 e per me è ancora una scelta di vita. E allora cosa ci facevo là sopra? Quale era il mio ruolo in un luogo come quello?”. Chi si occupa di cooperazione internazionale lo chiama il “dilemma umanitario”: curare è sempre un imperativo categorico, ma in certi contesti la presenza degli operatori umanitari rischia di avallare scelte improprie. Di contro, non esserci vuol dire lasciare le persone senza un supporto necessario. Eppure l’idea di essere complice di un sistema che sospende il diritto e calpesta, in nome di una emergenza sanitaria, la dignità di persone in fuga, a Martina ha fatto venire il primo attacco di panico della sua vita. Così ha lasciato la collaborazione con Croce Rossa, ha smesso di lavorare per qualche mese e ora presta servizio in un ospedale, nelle sale di rianimazione dove sono curati i pazienti con il Covid-19.

      “Quando sono salita sull’Allegra avevo già una titubanza iniziale, era l’ultimo posto in cui volevo stare - spiega -. Sarei voluta scendere il giorno stesso, ma mi sono detta: proviamo a vedere. Se scendiamo tutti lasciamo sole queste persone, se restiamo cerchiamo almeno di fare qualcosa dall’interno: proviamo a umanizzare questa situazione”. Ma col passare dei giorni Martina capisce che il sistema non funziona. “Era tutto agghiacciante: le energie venivano a mancare, l’impegno era h24, eppure per quelle persone, fatte salire lì senza sapere neanche perché, la condizione non cambiava. Quando poi è successo di Abou ho avuto un tracollo emotivo. Dopo uno scontro coi nostri responsabili è arrivato il momento del burn out e il primo attacco di panico”.

      La condizione stessa della nave non ha aiutato. “Non potevi isolarti, non potevi scendere, eri sempre lì a vivere in una condizione assurda con pochi medici e infermieri per tutte quelle persone - aggiunge. Da lì capisci che le navi non risolvono nulla, non garantiscono neanche una vera quarantena. Le persone rimangono insieme anche se in settori separati. Spesso chi si negativizza si trova a stare con chi è positivo e l’isolamento diventa infinito”. Le persone salvate insieme ad Abou dalla Open Arms il 10 settembre scorso erano state fatte salire direttamente sulla nave Allegra. Il 29 settembre le condizioni del ragazzo sono talmente gravi da richiedere un’evacuazione medica, morirà in ospedale qualche giorno dopo.

      “Dopo la morte di Abou mi aspettavo che cambiasse qualcosa, che ci fosse una sollevazione, bisognava parlare, denunciare, e invece nulla - conclude-. La sua morte è stata strumentalizzata da tutti: il povero ragazzo migrante che non ce l’ha fatta. No, era un ragazzo che stava dove non doveva stare, non è stato trattato come una persona. Meritava un’assistenza diversa”.
      Dov’è l’indipendenza dell’aiuto umanitario?

      Anche Marco è stato per 45 giorni sulla nave quarantena Allegra. Anche Marco era a bordo insieme ad Abou. Anche Marco oggi vive la stessa frustrazione. “L’impotenza che si sente di fronte a questa situazione è altissima. Soffrivamo noi a stare in mare, potendo muoverci e sapendo di avere una data di fine operazione, figuriamoci i migranti, portati lì senza che sapessero il motivo - spiega -. Le necessità di base venivano assicurate, il cibo, l’acqua, le mascherine. Ma l’assistenza non è solo questo. Ho sempre pensato che fosse tutto un grande teatro, una messa in scena: si potevano isolare meglio le persone a terra, assicurandogli anche assistenza. E invece no, dovevano stare in mezzo al mare. E’ un isolamento mediatico, teatrale”.

      Marco ricorda il via vai di persone di ogni età, dalle famiglie con bambini (anche di pochi mesi) ai minori che viaggiano soli, non accompagnati. “Ci sono state diverse proteste delle associazioni di tutela ma i minori continuano a restare a bordo, è un problema non risolto - aggiunge -. Di prassi i non accompagnati dovrebbero entrare in un circuito di accoglienza e tutela diverso. Invece salgono sulle navi senza aver mai parlato con un tutore o un garante. Alla fine, anche se dormono in stanze separate, si ritrovano in una situazione di promiscuità con gli adulti”. Ma è il sistema nave quarantena a creare questa situazione: “E’ difficile anche accompagnare le persone con bisogni particolari, come le vittime di tratta e chi ha subito abusi e torture. Il personale a bordo spesso non è preparato. L’ambito volontaristico è virtuoso, le persone danno il massimo a bordo ma in certi casi non basta - afferma -. Non è una nave ospedale, e così anche l’assistenza sanitaria non è quella che si può avere a terra. Quando è arrivato il gruppo della Open Arms abbiamo fatto i tamponi a bordo e separato le persone nel migliore dei modi. Ma non bastava ovviamente: capitava che le persone si muovessero negli spazi comuni, il contagio era sempre possibile”.

      L’operatore ha assistito anche all’arrivo in piena notte dei pullman con gli ospiti dei centri di accoglienza, mandati a fare l’isolamento sulle navi. “Scene davvero pietose: vedevamo queste famiglie che aspettavano sulla banchina alle due di notte, mamme con bambini, persone stremate - ricorda -. Non gli avevano spiegato nulla, abbiamo fatto noi l’informativa. Tutti temevano di salire sulla nave per essere rimpatriati, una cosa assurda”.

      Dopo le proteste delle organizzazioni, le denunce di Arci e Asgi e l’interrogazione parlamentare di Erasmo Palazzotto, il trasferimento dai centri è stato interrotto. Ma le anomalie non si sono fermate. Marco racconta, per esempio, della lista dei tamponi da fare con priorità alle persone che dovevano essere rimpatriate. E si chiede: “Dov’è l’indipendenza di un operatore umanitario in questo caso? Noi dovremmo essere autonomi, indipendenti, non siamo questurini, dobbiamo curare tutti: dal peggiore dei migranti al più virtuoso. Il nostro obiettivo è la cura delle persone, trattiamo tutti allo stesso modo. E allora, noi nemmeno lo dovremmo sapere chi abbiamo davanti. Dobbiamo assicurare a tutti il trattamento migliore”.

      Così non è stato e ora anche lui ha questo grande rimorso di essere stato parte di un sistema dove il diritto è sospeso e le ragioni politiche contano più di quelle sanitarie. “Oggi la mia denuncia la faccio non solo come operatore umanitario ma come cittadino italiano, vorrei che chi opera nel settore aprisse un dibattito serio sul sistema delle navi quarantena, un modello che non funziona e che va cambiato”.

      https://www.redattoresociale.it/article/notiziario/navi_quarantena_due_operatori_umanitari_raccontano_quel_sistema_sba

    • Navi e #bus, la «quarantena» dei migranti

      La navi da quarantena per i migranti sono state istituite dal governo lo scorso aprile, per far fronte all’emergenza sanitaria legata al coronavirus. Sono navi private, per passeggeri, adibite all’assistenza e alla sorveglianza sanitaria. Da subito la misura ha suscitato perplessità.

      La navi da quarantena per i migranti sono state istituite dal governo lo scorso aprile, per far fronte all’emergenza sanitaria legata al coronavirus. Sono navi private, per passeggeri, adibite all’assistenza e alla sorveglianza sanitaria dei migranti soccorsi in mare o giunti in Italia con barche autonome, prima dello sbarco in un porto sicuro. La decisione è legata all’impossibilità di indicare un “place of safety” in Italia per tutta la durata dell’emergenza sanitaria, per i casi di soccorso effettuati da parte di navi battenti bandiera straniera al di fuori dell’area Sar italiana.

      Da subito la misura ha suscitato perplessità. A partire dal Garante delle persone privati della libertà, Maura Palma, che, nei giorni immediatamente successevi alla decisione del governo, ha chiesto che non si creino zone di “limbo giuridico”, ribadendo la necessità che ogni persona sia messa nelle condizioni di esercitare i diritti fondamentali ed essere tutelata se vulnerabile, come le vittime di tratta. Duro anche il giudizio delle associazioni.

      La morte di Abou Dakite, quindicenne originario della Costa d’Avorio, dopo lo sbarco d’urgenza dalla nave quarantena “Allegra”, a Palermo, ha tragicamente riportato alla ribalta del dibattito mediatico la questione della presenza di minori sulle navi. Lo sbarco immediato e il collocamento in strutture idonee, in applicazione della legge Zampa, è stato chiesto dal Garante infanzia di Palermo e dai 200 tutori del distretto di Palermo, Agrigento e Trapani, mentre alcune associazioni hanno depositato esposti alle Procure presso i Tribunali per i Minorenni di Palermo e Catania.

      A centro di una interrogazione parlamentare il caso di alcuni trasferimenti dai centri di accoglienza alle navi quarantena di richiedenti asilo positivi al coronavirus. La ministra dell’Interno Luciana Lamorgese ha risposto in un question time alla Camera, facendo sapere che ci sono ora altre 25 strutture a terra, con una ricettività totale di 2700 posti per migranti

      Più in generale la condizione dell’accoglienza dei migranti ai tempi del Covid è analizzata in un rapporto della Coalizione Italiana per le Libertà e i Diritti civili (Cild), in cui si fa il punto su quanto avvenuto nei luoghi di transito o di privazione della libertà e si analizzata la situazione verificatasi da febbraio a fine giugno nei Centri di permanenza per il rimpatrio, negli hotspot e nelle navi quarantena.

      Inoltre, nei mesi di lockdown il Tavolo Asilo e il Tavolo immigrazione e salute hanno realizzato un monitoraggio in 200 strutture di accoglienza che evidenza come, in mancanza di linee guida nazionali, solo il buonsenso abbia evitato l’esplosione di focolai. Ora le organizzazioni chiedono indicazioni precise per non trovarsi di nuovo impreparate. In particolare si chiede l’istituzione di strutture ponte, per l’isolamento fiduciario dei migranti.

      Il caso #Udine

      Tra le soluzioni improvvisate c’è quella dei #bus_quarantena a Udine: le persone in arrivo dalla rotta balcanica sono state portate su alcuni pullman posteggiati davanti al #parco_Sant’Osvaldo. Il prefetto di Udine parla di una scelta obbligata per la difficoltà di reperire sul territorio posti per l’accoglienza e per l’isolamento fiduciario dei migranti. Dopo la protesta delle associazioni e dell’Unhcr i migranti sono stati fatti scendere e portati in apposite strutture di accoglienza.

      https://www.redattoresociale.it/article/focus/navi-bus-la-quarantena-migranti

    • Migranti. Bus quarantena a Udine, “condizioni deprecabili, a bordo anche minori”

      Dopo giorni di polemiche e proteste continua la pratica dell’utilizzo dei pullman per l’isolamento fiduciario dei migranti, in attesa dello screening. Un consigliere comunale in visita: “Un pullman non può diventare un centro di prima accoglienza, è inaccettabile”

      Qualcuno ha sistemato a terra dei cartoni e delle lenzuola per passarci la notte. Il caldo è insopportabile e dentro al bus non si riesce a stare. Così c’è chi preferisce accamparsi sotto gli alberi del giardino di Sant’Osvaldo. Dopo giorni di polemiche e proteste a Udine continua la pratica dei “bus quarantena”: qui, da due settimane, vengono portate le persone che arrivano in città per i controlli anti Covid19, come se si trattasse di un centro di prima accoglienza. In realtà, è un normale autobus, davanti al quale sono stati montati tre bagni chimici. Per lavarsi i migranti possono utilizzare una pompa dell’acqua. “Le condizioni sono deprecabili sia dal punto di vista umano che sanitario, da quello che ci raccontano alcuni dormono sul pullman altri a terra. E’ una situazione vergognosa”, spiega Federico Pirone, consigliere di opposizione a Udine. Pirone per due volte ha fatto visita al bus quarantena: la prima due settimane fa, l’ultima ieri. “Su trenta persone circa, una sola era a lì da dieci giorni, gli altri ruotano, alcuni restano quattro o cinque giorni. Arrivano qui, fanno lo screening e poi vengono trasferiti - spiega -. Mentre eravamo sul posto è arrivata una nuova corriera con a bordo persone, che si sarebbero trasferite sul bus quarantena. Tra loro c’erano anche tre ragazzi, minori non accompagnati”. Secondo il consigliere è necessario “essere in grado di dare una risposta europea a questo fenomeno: per ragioni umanitarie questa situazione deve cessare, bisogna rimettere al centro il rispetto delle persone - aggiunge -. Un bus non può diventare un centro di prima accoglienza, non è accettabile, ci sono strumenti di legge che consentono di operare in maniera diversa. E vanno applicati”.

      I bus per l’isolamento fiduciario sono stati posteggiati davanti al parco Sant’Osvaldo il 5 settembre scorso. Il prefetto di Udine parla di una scelta obbligata per la difficoltà di reperire sul territorio posti per l’accoglienza e per l’isolamento fiduciario dei migranti. In una lettera inviata il 14 settembre 2020 al Prefetto di Udine e al Capo del Dipartimento della Protezione Civile, le associazioni ActionAid, Asgi, Intersos e numerose sigle del territorio hanno ricordato che con il Decreto Cura Italia, in vigore dal 17 marzo 2020, i Prefetti hanno acquisito poteri straordinari al fine di assicurare la possibilità di ospitare persone in isolamento fiduciario nel caso in cui queste non potessero farlo presso il proprio domicilio. Nel testo è specificato che il Prefetto può requisire “strutture alberghiere, ovvero di altri immobili aventi analoghe caratteristiche di idoneità, per ospitarvi le persone in sorveglianza sanitaria e isolamento fiduciario o in permanenza domiciliare, laddove tali misure non possano essere attuate presso il domicilio della persona”. Per ora però le organizzazioni non hanno ricevuto risposta. La prossima settimana dovrebbe esserci un incontro anche con i responsabili del ministero dell’Interno.

      Intanto anche l’Unhcr sta seguendo con attenzione la situazione. “Ci auguriamo che venga al più presto trovata una soluzione adeguata per la quarantena. Siamo al corrente delle difficoltà, tuttavia quella attuale non consente di ospitare le persone in quarantena secondo standard accettabili- sottolinea Carlotta Sami portavoce di Unhcr -. Sappiamo che il territorio in questo momento è sotto pressione per l’aumento degli arrivi dai Balcani e che ci sono problemi a trovare posti in accoglienza, ma è necessario individuare strutture adeguate per far fare l’isolamento fiduciario ai migranti in ambienti idonei”. Cesare Fermi, responsabile Unità Migrazione di Intersos ricorda che “non esistono motivazioni di sicurezza o di ordine pubblico o di problematica logistica che possano giustificare in nessun modo una misura come quella di far pernottare degli esseri umani all’interno di un pullman in uno spazio aperto. Siamo assolutamente sconcertati dalle soluzioni che ultimamente in Italia si stanno cercando, dalle navi ai pullman".

      https://www.redattoresociale.it/article/notiziario/bus_quarantena_a_udine_condizioni_deprecabili_a_bordo_anche_minori_

    • Les bateaux quarantaine, ou comment l’Italie enferme en haute mer

      On publie ici une réflexion sur une nouvelle forme de retention administrative qui est apparue et s’est développée depuis un an aux frontières méridionales de l’Europe, et en Italie notamment. Avec l’excuse de la pandémie, les Etats européens n’arretent pas de tester des nouvelles formes de controle des frontières, d’enfermement et d’expulsion. Mais ceux et celles qui les subissent y résistent tous les jours, meme lorsqu’iels sont enfermé.e.s dans des « CRA flottants ». A nous de soutenir leurs luttes.
      Depuis bientôt un an, un nouvel dispositif d’enfermement pour personnes étrangères existe au large des côtes d’Italie – et pas que. Les bateaux quarantaine, ferries de croisière désaffectés en raison de la pandémie et réaffectés à la quarantaine des migrant.e.s, rendent la guerre menée par l’Etat italien contre ceux et celles qui passent les frontières encore plus efficace et chirurgicale. Si en théorie ces bateaux servent à « assurer la santé » de ceux et celles qui y sont enfermé.es, ils se sont transformés en véritables centres de tri et d’expulsion.
      État d’ugence et bateaux quarantaine
      Tout commence en avril 2020, lorsque la pandémie du coronavirus explose partout et que les frontières des états européens ferment. Le 7 avril 2020, on déclare que les ports italiens ne sont pas ‘place of safety’, c’est-à-dire des endroits sûrs où faire débarquer les personnes qui viennent de la Méditerranée (1). Par conséquent, le 12 avril, l’Etat décide de louer des bateaux de croisière à des compagnies privées. L’appel d’offre est signé par la Protection civile italienne, et souscrit par le Ministère de l’Intérieur et celui des transports. À bord des ferries travaille le personnel de la Croix Rouge. Au début, ces bateaux sont conçus pour la contention des personnes sauvées en mer par les ONG – mais par pour celles et ceux qui débarquent de façon autonome sur les côtes italiennes. Le fonctionnement est apparemment simple : tout le monde est soumis à un test, celles et ceux qui sont négatif.ives sont mis.es en quarantaine pendant 15 jours, au bout desquels ils.elles sont libéré.es. Les autres restent à bord jusqu’à ce que leur test soit négatif. Évidemment dans les espaces fermés d’un bateau il est très difficile de contrôler la diffusion de la maladie, ce qui mène à enchainer des quarantaines qui ne se terminent jamais. Au départ on compte deux ferries, mais très rapidement, à la fin de l’été cinq bateaux mouillent au large des côtes italiennes. Ironie du sort : un des premiers bateaux loué à cette fin, le ‘Raffaele Rubattino’ de la Compagnie de Navigation Italienne, porte le nom de l’amiral qui acheta la baie d’Assab en 1870 au nom du royaume d’Italie, débutant l’aventure coloniale italienne en Afrique orientale qui sera ensuite poursuivie par le régime fasciste.

      Au fil du temps, la situation sur la terre ferme s’empire et il n’y a littéralement plus de place pour enfermer dans les centres d’accueil, les centres de rétention et dans les hotspot (2), à cause également de la fermeture des frontières. On commence alors à transférer sur les bateaux les personnes qui se trouvent déjà sur le sol italien. Les bateaux quarantaine deviennent des véritables hotspot flottants : les personnes y sont amenées sans recevoir aucun type d’information juridique sur leur situation – à bord il n’y a que le personnel de la Croix Rouge qui ne fournit pas de suivi juridique -, souvent on leur fait signer des papiers sans traduction et une fois qu’elles descendent elles sont amenées directement dans les CPR (3). Au cours de l’été, il arrive même que des migrant.es en voie de régularisation mais testé.es positif.ves au coronavirus soient amené.es sur un bateau, et qu’à cause de l’isolement et du manque d’information, ils et elles soient exclu.es du parcours d’accueil (4). Cette situation provoque l’indignation des associations humanitaires qui se décident enfin à prendre la parole et à dénoncer ce qui se passe dans ces lieux d’enfermement.

      Entre temps, le tri et les expulsions continuent : en particulier, les personnes tunisiennes passent souvent du bateau à l’avion, ou sont même expulsées par bateau (5). Ceci est permis par les accords entre la Tunisie et l’Italie – signés entre autres par la même ministre de l’intérieur italienne qui est une des signataires de l’appel d’offre pour la location des ferries de quarantaine. Ces traités autorisent le rapatriement forcé des citoyen.es tunisien.nes arrivé.es en Italie, ainsi que l’enterrement des déchets italiens en sol tunisien, en échange d’importantes sommes d’argent (6). Ordures et êtres humains : ce que l’Etat italien pense des personnes tunisiennes qui arrivent par mer est assez évident. En septembre, à la fin d’un été qui a vu reprendre la circulation touristique et les expulsions depuis l’Europe vers de nombreux pays d’Afrique et du Moyen Orient, un deuxième appel d’offre est lancé par la Protection civile (7). Cette fois une seule compagnie remporte l’appel d’offre, l’entreprise GNV (Grandi Navi Veloci), tandis que la Croix Rouge reste prestataire de service à bord des bateaux. Depuis, on compte 9 bateaux quarantaine à bord des côtes de la Sicile, de la Calabre et des Pouilles, où l’on continue d’enfermer, trier et expulser les migrant.es.
      Lutte et résistance sur les bateaux
      Ce qui est intéressant à remarquer, c’est le lien qui existe entre ce qui se passe sur les bateaux et ce qui se passe dans le hotspot de Lampedusa, d’où viennent la plupart des personnes enfermées en mer pendant l’été. Le 11 août une manifestation coordonnée a lieu dans le centre de l’île et sur le bateau Azzurra de GNV, pour dénoncer les conditions inhumaines de détention. Quelques semaines après, ce sera à cause des menaces du maire de Lampedusa, qui annonce une grève générale sur l’île, que le gouvernement décide de louer un nouveau ferry destiné à la quarantaine des personnes migrantes (8).

      Par ailleurs, la manifestation du 11 août n’est pas un acte isolé : des résistances collectives et individuelles existent depuis la création des bateaux quarantaine. Les moyens de révolte sont divers, comme c’est le cas dans les centres de rétention : automutilation, grève de la faim, incendie, et aussi quelques belles tentatives d’évasion. Le 21 novembre dernier, alors que le bateau accoste au port pour se réapprovisionner, un groupe des personnes arrive à s’évader du ferry Rhapsody de la GNV, profitant d’une échelle en bois et de l’absence de la police (9). La dernière manifestation remonte au 15 mars dernier, lorsqu’un groupe de personnes tunisiennes enfermées sur un bateau de la GNV bloque un des ponts du ferry et fait circuler une vidéo qui montre les conditions d’enfermement (10).

      La répression est aussi violente dans ces lieux, même si la police n’est pas présente à bord. Souvent par contre elle est présente au moment où le bateau accoste pour ‘gérer’ le débarquement des personnes enfermées. Il n’y a plus seulement les centres d’accueil et les hotspot qui sont militarisés, surveillés H24 par des militaires, face à la rage montante de celles et ceux qui y sont enfermé.es sans soin et sans information. En septembre, lorsque plusieurs centaines de migrant.es sont censé.es débarquer au port de Bari à la fin de leur quarantaine, suite au test positif d’une personne, on empêche à tout le monde de descendre. Les gens, à bout après plusieurs semaines sans aucun soin réel, s’enragent et essaient de débarquer. Ils et elles sont chargé.es par la police qui rentre jusque sur les ponts pour matraquer ceux et celles qui veulent descendre (11). Depuis leur mise en place, les bateaux quarantaine ont déjà tué trois personnes : au mois de mai, une personne tunisienne se suicide en se jetant depuis le pont du bateau Moby Zaza ; en septembre Abdallah, un mineur migrant, meurt à l’hôpital de Palerme de tuberculose, suite au manque de soins à bord du bateau où il était enfermé, tandis que quelques semaines plus tard, en octobre, Abou, âgé de 15 ans, meurt au bout de 15 jours de quarantaine à bord du bateau Allegra, à cause du manque de soins (12). Encore une fois, les frontières et les Etats tuent, quel que soit le dispositif qu’ils décident d’employer.
      La détention administrative “off-shore”
      Il faut dire que cette idée ne vient pas de nulle part, mais qu’elle a des précédents dans l’histoire d’Italie et plus en général de l’Europe et du monde. La détention administrative offshore est de fait pratiquée en Australie, où existent des véritables île-prison pour les immigré.es (13). En Italie, en 2016, le ministre de droite Alfano propose de construire des centres de détention offshore, mais l’Union Européenne déclare que cette proposition viole les droits humains (14). Il aura fallu une autre ministre seulement quatre ans après pour convaincre l’Europe de cette bonne idée et pour le faire réellement… D’ailleurs, on ne peut pas dire que des formes de détention administrative offshore ‘informelle’ n’étaient pas déjà pratiquées avant dans la Méditerranée. Il suffit de penser au blocus des ports pour les ONG en 2019, qui a mené des centaines de personnes à passer des semaines enfermées sur des bateaux au large des côtes italiennes. Ou encore à la répression de la piraterie somalienne par les empires européens, qui a permis d’expérimenter et ensuite de transformer en lois un arsenal répressif permettant la détention offshore. Entre 2009 et 2011, plusieurs pirates arrêtés par les armées italienne, française et anglaise coordonnées au sein de l’opération européenne Atalanta ont été détenus pour de longues périodes sur des bateaux militaires, dans l’attente de décider dans quel tribunal ils allaient être jugés. Suite à cette guerre à la piraterie, la France passe une loi en 2011 qui crée un « un régime sui generis pour la rétention à bord » des pirates sur le modèle de la détention administrative, et qui autorise la privation de liberté sur les avions, bateaux etc., qui deviennent ainsi des zones de non-droit (15).

      De lieux d’isolement sanitaire à prisons flottantes, les bateaux quarantaine permettent à l’Etat italien, et par conséquence à l’Europe, d’externaliser encore plus ses frontières, et d’affiner la machine à expulser. Ce n’est pas un hasard s’ils ont été mis en place en Italie, et plus précisément dans le sud de l’Italie, à Lampedusa, et que quelques mois plus tard deux bateaux quarantaine ont fait leur apparition à Malte et à Lesbos (16) : des lieux périphériques, aux frontières de l’Europe, des endroits clés pour le contrôle des mobilités. Comme les camps en Libye, ces ferries relèvent d’une gestion néocoloniale des migrations et des frontières. Parallèlement à la mise en place de ce dispositif, l’agence européenne Frontex a annoncé qu’à partir de janvier 2021 la mer Méditerranée sera surveillée par des drones… achetés à Israël, un état envahisseur et colonisateur.

      Encore une fois, ceux qui font de l’argent sur les corps de prisonnier.es sont les entreprises privées, et la Croix Rouge, professionnels de l’enfermement des migrant.es. C’est vers eux que va toute notre haine. En Italie comme partout, le seul intérêt de l’Etat est de mieux contrôler et enfermer. Les résistances des prisonnier.es, sur les bateaux quarantaine comme dans les CRA, nous montrent la seule voie face à la machine des expulsions : la détruire.

      (1) https://www.avvenire.it/attualita/pagine/italia-porto-non-sicuro-approdo-migranti
      (2) Les hotspot sont des lieux d’enfermement servant à identifier, enregistrer et prendre les empreintes digitales des migrants arrivant.
      (3) CPR, centres de permanence pour le rapatriement, équivalent italien des CRA.
      (4) https://www.imgpress.it/attualita/illegali-e-discriminatori-i-trasferimenti-coercitivi-sulle-navi-quarantena-
      https://www.tvsvizzera.it/tvs/migrazione-e-covid_navi-quarantena-anche-per-gli-immigrati-residenti-in-italia/46137554
      (5) https://ilmanifesto.it/navi-quarantena-per-i-tunisini-sono-lanticamera-dei-rimpatri
      (6) https://www.nigrizia.it/notizia/italia-tunisia-e-quellaccordo-fantasma
      (7)https://www.ansa.it/sito/notizie/topnews/2020/09/10/migranti-nuovo-bando-navi-quarantenaanche-per-arrivi-terra_65a0eb84-10cc-43e5-8
      (8)https://www.corriere.it/cronache/20_agosto_30/migranti-lampedusa-viminale-annuncia-trasferimenti-imminenti-altre-3-navi-q
      (9) https://www.secoloditalia.it/2020/11/porto-empedocle-migranti-fuggono-dalla-scaletta-della-nave-quarantena-
      (10) https://www.facebook.com/107635584259867/videos/1413214879039905
      (11)https://www.lagazzettadelmezzogiorno.it/news/home/1253758/bari-rivolta-sulla-nave-di-migranti-oltre-50-positivi-a-bor
      (12)https://ilmanifesto.it/navi-quarantena-i-minori-che-hanno-perso-la-vita-sono-due
      (13)https://www.infomigrants.net/en/post/25711/eu-trying-to-replicate-australia-s-offshore-detention-centers-refugee-
      (14)https://www.repubblica.it/politica/2016/05/18/news/sicurezza_alfano_nel_2015_il_minor_numero_di_reati_rispetto_all_ultimo_de
      (15)https://www.senat.fr/rap/r11-499/r11-499_mono.html
      (16) http://www.vita.it/it/article/2020/05/22/malta-e-italia-quei-migranti-nelle-navi-quarantena-tenuti-lontani-da-n/155580

      https://abaslescra.noblogs.org/les-bateaux-quarantaine-ou-comment-litalie-enferme-en-haute-mer

  • In limine

    #In_Limine est un projet ASGI (Association Etudes Juridiques sur l’Immigration) qui affronte les questions et les thématiques relatives aux politiques de gestion des #frontières, de l’accès à la #procédure_d’asile et la stratégie #Hotspot, dans le but de définir et de structurer – à travers de la recherche et la pratique sur le terrain et l’assistance juridique stratégique – les stratégies de dénonce et de contraste des pratiques dommageables aux libertés et aux droits des citoyens étrangers arrivant en #Italie.

    À partir de Janvier 2019, grâce au soutien de Open Society Foundation, le #projet serait actif avec un groupe d’opérateurs légaux et médiateurs interculturels qui seront présents en Sicile, principalement dans les localités de #Pozzallo, #Trapani, #Caltanissetta e #Lampedusa, pour promouvoir les activités suivantes :
    • La collecte et le monitoring d’informations à travers la relation avec les citoyens étrangers et avec les acteurs publics et privés qui travaillent dans le contexte de frontières ;
    • La présentation de causes stratégiques pour protéger les citoyens étrangers et contester la légitimité des nouvelles règles introduites par le décret-loi 113/2018 converti en L.132 / 2018 devant le tribunal civil, la Cour européenne des droits de l’homme, la Cour de justice de l’Union européenne et à la Cour constitutionnelle ;
    • La collaboration avec d’autres entités concernées par ces questions et avec les avocats spécialisés en droit de l’immigration actifs dans la région, afin de créer et/ou soutenir des réseaux et des groupes d’avocats capables d’intervenir rapidement et efficacement pour combattre les violations des droits des citoyens étrangers ;
    • La promotion des actions de protection et d’assistance juridique afin de mieux protéger les droits et de contraster les conséquences concrètes des politiques publiques sur la qualité des droits.

    Le projet vise également à montrer, par une lecture systématique des règles et de leur relation dynamique avec la société, la véritable nature des politiques de #gestion_des_frontières.

    L’équipe travaillera avec l’aide d’un comité d’experts composé d’une vingtaine d’avocats spécialisés et d’un groupe d’avocats (environ 25 personnes) pouvant intervenir à la demande de l’équipe sur place, afin de protéger les citoyens étrangers en intervenant activement sur les violations constatées.

    La loi n ° 132/2018, qui convertit le décret-loi n ° 113/2018 (soi-disant « décret immigration et sécurité »), a introduit de nombreuses innovations alarmantes. Dans ce scénario et dans cette phase historique, afin de mettre en place une réponse adéquate, il est indispensable de structurer ce projet sous forme d’action progressive et ouverte à la participation d’autres organisations et sujets de la société civile. Pour ceci, le projet In Limine vise à faciliter la création de réseaux et de formes de coopérations qui, en connexion et relations scientifiques et opérationnelles étroites, peuvent conduire à la multiplication d’expériences similaires sur le territoire frontalier, pour une action de contraste plus étendue et constante des politiques de criminalisation des ressortissants étrangers entrant sur le territoire italien.

    Le projet In Limine a connu une phase pilote d’expérimentation de méthodes et de pratiques pour lutter contre les violations des droits des citoyens étrangers sur l’île de Lampedusa entre Mars et Septembre 2018, grâce à la coopération entre ASGI, ActionAid, CILD et IndieWatch.

    Pour plus d’informations, voir les documents produits au cours du projet pilote.

    https://www.asgi.it/wp-content/uploads/2018/07/Khlaifia_-hotspot-Lampedusa_Progetto-In-limine_ITA-giugno-2018.pdf
    https://cild.eu/wp-content/uploads/2018/07/Documento-SOP_versione-finale.pdf
    https://www.asgi.it/wp-content/uploads/2018/04/2018410_Dossier-Lampedusa-per-sito.pdf
    https://www.radioradicale.it/scheda/557123/limpatto-del-decreto-1132018-cd-immigrazione-sicurezza-sul-funzionamen

    Contacts :
    inlimine@asgi.it
    https://inlimine.asgi.it
    inlimineasgi@pec.it

    https://www.facebook.com/progettoinlimine
    #décret_sécurité #decreto_Salvini #decreto_sicurezza #monitoring #monitorage #observatoire

  • Anti-Torture Committee calls for a co-ordinated European approach to address mass migratory arrivals in Italy

    The European Committee for the Prevention of Torture and Inhuman or Degrading Treatment or Punishment (#CPT) published today a report on an ad hoc visit conducted in Italy to examine the situation of foreign nationals deprived of their liberty in the so-called “hotspots” and immigration detention centres, in a context of large-scale arrivals from North Africa. The CPT recognises the significant challenges faced by the Italian authorities regarding the influx of new arrivals by sea. It also acknowledges the substantial efforts in carrying out rescue operations and in providing shelter and support to the hundreds of thousands of refugees, asylum seekers and migrants currently present in the country. In this framework, the CPT recalls the need for a co-ordinated European approach and support system to address the phenomenon of mass migratory arrivals.

    CPT’s delegation visited the “hotspots” in #Lampedusa, #Pozzallo and in #Trapani (#Milo), as well as a mobile “hotspot” unit at #Augusta ’s port. Further, it was able to observe a disembarkation procedure at Trapani’s harbour. The Council of Europe experts also visited the closed removal centres (Centri di Permanenza per i Rimpatri, CPRs) in #Caltanissetta, #Ponte_Galeria (#Rome) and #Turin, as well as holding facilities at #Rome Fiumicino’s Airport.

    https://www.coe.int/en/web/portal/-/anti-torture-committee-calls-for-a-co-ordinated-european-approach-to-address-ma
    #hotspots #Italie #asile #migrations #réfugiés #rapport #mobile_hotspots #hotsports_mobiles #port #débarquement #CPR (ex #CIE) #détention_administrative #rétention #aéroport #santé

    Lien vers le rapport:


    https://rm.coe.int/16807b6d56

  • Le difficoltà dell’accoglienza nel trapanese

    In questo ultimo periodo ci sono arrivate molte richieste di aiuto da parte di persone ospiti in vari centri della Sicilia, ma nell’ultimo mese le richieste si sono concentrate in particolare nell’area del trapanese. Pensiamo che questo dato sia dovuto a più fattori: innanzitutto quello di un nuovo bando andato a regime con soggetti che si sono affacciati da poco nel panorama del business dell’accoglienza e cooperative che hanno tentato di allargare il proprio raggio d’azione gestendo più strutture contemporaneamente (CAS, ma anche centri per minori o Sprar).


    https://siciliamigranti.blogspot.fr/2017/10/le-difficolta-dellaccoglienza-nel.html#more
    #Umana_Solidarietà #CAS #italie #accueil #réfugiés #business #asile #migrations #centres_d'accueil #centres_pour réfugiés #Sicile #Trapani #Aerus_di_Triscina #Castellammare_del_Golfo #Ericevalle #Sprar #Sataru #isolement #visibilité #invisibilité #in/visibilité

  • Migranti, istituiti sei nuovi hotspot: due verranno aperti in Sicilia, tre in Calabria e uno a Cagliari

    Il ministro Minniti comunicherà oggi la decisione al Parlamento. I sei e vanno aggiungersi a quelli di Lampedusa, Pozzallo, Trapani e Taranto

    Sei i nuovi #hotspot che andranno ad aggiungersi ai quattro gia’ in funzione a #Lampedusa, #Pozzallo, #Trapani e #Taranto. Due in Sicilia, a Palermo e Siracusa, uno a #Cagliari e altri tre in Calabria, a Reggio, #Crotone e #Corigliano_Calabro, piu’ un Cie da 100 posti in ogni regione.

    http://palermo.repubblica.it/cronaca/2017/07/05/news/migranti_due_nuovi_hotspot_in_sicilia_verranno_aperti_a_palermo_e
    #Palerme #Siracusa #hotspots #Palermo #Reggio_calabria #CIE #détention_administrative #rétention #Italie #asile #migrations #réfugiés

  • Come in carcere, ma senza i diritti dei detenuti

    Il Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale ha presentato - poco dopo la pubblicazione del rapporto sul primo anno di attività - un nuovo rapporto tutto dedicato alla questione dei trattenimenti dei migranti. Dopo dieci mesi di monitoraggio, quattro Cie/Cpr e quattro hotspot, vediamo quali sono le conclusioni a cui è giunto questo nuovo organismo di tutela.


    http://openmigration.org/analisi/come-in-carcere-ma-senza-i-diritti-dei-detenuti
    #hotspots #asile #migrations #réfugiés #CIE #détention_administrative #rapport #droits #Brindisi #Caltanissetta #Turin #Rome #Italie #statistiques #chiffres #Taranto #Lampedusa #Trapani #Pozzallo

    Lien vers le #rapport:
    http://www.garantenazionaleprivatiliberta.it/gnpl/resources/cms/documents/6f1e672a7da965c06482090d4dca4f9c.pdf
    –-> et le commentaire de Open Migration
    Migrazione e libertà, il punto del Garante nazionale


    http://openmigration.org/analisi/migrazione-e-liberta-il-punto-di-un-anno-di-monitoraggio-da-parte-del

    cc @stesummi

  • Migranti : niente hotspot a Mineo,altri in Sicilia e Calabria

    Tramonta l’ipotesi di creare un hotspot a #Mineo (Catania), attualmente il centro per richiedenti asilo più grande d’Europa. Altre strutture per l’identificazione e la prima accoglienza dei migranti volute dalla Commissione Europea apriranno invece in Sicilia, Calabria e Sardegna. Lo ha riferito il capo del Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione del ministero dell’Interno, Gerarda Pantalone, alla commissione Migranti.

    Attualmente, ha ricordato Pantalone, sono attivi 4 hotspot a #Lampedusa, #Pozzallo, #Trapani e #Taranto. Si stanno svolgendo lavori per aprirne altri due entro giugno nella caserma Gasparro di #Messina ed in un’area messa a disposizione dall’Agenzia per i beni confiscati alle mafie a Palermo. Anche in Calabria sono in corso contatti con le istituzioni per aprirne tre entro ottobre-novembre a #Corigliano_Calabro (400 posti), #Crotone (800) e #Reggio_Calabria (400). Infine, per la Sardegna si pensa - e c’e’ un accordo con la Regione, ad hotspot mobili che possono essere trasferiti nei diversi porti dove approdano le navi.

    A Mineo, invece, ha proseguito il prefetto, «è stata superata l’idea di allestire un hotspot. L’intenzione è quella di alleggerire il Centro, che è passato da una punta di 3.800 ospiti a dicembre agli attuali 3.200».(ANSAmed).

    #hotspots #localisation #Italie #asile #migrations #réfugiés #Sicile #Calabre #Sardaigne #hotspots_mobiles #frontière_mobile

    • Leoluca Orlando: “A Palermo nessun hotspot”

      “Non daremo né ci è stato chiesto il consenso per realizzare un hotspot a Palermo. Noi abbiamo affrontato, e le carte dicono questo, il tema di come evitare le lunghe sosta dei migranti sul ponte delle navi al freddo o al caldo e sulle banchine. Abbiamo dato la disponibilità ad attrezzare un’area complementare rispetto all’attività che viene al momento svolta nel commissariato San Lorenzo. Averla individuata sulla circonvallazione dà il senso che si tratta di un’area dove ci sarà una permanenza per il tempo necessario alle operazioni di identificazione”.

      http://www.lagazzettapalermitana.it/leoluca-orlando-a-palermo-nessun-hotspot
      #Palerme

  • HotSpot : Così è se vi pare

    A Bruxelles, fonti della Commissione europea, hanno dichiarato che gli hotspot stanno già funzionando sull’isola di Lampedusa e nelle località siciliane di #Augusta, #Pozzallo, #Porto_Empedocle e #Trapani. Il pensiero va subito ad una frase di Bertolt Brecht poeta e drammaturgo tedesco: ”Tra le cose sicure la più sicura è il dubbio”– ed io qualche dubbio ce l’ho. “Forse questi funzionari della commissione europea non hanno mai messo piede a Lampedusa?”
    Da più di un mese a Lampedusa vivono all’interno dell’HotSpot una media di 300 persone. I trasferimenti avvengono con il contagocce e la permanenza, che dovrebbe essere brevissima, si prolunga per settimane. Ad oggi il numero delle presenze all’interno dell’Hotspot é di circa 400 persone che potrebbero viaggiare in maniera regolare e pagarsi un biglietto aereo o navale ma sono costrette dalle leggi dell’UE sull’immigrazione a passare per i centri per migranti e alla fine ad entrare nel mondo del lavoro come manodopera a basso costo, sfruttata e molto spesso senza documenti. Ovviamente e tristemente se non muoiono in mare, ricordiamo che quest’anno è un anno record per le morti nel mediterraneo.

    http://www.lavalledeitempli.net/2016/12/03/hotspot-cosi-vi-pare
    #hotspot #Lampedusa

  • L’amère escale de l’#Aquarius : 22 morts à bord

    Arrivé vendredi dans le port de #Trapani, en #Sicile, l’équipage de l’Aquarius a débarqué les morts et réconforté les vivants. Le 20 juillet, il a sauvé 209 personnes en perdition sur deux canots pneumatiques avant de devoir extraire, un à un, vingt-deux corps qui gisaient au fond d’une de ces embarcations. Le navire reprendra ses opérations de sauvetage en Méditerranée après quatre jours de pause.
    Le photographe Bertrand Gaudillère et la journaliste Catherine Monnet participent au projet La France VUE D’ICI où avec leur sujet “Justes solidaires” ils présentent l’engagement de ces citoyens ordinaires qui sont devenus acteurs d’une des plus graves crises humanitaires et politiques du début du XXIe siècle.

    https://www.mediapart.fr/portfolios/l-amere-escale-de-l-aquarius-22-morts-bord
    #SOS_Méditerranée #asile #migrations #réfugiés #mourir_en_mer #décès #cadavres #naufrage #secours #Méditerranée #corps

  • In tre mesi fotosegnalati all’#hotspot di #Trapani #Milo 2492 migranti

    I profughi, quasi tutti provenienti dall’Africa sub-sahariana, sono stati informati, accompagnati e assistiti e poi accolti nei Cas locali o di altre parti d’Italia, avviando la pratica per la richiesta d’asilo. C’e’, quindi, un lavoro sinergico tra le organizzazioni internazionali presenti nell’ampia struttura (#Unhcr ed #Easo) e le forze dell’ordine nazionali e internazionali (#Frontex). Di questo ne e’ soddisfatto il prefetto di Trapani Leopoldo Falco che dice: “Il sistema sta reggendo molto bene e c’e’ un buon lavoro di squadra”.

    http://www.tp24.it/resizer/resize.php?url=http://www.tp24.it/immagini_articoli/28-03-2016/1459175247-0-in-tre-mesi-fotosegnalati-all-hotspot-di-trapani-milo-2492-migrant
    http://www.tp24.it/2016/03/31/immigrazione/in-tre-mesi-fotosegnalati-all-hotspot-di-trapani-milo-2492-migranti/99110

  • Trapani, “respingimento differito” per 196 profughi. Poi il dietrofront delle istituzioni

    Prima i provvedimenti di “respingimento differito”, poi il trasferimento nuovamente all’interno dell’hotspot di Trapani. Una trama che sta coinvolgendo 196 migranti (provenienti da Gambia, Senegal, Nigeria, Burkina Faso e Pakistan) sbarcati lo scorso 28 dicembre a Palermo. In seguito al fotosegnalamento, gli ufficiali di polizia hanno notificato loro un provvedimento di “respingimento differito”. Il provvedimento stabilisce “l’accompagnamento al paese d’origine, attraverso la frontiera di Roma Fiumicino“, garantendo la possibilità di presentare un ricorso entro 60 giorni. Nella documentazione si legge come nessuno di loro abbia “manifestato la volontà di richiedere la protezione internazionale e non sussistono le condizioni affinché possa essere rilasciato un permesso di soggiorno per motivi umanitari”. “Ci hanno fatto firmare molto velocemente – dice uno di loro – nessuno ci ha spiegato cosa stava accadendo”. In seguito al provvedimento i migranti sono stati accompagnati nei pressi della stazione fino all’intervento dei volontari della Croce Rossa Italiana che nel pomeriggio di ieri, in seguito ad una riunione, li hanno accompagnati all’interno di una palestra comunale. “Guardate quanti pasti ci sono stati donati – ha detto Laura Rizzello, coordinatrice provinciale della Croce Rossa Italiana – speriamo che la questione si risolva presto”. Poi il dietrofront delle istituzioni. Trasferimento all’hotspot, ratifica delle richieste di protezione internazionale e ricollocazione nel sistema dei Cas (Centri di accoglienza straordinari) di Marco Bova

    http://tv.ilfattoquotidiano.it/2016/01/04/trapani-respingimento-differito-per-196-richiedenti-asilo-poi-il-dietrofront-delle-istituzioni/460165
    #transfert_différé (nouveau terme, apparemment) #asile #migrations #tri #hotspot #Trapani #Italie #renvoi #expulsion #réfugiés

  • #Trapani, respinti in 120 all’#hotspot. «Ma non possiamo tornare nel nostro Paese»

    Sette giorni per tornare al proprio paese ed abbandonare il suolo italiano. Un ultimatum schiacciante che sabato ha colpito 120 migranti provenienti da mezzo continente africano e scaricati in piena Piazza Vittorio a Trapani. Sono i respingimenti differiti emessi all’interno degli hotspot già visti a Pozzallo e ad Agrigento. Il provvedimento è noto e qualche mese fa aveva fatto ritardare l’apertura dell’hotspot a Trapani condannandolo a restare un Cie. Con questa nuova tipologia, però i migranti si ritrovano immediatamente senza un tetto sulla testa.

    http://www.tp24.it/2016/01/04/immigrazione/trapani-respinti-in-120-all-hotspot-ma-non-possiamo-tornare-nel-nostro-paese/96950
    #tri #asile #migrations #réfugiés #Italie #ceux_qu'on_ne_veut_pas #renvoi #expulsion

  • Detenzione amministrativa arbitraria e respingimenti collettivi: ecco a cosa serve la distinzione tra profughi e «migranti economici». Cambiano le sigle ma non cambiano le regole da rispettare. Quanto valgono gli accordi di riammissione ?

    Questo il #CIE di #Trapani Milo, che dal 3 agosto 2015 avrebbe dovuto essere trasformato in un #HotSpot. I nuovi centri di identificazione voluti dall’Unione Europea. Una struttura che in passato è stata teatro di gravi violenze. E che è sempre stata al centro di appalti molto discussi. Una struttura che stava per essere chiusa e riconvertita e che adesso rischia di restare destinata ancora a luogo di detenzione a tempo indeterminato.


    http://dirittiefrontiere.blogspot.it/2015/08/detenzione-amministrativa-arbitraria-e.html
    #détention_administrative #rétention #renvoi #expulsion #Italie #asile #réfugiés #migrations #Frontex
    cc @albertocampiphoto

    • Immigrazione. «Violati i diritti umani». Slitta a Trapani l’apertura dell’hotspot

      A causa di una presunta violazione dei diritti umani a Trapani slitta l’apertura dell’hotspot destinato ai migranti appena arrivati. Ad annunciarne la nascita era stato il prefetto Leopoldo Falco giusto un mese fa, ma del nuovo strumento voluto dalla Comunità Europea non ce ne sarà traccia almeno per un altro mese. «A Trapani sarà installato un hotspot che servirà ad accogliere per le prime 72 ore i migranti giunti in banchina. Sarà impiantato nella struttura che fino ad ora ha ospitato il Cie, in contrada Milo . Lì verrà garantito il foto segnalamento». A disporne l’apertura era stato il Ministero dell’Interno con una nota datata 17 luglio, ma gli stessi uffici la scorsa settimana ne hanno compromesso l’avvio. Tutto ruota attorno a 116 uomini di nazionalità marocchina sbarcati lo scorso 17 agosto a Catania con la medesima nave che trasportava 416 persone tra cui le 49 salme scovate nel sottopancia di un peschereccio recuperato nel Mediterraneo.

      http://www.tp24.it/2015/08/28/cronaca/immigrazione--violati-i-diritti-umani-slitta-a-trapani-l-apertura-dell-hotspot/93895