• Così l’Italia ha svuotato il diritto alla trasparenza sulle frontiere

    Il Consiglio di Stato ha ribadito la inaccessibilità “assoluta” degli atti che riguardano genericamente la “gestione delle frontiere e dell’immigrazione”. Intanto le forniture milionarie del governo a Libia, Tunisia ed Egitto continuano.

    L’Italia fa un gigantesco e preoccupante passo indietro in tema di trasparenza sulle frontiere e di controllo democratico dell’esercizio del potere esecutivo. Su parte delle nostre forniture milionarie alla Libia, anche di natura militare, per bloccare le persone rischia infatti di calare un velo nero. A fine 2023 il Consiglio di Stato ha pronunciato una sentenza che riconosce come non illegittima la “assoluta” inaccessibilità di quegli atti della Pubblica amministrazione che ricadono genericamente nel settore di interesse della “gestione delle frontiere e dell’immigrazione”, svuotando così di fatto l’istituto dell’accesso civico generalizzato che è a disposizione di tutti i cittadini (e non solo dei giornalisti). Non è un passaggio banale dal momento che la conoscenza dei documenti, dei dati e delle informazioni amministrative consente, o meglio, dovrebbe consentire la partecipazione alla vita di una comunità, la vicinanza tra governanti e governati, il consapevole processo di responsabilizzazione della classe politica e dirigente del Paese. Ma la teoria traballa. E ne siamo testimoni.

    Breve riepilogo dei fatti. Il 21 ottobre 2021 l’Agenzia industrie difesa (Aid) -ente di diritto pubblico controllato dal ministero della Difesa- stipula un “Accordo di collaborazione” con la Direzione centrale dell’Immigrazione e della polizia delle frontiere in seno al ministero dell’Interno. Fu il Viminale -allora guidato dalla prefetta Luciana Lamorgese, che come capo di gabinetto ebbe l’attuale ministro, Matteo Piantedosi- a rivolgersi all’Agenzia, chiedendole “la disponibilità a fornire collaborazione per iniziative a favore dei Paesi non appartenenti all’Unione europea finalizzate al rafforzamento delle capacità nella gestione delle frontiere e dell’immigrazione e in materia di ricerca e soccorso in mare”. L’accordo dell’ottobre di tre anni fa riguardava una cooperazione “da attuarsi anche tramite la fornitura di mezzi e materiali” per dare impulso alla seconda fase del progetto “Support to integrated border and migration management in Libya”.

    Il Sibmmil è legato finanziariamente al Fondo fiduciario per l’Africa, istituito dalla Commissione europea a fine 2015 al dichiarato scopo di “affrontare le cause profonde dell’instabilità, degli spostamenti forzati e della migrazione irregolare e per contribuire a una migliore gestione della migrazione”. La prima “fase” del progetto è dotata di un budget di 46,3 milioni di euro, la seconda, quella al centro dell’accordo tra Aid e ministero dell’Interno, di 15 milioni. A beneficiare di queste forniture (navi, formazione, equipaggiamenti, tecnologie), come abbiamo ricostruito in questi anni, sono state soprattutto le milizie costiere libiche, che si sono rese responsabili di gravissime violazioni dei diritti umani. Nel 2022, pochi mesi dopo la stipula dell’accordo, abbiamo inoltrato come Altreconomia un’istanza di accesso civico alla Aid -allora guidata dall’ex senatore Nicola Latorre, sostituito dal dicembre scorso dall’accademica Fiammetta Salmoni- per avere la copia del testo e degli allegati.

    La richiesta fu negata richiamando a mo’ di “sostegno normativo” un decreto del ministero dell’Interno datato 16 marzo 2022 (ancora a guida Lamorgese). L’oggetto di quel provvedimento era l’aggiornamento della “Disciplina delle categorie di documenti sottratti al diritto di accesso ai documenti amministrativi”. Un’apparente formalità. Il Viminale, però, agì di sostanza, includendo tra i documenti ritenuti “inaccessibili per motivi attinenti alla sicurezza, alla difesa nazionale ed alle relazioni internazionali” anche quelli “relativi agli accordi intergovernativi di cooperazione e alle intese tecniche stipulati per la realizzazione di programmi militari di sviluppo, di approvvigionamento e/o supporto comune o di programmi per la collaborazione internazionale di polizia, nonché quelli relativi ad intese tecnico-operative per la cooperazione internazionale di polizia inclusa la gestione delle frontiere e dell’immigrazione”.

    Il 16 gennaio 2023 Roma e Ankara hanno firmato un memorandum per “procedure operative standard” per il distacco in Italia di “esperti della polizia nazionale turca”

    Non solo. In quel decreto si schermava poi un altro soggetto sensibile: Frontex. Vengono infatti classificati come inaccessibili anche i “documenti relativi alla cooperazione con l’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera (appunto Frontex, ndr), per la sorveglianza delle frontiere esterne dell’Unione europea coincidenti con quelle italiane e che non siano già sottratti all’accesso dall’applicazione di classifiche di riservatezza Ue”. Così come le “relazioni, rapporti ed ogni altro documento relativo a problemi concernenti le zone di confine […] la cui conoscenza possa pregiudicare la sicurezza, la difesa nazionale o le relazioni internazionali”.

    È per questo motivo che lo definimmo il “decreto che azzera la trasparenza sulle frontiere”, promuovendo di lì a poco un ricorso al Tar -grazie agli avvocati Giulia Crescini, Nicola Datena, Salvatore Fachile e Ginevra Maccarone dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione e membri del progetto Sciabaca&Oruka- contro i ministeri dell’Interno, della Difesa, della Pubblicazione amministrazione, oltreché l’Agenzia industrie difesa (Aid), proprio per vedere riconosciuto il diritto all’accesso civico generalizzato. In primo grado, però, il Tar del Lazio ci ha dato torto.

    Ed eccoci arrivati al Consiglio di Stato, il cui pronunciamento, pubblicato a metà novembre 2023, ha ritenuto infondato il nostro appello, riconoscendo come “fonte di un divieto assoluto all’accesso civico generalizzato”, non sorretto perciò da alcuna motivazione, proprio quel decreto ministeriale firmato Luciana Lamorgese del marzo 2022. “All’ampliamento della platea dei soggetti che possono avvalersi dell’accesso civico generalizzato corrisponde un maggior rigore normativo nella previsione delle eccezioni poste a tutela dei contro-interessi pubblici e privati”, hanno scritto i giudici della quarta sezione.

    I legali che ci hanno accompagnato in questo percorso non la pensano allo stesso modo. “Il Consiglio di Stato ha affermato che il decreto ministeriale del 16 marzo 2022, una fonte secondaria, non legislativa, adottata in attuazione della disciplina del diverso istituto dell’accesso documentale, abbia introdotto nell’ordinamento un limite assoluto all’accesso civico, che può essere invocato dalla Pubblica amministrazione senza che questa sia tenuta a fornire alcuna motivazione in merito alla sua ricorrenza.

    Si tratta di un’evidente elusione del dettato normativo, che prevede in materia una riserva assoluta di legge”, osservano le avvocate Crescini e Maccarone. Che aggiungono: “I giudici hanno respinto anche la censura relativa all’assoluta genericità del limite introdotto con il decreto ministeriale, che non individua precisamente le categorie di atti sottratti all’accesso, ma al contrario solo il settore di interesse, cioè la gestione delle frontiere e dell’immigrazione, essendo idoneo a ricomprendere qualunque tipologia di atto, documento o dato, di fatto svuotando di contenuto l’istituto”. Questa sentenza del Consiglio di Stato rischia di rappresentare un precedente preoccupante. “L’accesso civico è uno strumento moderno che avrebbe potuto garantire la trasparenza degli atti della Pubblica amministrazione secondo canoni condivisibili che rispecchiano le esigenze che si sono cristallizzate in tutta Europa nel corso degli ultimi anni -riflettono le avvocate-. Tuttavia con questa interpretazione l’istituto viene totalmente svuotato di significato, costringendoci a fare un passo indietro di notevole importanza in tema di trasparenza, che è chiamata ad assicurare l’effettivo andamento democratico di un ordinamento giuridico”.

    I mezzi guardacoste che l’Italia si appresta a cedere quest’anno alla Guardia nazionale del ministero dell’Interno tunisino sono sei

    Le forniture italiane per ostacolare i transiti, intanto, continuano. Negli ultimi mesi la Direzione centrale dell’Immigrazione e della polizia delle frontiere del Viminale -retta da Claudio Galzerano, già a capo di Europol- ha ripreso con forza a bandire gare o pubblicare, a cose fatte, affidamenti diretti. Anche per trasferte o distacchi in Italia di “ufficiali” libici, tunisini, ivoriani o “esperti della polizia nazionale turca”. La delegazione della Libyan coast guard and port security, ad esempio, è stata portata dal 15 al 18 gennaio di quest’anno alla base navale della Guardia di Finanza a Capo Miseno (NA) per una “visita tecnica”. Nei mesi prima altre “autorità libiche” erano state formate alle basi di Gaeta (LT) o Capo Miseno. Gli ufficiali della Costa d’Avorio sono stati in missione dal 30 ottobre scorso al 20 gennaio 2024 “in materia di rimpatri”. Sono stati portati nei punti caldi di Lampedusa e Ventimiglia.

    Al dicembre 2023 risale invece la firma dell’accordo tra la Direzione centrale e il Comando generale della Gdf per la fornitura di navi, assistenza, manutenzione, supporto tecnico-logistico a beneficio di Libia, Tunisia ed Egitto. Obiettivo: il “rafforzamento delle capacità nella gestione delle frontiere e dell’immigrazione e in materia di ricerca e soccorso in mare”. Proprio alla Guardia nazionale del ministero dell’Interno di Tunisi finiranno sei guardacoste litoranei della classe “G.L. 1.400”, con servizi annessi del tipo “consulenza, assistenza e tutoraggio”, per un valore di 4,8 milioni di euro (i soldi li mette il Viminale, i mezzi e la competenza la Guardia di Finanza). Navi ma anche carburante. A inizio gennaio di quest’anno il direttore Galzerano, dietro presunta richiesta di non ben precisate “autorità tunisine”, ha approvato la spesa di “nove milioni di euro circa” (testualmente) per “il pagamento del carburante delle unità navali impegnate nella lotta all’immigrazione clandestina e nelle operazioni di ricerca e di soccorso” nelle acque tunisine. Dove hanno recuperato le risorse? Da un fondo ministeriale dedicato a “misure volte alla prevenzione e al contrasto della criminalità e al potenziamento della sicurezza nelle strutture aeroportuali e nelle principali stazioni ferroviarie anche attraverso imprescindibili misure di cooperazione internazionale”. Chissà quale sarà la prossima fermata.

    https://altreconomia.it/cosi-litalia-ha-svuotato-il-diritto-alla-trasparenza-sulle-frontiere
    #Tunisie #Egypte #transparence #Agenzia_industrie_difesa (#Aid) #Support_to_integrated_border_and_migration_management_in_Libya (#Sibmmil) #Fonds_fiduciaire_pour_l'Afrique #gardes-côtes_libyens #Frontex

  • La Journaliste Chadha Haj Mbarek ou comment le pouvoir s’en prend à la liberté d’expression

    La journaliste Chadha Haj Mbarek a été arrêtée début octobre 2021 dans le cadre de l’affaire dite de la « société Instalingo ». Elle a été accusée de complot contre la sûreté de l’Etat, d’atteinte à l’ordre public et d’outrage au président de la République, autant d’accusations frappant de nombreux activistes auxquelles le pouvoir actuel a recours depuis le 25 juillet 2021, date de l’imposition de l’état d’exception par Kaïs Saied.
    https://entreleslignesentrelesmots.wordpress.com/2023/12/11/le-reve-revolutionnaire-vire-au-cauchemar-dans-une-tunisie-redevenue-une-vaste-prison/#comment-60028

    #international #tunisie

  • Tunisie : 20 jeunes sénégalais rapatriés à Dakar
    https://www.seneweb.com/news/Afrique/tunisie-20-jeunes-senegalais-rapatries-a_n_430772.html

    Tunisie : 20 jeunes sénégalais rapatriés à Dakar
    Par : - Seneweb.com | 17 janvier, 2024 à 15:01:28 | Lu 906 Fois |
    Tunisie : 20 jeunes sénégalais rapatriés à Dakar
    Bloqués à Tataouine (Tunisie) depuis plusieurs semaines, 20 sénégalais candidats à l’émigration clandestine ont été rapatriés à Dakar dans la nuit du mardi 16 au mercredi 17 janvier. L’information a été donnée par l’Association internationale pour Médina-Mary (AIMM) dans un communiqué.
    « Un groupe de plus de 20 jeunes Sénégalais a été rapatrié de Tunisie, dans la nuit du mardi 16 au mercredi 17 janvier 2024, après avoir échoué de rejoindre l’Europe par la Méditerranée. Ils étaient coincés à Tataouine, depuis plus d’un mois, alors qu’ils étaient avec des jeunes de Gambie (majoritaire), du Mali, Guinée, entre autres, qui eux, avaient été rapatriés par leurs gouvernements respectifs », lit-on sur le communiqué.Pris en charge par l’Organisation internationale des migrations à Tataouine, ces jeunes sénégalais avaient lancé un appel au Gouvernement, le 25 décembre dernier, pour les aider à rentrer au Sénégal. Mouhamed CAMARAÉ

    #Covid-19#migrant#migration#senegal#OIM#tunisie#rapatriement#migrationirreguliere#gambie#mali#guinee#jeunesse

  • Le comité pour le respect des libertés et des droits de l’homme en Tunisie -CRLDHT

    Le drame de Gaza ne nous fait pas oublier les souffrances des prisonniers politiques dans notre pays
    Depuis plus de deux mois et demi, les force d’occupation israéliennes se livrent à un véritable génocide à l’encontre des habitants de Gaza. Une guerre sans merci contre des civils, des femmes, des enfants et des habitants désarmés se poursuit avec la bénédiction de la plupart des régimes occidentaux qui tournent ainsi le dos aux principes et aux valeurs de liberté, de démocratie et des droits de l’homme qu’ils prétendent défendre.
    https://entreleslignesentrelesmots.wordpress.com/2023/12/11/le-reve-revolutionnaire-vire-au-cauchemar-dans-une-tunisie-redevenue-une-vaste-prison/#comment-59870

    #international #tunisie

  • Le comité pour le respect des libertés et des droits de l’homme en Tunisie -CRLDHT
    Le drame de Gaza ne nous fait pas oublier les souffrances des prisonniers politiques dans notre pays
    Depuis plus de deux mois et demi, les force d’occupation israéliennes se livrent à un véritable génocide à l’encontre des habitants de Gaza. Une guerre sans merci contre des civils, des femmes, des enfants et des habitants désarmés se poursuit avec la bénédiction de la plupart des régimes occidentaux qui tournent ainsi le dos aux principes et aux valeurs de liberté, de démocratie et des droits de l’homme qu’ils prétendent défendre.

    Et depuis plus de dix mois, des prisonniers politiques croupissent dans les prisons tunisiennes sans avoir eu droit à aucune comparution, à aucun procès, emprisonnés qu’ils sont sur la base d’accusations fallacieuses, dénuées de tout fondement.

    https://entreleslignesentrelesmots.wordpress.com/2023/12/11/le-reve-revolutionnaire-vire-au-cauchemar-dans-une-tunisie-redevenue-une-vaste-prison/#comment-59870
    #international #tunisie

  • Au niveau européen, un pacte migratoire « dangereux » et « déconnecté de la réalité »

    Sara Prestianni, du réseau EuroMed Droits, et Tania Racho, chercheuse spécialiste du droit européen et de l’asile, alertent, dans un entretien à deux voix, sur les #risques de l’accord trouvé au niveau européen et qui sera voté au printemps prochain.

    Après trois années de discussions, un accord a été trouvé par les États membres sur le #pacte_européen_sur_la_migration_et_l’asile la semaine dernière. En France, cet événement n’a trouvé que peu d’écho, émoussé par la loi immigration votée au même moment et dont les effets sur les étrangers pourraient être dramatiques.

    Pourtant, le pacte migratoire européen comporte lui aussi son lot de mesures dangereuses pour les migrant·es, entre renforcement des contrôles aux frontières, tri express des demandeurs d’asile, expulsions facilitées des « indésirables » et sous-traitance de la gestion des frontières à des pays tiers. Sara Prestianni, responsable du plaidoyer au sein du réseau EuroMed Droits, estime que des violations de #droits_humains seront inévitables et invite à la création de voies légales qui permettraient de protéger les demandeurs d’asile.

    La chercheuse Tania Racho, spécialiste du droit européen et de l’asile et membre du réseau Désinfox-Migrations, répond qu’à aucun moment les institutions européennes « ne prennent en compte les personnes exilées », préférant répondre à des « objectifs de gestion des migrations ». Dans un entretien croisé, elles alertent sur les risques d’une approche purement « sécuritaire », qui renforcera la vulnérabilité des concernés et les mettra « à l’écart ».

    Mediapart : Le pacte migratoire avait été annoncé par la Commission européenne en septembre 2020. Il aura fait l’objet de longues tergiversations et de blocages. Était-ce si difficile de se mettre d’accord à 27 ?

    Tania Racho : Dans l’état d’esprit de l’Union européenne (UE), il fallait impérativement démontrer qu’il y a une gestion des migrations aux #frontières_extérieures pour rassurer les États membres. Mais il a été difficile d’aboutir à un accord. Au départ, il y avait des mesures pour des voies sécurisées d’accès à l’Union avec plus de titres économiques : ils ont disparu au bénéfice d’une crispation autour des personnes en situation irrégulière.

    Sara Prestianni : La complexité pour aboutir à un accord n’est pas due à la réalité des migrations mais à l’#instrumentalisation du dossier par beaucoup d’États. On l’a bien vu durant ces trois années de négociations autour du pacte : bien que les chiffres ne le justifiaient pas, le sujet a été fortement instrumentalisé. Le résultat, qui à nos yeux est très négatif, est le reflet de ces stratégies : cette réforme ne donne pas de réponse au phénomène en soi, mais répond aux luttes intestines des différents États.

    La répartition des demandeurs d’asile sur le sol européen a beaucoup clivé lors des débats. Pourquoi ?

    Sara Prestianni : D’abord, parce qu’il y a la fameuse réforme du #règlement_Dublin [qui impose aux exilés de demander l’asile dans le pays par lequel ils sont entrés dans l’UE - ndlr]. Ursula von der Leyen [présidente de la Commission – ndlr] avait promis de « #dépasser_Dublin ». Il est aujourd’hui renforcé. Ensuite, il y a la question de la #solidarité. La #redistribution va finalement se faire à la carte, alors que le Parlement avait tenté de revenir là-dessus. On laisse le choix du paiement, du support des murs et des barbelés aux frontières internes, et du financement de la dimension externe. On est bien loin du concept même de solidarité.

    Tania Racho : L’idée de Dublin est à mettre à la poubelle. Pour les Ukrainiens, ce règlement n’a pas été appliqué et la répartition s’est faite naturellement. La logique de Dublin, c’est qu’une personne qui trouve refuge dans un État membre ne peut pas circuler dans l’UE (sans autorisation en tout cas). Et si elle n’obtient pas l’asile, elle n’est pas censée pouvoir le demander ailleurs. Mais dans les faits, quelqu’un qui voit sa demande d’asile rejetée dans un pays peut déposer une demande en France, et même obtenir une protection, parce que les considérations ne sont pas les mêmes selon les pays. On s’interroge donc sur l’utilité de faire subir des transferts, d’enfermer les gens et de les priver de leurs droits, de faire peser le coût de ces transferts sur les États… Financièrement, ce n’est pas intéressant pour les États, et ça n’a pas de sens pour les demandeurs d’asile.

    D’ailleurs, faut-il les répartir ou leur laisser le libre #choix dans leur installation ?

    Tania Racho : Cela n’a jamais été évoqué sous cet angle. Cela a du sens de pouvoir les laisser choisir, parce que quand il y a un pays de destination, des attaches, une communauté, l’#intégration se fait mieux. Du point de vue des États, c’est avant tout une question d’#efficacité. Mais là encore on ne la voit pas. La Cour européenne des droits de l’homme a constaté, de manière régulière, que l’Italie ou la Grèce étaient des États défaillants concernant les demandeurs d’asile, et c’est vers ces pays qu’on persiste à vouloir renvoyer les personnes dublinées.

    Sara Prestianni : Le règlement de Dublin ne fonctionne pas, il est très coûteux et produit une #errance continue. On a à nouveau un #échec total sur ce sujet, puisqu’on reproduit Dublin avec la responsabilité des pays de première entrée, qui dans certaines situations va se prolonger à vingt mois. Même les #liens_familiaux (un frère, une sœur), qui devaient permettre d’échapper à ce règlement, sont finalement tombés dans les négociations.

    En quoi consiste le pacte pour lequel un accord a été trouvé la semaine dernière ?

    Sara Prestianni : Il comporte plusieurs documents législatifs, c’est donc une #réforme importante. On peut évoquer l’approche renforcée des #hotspots aux #frontières, qui a pourtant déjà démontré toutes ses limites, l’#enfermement à ciel ouvert, l’ouverture de #centres_de_détention, la #procédure_d’asile_accélérée, le concept de #pays-tiers_sûr que nous rejetons (la Tunisie étant l’exemple cruel des conséquences que cela peut avoir), la solidarité à la carte ou encore la directive sur l’« instrumentalisation » des migrants et le concept de #force_majeure en cas d’« #arrivées_massives », qui permet de déroger au respect des droits. L’ensemble de cette logique, qui vise à l’utilisation massive de la #détention, à l’#expulsion et au #tri des êtres humains, va engendrer des violations de droits, l’#exclusion et la #mise_à_l’écart des personnes.

    Tania Racho : On met en place des #centres_de_tri des gens aux frontières. C’est d’une #violence sans nom, et cette violence est passée sous silence. La justification du tri se fait par ailleurs sur la nationalité, en fonction du taux de protection moyen de l’UE, ce qui est absurde car le taux moyen de protection varie d’un pays à l’autre sur ce critère. Cela porte aussi une idée fausse selon laquelle seule la nationalité prévaudrait pour obtenir l’asile, alors qu’il y a un paquet de motifs, comme l’orientation sexuelle, le mariage forcé ou les mutilations génitales féminines. Difficile de livrer son récit sur de tels aspects après un parcours migratoire long de plusieurs mois dans le cadre d’une #procédure_accélérée.

    Comment peut-on opérer un #tri_aux_frontières tout en garantissant le respect des droits des personnes, du droit international et de la Convention de Genève relative aux réfugiés ?

    Tania Racho : Aucune idée. La Commission européenne parle d’arrivées mixtes et veut pouvoir distinguer réfugiés et migrants économiques. Les premiers pourraient être accueillis dignement, les seconds devraient être expulsés. Le rush dans le traitement des demandes n’aidera pas à clarifier la situation des personnes.

    Sara Prestianni : Ils veulent accélérer les procédures, quitte à les appliquer en détention, avec l’argument de dire « Plus jamais Moria » [un camp de migrants en Grèce incendié – ndlr]. Mais, ce qui est reproduit ici, c’est du pur Moria. En septembre, quand Lampedusa a connu 12 000 arrivées en quelques jours, ce pacte a été vendu comme la solution. Or tel qu’il est proposé aujourd’hui, il ne présente aucune garantie quant au respect du droit européen et de la Convention de Genève.

    Quels sont les dangers de l’#externalisation, qui consiste à sous-traiter la gestion des frontières ?

    Sara Prestianni : Alors que se négociait le pacte, on a observé une accélération des accords signés avec la #Tunisie, l’#Égypte ou le #Maroc. Il y a donc un lien très fort avec l’externalisation, même si le concept n’apparaît pas toujours dans le pacte. Là où il est très présent, c’est dans la notion de pays tiers sûr, qui facilite l’expulsion vers des pays où les migrants pourraient avoir des liens.

    On a tout de même l’impression que ceux qui ont façonné ce pacte ne sont pas très proches du terrain. Prenons l’exemple des Ivoiriens qui, à la suite des discours de haine en Tunisie, ont fui pour l’Europe. Les États membres seront en mesure de les y renvoyer car ils auront a priori un lien avec ce pays, alors même qu’ils risquent d’y subir des violences. L’Italie négocie avec l’#Albanie, le Royaume-Uni tente coûte que coûte de maintenir son accord avec le #Rwanda… Le risque, c’est que l’externalisation soit un jour intégrée à la procédure l’asile.

    Tania Racho : J’ai appris récemment que le pacte avait été rédigé par des communicants, pas par des juristes. Cela explique combien il est déconnecté de la réalité. Sur l’externalisation, le #non-refoulement est prévu par le traité sur le fonctionnement de l’UE, noir sur blanc. La Commission peut poursuivre l’Italie, qui refoule des personnes en mer ou signe ce type d’accord, mais elle ne le fait pas.

    Quel a été le rôle de l’Italie dans les discussions ?

    Sara Prestianni : L’Italie a joué un rôle central, menaçant de faire blocage pour l’accord, et en faisant passer d’autres dossiers importants à ses yeux. Cette question permet de souligner combien le pacte n’est pas une solution aux enjeux migratoires, mais le fruit d’un #rapport_de_force entre les États membres. L’#Italie a su instrumentaliser le pacte, en faisant du #chantage.

    Le pacte n’est pas dans son intérêt, ni dans celui des pays de premier accueil, qui vont devoir multiplier les enfermements et continuer à composer avec le règlement Dublin. Mais d’une certaine manière, elle l’a accepté avec la condition que la Commission et le Conseil la suivent, ou en tout cas gardent le silence, sur l’accord formulé avec la Tunisie, et plus récemment avec l’Albanie, alors même que ce dernier viole le droit européen.

    Tania Racho : Tout cela va aussi avoir un #coût – les centres de tri, leur construction, leur fonctionnement –, y compris pour l’Italie. Il y a dans ce pays une forme de #double_discours, où on veut d’un côté dérouter des bateaux avec une centaine de personnes à bord, et de l’autre délivrer près de 450 000 visas pour des travailleurs d’ici à 2025. Il y a une forme illogique à mettre autant d’énergie et d’argent à combattre autant les migrations irrégulières tout en distribuant des visas parce qu’il y a besoin de #travailleurs_étrangers.

    Le texte avait été présenté, au départ, comme une réponse à la « crise migratoire » de 2015 et devait permettre aux États membres d’être prêts en cas de situation similaire à l’avenir. Pensez-vous qu’il tient cet objectif ?

    Tania Racho : Pas du tout. Et puisqu’on parle des Syriens, rappelons que le nombre de personnes accueillies est ridicule (un million depuis 2011 à l’échelle de l’UE), surtout lorsqu’on le compare aux Ukrainiens (10 millions accueillis à ce jour). Il est assez étonnant que la comparaison ne soit pas audible pour certains. Le pacte ne résoudra rien, si ce n’est dans le narratif de la Commission européenne, qui pense pouvoir faire face à des arrivées mixtes.

    On a les bons et mauvais exilés, on ne prend pas du tout en compte les personnes exilées, on s’arrête à des objectifs de #gestion alors que d’autres solutions existent, comme la délivrance de #visas_humanitaires. Elles sont totalement ignorées. On s’enfonce dans des situations dramatiques qui ne feront qu’augmenter le tarif des passeurs et le nombre de morts en mer.

    Sara Prestianni : Si une telle situation se présente de nouveau, le règlement « crise » sera appliqué et permettra aux États membres de tout passer en procédure accélérée. On sera donc dans un cas de figure bien pire, car les entraves à l’accès aux droits seront institutionnalisées. C’est en cela que le pacte est dangereux. Il légitime toute une série de violations, déjà commises par la Grèce ou l’Italie, et normalise des pratiques illégales. Il occulte les mesures harmonisées d’asile, d’accueil et d’intégration. Et au lieu de pousser les États à négocier avec les pays de la rive sud, non pas pour renvoyer des migrants ou financer des barbelés mais pour ouvrir des voies légales et sûres, il mise sur une logique sécuritaire et excluante.

    Cela résonne fortement avec la loi immigration votée en France, supposée concilier « #humanité » et « #fermeté » (le pacte européen, lui, prétend concilier « #responsabilité » et « #solidarité »), et qui mise finalement tout sur le répressif. Un accord a été trouvé sur les deux textes au même moment, peut-on lier les deux ?

    Tania Racho : Dans les deux cas, la seule satisfaction a été d’avoir un accord, dans la précipitation et dans une forme assez particulière, entre la commission mixte paritaire en France et le trilogue au niveau européen. Ce qui est intéressant, c’est que l’adoption du pacte va probablement nécessiter des adaptations françaises. On peut lier les deux sur le fond : l’idée est de devoir gérer les personnes, dans le cas français avec un accent particulier sur la #criminalisation_des_étrangers, qu’on retrouve aussi dans le pacte, où de nombreux outils visent à lutter contre le terrorisme et l’immigration irrégulière. Il y a donc une même direction, une même teinte criminalisant la migration et allant dans le sens d’une fermeture.

    Sara Prestianni : Les États membres ont présenté l’adoption du pacte comme une grande victoire, alors que dans le détail ce n’est pas tout à fait évident. Paradoxalement, il y a eu une forme d’unanimité pour dire que c’était la solution. La loi immigration en France a créé plus de clivages au sein de la classe politique. Le pacte pas tellement, parce qu’après tant d’années à la recherche d’un accord sur le sujet, le simple fait d’avoir trouvé un deal a été perçu comme une victoire, y compris par des groupes plus progressistes. Mais plus de cinquante ONG, toutes présentes sur le terrain depuis des années, sont unanimes pour en dénoncer le fond.

    Le vote du pacte aura lieu au printemps 2024, dans le contexte des élections européennes. Risque-t-il de déteindre sur les débats sur l’immigration ?

    Tania Racho : Il y aura sans doute des débats sur les migrations durant les élections. Tout risque d’être mélangé, entre la loi immigration en France, le pacte européen, et le fait de dire qu’il faut débattre des migrations parce que c’est un sujet important. En réalité, on n’en débat jamais correctement. Et à chaque élection européenne, on voit que le fonctionnement de l’UE n’est pas compris.

    Sara Prestianni : Le pacte sera voté avant les élections, mais il ne sera pas un sujet du débat. Il y aura en revanche une instrumentalisation des migrations et de l’asile, comme un outil de #propagande, loin de la réalité du terrain. Notre bataille, au sein de la société civile, est de continuer notre travail de veille et de dénoncer les violations des #droits_fondamentaux que cette réforme, comme d’autres par le passé, va engendrer.

    https://www.mediapart.fr/journal/international/281223/au-niveau-europeen-un-pacte-migratoire-dangereux-et-deconnecte-de-la-reali
    #pacte #Europe #pacte_migratoire #asile #migrations #réfugiés

  • En Tunisie, les migrants subsahariens désormais sous la menace de réseaux de kidnappeurs
    https://www.lemonde.fr/afrique/article/2023/12/27/en-tunisie-les-migrants-subsahariens-desormais-sous-la-menace-de-reseaux-de-

    En Tunisie, les migrants subsahariens désormais sous la menace de réseaux de kidnappeurs
    Par Monia Ben Hamadi (Tunis, correspondance)
    Depuis plus d’une semaine, Koné, un jeune Ivoirien, n’a plus de nouvelles de sa demi-sœur. Tout juste sait-il que Mariam, 15 ans, est séquestrée par d’autres migrants à Sfax, la deuxième ville de Tunisie. Mariam n’est pas seule dans ce cas. Depuis octobre, des signalements inquiétants d’un nouveau trafic se multiplient dans le pays. Des migrants subsahariens de différentes nationalités sont enlevés et détenus dans des logements à Sfax en vue de rançonner leurs proches. Leur libération peut coûter plusieurs centaines d’euros.
    Le Monde Afrique a pu recueillir plusieurs témoignages concordants de proches de victimes, des informations sur leur localisation ainsi que des documents prouvant plusieurs transferts d’argent pour leur libération. Les autorités collaborent discrètement avec des avocats et des organisations de droits humains pour mettre fin à ce phénomène, lié à la répression que subissent les migrants en provenance d’Afrique subsaharienne en Tunisie. (...)
    Suite aux déclarations du président Kaïs Saïed en février 2023, affirmant que l’arrivée de Subsahariens dans le pays relèverait d’un « plan criminel pour changer la composition du paysage démographique », les conditions de vie des migrants en Tunisie se sont rapidement dégradées. Un pic de violence est survenu en juillet, lorsque des centaines de ressortissants d’Afrique subsaharienne ont été expulsées de Sfax par les forces de l’ordre et abandonnés dans le désert sans moyens de subsistance. Depuis, les autorités tunisiennes ont menacé de sanctionner ceux qui transporteraient des personnes se trouvant en situation irrégulière. Les prix du marché parallèle ont aussitôt augmenté. Pour régler le trajet de Mariam, Koné a pu compter sur le virement d’un proche en Europe, versé au chauffeur. Mais arrivé à Sfax, celui-ci « la vend à des Camerounais et des Ivoiriens », assure son demi-frère. Les ravisseurs réclament 1 000 dinars (environ 300 euros) pour relâcher l’adolescente. Arrivé en Tunisie depuis moins de deux mois, le jeune homme n’a aucune source de revenus et ne s’est jamais rendu dans la ville de Sfax où la captive se trouverait encore. « Je leur ai dit qu’actuellement je n’avais pas d’argent. Maintenant, ils ont bloqué tous les numéros que je connais, je suis sans nouvelles depuis plus d’une semaine. La famille est très inquiète et m’appelle tous les jours, mais je ne sais pas quoi faire », déplore-t-il.En charge de deux affaires similaires, Hamida Chaieb, avocate et membre du comité directeur de la Ligue tunisienne des droits de l’homme (LTDH), a reçu plusieurs signalements d’enlèvements depuis le mois d’octobre. « Ce phénomène n’existait pas avant », affirme-t-elle, décrivant les mêmes procédés : « Ce sont des migrants qui viennent d’Algérie ou qui ont été expulsés à la frontière par les forces de l’ordre. Dans les zones frontalières, des transporteurs tunisiens les emmènent généralement à Sfax où ils les remettent à des migrants subsahariens qui les séquestrent. Les montants diffèrent, ça peut monter jusqu’à 2 000 dinars tunisiens. »
    Selon l’avocate, les affaires sont à présent gérées en étroite collaboration avec le parquet et la brigade criminelle de Tunis. Plusieurs arrestations auraient déjà eu lieu, malgré des réticences et des lenteurs constatées après les premiers signalements. « Au début, les policiers n’y ont pas cru parce qu’il y a eu des cas de personnes qui ont menti à leurs proches pour que ces derniers leur envoient de l’argent », précise Me Chaieb.
    La réalité s’est finalement imposée avec la multiplication des enlèvements. Le Monde en a recensé au moins cinq. « La police a alors eu peur d’intervenir car certains individus sont armés. Dans les cas dont je m’occupe, ils y sont finalement retournés mais ne les ont pas trouvés, ils avaient déjà changé de lieu », poursuit Me Chaieb, qui affirme qu’au moins deux personnes libérées après avoir payé une rançon sont en mesure de témoigner. Bamba, 37 ans, vit depuis plusieurs mois à El Oued, dans le désert algérien, près de la frontière avec la Tunisie. Cet Ivoirien a été contacté par au moins trois victimes de ce trafic à Sfax. Elles avaient enregistré son numéro avant de quitter El Oued. Bamba a ainsi été en mesure d’aider leurs proches à leur envoyer les montants demandés par les ravisseurs. Issa, un jeune Guinéen et ancien compagnon de route, en fait partie.
    « Ils leur ont laissé un téléphone pour qu’ils puissent contacter leurs proches », explique Bamba, qui a communiqué au Monde la dernière localisation connue de son ami et de ses deux autres connaissances, ainsi que les reçus de transferts d’argent en francs CFA, en dollars et en euros envoyés par les proches des victimes. Selon lui, Issa est parti d’El Oued vers la Tunisie le 12 décembre.
    Arrivé à Sfax par ses propres moyens, il a suivi de « jeunes Ivoiriens » qui lui auraient proposé de passer la nuit chez eux. « Il a tenté de joindre son correspondant là-bas qui devait l’aider à se loger, mais il était tard, la personne n’a pas décroché », relate-t-il. Le lendemain matin, les « bandits » empêchent Issa de sortir et lui réclament de l’argent, arguant qu’il devait payer « le prix du taxi et du logement » : 350 euros. « Pour eux, c’est comme un travail. Ils ont commencé à le tabasser et lui ont donné le téléphone pour qu’il appelle sa famille. Je suis entré en contact avec son grand frère qui a payé 300 dollars. Il ne voulait pas que son frère soit torturé. »
    Depuis, Bamba n’a plus de nouvelles de son ami. Après un long périple par la Libye et l’Algérie, il a décidé quant à lui de « se calmer un peu » et de subir quelque temps de plus les conditions de vie du désert d’El Oued, après avoir constaté le sort réservé en Tunisie à ses compagnons lancés sur le chemin de l’Europe.

    #Covid-19#migrant#migration#tunisie#afriquesubsaharienne#trafic#migrationirreguliere#reseaux#sfax#algerie#libye#sante

  • Prolongation de la détention des prisonniers politiques : entre vengeance et représailles

    Le juge d’instruction du pôle judiciaire de lutte contre le terrorisme a décidé, le 21 décembre 2023, de prolonger la période de détention provisoire de personnalités politiques arrêtées dans l’affaire dite du « complot contre la sécurité de l’État ».

    Il convient de rappeler que le ministère public du pôle judiciaire de lutte contre le terrorisme avait arrêté en février 2023 des leaders politiques parmi eux Khayem Turki, Jawhar Ben Mbarek, Ghazi Chaouachi, Ridha Belhaj et Abdelhamid Jelassi, emprisonnés durant six mois avant que leur détention ne soit prolongée une première fois de quatre mois, puis une seconde ce 21 décembre 2023.

    https://entreleslignesentrelesmots.wordpress.com/2023/12/24/prolongation-de-la-detention-des-prisonniers-p

    #international #tunisie

  • CARTOGRAPHIE DES VIOLATIONS SUBIES PAR LES PERSONNES EN DEPLACEMENT EN TUNISIE

    L’#OMCT publie aujourd’hui un rapport, « Les routes de la torture : Cartographie des violations subies par les personnes en déplacement en Tunisie » qui met en lumière l’ampleur et la nature des violations des #droits_humains commises en Tunisie entre juillet et octobre 2023 à l’encontre de migrant-e-s, réfugié-e-s et demandeurs d’asile.

    Depuis octobre 2022, la Tunisie a connu une intensification progressive des violations à l’encontre des personnes en déplacement essentiellement d’origine subsaharienne, sur fond de #discrimination_raciale. Le discours présidentiel du 21 février 2023 les a rendues encore plus vulnérables, et le mois de juillet 2023 a représenté un tournant dans l’échelle et le type des violations des #droits_humains commises, avec une recrudescence des #arrestations et des #détentions_arbitraires, des #déplacements_arbitraire et forcés, ayant donné lieu à des #mauvais_traitement, des #tortures, des #disparitions et, dans plusieurs cas, des #décès. Ce cycle d’#abus commence avec une situation d’irrégularité qui accroît leur #vulnérabilité et qui les expose au risque de violations supplémentaires.

    Cependant, malgré l’ampleur des violations infligées, celles-ci ont été très largement passées sous silence, invisibilisant encore davantage une population déjà marginalisée. A traves les voix de victimes directes de violations ayant voulu partager leurs souffrances avec l’OMCT, ce rapport veut contribuer à contrer cette dynamique d’#invisibilisation des migrant-e-s, refugié-e-s et demandeurs d’asile résidant en Tunisie, qui favorise la perpétuation des violations et un climat d’#impunité.

    Le rapport s’appuie notamment sur plus de 30 entretiens avec des représentant-e-s d’organisations partenaires et activistes travaillant sur tout le territoire tunisien et une vingtaine de témoignages directes de victimes de violence documentés par l’OMCT et ses partenaires. Il dresse une cartographie des violations infligées aux migrants, parmi lesquelles les expulsions forcées des logements, les #violences physiques et psychologiques exercées aussi bien par des citoyens que par des agents sécuritaires, le déni d’#accès_aux_soins, les arrestations et détentions arbitraires, les déplacements arbitraires et forcés sur le territoire tunisien, notamment vers les zones frontalières et les #déportations vers l’Algérie et la Libye. Les interactions avec les forces de l’ordre sont généralement assorties de torture et mauvais traitements tandis que les victimes sont privées, dans les faits, du droit d’exercer un recours contre ce qu’elles subissent.

    Cette #violence institutionnelle touche indistinctement les personnes en déplacement, indépendamment de leur statut, qu’elles soient en situation régulière ou non, y compris les réfugié-e-s et demandeurs d’asile. Les victimes, hommes, femmes, enfants, se comptent aujourd’hui par milliers. A la date de publication de ce rapport, les violations se poursuivent avec une intensité et une gravité croissante, sous couvert de lutte contre l’immigration clandestine et les réseaux criminels de trafic d’êtres humains. La Tunisie, en conséquence, ne peut être considérée comme un pays sûr pour les personnes en déplacement.

    Ce rapport souhaite informer les politiques migratoires des décideurs tunisiens, européens et africains vers une prise en compte décisive de l’impact humain dramatique et contre-productif des politiques actuelles.

    https://omct-tunisie.org/2023/12/18/les-routes-de-la-torture

    #migrations #asile #réfugiés #Tunisie #rapport

    ping @_kg_

  • Libye : au moins 61 migrants présumés morts dans un naufrage
    https://www.lemonde.fr/international/article/2023/12/16/libye-au-moins-61-migrants-presumes-morts-dans-un-naufrage_6206211_3210.html

    Libye : au moins 61 migrants présumés morts dans un naufrage
    Au moins 61 migrants sont portés disparus et présumés morts après le naufrage de leur embarcation de fortune au large de la Libye, a rapporté à l’Agence France-Presse (AFP) le bureau de l’Organisation internationale pour les migrations (OIM) en Libye. « Un grand nombre de migrants, environ 61, sont présumés avoir péri à cause de fortes vagues », ayant submergé leur embarcation « partie de Zouara, dans le nord-ouest de la Libye avec 86 migrants à son bord », selon la même source.
    Il s’agit en majorité de ressortissants du Nigeria, de Gambie et d’autres pays d’Afrique, et parmi les victimes « figurent des enfants et des femmes », a-t-on ajouté. Au total, 25 personnes ont pu être sauvées et ont été transférées vers un centre de détention libyen à Tariq Al Sekka, près de Tripoli. « Une équipe OIM a pu apporter un soutien médical et ils sont tous en bonne santé », selon la même source.« Plus de 2 250 personnes ont perdu la vie en Méditerranée centrale cette année », a déploré sur X Flavio Di Giacomo, porte-parole de l’OIM pour la Méditerranée, en faisant état du lourd bilan de cet énième naufrage. « Ce chiffre dramatique démontre que malheureusement on ne fait pas suffisamment pour sauver les vies en mer », a-t-il ajouté.
    La Libye et la Tunisie sont les deux principaux points de départs en Méditerranée centrale pour les migrants qui tentent de gagner l’Europe en débarquant clandestinement sur les côtes italiennes.
    Selon les derniers chiffres du HCR (Haut commissariat aux Réfugiés de l’ONU) au 10 décembre, plus de 153 000 migrants sont arrivés en Italie cette année, en provenance de Tunisie et de Libye.

    #Covid-19#migrant#migration#tunisie#libye#mediterranee#traversee#mortalite#frontiere#UE#OIM#HCR#sante

  • Marine pollution, a Tunisian scourge: Jeans industries destroy the marine ecosystem in the #Ksibet_El-Mediouni Bay

    The Made in Tunisia clothes industry for the European market consumes large amounts of water and pollutes Tunisia’s coastline. In Ksibet El Mediouni, the population is paying the price of the environmental cost of #fast_fashion.

    Behind the downtown promontory, blue-and-white tourist villas and monuments celebrating former Tunisian President Habib Bourguiba, born in Monastir, give way to gray warehouses. Made in Tunisia clothes for export are cut, sewn, and packed inside these hangars and garages, many undeclared, by a labor force mostly of women, who are paid an average of 600 dinars, as confirmed by the latest social agreement signed with the main trade union, the Tunisian General Labour Union (UGTT), obtained by inkyfada.

    The triangle of death”

    The clothes are then shipped to the European Union, the primary export market. While most Tunisians can afford to buy second-hand clothes on the so-called “fripes” markets, 82% of Tunisian textile production leaves the country, according to the latest figures published in a report by the NGO Avocats Sans Frontières. Tunisia, like Morocco and Egypt, are attractive destinations for textile manufacturing multinationals due to their geographical proximity to the European market.

    Here, the tourist beaches quickly become a long, muddy marine expanse. The road that leads to the working-class neighborhoods south of Monastir, known as a hub of the textile industry - Khniss, Ksibet, Lamta, Ksar Hellal, Moknine - is paradoxically called Boulevard de l’Environnement (Environment Boulevard).

    This street name can be found in every major city in the country as a symbol of the ’authoritarian environmentalism of Ben Ali’s 1990s Tunisia’ - as researcher Jamie Furniss called it - redeeming the image of dictatorship ’by appealing to strategic hot-button issues in the eyes of the “West.”’

    After rolling up his pants, he dips his feet into the dirty water and climbs into a small wooden boat. ’Nowadays, to find even a tiny fish, we must move away from the coast.’

    ’Sadok is one of the last small fishermen who still dares to enter these waters,’ confirms Yassine, a history professor in the city’s public school, watching him from the main road to cope with the strong smell.

    Passers-by of Boulevard de l’Environnement agree: the Ksibet El-Mediouni Bay died ‘because of an abnormal concentration of textile companies in a few kilometers’, they say, polluting the seawater where the population used to bathe in summer.

    The region is home to five factory clusters. ’Officially, there are 45 in all, but there are illegal ones that we cannot count or even notice. They are often garages or warehouses without signs,’ confirms Mounir Hassine, head of Monastir’s Tunisian Forum for Economic and Social Rights.

    This is how the relocation of textile industries works: the big brands found in French, Italian, Spanish, and German shops relocate to Tunisia to cut costs. ’Then some local companies outsource production to other smaller, often undeclared companies to reduce costs and be more competitive,’ explains Habib Hazemi, President of the General Federation of Textiles, Clothing, Footwear, and Leather in the offices of the trade union UGTT.

    According to Hassine from the Tunisian Forum for Economic and Social Rights (FTDES), ‘undeclared factories often dig wells to access groundwater and end up polluting the Bay by discharging wastewater directly into the sea’.

    The public office responsible for water treatment (Office National de l’Assainissement, ONAS) ’fails to treat all this wastewater,’ he adds, so State and private parties bounce responsibilities off each other’. ’The result is that nothing natural is left here,’ Yassine keeps repeating.

    The unheard call of civil society

    Fatma Ben Amor, 28, has learned the meaning of pollution by looking at it through her window and listening to the stories of her grandparents, born and raised in the small town of Ksibet El Mediouni. ’ They often tell me that people used to bathe and go fishing here. I never knew the ’living’ beach,’ says this local activist.

    After the revolution, her city became the center of a wave of protests in 2013 by the population against ’an ecological and health disaster,’ it was written on the protesters’ placards. Nevertheless, the protests yielded no results, and marine pollution has continued.

    Founded in 2014, the Association for the Protection of the Environment in Ksibet el Mediouni (APEK) monitors the level of marine pollution in the so-called ’triangle of death.’ Fatma tries to raise awareness in the local community: ’We began with a common reflection on resource management in the region and the idea of reclaiming our bay. Here, youth are used to the smells, the waste, the dirty sea.’

    Under one of the bridges on Boulevard de l’Environnement runs one of the few rivers where there is still water. That water, however, ‘gathers effluent from the area’s industries’, the activists complain. ’The water coming from Oued el-Melah, where all the factories unload, pollutes the sea,’ she explains by pointing to the oued.

    According to the latest report by Avocats Sans Frontières (ASF) and FTDES in August 2023, one of the leading causes of marine pollution in Monastir governorate would be the denim washing process, a practice used in the dyeing of jeans.

    The ASF research explains that the jeans sector is characterized by technical processes involving chemicals - such as acetic acid used for washing, several chemical detergents and bleaching products, or hydrogen peroxide - and massive water consumption in a country suffering from water stress.

    During the period of 2011-2022, Tunisia has ratified important international texts that will strengthen and enrich Tunisian national law in terms of pollution control, environmental security, and sustainable development. ’ Although the regulations governing environmental protection and the use of water resources are strict, the authorities in charge of controls and prosecutions are outdated and unable to deal with the infringements,’ the ASF report confirms.

    According to both civil society organizations, there are mainly two sources of pollution in Ksibet Bay: polluting industries discharging chemicals directly into the seawater and the Office de l’Assainissement (ONAS) , ’which should be responsible for treating household wastewater, but mainly manages wastewater from factories discharging, and then throw them into the sea,’ Fatma Ben Amor explains.

    ’Take, for example, the ONAS plant at Ouad Souk, in Ksibet Bay. Created in 1992, it has a treatment capacity of 1,680 cubic meters per day, with a population more or less adapted to this capacity. It receives more than 9,000 cubic meters daily on average,’ Mounir Hassine confirms.

    ONAS did not respond to our interview requests. The Tunisian Textile and Clothing Federation (FTTH), representing part of the sector’s employers, assures that ‘the large companies in the region have all the necessary certifications and now use a closed cycle that allows water to be reused.’ The FTTH adds that the sector is taking steps towards the energy transition and respect for the environment.

    UTICA Monastir, the other branch of the employers’ association, has also confirmed this information. While a system of certifications and environmental audits has been put in place to monitor the work of large companies, ‘the underground part of the production chain escapes the rules,’ admits one entrepreneur anonymously.

    This pair of jeans is water’

    ONAS finds itself treating more water than the treatment stations’ capacities because, within a few decades, the Monastir region has radically changed its economic and resource management model. A few kilometers from the towns on the coast, roads run through olive groves that recall the region’s agricultural past.

    But today, agriculture and fishing are also industrialized: the governorate of Monastir produced almost 20,000 tonnes of olive oil by 2020. With 14 aquaculture projects far from the coast, the region ranks first in fish production, with an estimated output of between 17,000 and 18,000 tonnes by 2022.

    A wave of drought in the 1990s intensified the rural exodus from inland Tunisia to the coast. ’This coastal explosion has been accompanied by a development model that looked to globalization rather than domestic needs,’ Mounir Hassine from FTDES explains. ’Our region has been at the heart of so-called vulnerable investments, which bring in cheap labor without considering environmental needs and rights.’

    This sudden increase in residents has put greater pressure on the region’s natural water resources, ‘which supply only 50% of our water needs,’ he adds. The remaining 50 percent comes from the increasingly empty northern Oued Nebhana and Oued Medjerda dams. However, much of the water resources are not used for household needs but for industrial purposes.

    According to the ASF report, export companies draw their water partly from the public drinking water network (SONEDE). But the primary source is wells that draw water directly from the water table: ’Although the water code regulates the use of wells, 70% of the water used by the textile industry comes from the region’s unauthorized groundwater’. ’Most wells are dug inside the factories,’ Mounir Hassine from FTDES confirms.

    Due to the current drought wave and mismanagement of resources, Tunisia is now in water poverty, with an average use of 450 cubic meters of water per citizen (the poverty line is 500), according to 2021 data. Moreover, the Regional Agricultural Commission figures show that the water level in Monastir’s aquifers falls between three and four meters yearly.

    Water mismanagement is not just a problem in the textile industry. This type of production, however, is highly water-hungry, especially when it comes to the denim washing process.

    Even if the big brands are at the top of the production chain that ends on the coast of Ksibet El Medeiouni, ‘ they will rarely be held accountable for the social and environmental damage they leave behind,’ admits an entrepreneur in the sector working in subcontracting. Tunisian companies all work for several brands at the same time, and they don’t carry the same name as the big brands, which outsource production.

    ‘Tracing the chain of responsibility is complicated, if not impossible,’ confirms Adel Tekaya, President of UTICA #Monastir.

    The EU wants to produce more green but continues to relocate South

    Once taken directly from the aquifer or from the public drinking water company, SONEDE, a part of the waters polluted by chemical processes, thus ends up in the sea without being filtered. According to scholars, textile dyeing is responsible for the presence of 72 toxic chemicals in water, 30 of which cannot be eliminated.

    According to the World Bank, between 17% and 20% of industrial water pollution worldwide is due to the dyeing and finishing processes used in the textile industry. A figure confirmed by the European Parliament states:

    “Textile production is estimated to be responsible for around 20% of global clean water pollution from dyeing and finishing products".

    The EU has set itself the target of achieving good environmental status in the marine environment by 2025 by applying the Marine Strategy Framework Directive. Still, several polluting sectors continue to relocate their production to the Southern countries, where ‘there are fewer controls and costs,’ explains the entrepreneur requesting anonymity for fear of consequences for criticizing a ’central sector’ in the country.

    But pollution knows no borders in the Mediterranean. 87% of the Mediterranean Sea remains contaminated by chemical pollutants, according to the first map published by the European Environment Agency (EEA), based on samples taken from 1,541 sites.

    The environmental damage of the textile industry - considered one of ‘the most polluting sectors on the planet’ - was also addressed at Cop27 in Sharm El-Sheikh, where a series of social and climate objectives concerning greater collaboration between the EU and the MENA region were listed.

    One of the main topics was the urgent harmonization of environmental standards in the framework of the installation of digital product passports’, a tool that will track the origin of all materials and components used in the manufacturing process.

    FTTH ensures that large companies on the Monastir coast have invested in a closed water re-use cycle to avoid pollution. ‘All companies must invest in a closed loop that allows water reuse,’ Mounir Hassine reiterates.

    But to invest in expensive and reconversion work requires a long-term vision, which not all companies have. After a period of ten years, companies can no longer benefit from the tax advantages guaranteed by Tunisian investment law. ‘Then they relocate elsewhere or reopen under another name,’ Mounir Hassine adds.
    Environmental and health damages of marine pollution

    Despite the damage, only female workers walking around in white or colored uniforms at the end of the working day prove that the working-class towns south of Monastir constitute the most important manufacturing hub of Made In Tunisia clothes production. The sector employs 170,000 workers in the country.

    Tunisia is the ninth-largest exporter of clothing from the EU, after Cambodia, according to a study by the Textile Technical Centre in 2022. More than 1,530 companies are officially located there, representing 31% of the national fabric. 82% of this production is exported mainly to France, Italy, Belgium, Germany, and Spain.

    Some women sit eating lunch not far from warehouses on which signs ending in -tex. Few dare to speak; one of them mentions health problems from exposure to chemicals. ’We have received complaints about health problems caused by the treatment and coloring of jeans,’ confirms FGTHCC-UGTT (Textile, Clothing, Footwear and Leather Federation) general secretary Habib Hzemi. Studies have also shown that textile workers – particularly in the denim industry – have a greater risk of skin and eye irritation, respiratory diseases, and cancer.

    Pollution, however, affects not only the textile workers but the entire community of Ksibet. ’We do not know what is in the seawater, and many of us prefer not to know. We have tried to get laboratory tests, but they are very expensive,’ explains Fatma Ben Amor of the APEK Association.

    According to an opinion poll by the Association for the Protection of the Environment of Ksibet Mediouni (APEK) in July 2016, the cancer rate is 4.3%. Among the highest rates worldwide,’ explains a study on cancer in Ksibet for the German Heinrich Böll Stiftung. Different carcinogenic diseases have been reported in the local community, but a cancer register has never been set up.

    Pollutants from the textile industry have impacted marine life too. Like all towns on the coast, Monastir is known for fishing bluefish, sea bream, cod, and other Mediterranean species. But artisanal fishing is increasingly complicated in front of the bay of Ksibet El Mediouni, and the sector has become entirely industrialized. Thus, the town’s small port is deserted.

    ’The port of Ksibet is emptying out, while the ports of Sayeda and Teboulba, beyond the bay, are still working. There are only a few small-scale fishermen left. We used to walk into the water to catch octopuses with our hands,’ one of the port laborers explains anonymously, walking on the Bay.

    ’Thirty years ago, this was a nursery for many Mediterranean species due to the shallow waters. Now, nothing is left,’ he adds. As confirmed by several fishermen in the area, the population has witnessed several fish deaths, most recently in 2020.

    ’We sucked up the algae, waste, and chemical waste a few years ago for maintenance work,’ explains the port laborer. ’Once we cleaned it up, the sea breathed again. For a few days, we saw fish again that we had not seen for years. Then the quicksand swallowed them up again.’

    https://inkyfada.com/en/2023/11/03/marine-pollution-jean-industry-tunisia

    #pollution #jeans #mode #Tunisie #mer #textile #industrie_textile #environnement #eau #pollution_marine

  • Tunis annonce 70 000 interceptions en mer, et reste accusée de renvois vers la Libye - InfoMigrants
    https://www.infomigrants.net/fr/post/53791/tunis-annonce-70-000-interceptions-en-mer-et-reste-accusee-de-renvois-

    Tunis annonce 70 000 interceptions en mer, et reste accusée de renvois vers la Libye
    Par Charlotte Boitiaux Publié le : 11/12/2023
    Près de 70 000 migrants ont été arrêtés depuis le début de l’année par les forces tunisiennes alors qu’ils tentaient de traverser la Méditerranée. C’est plus du double par rapport à 2022. Dans le même temps, de nombreux exilés accusent ces militaires tunisiens de les envoyer dans le désert, aux frontières algérienne et libyenne, juste après leur interception en mer.Selon les autorités tunisiennes, près de 70 000 migrants ont été interceptés cette année alors qu’ils tentaient de traverser la Méditerranée depuis la Tunisie vers l’Italie. C’est plus du double par rapport à la même période l’année précédente. Plus précisément, 69 963 personnes ont été arrêtées dans leur tentative de traversée, contre 31 297 en 2022, selon des graphiques transmis à l’AFP par le porte-parole de la Garde nationale, Houssem Eddine Jebabli.
    Sur ce total, 77,5% (54 224) étaient des ressortissants d’Afrique subsaharienne, et le reste des Tunisiens (15 739), contre 59% de migrants étrangers en 2022 (18 363) et 12 961 Tunisiens.
    En 2023, l’essentiel des migrants (82%) ont été interceptés sur le littoral proche de Sfax, dans le centre du pays, distante d’à peine 150 km de l’île italienne de Lampedusa – contre 66% pour 2022, selon la Garde nationale.
    Mais que deviennent ces migrants une fois interceptés ? La polémique est là. Depuis le mois de septembre, InfoMigrants a recueilli plusieurs témoignages d’exilés subsahariens qui racontent avoir été immédiatement expulsés vers les frontières algérienne et libyenne après leur interception en mer au large de Sfax.
    Nouvelles expulsions aux frontières du pays Des déclarations que le porte-parole de la Garde nationale, contacté par InfoMigrants, nie en bloc. « Ces propos sont inacceptables. Il n’y a aucune opération d’expulsion. Il ne se passe rien à la frontière libyenne », a déclaré Houssem Eddine Jebabli. « Nous proposons uniquement des retours volontaires pour les migrants qui le souhaitent ». Et de préciser que Tunis lutte contre les trafics d’êtres humains. « En Tunisie, il y a des passeurs, comme dans tous les pays, et nous essayons de les arrêter ».Ces expulsions rappellent celles observées durant l’été lorsque des milliers de migrants avaient été arrêtés à Sfax puis abandonnés dans les zones frontalières de Libye et d’Algérie en plein désert. Des images de migrants subsahariens, à bout de force sous un soleil de plomb, avaient été largement diffusées sur les réseaux sociaux.
    Selon plusieurs sources humanitaires contactées récemment par l’AFP, « au moins 5 500 migrants ont été expulsés vers la frontière avec la Libye et plus de 3 000 vers celle avec l’Algérie depuis juin ».
    Plus de 100 exilés sont morts dans le désert tuniso-libyen pendant l’été, selon les sources humanitaires.Ces sources, à l’instar d’InfoMigrants, ont confirmé que les « expulsions collectives vers la Libye et l’Algérie continuent ». Les départs des migrants ont connu une accélération après un discours fin février du président tunisien Kaïs Saïed, dénonçant l’arrivée « de hordes de migrants clandestins » en provenance d’Afrique subsaharienne et imputant leur présence à un « plan criminel » visant à « changer la composition démographique » de son pays. Ces propos ont déclenché une violente campagne anti-migrants incitant plusieurs pays africains (Côte d’Ivoire et Guinée notamment) à rapatrier des milliers d’entre eux. Beaucoup d’autres ont pris la mer au péril de leur vie pour tenter de fuir vers l’Europe.
    Des experts des Nations unies avaient même appelé le gouvernement tunisien à stopper ces refoulements illégaux d’exilés subsahariens, une pratique illégale au regard du droit international. Dans le même communiqué du mois de juillet 2023, l’ONU exhortait par ailleurs le gouvernement tunisien à prendre des mesures immédiates « pour mettre fin aux discours de haine raciste dans le pays ».

    #Covid-19#migrant#migration#tunisie#afriquesubsaharienne#expulsion#interception#routemiigratoire#italie#algerie#libye#frontiere#sante

  • Le rêve révolutionnaire vire au cauchemar dans une Tunisie redevenue une vaste prison

    Neuf mois se sont écoulés depuis l’arrestation des personnalités politiques accusées par le président K. Saïed de « complot contre la sûreté de l’État ». Ce dernier n’a pas hésité à désigner tous ceux qui cherchent à prouver leur innocence comme étant des complices dudit complot.

    Il s’agit, à l’évidence, de faire taire toutes les voix qui s’aventurent à dévoiler la vacuité des dossiers « instruits » contre les prisonniers et l’absence de la moindre preuve de visées attentatoires aux institutions de l’État ou de tentative de renversement du pouvoir.

    De fait, il s’agit de réduire à néant la liberté de pratiquer l’action politique que la Révolution du 17 décembre/14 janvier a rendu possible et ce après des décennies de despotisme.

    https://entreleslignesentrelesmots.wordpress.com/2023/12/11/le-reve-revolutionnaire-vire-au-cauchemar-dans

    #international #tunisie

  • Beyond borders, beyond boundaries. A Critical Analysis of EU Financial Support for Border Control in Tunisia and Libya

    In recent years, the European Union (EU) and its Member States have intensified their effort to prevent migrants and asylum seekers from reaching their borders. One strategy to reach this goal consists of funding programs for third countries’ coast guards and border police, as currently happens in Libya and Tunisia.

    These programs - funded by the #EUTF_for_Africa and the #NDICI-Global_Europe - allocate funding to train and equip authorities, including the delivery and maintenance of assets. NGOs, activists, and International Organizations have amassed substantial evidence implicating Libyan and Tunisian authorities in severe human rights violations.

    The Greens/EFA in the European Parliament commissioned a study carried out by Profundo, ARCI, EuroMed Rights and Action Aid, on how EU funding is linked to human rights violations in neighbouring countries, such as Tunisia and Libya.

    The study answers the following questions:

    - What is the state of EU funding for programs aimed at enhancing border control capacities in Libya and Tunisia?
    - What is the human rights impact of these initiatives?
    - What is the framework for human rights compliance?
    - How do the NDICI-Global Europe decision-making processes work?

    The report highlights that the shortcomings in human rights compliance within border control programs, coupled with the lack of proper transparency clearly contradicts EU and international law. Moreover, this results in the insufficient consideration of the risk of human rights violations when allocating funding for both ongoing and new programs.

    This is particularly concerning in the cases of Tunisia and Libya, where this report collects evidence that the ongoing strategies, regardless of achieving or not the questionable goals of reducing migration flows, have a very severe human rights impact on migrants, asylum seekers and refugees.

    Pour télécharger l’étude:
    https://www.greens-efa.eu/fr/article/study/beyond-borders-beyond-boundaries

    https://www.greens-efa.eu/fr/article/study/beyond-borders-beyond-boundaries

    #Libye #externalisation #asile #migrations #réfugiés #Tunisie #aide_financières #contrôles_frontaliers #frontières #rapport #trust_fund #profundo #Neighbourhood_Development_and_International_Cooperation_Instrument #droits_humains #gestion_des_frontières #EU #UE #Union_européenne #fonds_fiduciaire #IVCDCI #IVCDCI-EM #gardes-côtes #gardes-côtes_libyens #gardes-côtes_tunisiens #EUTFA #coût #violence #crimes_contre_l'humanité #impunité #Méditerranée #mer_Méditerranée #naufrages

  • Non aux campagnes de diffamation contre les acteurs de la société civile (+ autre texte)

    Les autorités tunisiennes se livrent à nouveau à des campagnes de diabolisation des structures indépendantes pour mieux préparer l’opinion à l’adoption d’une nouvelle loi sur les associations qui vise à restreindre toujours plus le champ d’action des organisations de la société civile et à attenter à leur autonomie, voire à leur existence. Proches des centres de décision, ceux qui s’en prennent ainsi en toute impunité à des personnalités connues, avant comme après le 14 janvier 2011, pour leur engagement en faveur d’une Tunisie libre et démocratique et d’une société plus solidaire et juste, telles que Kamel Jendoubi, président de la première instance supérieure indépendante des élections et président d’honneur d’EuroMed Droits, Rami Salhi, directeur du bureau Maghreb EuroMed Droits ainsi que des associations et organisations connues pour leur indépendance et leur lutte pour la démocratie au cours de ces dernières décennies.

    Les autorités tunisiennes se livrent à nouveau à des campagnes de diabolisation des structures indépendantes pour mieux préparer l’opinion à l’adoption d’une nouvelle loi sur les associations qui vise à restreindre toujours plus le champ d’action des organisations de la société civile et à attenter à leur autonomie, voire à leur existence. Proches des centres de décision, ceux qui s’en prennent ainsi en toute impunité à des personnalités connues, avant comme après le 14 janvier 2011, pour leur engagement en faveur d’une Tunisie libre et démocratique et d’une société plus solidaire et juste, telles que Kamel Jendoubi, président de la première instance supérieure indépendante des élections et président d’honneur d’EuroMed Droits, Rami Salhi, directeur du bureau Maghreb EuroMed Droits ainsi que des associations et organisations connues pour leur indépendance et leur lutte pour la démocratie au cours de ces dernières décennies.

    https://entreleslignesentrelesmots.wordpress.com/2023/11/30/non-aux-campagnes-de-diffamation-contre-les-acteurs-de-la-societe-civile-autre-texte/#

    #international #Tunisie

  • En Tunisie, un affrontement entre migrants et forces de l’ordre fait craindre une nouvelle vague répressive
    https://www.lemonde.fr/afrique/article/2023/11/27/en-tunisie-la-crainte-une-nouvelle-repression-apres-une-un-affrontement-entr

    En Tunisie, un affrontement entre migrants et forces de l’ordre fait craindre une nouvelle vague répressive
    Par Nissim Gasteli(El-Hamaziah (Tunisie), envoyé spécial)
    De l’affrontement qui a opposé, vendredi 24 novembre, la garde nationale tunisienne à un groupe de migrants subsahariens dans le hameau côtier d’El-Hamaziah, au centre-est de la Tunisie, il reste peu de traces visibles : quelques douilles de grenades lacrymogènes, un bout de sol calciné par l’incendie du véhicule des forces de l’ordre et une tache de sang dans la poussière. L’altercation a été aussi brève que violente, faisant craindre une nouvelle poussée de fièvre dans une région devenue, au cours de l’année 2023, l’un des principaux ports de départs des migrants vers l’Europe.
    Selon Hichem Ben Ayed, porte-parole du tribunal de Sfax, quatre agents ont été blessés ce matin-là. Ils étaient venus à El-Hamaziah avec un objectif : détruire des barques en métal utilisées par les exilés subsahariens pour tenter de rejoindre l’île italienne de Lampedusa, située à environ 150 km de là. Depuis le début de l’année, 95 897 personnes sont arrivées en Italie depuis la Tunisie, selon les données du Haut-Commissariat des Nations unies pour les réfugiés (HCR), dont une grande partie grâce à ces coques de tôle rouillée mesurant sept à neuf mètres, peu chères et produites en masse dans les environs d’El-Amra.
    Voyant les gardes nationaux cibler les embarcations, un groupe de migrants s’est mis à jeter des pierres sur les agents. Ces derniers ont riposté en tirant des grenades lacrymogènes. La situation s’est vite envenimée : la camionnette des forces de l’ordre a été encerclée, avant d’être renversée puis incendiée. Sur une vidéo, partagée sur les réseaux sociaux et authentifiée par Le Monde, un agent en uniforme vert apparaît gisant au sol face contre terre, le visage ensanglanté, semblant inconscient.
    L’un des assaillants aurait également profité du chaos pour dérober l’arme d’un des gardes. Un groupe de migrants a en effet été filmé avec ce qui semble être un fusil, brandi en signe de célébration. Interrogé à ce sujet, Hichem Ben Ayed n’a « ni affirmé, ni infirmé » l’information. Mais d’après un garde national patrouillant dans la zone dimanche, des migrants ont bien réussi à s’emparer d’une arme. « Seulement le canon », dont « ils ne peuvent rien faire », a précisé l’agent.Fusil ou pas, une atmosphère de chasse à l’homme règne dans la région d’El-Amra depuis vendredi. Les autorités ont déployé des agents des unités spéciales de la garde nationale (USGN) et de la brigade nationale d’intervention rapide (BNIR), vêtus de treillis militaires, visages masqués et armés de fusils d’assaut, ainsi qu’une armada de véhicules dont plusieurs blindés. Des colonnes qui vont et viennent, toutes sirènes hurlantes.
    « Nous aussi nous recherchons ces garçons et, si nous les trouvons, nous appellerons la police », assure Sani Fatye, 45 ans, originaire de Gambie, qui vit dans un campement précaire non loin d’El-Hamaziah. « Ce n’est pas normal ! Il y a des lois dans ce pays comme dans chaque pays et nous devons les respecter en tant qu’étranger. Nous n’allons pas faire la guerre avec le gouvernement ! », s’énerve le Gambien, inquiet de voir l’ensemble des migrants présents dans la zone subir les conséquences de l’attaque.
    Des agents des forces de sécurité sont déjà passés voir Paul-Edouard*, un Camerounais de 38 ans, pour s’assurer de sa pleine coopération. « Ils sont venus nous montrer le portrait de celui qu’ils recherchent et ils nous ont donné un numéro pour les joindre, explique-t-il. Ils nous ont bien fait comprendre qu’il fallait les aider si nous ne voulions pas d’ennui. » Au kilomètre 35, sur la route de Mahdia, les forces de l’ordre ont vidé un vaste campement de migrants et retourné toutes leurs affaires, à la recherche, semble-t-il, de l’arme.Père d’une fillette de 5 ans avec qui il voyage, Paul-Edouard vit avec sa femme et une trentaine de personnes dans une maison en chantier sans portes ni fenêtres. Comme eux, des milliers d’exilés se sont installés dans les environs d’El-Amra après avoir échappé aux violences anti-migrants au cours de l’été à Sfax ou amenés ici de force par les autorités. Des conditions de vie extrêmement précaires.
    L’exilé craint aussi une nouvelle campagne de déportation massive vers les frontières. En septembre, il avait été emmené par les autorités et abandonné dans une zone désertique à la frontière algérienne, sans eau ni nourriture. Son groupe avait dû marcher pendant neuf jours et parcourir des dizaines de kilomètres à pied entre montagnes et forêts, avant de trouver un transport clandestin et de revenir dans les environs de Sfax.
    Devant le poste de la garde nationale d’El-Amra, plusieurs bus sont stationnés, l’un d’eux se remplit petit à petit de migrants encadrés par des agents. « Ceux-là vont être emmenés à la frontière libyenne ou bien algérienne », confie un responsable de la Garde nationale. « Ils retournent par là où ils sont rentrés. » Les autorités tunisiennes, elles, nient catégoriquement toute expulsion depuis le début de ces pratiques, au mois de juillet.

    #Covid-19#migrant#migration#tunisie#migrationirreguliere#violence#expulsion#italie#algerie#frontiere#sante#politiquemigratoire

  • En Tunisie, dans l’intimité des femmes migrantes
    https://www.lemonde.fr/afrique/article/2023/11/02/en-tunisie-dans-l-intimite-des-femmes-migrantes_6197903_3212.html

    En Tunisie, dans l’intimité des femmes migrantes
    Par Nissim Gasteli
    Léna, Nathalie, Rebecca ou Marcelle se battent au quotidien pour s’ouvrir des perspectives d’avenir malgré les épreuves, la crise du Covid, l’inflation et les vagues de violences racistes. Entre désir de rester et mal du pays.
    L’huile commence à frémir. Léna attrape quatre belles daurades sur la table de la cuisine et les jette une à une dans la casserole. Le bruit du pétillement emplit toute la pièce. Assis en embuscade sur le pas de la porte qui donne sur la rue, un chat roux miaule sa déception de voir ses proies disparaître. Léna le chasse du pied et le petit félin retourne aussitôt à sa vie de gouttières, en cette chaude après-midi d’octobre. Cela fait deux mois que Léna Pouye, 47 ans, s’est installée avec sa fille Yasmine, 11 ans, dans un petit appartement situé dans la Cité Ettahrir, un quartier populaire de l’ouest de Tunis. Dans cette pièce divisée en deux par une cloison où elles vivent et dorment, tout rappelle son Sénégal natal : le maillot des Lions de la Teranga, l’équipe nationale de football, des boubous, des fleurs d’hibiscus séchées, et jusqu’au thieb qu’elle est en train de préparer, « le plat préféré des Sénégalais ! », s’exclame-t-elle avec fierté.
    Ces petits détails lui permettent de faire vivre le lien avec le pays, qu’elle a quitté il y a maintenant treize ans pour s’installer en Tunisie, et de transmettre à sa fille un peu de son héritage culturel. Ils entretiennent aussi la saudade. « Je pense tous les jours au Sénégal », avoue-t-elle, mélancolique. Avant de devenir le premier point de départ vers l’Europe pour les migrants, la Tunisie a longtemps été une terre d’accueil pour de nombreuses femmes originaires d’Afrique de l’Ouest, séduites par la perspective de salaires plus élevés que dans leur pays d’origine. Une immigration facilitée, aussi, par de multiples réseaux de traite humaine. Mais l’aggravation de la crise socio-économique, la montée des violences racistes, les crispations sur la question migratoire ont eu raison de cette attractivité économique et ont poussé nombre d’entre elles vers le départ. Celles qui sont restées y songent aussi. « Il ne faut pas refuser le destin mais quand même, j’aimerais partir ailleurs », dit Léna.
    Pourtant, la Sénégalaise a passé de longues années en Tunisie. Quand elle s’y est installée pour travailler comme cuisinière particulière, elle se souvient de conditions bien plus accueillantes. « Du temps de Ben Ali, ce n’était pas comme ça. J’étais à l’aise, les gens se respectaient, la vie était moins chère », se souvient-elle, un brin nostalgique de l’ancien régime. Elle a ensuite traversé la révolution de 2011, accouché de Yasmine deux ans après son arrivée. Après son divorce, suivi du retour de son ex-mari au Sénégal, Léna s’est retrouvée seule à élever son enfant. »Femme migrante célibataire en lutte contre les injonctions sociales, Léna fait face à maintes difficultés : scolariser Yasmine, subvenir à leurs besoins à toutes deux, naviguer dans les limbes de l’administration, faire face au regard et aux remarques de la société tunisienne, cumuler plusieurs emplois. Sa détermination, doublée d’un caractère bien trempé, lui permet de tout surmonter. « C’est un pays de “mahboul” [fou, en arabe tunisien]. Alors il faut que je sois encore plus mahboul », lance-t-elle en rigolant.
    Mais la pandémie de Covid est l’épreuve de trop. Avec le confinement, elle perd son emploi, se retrouve sans revenus et bientôt sans toit. « J’ai dormi avec ma fille dans la rue car le bailleur nous a mises dehors. Elle a pleuré à en être malade », évoque-t-elle, la voix chaude de douleur. Depuis, plus rien n’est pareil, Léna connaît l’instabilité de l’emploi et du logement, va d’appartement en appartement au rythme de l’augmentation croissante des loyers, enchaîne les périodes sans travailler en plus de devoir composer avec les aléas de l’économie locale.
    Déjà à l’époque, elle pense au retour. Mais, avec une enfant à sa charge, elle tente de rebondir et se tourne vers l’apprentissage, convaincue qu’un diplôme pourrait lui ouvrir les portes d’un emploi stable. Elle s’inscrit alors à une formation en cuisine et en pâtisserie organisée par l’association Ftartchi ? et destinée aux femmes migrantes. Le cursus vise à favoriser « l’intégration en milieu professionnel », explique Yosra Lachheb, 29 ans, pâtissière professionnelle primée et formatrice.
    Plusieurs anciennes étudiantes ont ainsi pu trouver un travail régulier à l’issue de la formation. Mais aujourd’hui, la grande majorité d’entre elles n’est plus en Tunisie. « La plupart des anciennes bénéficiaires sont aujourd’hui en Europe ou rentrées au pays », regrette Aida, la directrice de l’association, expliquant qu’elles ont été poussées au départ par la vague de racisme déclenchée, le 21 février, par la harangue du président Kaïs Saïed à l’encontre des « hordes de migrants clandestins ».Malgré tout, les formations continuent. Dans les locaux de l’association, située en banlieue nord de la capitale, une nouvelle cohorte s’agglutine autour du plan de travail. « On laisse revenir le beurre jusqu’à ce que le petit-lait se sépare du corps gras », répète assidûment Rebecca Dyali, 34 ans, originaire de Côte d’Ivoire. « C’est ce qu’on appelle la clarification du beurre », reprend Yosra Lachheb, sur un ton professoral. Dans cette grande cuisine en inox, la notion d’intégration a laissé la place aux envies d’ailleurs. « Moi je veux partir en Europe, explique Mme Dyali. Enfin, pas forcément en Europe, mais dans un autre pays. Dans tous les cas, il faut que je sache faire quelque chose et la pâtisserie est très consommée partout. »
    Après avoir travaillé près de trois ans en Tunisie, elle ne se voit plus rester. La faute à l’insécurité et aux agressions, aux difficultés d’accès à l’emploi et au logement, et à l’absence de perspectives d’avenir. Sa compatriote, Marcelle Nyabri, arrivée il y a quatre ans, exprime le même sentiment mais envisage quant à elle son retour. « Si je rentre en Côte d’Ivoire, cette formation va me permettre de travailler à mon propre compte, de mélanger notre pâtisserie traditionnelle à celle de la Tunisie. Cela fera du changement », espère-t-elle, enjouée à l’idée de tenir un jour sa propre boutique.
    Même Nathalie Diby, l’une des élèves modèles de la « promo » précédente, qui a pourtant trouvé un emploi de cuisinière, songe à l’après. « Avant d’avoir trouvé du travail, c’était très difficile. Aujourd’hui je m’y sens bien. J’ai envie de rester en Tunisie, si le salaire augmente, si j’évolue », dit-elle pleine d’espoir tout en restant réaliste : « La situation s’est calmée depuis février, mais qui sait comment ça va évoluer ? » « Un jour on finira bien tous par rentrer », tranche Rebecca.Nathalie, Rebecca, Marcelle sont des résistantes, la plupart de leurs amies et connaissances ont déjà quitté le pays. Quant à Léna, elle repousse sans cesse son retour de peur de chambouler sa fille. « Comment va-t-elle faire pour garder ses amis ? », s’inquiète-t-elle. Elle n’a pas répondu à l’appel des avions de rapatriement que le Sénégal a envoyés en février après les vagues de violences. Un départ qu’elle a jugé trop rapide après tant d’années. Pas plus qu’à la tentation de prendre la mer, qui n’a jamais été une option pour elle. Alors elle attend le bon moment. « Quand je rentrerai au Sénégal, je ne ramènerai pas la richesse mais l’expérience de vie, confie-t-elle. Je serai une femme forte, car j’ai été à l’armée ici, en Tunisie. »

    #Covid-19#migrant#migration#senegal#tunisie#femme#migrationirreguliere#economie#insertion#parcoursmigratoire#sante#santementale

  • EU-Tunisia like UK-Rwanda? Not quite. But would the New Pact asylum reforms change that?

    EU law only allows sending asylum applicants to third countries if they can be considered safe and have a reasonable connection with the applicant. However, if the New Pact reforms go ahead, the safe third-country concept may be used to further shift protection responsibilities outside the EU. While the EU would be unable to conclude a UK-Rwanda-style agreement, the pressure for reforms, as well as the recent Memorandum of Understanding with Tunisia, signal the threat of diminished human rights protections and safeguards.

    Following an agreement on the last piece of the reform package, the so-called crisis instrument, the European Council and European Parliament are currently negotiating all proposals included in the New Pact on Migration and Asylum. While the focus on preventing irregular arrivals and increasing returns has long been a priority for the European Council and has been widely debated in EU migration policy, the possible impact of Pact reforms on the Safe Third-Country (STC) has gone largely unnoticed, partly due to its technical nature.

    However, the use of this concept could be expanded, in line with the original Pact proposal by the Commission, unless the European Parliament’s approach prevails over the European Council’s position. Should the Parliament fail to stay the course, the reforms could make it easier to transfer asylum applicants back to countries of transit, where they could be exposed to human rights violations. Recent developments point in this direction.

    Faced with an increase in irregular arrivals, ahead of the February 2023 meeting of the European Council, eight member states called on the European Commission and European Council to “explore new solutions and innovative ways of tackling irregular migration” based on “safe third-country arrangements”. Reflecting an established trend of outsourcing to third countries migration management responsibilities, in July 2023, the Commission signed a Memorandum of Understanding (MoU) with Tunisia on border controls and returns in exchange, among others, for economic and trade benefits. This MoU, singled out as a blueprint for similar arrangements by von der Leyen in her 2023 State of the Union address, was concluded at the urging of the Italian government, as it wants to use the concept of STC to return those arriving by sea via Tunisia.

    However, some member states aim to go further, with some commentators arguing that their goal is cooperation with third countries based on the 2022 UK-Rwanda deal. In this controversial deal, Rwanda committed to readmit asylum seekers arriving irregularly in the UK in exchange for development aid, regardless of whether asylum seekers had ever lived in or even entered the country before. Explicit bilateral declarations of support for this policy came from Austria and Italy. Denmark even negotiated a similar deal with Rwanda in September 2022. However, the Danish plans were put on hold, with the government expecting an EU-wide approach.

    These developments raise several crucial questions regarding EU migration and asylum policies. Under EU law, are UK-Rwanda-like deals lawful? What difference, if any, could the Pact reforms bring in this respect? How should the MoU with Tunisia be seen in this context? And will the concept of STC be used to shift responsibility to third countries in the future, and with what potential consequences for human rights protections?

    Externalisation: A U-turn on the concept of safe third-country

    The concept of STC emerged at the end of the 1980s to ensure a fair burden sharing of responsibility for asylum applicants among members of the international community. Under its original conception, the states most impacted by refugee flows could send asylum applicants to another state on the condition that the receiving state could offer them adequate protection in line with international standards.

    In recent years, however, restrictive immigration policies aimed at deterring irregular arrivals have proliferated, including outsourcing responsibilities to third countries. These policies, commonly referred to as ‘externalisation’, seek to transfer migration management and international protection responsibilities to countries already impacted by refugee flows, mostly countries of transit, in a spirit of burden-shifting rather than burden-sharing. These also come with diminished safeguards.

    Notable examples from outside the EU include the controversial policy by Australia of setting up extraterritorial asylum processing in Papua New Guinea in 2001. In the European context, the idea of setting up extraterritorial processing centres was first suggested by the UK in 2003 and then by Germany in 2005. This idea regained attention in the aftermath of the so-called 2015 refugee crisis, with several heads of EU states calling for asylum external processing. However, legal hurdles and the lack of willing neighbouring countries prevented it from becoming an EU mainstream migration control mechanism. The use of the STC concept to declare an application for international protection inadmissible without an examination of its merits prevailed instead, with the purpose of transferring the person who filed it to a third-country which is considered safe. Under current EU rules, the safety of the country is assessed on the basis of protection from persecution, serious harm, and respect for the principle of non-refoulement. However, this concept can only be applied individually, when there is a sufficient connection between the asylum seeker and the third- country, defined under national law, which makes it reasonable to return to that country.

    The much-debated 2016 EU-Türkiye Statement is considered the blueprint of this approach. Under the statement, Türkiye agreed to readmit all asylum seekers who crossed into Greece from Türkiye. In line with EU law, asylum applicants can only be returned after considering the time of stay there, access to work or residence, existence of social or cultural relations, and knowledge of the language, among others.

    Unlike the EU-Türkiye Statement, the UK-Rwanda agreement does not foresee the need for any such connection. Under the deal, the UK would, in principle, be able to send to Rwanda Syrians, Albanians and Afghans without them having ever set foot there. However, as of October 2023, the deal remains on hold, as the Court of Appeal found that it overlooks serious deficiencies in the Rwandan asylum system, rendering it unsafe.

    The expansion of safe third-country under the New Pact on Migration and Asylum

    Considering the above, Denmark or other member states could not transfer asylum seekers to a third-country, regardless of their circumstances. As the European Commission and experts argued, this would only be possible if a reasonable connection with the applicant could be established.

    Things may nevertheless change if the Pact negotiations were to proceed in accordance with the compromise reached by member states in June 2023. The European Council’s compromise text keeps the reasonable connection requirement while also leaving to member states the exact definition of STC under national law, as in the current rules. However, two possible changes could broaden its applicability to facilitate returns.

    First, albeit non-legally binding, the recitals introducing the European Council’s agreed position explicitly mention that a mere ‘stay’ in a STC could be regarded as sufficient for the reasonable connection requirement to be met. If the changes were to pass in this form, it is not unforeseeable that some member states will push to return asylum seekers to countries of transit, even if they only have a tenuous link with them, although case-law of the EU Court of Justice points against this interpretation.

    Second, the position agreed by the European Council in June would allow member states to presume the safety of a third country when the EU and the said third-country have decided that migrants readmitted there will be protected in line with international standards. However, the mere existence of an agreement does not prove its safety in practice. For example, the recently agreed MoU with Tunisia was called into question for its human rights implications and overlooking abuses against migrants, arguably rendering it unsafe.

    Despite Italian wishes to the contrary, Tunisia has so far only expressly agreed to readmit its own nationals. However, considering the expectations of EU states, the European Council’s position, and an uncertain future, the possibility of more comprehensive arrangements with other countries, such as Egypt, cannot be ruled out. While UK-Rwanda-style deals are and will remain a no-go for member states, an expanded STC concept could enable the EU to pursue its priority of implementing returns to countries of transit, a notable shift compared to current practices. The push for cooperation with Tunisia shows that this would come at the expense of human rights.

    The negotiations with the European Parliament offer the opportunity to avoid this expansion and maintain stronger safeguards. However, considering the wider systemic weaknesses of the envisaged reforms – especially the loose solidarity obligations within member states – the EU will likely continue its burden-shifting efforts in the future regardless, whether through the STC concept or other types of arrangements with third countries.

    https://www.epc.eu/en/Publications/EU-Tunisia-like-UK-Rwanda-Not-quite-But-would-the-New-Pact-asylum-re~55422c
    #Pacte_européen_sur_la_migration_et_l’asile #migrations #asile #réfugiés #externalisation #new_pact #nouveau_pacte #EU #UE #Union_européenne #pays-tiers_sûrs #procédure_d'asile #droits_humains #Tunisie #Rwanda #pays_de_transit

    –—

    ajouté à la métaliste sur le #Pacte_européen_sur_la_migration_et_l’asile:
    https://seenthis.net/messages/1019088

  • Fewer boat crossings, visit to Frontex : EU and Tunisia implement migration pact

    Despite an alleged repayment of funds for migration defence, Tunisia is cooperating with the EU. Fewer refugees are also arriving across the Mediterranean – a decrease by a factor of seven.

    In June, the EU Commission signed an agreement on joint migration control with Tunisia. According to the agreement, the government in Tunis will receive €105 million to monitor its borders and “combat people smuggling”. Another €150 million should flow from the Neighbourhood, Development and International Cooperation Instrument (NDICI) in the coming years for the purposes of border management and countering the “smuggling” of migrants.

    Tunisia received a first transfer under the agreement of €67 million in September. The money was to finance a coast guard vessel, spare parts and marine fuel for other vessels as well as vehicles for the Tunisian coast guard and navy, and training to operate the equipment. Around €25 million of this tranche was earmarked for “voluntary return” programmes, which are implemented by the United Nations Refugee Agency and the International Organisation for Migration.

    However, a few weeks after the transfer from Brussels, the government in Tunis allegedly repaid almost the entire sum. Tunisia “does not accept anything resembling favours or alms”, President Kais Saied is quoted as saying. Earlier, the government had also cancelled a working visit by the Commission to implement the agreement.

    Successes at the working level

    Despite the supposed U-turn, cooperation on migration prevention between the EU and Tunisia has got off the ground and is even showing initial successes at the working level. Under the agreement, the EU has supplied spare parts for the Tunisian coast guard, for example, which will keep “six ships operational”. This is what Commission President Ursula von der Leyen wrote last week to MEPs who had asked about the implementation of the deal. Another six coast guard vessels are to be repaired by the end of the year.

    In an undated letter to the EU member states, von der Leyen specifies the equipment aid. According to the letter, IT equipment for operations rooms, mobile radar systems and thermal imaging cameras, navigation radars and sonars have been given to Tunisia so far. An “additional capacity building” is to take place within the framework of existing “border management programmes” implemented by Italy and the Netherlands, among others. One of these is the EU4BorderSecurity programme, which among other things provides skills in sea rescue and has been extended for Tunisia until April 2025.

    The Tunisian Garde Nationale Maritime, which is part of the Ministry of the Interior, and the Maritime Rescue Coordination Centre benefit from these measures. This MRCC has already received an EU-funded vessel tracking system and is to be connected to the “Seahorse Mediterranean” network. Through this, the EU states exchange information about incidents off their coasts. This year Tunisia has also sent members of its coast guards to Italy as liaison officers – apparently a first step towards the EU’s goal of “linking” MRCC’s in Libya and Tunisia with their “counterparts” in Italy and Malta.

    Departures from Tunisia decrease by a factor of seven

    Since the signing of the migration agreement, the departures of boats with refugees from Tunisia have decreased by a factor of 7, according to information from Migazin in October. The reason for this is probably the increased frequency of patrols by the Tunisian coast guard. In August, 1,351 people were reportedly apprehended at sea. More and more often, the boats are also destroyed after being intercepted by Tunisian officials. The prices that refugees have to pay to smugglers are presumably also responsible for fewer crossings; these are said to have risen significantly in Tunisia.

    State repression, especially in the port city of Sfax, has also contributed to the decline in numbers, where the authorities have expelled thousands of people from sub-Saharan countries from the centre and driven them by bus to the Libyan and Algerian borders. There, officials force them to cross the border. These measures have also led to more refugees in Tunisia seeking EU-funded IOM programmes for “voluntary return” to their countries of origin.

    Now the EU wants to put pressure on Tunisia to introduce visa requirements for individual West African states. This is to affect, among others, Côte d’Ivoire, where most of the people arriving in the EU via Tunisia come from and almost all of whom arrive in Italy. Guinea and Tunisia come second and third among these nationalities.

    Reception from the Frontex Director

    In September, three months after the signing of the migration agreement, a delegation from Tunisia visited Frontex headquarters in Warsaw, with the participation of the Ministries of Interior, Foreign Affairs and Defence. The visit from Tunis was personally received by Frontex Director Hans Leijtens. EU officials then gave presentations on the capabilities and capacities of the border agency, including the training department or the deportation centre set up in 2021, which relies on good cooperation with destination states of deportation flights.

    Briefings were also held on the cross-border surveillance system EUROSUR and the “Situation Centre”, where all threads from surveillance with ships, aircraft, drones and satellites come together. The armed “permanent reserve” that Frontex has been building up since 2021 was also presented to the Tunisian ministries. These will also be deployed in third countries, but so far only in Europe in the Western Balkans.

    However, Tunisia still does not want to negotiate such a deployment of Frontex personnel to its territory, so a status agreement necessary for this is a long way off. The government in Tunis is also not currently seeking a working agreement to facilitate the exchange of information with Frontex. Finally, the Tunisian coast guard also turned down an offer to participate in an exercise of European coast guards in Greece.

    Model for migration defence with Egypt

    Aiding and abetting “smuggling” is an offence that the police are responsible for prosecuting in EU states. If these offences affect two or more EU states, Europol can coordinate the investigations. This, too, is now to get underway with Tunisia: In April, EU Commissioner Ylva Johansson had already visited Tunis and agreed on an “operational partnership to combat people smuggling” (ASOP), for which additional funds will be made available. Italy, Spain and Austria are responsible for implementing this police cooperation.

    Finally, Tunisia is also one of the countries being discussed in Brussels in the “Mechanism of Operational Coordination for the External Dimension of Migration” (MOCADEM). This working group was newly created by the EU states last year and serves to politically bundle measures towards third countries of particular interest. In one of the most recent meetings, the migration agreement was also a topic. Following Tunisia’s example, the EU could also conclude such a deal with Egypt. The EU heads of government are now to take a decision on this.

    https://digit.site36.net/2023/11/01/fewer-boat-crossings-visit-to-frontex-eu-and-tunisia-implement-migrati

    #Europe #Union_européenne #EU #externalisation #asile #migrations #réfugiés #accord #gestion_des_frontières #aide_financière #protocole_d'accord #politique_migratoire #externalisation #Memorandum_of_Understanding (#MoU) #Tunisie #coopération #Frontex #aide_financière #Neighbourhood_Development_and_International_Cooperation_Instrument (#NDICI) #gardes-côtes_tunisiens #militarisation_des_frontières #retours_volontaires #IOM #OIM #UNHCR #EU4BorderSecurity_programme #Seahorse_Mediterranean #officiers_de_liaison #arrivées #départs #chiffres #statistiques #prix #Frontex #operational_partnership_to_combat_people_smuggling (#ASOP) #Mechanism_of_Operational_Coordination_for_the_External_Dimension_of_Migration (#MOCADEM)

    –—
    ajouté à la métaliste sur le Mémorandum of Understanding entre l’UE et la Tunisie :
    https://seenthis.net/messages/1020591

  • EU to step up support for human rights abuses in North Africa

    In a letter (https://www.statewatch.org/media/4088/eu-com-migration-letter-eur-council-10-23.pdf) to the European Council trumpeting the EU’s efforts to control migration, European Commission president Ursula von der Leyen highlighted the provision of vessels and support to coast guards in Libya and Tunisia, where refugee and migrant rights are routinely violated.

    The letter (pdf) states:

    “…we need to build up the capacity of our partners to conduct effective border surveillance and search and rescue operations. We are providing support to many key partners with equipment and training to help prevent unauthorised border crossings. All five vessels promised to Libya have been delivered and we see the impact of increased patrols. Under the Memorandum of Understanding with Tunisia, we have delivered spare parts for Tunisian coast guards that are keeping 6 boats operational, and others will be repaired by the end of the year. More is expected to be delivered to countries in North Africa in the coming months.”

    What it does not mention is that vessels delivered to the so-called Libyan coast guard are used to conduct “pullbacks” of refugees to brutal detention conditions and human rights violations.

    Meanwhile in Tunisia, the coast guard has been conducting pullbacks of people who have subsequently been dumped in remote regions near the Tunisian-Algerian border.

    According to testimony provided to Human Rights Watch (HRW)¸ a group of people who were intercepted at sea and brought back to shore were then detained by the National Guard, who:

    “…loaded the group onto buses and drove them for 6 hours to somewhere near the city of Le Kef, about 40 kilometers from the Algerian border. There, officers divided them into groups of about 10, loaded them onto pickup trucks, and drove toward a mountainous area. The four interviewees, who were on the same truck, said that another truck with armed agents escorted their truck.

    The officers dropped their group in the mountains near the Tunisia-Algeria border, they said. The Guinean boy [interviewed by HRW) said that one officer had threatened, “If you return again [to Tunisia], we will kill you.” One of the Senegalese children [interviewed by HRW] said an officer had pointed his gun at the group.”

    Von der Leyen does not mention the fact that the Tunisian authorities refused an initial disbursement of €67 million offered by the Commission as part of its more than €1 billion package for Tunisia, which the country’s president has called “small” and said it “lacks respect.” (https://apnews.com/article/tunisia-europe-migration-851cf35271d2c52aea067287066ef247) The EU’s ambassador to Tunisia has said that the refusal “speaks to Tunisia’s impatience and desire to speed up implementation” of the deal.

    [voir: https://seenthis.net/messages/1020596]

    The letter also emphasises the need to “establish a strategic and mutually beneficial partnership with Egypt,” as well as providing more support to Türkiye, Jordan and Lebanon. The letter hints at the reason why – Israel’s bombing of the Gaza strip and a potential exodus of refugees – but does not mention the issue directly, merely saying that “the pressures on partners in our immediate vicinity risk being exacerbated”.

    It appears that the consequences rather than the causes of any movements of Palestinian refugees are the main concern. Conclusions on the Middle East agreed by the European Council last night demand “rapid, safe and unhindered humanitarian access and aid to reach those in need” in Gaza, but do not call for a ceasefire. The European Council instead “strongly emphasises Israel’s right to defend itself in line with international law and international humanitarian law.”

    More surveillance, new law

    Other plans mentioned in the letter include “increased aerial surveillance” for “combatting human smuggling and trafficking” by Operation IRINI, the EU’s military mission in the Mediterranean, and increased support for strengthening controls at points of departure in North African states as well as “points of entry by migrants at land borders.”

    The Commission also wants increased action against migrant smuggling, with a proposal to revise the 2002 Facilitation Directive “to ensure that criminal offences are harmonised, assets are frozen, and coordination strengthened,” so that “those who engage in illegal acts exploiting migrants pay a heavy price.”

    It appears the proposal will come at the same time as a migrant smuggling conference organised by the Commission on 28 November “to create a Global Alliance with a Call to Action, launching a process of regular international exchange on this constantly evolving crime.”

    Deportation cooperation

    Plans are in the works for more coordinated action on deportations, with the Commission proposing to:

    “…work in teams with Member States on targeted return actions, with a lead Member State or Agency for each action. We will develop a roadmap that could focus on (1) ensuring that return decisions are issued at the same time as a negative asylum decisions (2) systematically ensuring the mutual recognition of return decisions and follow-up enforcement action; (3) carrying out joint identification actions including through a liaison officers’ network in countries of origin; (4) supporting policy dialogue on readmission with third countries and facilitating the issuance of travel documents, as well as acceptance of the EU laissez passer; and (5) organising assisted voluntary return and joint return operations with the support of Frontex.”

    Cooperation on legal migration, meanwhile, will be done by member states “on a voluntary basis,” with the letter noting that any offers made should be conditional on increased cooperation with EU deportation efforts: “local investment and opportunities for legal migration must go hand in hand with strengthened cooperation on readmission.”

    More funds

    For all this to happen, the letter calls on the European Council to make sure that “migration priorities - both on the internal and external dimension - are reflected in the mid-term review of the Multiannual Financial Framework,” the EU’s 2021-27 budget.

    Mid-term revision of the budget was discussed at the European Council meeting yesterday, though the conclusions on that point merely state that there was an “in-depth exchange of views,” with the European Council calling on the Council of the EU “to take work forward, with a view to reaching an overall agreement by the end of the year.”

    https://www.statewatch.org/news/2023/october/eu-to-step-up-support-for-human-rights-abuses-in-north-africa

    #migrations #asile #réfugiés #Afrique_du_Nord #externalisation #Ursula_von_der_Leyen #lettre #contrôles_frontaliers #Tunisie #Libye #bateaux #aide #gardes-côtes_libyens #surveillance_frontalière #surveillance_frontalière_effective #frontières #Méditerranée #mer_Méditerranée #Memorandum_of_Understanding #MoU #pull-backs #Egypte #Turquie #Jourdanie #Liban #réfugiés_palestiniens #Palestine #7_octobre_2023 #Operation_IRINI #IRINI #surveillance_aérienne #passeurs #directive_facilitation #renvois #déportation #officiers_de_liaison #réadmissions #laissez-passer #Frontex

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    • *Crise migratoire : le bilan mitigé des accords passés par l’Union européenne pour limiter les entrées sur son sol*

      Réunis en conseil jeudi et vendredi, les Vingt-Sept devaient faire le point sur la sécurisation des frontières extérieures de l’UE. Mardi, la présidente de la Commission, Ursula von der Leyen, a proposé de conclure de nouveaux partenariats « sur mesure » avec le #Sénégal, la #Mauritanie et l’Egypte.

      Malgré la guerre entre Israël et le Hamas, qui s’est imposée à leur ordre du jour, le sujet de la migration demeure au menu des Vingt-Sept, qui se réunissent en Conseil européen jeudi 26 et vendredi 27 octobre à Bruxelles. Les chefs d’Etat et de gouvernement doivent faire un point sur la dimension externe de cette migration et la sécurisation des frontières extérieures de l’Union européenne (UE). Depuis janvier, le nombre d’arrivées irrégulières, selon l’agence Frontex, a atteint 270 000, en progression de 17 % par rapport à 2022. Sur certaines routes, la croissance est bien plus importante, notamment entre la Tunisie et l’Italie, avec une augmentation de 83 % des arrivées sur les neuf premiers mois de 2023.

      Si le #pacte_asile_et_migration, un ensemble de réglementations censé améliorer la gestion intra européenne de la migration, est en passe d’être adopté, le contrôle des frontières externes de l’Europe est au cœur des discussions politiques. A moins de huit mois des élections européennes, « les questions de migration seront décisives », prévient Manfred Weber, le patron du groupe conservateur PPE au Parlement européen.

      Nouveaux « #partenariats sur mesure »

      Mardi, dans une lettre aux dirigeants européens, Ursula von der Leyen, la présidente de la Commission, a rappelé sa volonté de « combattre la migration irrégulière à la racine et travailler mieux avec des #pays_partenaires », c’est-à-dire ceux où les migrants s’embarquent ou prennent la route pour l’UE, en établissant avec ces pays des « #partenariats_stratégiques_mutuellement_bénéficiaires ». Elle propose de conclure avec le Sénégal, la Mauritanie et l’Egypte de nouveaux « #partenariats_sur_mesure » sur le modèle de celui qui a été passé avec la Tunisie. Sans oublier la Jordanie et le Liban, fortement déstabilisés par le conflit en cours entre Israël et Gaza.

      L’UE souhaite que ces pays bloquent l’arrivée de migrants vers ses côtes et réadmettent leurs citoyens en situation irrégulière sur le Vieux Continent contre des investissements pour renforcer leurs infrastructures et développer leur économie. « L’idée n’est pas nécessairement mauvaise, glisse un diplomate européen, mais il faut voir comment c’est mené et négocié. Le partenariat avec la Tunisie a été bâclé et cela a été fiasco. »

      Depuis vingt ans, l’Europe n’a eu de cesse d’intégrer cette dimension migratoire dans ses accords avec les pays tiers et cette préoccupation s’est accentuée en 2015 avec l’arrivée massive de réfugiés syriens. Les moyens consacrés à cet aspect migratoire ont augmenté de façon exponentielle. Au moins 8 milliards d’euros sont programmés pour la période 2021-2027, soit environ 10 % des fonds de la coopération, pour des politiques de sécurisation et d’équipements des gardes-côtes. Ces moyens manquent au développement des pays aidés, critique l’ONG Oxfam. Et la Commission a demandé une rallonge de 15 milliards d’euros aux Vingt-Sept.

      Mettre l’accent sur les retours

      Tant de moyens, pour quels résultats ? Il est impossible de chiffrer le nombre d’entrées évitées par les accords passés, exception faite de l’arrangement avec la Turquie. Après la signature le 18 mars 2016, par les Vingt-Sept et la Commission, de la déclaration UE-Turquie, les arrivées de Syriens ont chuté de 98 % dès 2017, mais cela n’a pas fonctionné pour les retours, la Turquie ayant refusé de réadmettre la majorité des Syriens refoulés d’Europe. Cet engagement a coûté 6 milliards d’euros, financés à la fois par les Etats et l’UE.

      « Pour les autres accords, le bilan est modeste, indique Florian Trauner, spécialiste des migrations à la Vrije Universiteit Brussel (Belgique). Nous avons étudié l’ensemble des accords passés par l’UE avec les pays tiers sur la période 2008-2018 pour mesurer leurs effets sur les retours et réadmissions. Si les pays des Balkans, plus proches de l’Europe, ont joué le jeu, avec les pays africains, cela ne fonctionne pas. »

      Depuis le début de l’année, la Commission assure malgré tout mettre l’accent sur les retours. Selon Ylva Johansson, la commissaire chargée de la politique migratoire, sur près de 300 000 obligations de quitter le territoire européen, environ 65 000 ont été exécutées, en progression de 22 % en 2023. Ces chiffres modestes « sont liés à des questions de procédures internes en Europe, mais également à nos relations avec les Etats tiers. Nous avons fait beaucoup de pédagogie avec ces Etats en mettant en balance l’accès aux visas européens et cela commence à porter ses fruits. »

      « Généralement, explique Florian Trauner, les Etats tiers acceptent les premiers temps les retours, puis la pression de l’opinion publique locale se retourne contre eux et les taux de réadmissions baissent. Les accords qui conditionnent l’aide au développement à des réadmissions créent davantage de problèmes qu’ils n’en résolvent. La diplomatie des petits pas, plus discrète, est bien plus efficace. »

      L’alternative, juge le chercheur, serait une meilleure gestion par les Européens des migrations, en ménageant des voies légales identifiées pour le travail, par exemple. Dans ce cas, affirme-t-il, les pays concernés accepteraient de reprendre plus simplement leurs citoyens. « Mais en Europe, on ne veut pas entendre cela », observe M. Trauner.
      Statut juridique obscur

      Le développement de ces accords donnant-donnant pose un autre problème à l’UE : leur statut juridique. « Quel que soit leur nom – partenariat, déclaration…–, ce ne sont pas des accords internationaux en bonne et due forme, négociés de manière transparente avec consultation de la société civile, sous le contrôle du Parlement européen puis des tribunaux, rappelle Eleonora Frasca, juriste à l’Université catholique de Louvain (Belgique). Ce sont des objets juridiques plus obscurs. »

      En outre, les arrangements avec la Turquie ou la Libye ont conduit des migrants à des situations dramatiques. Qu’il s’agisse des camps aux conditions déplorables des îles grecques où étaient parqués des milliers de Syriens refoulés d’Europe mais non repris en Turquie, ou des refoulements en mer, souvent avec des moyens européens, au large de la Grèce et de la Libye, ou enfin du sort des migrants renvoyés en Libye où de multiples abus et de crimes ont été documentés.

      Concernant la Tunisie, « l’Union européenne a signé l’accord sans inclure de clause de respect de l’Etat de droit ou des droits de l’homme au moment même où cette dernière chassait des migrants subsahariens vers les frontières libyenne et algérienne, relève Sara Prestianni, de l’ONG EuroMed Droit. Du coup, aucune condamnation n’a été formulée par l’UE contre ces abus. » L’Europe a été réduite au silence.

      Sous la pression d’Ursula von der Leyen, de Giorgia Melloni, la présidente du conseil italien, et de Mark Rutte, le premier ministre néerlandais, ce partenariat global doté d’un milliard d’euros « a été négocié au forceps et sans consultation », juge une source européenne. La conséquence a été une condamnation en Europe et une incompréhension de la part des Tunisiens, qui ont décidé de renvoyer 60 millions d’euros versés en septembre, estimant que c’était loin du milliard annoncé. « Aujourd’hui, le dialogue avec la Tunisie est exécrable, déplore un diplomate. La méthode n’a pas été la bonne », déplore la même source.
      Exposition à un chantage aux migrants

      « L’Union européenne a déjà été confrontée à ce risque réputationnel et semble disposée à l’accepter dans une certaine mesure, nuance Helena Hahn, de l’European Policy Center. Il est important qu’elle s’engage avec les pays tiers sur cette question des migrations. Toutefois, elle doit veiller à ce que ses objectifs ne l’emportent pas sur ses intérêts dans d’autres domaines, tels que la politique commerciale ou le développement. »

      Dernier risque pour l’UE : en multipliant ces accords avec des régimes autoritaires, elle s’expose à un chantage aux migrants. Depuis 2020, elle en a déjà été l’objet de la part de la Turquie et du Maroc, de loin le premier bénéficiaire d’aides financières au titre du contrôle des migrations. « Ce n’est pas juste le beau temps qui a exposé Lampedusa à l’arrivée de 12 000 migrants en quelques jours en juin, juge Mme Prestianni. Les autorités tunisiennes étaient derrière. La solution est de rester fermes sur nos valeurs. Et dans notre négociation avec la Tunisie, nous ne l’avons pas été. »

      https://www.lemonde.fr/international/article/2023/10/26/crise-migratoire-le-bilan-mitige-des-accords-passes-par-l-union-europeenne-p

    • EU planning new anti-migration deals with Egypt and Tunisia, unrepentant in support for Libya

      The European Commission wants to agree “new anti-smuggling operational partnerships” with Tunisia and Egypt before the end of the year, despite longstanding reports of abuse against migrants and refugees in Egypt and recent racist violence endorsed by the Tunisian state. Material and financial support is already being stepped up to the two North African countries, along with support for Libya.

      The plan for new “partnerships” is referred to in a newly-revealed annex (pdf) of a letter from European Commission president, Ursula von der Leyen, that was sent to the European Council prior to its meeting in October and published by Statewatch.

      In April, the Commission announced “willingness” from the EU and Tunisia “to establish a stronger operational partnership on anti-smuggling,” which would cover stronger border controls, more police and judicial cooperation, increased cooperation with EU agencies, and anti-migration advertising campaigns.

      The annex includes little further detail on the issue, but says that the agreements with Tunisia and Egypt should build on the anti-smuggling partnerships “in place with Morocco, Niger and the Western Balkans, with the support of Europol and Eurojust,” and that they should include “joint operational teams with prosecutors and law enforcement authorities of Member States and partners.”

      Abuse and impunity

      Last year, Human Rights Watch investigations found that “Egyptian authorities have failed to protect vulnerable refugees and asylum seekers from pervasive sexual violence, including by failing to investigate rape and sexual assault,” and that the police had subjected Sudanese refugee activists to “forced physical labor [sic] and beatings.” Eritrean asylum-seekers have also been detained and deported by the Egyptian authorities.

      The EU’s own report on human rights in Egypt in 2022 (pdf) says the authorities continue to impose “constraints” on “freedom of expression, peaceful assembly and media freedom,” while “concerns remained about broad application of the Terrorism Law against peaceful critics and individuals, and extensive and indiscriminate use of pre-trial detention.”

      Amr Magdi, Human Rights Watch’s Senior Researcher on the Middle East and North Africa, has said more bluntly that “there can be no light at the end of the tunnel without addressing rampant security force abuses and lawlessness.” The Cairo Institute for Human Rights said in August that the country’s “security apparatus continues to surveil and repress Egyptians with impunity. There is little to no access to participatory democracy.”

      The situation in Tunisia for migrants and refugees has worsened substantially since the beginning of the year, when president Kais Said declared a crackdown against sub-Saharan Africans in speeches that appeared to draw heavily from the far-right great replacement theory.

      It is unclear whether the EU will attempt to address this violence, abuse and discrimination as it seeks to strengthen the powers of the countries’ security authorities. The annex to von der Leyen’s letter indicates that cooperation with Tunisia is already underway, even if an anti-smuggling deal has not been finalised:

      “Three mentorship pairs on migrant smuggling TU [Tunisia] with Member States (AT, ES, IT [Austria, Spain and Italy]) to start cooperation in the framework of Euromed Police, in the last quarter of 2023 (implemented by CEPOL [the European Police College] with Europol)”

      Anti-smuggling conference

      The annex to von der Leyen’s letter indicates that the Egyptian foreign minister, Sameh Shoukry, “confirmed interest in a comprehensive partnership on migration, including anti-smuggling and promoting legal pathways,” at a meeting with European Commissioner for Migration and Home Affairs, Ylva Johansson, at the UN General Assembly.

      This month the fourth EU-Egypt High Level Dialogue on Migration and the second Senior Officials Meeting on Security and Law Enforcement would be used to discuss the partnership, the annex notes – “including on the involvement of CEPOL, Europol and Frontex” – but it is unclear when exactly the Commission plans to sign the new agreements. An “International Conference on strengthening international cooperation on countering migrant smuggling” that will take place in Brussels on 28 November would provide an opportune moment to do so.

      The conference will be used to announce a proposal “to reinforce the EU legal framework on migrant smuggling, including elements related to: sanctions, governance, information flows and the role of JHA agencies,” said a Council document published by Statewatch in October.

      Other sources indicate that the proposal will include amendments to the EU’s Facilitation Directive and the Europol Regulation, with measures to boost the role of the European Migrant Smuggling Centre hosted at Europol; step up the exchange of information between member states, EU agencies and third countries; and step up Europol’s support to operations.

      Additional support

      The proposed “partnerships” with Egypt and Tunisia come on top of ongoing support provided by the EU to control migration.

      In July the EU signed a memorandum of understanding with Tunisia covering “macro-economic stability, economy and trade, green energy, people-to-people contacts and migration and mobility.”

      Despite the Tunisian government returning €67 million provided by the EU, the number of refugee boat departures from Tunisia has decreased significantly, following an increase in patrols at sea and the increased destruction of intercepted vessels.

      Violent coercion is also playing a role, as noted by Matthias Monroy:

      “State repression, especially in the port city of Sfax, has also contributed to the decline in numbers, where the authorities have expelled thousands of people from sub-Saharan countries from the centre and driven them by bus to the Libyan and Algerian borders. There, officials force them to cross the border. These measures have also led to more refugees in Tunisia seeking EU-funded IOM programmes for “voluntary return” to their countries of origin.”

      The annex to von der Leyen’s letter notes that the EU has provided “fuel to support anti-smuggling operations,” and that Tunisian officials were shown around Frontex’s headquarters in mid-September for a “familiarisation visit”.

      Egypt, meanwhile, is expected to receive the first of three new patrol boats from the EU in December, €87 million as part of the second phase of a border management project will be disbursed “in the coming months,” and Frontex will pursue a working arrangement with the Egyptian authorities, who visited the agency’s HQ in Warsaw in October.

      Ongoing support to Libya

      Meanwhile, the EU’s support for migration control by actors in Libya continues, despite a UN investigation earlier this year accusing that support of contributing to crimes against humanity in the country.

      The annex to von der Leyen’s letter notes with approval that five search and rescue vessels have been provided to the Libyan Coast Guard this year, and that by 21 September, “more than 10,900 individuals reported as rescued or intercepted by the Libyan authorities in more than 100 operations… Of those disembarked, the largest groups were from Bangladesh, Egypt and Syria”.

      The letter does not clarify what distinguishes “rescue” and “interception” in this context. The organisation Forensic Oceanography has previously described them as “conflicting imperatives” in an analysis of a disaster at sea in which some survivors were taken to Libya, and some to EU territory.

      In a letter (pdf) sent last week to the chairs of three European Parliament committees, three Commissioners – Margaritas Schinas, Ylva Johansson and Oliver Várhelyi – said the Commission remained “convinced that halting EU assistance in the country or disengagement would not improve the situation of those most in need.”

      While evidence that EU support provided to Libya has facilitated the commission of crimes against humanity is not enough to put that policy to a halt, it remains to be seen whether the Egyptian authorities’ violent repression, or state racism in Tunisia, will be deemed worthy of mention in public by Commission officials.

      The annex to von der Leyen’s letter also details EU action in a host of other areas, including the “pilot projects” launched in Bulgaria and Romania to step up border surveillance and speed up asylum proceedings and returns, support for the Moroccan authorities, and cooperation with Western Balkans states, amongst other things.

      https://www.statewatch.org/news/2023/november/eu-planning-new-anti-migration-deals-with-egypt-and-tunisia-unrepentant-

      en italien:
      Statewatch. Mentre continua il sostegno alla Libia, l’UE sta pianificando nuovi accordi anti-migrazione con Egitto e Tunisia
      https://www.meltingpot.org/2023/11/statewatch-mentre-continua-il-sostegno-alla-libia-lue-sta-pianificando-n

    • Accord migratoire avec l’Égypte. Des #navires français en eaux troubles

      Les entreprises françaises #Civipol, #Défense_Conseil_International et #Couach vont fournir à la marine du Caire trois navires de recherche et sauvetage dont elles formeront également les équipages, révèle Orient XXI dans une enquête exclusive. Cette livraison, dans le cadre d’un accord migratoire avec l’Égypte, risque de rendre l’Union européenne complice d’exactions perpétrées par les gardes-côtes égyptiens et libyens.

      La France est chaque année un peu plus en première ligne de l’externalisation des frontières de l’Europe. Selon nos informations, Civipol, l’opérateur de coopération internationale du ministère de l’intérieur, ainsi que son sous-traitant Défense Conseil International (DCI), prestataire attitré du ministère des armées pour la formation des militaires étrangers, ont sélectionné le chantier naval girondin Couach pour fournir trois navires de recherche et sauvetage (SAR) aux gardes-côtes égyptiens, dont la formation sera assurée par DCI sur des financements européens de 23 millions d’euros comprenant des outils civils de surveillance des frontières.

      Toujours selon nos sources, d’autres appels d’offres de Civipol et DCI destinés à la surveillance migratoire en Égypte devraient suivre, notamment pour la fourniture de caméras thermiques et de systèmes de positionnement satellite.

      Ces contrats sont directement liés à l’accord migratoire passé en octobre 2022 entre l’Union européenne (UE) et l’Égypte : en échange d’une assistance matérielle de 110 millions d’euros au total, Le Caire est chargé de bloquer, sur son territoire ainsi que dans ses eaux territoriales, le passage des migrants et réfugiés en partance pour l’Europe. Ce projet a pour architecte le commissaire européen à l’élargissement et à la politique de voisinage, Olivér Várhelyi. Diplomate affilié au parti Fidesz de l’illibéral premier ministre hongrois Viktor Orbán, il s’est récemment fait remarquer en annonçant unilatéralement la suspension de l’aide européenne à la Palestine au lendemain du 7 octobre — avant d’être recadré.

      La mise en œuvre de ce pacte a été conjointement confiée à Civipol et à l’Organisation internationale pour les migrations (OIM) de l’ONU, comme déjà indiqué par le média Africa Intelligence. Depuis, la présidente de la Commission européenne Ursula von der Leyen a déjà plaidé pour un nouvel accord migratoire avec le régime du maréchal Sissi. Selon l’UE, il s’agirait d’aider les gardes-côtes égyptiens à venir en aide aux migrants naufragés, via une approche « basée sur les droits, orientée vers la protection et sensible au genre ».
      Circulez, il n’y a rien à voir

      Des éléments de langage qui ne convainquent guère l’ONG Refugees Platform in Egypt (REP), qui a alerté sur cet accord il y a un an. « Depuis 2016, le gouvernement égyptien a durci la répression des migrants et des personnes qui leur viennent en aide, dénonce-t-elle auprès d’Orient XXI. De plus en plus d’Égyptiens émigrent en Europe parce que la jeunesse n’a aucun avenir ici. Ce phénomène va justement être accentué par le soutien de l’UE au gouvernement égyptien. L’immigration est instrumentalisée par les dictatures de la région comme un levier pour obtenir un appui politique et financier de l’Europe. »

      En Égypte, des migrants sont arrêtés et brutalisés après avoir manifesté. Des femmes réfugiées sont agressées sexuellement dans l’impunité. Des demandeurs d’asile sont expulsés vers des pays dangereux comme l’Érythrée ou empêchés d’entrer sur le territoire égyptien. Par ailleurs, les gardes-côtes égyptiens collaborent avec leurs homologues libyens qui, également soutenus par l’UE, rejettent des migrants en mer ou les arrêtent pour les placer en détention dans des conditions inhumaines, et entretiennent des liens avec des milices qui jouent aussi le rôle de passeurs.

      Autant d’informations peu compatibles avec la promesse européenne d’un contrôle des frontières « basé sur les droits, orienté vers la protection et sensible au genre ». Sachant que l’agence européenne de gardes-frontières et de gardes-côtes Frontex s’est elle-même rendue coupable de refoulements illégaux de migrants (pushbacks) et a été accusée de tolérer de mauvais traitements sur ces derniers.

      Contactés à ce sujet, les ministères français de l’intérieur, des affaires étrangères et des armées, l’OIM, Civipol, DCI et Couach n’ont pas répondu à nos questions. Dans le cadre de cette enquête, Orient XXI a aussi effectué le 1er juin une demande de droit à l’information auprès de la Direction générale du voisinage et des négociations d’élargissement (DG NEAR) de la Commission européenne, afin d’accéder aux différents documents liés à l’accord migratoire passé entre l’UE et l’Égypte. Celle-ci a identifié douze documents susceptibles de nous intéresser, mais a décidé de nous refuser l’accès à onze d’entre eux, le douzième ne comprenant aucune information intéressante. La DG NEAR a invoqué une série de motifs allant du cohérent (caractère confidentiel des informations touchant à la politique de sécurité et la politique étrangère de l’UE) au plus surprenant (protection des données personnelles — alors qu’il aurait suffi de masquer lesdites données —, et même secret des affaires). Un premier recours interne a été déposé le 18 juillet, mais en l’absence de réponse de la DG NEAR dans les délais impartis, Orient XXI a saisi fin septembre la Médiatrice européenne, qui a demandé à la Commission de nous répondre avant le 13 octobre. Sans succès.

      Dans un courrier parvenu le 15 novembre, un porte-parole de la DG NEAR indique :

      "L’Égypte reste un partenaire fiable et prévisible pour l’Europe, et la migration constitue un domaine clé de coopération. Le projet ne cible pas seulement le matériel, mais également la formation pour améliorer les connaissances et les compétences [des gardes-côtes et gardes-frontières égyptiens] en matière de gestion humanitaire des frontières (…) Le plein respect des droits de l’homme sera un élément essentiel et intégré de cette action [grâce] à un contrôle rigoureux et régulier de l’utilisation des équipements."

      Paris-Le Caire, une relation particulière

      Cette livraison de navires s’inscrit dans une longue histoire de coopération sécuritaire entre la France et la dictature militaire égyptienne, arrivée au pouvoir après le coup d’État du 3 juillet 2013 et au lendemain du massacre de centaines de partisans du président renversé Mohamed Morsi. Paris a depuis multiplié les ventes d’armes et de logiciels d’espionnage à destination du régime du maréchal Sissi, caractérisé par la mainmise des militaires sur la vie politique et économique du pays et d’effroyables atteintes aux droits humains.

      La mise sous surveillance, la perquisition par la Direction générale de la sécurité intérieure (DGSI) et le placement en garde à vue de la journaliste indépendante Ariane Lavrilleux fin septembre étaient notamment liés à ses révélations dans le média Disclose sur Sirli, une opération secrète associant les renseignements militaires français et égyptien, dont la finalité antiterroriste a été détournée par Le Caire vers la répression intérieure. Une enquête pour « compromission du secret de la défense nationale » avait ensuite été ouverte en raison de la publication de documents (faiblement) classifiés par Disclose.

      La mise en œuvre de l’accord migratoire UE-Égypte a donc été indirectement confiée à la France via Civipol. Société dirigée par le préfet Yann Jounot, codétenue par l’État français et des acteurs privés de la sécurité — l’électronicien de défense Thales, le spécialiste de l’identité numérique Idemia, Airbus Defence & Space —, Civipol met en œuvre des projets de coopération internationale visant à renforcer les capacités d’États étrangers en matière de sécurité, notamment en Afrique. Ceux-ci peuvent être portés par la France, notamment via la Direction de la coopération internationale de sécurité (DCIS) du ministère de l’intérieur. Mais l’entreprise travaille aussi pour l’UE.

      Civipol a appelé en renfort DCI, société pilotée par un ancien chef adjoint de cabinet de Nicolas Sarkozy passé dans le privé, le gendarme Samuel Fringant. DCI était jusqu’à récemment contrôlée par l’État, aux côtés de l’ancien office d’armement Eurotradia soupçonné de corruption et du vendeur de matériel militaire français reconditionné Sofema. Mais l’entreprise devrait prochainement passer aux mains du groupe français d’intelligence économique ADIT de Philippe Caduc, dont l’actionnaire principal est le fonds Sagard de la famille canadienne Desmarais, au capital duquel figure désormais le fonds souverain émirati.

      DCI assure principalement la formation des armées étrangères à l’utilisation des équipements militaires vendus par la France, surtout au Proche-Orient et notamment en Égypte. Mais à l’image de Civipol, l’entreprise collabore de plus en plus avec l’UE, notamment via la mal nommée « Facilité européenne pour la paix » (FEP).
      Pacte (migratoire) avec le diable

      Plus largement, ce partenariat avec l’Égypte s’inscrit dans une tendance généralisée d’externalisation du contrôle des frontières de l’Europe, qui voit l’UE passer des accords avec les pays situés le long des routes migratoires afin que ceux-ci bloquent les départs de migrants et réfugiés, et que ces derniers déposent leurs demandes d’asile depuis l’Afrique, avant d’arriver sur le territoire européen. Après la Libye, pionnière en la matière, l’UE a notamment signé des partenariats avec l’Égypte, la Tunisie — dont le président Kaïs Saïed a récemment encouragé des émeutes racistes —, le Maroc, et en tout 26 pays africains, selon une enquête du journaliste Andrei Popoviciu pour le magazine américain In These Times.

      Via ces accords, l’UE n’hésite pas à apporter une assistance financière, humaine et matérielle à des acteurs peu soucieux du respect des droits fondamentaux, de la bonne gestion financière et parfois eux-mêmes impliqués dans le trafic d’êtres humains. L’UE peine par ailleurs à tracer l’utilisation de ces centaines de millions d’euros et à évaluer l’efficacité de ces politiques, qui se sont déjà retournées contre elles sous la forme de chantage migratoire, par exemple en Turquie.

      D’autres approches existent pourtant. Mais face à des opinions publiques de plus en plus hostiles à l’immigration, sur fond de banalisation des idées d’extrême droite en politique et dans les médias, les 27 pays membres et les institutions européennes apparaissent enfermés dans une spirale répressive.

      https://orientxxi.info/magazine/accord-migratoire-avec-l-egypte-des-navires-francais-en-eaux-troubles,68

  • The EU-Tunisia Memorandum of Understanding : A Blueprint for Cooperation on Migration ?

    On July 16, 2023, a memorandum of understanding, known as the “migrant deal”, was signed between the EU and Tunisia, at a time when the EU is trying to find ways to limit the arrival of irregular migrants into its territory. The memorandum, however, raises some concerns regarding its content, form, and human rights implications.

    This past year, Tunisia became the primary country of departure for migrants attempting to reach the European Union via Italy through the Central Mediterranean route. With a sharp increase of arrivals in the first few months of 2023, which further accelerated during the summer, cooperation with Tunisia has turned into a key priority in the EU’s efforts to limit migration inflows.

    On July 16, 2023, after complicated negotiations, Olivér Várhelyi, the EU Commissioner for Neighborhood and Enlargement, and Mounir Ben Rjiba, Secretary of State to the Minister of Foreign Affairs, Migration and Tunisians Abroad, signed a memorandum of understanding (MoU) on “a strategic and global partnership between the European Union and Tunisia,” published in the form of a press release on the European Commission’s website. President Ursula von der Leyen labeled the deal as a “blueprint” for future arrangements, reiterating the commission’s intention to work on similar agreements with other countries. The MoU, however, in terms of its content, form, and the human rights concerns it raises, falls squarely within current trends characterizing EU cooperation on migration with third countries.
    The content of the agreement

    Known as the “migrant deal,” the MoU covers five areas of cooperation: macro-economic stability, economy and trade, green energy transition, people-to-people contacts, and migration and mobility. The EU agreed to provide €105 million to enhance Tunisia’s border control capabilities while facilitating entry to highly-skilled Tunisians, and €150 million in direct budgetary support to reduce the country’s soaring inflation. It further foresees an extra €900 million in macro-economic support conditioned on Tunisia agreeing to sign an International Monetary Fund bailout. In exchange, Tunisia committed to cooperate on the fight against the smuggling and trafficking of migrants, to carry out search and rescue operations within its maritime borders, and to readmit its own nationals irregularly present in the EU—an obligation already existent under customary international law. Much to Italy’s disappointment, and unlike what happened in the case of Turkey in 2016, Tunisia refused to accept the return of non-Tunisian migrants who transited through the country to reach the EU, in line with the position it has occupied since the onset of the negotiations.

    What was agreed on seems to be all but new, seemingly reiterating past commitments

    Overall, what was agreed on seems to be all but new, seemingly reiterating past commitments. As for funding, the EU had been providing support to Tunisia to strengthen its border management capabilities since 2015. More broadly, and despite its flaws, the MoU embeds the current carrot-and-stick approach to EU cooperation with third countries, systematically using other external policies of interest to these nations, such as development assistance, trade and investments, and energy—coupled with promises of (limited) opportunities for legal mobility—to induce third countries to cooperate on containing migration flows.
    The legal nature of the agreement

    The MoU embeds the broader trend of de-constitutionalization and informalization of EU cooperation with third countries, which first appeared in the 2005 “Global Approach to Migration” and the 2011 “Global Approach to Migration and Mobility”, and substantially grew in the aftermath of the 2015 refugee crisis, with the EU-Turkey Statement and the “Joint Way Forward on migration with Afghanistan” being the most prominent examples, in addition to several Mobility Partnerships. The common denominator among these informal arrangements consisted of the use of instruments outside the constitutional framework established for concluding international agreements, notably Article 218 on the Treaty of the Functioning of the European Union (TFEU), to agree on bilateral commitments that usually consist in the mobilization of different EU policy areas to deliver on migration containment goals.

    Recourse to informal arrangements can have its advantages, as they are capable of adapting quickly to new realities and allow for immediate implementation without requiring parliamentary ratification or authorization procedures, as highlighted by the EU Court of Auditors. However, they might fall short of constitutional guarantees, as they do not follow standard EU treaty-making rules. EU treaties are silent as to how non-binding agreements should be negotiated and concluded, and thus often lack democratic oversight, transparency, and legal certainty. They might also pose issues in terms of judicial review by the Court of Justice of the EU (CJEU), in accordance with Article 263 of the TFEU.

    In the much-debated judgment “NF”, the General Court—the jurisdiction of first instance of the CJEU—refused to assess the legality of the 2016 EU-Turkey Statement, which was published as a press release on the website of the European Council. Indeed, the Court concluded at the time that the deal was one of member states acting in their capacity as heads of state and government, and not as part of the European Council as an EU institution, rendering the deal unattributable to the EU. The Court did not specifically refer to the legal nature of the agreement, despite all EU institutions stressing that the document was “not intended to produce legally binding effects nor constitute an agreement or a treaty” (para. 27), it being “merely ‘a political arrangement’” (para. 29).

    Overall, it is apparent that the lack of clarity regarding the procedure to be followed and the actors to be involved when it comes to the conclusion of non-binding agreements by the EU is problematic from a rule of law perspective

    The EU-Tunisia MoU, on the other hand, was signed by the European Commission alone, making it fully attributable to the EU. This means that it could be potentially challenged before the CJEU, if there is reason to believe that the content of the agreement renders it a legally-binding one, infringing on the procedure foreseen by the EU treaties, or if the competencies of the Council and the Parliament, the two other EU institutions usually involved in the conclusion of international agreements, were otherwise breached. In another case, the CJEU indeed found that, while the treaties do not regulate the matter and thus Article 218 on the TFEU does not apply, the Commission should nonetheless seek prior approval of the Council before signing an MoU in the exercise of its competencies, pursuant to Article 17 (1) of the Treaty on the European Union (TEU), due to the Council’s “policy-making” powers provided by Article 16 of the TEU. The Court, however, did not clarify whether the Commission should have likewise involved the European Parliament in light of its power to exercise “political control,” provided by Article 14 TEU. With regard to the MoU with Tunisia, however, neither of the two institutions seemed to have been involved. Overall, it is apparent that the lack of clarity regarding the procedure to be followed and the actors to be involved when it comes to the conclusion of non-binding agreements by the EU is problematic from a rule of law perspective.
    Concerns over protection of fundamental rights

    The EU-Tunisia MoU has been harshly criticized by both civil society organizations and different members of the European Parliament (MEPs) in light of the Tunisian authorities’ documented abuses and hostilities against migrants, amidst a political climate of broader democratic crisis. While vaguely referring to “respect for human rights,” the MoU does not specify how the Commission intends to ensure compliance with fundamental rights. Concerns over the agreement led the European Ombudsman—a body of the EU that investigates instances of maladministration by EU institutions—to ask the EU’s executive arm whether it had conducted a human rights impact assessment before its conclusion, as well as if it intended to monitor its implementation, and if it envisaged the suspension of funding if human rights were not respected. This adds to the growing discontent over the EU’s prioritization of securing its borders over ensuring the protection of fundamental rights of migrants, through the externalization of border controls to third countries with poor human rights records and authoritarian governments, such as Libya, Turkey, Morocco, Egypt, and Sudan, among others.

    These episodes exemplify the paradox of externalization, with the EU trying to shield itself from the risk of instrumentalization of migration by third countries on one hand, and making itself dependent upon these actors’ willingness to contain migratory flows, and thus vulnerable to forms of repercussion and bad faith tactics, on the other

    In an unprecedented move, Tunisia denied entry to a group of MEPs who were due to visit the country on official duty on September 14. While no official explanation was given, the move was seen as a reaction for speaking out against the agreement. Despite this, and the fact that there is still a lack of clarity as to how compliance with fundamental rights will be guaranteed, the Commission announced that the first tranche of EU funding would be released by the end of September. However, Tunisia declared to have rejected the money precisely over the EU’s excessive focus on migration containment, although Várhelyi stated that the refusal related to budget support is unrelated to the MoU. These episodes exemplify the paradox of externalization, with the EU trying to shield itself from the risk of instrumentalization of migration by third countries on one hand, and making itself dependent upon these actors’ willingness to contain migratory flows, and thus vulnerable to forms of repercussion and bad faith tactics, on the other. Similar deals, posing similar risks, are currently envisaged with Egypt and Morocco. Moving forward, the EU should instead make efforts to create partnerships with third countries based on genuine mutually-shared interests, restoring credibility in its international relations which should be based on support for its founding values: democracy, human rights, and the rule of law.

    https://timep.org/2023/10/19/the-eu-tunisia-memorandum-of-understanding-a-blueprint-for-cooperation-on-mig
    #Tunisie #EU #Europe #Union_européenne #EU #externalisation #asile #migrations #réfugiés #accord #gestion_des_frontières #aide_financière #protocole_d'accord #politique_migratoire #externalisation #memorandum_of_understanding #MoU

    –—
    ajouté à la métaliste sur le Mémorandum of Understanding entre l’UE et la Tunisie :
    https://seenthis.net/messages/1020591

  • STÂH, observer et penser la ville par les #toits. La Medina de Tunis

    Du 22 au 31 mai 2023, les étudiants du Master 2 « Transition des métropoles et coopération en Méditerranée » de l’Institut d’Urbanisme et d’Aménagement Régional (IUAR-IMVT) d’Aix-Marseille Université ont répondu à une commande du collectif marseillais « À nous les toits », de Wetopia et de l’association L’« Art rue » qui les invitaient à observer les #toits-terrasses de la Médina de Tunis et à s’inspirer des usages en cours pour réfléchir à ce qui pourrait essaimer à Marseille.

    https://www.youtube.com/watch?v=fC5lPGARoWQ&t=16s


    #urban_matters #Tunis #Medina #Tunisie #Marseille #terrasses #film #film_documentaire #documentaire

  • Le groupe Breton Roullier possède deux usines sur un site tunisien dévasté par la pollution
    https://www.radiofrance.fr/franceinter/podcasts/le-zoom-de-la-redaction/le-zoom-du-vendredi-20-octobre-2023-4998308

    Le géant de l’#agroalimentaire breton #Roullier exploite deux usines à Gabès dans le sud de la Tunisie. Il achète du #phosphate à un complexe chimique qui détruit l’#environnement à proximité.

  • En Tunisie, les autorités continuent de chasser des migrants à la frontière algérienne
    https://www.lemonde.fr/afrique/article/2023/10/16/en-tunisie-les-autorites-continuent-de-chasser-des-migrants-a-la-frontiere-a

    En Tunisie, les autorités continuent de chasser des migrants à la frontière algérienne
    Par Nissim Gasteli(El-Amra, Tunisie, envoyé spécial)
    Paul-Edouard partage sa vie entre les plantations d’oliviers et le café depuis qu’il a trouvé un semblant de refuge dans une zone rurale en périphérie de la petite bourgade d’El-Amra, avec sa femme et sa fille de 5 ans, après avoir fui les violences anti-migrants qui ont secoué Sfax au début de l’été. Dans ce champ devenu dortoir, il dépose tous les soirs sa couverture au pied d’un arbre, installe son couchage puis s’allonge et s’endort, en attendant qu’un autre jour vienne. Au petit matin, lorsque le tenancier du café mitoyen ouvre son commerce, il migre vers la bâtisse et y passe toute la journée.
    C’est là que Le Monde l’a rencontré, le 9 octobre. Assis à une table, un expresso dans une main, une cigarette dans l’autre, ce Camerounais de 38 ans raconte avoir tenté de rejoindre l’Italie trois semaines plus tôt. Mais après avoir été intercepté en mer par la garde nationale tunisienne, il a été débarqué au port de Sfax puis transporté sur plusieurs centaines de kilomètres par les autorités avant d’être abandonné dans une zone désertique à la frontière algérienne, sans eau, ni nourriture, ni autre forme de procès. Données GPS et photographies à l’appui, il témoigne de ces pratiques que les autorités tunisiennes persistent à nier. Pour protéger son identité et celles des autres personnes interrogées, leurs prénoms ont été modifiés.
    Son récit commence comme celui de n’importe quelle traversée clandestine : sur une plage, de nuit, le départ du rafiot dans l’obscurité, puis devient vite celui de n’importe quelle interception de bâteau clandestin par la garde nationale. Les vagues, le moteur qui coupe, la tension avec les agents, le transbordage sur une vedette. A la mi-journée, Paul-Edouard est débarqué sur le port de Sfax avec 300 autres personnes, selon ses estimations.
    C’est là que les violences ont commencé. « Quand on est arrivés au port de Sfax, on a été tabassés », dit-il, en décrivant les coups portés par les agents des forces de sécurité. Ils sont alors retenus toute la journée sur le quai, « sans avoir à manger ou à boire », leurs téléphones sont confisqués. A la nuit tombée, quatre bus déboulent et les migrants sont forcés de monter à bord, sans connaître leur destination.Ils quittent la ville portuaire, escortés par des véhicules des forces de sécurité – comme le montre une vidéo qu’il a filmée, consultée par Le Monde. « On a roulé jusqu’à 4 heures du matin puis on nous a déposés sur une base de la garde nationale », se souvient-il. L’analyse des données GPS transmises révèle que les bus parcourent près de 300 km jusqu’au Kef, dans le nord-ouest de la Tunisie. Ils sont transférés à l’arrière de pick-up, « chargés comme du bétail », puis déposés quelque part dans la montagne.
    Une fois les Tunisiens partis, les Subsahariens font face aux garde-frontières algériens et comprennent rapidement qu’ils ne sont pas les bienvenus. « On a subi des tirs de sommation de la part de l’armée algérienne qui nous a intimé l’ordre de retourner en Tunisie, affirme Paul-Edouard. On n’avait pas le choix, il y avait des femmes enceintes, des bébés, tout un tas de personnes blessées. On avait faim, on avait soif. Alors on est revenus en Tunisie. » En rebroussant chemin, il tombe sur l’unité qui les a expulsés. « Ils nous arrêtent à nouveau, nous mettent dans les pick-up. Ils nous amènent dans un autre camp. Il est environ 10 heures quand on arrive là-bas.
    Ils passent la journée du 20 septembre enfermés dans ce poste de la garde nationale non loin de Thala, toujours dans la même région de l’Ouest tunisien, en attendant la nuit tombée. Les agents les remettent alors dans des véhicules des forces de l’ordre et, à 22 heures, ils prennent la route en direction de la ville frontalière de Sakiet Sidi Youssef à une centaine de kilomètres plus au nord. Les gardes nationaux sont alors clairs : « Ils nous promettent que c’est notre dernier jour en Tunisie », se souvient Paul-Edouard. « Et si on s’entêtait à revenir, ils nous tireraient une balle dans la tête. C’est ce qu’ils nous ont dit. » En face de Paul-Edouard, dans ce café d’El-Amra, Emmanuel, jeune Camerounais de 18 ans, présent au moment des faits, acquiesce d’un signe de la tête.Abandonnés pour la seconde fois, livrés à eux-mêmes, les migrants décident de revenir en Tunisie, le 21 septembre au petit matin. Ils marchent alors pendant neuf jours, parcourant des dizaines de kilomètres à pied, entre montagnes et forêts afin d’éviter de tomber à nouveau sur les autorités du pays. Neuf nuits à dormir à même le sol dans un froid « frigorifique », se remémore Paul-Edouard, la voix tremblante. Ils finissent par rallier Tajerouine, une ville de la région et trouvent un transport clandestin qui les ramène dans les environs de Sfax.
    Deux semaines après les faits, Paul-Edouard et Emmanuel n’arrivent toujours pas à comprendre pourquoi les autorités leur ont fait subir un tel traitement. Dans ce café d’El-Amra, leur histoire trouve un écho : de nombreuses personnes rapportent elles aussi des expulsions au cours des semaines passées et des faits similaires. Le phénomène n’est pas nouveau. Au mois de juillet, plusieurs centaines de migrants avaient déjà été abandonnées dans le désert par les forces de sécurité tunisiennes.
    Les images de ces hommes, femmes et enfants abandonnés le long de la frontière tuniso-libyenne sous une chaleur extrême, sans eau ni nourriture, avaient alors largement circulé sur les réseaux sociaux et dans les médias. Mais, début août, la signature d’un accord entre les ministres de l’intérieur des deux pays pour évacuer l’ensemble des migrants restant dans la zone laissait espérer la fin de ses pratiques. Or, une organisation humanitaire basée en Libye a confirmé au Monde, sous couvert d’anonymat, qu’au moins 3 700 migrants ont été expulsés de Tunisie vers la Libye depuis juin.
    Les autorités tunisiennes n’ont jamais reconnu ces expulsions. Interrogé par Le Monde, le porte-parole du ministère de l’intérieur, Faker Bouzghaya, a réfuté ses pratiques renvoyant à une déclaration du 3 août de son ministre, Kamel Feki, dans laquelle celui-ci soulignait « que les allégations sur les expulsions sont sans fondement ». Le porte-parole de la garde nationale, Houssem Jebabli, nie lui aussi de telles pratiques. « Ce n’est pas vrai, on a d’autres témoignages disant exactement le contraire. La Tunisie avait accueilli ces gens, et le Croissant-Rouge a fait de son mieux pour les migrants », déclare-t-il, sans donner plus de précisions. Une trentaine de cadavres a cependant été retrouvée dans la zone frontalière, selon la source humanitaire précédemment citée, et 80 personnes seraient toujours portées disparues. A El-Amra, la reprise des expulsions terrorise. « Du jour au lendemain, tu peux te retrouver dans le désert. Qui n’a pas peur ? Sans nourriture, sans eau, forcément tu as peur », explique Amadou, qui a été conduit vers la frontière algérienne avec son ami Félix fin septembre. A une autre table, Mohamed montre sur son téléphone une photo d’un jeune homme assis dans une zone désertique de la frontière libyenne : « Je n’ai pas de nouvelles de mon ami, on a été séparés là-bas, je ne sais pas ce qu’il est devenu. » Après un tel traumatisme, tous ont déjà pensé à rentrer chez eux, mais ont finalement exclu cette option. « Autant faire les 150 km qui nous séparent de Lampedusa. On caresse ce rêve », conclut Paul-Edouard.

    #Covid-19#migration#migrant#tunisie#algerie#frontiere#expulsion#violences#libye#afriquesubharienne#migrationirreguliere#sante#mortalite

  • #Tunisie : le président, #Kaïs_Saïed, refuse les #fonds_européens pour les migrants, qu’il considère comme de la « #charité »

    Un #accord a été conclu en juillet entre Tunis et Bruxelles pour lutter contre l’immigration irrégulière. La Commission européenne a précisé que sur les 105 millions d’euros d’aide prévus, quelque 42 millions d’euros allaient être « alloués rapidement ».

    Première anicroche dans le contrat passé en juillet entre la Tunisie et l’Union européenne (UE) dans le dossier sensible des migrants. Kaïs Saïed, le président tunisien, a, en effet, déclaré, lundi 2 octobre en soirée, que son pays refusait les fonds alloués par Bruxelles, dont le montant « dérisoire » va à l’encontre de l’entente entre les deux parties.

    La Commission européenne avait annoncé le 22 septembre qu’elle commencerait à allouer « rapidement » les fonds prévus dans le cadre de l’accord avec la Tunisie afin de faire baisser les arrivées de migrants au départ de ce pays. La Commission a précisé que sur les 105 millions d’euros d’aide prévus par cet accord pour lutter contre l’immigration irrégulière, quelque 42 millions d’euros allaient être « alloués rapidement ». Auxquels s’ajoutent 24,7 millions d’euros déjà prévus dans le cadre de programmes en cours.

    « La Tunisie, qui accepte la #coopération, n’accepte pas tout ce qui s’apparente à de la charité ou à la faveur, car notre pays et notre peuple ne veulent pas de la sympathie et ne l’acceptent pas quand elle est sans respect », stipule un communiqué de la présidence tunisienne. « Par conséquence, la Tunisie refuse ce qui a été annoncé ces derniers jours par l’UE », a dit M. Saïed qui recevait son ministre des affaires étrangères, Nabil Ammar.

    Il a expliqué que ce refus n’était pas lié au « montant dérisoire (…) mais parce que cette proposition va à l’encontre » de l’accord signé à Tunis et « de l’esprit qui a régné lors de la conférence de Rome », en juillet.

    Une aide supplémentaire de 150 millions d’euros

    La Tunisie est avec la Libye le principal point de départ pour des milliers de migrants qui traversent la Méditerranée centrale vers l’Europe, et arrivent en Italie.

    Selon la Commission européenne, l’aide doit servir en partie à la remise en état de bateaux utilisés par les #garde-côtes_tunisiens et à la coopération avec des organisations internationales à la fois pour la « protection des migrants » et pour des opérations de retour de ces exilés depuis la Tunisie vers leurs pays d’origine.

    Ce #protocole_d’accord entre la Tunisie et l’UE prévoit en outre une #aide_budgétaire directe de 150 millions d’euros en 2023 alors que le pays est confronté à de graves difficultés économiques. Enfin, M. Saïed a ajouté que son pays « met tout en œuvre pour démanteler les réseaux criminels de trafic d’êtres humains ».

    https://www.lemonde.fr/afrique/article/2023/10/03/tunisie-le-president-kais-saied-rejette-les-fonds-europeens-pour-les-migrant

    #refus #Memorandum_of_Understanding (#MoU) #externalisation #migrations #asile #réfugiés #UE #EU #Union_européenne

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    ajouté à la métaliste sur le #Memorandum_of_Understanding (#MoU) avec la #Tunisie :
    https://seenthis.net/messages/1020591

    • Le chef de la diplomatie tunisienne : « Les Européens répètent des messages hors de l’esprit du mémorandum. C’est insultant et dégradant »

      Après deux semaines de crise sur fond de tensions migratoires, le ministre tunisien des Affaires étrangères Nabil Ammar développe dans un entretien au « Soir » le point de vue de son gouvernement sur le mémorandum d’accord avec la Commission européenne. Article réservé aux abonnésAlors que des organisations de défense des droits humains ont dénoncé des déportations massives dans le désert entre la Libye et la Tunisie, Nabil Ammar rejette la faute sur « quelques voyous ».

      La brouille est consommée. Entre l’Union européenne et la Tunisie, le ton est monté ces derniers jours sur le mémorandum d’accord signé au milieu de l’été entre Tunis et la Commission européenne, soutenu par l’Italie et les Pays-Bas. Dans un entretien au Soir, le ministre tunisien des Affaires étrangères et de la Migration, Nabil Ammar, détaille la position tunisienne dans ce dossier explosif.

      Pour cela, il faut bien comprendre de quoi l’on parle. Si l’accord comprend d’importants volets de développement économique (hydrogène vert, câbles sous-marins…), le cœur du texte porte sur la migration et prévoit 150 millions d’euros d’aide. Le pays, lui, dit refuser d’être « le garde-frontière » de l’Europe.

      Entre Tunis et la Commission, l’affaire s’est grippée après les arrivées massives à Lampedusa, venues des côtes tunisiennes. Dans la foulée, l’exécutif européen a annoncé débloquer une partie de l’aide (dans ou hors du cadre de l’accord ? Les versions divergent). Auteur d’un coup de force autoritaire, l’imprévisible et tonitruant président tunisien Kaïs Saïed a déclaré refuser la « charité ». La Commission annonçait aussi le décaissement de 60 millions (sur un autre paquet d’aide), à nouveau refusés.

      « Ce sont les Européens qui ne s’entendent pas entre eux »

      Aujourd’hui, Nabil Ammar donne très fermement sa version. « Les Européens ne sont pas clairs, à divulguer des montants un coup par ci, un coup par là. Les gens ne se retrouvent plus dans ces enveloppes, qui sont dérisoires. Même si ce n’est pas un problème de montant. Mais les Européens n’arrivaient pas à comprendre un message que l’on a répété à plusieurs reprises : “Arrêtez d’avoir cette vision de ce partenariat, comme si nous étions à la merci de cette assistance. A chaque fois, vous répétez des messages qui ne sont pas dans l’esprit de ce mémorandum d’accord, un partenariat d’égal à égal, de respect mutuel.” C’est insultant et dégradant. »

      « Il ne faut pas donner cette idée fausse, laisser penser que ce partenariat se réduit à “on vous donne quatre sous et vous faites la police en Méditerranée et vous retenez les migrants illégaux” », continue le ministre des Affaires étrangères, qui précise que « ce sont les Européens qui tenaient » au texte. « On ne veut pas être indélicat, mais ils couraient après cet accord qu’on était content de passer puisque l’on considérait que ce qui était écrit convenait aux deux parties. »

      Ces dernières années, l’UE a passé des accords migratoires avec la Libye et la Turquie, qui consistaient en somme à y délocaliser la gestion des frontières extérieures. L’ex-ambassadeur à Bruxelles, très bon connaisseur des rouages européens et chargé de négocier l’accord, croit (ou feint de croire) qu’il en était autrement avec son pays. « Ils nous l’ont dit ! “On va changer, on vous a compris.” Mais les anciens réflexes, les comptes d’épicier ont immédiatement repris. Ce langage-là n’est plus acceptable », défend-il, plaidant pour la fierté et le souverainisme de son pays, un discours dans la lignée de celui du président Saïed. « Nous sommes comme le roseau, on plie mais on ne casse pas et ce serait bien que les partenaires se le mettent en tête. »

      Alors le mémorandum est-il enterré ? « Pas du tout », veut croire Nabil Ammar qui met la responsabilité de la crise de confiance sur le dos des partenaires européens. « Cette crise est entièrement de leur part parce qu’ils n’ont pas voulu changer leur logiciel après le 16 juillet (date de signature du mémorandum, NDLR). Nous nous étions entendus sur un esprit nouveau », une coopération d’égal à égal, répète-t-il. Du côté européen, on peine à comprendre la ligne d’un régime autocratique qui souffle le chaud et le froid. « Nous n’avons dévié du mémorandum d’accord, ni du dialogue stratégique. Ce sont les Européens qui ne s’entendent pas entre eux », assure le ministre, faisant référence aux dissensions entre la Commission et les Etats membres.

      Dérive autoritaire

      Le président du Conseil Charles Michel s’est également fendu de critiques lourdes contre la méthode. Certains Etats membres, dont la Belgique, ont critiqué à la fois la forme (ils estiment n’avoir pas assez été consultés) et le fond (l’absence de référence aux droits humains et à la dérive autoritaire de Saïed). « Je vais être gentil et je ne donnerai pas les noms. Nous savons qui est pour et qui est contre », commente Nabil Ammar.

      Interrogé sur la dérive autoritaire, les atteintes aux droits des migrants ainsi que les arrestations d’opposants, le ministre détaille qu’il « n’y a pas eu un mot de critique (contre le régime tunisien, NDLR) dans ces longues réunions (avec l’UE, NDLR). C’est important de le noter ». « Pourquoi revenir aux anciens réflexes, aux comportements dégradants ? Il ne faut pas faire passer la Tunisie comme un pays qui vit de l’assistance. Cette assistance ne vaut rien par rapport aux dégâts causés par certains partenaires dans notre région. C’est d’ailleurs plutôt une réparation. »

      Questionné quant aux critiques de la ministre belge des Affaires étrangères Hadja Lahbib sur les dérives tunisiennes, Nabil Ammar estime qu’« elle est libre de faire ce qu’elle veut. J’ai vécu en Belgique. Je pourrais en dire autant et même plus. Mais je ne vais pas le faire. (…) Les Européens sont libres d’organiser leur société comme ils l’entendent chez eux et nous sommes libres d’organiser notre société, notre pays comme on l’entend. Ils doivent le comprendre. Nous avons une histoire différente et une construction différente. » Les opposants à Saïed parlent ouvertement d’une dérive dictatoriale, certainement allant jusqu’à qualifier ce régime de « pire que celui de Ben Ali ».
      Vague de violence populaire

      Ces derniers mois, une vingtaine d’opposants politiques ont été incarcérés. Ce jeudi encore, Abir Moussi, leadeuse du Parti destourien libre et dont les positions rejoignaient pourtant en certains points celles de Saïed, a été arrêtée. « Ces gens sont entre les mailles de la justice conformément à la loi et aux procédures tunisiennes. Si ces Tunisiens n’ont rien fait, ils sortiront. Et s’ils sont coupables, ils paieront », assure le chef de la diplomatie, qui défend « l’Etat de droit » tunisien. Depuis son coup de force il y a deux ans, Kaïs Saïed s’est arrogé le droit (par décret) de révoquer les juges, ce qu’il a fait à une cinquantaine de reprises.

      Quant aux atteintes aux droits humains à l’encontre de migrants subsahariens, Nabil Ammar (qui assure avoir lui-même pris en main des dossiers) rejette la faute sur « quelques voyous », qui n’auraient rien à voir avec une « politique d’Etat ». Les organisations de défense des droits humains ont dénoncé des déportations massives dans le désert entre la Libye et la Tunisie. Des images de personnes mourant de soif ont été largement diffusées. « D’autres témoignages disaient exactement le contraire, que la Tunisie avait accueilli ces gens-là et que le Croissant rouge s’est plié en quatre. Mais ces témoignages-là ne rentrent pas dans l’agenda (sic). (…) On sait qui était derrière ça, des mouvements nourrissant des témoignages à charge », continue le ministre, s’approchant de la rhétorique du président Saïed, dont les accents populistes et complotistes sont largement soulignés.

      En parallèle de ces accusations de déplacements forcés, une vague de violence populaire contre les Subsahariens s’est déchaînée (notamment dans la ville de Sfax) à la suite d’un discours présidentiel, qui mentionnait la théorie raciste du « Grand remplacement » (« Ça a été instrumentalisé dans une très large mesure. Le fait d’avoir cité une étude écrite, ça ne veut pas dire qu’il la cautionne »). Ici, Nabil Ammar défend que « la même chose se passe très souvent en Europe. Et on n’ouvre pas un procès pareil. Quelques semaines avant que je prenne mes nouvelles fonctions en Tunisie, au commissariat d’Ixelles, une Tuniso-Belge est morte très probablement sous violence policière. Pendant des mois, nous n’arrivions pas à avoir le rapport de la police », continue-t-il, faisant une référence sidérante à la mort de Sourour A.

      Questionné sur une comparaison très hasardeuse entre un décès suspect et des dizaines de morts, des atteintes aux droits humains globalement dénoncées, il ne dévie pas de sa ligne troublante : « Dans le même commissariat, c’était le troisième cas de Nord-Africain décédé. On n’en a pas fait une campagne médiatique contre la Belgique. Nous ne sommes pas traités de la même façon. C’est injuste et ça montre qu’il y a un agenda pour mettre la Tunisie dans un coin. On devient un pays raciste alors que nous sommes un melting-pot, nous sommes le Brésil de l’Afrique du Nord. » Associations de défense des droits des migrants, universités, intellectuels… à Tunis, il ne manque pas de voix pour raconter la peur des Subsahariens et leur disparition de l’espace public, pour éviter les insultes et les lynchages. Mais cette réalité-là ne semble pas au cœur des inquiétudes du ministère.
      Analyse : une autre planète

      Le moins que l’on puisse dire, c’est que Nabil Ammar ne manie pas la langue de bois. Il faut même souvent se pincer lors de l’entretien avec le ministre tunisien des Affaires étrangères. Ce proche du président Kaïs Saïed (dont il adopte les accents populistes et où point l’ombre du complotisme) prend des accents belliqueux, rares dans le milieu diplomatique. Pas question pour lui de se laisser dicter la marche d’un pays que ses ardents opposants décrivent comme une « dictature ». Personne n’a de droit de regard sur ce qui se passe en Tunisie. Alors que le haut-commissaire de l’ONU aux droits de l’homme dénonce une « répression » et des « autorités qui continuent de saper l’indépendance du pouvoir judiciaire », Nabil Ammar lui défend un « Etat de droit ».

      En Tunisie, les ONG dénoncent des dizaines de morts dans des conditions atroces, ainsi que des centaines de déportés. Aujourd’hui, des témoignages affluent sur des migrants abandonnés dans des zones rurales sans accès à un abri ou à de la nourriture. Celui qui connaît bien la Belgique va jusqu’à comparer les maltraitances racistes subies massivement à Sfax à la mort tragique de Sourour A. dans un commissariat d’Ixelles dans un parallèle qui laisse sans voix.

      Sur le mémorandum d’accord avec l’Union européenne, cet excellent connaisseur des rouages européens croit (ou feint de croire) que le cœur de l’accord ne se trouvait pas dans le deal migratoire. Et qu’il espérait développer une relation d’égal à égal avec une institution obsédée et échaudée par la crise migratoire de 2015-2016. Selon lui, ce deal n’avait rien à voir avec les précédents passés avec la Turquie et la Libye. Alors même que tout le monde, de l’autre côté de la Méditerranée, pense l’inverse.
      L’oreille de Kaïs Saïed

      Nabil Ammar connaît parfaitement les institutions européennes. Le ministre tunisien des Affaires étrangères et de l’Immigration a été ambassadeur à Bruxelles pendant deux ans et demi, nommé sous un gouvernement auquel participe notamment le parti islamiste Ennahda. Après le coup de force du président Kaïs Saïed en juillet 2021, il se pose rapidement comme un de ses ardents soutiens. On le décrit aujourd’hui comme une des rares personnes ayant l’oreille d’un président autoritaire, isolé, ne faisant confiance à personne et décrit par ses opposants comme un « dictateur ».

      https://www.lesoir.be/542182/article/2023-10-09/le-chef-de-la-diplomatie-tunisienne-les-europeens-repetent-des-messages-hors-