• "Avec cette cagnotte, les gens soutiennent un policier quand il tue un Arabe. Quand un policier tue, il est millionaire".

    Les amis de Nahel, les habitants de Nanterre sont toujours très en colère sur le traitement réservé aux quartiers après la mort de l’ado. Notre reportage.

    https://twitter.com/booska_p/status/1677271489043742721
    #Nahel #Nanterre #amis #témoignage #jeunes #colère #tristesse #dignité #quartiers_populaires #banlieues #jeunesse

  • Il ministero dell’Interno condannato a risarcire un respinto a catena in Bosnia

    Il Tribunale di Roma ha accertato l’illegittimità delle “riammissioni” al confine orientale, ricostruendo il “nesso causale” tra respingimenti e trattamenti inumani. Il Viminale deve farsi carico del danno inflitto a un cittadino pakistano richiedente asilo. Decisivo il lavoro di rete tra attivisti, Ong e avvocati. Una decisione attualissima

    Il ministero dell’Interno è stato condannato dal Tribunale di Roma a pagare 18.200 euro a titolo di risarcimento nei confronti di A., cittadino originario del Pakistan in fuga dal Paese, per averlo prima fermato a Trieste e poi respinto in Slovenia e a catena verso la Croazia e la Bosnia ed Erzegovina. Nonostante avesse manifestato la volontà di domandare protezione internazionale. Cento euro per ogni giorno trascorso tra la “riammissione” in Slovenia avvenuta a metà ottobre 2020 e il rientro in Italia nell’aprile 2021, come prevede la giurisprudenza comunitaria e nazionale su casi assimilabili.

    La decisione della giudice Damiana Colla del 9 maggio è estremamente rilevante non soltanto perché “accerta e dichiara l’illegittimità” delle riammissioni informali attive da parte italiana ma soprattutto perché inchioda l’”evidente nesso di causalità” tra l’operato della polizia italiana e il “danno subito” da A.. “La lesione del diritto d’asilo e i trattamenti inumani -scrive infatti la giudice- sono stati la diretta conseguenza della riammissione informale del ricorrente in Slovenia da parte delle autorità di frontiera di Trieste”.

    La decisione ottenuta dalle avvocate Caterina Bove e Anna Brambilla dell’Asgi, commenta la stessa Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione, “è stata il frutto di un lavoro di rete che ha visto coinvolti diversi soggetti attivi nel contrasto alle violenze verso le persone in movimento attivi lungo la rotta balcanica, tra i quali la rete RiVolti ai Balcani (in particolare Gianfranco Schiavone e Agostino Zanotti), la giornalista Elisa Oddone, la Ong ‘Lungo la rotta balcanica’, l’associazione Pravni center za varstvo človekovih pravic in okolja – Legal Centre for the Protection of Human Rights and the Environment (Pic, in particolare Ursa Regvar), il progetto Medea dell’Asgi, Ics Ufficio Rifugiati, Linea d’ombra, il Centro per la Pace di Zagabria, Anela Dedic e tutti gli attivisti e attiviste che agiscono per la tutela per i diritti umani in Bosnia ed Erzegovina e lungo le rotte percorse dalla persone in transito”.

    Nuove ombre si allungano su una prassi che i governi europei intendono invece elevare sempre più a norma “guida” della brutale gestione delle frontiere, come dimostra l’accordo al Consiglio europeo Giustizia e Affari interni dello scorso 8 giugno sui regolamenti in tema di gestione dell’asilo e della migrazione e delle procedure.

    Non si tratta di un’ordinanza che guarda a un passato ormai superato o a una pagina triste nel frattempo voltata: se è vero infatti che l’Italia ha condotto i respingimenti verso la Slovenia per tutto il 2020 e li ha sospesi nel 2021, è noto che da fine 2022 il nuovo governo abbia annunciato di volerli riprendere (con “risultati” incerti di cui abbiamo già scritto). Il tutto nonostante il precedente dell’ordinanza cautelare del Tribunale di Roma a firma della giudice Silvia Albano, emessa nel gennaio 2021 a fronte del ricorso promosso sempre dalle avvocate e socie Asgi Caterina Bove e Anna Brambilla (la vicenda è ben raccontata nel film “Trieste è bella di notte” dei registi Andrea Segre, Stefano Collizzolli e Matteo Calore).

    La storia di A. ricostruita nella decisione di Roma è tanto forte quanto emblematica. La sua fuga dal Pakistan inizia nel 2018, quand’è ferito in un attacco del gruppo terroristico Tehrik-i-Taliban Pakistan. Sopravvissuto, e temendo ritorsioni da ambo le parti (estremisti ed esercito cui apparteneva), decide di scappare. Resta per un anno in Turchia e per tre volte prova a entrare in Grecia, nell’Unione europea. Al terzo tentativo riesce, attraversando poi la Macedonia del Nord, la Serbia e arrivando nell’estate 2019 in Bosnia ed Erzegovina.

    Per nove volte è respinto dalle polizie croate e per tre da quelle slovene. Il primo ottobre 2020, a “riammissioni informali attive” ormai a pieno regime da parte italiana, gli riesce il “game” che lo porterà a Trieste nella mattinata del 17 ottobre. Qui però alcuni militari lo fermano quasi subito insieme ad altre quattro persone. Finiscono tutti in una stazione di polizia dove sono visitati e gli vengono fatti firmare fogli non tradotti dal contenuto oscuro. A. riferisce però agli agenti di voler chiedere asilo ma questi lo “affidano” alla polizia slovena. Non ha niente in mano: “informale” vuol dire infatti respinto senza lo straccio di un provvedimento scritto, motivato, impugnabile, cioè senza convalida dell’autorità giudiziaria, senza diritto a un ricorso effettivo. A riprova di quanto sia basso e surreale il dibattito sul garantismo in Italia.

    È così che A., con l’etichetta fasulla di “cittadino extraeuropeo entrato irregolarmente” e non invece di richiedente asilo, si fa una notte in una stazione di polizia slovena e il giorno dopo si vede “consegnato alle autorità croate e da queste respinto in Bosnia con metodi violenti, comprese percosse”, sempre per citare il giudice di Roma.

    Alla fine della catena lo attende la Bosnia ed Erzegovina. Nel caso di A. è l’insediamento informale di Vedro Polje, poco distante da Bihać, nel Nord-Ovest del Paese. Per via delle “degradanti condizioni di vita al campo”, come si legge nell’ordinanza che ha condannato il Viminale, A. decide di riprovarci. Lì non può rimanere. Ce la fa, di nuovo, perché “frontiere chiuse” è uno slogan vuoto, e ad aprile del 2021 torna nell’Italia che lo aveva illegalmente respinto. Tre mesi prima, come detto, la giudice Albano del Tribunale di Roma aveva già sanzionato il ministero dell’Interno per le stesse riammissioni (caso specifico diverso, naturalmente). A., memore del precedente respingimento, abbandona in fretta Trieste e raggiunge Brescia. Il 10 maggio fa quella domanda d’asilo che gli era stata negata dalla polizia italiana qualche mese prima e a tre giorni da Natale si vede riconoscere lo status di rifugiato. Ma non gli suona come un lieto fine quanto lo sprone a chieder giustizia per quel respingimento illegale subìto.

    Il 31 dicembre 2021 fa perciò ricorso. Il ministero dell’Interno si costituisce in giudizio il 27 settembre 2022 sostenendo che no, non si sarebbe trattato di un’espulsione collettiva vietata dal diritto internazionale ed europeo, che l’intera procedura si sarebbe svolta nel rispetto dei diritti umani fondamentali delle persone coinvolte, che la pratica sarebbe stata pienamente legittima e che il danno subito dal ricorrente (cioè A.) non sarebbe stato dimostrato.

    Il Tribunale di Roma dà però torto a Roma e ragione ad A. e alle avvocate Bove e Brambilla, facendo così squagliare la tesi difensiva del Viminale come il sole fa con la neve. “Il trattamento che il ricorrente ha descritto di aver subito da parte delle autorità di frontiera italiane al momento del suo primo ingresso a Trieste […] è stato pienamente provato in giudizio”, scrive la giudice Colla. Dalla manifestazione della volontà di chiedere protezione alla presa in consegna da parte delle autorità slovene. È documentata anche la catena: la detenzione in Slovenia al Centro per stranieri di Veliki Otok, nella Postumia (Carniola interna), e la successiva riammissione in Croazia. Fino alla Bosnia. Nessun alibi quindi per il Viminale, che della mancata prova dell’arrivo in Italia dei respinti ne ha fatto fino a oggi un leitmotiv. Questa volta non gli è riuscito nascondere la mano.

    Nella “jungle” di Vedro Polje, dove si trova a inizio 2021, A. ha per fortuna incontrato la giornalista Elisa Oddone e l’operatore sociale Diego Saccora dell’associazione “Lungo la rotta balcanica” (e tra le anime della rete RiVolti ai Balcani). Oddone, che stava curando un reportage per Al Jazeera ed NPR, raccoglie la testimonianza di A. e fa da primo contatto-ponte con le avvocate Bove e Brambilla. Anche Saccora confermerà in Tribunale più incontri con A.. A Vedro Polje infatti l’operatore sociale e ricercatore sul campo portava assistenza e beni di prima necessità. Non solo: lo accompagna di persona presso uno studio notarile di Bihać “per conferire mandato agli attuali difensori al fine di esperire ricorso avverso la riammissione in Slovenia”. A dimostrazione che il supporto incisivo alle persone in transito calpestate dai governi europei alle frontiere può assumere le forme più svariate, e che l’aiuto più distante dalla solidarietà istituzionalizzata può passare persino dalla ceralacca di un notaio. Quante pagine gravi e paradossali faranno scrivere ancora le politiche europee?

    Oddone e Saccora raccontano per filo e per segno al giudice le condizioni proibitive in cui si trovava all’epoca A. insieme ad altri. Riparati nei boschi, con la temperatura fino a venti gradi sotto zero di un inverno bosniaco, senz’acqua, senza accoglienza per via della chiusura dei due campi locali più grandi, praticamente senza cibo, stretti tra “ronde” di cittadini locali ostili e “possibili furti da parte di altri gruppi di richiedenti asilo, alla ricerca di quanto necessario alla sopravvivenza”.

    Secondo il Tribunale di Roma la riammissione “informale” di A. da parte dell’Italia avrebbe “contraddetto” le “norme di rango primario, costituzionale e sovranazionale, le quali, evidentemente, non possono essere derogate da un accordo bilaterale intergovernativo (del 1996, ndr) non ratificato con legge”.

    “La Direttiva 2008/115/CE non legittima affatto, anzi contrasta con la descritta pratica di riammissione informale posta in essere dal governo italiano -chiarisce la giudice Colla-. Infatti, sebbene tale direttiva (al suo art. 6, par. 3) consenta agli Stati membri di riammettere nello Stato confinante di provenienza senza una specifica decisione di rimpatrio, qualora sussistano accordi bilaterali tra gli Stati interessati già vigenti alla data di entrata in vigore della direttiva stessa (essendo tali accordi invece non più consentiti nella vigenza della stessa), tuttavia, nell’esecuzione dell’accordo, lo Stato italiano è comunque vincolato dalla normativa interna anche costituzionale (art 13 Cost.), nonché dal diritto sovranazionale, alla stregua del quale lo Stato ha il dovere di accertare la situazione concreta nella quale la persona riammessa verrà a trovarsi, con particolare riferimento all’eventualità di una violazione dei suoi diritti fondamentali (che si prospettava nel caso di specie secondo le informazioni largamente disponibili). Soprattutto poi, la riammissione informale non può mai essere applicata nei confronti di una persona che manifesti l’intenzione di chiedere asilo, come nella specie accaduto”.

    Oltre al regolamento 604/2013 (Dublino III), l’Italia, nella foga di respingere, avrebbe persino violato lo stesso accordo bilaterale con la Slovenia. L’articolo due prevede infatti che ciascuna parte, su richiesta dell’altra, “si impegna a riammettere sul proprio territorio il cittadino di uno Stato terzo che non soddisfa le condizioni di ingresso o di soggiorno nel territorio dello Stato richiedente, non potendosi evidentemente considerare in tale situazione chi abbia espresso la volontà di chiedere protezione”. Proprio come A..

    A titolo di aggravante per le autorità italiane, segnala poi il Tribunale elencando corposa bibliografia, c’è anche il fatto che queste erano “perfettamente” a conoscenza -“o almeno trovandosi nella condizione di avere perfetta conoscenza”- “delle violazioni cui i respinti sarebbero stati esposti in Slovenia”, così come in Croazia, per non parlare delle condizioni orribili in Bosnia ed Erzegovina, denunciate anche dalla commissaria per i diritti umani del Consiglio d’Europa Dunja Mijatović.

    A maggior ragione dopo le tredici pagine dell’ordinanza del Tribunale di Roma nessuno potrà dire “non sapevo”. Nel buio spicca il “lavoro di rete per contrastare le violazioni”, come lo chiamano le avvocate Bove e Brambilla. “La decisione è un importante risultato non solo perché ribadisce l’illegittimità della condotta posta in essere dalle autorità italiane -concludono- ma perché valorizza, anche attraverso l’assunzione della testimonianza diretta di Saccora e Oddone, l’impegno di tante persone che si impegnano a denunciare e contrastare le violazioni dei diritti delle persone in transito”.

    https://altreconomia.it/il-ministero-dellinterno-condannato-a-risarcire-un-respinto-a-catena-in

    #justice #Italie #frontière_sud-alpine #Slovénie #frontières #migrations #asile #réfugiés #condamnation #refoulements #refoulements_en_chaîne #push-backs #tribunal #réadmissions #Trieste #réadmissions_informelles_actives #Bihać #Bihac #Vedro_Polje #Veliki_Otok #Croatie #Bosnie #Bosnie-Herzégovine #forêt #hostile_environment #environnement_hostile #accord_bilatéral

    –—

    ajouté à la #Métaliste sur les #refoulements_en_chaîne sur la #route_des_Balkans:
    https://seenthis.net/messages/1009117

  • #Rafik_Chekkat : En train d’assister aux #audiences de #comparutions_immédiates des personnes arrêtées à #Marseille ces derniers jours. Une #justice_expéditive. 15 mins à peine pour revenir sur des faits, un parcours de vie, le contexte général. Les peines requises puis prononcées sont lourdes.

    Gros incident d’audience. La prise de parole virulente de l’avocat de la Métropole (partie civile) entraîne des réactions du public présent dans la salle. La présidente fait immédiatement évacuer tout le public par les forces de l’ordre. L’audience continue donc à huis clos.

    Les premières peines tombent : 4 mois de prison ferme pour une jeune femme de 19 ans rentrée dans le magasin Snipes sans avoir rien pris ; 1 an ferme pour des vols au Monoprix ; 10 mois ferme pour un étudiant malien en Master à Aix pour le vol de deux pantalons chez Hugo Boss.

    La Procureure fait des réquisitions d’ordre très général. Elle demande à chaque fois de la prison ferme « pour l’exemple ». Mais les faits jugés ne sont pas exemplaires mais terriblement communs (un pantalon, une paire de lunettes..). Aucune des personnes poursuivies n’a de casier

    Les audiences se poursuivent. 3 hommes (sans casier) poursuivis pour recel. Ils ont ramassé des pantalons Hugo Boss devant le magasin après qu’il ait été pillé. Les vidéos montrent que les 3 ne sont pas entrés dans le magasin. La Procureure demande de la prison ferme.

    Les faits ne sont pas clairement établis. Les 3 hommes ont sans doute touché les objets, mais rien n’indique qu’ils les aient pris. Les éléments d’enquête sont en réalité très minces. On juge à la chaîne en fonction du climat davantage qu’en fonction des éléments matériels.

    Les 3 hommes ont été reconnus coupables et condamnés à une peine d’un an avec sursis. Un lycéen (majeur) a été reconnu coupable et condamné à un an de prison dont 10 mois avec sursis. Il passera l’été en prison.

    Un homme de 58 ans est jugé pour recel pour avoir ramassé des objets au sol des heures après les pillages. Les avocats des parties civiles (Métropole ou enseignes de luxe comme Hugo Boss) tiennent des propos très durs. Ils invoquent un préjudice moral qui me semble assez suspect

    L’homme de 58 ans a été déclaré coupable de recel et condamné à une peine d’un an de prison ferme. Pour avoir ramassé des objets au sol 3h après les pillages. Du jamais vu

    3 hommes (21, 34 et 39 ans) jugés pour avoir pénétré dans le magasin Monoprix. Pour 2 les faits ont été requalifiés en tentative de vol (ils n’avaient pas de nourriture en leur possession). Ils ont été condamnés à 10 mois ferme. Le 3e homme à 1 an ferme. La Présidente a ordonné le maintien en détention. Pas de témoins ni de vidéos. Seuls les PV d’interpellation font foi.

    le maintien en détention. Sans témoignages ni exploitation des vidéos, seul le PV d’interpellation fait foi. Les 3 hommes ne se connaissent pas. Ils ont été jugés ensemble uniquement pour avoir été interpellés en même temps. Peine assortie de 3 ans d’interdiction du territoire.

    Un homme (29 ans) accusé du vol de 2 t-shirts (marque Rive Neuve). Il conteste être entré dans le magasin et demande l’exploitation des vidéos. Seul le PV d’interpellation des policiers fait foi (pas de témoignages, vidéos ou confrontations). « Pourquoi avez vous fui la police ? »

    Demande la Présidente ? Après son interpellation le Préfet a émis une OQTF alors qu’une demande de régularisation est en cours. Il a été relaxé en l’absence flagrante d’éléments. La Présidente lui précise que ça ne signifie pas qu’il n’a pas commis les faits, mais pas de preuves.

    2 hommes (25 et 28 ans) interpellés ensemble alors qu’ils étaient en scooter. Le conducteur dit avoir été gazé par la police et perdu le contrôle du scooter. On a retrouvé sur eux du fromage en provenance de Monoprix, une paire de lunettes et un peu de résine de cannabis.

    Le conducteur a été reconnu coupable de refus d’obtempérer (qu’il conteste) et de recel d’objets volés (fromage et lunettes). Il est condamné à un an ferme pour le refus, 6 mois ferme pour le recel et 3 d’interdiction du territoire. Le 2e homme est condamné à 8 mois avec sursis.

    Un homme (31 ans) poursuivi pour avoir jeté une pierre en direction d’une zone où il y avait des policiers. Il est reconnu une heure après par un policier et a reconnu tout de suite être l’auteur du jet. Il est placé en GAV puis incarcéré. Il souffre de graves problèmes de santé

    L’homme vient d’être condamné à 18 mois de prison ferme. C’est jusque-là la peine la plus lourde prononcée.

    3 hommes (53, 37 et 34 ans) qui ne se connaissent pas interpellés au même moment par des agents de la BAC. 2 dans le magasin Auchan, le 3e devant le magasin. 2 disent avoir été frappés par les policiers. L’un a la mâchoire et 2 doigts cassés. L’autre blessé à la jambe, boitille

    Un policier de la BAC dit avoir reçu un coup de casque au visage (5 jours ITT) mais son certificat médical n’indique aucune blessure au visage. C’est parole contre parole. Le policier dit avoir perdu une chaîne en or d’une valeur de 500€. Son avocate demande son remboursement.

    Les 3 hommes sont poursuivis pour tentative de vol. 2 sont aussi poursuivis pour rébellion (pour avoir résisté selon les policiers à l’interpellation). L’un des hommes dit être rentré pour prendre des fruits, car il n’en mange plus depuis 2 ans à cause de l’inflation

    Aucun des 3 n’a de casier. Les avocats ont soulevé des exceptions de nullité pour des manquements sérieux lors de la GAV (absence de notification de droits, pas d’intervention du magistrat, etc.). Exceptions non retenues. Là aussi, pas de témoignages, vidéos ou confrontations.

    L’homme rentré pour les fruits est condamné à 6 mois avec sursis (simple). Celui qui a les doigts et la mâchoire cassée (et qui exerce comme chauffeur poids lourds) à 1 an, dont 10 mois avec sursis. Le dernier à 18 mois ferme, 1 000 € à verser au policier de la BAC au titre du Préjudice moral, 500 € en dédommagement de la chaîne en or perdue et 800 € au titre de l’article 475-1 du CPP. Dans ce dossier, c’était la parole des policiers de la BAC Nord contre celle des accusés.

    La Procureure a rendu hommage aux forces de l’ordre et déclaré : « Dans une société hiérarchisée, on ne parle pas aux policiers comme à des égaux, on obtempère ».

    Dernier cas de la journée (pour ce qui est de la salle 4) : Clément, 18 ans, SDF depuis 2 ans. Il souffre de multiples troubles psychiatriques (dont schizophrénie). Interpellé dans le magasin Louis Vuiton et poursuivi pour tentative de vol. Dit avoir voulu voler pour se nourrir

    Il bénéficie d’un suivi médical. La Procureure a requis 1 an ferme. Ajoutant :"Il aura en détention le temps de réfléchir et de se prendre en main médicalement". Il a été reconnu coupable et écope d’une peine de 4 mois (aménagée). Il avait l’air totalement perdu.

    https://twitter.com/r_chekkat/status/1675864605703254016

    #tribunal #Marseille #Nahel #émeutes #révolte #vols #justice #emprisonnement #peines #prison_ferme

  • « Il n’y a pas de justice pour nous » : à Pontoise, l’écrasement judiciaire de la révolte se poursuit
    https://www.revolutionpermanente.fr/Il-n-y-a-pas-de-justice-pour-nous-a-Pontoise-l-ecrasement-judic

    Quand vient le moment des délibérés, des policiers envahissent les petites salles d’audience du Tribunal de Pontoise et enserrent de façon anxiogène les rangs du public. Un homme noir, installé dans le public, regarde un instant son téléphone, un policer le menace immédiatement de le poursuivre pour outrage. Du côté des détenus aussi, derrière les vitres, le nombre de policiers est doublé, faisant pressentir à tout le monde la lourdeur des peines à venir et la colère que l’institution judiciaire est consciente qu’elle va déclencher.

    Le couperet tombe enfin et comme partout, les peines sont insoutenables. Pourtant la plupart sont sans casier, les dossiers vides, les preuves très faibles, comme le répètent les avocats, mais la plupart prennent des peines de prison ferme. Le groupe d’adolescents de 18 ans, poursuivis pour « groupement… », obtient une peine de 8 mois d’emprisonnement à domicile avec bracelet électronique. « On est soulagés qu’ils ne retournent pas en prison ce soir même si une peine de 8 mois d’emprisonnement à domicile, c’est énorme pour des gens sans casier et pour des faits comme ceux-là. Ils écopent aussi d’une interdiction de paraître à Argenteuil, alors qu’ils y vivent… » conclut Louisa.

    Partout les familles et les amis sont brisés par les condamnations. Un lycéen de 18 ans, sans casier prend 12 mois de prison ferme avec mandat de dépôt (départ en prison depuis l’audience). Il est accusé d’avoir fourni le briquet qui aurait servi à l’incendie d’une voiture. A la lecture du délibéré, sa mère s’effondre. Dans une autre salle, on annonce qu’un chauffeur de bus, père de famille, part en prison lui aussi pour 12 mois ferme. On lui reproche d’avoir transporté des feux d’artifice et d’avoir été interpellé avec du cannabis sur lui.

    Dans la foulée, un jeune homme est condamné lui aussi à 12 mois ferme avec mandat de dépôt pour conduite sans permis et refus d’obtempérer, sans participation aux émeutes. A la nouvelle, sa compagne, enceinte, s’effondre par terre et fait une crise d’épilepsie. Derrière la vitre, son mari la voit, paniqué, et est violemment immobilisé par les policiers autour de lui. Pendant ce temps la juge s’époumone en hurlant sur la famille de quitter la salle, alors même que la jeune femme est inanimée par terre face à elle. Une femme de la famille, est en pleurs : « On a moins quand on est un violeur aujourd’hui en France ».

  • Why plastic ? - Le #mensonge du #recyclage

    Qu’advient-il réellement de nos déchets plastiques une fois que nous les avons mis dans le bac de recyclage ?
    Alors que la crise de la pollution plastique est devenue un scandale international, les plus grandes marques de biens de consommation de la planète ont déclaré avoir une solution : le recyclage. Mais nos emballages plastiques ont toujours plus de chances de finir brûlés ou jetés que recyclés.

    https://pages.rts.ch/docs/doc/12884036-why-plastic-le-mensonge-du-recyclage.html
    #film #documentaire #film_documentaire
    #Bulgarie #incinération #emballage #décharges_sauvages #déchets_plastique #Grüne_Punkte #économie_circulaire #tri #décyclage #électricité #valorisation_thermique_des_déchets #Chine #marché_noir #Turquie #crime_organisé #corruption #combustible #Terracycle #Tom_Szaky #éco-blanchissement #industrie_pétrochimique #Alliance_to_end_plastic_waste

  • “Vite abbandonate”, la situazione dei migranti in arrivo dalle rotte balcaniche a #Trieste

    Al confine orientale l’assenza istituzionale lascia per strada migliaia di persone, soccorse solo dalle associazioni umanitarie. L’emergenza invasione è “artificiale”: il numero degli arrivi, infatti, è assolutamente gestibile. Una rete solidale di realtà che operano in città ha curato un rapporto per far luce su inefficienze e omissioni

    Migliaia di persone migranti lasciate a loro stesse, lungaggini anche di 70 giorni per accedere al servizio di prima accoglienza, carenza di strutture dove passare la notte, anche nei mesi più freddi. È una situazione di grave difficoltà, in netto peggioramento, quella fotografata dal rapporto “Vite abbandonate” (https://www.icsufficiorifugiati.org/vite-abbandonate-rapporto-sulla-situazione-e-i-bisogni-dei-migr), risultato di un’analisi dettagliata svolta nel corso del 2022 a Trieste -punto di ingresso nel nostro Paese delle rotte balcaniche- da parte di una rete solidale di associazioni che in città operano nel campo dell’accoglienza, della tutela sanitaria e dell’assistenza umanitaria alle persone migranti. Tra i membri del network, la Comunità di San Martino al Campo, il Consorzio italiano di solidarietà (Ics), la Diaconia valdese (Csd), Donk humanitarian medicine, International rescue committee Italia e Linea d’Ombra.

    A provocare il degrado del sistema di tutela e dei servizi di bassa soglia non è stato un aumento spropositato degli arrivi. Confrontando infatti l’ultimo trimestre del 2021 (683 arrivi totali registrati) e l’ultimo trimestre del 2022 (5.940 arrivi totali registrati), la crescita è evidente ma non è di entità tale da compromettere una gestione efficace dei flussi. “Ci sono dei momenti nel corso dell’anno in cui i numeri sono effettivamente rilevanti, da luglio a novembre ci sono stati dai 1.300 agli oltre 2mila ingressi al mese -spiega Gianfranco Schiavone, presidente dell’Ics e membro dell’Associazione studi giuridici sull’immigrazione (Asgi)- ma se dividiamo la cifra annuale, 13.127, per 365 giorni, vediamo una media di 35 arrivi al giorno; c’è un clima di allarmismo che vuole imputare la situazione di difficoltà non alla carenza di servizi, ma all’entità dei flussi. Questo per legittimare attività che non dovrebbero essere svolte, come le riammissioni informali, e la creazione di strutture di grandi dimensioni dove rinchiudere le persone”. Da notare, in più, che solo il 32% di coloro che giungono a Trieste dichiara di voler presentare domanda di asilo in Italia; solo un terzo delle persone migranti, quindi, inciderà in maniera continuativa sul sistema pubblico. Eppure l’intero rapporto evidenzia grandi problemi gestionali e umanitari.

    A partire da giugno 2022, nonostante l’aumento delle domande di asilo, il sistema di prima accoglienza (basato su due strutture, l’Ostello di Campo sacro e Casa Malala nella località di Fernetti) si è saturato rapidamente, a causa del rallentamento delle procedure di trasferimento e del ricollocamento dei richiedenti asilo in altre Regioni italiane. Così, le persone -1.535 tra luglio e dicembre 2022- sono rimaste abbandonate in strada, all’addiaccio dai 30 ai 70 giorni prima di poter accedere all’accoglienza prevista per legge. L’Ics, in questo periodo, ha inviato 14 segnalazioni formali via posta certificata alla prefettura di Trieste, per renderla edotta di quanto stava avvenendo. Ma non ha ricevuto risposta.

    Da notare che si tratta, in larga parte, di persone che avrebbero diritto a pieno titolo della protezione internazionale. Il 54% dei migranti vengono dall’Afghanistan, Paese in cui si stima che 28 milioni di abitanti abbiano bisogno di aiuti umanitari e che il 97% dei cittadini sia a rischio povertà. Il 25% delle persone viene poi dal Pakistan, il 6% dal Bangladesh, il 4,3 % dall’India, il 3,9% dal Kurdistan turco, il 2,3% dal Nepal e il 4,5% da altri Paesi. La percentuale di afghani si alza ulteriormente quando si parla di minori stranieri non accompagnati: tra i 1.406 minorenni incontrati e assistiti nel 2022, l’85% era di questa nazionalità.


    Alla presenza di persone in strada, le istituzioni hanno dapprima reagito con un approccio securitario, mandando pattuglie di polizia per fare allontanare coloro che si accampavano in Piazza Libertà (nei pressi della stazione) e comminando multe per bivacco fino a 100 euro per coloro che erano rimasti fuori dal sistema di accoglienza ed erano quindi costretti a vivere all’addiaccio. Da agosto, invece, è stata permessa la riapertura, sostanzialmente a spese delle associazioni della rete curatrice del dossier, del Centro diurno in via Udine della Comunità di San Martino al Campo che, da maggio 2020, non operava più come servizio a bassa soglia verso chiunque avesse bisogno, ma solo verso un numero limitato di persone senza fissa dimora residenti.

    Ulteriori letti sono stati messi a disposizione dal Comune di Trieste dal primo gennaio 2023, portando la capacità totale dei dormitori cittadini a 55 posti, a cui si devono aggiungere altri 25 posti in un’altra struttura per famiglie e situazioni più vulnerabili. L’intervento è stato estremamente utile ma parziale. Nel solo dormitorio gestito dalla Comunità di San Martino al Campo, nell’ultimo quadrimestre del 2022, su un totale di 733 posti letto complessivi, 604 (82%) sono stati assegnati a persone richiedenti asilo in attesa di entrare nel sistema di accoglienza.

    Coloro che arrivano dalle rotte balcaniche non necessitano solo di un letto ma anche di altri tipi di assistenza. Tra agosto e settembre 2022, per esempio, 1.088 persone hanno ricevuto visite mediche approfondite nell’ambulatorio di Donk humanitarian medicine, allestito nel Centro diurno in via Udine. Le patologie riscontrate sono state infestazioni cutanee (quasi sempre scabbia), lesioni cutanee da traumi subiti durante il viaggio, malattie infettive e respiratorie. Le associazioni della rete sono inoltre intervenute per fornire cibo, vestiti e informazioni legali alle persone migranti in Piazza Libertà. L’associazione Linea d’ombra distribuisce una media di 50 pasti al giorno, con un picco di 174 in una sera di agosto. “Le nostre proposte sono semplici -conclude Schiavone-, ovvero ripristinare un sistema di accoglienza che realmente funzioni, che a Trieste vuol dire un buon sistema di trasferimenti verso il territorio nazionale, e strutturare i servizi di bassa soglia tenendo conto che la città, per la sua natura e la sua collocazione geografica, deve essere considerata come un’area metropolitana”.

    https://altreconomia.it/vite-abbandonate-la-situazione-dei-migranti-in-arrivo-dalle-rotte-balca
    #Italie #asile #migrations #réfugiés #frontière_sud-alpine #accueil #non-accueil

    • Vite abbandonate: Rapporto sulla situazione e i bisogni dei migranti in arrivo dalla rotta balcanica a Trieste – anno 2022

      La mattina del 15 giugno, al Circolo della Stampa di Trieste, è stato presentato il “Rapporto sulla situazione e i bisogni dei migranti in arrivo dalla rotta balcanica a Trieste – anno 2022”. Di seguito potete leggere la sintesi dei contenuti, mentre è possibile scaricare integralmente il report cliccando qui: https://www.icsufficiorifugiati.org/wp-content/uploads/2023/06/Report-Piazza-2022-Web_compressed.pdf

      Per la sua posizione geografica Trieste è e rimarrà un luogo di arrivo e di passaggio per un gran numero di persone che fuggono da situazioni drammatiche nei paesi di origine. L’aggravarsi delle crisi umanitarie in alcune zone dell’Asia ha determinato, a partire dall’estate dello scorso anno, un notevole incremento degli arrivi dalla rotta balcanica.

      Il Rapporto, redatto dalla Rete solidale che unisce le organizzazioni attive a Trieste sui temi dell’accoglienza, della tutela legale e dell’assistenza umanitaria alle persone migranti, fotografa nel dettaglio la situazione degli arrivi dalla rotta balcanica nel corso del 2022 e analizza l’impatto che questi hanno avuto sul sistema locale dei servizi, e parzialmente sul sistema dei dormitori per l’inverno 2022/2023, analizzando le principali criticità emerse. Il Rapporto si conclude con raccomandazioni alle istituzioni sugli interventi, finora carenti o assenti, che è urgente realizzare al fine di garantire il rispetto delle normative vigenti e la tutela dei diritti umani fondamentali.

      Le migliaia di persone che annualmente giungono in città, tra le quali molti nuclei familiari e minori non accompagnati, hanno un estremo bisogno di prima assistenza e di informazioni sui loro diritti, di cure sanitarie, della possibilità di lavarsi, cambiarsi gli abiti, sfamarsi, riposarsi in un luogo riparato. Gli enti e le associazioni che hanno redatto questo Rapporto hanno riempito, almeno parzialmente e nei limiti delle proprie possibilità, la mancanza di interventi istituzionali. Con una presenza costante in Piazza Libertà e al Centro Diurno, hanno assicurato il monitoraggio quotidiano degli arrivi e dei bisogni, garantito assistenza materiale attraverso la distribuzione di cibo e vestiario, assistenza medica e infermieristica, informazione e orientamento legale; tutto ciò tramite il lavoro svolto da operatori, medici e infermieri, mediatori linguistico-culturali e volontari, attingendo a risorse proprie o derivanti dalla solidarietà popolare.

      Dal 1° gennaio al 31 dicembre 2022 sono state incontrate e assistite nell’area della Stazione di Trieste un totale di 13.127 persone in arrivo dalla rotta balcanica, per oltre la metà provenienti dall’Afghanistan. Ben 1.406 i minori non accompagnati, l’11% del totale. 172 i nuclei familiari, prevalentemente di origine curda turca, composti da un totale di 825 persone, tra le quali 440 bambini, prevalentemente di età tra i 4 e gli 11 anni. Circa un terzo delle persone dichiara di voler presentare domanda di asilo in Italia, mentre i due terzi sono orientati a raggiungere altri paesi, come Francia, Germania, Portogallo e Svizzera. Il dato conferma come l’Italia non sia, nella maggior parte dei casi, la destinazione finale delle persone migranti e degli afghani in particolare che arrivano in città.

      Nonostante l’aumento delle domande di asilo nel corso del 2022 non sia stato tale da potersi definire un’emergenza, a partire da giugno 2022 il sistema di prima accoglienza imperniato sulle due strutture dell’Ostello di Campo Sacro e di casa Malala a Fernetti si è saturato rapidamente. È esploso, con dimensioni non paragonabili con il passato, il fenomeno dei richiedenti asilo abbandonati in strada a centinaia, lasciati all’addiaccio dai 30 ai 70 giorni prima di poter accedere all’accoglienza come previsto dalla legge. Gli effetti della situazione sul centro cittadino e sull’area della stazione di Trieste sono stati subito evidenti: i gruppi di migranti lasciati in strada si sono moltiplicati, con giacigli improvvisati in ogni spazio disponibile, dalle aiuole alle pensiline degli autobus.

      Solo da agosto 2022 la riapertura del Centro Diurno di via Udine ha permesso di migliorare l’assistenza alle persone in arrivo e limitare in parte il degrado derivante dall’abbandono. Il Comune di Trieste ha disposto nello stesso periodo la copertura economica per l’aumento di 20 posti per l’accoglienza notturna, ma i costi di gestione del Centro Diurno e degli essenziali servizi di assistenza sono stati e rimangono tuttora coperti quasi esclusivamente dalle organizzazioni della Rete che hanno messo a disposizione risorse economiche e supporto logistico.

      L’apertura di ulteriori posti letto finanziata dal Comune di Trieste, avvenuta dal 1° gennaio 2023, ha portato la capacità dei dormitori cittadini a un totale di 55 posti cui va aggiunta, per le famiglie e le situazioni più vulnerabili, un’ulteriore struttura cittadina dalla capienza massima di 25 posti. Questo intervento si è rivelato di grande utilità, anche se ancora insufficiente a coprire il fabbisogno reale della città, tanto più che nella stagione invernale l’abbandono in strada espone le persone a sofferenze indicibili fino al rischio di morte.

      Nell’ultimo quadrimestre del 2022, presso il solo dormitorio di San Martino al Campo, su un totale di 733 posti letto messi a disposizione, ben l’82% (604) sono stati assegnati a richiedenti asilo in attesa di entrare nel sistema di prima accoglienza a loro dedicato. La mancata accoglienza dei richiedenti asilo ha quindi occupato la grande parte dei posti che dovrebbero invece essere destinati a persone del territorio che si trovano in stato di bisogno e a cittadini stranieri il cui percorso migratorio per una pluralità di ragioni non si conclude a Trieste.

      La città di Trieste, snodo di passaggio fondamentale nella rotta balcanica, avrebbe bisogno di una attenta strategia su questo tema e dovrebbe essere dotata di un programma di gestione del fenomeno migratorio di ampio respiro, che assomigli alla programmazione tipica di un’area metropolitana di confine.

      In particolare gli interventi pubblici dovrebbero mirare a perseguire i seguenti tre obiettivi prioritari:

      1. Predisporre un piano pubblico in grado di assicurare un’assistenza umanitaria, uno screening medico e un ricovero temporaneo a elevata turnazione in condizioni di sicurezza per diverse migliaia di persone nel corso dell’anno.

      2. Assicurare l’accesso immediato dei cittadini stranieri che presentano domanda d’asilo a Trieste al sistema di prima accoglienza e ai servizi a loro dedicati.

      3. Favorire una gestione dell’accoglienza che garantisca la libertà delle persone, promuovendo l’inclusione sociale, ed eviti forme di marginalizzazione e ghettizzazione.

      l Rapporto illustra dettagliatamente e per punti le misure che le autorità competenti (Comune di Trieste, Prefettura di Trieste, ASUGI) dovrebbero adottare per raggiungere i suddetti obiettivi.

      Non costituisce invece una risposta sensata l’ipotesi della apertura a Trieste di un hotspot, di fatto una struttura detentiva e non di prima accoglienza. La privazione della libertà all’interno di tali centri ha già sollevato enormi problematiche giuridiche relative alla conformità con la Costituzione e con la normativa dell’Unione Europea, e l’apertura di tali strutture non porterebbe alcun beneficio al buon funzionamento del sistema di prima accoglienza dei richiedenti asilo del territorio.

      https://www.icsufficiorifugiati.org/vite-abbandonate-rapporto-sulla-situazione-e-i-bisogni-dei-migr

  • #Dérèglement_climatique : « Le soutien financier aux #pays_en_développement est un enjeu essentiel »
    https://www.lemonde.fr/idees/article/2023/06/21/dereglement-climatique-le-soutien-financier-aux-pays-en-developpement-est-un

    Dérèglement climatique : « Le soutien financier aux pays en développement est un enjeu essentiel »
    #Tribune
    #Collectif

    Un collectif de 350 #scientifiques, parmi lesquels Xavier Capet, océanographe, et Jean Jouzel, ancien vice-président du groupe de travail sur les bases physiques du changement climatique du GIEC, réclame, dans une tribune au « Monde », la création au plus vite, par l’Europe, d’une taxe sur les transactions financières pour soutenir les politiques climatiques au Nord et au Sud.

    #Feux_de_forêts à répétition, #inondations meurtrières au Pakistan, #sécheresses extrêmes en Afrique et même en Europe… Nous observons partout dans le monde les effets dévastateurs du dérèglement climatique, alors que le réchauffement est seulement de + 1,1 °C en moyenne à l’échelle globale, par rapport à l’ère préindustrielle. Le sixième rapport du Groupe d’experts intergouvernemental sur l’évolution du climat (GIEC), dont la synthèse a été publiée en mars, est, hélas, très clair : si nous n’agissons pas de manière ambitieuse contre le changement climatique, nous pourrions nous diriger vers un réchauffement de + 4 °C d’ici à la fin du siècle, avec de très graves répercussions sur les sociétés humaines et les écosystèmes.
    Lire aussi la tribune : Article réservé à nos abonnés Fiscalité : « Une taxe sur les transactions financières pour générer des investissements publics d’urgence »

    Pour éviter ce scénario catastrophe, le GIEC insiste sur les besoins de financements nouveaux, que ce soit pour réduire les émissions de gaz à effet de serre ou pour mettre en œuvre des politiques d’adaptation permettant de limiter les effets du dérèglement climatique. Il insiste également sur l’importance de mécanismes de redistribution entre pays du Nord et pays du Sud, pour tenir compte de leurs responsabilités différenciées vis-à-vis du réchauffement climatique, ainsi que de leurs capacités respectives à y faire face.

    Le soutien financier aux pays en développement est un enjeu essentiel, présent au cœur du processus des COP climat et de l’accord de Paris lui-même. Mais, à ce jour, et malgré des promesses réitérées depuis plus de dix ans par les pays industrialisés, le financement des besoins des pays du Sud pour la lutte contre le changement climatique est largement insuffisant. Et c’est également le cas de la part fournie par les pays de l’Union européenne (UE), qui est constituée, de manière disproportionnée, de prêts plutôt que de subventions.

    Une taxe de 0,1 %

    En novembre 2022, la COP27 a acté la création d’un nouveau fonds consacré aux pertes et dommages, Loss and Damage Fund, pour aider les pays du Sud à faire face aux inévitables conséquences du dérèglement climatique. Cette décision importante restera totalement virtuelle si des sources de financement massives et pérennes ne sont pas rapidement trouvées pour abonder ce nouveau fonds.

    C’est l’un des enjeux-clés de la prochaine COP28, mais aussi du sommet pour un nouveau pacte financier mondial, qui doit se tenir, en France, les 22 et 23 juin, à l’initiative d’Emmanuel Macron et de Mia Mottley, première ministre de la Barbade.

    Dans un rapport voté fin 2020, le Parlement européen rappelait qu’une taxe de 0,1 % prélevée sur l’ensemble des transactions financières (TTF) rapporterait 57 milliards d’euros par an. Le 16 février 2023, dans un nouveau rapport, le Parlement européen demandait instamment aux chefs d’Etat et de gouvernement de parvenir à un accord pour créer effectivement cette taxe « avant la fin juin 2023 ».

    Coopération renforcée

    A Bruxelles et à Strasbourg, cette solution fait consensus : l’amendement demandant l’instauration de cette petite taxe, déposé par les sociaux-démocrates, a été voté par 80 % des députés de droite, et même 92 % des députés de la droite allemande.

    De plus, il n’y a pas besoin de l’unanimité des vingt-sept Etats membres de l’UE pour avancer sur cette question : dix pays membres travaillent déjà à la création de cette TTF dans le cadre d’une coopération renforcée. Hélas, la France, qui en fait partie, défend une approche minimale, qui exempte de taxe l’immense majorité des mouvements financiers.
    Lire aussi la tribune : Article réservé à nos abonnés « Le Sud n’est pas seulement une victime du réchauffement climatique, il est aussi un acteur majeur de l’adaptation »

    Face à l’ampleur des dangers encourus et l’absence de réaction à la hauteur des enjeux, nous, scientifiques experts des questions climatiques, soutenons pleinement le calendrier et la demande du Parlement européen de créer une « vraie » taxe sur les transactions financières.

    Nous demandons à Emmanuel Macron et au gouvernement français de faire le nécessaire pour qu’une version ambitieuse de cette taxe soit créée au plus vite dans l’UE. Le produit de cette taxe doit bénéficier largement à la lutte contre le dérèglement climatique et ses conséquences, en soutien aux populations les plus fragiles, notamment dans les pays en développement.

    Premiers signataires : Jean Jouzel, paléoclimatologue, ancien vice-président du groupe de travail sur les bases physiques du changement climatique du GIEC ; Wolfgang Cramer, auteur principal du groupe de travail 2 du GIEC ; Magali Reghezza, membre du Haut Conseil pour le climat, géographe ; Jean-Baptiste Sallée, auteur du GIEC, océanographe ; Christophe Cassou, coauteur du 6e rapport du GIEC, climatologue ; Yamina Saheb, autrice principale du groupe n°3 du GIEC, docteure en énergétique, experte des politiques d’atténuation du changement climatique ; Agnès Ducharne, hydroclimatologue ; Jean-Louis Dufresne, coauteur du 5e et 6e rapport du GIEC, climatologue ; Michael Ghil, climatologue, physicien et mathématicien ; Heidi Sevestre, glaciologue, membre du programme de surveillance et d’évaluation de l’Arctique ; Xavier Capet, directeur de recherche CNRS, océanographe.

    Liste complète des signataires.

    https://taxonslaspeculation.com/tribune-scientifiques-politiques-climat-europe-taxe-transaction

    Collectif

  • «In Friuli un #hotspot per i migranti della Rotta balcanica». Come a Lampedusa

    Valenti, commissario all’emergenza, incontra i prefetti. Il centro dovrebbe sorgere a Trieste

    Si va verso la realizzazione di un hotspot in #Friuli_Venezia_Giulia per la gestione dei migranti che arrivano attraverso la rotta balcanica. «Le valutazioni sono in corso». Lo ha confermato il commissario per l’emergenza migranti, #Valerio_Valenti, al termine di un incontro, oggi 17 maggio a Trieste, con i prefetti del Fvg. Le valutazioni sui luoghi e i tempi per la realizzazione, ha puntualizzato, «spettano ai colleghi del territorio: stanno lavorando, sono fiducioso sul fatto che verrà individuata una struttura idonea a questo scopo. Il commissario e il ministero metteranno a disposizione le risorse necessarie per poterlo fare». In generale, ha aggiunto, «il dato che emerge oggi è l’assimilazione del Fvg un pò alle altre regioni che subiscono l’impatto del flusso migratorio, Sicilia e Calabria in particolare».

    Allo stesso tempo l’impegno, secondo Valenti, «è anche quello di ridurre la presenza di migranti sul territorio del Fvg allineando il dato a quello delle altre regioni.

    In questo momento il Friuli è sicuramente al di sopra della quota spettante. Questo gradualmente, ma confido anche in tempi abbastanza brevi, verrà realizzato». La dimensione degli hotspot, ha quindi osservato, «non vuole essere quella di strutture come Mineo con migliaia di persone: devono essere strutture di medio piccole dimensioni, che non superino i 300 posti»

    La ricognizione dei prefetti del Fvg per l’individuazione di un hotspot si allarga a tutta la regione, ha poi spiegato il prefetto di Trieste, Pietro Signoriello. «Chiaro che Trieste, essendo il principale punto di ingresso sta guardando con attenzione alle possibilità che offre il territorio, ma le analisi sono ancora in corso». Oggi bisogna fare delle «scelte concrete» e ipotesi in campo per individuare un hotspot, ha assicurato Signoriello, ci sono. «L’analisi riguarda tutto il territorio regionale: confidiamo che l’individuazione possa essere rapida». Escluso al momento il ricorso a tensostrutture: «Dovrebbe essere veramente una situazione straordinaria per dare risposte di questo genere, al momento non è nella nostra agenda», ha chiuso Signoriello.

    https://www.ilgazzettino.it/nordest/trieste/hotspot_friuli_migranti_rotto_balcanica_valerio_valenti_commissario_eme
    #route_des_balkans #Trieste #frontière_sud-alpine #asile #migrations #réfugiés

  • Risk of Parkinson Disease Among Service Members at Marine Corps Base Camp Lejeune | Movement Disorders | JAMA Neurology | JAMA Network
    https://jamanetwork.com/journals/jamaneurology/fullarticle/2805037

    Key Points
    Question Is Parkinson disease risk increased in military service members who were stationed at Marine Corps Base Camp Lejeune, North Carolina, during 1975-1985 when the water supply was contaminated with trichloroethylene and other volatile organic compounds?

    Findings 
    This cohort study of 340 489 service members found that the risk of Parkinson disease was 70% higher in Camp Lejeune veterans compared with veterans stationed at a Marine Corps base where water was not contaminated. In veterans without Parkinson disease, risk was also significantly higher for several prodromal features of Parkinson disease.

    Meaning 
    The study’s findings suggest that exposure to #trichloroethylene in water may increase the risk of Parkinson disease; millions worldwide have been and continue to be exposed to this ubiquitous environmental contaminant.

    #pollution #eau #maladie_de_parkinson

  • Covid: Schwere Vorwürfe wegen massenhafter künstlicher Beatmung
    https://www.telepolis.de/features/Covid-Schwere-Vorwuerfe-wegen-massenhafter-kuenstlicher-Beatmung-9048800.h

    15.5.2023 von Timo Rieg - Chefarzt spricht von 20.000 vermeidbaren Todesfällen während der Corona-Pandemie. Andere Ärzte widersprechen. Worum es bei dem Streit geht.

    Der Vorwurf, viele Covid-19-Patienten seien vor allem in Deutschland fälschlicherweise künstlich beatmet worden und gerade deshalb gestorben (oder schwer geschädigt worden) ist seit dem zweiten Pandemiejahr schon gelegentlich in den Medien erhoben worden.

    Die hohen Sterberaten von Beatmeten hatten schon zu Beginn der Pandemie aufgeschreckt, etwa mit der Meldung, in New York würden 80 Prozent dieser Intensiv-Patienten versterben.

    In einem Interview mit der Welt hat kürzlich einer der prominenten Kritiker sogar eine Zahl benannt: Thomas Voshaar, Chefarzt der Klinik für Lungen- und Bronchialheilkunde der Stiftung Krankenhaus Bethanien für die Grafschaft Moers, geht von mindestens 20.000 unnötigen Todesfällen in Deutschland aus, die eine zu frühe invasive Beatmung verursacht haben soll.

    Im Interview mit der Welt sieht Voshaar als Ursache auch finanzielle Fehlanreize.

    Es gibt für invasive Beatmung richtig viel Geld. Die stationären Behandlungskosten liegen durchschnittlich bei 5.000 Euro, maschinelle Intensivbeatmung kann dagegen mit 38.500 Euro abgerechnet werden, im Einzelfall sogar mit 70.000 Euro. Das ist etwa sieben- bis zehnmal mehr, als die schonende Behandlung mit Sauerstoff über die Maske.
    Thomas Voshaar, Welt, 5. Mai 2023

    Allerdings sei auch Routine eine mutmaßliche Ursache für falsche Behandlungen.

    Auf Intensivstationen ist um 17 Uhr Visite. Da weiß niemand, ob der Patient die Nacht übersteht. „Tu den Tubus rein, dann kann nichts passieren“, heißt es dann. Ein Trugschluss, wie wir jetzt wissen. Viele Studien zeigen sehr klar, dass die Intubation die Todesrate um das 5- bis 6-fache erhöht, bei gleichem Schweregrad. Die Pandemie hat das noch einmal bestätigt.
    Thomas Voshaar

    Vorwurf: Blickverengung Sauerstoffsättigung

    In einem Beitrag in der Deutschen Medizinischen Wochenschrift (DMW, 8/2023) kritisiert Voshaar zusammen mit Dieter Köhler und weiteren Kollegen unter anderem einen zu starren Blickwinkel auf die Sauerstoffsättigung des Bluts.

    Denn die reelle Sauerstoffversorgung des Gewebes hänge von verschiedenen Größen ab, unter anderem der Pumpleistung des Herzens (Herzzeitvolumen) und der Menge an Hämoglobin (in den roten Blutkörperchen), das den Sauerstoff bindet.

    Da intubierte Beatmung mit erheblichen Eingriffen in den Organismus verbunden ist, gehen mit diesen intensivmedizinischen Behandlungen auch große Risiken einher. Unter anderem müssen Patienten für eine künstliche Beatmung in Narkose gelegt werden, was zahlreiche Folgebehandlungen notwendig macht, u.a. eine medikamentöse Korrektur des Blutdrucks.

    Außerdem gibt es ein hohes Risiko für neue Infektionen. Und der Körper kann störende Stoffe nicht mehr durch Husten aus der Lunge befördern.

    Im Interview mit Elke Bodderas in der Welt beschreibt Thomas Voshaar mögliche Komplikationen anekdotisch so:

    Ich werde nie die Videos von Kollegen aus den USA vergessen, die wir hier in Deutschland nachts auf YouTube sahen. Zum Beispiel den Arzt in New York, der eine 72-Jährige filmt, die er intubieren soll. Die Frau ruft ihren Mann an und sagt, die Ärzte wollen mich intubieren, ich kann gleich nicht mehr mit dir reden, weil ich in Narkose gelegt werde. Soll ich das machen? Und der Mann sagt, ja, mach das, was die Ärzte raten. Dann wirst du wieder gesund. Und am nächsten Morgen war die Frau tot.
    Thomas Voshaar, Welt

    In einer Art Triage seien in deutschen Krankenhäusern bei knappen Beatmungsplätzen zum Teil jüngere Menschen für diese Behandlung ausgewählt worden, weil sie die vermeintlich besseren Überlebenschancen hätten. Die Realität habe dann aber oft ein anderes Bild gezeigt: Die jungen, invasiv beatmeten Patienten seien verstorben, während Alte auf Normalstation überlebt hätten.

    Tatsächlich wurde zumindest zu Beginn der Pandemie in verschiedenen Fachartikeln eine pulsoxymetrisch gemessene Sauerstoffsättigung von weniger als 90 Prozent als mögliche Indikation zum Intubieren angesehen (vgl. WHO).

    Voshaar und Kollegen hingegen meinen, bei Gesunden mit normalem Hämoglobin-Wert stelle sich eine Unterversorgung des Gewebes mit Sauerstoff erst bei einem Sättigungswert von 50 Prozent und weniger ein. Sie schreiben:

    Da insbesondere jüngere Patienten mit Covid-19-Pneumonien sonst gesund waren, passt auch die klinische Erfahrung dazu, dass sie bei teilweise stark erniedrigter sO2 [Sauerstoffsättigung] im Bett keine Luftnot hatten.
    Dieter Köhler/ Thomas Voshaar u.a.

    In einem Hintergrundgespräch berichtet ein Professor für Pneumologie, bei Flugbegleitern habe man auf Langstreckenflügen aufgrund des geringen Kabinendrucks regelmäßig Sauerstoffsättigungen unter 90 Prozent gemessen - aber niemand wäre auf die Idee gekommen, sie deshalb zu intubieren und maschinell zu beatmen.
    Schwierige Vergleiche

    Empirisch valide Vergleiche invasiver und nicht-invasiver Maßnahmen bei Covid-19-Patienten werden immer schwierig sein, da die Patienten nicht „randomisiert“ sind, also per Zufall der einen oder anderen Behandlung unterzogen werden, sondern nach medizinischer Einschätzung der jeweiligen Klinik und natürlich dem Patientenwillen, soweit dieser artikuliert werden kann.

    Voshaar und Kollegen haben bei ihren Patienten eine 50-Prozent Sterberate nach Intubation beobachtet (vier von acht Patienten), während in der Gruppe nicht-invasiv Beatmeter keiner der 17 Patienten verstarb.

    In der Gruppe mit der geringsten Unterstützung (Sauerstoffzugabe in die Nase) verstarben von 53 Patienten zwei (Alter 86 und 96 Jahre). Diese hatten allerdings verfügt, keine darüber hinausgehende Atemunterstützung zu erhalten.
    Mehr Probleme geschaffen als gelöst?

    In einem Artikel des Vereins „Sokrates - kritische Rationalisten“ formulieren Thomas Voshaar, Matthias Schrappe, Gerd Antes und weitere Autoren ihre Kritik deutlich. Im Beitrag „Warum hat in der Pandemie die Intensivmedizin häufig mehr Probleme geschaffen als gelöst? Oder: Die Laborwertemedizin und ihre Folgen“ schreiben sie am 25. April 2023.

    Mehr als 20 Jahre werden Patienten allein aufgrund eines isolierten Sauerstoffmangels im Blut (Hypoxämie) intubiert und beatmet, oft gesteuert durch die einfache Messung der Sauerstoffsättigung (sO2) im Blut. Dieses Vorgehen ist als schwerer Behandlungsfehler zu werten, entbehrt dieses Vorgehen doch jeder wissenschaftlichen bzw. pathophysiologischen Grundlage. [...]

    Seit deutlich mehr als 20 Jahren gibt es in der physiologischen und klinischen Forschung zahlreiche Belege, dass die invasive Beatmung, dort wo nicht indiziert, mehr schadet als nutzt. Selten steht eine etablierte klinische Praxis auf so schwachem Fundament. In der Pandemie ist das besonders deutlich geworden: Kliniken, die diesen Fehler nicht begangen haben, hatten eine etwa sechsfach geringere Todesrate bei der schweren Verlaufsform der Lungenentzündung (Covid-19).

    Während der Corona-Pandemie wurde sehr früh deutlich, dass unter einer Strategie der frühen Intubation bei auch nur leichter Hypoxämie ca. 60 – 90 Prozent der Patienten unter diesem Vorgehen bereits nach wenigen Tagen, ein kleiner Teil sogar nach wenigen Stunden, starben.

    Daher gab es schon im April 2020 aus vielen Ländern kritische Fragen zu einem solchen Vorgehen und eine zunehmende Nutzung nicht-invasiver Verfahren. In Deutschland wurde allerdings besonders lange an der primären invasiven Beatmung über einen Tubus festgehalten.
    Thomas Voshaar et al.

    Die Deutsche interdisziplinäre Vereinigung für Intensiv- und Notfallmedizin (DIVI) und die Deutsche Gesellschaft für Pneumologie und Beatmungsmedizin (DGP) beantworteten konkrete Fragen vom 9. Mai zu ihrer Einschätzung der Kritik an zu früher invasiver Beatmung nicht, sondern kündigten eine gemeinsame Stellungnahme an. Diese liegt noch nicht vor.

    Allerdings sind offenbar doch zahlreiche Ärzte im Verlauf der Pandemie zurückhaltender geworden beim Einsatz von Intubations-Beatmung. Wolfram Windisch, seit April 2023 Präsident der DGP, schreibt in einer Literaturschau mit Stand März 2021 (Bedeutung nicht-invasiver Verfahren [NIV] in der Therapie des akuten hypoxämischen Versagens bei COVID-19):

    So wurden während der ersten Welle noch 74 Prozent der Patienten ohne NIV-Versuch direkt intubiert, während es in der zweiten Welle nur noch 40 Prozent gewesen sind und entsprechend der Anteil mit NIV stark angestiegen ist.
    Wolfram Windisch et al.

    Ein Grund für das frühe und zum Teil auch besonders heikle Intubieren dürfte eine massive Angst des Personals vor einer eigenen Corona-Ansteckung gewesen sein. So heißt es in „Empfehlungen zur intensivmedizinischen Therapie von Patienten mit Covid-19“ vom 12. März 2020, formuliert von Vertretern aus vier medizinischen Fachgesellschaften:

    Prozeduren an den Atemwegen (Intubation, Bronchoskopie, offenes Absaugen, manuelle Beatmung, Tracheotomie) sollten aufgrund der Aerosolbildung nur bei absoluter Notwendigkeit mit entsprechenden Schutzmaßnahmen (inkl. FFP2/ FFP3-Maske und Schutzbrille) durchgeführt werden. [...] Wenn vertretbar sollte eine Rapid Sequence Induction (RSI) ohne Zwischenbeatmung durchgeführt werden, um die Aerosolbildung zu minimieren.
    Stefan Kluge, Uwe Janssens, Tobias Welte et al.

    Eine „Rapid Sequence Induction“ ist ein Verfahren zur besonders schnellen Intubation. „Angewandt wird es hauptsächlich bei dringlicher Intubationsindikation eines nicht-nüchternen oder anderweitig aspirationsgefährdeten Patienten“, heißt es dazu im Medizinlexikon von Amboss, wo das Verfahren auch dezidiert beschrieben ist, einschließlich der möglichen Komplikationen wie einer Intubationsverletzung.

    Zum Eigenschutz heißt es in dem Fachartikel von Kluge, Janssens, Welte et al. mit den Empfehlungen weiter:

    Der Gebrauch des Stethoskops zur Lagekontrolle des Tubus sollte zurückhaltend erfolgen. Bei einer notwendigen Reanimation ist besonders auf die entsprechenden Schutzmaßnahmen des Personals zu achten, die Atemwegsicherung sollte dabei schnell erfolgen und die betreuende Personalgruppe klein gehalten werden.
    Kluge, Janssens, Welte et al.

    Und schließlich besonders deutlich:

    Insgesamt sollte daher die Indikation für HFNC/NIV [nicht-invasive Methoden] bei akuter hypoxämischer respiratorischer Insuffizienz im Rahmen von COVID-19 eher zurückhaltend gestellt werden. Bei Patienten mit einer schwereren Hypoxämie (PaO2/FIO2 ≤ 200mm Hg) ist vorzugsweise die Intubation und invasive Beatmung anzustreben.

    In jedem Fall müssen ein kontinuierliches Monitoring und eine ständige Intubationsbereitschaft sichergestellt sein. Eine Verzögerung der Intubation bei Nichtansprechen einer NIV verschlechtert die Prognose, eine notfallmäßige Intubation sollte aufgrund des Übertragungsrisikos unbedingt vermieden werden.

    Einen guten Monat nach diesen „Empfehlungen“ publizierte die Deutsche Gesellschaft für Pneumologie und Beatmungsmedizin (DGP) am 22. April 2020 ein „Positionspapier zur praktischen Umsetzung der apparativen Differenzialtherapie der akuten respiratorischen Insuffizienz bei COVID-19“. Daran war neben Windisch und anderen auch Voshaar beteiligt. Darin heißt es:

    Der Schutz des Personals durch persönliche Schutzausrüstung soll sehr hohe Priorität haben, weil die Angst vor Ansteckung kein primärer Intubationsgrund sein darf.
    Positionspapier

    Was man auch so lesen kann, dass eben sehr wohl aus Angst vor Ansteckung intubiert wurde. Ein eigener, umfangreicher Abschnitt befasst sich mit „Aerosol bei Therapieverfahren zur Atmungsunterstützung“, u.a. mit Erfahrungen aus der H1N1-Epidemie (Schweinegrippe) und von Patienten mit Erkältungssymptomatik.

    Und auch in diesem Positionspapier wird vor zu zögerlichem Intubieren gewarnt.#

    Kritik an Medien

    In einem Kommentar in der Fachzeitschrift Pneumologie kritisierte Wolfram Windisch gemeinsam mit Co-Autoren im Mai 2021 die mediale Debatte um ein möglicherweise zu frühes Intubieren von Covid-19-Patienten.

    Für Verärgerung hatte vor allem ein Monitor-Beitrag gesorgt ("Gefährliche Intubation - Könnten mehr Covid-19-Erkrankte überleben?") - in dem die kleine Studie von Thomas Voshaar und Kollegen sowie ihr Erfolg mit nicht-invasiven Behandlungen eine tragende Rolle spielt.

    Windisch und Kollegen kritisierten: „Auf welcher Basis die Sendung schließlich zu der Meinung gelangt, es werde zu früh intubiert, bleibt letztlich völlig unklar.“ Und schreiben dann im Beitrag: Fachdiskussion zur „zu frühen Intubation“: Rolle der öffentlichen Medien:

    Sehr bedauerlich ist am Ende der Sendung das Zitat des Moderators [Georg Restle]: „Man fragt sich, warum die Lernkurve in der Pandemie bei so vielen Verantwortlichen im Land so unglaublich langsam steigt.“ Vor dem Hintergrund der sachlich an mehreren Stellen schlichtweg falschen Darstellung der klinischen und wissenschaftlichen Zusammenhänge schmerzt vor allen Dingen die Diffamierung der vielen Pflegekräfte und Ärzte sowie Wissenschaftler vor einem Millionenpublikum, die seit einem Jahr mit hervorragender Arbeit ihr Bestes in der Pandemiebekämpfung geben: ein echter Skandal!
    Wolfram Windisch, Bernd Schönhofer et al.

    Die Vertreter der Deutschen Gesellschaft für Pneumologie und Beatmungsmedizin wünschten sich interne statt medial-öffentliche Diskussionen bei den Fachfragen - und ein geschlossenes Auftreten:

    Eine intern diskutierende und auch intern streitende, aber in der Erarbeitung von nach außen getragenen Empfehlungen im Konsens agierende Pneumologie und Intensivmedizin ist nämlich das Wichtigste, was wir in der Pandemiebekämpfung brauchen.

    Dass eine medizinische Fachgesellschaft ihre Fachfragen intern klären möchte, ist nicht zu beanstanden. Da unabhängig davon allerdings die Öffentlichkeit Anspruch auf Informiertheit erhebt, ist der Journalismus gefordert, die relevanten Informationen zu recherchieren.
    Einfache Übernahmen, mangelnde Tiefe

    Im Zusammenhang mit der Behandlung von Corona-Patienten hat er dies viel zu lange unterlassen und unter anderem in den täglichen Zahlenmeldungen zur Lage der Pandemie verkündet, wie viele Patienten auf Intensivstationen gerade „beatmet werden müssen“ (Beispiele: Ruhr-Nachrichten, HAZ, BR) - obwohl es für dieses behauptete „müssen“ keinen Beleg gab.

    So aber dürfte auch vielen Patienten oder deren Angehörigen die künstliche Beatmung in Vollnarkose alternativlos erschienen sein.

    Wie viele Menschen aufgrund falscher Covid-19-Behandlung verstorben sind, wird sich verlässlich nie klären lassen. Aber der Vorwurf, es handele sich allein in Deutschland um viele tausend, wiegt schwer.

    Zumal auch außerhalb der Corona-Pandemie möglicherweise Patienten intubiert werden, bei denen dies medizinisch keinesfalls zwingend notwendig wäre. Der befragte Pneumologie-Professor berichtet, manchen Ärzten und Pflegern seien sedierte Patienten die angenehmeren - und vieles werde einfach gemacht, weil man es schon immer so gemacht habe.

    #covid-19 #triage #iatrocratie

  • [Fade to Pleasure ] #192.4 w/ Snooba
    https://www.radiopanik.org/emissions/ftp/1924-w-snooba

    La musique pour ressentir les sensations que la vie ne nous apporte pas.

    Weekly Broadcasted & hosted by Snooba on Panik (Brussels-Be) Woot (Marseille) Grenouille (Marseille) Canal B (Rennes-Fr) C’rock (Vienne-Fr) Louiz Radio (Belgique-Louvain la neuve) You #fm (Mons-Be) Woot (Marseille) Campus FM (Toulouse-FR)

    Ftp 192

    Reid Willis Cast Your Net Over A Torn Earth (new single)

    ECHT! Cheesecake

    the Orielles Tableau 001

    Golden Boogie Connection Dull Grey

    Jakobin Domino One Of A Kind

    Batida Tem Dor (Africa de Itamaracá) (Rosario Remix)

    Fairplay Latlal Hyenah Remix

    Felix Laband Derek And Me (Shahrokh Dini Remix) [Only Good Stuff]

    Feiertag Didn’t Know Why (You Lost Your Soul)

    Anja Schneider Before We Meet Again

    Sumsuch &Will Brock Don’t Know Where I’m Going (Gavin Boyce Dub) (...)

    #philosophie #poetry #mix #electro #errance #trap #dj #chill #rap #afro #futurism #food #deep #down_tempo #drill #trip #uk #cloud #amalgam #smooth #mood #monday #no_boundaries #sunday #philosophie,poetry,mix,electro,errance,trap,dj,chill,rap,afro,futurism,food,deep,down_tempo,drill,trip,uk,cloud,amalgam,smooth,fm,mood,monday,no_boundaries,sunday
    https://www.radiopanik.org/media/sounds/ftp/1924-w-snooba_15733__1.mp3

  • Ärzte als Verwalter von Mangelzuständen: Der Charité-Streik ist nur ein Anfang
    https://www.berliner-zeitung.de/open-mind/aerzte-als-verwalter-von-mangelzustaenden-der-charite-streik-ist-nu

    12.10.2022 von Ruth Schneeberger - Wenn Medizin nicht endlich wieder vom Patienten her gedacht wird, wird das deutsche Gesundheitssystem zusammenbrechen.

    Viele Menschen machen sich keine Vorstellung davon, was es heißt, in einem Notfall oder bei schwerer Krankheit dringend auf medizinische Hilfe angewiesen zu sein – und sie nicht zu bekommen. In einem reichen Land wie Deutschland, in dem an anderen Stellen noch so viel Überfluss herrscht.

    Andere finden schon allein den Gedanken daran so erschreckend, dass sie sich lieber gar keine Vorstellung davon machen wollen – und verdrängen ihn deshalb so weit in ihr Unterbewusstsein, dass sie Menschen mit Lügen strafen, die von einem schon vor Corona völlig überlasteten Gesundheitssystem berichten. Oder sie hören einfach nicht hin.

    Und dann gibt es noch solche, die sogar behaupten, auch während Corona sei das deutsche Gesundheitssystem an keiner Stelle überlastet gewesen, weder in den Kliniken noch auf den Intensivstationen noch in den Praxen oder sonst wo. Das sind die besonders Ausgebufften. Unter ihnen sind auch einige Politiker. Was sie treibt, ist fraglich. Im besten Falle Ahnungslosigkeit.

    Denn es ist kein Zufall, dass vergangene Woche etwa 1000 Ärzte an der Charité gestreikt haben. Ihnen geht es nicht nur um mehr Geld. Ihnen geht es um halbwegs akzeptable Arbeitsbedingungen in einem ohnehin schwierigen Arbeitsfeld. Spricht man mit den Ärzten oder versucht man auch außerhalb eines Streiks mit Medizinern als Journalist über die Zustände zu sprechen, dann ist da meist sehr viel Vorsicht – und Angst.

    Angst, sich zu weit aus dem Fenster zu lehnen. Angst, sich um Kopf und Kragen zu reden. Angst, den eigenen Arbeitsplatz zu verlieren. „Wir sind wahnsinnig abhängig von unseren Vorgesetzten, zumal an den Unikliniken, wo geforscht wird“, begründet Jana Reichardt, eine der Initiatorinnen des Streiks an der Charité, das Schweigen vieler Kollegen – und die jahrelange Zurückhaltung. Niemand wolle alleine dastehen, wenn er Kritik äußere in einem noch sehr stark autoritär geprägten Arbeitsumfeld.

    Die Pflegekräfte äußern sich – nach ebenfalls viel zu langer Zurückhaltung – seit Corona immer öfter und lauter über die Zustände. Wenn sie merken, dass das auch nichts bringt, schmeißen viele den Job hin. Das führt zum mittlerweile allseits bekannten Pflegenotstand. Die Ärzte hingegen haben bisher in der Mehrzahl geschwiegen. Sie stützen das System. Noch.

    Doch mit dem Streik an der Charité und Graswurzelbewegungen junger Mediziner und Medizinstudenten wird sich auch dies ändern. Im Netz, wo man im Gegensatz zu den klassischen Medien nicht mit Klarnamen auftreten muss, findet sich schon längst der Protest auch der Mediziner. Unter #Medizinbrennt und auf zahlreichen Accounts mit viele Followern berichten Ärzte von immer mehr Kollegen, die aussteigen, weil sie den Wahnsinn der Überforderung nicht mehr mittragen wollen und sonst selbst krank werden würden. Sie berichten von den verbliebenen Fachkräften, wie sie den Notstand nur notdürftig ausgleichen können. Und was das für Folgen für die Patienten haben kann. Im schlimmsten Falle den Tod. Der mit ein bisschen besserer Ausstattung, auch im personellen Bereich, leicht vermeidbar wäre.

    Denn Menschen machen Fehler, aber wenn Mediziner Fehler machen, kann das schnell über Leben und Tod entscheiden. Und unausgeschlafene, gestresste, überforderte Mediziner und Pflegekräfte, die kaum noch Zeit für ihre Patienten haben, machen umso mehr Fehler.

    Wie aber gehen Mediziner damit um, wenn durch ihre Überforderung, durch ihre Fehler ein Mensch zu Schaden kommt – entweder durch Tod oder auch durch lebenslange Behinderung wegen ärztlicher Fehlbehandlung oder Unterlassung? Wenn das Problem der Überforderung schon systemisch ist, und davon berichten inzwischen viele Mediziner, wie gehen sie dann mit den Folgen um?

    Jana Reichardt sagt, es gebe die Möglichkeit, Fehler in einer internen Konferenz zu besprechen, doch eine echte Fehlerkultur gebe es in der Medizin noch nicht. Auch die gelte es jetzt zu entwickeln.

    Man muss sich das mal auf der Zunge zergehen lassen: Mediziner werden weder in ihrem Studium noch im Berufsalltag von Vorgesetzten darauf vorbereitet, mit ihren eigenen Fehlern umzugehen. Wenn also etwa ein Mensch unter ihren Händen stirbt, der bei weniger angespannter Personallage oder bei weniger Zeitnot, einem niedrigeren Stresslevel oder einfach anderen Umständen nicht gestorben wäre, dann muss der Arzt damit selber fertigwerden, es gibt keine professionellen Strukturen, die das auffangen.

    Schlimmer noch: Es gibt kaum Studien oder belastbare Zahlen, die diesen Zusammenhang aufdecken. Ganz Deutschland ist ein Studien- und Datenmangelland in Bezug auf den Gesundheitssektor, auch das hat Corona peinlicherweise gezeigt.

    Im Blindflug durch die Corona-Pandemie

    Und es geht noch absurder: Auch für den Patienten, der womöglich durch einen schweren Ärztefehler für den Rest seines Lebens gezeichnet ist, gibt es kaum Hilfe. Geschweige denn für Angehörige von Verstorbenen. Es hängt sogar alleine vom Willen und der Verfassung des jeweils zuständigen Arztes ab, ob und wie er überhaupt mit Angehörigen darüber kommuniziert. Plus – darauf weist auch der Berliner Intensivpfleger Ricardo Lange immer wieder hin: Vielen Angehörigen werde gar nicht gesagt, dass Oma oder Opa, Mutter oder Bruder am Pflegenotstand gestorben sind, weil niemand auf der Station ihren Herzinfarkt oder Schlaganfall bemerkt hat. Sie würden sich stattdessen dem ruhigen Gewissen hingeben, dass ihre Angehörigen eh gestorben wären – auch wenn das explizit nicht stimmt.

    Die streikenden Ärzte an der Charité und die immer lauter werdende Pflege sind sich jedenfalls inzwischen einig: Ein Weiter-so darf es im Gesundheitssektor nicht geben. Da die Politik sich aber vorwiegend für andere Dinge interessiert, wird das Gesundheitssystem wohl zusammenbrechen, wenn nicht sehr bald ein Umdenken einsetzt, das sich wieder mehr am Patientenwohl orientiert als an der Rendite.

    Wie der todsichere Weg dahin aussieht, hat zuletzt der ärztliche Twitterer Intensivdoc am Beispiel einer Intensivstation passend beschrieben: „Es ist eine Verwaltung von Mangelzuständen. Man versucht, Löcher mit Material zu stopfen, was woanders neue Löcher aufreißt. Und darum dreht sich im Wesentlichen der ganze Tag. Wenn zwischendurch Zeit ist, macht man mal ein bisschen Medizin.“

    #triage #pandémie #iatrocratie

  • [Fade to Pleasure ] #191.4 w/ Snooba
    https://www.radiopanik.org/emissions/ftp/1914-w-snooba

    L’horizon souligne l’infini.

    La compilation ONE NIGHT STANDS 3eme volume, compilé par golden bug pour #labelle musique. et de laquelle on extirp Jakomoa & alan Braxe vs Yvonne la nuit

    Une combinaison alliant space dubs, #pop synthettique, pas de danse, rythmes tribaux entre autres experimentations. Nous avons deux exemplaires vinyls à vous offrir, en nous envoyant un courrier électronique via contrebande@gmail.com avec votre adresse postale.

    Dans notre #errance, couleur saumon : Le duo Fred and luna et leur E.P Im Fünfminutentakt sur compost, Joyce Muniz, Ascendant Vierge qui seront le 24’ mai à l’ancienne belgique, le 26 mai à l’antipode à Rennes, le 23 septembre au bikini à toulouse, ou encore Cindy pooch sur infiné ou eva lucidity sur 8D.

    Weekly Broadcasted & hosted by Snooba on (...)

    #philosophie #poetry #mix #electro #trap #dj #chill #rap #afro #futurism #food #deep #down_tempo #drill #roman #trip #uk #cloud #amalgam #smooth #fm #mood #monday #no_boundaries #sunday #infiné #electricity #philosophie,pop,poetry,mix,electro,errance,trap,dj,chill,rap,afro,futurism,food,deep,down_tempo,drill,roman,trip,uk,cloud,amalgam,smooth,fm,mood,monday,no_boundaries,sunday,infiné,electricity,labelle
    https://www.radiopanik.org/media/sounds/ftp/1914-w-snooba_15693__1.mp3

  • « Méga-bassines » : la justice valide la construction de toutes les bassines des Deux-Sèvres
    https://www.francetvinfo.fr/france/nouvelle-aquitaine/deux-sevres/mega-bassines-la-justice-valide-la-construction-de-toutes-les-bassines-

    Sept ouvrages sur 16 avaient déjà été validés en mai 2021, permettant le début des travaux, mais cette fois le tribunal administratif de Poitiers a validé mardi la construction des 16 retenues d’eau pour l’irrigation agricole sur le bassin de la Sèvre Niortaise, rapporte France Bleu Poitou.

    Hourra, ils vont pouvoir construire des bassines qui resteront vides.

  • [Fade to Pleasure ] #190.4 w/ Snooba
    https://www.radiopanik.org/emissions/ftp/1904-w-snooba

    Echapper à sa propre chronologie est une joie que donnent les rêves.

    Weekly Broadcasted & hosted by Snooba on Panik (Brussels-Be) Woot (Marseille) Grenouille (Marseille) Canal B (Rennes-Fr) C’rock (Vienne-Fr) Louiz Radio (Belgique-Louvain la neuve) You #fm (Mons-Be) Woot (Marseille) Campus FM (Toulouse-FR)

    Ftp 190

    The breakfast club Swim #deep

    Micatone Where Do You Belong [Sonar Kollektiv]

    Alina Bzhezhinska Fire [BBE Music]

    Alina Bzhezhinska Fire (We Are The Horsemen Remix) [BBE Music]

    Gledd Dada Ho (Original #mix) [Cacao Records]

    Hyenah x G-Wash10 Rain Queen (Masšh Remix) [RISE MUSIC]

    Hyenah & Ernesto & The Basement Gospel The Rite (Santiago Garcia Remix) [RISE MUSIC

    Moojo & Demayä lotus

    Grant Dell, Tennant Wicked People (Dub) [Only Good Stuff]

    Principleasure Nur Nur (...)

    #philosophie #poetry #electro #errance #trap #dj #chill #rap #afro #futurism #food #down_tempo #drill #trip #uk #cloud #amalgam #smooth #mood #monday #no_boundaries #sunday #philosophie,poetry,mix,electro,errance,trap,dj,chill,rap,afro,futurism,food,deep,down_tempo,drill,trip,uk,cloud,amalgam,smooth,fm,mood,monday,no_boundaries,sunday
    https://www.radiopanik.org/media/sounds/ftp/1904-w-snooba_15649__1.mp3

  • [Fade to Pleasure ] #198.4 w/ Snooba
    https://www.radiopanik.org/emissions/ftp/1984-w-snooba

    Il devait être plus facile d’accepter le rien que de jouer avec les infinis possibles du quelque chose. Insect O, Jackie Mendoza sur zzk, la compilation radio mawimbi, sous le soleil d’été avec Tryangle man, ou le phénix de Crécy et son boom bass concept. -

    FTP 189

    Felix Laband The Soft White Hand Remix EP Part 1-Seconds Ago Coldcut Just Say No Remix

    Pekojdinn Ch3eb

    Gabelo Wokunyeya (Midnight Ravers Remix)

    the alma negra live band alma negra san jon mehmet aslan soca dub remix

    De Mthuda Sino Msolo ft Ndoni Nodoli

    Thundercat Fair Chance Floating Points

    Anna Lunoe Genesis Owusu Back Seat (Chris Lorenzo Remix)

    WE DONT Outfinity

    Tryangle Man Lost Chronicles

    Tryangle Man Sous le Soleil d Été

    Boombass YYYOU DON T KNOW

    Reel People Dance In Her Eyes (feat. Chantae Cann & Dayne Jordan)

    Cool (...)

    #philosophie #poetry #mix #electro #errance #trap #dj #chill #rap #afro #futurism #food #deep #down_tempo #drill #trip #uk #cloud #amalgam #smooth #fm #mood #monday #no_boundaries #sunday #philosophie,poetry,mix,electro,errance,trap,dj,chill,rap,afro,futurism,food,deep,down_tempo,drill,trip,uk,cloud,amalgam,smooth,fm,mood,monday,no_boundaries,sunday
    https://www.radiopanik.org/media/sounds/ftp/1984-w-snooba_15605__1.mp3

  • Une épidémie de solitude, désastreuse pour la santé mentale & physique, frappe les Etats-Unis

    Des millions d’Américains se sentent seuls tout le temps, ou presque. Une étude réalisée par des scientifiques de Harvard, en octobre 2020, montre que plus d’un tiers d’entre eux souffrent de solitude.

    (A titre de comparaison, un Français sur cinq environ dit se sentir souvent seul, selon la Fondation de France.)

    Plus précisément, plus d’un tiers des Américains (36 %) affirment qu’ils se sont sentis seuls « fréquemment », « presque tout le temps ou tout le temps » pendant les quatre semaines avant le sondage. Le terme anglais « #loneliness » ne décrit pas forcément un phénomène d’isolement ; il signifie surtout qu’une personne n’a pas autant d’#interactions_sociales qu’elle le souhaite.

    […] Milena Batanova, coauteure du rapport. « La moitié des jeunes qui se sentent seuls parmi les gens que nous avons interrogés affirment que pas une seule personne n’avait pris plus de quelques minutes de leur temps, pendant les dernières semaines, pour leur demander comment ils allaient de façon vraiment attentionnée ». […]

    Ce phénomène n’affecte pas tout le monde de la même façon. Les jeunes filles y sont particulièrement vulnérables, dans un contexte où les adolescents passent de plus en plus de temps sur les #réseaux_sociaux. Un adolescent sur cinq utilise #YouTube « presque constamment » et près de la moitié d’entre eux ouvre #TikTok plusieurs fois par jour ou davantage, selon Pew Research. Même si la causalité est difficile à établir avec certitude, la #santé mentale des jeunes Américains semble se dégrader rapidement ces dernières années.

    Trois jeunes Américaines sur cinq (57 %) disent se sentir continuellement triste ou désespérée - ce qui constitue un marqueur de la #dépression. C’est bien pire que dix ans plus tôt, quand environ un tiers d’entre elles étaient touchées par cette #tristesse_chronique.

    Les jeunes Américains, apparemment moins concernés, ne sont pas épargnés pour autant : 29 % d’entre eux se sentent perpétuellement tristes.

    En parallèle de cette tendance inquiétante, les Américains ont aussi de moins en moins de rapports sexuels. […] Une étude publiée début 2021 montre qu’un quart des Américains n’avait pas eu de rapports sexuels pendant l’année précédente. […] Pendant les décennies précédentes, entre 1989 et 2010, ce chiffre était toujours inférieur à 19 %. Une tendance plus préoccupante qu’il n’y paraît : « Le manque de #rapports_sexuels peut se traduire par moins de socialisation, moins de familles et une population plus susceptible de tomber malade » […]

    Cette #épidémie_de_solitude a des origines multiples, entre omniprésence des réseaux sociaux, culte du travail poussé à l’extrême et #culture_individualiste, qui valorise la performance et l’efficacité, au détriment parfois de la vie en communauté. Le recul de la pratique religieuse joue probablement un rôle. Mais des experts pointent aussi la façon dont les villes américaines sont conçues. Les longues distances et le manque de transports en commun incitent leurs habitants à se déplacer en voiture uniquement, ce qui rend presque impossibles les rencontres spontanées.

    Cette « épidémie de solitude » est un désastre pour la santé mentale des Américains. Mais la solitude se traduit aussi par une plus grande vulnérabilité à plusieurs maladies - problèmes cardiovasculaires, cancer, AVC, hypertension et démence notamment. Une étude publiée en 2017 montre même que les personnes qui se sentent seules développent davantage de symptômes quand elles sont exposées à des virus, même de faible gravité. […]

    L’épidémie de #solitude aux #Etats-Unis explique peut-être en partie pourquoi l’#espérance_de_vie a chuté dans le pays, ces dernières années, alors qu’elle continue à augmenter dans d’autres pays développés. A 76,1 ans en 2021, cette dernière est désormais inférieure à celle enregistrée dans des pays beaucoup plus pauvres, dont Cuba, le Liban ou la Tchétchénie. Les plus jeunes, notamment, sont plus susceptibles de mourir dans des accidents de la route, par homicide, suicide, ou à cause d’une overdose.

    (Les Échos)

    #capitalisme

  • [Fade to Pleasure ] #188.4 Ft Snooba
    https://www.radiopanik.org/emissions/ftp/1884-ft-snooba

    Le rêve est le reflet des ondulations de la vie inconsciente sur le plafond de l’imagination. ...

    Au sein de notre excursion, couleur saumon pour la traduction : Sharock dini sous compost, entre la californie et Tijuana avec Jackie mendoza, épaulée par les argentins de zzk, Bie brao revisité par Julian gomes, Planète euphorique avec Roza Terenzi & #dj Zozi ..

    Ftp 188

    Rachel Lyn Therefore the Time Stops Stay true vol V

    Jackie Mendoza Oh Cielos Zzk rec.

    B bravo lifted julian gomes remix

    Eddie chacon holy hell mndsgn remix

    Fred again headieone Gang

    Sleaford mods extnddntwrk little bits

    Toumba petals

    Mor elian diva test cicada #mix original

    dj Python be si to

    Roza Terenzi & DJ Zozi G step

    Gemi redders sam binga oh my gosh gemi rmx

    Fritz helder Shadow child wait shadow child remix (...)

    #philosophie #poetry #electro #errance #trap #chill #rap #afro #futurism #food #deep #down_tempo #drill #trip #uk #cloud #amalgam #smooth #fm #mood #monday #no_boundaries #sunday #philosophie,poetry,mix,electro,errance,trap,dj,chill,rap,afro,futurism,food,deep,down_tempo,drill,trip,uk,cloud,amalgam,smooth,fm,mood,monday,no_boundaries,sunday
    https://www.radiopanik.org/media/sounds/ftp/1884-ft-snooba_15558__1.mp3

  • The Emerging Evidence of the Parkinson Pandemic - PubMed
    https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/30584159

    La #maladie_de_Parkinson est la maladie neurologique dont le nombre augmente le plus rapidement dans le monde

    …the fastest growing neurological disorder in the world is Parkinson disease

    Parkinson : un produit chimique utilisé pour le nettoyage à sec augmenterait le risque
    https://www.pourquoidocteur.fr/Articles/Question-d-actu/42655-Parkinson-produit-chimique-utilise-nettoyage-sec-augmenterait-

    Dans une récente étude, des scientifiques de l’université de Rochester (États-Unis) émettent l’hypothèse que le trichloréthylène pourrait être une cause invisible de la maladie de Parkinson. « Le lien entre ce produit chimique incolore et la pathologie neurodégénérative a été établi pour la première fois en 1969 », ont-ils écrit dans les travaux parus dans la revue Journal of Parkinson’s Disease.

    Selon l’équipe, une petite recherche épidémiologique a révélé que l’exposition au trichloréthylène dans le cadre du travail ou des loisirs était associée à un risque accru de 500 % de souffrir de cette affection dégénérative du système nerveux. « Dans de nombreuses cohortes menées sur des animaux, le produit chimique reproduit les caractéristiques pathologiques de la maladie de Parkinson », a-t-elle ajouté.

    Dans l’étude, les chercheurs ont dressé le profil de sept personnes, allant d’un ancien joueur de basket-ball de la NBA, Brian Grant, à un capitaine de la marine, en passant par un ancien sénateur américain, qui ont développé la maladie de Parkinson après avoir probablement travaillé en contact avec le produit chimique ou après y avoir été exposées dans l’environnement. Le sportif « a été diagnostiqué à l’âge de 36 ans. Il a probablement été exposé au trichloréthylène lorsqu’il avait trois ans et que son père travaillait à la base des Marines de Camp Lejeune. » Pour les adultes cités, des décennies se sont souvent écoulées entre l’exposition au solvant et l’apparition des symptômes de la maladie de Parkinson.

    Le produit chimique pollue l’air extérieur et intérieur
    L’exposition ne se limite pas aux personnes qui travaillent avec le produit chimique. D’après les scientifiques, le trichloréthylène pollue l’air extérieur, souille les eaux souterraines et contamine l’air intérieur. Ils expliquent que la molécule, comme le radon, s’évapore du sol et des eaux souterraines et pénètre dans les habitations, les lieux de travail ou les écoles, souvent sans être détectée.

    Dans un communiqué, les auteurs proposent une série d’actions pour faire face à la menace que représente le trichloréthylène pour la santé publique. Ils notent que les lieux contaminés peuvent être assainis et que l’exposition à l’air intérieur peut être atténuée par des systèmes d’assainissement des vapeurs similaires à ceux utilisés pour le radon. L’équipe recommande également de poursuivre les études pour mieux comprendre comment le solvant contribue à la survenue de la maladie de Parkinson et d’autres pathologies.

    Source :
    #Trichloroethylene : An Invisible Cause of Parkinson’s Disease ? - IOS Press
    https://content.iospress.com/articles/journal-of-parkinsons-disease/jpd225047

    Several environmental toxicants, especially certain #pesticides [5], have also been linked to PD, and head trauma is also associated with an increased risk [6]. However, these are insufficient to explain the widespread prevalence of PD.

    […]

    A closely related chemical called #perchloroethylene (PCE), which has one additional chlorine atom in place of the hydrogen atom, largely supplanted TCE in dry cleaning in the 1950s. In anaerobic conditions, PCE often transforms into TCE, and their toxicity may be similar

  • 14 ans après, toujours là ! | Se défendre de la police
    https://collectif8juillet.wordpress.com/2023/02/18/14-ans-apres-nous-sommes-toujours-la

    Nous venons d’apprendre par voix de presse la décision du tribunal administratif de condamner l’État à indemniser Joachim suite aux blessures qui lui ont été infligées il y a maintenant 14 ans.
    Le 8 juillet 2009, la police a tiré dans le tas. Une date parmi tant d’autres. Une histoire de violences policières parmi tant d’autres. Celle-ci s’est passée à Montreuil, le soir d’une expulsion d’un bâtiment occupé en centre-ville : La clinique. Un lieu d’organisation collective, un lieu d’habitation, un lieu où beaucoup d’entre nous ont tenté de se réapproprier ce dont ce monde ne cesse de nous déposséder.
    Une manière de faire exister de la solidarité quand toutes les décisions administratives et sociales usent de la violence pour servir les intérêts économiques des spéculateurs. Quand les lois entravent la liberté de chacun et chacune de s’installer ou de circuler pour mieux les exploiter.

    Une manière de se défendre contre la violence que l’ont subi, quand nous sommes contrôlé.e.s alors que nous n’avons pas de papiers, quand nous devons nous justifier pour pouvoir accéder aux droits et à la santé, quand nos indemnisations chômage nous sont retirées, quand les loyers augmentent et que nous ne pouvons plus nous loger.

    Ce soir du 8 juillet 2009, c’est sur tout cela qu’ils ont tiré.

    Au moins six personnes ont été blessées. Elles ont porté plainte. En novembre 2016, 7 années après, trois policiers tireurs ont été condamnés à des peines de 7 à 15 mois de sursis, assortis de l’interdiction de porter une arme pendant 12 à 18 mois. Le tribunal n’a pas retenu la légitime défense invoquée par leurs avocats. Le tribunal ne reconnaît donc pas les soi-disant violences de la part des manifestants décrites par les policiers pour justifier leurs tirs.

    Les policiers ont fait appel de cette décision. Deux d’entre eux sont condamnés en appel à 7 et 18 mois de prison avec sursis et 12 et 24 mois d’interdiction de port d’armes. Le tribunal ne condamne toutefois pas les policiers à verser les dommages et intérêts aux victimes, alors que l’une d’entre elles a l’oeil crevé.

    Une procédure au tribunal administratif est ouverte Contre l’État et la chaîne de commandement des policiers.

    Le 2 février 2023, soit 14 ans après et après deux renvois, le tribunal administratif se saisit du dossier.

    [...] une dépêche AFP reprise par plusieurs journaux rend publique la décision du tribunal [https://seenthis.net/messages/991024]. Alors que ni la personne concernée ni l’avocat n’en ont été informés.

    L’information qu’on retiendra est la responsabilité que le tribunal impute à la victime quant à sa blessure.

    « Le tribunal administratif a toutefois réduit le montant du préjudice, le faisant passer d’une estimation initiale de 150 500 euros à 105 350 euros, du fait de « l’imprudence fautive de la victime » qui a pris part à un « regroupement ayant montré une attitude agressive puis ayant été à l’origine de violences à l’encontre des forces de l’ordre ».

    Quel que soit le montant de l’indemnisation, aucune somme d’argent ne pourra réparer ce que nous avons subi. Rien ne pourra venir soulager les blessures invisibles que nous devons encore aujourd’hui panser.

    Vivre avec cela et avec ce que nous sommes, c’est aussi souffrir de voir les autres avancer. C’est une blessure qui frappe nos intimités. Rien ne sera jamais à la hauteur de ce qu’ils nous ont infligé. Jamais.

    L’indécence de cette décision nous dépasse. Elle veut rappeler à tous ceux et toutes celles qui demain vont mener des actions au TA, leur propre part de responsabilité. Et cela, même si l’État est condamné.

    Une stratégie bien connue. Celle de l’agresseur. Celui qui frappe doit justifier son geste. Si son geste est injustifiable, il invoquera la responsabilité de la personne qu’il vient de frapper. Pour que tout le monde accepte l’inacceptable.

    C’est ce que cette décision nous dit. Soumettez-vous à l’inacceptable.

    Personne n’est responsable lorsqu’elle subit l’oppression instituée. Les histoires de luttes nous le racontent, aujourd’hui reprises et institutionnalisées, par ceux-là mêmes qui, hier, voulaient nous faire croire le contraire.

    #toctoc #police #justice #violence_d'État #flashball #énucléation #tribunal_administratif #Montreuil #violences_policières #manifestation #défense_militante

  • Manifestant éborgné par un tir de LBD : l’État condamné à lui verser plus de 100.000 euros
    https://www.tf1info.fr/justice-faits-divers/manifestant-eborgne-par-un-tir-de-lbd-policier-en-2009-a-montreuil-la-justic

    Jeudi, le tribunal administratif de Montreuil a condamné l’État français à verser plus de 100.000 euros en réparation à un ancien manifestant.
    Ce dernier a été éborgné en 2009 par le tir de #LBD (lanceur de balles de défense) d’un policier.

    Une affaire qui avait, à l’époque, fait grand bruit. L’État a été condamné, jeudi 16 février, par le tribunal administratif de Montreuil à verser "105.350 euros en réparation des préjudices subis" à Joachim Gatti, un manifestant ayant été éborgné par un LBD en 2009.

    La justice administrative a admis l’existence des préjudices patrimoniaux liés à une perte de revenus. "Le requérant justifie de ce que son état de santé ne lui permet pas désormais d’espérer un déroulement normal de sa vie professionnelle, en ce que sa blessure l’empêche d’exercer les métiers de caméraman et de monteur qu’il occupait auparavant, ainsi que toute activité professionnelle nécessitant une acuité visuelle normale, limitant ainsi ses possibilités de reconversion professionnelle", indique la décision consultée par l’AFP. Dans les faits, depuis l’incident, l’ancien cameraman a essentiellement travaillé par intermittence en tant que cuisinier ou éducateur. De même, les juges ont reconnu un "déficit fonctionnel permanent", c’est-à-dire l’incapacité de retrouver une vie normale, un préjudice esthétique et des souffrances.

    Le préjudice minimisé par « l’imprudence fautive »

    Néanmoins, la juridiction a revu à la baisse le montant du préjudice, le faisant passer d’une estimation initiale de 150.500 euros à 105.350 euros. "L’imprudence fautive de la victime", qui a pris part à un "regroupement ayant montré une attitude agressive puis ayant été à l’origine de violences à l’encontre des forces de l’ordre", a conduit à cette révision.

    En complément, les autorités vont également devoir verser 10.106 euros à la caisse primaire d’assurance maladie (CPAM) de la Seine-Saint-Denis, qui a engrangé plusieurs dépenses de santé liées aux hospitalisations et soins de la victime.

    Ce jugement est satisfaisant

    Ce dénouement semble convenir au requérant [...]. "Le tribunal a imputé à la victime une part de responsabilité à hauteur de 30%, inférieure à d’autres décisions rendues dans des situations analogues donc ce jugement est satisfaisant", a réagi auprès de l’AFP Me Etienne Noël, avocat du principal intéressé. Toutefois, "ce taux de 30% reste trop élevé surtout si l’on considère que M. Gatti n’a commis aucune violence à l’encontre des forces de police. Peut-on y voir une remise en cause du droit de manifester ?", interroge-t-il.

    Pour rappel, les faits remontent au 8 juillet 2009. Des policiers étaient alors intervenus pour repousser des manifestants rassemblés devant un squat à Montreuil, en Seine-Saint-Denis. L’utilisation trop musclée du LBD sur l’un d’entre eux [en fait, quatre manifestants avaient été flashballés] était devenue un symbole des violences des forces de l’ordre. Le policier impliqué a été reconnu coupable du tir et condamné en appel en 2018 à 18 mois de prison avec sursis et 24 mois d’interdiction de port d’arme.

    « L’arme la plus génératrice de dommages est sans conteste le LBD » : les détails du rapport annuel de l’IGPN
    https://www.tf1info.fr/justice-faits-divers/l-arme-la-plus-generatrice-de-dommages-est-sans-conteste-le-lanceur-de-balle

    Où l’on vérifie qu’attaquer la responsabilité de l’État au T.A peut déboucher sur une sanction plus substantielle que ce qui est obtenu au pénal ou au civil, non sans que son attribue aux cibles humaines une part de responsabilité, du fait d’avoir été présents...
    Et, à cette occasion, on constate une étonnante politique de communication du T.A. : la décision a été communiquée à l’AFP et à la presse avant de l’être au requérant et à son défenseur, histoire de redonner un longueur d’avance aux voix officielles sans aucun souci des droits du justiciable, dont celui de se livrer à une analyse de la décision et de la communiquer publiquement.

    #flashball #énucléation #police #tribunal_administratif #montreuil #violences_policières #violence_d'État
    #manifestation #défense_militante

  • Près de Lyon. Une fuite radioactive détectée à la centrale nucléaire du Bugey | Actu Lyon
    https://actu.fr/auvergne-rhone-alpes/amberieu-en-bugey_01004/pres-de-lyon-une-fuite-radioactive-detectee-a-la-centrale-nucleaire-du-bugey_57

    Concrètement, du tritium (qui est un élément radioactif de l’hydrogène) a été détecté en quantité jusqu’à huit fois supérieure au seuil au-delà duquel une investigation d’identification et de quantification doit être entreprise afin de rechercher et de supprimer les causes de la contamination.

    • L’Etat a été condamné fin janvier à verser 72 900 euros à un mineur considéré comme une « victime collatérale de l’opération de maintien de l’ordre » survenue à l’issue de la victoire de la France à la Coupe du monde de football en 2018.

      (...) « Juste avant » que le lycéen soit touché, il était « en train de fuir, dos aux policiers » et « il ne représentait pas à cet instant une menace », ajoutent les juges se basant sur des images de vidéosurveillance. Le jeune homme a donc certes eu « un comportement fautif » mais cela n’exonère l’État qu’à hauteur de 10 %. Le jugement intime donc les autorités à verser à la victime 90 % des préjudices reconnus par le tribunal, à savoir 72 900 euros.

      (...) Dans un premier temps, l’enquête avait été menée par l’Inspection générale de la police nationale ( IGPN) mais elle avait classé l’affaire sans suite, se disant incapable d’avoir pu identifier le tireur parmi les policiers. La victime avait donc engagé une action en responsabilité civile de l’Etat auprès du tribunal administratif de Lyon.

      [et toujours un bout de pipo chez _Ration_comme ailleurs, ici pour faire des lecteurs aussi amnésiques que les journaleux] En novembre 2020, le tribunal administratif de Lyon avait été le premier en France à reconnaître l’Etat responsable de blessures infligées à une jeune femme par un tir de LBD lors d’une manifestation de « gilets jaunes », en 2019.

      pour amender ce dernier paragraphe, d’autres cas de condamnations de l’État au TA, dont certains antérieurs https://seenthis.net/messages/991024

      #LBD #flashball #énucléation #police #tribunal_administratif #violences_policières #violence_d'État