• Naufrage en Grèce : au moins 79 migrants morts, trois jours de deuil décrétés
    https://www.lemonde.fr/international/article/2023/06/14/en-grece-le-naufrage-d-une-embarcation-de-migrants-fait-au-moins-dix-sept-mo

    Naufrage en Grèce : au moins 79 migrants morts, trois jours de deuil décrétés. L’embarcation a chaviré à 87 kilomètres des côtes grecques, dans les eaux internationales. Les rescapés ont déclaré que près de 750 personnes étaient à bord, cent quatre d’entre elles ont été secourues jusqu’ici.
    Le Monde avec AFP
    Publié le 14 juin 2023 à 11h11, modifié le 14 juin 2023 à 22h52
    La Grèce va observer trois jours de deuil après le naufrage mercredi 14 juin d’un bateau de migrants en mer Ionienne, ont annoncé les services du premier ministre par intérim. Les garde-côtes ont déclaré avoir repêché soixante-dix-neuf corps, et sauvé une centaine de personnes, mais les rescapés ont déclaré que près de 750 personnes étaient à bord. Il s’agit du bilan le plus lourd en Grèce depuis le 3 juin 2016, quand au moins 320 personnes avaient péri ou disparu dans un naufrage. L’embarcation à bord de laquelle se trouveraient « des centaines » de migrants, selon une source au sein du ministère des migrations, a chaviré à 47 milles marins (87 kilomètres) des côtes grecques, dans les eaux internationales tandis que cent quatre personnes ont été secourues jusqu’ici. « Le navire faisait vingt-cinq à trente mètres de long. Le pont était bondé, et nous pensons que l’intérieur l’était aussi », a déclaré à la chaîne de télévision ERT le porte-parole des gardes-côtes, Nikolaos Alexiou. Un porte-parole du gouvernement, Ilias Siakantari, a ajouté : « Nous ne savons pas combien de personnes étaient à l’intérieur, mais nous savons qu’il est habituel pour les passeurs de les enfermer, afin de maintenir le contrôle à bord. » L’Organisation internationale pour les migrations (OIM) a aussi tweeté : « Nous craignons d’autres pertes en vies humaines. Des décomptes initiaux font état de 400 passagers ».
    Un avion C-130 de l’armée grecque va continuer de patrouiller les eaux dans lesquelles le bateau a coulé toute la nuit, selon le porte-parole. M. Siakantari a précisé que le moteur du navire était tombé en panne dans la nuit de mardi à mercredi et que le bateau avait coulé en une quinzaine de minutes, dans des eaux très profondes. Les garde-côtes grecs ont ajouté qu’au moment du naufrage de l’embarcation, aucune des personnes à bord n’était équipée de gilet de sauvetage. Selon M. Alexiou, la plupart des survivants étaient originaires de Syrie, du Pakistan ou d’Egypte. (...)
    Le bateau avait été repéré pour la première fois mardi après-midi par un avion de Frontex, l’Agence européenne de surveillance des frontières, mais les migrants à bord « ont refusé toute aide », selon un précédent communiqué des autorités portuaires grecques. Outre les patrouilleurs de la police portuaire, une frégate de la marine de guerre grecque, un avion et un hélicoptère de l’armée de l’air ainsi que six bateaux qui naviguaient dans la zone participaient à cette opération de sauvetage. Selon les premières informations des autorités, le bateau des migrants avait appareillé de la Libye à destination de l’Italie. Aux frontières extérieures de l’Union européenne (UE) en Méditerranée, la Grèce est un passage plus habituel pour des migrants qui cherchent à rejoindre l’UE depuis la Turquie voisine.
    De nombreux naufrages souvent meurtriers ont lieu en mer Egée alors que la Grèce est régulièrement accusée par des organisations non gouvernementales et des médias produisant des vidéos de refouler des migrants, en quête d’asile dans l’Union européenne, hors de son territoire. Outre ce passage, ces personnes tentent également de passer directement en Italie en traversant la Méditerranée dans le sud du Péloponnèse ou au large de l’île de Crète. Depuis le début de l’année, 44 personnes sont mortes noyées en Méditerranée orientale, d’après l’OIM. L’an dernier, le nombre des personnes ayant ainsi péri s’est élevé à au moins 372.(...).

    #Covid-19#migrant#migration#mediterranee#grece#italie#UE#turquie#frontex#naufrage#mortalité#politiquemigratoire#postcovid#libye

  • La Tunisia rifiuta i respingimenti collettivi e le deportazioni di migranti irregolari proposti da #Meloni e #Piantedosi

    1.Il risultato del vertice di Tunisi era già chiaro prima che Giorgia Meloni, la presidente della Commissione europea Von del Leyen ed il premier olandese Mark Rutte incontrassero il presidente Saied. Con una operazione di immagine inaspettata, il giorno prima del vertice, l’uomo che aveva lanciato mesi fa la caccia ai migranti subsahariani presenti nel suo paese, parlando addirittura del rischio di sostituzione etnica, si recava a Sfax, nella regione dalla quale si verifica la maggior parte delle partenze verso l’Italia, e come riferisce Il Tempo, parlando proprio con un gruppo di loro, dichiarava : “ Siamo tutti africani. Questi migranti sono nostri fratelli e li rispettiamo, ma la situazione in Tunisia non è normale e dobbiamo porre fine a questo problema. Rifiutiamo qualsiasi trattamento disumano di questi migranti che sono vittime di un ordine mondiale che li considera come ‘numeri’ e non come esseri umani. L’intervento su questo fenomeno deve essere umanitario e collettivo, nel quadro della legge”. Lo stesso Saied, secondo quanto riportato dalla Reuters, il giorno precedente la visita, aggiungeva che di fronte alla crescente mobilità migratoria “La soluzione non sarà a spese della Tunisia… non possiamo essere una guardia per i loro paesi”.

    Alla fine del vertice non c’è stata una vera e propria conferenza stampa congiunta, ma è stata fatta trapelare una Dichiarazione sottoscritta anche da Saied che stabilisce una sorta di roadmap verso un futuro Memorandum d’intesa (MoU) tra la Tunisia e l’Unione europea, che si dovrebbe stipulare entro il prossimo Consiglio europeo dei capi di governo che si terrà a fine giugno. L’Ue e la Tunisia hanno dato incarico, rispettivamente, al commissario europeo per l’Allargamento Oliver Varheliy e al ministro degli Esteri tunisino Nabil Ammar di stilare un memorandum d’intesa (Memorandum of Understanding, MoU) sul pacchetto di partnership allargata, che dovrebbe essere sottoscritto dalla Tunisia e dall’Ue “prima di fine giugno”. Una soluzione che sa tanto di rinvio, nella quale certamente non si trovano le richieste che il governo Meloni aveva cercato di fare passare, già attraverso il Consiglio dei ministri dell’Unione europea di Lussemburgo, restando poi costretto ad accettare una soluzione di compromesso, che non prevedeva affatto -come invece era stato richiesto- i respingimenti collettivi in alto mare, delegati alla Guardia costiera tunisina, e le deportazioni in Tunisia di migranti irregolari o denegati, dopo una richiesta di asilo, giunti in Italia dopo un transito temporaneo da quel paese.

    Secondo Piantedosi, “la Tunisia è già considerata un Paese terzo sicuro da provvedimenti e atti ufficiali italiani” e “La Farnesina ha già una lista formale di Stati terzi definiti sicuri. Sia in Africa, penso al Senegal, così come nei Balcani”. Bene che nella sua conferenza stampa a Catania, censurata dai media, non abbia citato la Libia, dopo avere chiesto la collaborazione del generale Haftar per bloccare le partenze verso l’Italia. Ma rimane tutto da dimostrare che la Tunisia sia un “paese terzo sicuro”, soprattutto per i cittadini non tunisini, generalmente provenienti dall’area subsahariana, perchè il richiamo strumentale che fa il ministro dell’interno alla lista di “paesi terzi sicuri” approvata con decreti ministeriali ed ampliata nel corso del tempo, riguarda i cittadini tunisini che chiedono asilo in Italia, e che comunque possono fare valere una richiesta di protezione internazionale, non certo i migranti provenienti da altri paesi e transitati in Tunisia, che si vorrebbero deportare senza troppe formalità, dopo procedure rapide in frontiera. Una possibilità che ancora non è concessa allo stato della legislazione nazionale e del quadro normativo europeo (in particolare dalla Direttiva Rimpatri 2008/115/CE), che si dovrebbe comunque modificare prima della entrata in vigore, ammsso che ci si arrivi prima delle prossime elezioni europee, del Patto sulla migrazione e l’asilo recentemente approvato a Lussemburgo.

    La Presidente della Comissione Europea, nella brevissima conferenza stampa tenuta dopo la chiusura del vertice di Tunisi ha precisato i punti essenziali sui quali si dovrebbe trovare un accordo tra Bruxelles e Tunisi, Fondo monetario internazionale permettendo. Von der Leyen ha confermato che la Ue è pronta a mobilitare 900 milioni di euro di assistenza finanziaria per Tunisi. I tempi però non saranno brevi. “La Commissione europea valuterà l’assistenza macrofinanziaria non appena sarà trovato l’accordo (con il Fmi) necessario. E siamo pronti a mobilitare fino a 900 milioni di euro per questo scopo di assistenza macrofinanziaria. Come passo immediato, potremmo fornire subito un ulteriore sostegno al bilancio fino a 150 milioni di euro”. Come riferisce Adnkronos, “Tunisi dovrebbe prima trovare l’intesa con il Fondo Monetario Internazionale su un pacchetto di aiuti, a fronte del quale però il Fondo chiede riforme, che risulterebbero impopolari e che la leadership tunisina esita pertanto ad accollarsi”. Secondo Adnkronos, L’Ue intende “ripristinare il Consiglio di associazione” tra Ue e Tunisia e l’Alto Rappresentante Josep Borrell “è pronto ad organizzare il prossimo incontro entro la fine dell’anno”, ha sottolineato la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen al termine dell’incontro. L’esecutivo comunitario è pronto ad aiutare la Tunisia con un pacchetto basato su cinque pilastri, il principale dei quali è costituito da aiuti finanziari per oltre un miliardo di euro. Il primo è lo sviluppo economico. “Sosterremo la Tunisia, per rafforzarne l’economia. La Commissione Europea sta valutando un’assistenza macrofinanziaria, non appena sarà trovato l’accordo necessario. Siamo pronti a mobilitare fino a 900 milioni di euro per questo scopo. E, come passo immediato, potremmo fornire altri 150 milioni di euro di sostegno al bilancio“. “Il secondo pilastro – continua von der Leyen – sono gli investimenti e il commercio. L’Ue è il principale investitore straniero e partner commerciale della Tunisia. E noi proponiamo di andare oltre: vorremmo modernizzare il nostro attuale accordo commerciale. C’è molto potenziale per creare posti di lavoro e stimolare la crescita qui in Tunisia. Un focus importante per i nostri investimenti è il settore digitale. Abbiamo già una buona base“. Sempre secondo quanto riferito da Adnkronos, “La Commissione Europea sta lavorando ad un memorandum di intesa con la Tunisia nelle energie rinnovabili, campo nel quale il Paese nordafricano ha un potenziale “enorme”, mentre l’Ue ne ha sempre più bisogno, per alimentare il processo di elettrificazione e decarbonizzazione della sua economia, spiega la presidente. L’energia è “il terzo pilastro” del piano in cinque punti che von der Leyen ha delineato al termine della riunione”.

    Quest’anno l’Ue “fornirà alla Tunisia 100 milioni di euro per la gestione delle frontiere, ma anche per la ricerca e il soccorso, la lotta ai trafficanti e il rimpatrio”, annuncia ancora la presidente. Il controllo dei flussi migratori è il quarto pilastro del programma che von der Leyen ha delineato per i rapporti bilaterali tra Ue e Tunisia. Per la presidente della Commissione europea, l’obiettivo “è sostenere una politica migratoria olistica radicata nel rispetto dei diritti umani. Entrambi abbiamo interesse a spezzare il cinico modello di business dei trafficanti di esseri umani. È orribile vedere come mettono deliberatamente a rischio vite umane, a scopo di lucro. Lavoreremo insieme su un partenariato operativo contro il traffico di esseri umani e sosterremo la Tunisia nella gestione delle frontiere”.

    Nel pacchetto di proposte comprese nel futuro Memorandum d’intesa UE-Tunisia, che si dovrebbe sottoscrivere entro la fine di giugno, rientrerebbero anche una serie di aiuti economici all’economia tunisina, in particolare nei settori dell’agricoltura e del turismo, e nuove possibilità di mobilità studentesca, con programmi tipo Erasmus. Nulla di nuovo, ed anche una dotazione finanziaria ridicola, se si pensa ai 200 milioni di euro stanziati solo dall’Italia con il Memorandum d’intesa con la Tunisia siglato da Di Maio per il triennio 2021-2023. Semmai sarebbe interessante sapere come stati spesi quei soldi, visti i risultati sulla situazione dei migranti in transito in Tunisia, nelle politiche di controllo delle frontiere e nei soccorsi in mare.

    2. Non è affatto vero dunque che sia passata la linea dell’Italia per due ragioni fondamentali. L’Italia chiedeva una erogazione immediata degli aiuti europei alla Tunisia e una cooperazione operativa nei respingimenti collettivi in mare ed anche la possibilità di riammissione in Tunisia di cittadini di paesi terzi ( non tunisini) giunti irregolarmente nel nostro territorio, o di cui fosse stata respinta la domanda di protezione nelle procedure in frontiera. Queste richieste della Meloni (e di Piantedosi) sono state respinte, e non rientrano nel Memorandum d’intesa che entro la fine del mese Saied dovrebbe sottoscrivere con l’Unione Europea (il condizionale è d’obbligo).

    Gli aiuti europei sono subordinati all’accettazione da parte di Saied delle condizioni poste dal Fondo Monetario internazionale per l’erogazione del prestito fin qui rifiutato dal presidente. Un prestito che sarebbe condizionato al rispetto di paramentri monetari e di abbattimento degli aiuti pubblici, e forse anche al rispetto dei diritti umani, che in questo momento non sono accettati dal presidente tunisino, ormai di fatto un vero e proprio autocrate. Con il quale la Meloni, ormai lanciata verso il presidenzialismo all’italiana, si riconosce più di quanto non facciano esponenti politici di altri paesi europei. Al punto che persino Mark Rutte, che nel suo paese ha attuato politiche migratorie ancora più drastiche di quelle propagandate dal governo italiano, richiama, alla fine del suo intervento, l’esigenza del rispetto dei diritti umani delle persone migranti, come perno del nuovo Memorandum d’intesa tra la Tunisia e l’Unione Europea.

    Per un altro verso, la “lnea dell’Italia”, dunque la politica dei “respingimenti su delega”, che si vorrebbe replicare con la Tunisia, sul modello di quanto avviene con le autorità libiche, delegando a motovedette, donate dal nostro paese e coordinate anche dall’agenzia europea Frontex, i respingimenti collettivi in acque internazionali, non sembra di facile applicazione per evidenti ragioni geografiche e geopolitiche.

    La Tunisia non e’ la Libia (o la Turchia), le autorità centrali hanno uno scarso controllo dei punti di partenza dei migranti e la corruzione è molto diffusa. Sembra molto probabile che le partenze verso l’Italia continueranno ad aumentare in modo esponenziale nelle prossime settimane. Aumentare le dotazioni di mezi e i supporti operativi in favore delle motovedette tunisine si è già dimostrata una politica priva di efficacia e semmai foriera di stragi in mare. Sulle stragi in mare neppure una parola dopo il vertice di Tunisi. Non è vero che la diminuzione delle partenze dalla Tunisia nel mese di maggio sia conseguenza della politica migratoria del governo Meloni, risultando soltanto una conseguenza di un mese caratterizzato da condizioni meteo particolarmente sfavorevoli, come ha riconosciuto anchel’OIM e l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR), e come tutti hanno potuto constatare anche in Italia. Vedremo con il ritorno dell’estate se le partenze dalla Tunisia registreranno ancora un calo.

    La zona Sar (di ricerca e salvataggio) tunisina si limita alle acque territoriali (12 miglia dalla costa) ed i controlli affidati alle motovedette tunisine non si possono svolgere oltre. Difficile che le motovedette tunisine si spingano nella zona Sar “libica” o in quella maltese. Continueranno ad intercettare a convenienza, quando i trafficanti non pagheranno abbastanza per corrompere, ed i loro interventi, condotti spesso con modalità di avvicinamento che mettono a rischio la vita dei naufraghi, non ridurranno di certo gli arrivi sulle coste italiane di cittadini tunisini e subsahariani. Per il resto il futuribile Memorandum d’intesa Tunisia-Libia, che ancora e’ una scatola vuota, e che l’Unione europea vincola al rispetto dei diritti umani, dunque anche agli obblighi internazionali di soccorso in mare, non può incidere in tempi brevi sui rapporti bilaterali tra Roma e Tunisi, che sono disciplinati da accordi bilaterali che si dovrebbero modificare successivamente, sempre in conformità con la legislazione ( e la Costituzione) italiana e la normativa euro-unitaria. Dunque non saranno ogettto di nuovi accordi a livello europeo con la Tunisia i respingimenti collettivi vietati dall’art.19 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e non si potranno realizzare, come vorrebero la Meloni e Piantedosi, deportazioni in Tunisia di cittadini di altri paesi terzi, peraltro esclusi dai criteri di “connessione” richiesti nella “proposta legislativa” adottata dal Consiglio dei ministri dell’interno di Lussemburgo. E si dovranno monitorare anche i respingimenti di cittadini tunisini in Tunisia, dopo la svolta autoritaria impressa dall’autocrate Saied che ha fatto arrestare giornalisti e sindacalisti, oltre che numerosi membri dei partiti di opposizione. In ogni caso non si dovranno dimenticare le condanne ricevute dall’Italia da parte della Corte europea dei diritti dell’Uomo, proprio per i respingimenti differiti effettuati ai danni di cittadini tunisini (caso Khlaifia). Faranno morire ancora centinaia di innocenti. Dare la colpa ai trafficanti non salva dal fallimento politico e morale nè l’Unione Europea nè il governo Meloni.

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    Saied, inaccettabili centri migranti in Tunisia

    (ANSA) – TUNISI, 11 GIU – Il presidente tunisino Kais Saied, nel suo incontro con la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, della presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen e del primo ministro olandese Mark Rutte “ha fatto notare che la soluzione che alcuni sostengono segretamente di ospitare in Tunisia migranti in cambio di somme di denaro è disumana e inaccettabile, così come le soluzioni di sicurezza si sono dimostrate inadeguate, anzi hanno aumentato le sofferenze delle vittime della povertà e delle guerre”. Lo si legge in un comunicato della presidenza tunisina, pubblicato al termine dell”incontro. (ANSA).

    2023-06-11 18:59

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    ANSA/Meloni e l”Ue incassano prima intesa ma Saied alza posta

    (dell”inviato Michele Esposito)

    (ANSA) – TUNISI, 11 GIU – Una visita lampo, una dichiarazione congiunta che potrebbe portare ad un cruciale memorandum d”intesa, un orizzonte ancora confuso dal continuo alzare la posta di Kais Saied. Il vertice tra Ursula von der Leyen, Giorgia Meloni, Mark Rutte e il presidente tunisino potrebbe segnare un prima e un dopo nei rapporti tra l”Ue e il Paese nordafricano. Al tavolo del palazzo presidenziale di Cartagine, per oltre due ore, i quattro hanno affrontato dossier a dir poco spigolosi, dalla gestione dei migranti alla necessità di un”intesa tra Tunisia e Fmi. La luce verde sulla prima intesa alla fine si è accesa. “E” un passo importante, dobbiamo arrivare al Consiglio europeo con un memorandum già siglato tra l”Ue e la Tunisia”, è l”obiettivo fissato da Meloni, che ha rilanciato il ruolo di prima linea dell”Italia nei rapporti tra l”Europa e la sponda Sud del Mediterraneo. Nel Palazzo voluto dal padre della patria tunisino, Habib Bourguiba, von der Leyen, Meloni e Rutte sono arrivati con l”ideale divisa del Team Europe. I tre, di fatto, hanno rappresentato l”intera Unione sin da quando, a margine del summit in Moldavia della scorsa settimana, è nata l”idea di accelerare sul dossier tunisino. I giorni successivi sono stati segnati da frenetici contatti tra gli sherpa. Il compromesso, iniziale e generico, alla fine è arrivato. L”Ue sborserà sin da subito, e senza attendere il Fondo Monetario Internazionale, 150 milioni di euro a sostegno del bilancio tunisino. E” un primo passo ma di certo non sufficiente per Saied. Sulla seconda parte del sostegno europeo, il pacchetto di assistenza macro-finanziaria da 900 milioni, l”Ue tuttavia non ha cambiato idea: sarà sborsato solo dopo l”intesa tra Saied e l”Fmi. Intesa che appare ancora lontana: poco dopo la partenza dei tre leader europei, la presidenza tunisina ha infatti invitato il Fondo a “rivedere le sue ricette” ed evitare “diktat”, sottolineando che gli aiuti da 1,9 miliardi, sotto forma di prestiti, “non porteranno benefici” alla popolazione. La difficoltà di mettere il punto finale al negoziato tra Ue e Tunisia sta anche in un altro dato: la stessa posizione europea è frutto di un compromesso tra gli Stati membri. Non è un caso, ad esempio, che sia stato Rutte, portatore delle istanze dei Paesi del Nord, a spiegare come la cooperazione tra Ue e Tunisia sulla gestione dei flussi irregolari debba avvenire “in accordo con i diritti umani”. La dichiarazione congiunta, in via generica, fa riferimento ai principali nodi legati ai migranti: le morti in mare, la necessità di aumentare i rimpatri dell”Europa degli irregolari, la lotta ai trafficanti. Von der Leyen ha messo sul piatto sovvenzioni da 100 milioni di euro per sostenere i tunisini nel contrasto al traffico illegale e nelle attività di search & rescue. Meloni, dal canto suo, ha annunciato “una conferenza su migrazione e sviluppo in Italia, che sarà un ulteriore tappa nel percorso del partenariato” tra l”Ue e Tunisi. Saied ha assicurato il suo impegno sui diritti umani e nella chiusura delle frontiere sud del Paese, ma sui rimpatri la porta è aperta solo a quella per i tunisini irregolari. L”ipotesi che la Tunisia, come Paese di transito sicuro, ospiti anche i migranti subsahariani, continua a non decollare. “L”idea, che alcuni sostengono segretamente, che il Paese ospiti centri per i migranti in campo di somme di danaro è disumana e inaccettabile”, ha chiuso Saied. La strada, insomma, rimane in salita. La strategia dell”Ue resta quella adottata sin dalla prima visita di un suo commissario – Paolo Gentiloni – lo scorso aprile: quella di catturare il sì di Saied con una partnership economica ed energetica globale e di lungo periodo, in cui la migrazione non è altro che un ingranaggio. Ma Tunisi, su diritti e rule of law, deve fare di più. “L”Ue vuole investire nella stabilità tunisina. Le difficoltà del suo percorso democratico si possono superare”, ha detto von der Leyen. Delineando la mano tesa dell”Europa ma anche la linea rossa entro la quale va inquadrata la nuova partnership. (ANSA).

    2023-06-11 19:55

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    Statement 11 June 2023 Tunis
    The European Union and Tunisia agreed to work together on a comprehensive partnership package (https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/en/statement_23_3202)

    European Commission – Statement
    The European Union and Tunisia agreed to work together on a comprehensive partnership package
    Tunis, 11 June 2023

    Building on our shared history, geographic proximity, and strong relationship, we have agreed towork together on a comprehensive partnership package, strengthening the ties that bind us in a mutually beneficial manner.
    We believe there is enormous potential to generate tangible benefits for the EU and Tunisia. The comprehensive partnership would cover the following areas:

    - Strengthening economic and trade ties ,

    - A sustainable and competitive energy partnership

    - Migration

    - People-to-people contacts

    The EU and Tunisia share strategic priorities and in all these areas, we will gain from working together more closely.
    Our economic cooperation will boost growth and prosperity through stronger trade and investment links, promoting opportunities for businesses including small and medium sized enterprises. Economic support, including in the form of Macro Financial Assistance, will also be considered. Our energy partnership will assist Tunisia with the green energy transition, bringing down costs and creating the framework for trade in renewables and integration with the EU market.
    As part of our joint work on migration, the fight against irregular migration to and from Tunisia and the prevention of loss of life at sea, is a common priority, including fighting against smugglers and human traffickers, strengthening border management, registration and return in full respect of human rights.
    People-to-people contacts are central to our partnership and this strand of work will encompass stronger cooperation on research, education, and culture, as well as developing Talent Partnerships, opening up new opportunities for skills development and mobility, especially for youth.

    Enhanced political and policy dialogue within the EU-Tunisia Association Council before the end of the year will offer an important opportunity to reinvigorate political and institutional ties, with the aim of addressing common international challenges together and preserving the rules-based order.
    We have tasked the Minister of Foreign Affairs, Migration and Tunisians Abroad and the
    Commissioner for Neighbourhood and Enlargement to work out a Memorandum of Understanding on the comprehensive partnership package, to be endorsed by Tunisia and the European Union before the end of June.

    https://www.a-dif.org/2023/06/11/la-tunisia-rifiuta-i-respingimenti-collettivi-e-le-deportazioni-di-migranti-i

    #Tunisie #externalisation #asile #migrations #réfugiés #Memorandum_of_Understanding (#MoU) #Italie #frontières #externalisation_des_frontières #réadmission #accord_de_réadmission #refoulements_collectifs #pays_tiers_sûr #développement #aide_au_développement #conditionnalité_de_l'aide #énergie #énergies_renouvelables

    #modèle_tunisien

    • EU offers Tunisia over €1bn to stem migration

      Brussels proposes €255mn in grants for Tunis, linking longer-term loans of up to €900mn to reforms

      The EU has offered Tunisia more than €1bn in a bid to help the North African nation overcome a deepening economic crisis that has prompted thousands of migrants to cross the Mediterranean Sea to Italy.

      The financial assistance package was announced on Sunday in Tunis after Ursula von der Leyen, accompanied by the prime ministers of Italy and the Netherlands, Giorgia Meloni and Mark Rutte, met with Tunisian president Kais Saied. The proposal still requires the endorsement of other EU governments and will be linked to Tunisian authorities passing IMF-mandated reforms.

      Von der Leyen said the bloc is prepared to mobilise €150mn in grants “right now” to boost Tunisia’s flagging economy, which has suffered from surging commodity prices linked to Russia’s invasion of Ukraine. Further assistance in the form of loans, totalling €900mn, could be mobilised over the longer-term, she said.

      In addition, Europe will also provide €105mn in grants this year to support Tunisia’s border management network, in a bid to “break the cynical business model of smugglers and traffickers”, von der Leyen said. The package is nearly triple what the bloc has so far provided in migration funding for the North African nation.

      The offer of quick financial support is a boost for Tunisia’s embattled president, but longer-term support is contingent on him accepting reforms linked to a $1.9bn IMF package, a move Saied has been attempting to defer until after presidential elections next year.

      Saied has refused to endorse the IMF loan agreement agreed in October, saying he rejected foreign “diktats” that would further impoverish Tunisians. The Tunisian leader is wary of measures such as reducing energy subsidies and speeding up the privatisation of state-owned enterprises as they could damage his popularity.

      Meloni, who laid the groundwork for the announcement after meeting with Saied on Tuesday, has been pushing Washington and Brussels for months to unblock financial aid for Tunisia. The Italian leader is concerned that if the north African country’s economy imploded, it would trigger an even bigger wave of people trying to cross the Mediterranean.

      So far this year, more than 53,000 migrants have arrived in Italy by boat, more than double compared with the same period last year — with a sharp increase in boats setting out from Tunisia one factor behind the surge.

      The agreement was “an important step towards creating a true partnership to address the migration crisis,” Meloni said on Sunday.

      In February, Saied stoked up racist violence against people from sub-Saharan African countries by saying they were part of a plot to change Tunisia’s demographic profile.

      His rhetoric has softened in an apparent bid to improve the image of the deal with the EU. Visiting a camp on Saturday, he criticised the treatment of migrants “as mere numbers”. However, he added, “it is unacceptable for us to play the policeman for other countries”.

      The Tunisian Forum for Economic and Social Rights think-tank criticised the EU’s visit on Sunday as “an attempt to exploit [Tunisia’s] political, economic and social fragility”.

      The financial aid proposal comes days after European governments agreed on a long-awaited migration package that will speed up asylum proceedings and make it easier for member states to send back people who are denied asylum.

      The package also includes proposals to support education, energy and trade relations with the country, including by investing in Tunisia’s renewable energy network and allowing Tunisian students to take part in student exchange programme Erasmus+.

      The presence of the Dutch prime minister, usually a voice for fiscally conservative leaders in the 27-strong bloc, indicated that approval of the package would not be as difficult to achieve as other foreign funding requests. The Netherlands, while not a frontline country like Italy, has also experienced a spike in so-called secondary migration, as many of the people who arrive in southern Europe travel on and apply for asylum in northern countries.

      Calling the talks “excellent”, Rutte said that “the window is open, we all sense there’s this opportunity to foster this relationship between the EU and Tunisia”.

      https://www.ft.com/content/82d6fc8c-ee95-456a-a4e1-8c2808922da3

    • Migrations : les yeux doux de #Gérald_Darmanin au président tunisien

      Pour promouvoir le Pacte sur la migration de l’Union européenne, le ministre de l’Intérieur en visite à Tunis a flirté avec les thèses controversées de Kais Saied, présentant le pays comme une « victime » des flux de réfugiés.

      Quand on sait que l’on n’obtiendra pas ce que l’on désire de son hôte, le mieux est de porter la faute sur un tiers. Le ministre français de l’Intérieur, Gérald Darmanin, a fait sienne cette stratégie durant sa visite dimanche 18 et lundi 19 juin en Tunisie. Et tant pis pour les pays du Sahel, victimes collatérales d’un échec annoncé.

      Accompagné de son homologue allemande, Nancy Faeser, le premier flic de France était en Tunisie pour expliquer au président tunisien Kais Saied le bien-fondé du Pacte sur la migration et l’asile en cours de validation dans l’Union européenne. Tel quel, il pourrait faire de la Tunisie un pays de transit ou d’établissement pour les migrants refoulés au nord de la Méditerranée. La Tunisie n’a jamais accepté officiellement d’être le gardien des frontières de l’Europe, même du temps du précédent président de la République, Béji Caïd Essebsi – officieusement, les gardes-côtes ont intercepté plus de 23 000 migrants de janvier à mai. Ce n’est pas le très panarabisant Kais Saied qui allait céder.

      Surtout que le chef de l’Etat aux méthodes autoritaires avait déjà refusé pareille proposition la semaine dernière, lors de la visite de la présidente de la Commission européenne, Ursula von der Leyen, accompagnée de Giorgia Meloni et Mark Rutte, chefs du gouvernement italien et néerlandais, malgré les promesses de plus d’un milliard d’euros d’aides à long terme (des projets budgétés de longue date pour la plupart). Kais Saied avait encore réitéré son refus au téléphone le 14 juin à Charles Michel, le président du Conseil européen.
      « Grand remplacement »

      Peu de chance donc que Gérald Darmanin et Nancy Faeser, « simples » ministres de l’Intérieur aient plus de succès, bien que leurs pays pèsent « 40 % du budget de l’Union européenne », comme l’a malicieusement glissé le ministre français. Alors pour ne pas repartir complètement bredouille, le locataire de la place Beauvau a promis du concret et flirté avec les thèses très controversées de Kais Saied.

      La France a promis une aide bilatérale de 25,8 millions d’euros pour « acquérir les équipements nécessaires et organiser les formations utiles, des policiers et des gardes-frontières tunisiens pour contenir le flux irrégulier de migrants ». Darmanin a surtout assuré que la Tunisie ne deviendra pas « la garde-frontière de l’Union européenne, ce n’est pas sa vocation ». Au contraire, il a présenté l’ancienne puissance carthaginoise comme une « victime » du flux migratoire.

      « Les Tunisiens qui arrivent de manière irrégulière sur le territoire européen sont une portion très congrue du nombre de personnes qui traversent à partir de la Tunisie la Méditerranée pour venir en Europe. Il y a beaucoup de Subsahariens notamment qui prennent ces routes migratoires », a ajouté le ministre de l’Intérieur français. Un argument martelé depuis des mois par les autorités tunisiennes. Dans un discours reprenant les thèses du « grand remplacement », Kais Saied, le 21 février, avait provoqué une campagne de haine et de violence contre les Subsahariens. Ces derniers avaient dû fuir par milliers le pays. Sans aller jusque-là, Gérald Darmanin a joué les VRP de Kais Saied, déclarant qu’« à la demande de la Tunisie », la France allait jouer de ses « relations diplomatiques privilégiées » avec ces pays (Côte d’Ivoire, Sénégal, Cameroun, notamment) pour « prévenir ces flux ». Si les migrants arrivant par bateaux en Italie sont, pour beaucoup, des Subsahariens – le nombre d’Ivoiriens a été multiplié par plus de 7 depuis le début de l’année par rapport à l’an dernier à la même période –, les Tunisiens demeurent, selon le HCR, la première nationalité (20 %) à débarquer clandestinement au sud de l’Europe depuis 2021.
      Préférence pour Giorgia Meloni

      Gérald Darmanin a quand même soulevé un ancien contentieux : le sort de la vingtaine de Tunisiens radicalisés et jugés dangereux actuellement présents sur le territoire français de façon illégale. Leur retour en Tunisie pose problème. Le ministre français a affirmé avoir donné une liste de noms (sans préciser le nombre) à son homologue tunisien. En attendant de savoir si son discours contribuera à réchauffer les relations avec le président tunisien – ce dernier ne cache pas sa préférence pour le franc-parler de Giorgia Meloni, venue deux fois ce mois-ci – Gérald Darmanin a pu profiter de prendre le café avec Iheb et Siwar, deux Tunisiens réinstallés dans leur pays d’origine via une aide aux retours volontaires mis en place par l’Office français de l’immigration et de l’intégration. En 2022, les Tunisiens ayant eu recours à ce programme étaient… 79. Quand on est envoyé dans une guerre impossible à gagner, il n’y a pas de petite victoire.

      https://www.liberation.fr/international/afrique/migrations-les-yeux-doux-de-gerald-darmanin-au-president-tunisien-2023061
      #Darmanin #France

    • Crisi economica e rimpatri: cosa stanno negoziando Ue e Tunisia

      Con l’economia del Paese nordafricano sempre più in difficoltà, l’intreccio tra sostegno finanziario ed esternalizzazione delle frontiere si fa sempre più stretto. E ora spunta una nuova ipotesi: rimpatriare in Tunisia anche cittadini di altri Paesi

      Durante gli ultimi mesi di brutto tempo in Tunisia, il governo italiano ha più volte dichiarato di aver compiuto «numerosi passi avanti nella difesa dei nostri confini», riferendosi al calo degli arrivi di migranti via mare dal Paese nordafricano. Ora che il sole estivo torna a splendere sulle coste del Sud tunisino, però, le agenzie stampa segnalano un nuovo «aumento delle partenze». Secondo l’Ansa, durante le notti del 18 e 19 giugno, Lampedusa ha contato prima dodici, poi altri quindici sbarchi. Gli arrivi sono stati 18, con 290 persone in totale, anche tra la mezzanotte e le due del 23 giugno. Come accadeva durante i mesi di febbraio e marzo, a raggiungere le coste siciliane sono soprattutto ivoriani, malesi, ghanesi, nigeriani, sudanesi, egiziani. I principali porti di partenza delle persone che raggiungono l’Italia via mare, nel 2023, si trovano soprattutto in Tunisia.

      È durante questo giugno piovoso che la presidente del Consiglio Giorgia Meloni è atterrata a Tunisi non una ma ben due volte, con l’intento di negoziare quello che ha tutta l’aria di uno scambio: un maggior sostegno finanziario al bilancio di una Tunisia sempre più in crisi in cambio di ulteriori azioni di militarizzazione del Mediterraneo centrale. Gli aiuti economici promessi da Bruxelles, necessari perché la Tunisia eviti la bancarotta, sono condizionati alla firma di un nuovo accordo con il Fondo monetario internazionale. Il prezzo da pagare, però, sono ulteriori passi avanti nel processo di esternalizzazione della frontiera dell’Unione europea. Un processo già avviato da anni che, come abbiamo raccontato nelle precedenti puntate di #TheBigWall, si è tradotto in finanziamenti alla Tunisia per un valore di 59 milioni di euro dal 2011 a oggi, sotto forma di una lunga lista di equipaggiamenti a beneficio del ministero dell’Interno tunisino.

      Che l’Italia si stia nuovamente muovendo in questo senso, è stato reso noto dalla documentazione raccolta tramite accesso di richiesta agli atti da IrpiMedia in collaborazione con ActionAid sull’ultimo finanziamento di 12 milioni di euro approvato a fine 2022. A dimostrarlo, è anche l’ultima gara d’appalto pubblicata da Unops, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Servizi di Progetto, che dal 2020 fa da intermediario tra il inistero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale italiano (Maeci) e il ministero dell’Interno tunisino, per la fornitura di sette nuove motovedette, in scadenza proprio a giugno.

      Le motovedette si sommano al recente annuncio, reso noto da Altreconomia a marzo 2023, della fornitura di 100 pick-up Nissan Navara alla Guardia nazionale tunisina. Con una differenza, però: Roma non negozia più da sola con Tunisi, ma si impone come mediatrice tra il Paese nordafricano e l’Unione europea. Secondo le informazioni confidenziali diffuse da una fonte diplomatica vicina ai negoziati Tunisia-Ue, la lista più recente sottoposta dalla Tunisia alla Commissione europea includerebbe anche «droni, elicotteri e nuove motovedette per un totale di ulteriori 200 milioni di euro». Durante la visita del 19 giugno, anche la Francia ha annunciato un nuovo sostegno economico a Tunisi del valore di 26 milioni di euro finalizzato a «contrastare la migrazione».

      Il prezzo del salvataggio dalla bancarotta sono i migranti

      Entro fine giugno è attesa la firma del nuovo memorandum tra Unione europea e Tunisia. Ad annunciarlo è stata la presidente della Commissione Ue Ursula Von der Leyen, arrivata a Tunisi l’11 giugno insieme a Giorgia Meloni e a Mark Rutte, il primo ministro olandese.

      La visita ha fatto seguito al Consiglio dell’Ue, il vertice che riunisce i ministri competenti per discutere e votare proposte legislative della Commissione in cui sono stati approvati alcuni provvedimenti che faranno parte del Patto sulla migrazione e l’asilo. L’intesa, che dovrebbe sostituire anche il controverso Regolamento di Dublino ma deve ancora essere negoziata con l’Europarlamento, si lega alle trattative con la Tunisia. Tra i due dossier esiste un parallelismo tracciato dalla stessa Von Der Leyen che, a seguito del recente naufragio di fronte alle coste greche, ha dichiarato: «Sulla migrazione dobbiamo agire in modo urgente sia sul quadro delle regole che in azioni dirette e concrete. Per esempio, il lavoro che stiamo facendo con la Tunisia per stabilizzare il Paese, con l’assistenza finanziaria e investendo nella sua economia».

      Nel frattempo, in Tunisia, la situazione economica si è fatta sempre più complicata. Il 9 giugno, infatti, l’agenzia di rating Fitch ha declassato il Paese a “-CCC” per quanto riguarda l’indice Idr, Issuer default ratings, ovvero il misuratore della capacità di solvenza di aziende e fondi sovrani. Più è basso, più è alta la possibilità, secondo Fitch, che il Paese (o la società, quando l’indice Idr si applica alle società) possa finire in bancarotta. Colpa principalmente delle trattative fallite tra il governo di Tunisi e il Fondo monetario internazionale (Fmi): ad aprile 2023, il presidente Kais Saied ha rifiutato pubblicamente un prestito da 1,9 miliardi di dollari.

      Principale ragione del diniego tunisino sono stati i «diktat», ha detto Saied il 6 aprile, imposti dal Fmi, cioè una serie di riforme con possibili costi sociali molto alti. Al discorso, sono seguite settimane di insistente lobbying da parte italiana, a Tunisi come a Washington, perché si tornasse a discutere del prestito. Gli aiuti promessi da Von Der Leyen in visita a Tunisi (900 milioni di euro di prestito condizionato, oltre ai 150 milioni di sostegno bilaterale al bilancio) sono infatti condizionati al sì dell’Fmi.

      La Tunisia, quindi, ha bisogno sempre più urgentemente di sostegno finanziario internazionale per riuscire a chiudere il bilancio del 2023 e a rispettare le scadenze del debito pubblico estero. E le trattative per fermare i flussi migratori si intensificano. A giugno 2023, come riportato da AnsaMed, Meloni ha dichiarato di voler «risolvere alla partenza» la questione migranti, proprio durante la firma del Patto sull’asilo a Bruxelles. Finanziamenti in cambio di misure di controllo delle partenze, quindi. Ma di che tipo? Per un’ipotesi che tramonta, un’altra sembra prendere corpo.
      I negoziati per il nuovo accordo di riammissione

      La prima ipotesi è trasformare la Tunisia in un hotspot, una piattaforma esterna all’Unione europea per lo smistamento di chi avrebbe diritto a una forma di protezione e chi invece no. È un’idea vecchia, che compariva già nelle bozze di accordi Ue-Tunisia fermi al 2018, dove si veniva fatto esplicito riferimento ad «accordi regionali di sbarco» tra Paesi a Nord del Mediterraneo e Paesi a Sud, e a «piattaforme di sbarco […] complementari a centri controllati nel territorio Ue». All’epoca, la Tunisia rispose con un secco «no» e anche oggi sembra che l’esito sarà simile. Secondo una fonte vicina alle trattative in corso per il memorandum con l’Ue, «è improbabile che la Tunisia accetti di accogliere veri e propri centri di smistamento sul territorio».

      L’opinione del presidente tunisino Kais Saied, infatti, è ben diversa dai toni concilianti con i quali ha accolto i rappresentanti politici europei, da Meloni ai ministri dell’Interno di Francia (Gérald Darmanin) e Germania (Nancy Faeser), questi ultimi incontrati lo scorso 19 giugno. Saied ha più volte ribadito che «non saremo i guardiani dell’Europa», provando a mantenere la sua immagine pubblica di “anti-colonialista” e sovranista.

      Sotto la crescente pressione economica, esiste comunque la possibilità che il presidente tunisino scenda a più miti consigli e rivaluti l’idea della Tunisia come hotspot. In questo scenario, i Paesi Ue potrebbero rimandare in Tunisia non solo persone tunisine a cui è negata la richiesta d’asilo, ma anche persone di altre nazionalità che hanno qualche tipo di legame (ancora tutto da definire nei dettagli) con la Tunisia. Il memorandum Tunisia-Ue, quindi, potrebbe includere delle clausole relative non solo ai rimpatri dei cittadini tunisini, ma anche alle riammissioni di cittadini di altri Paesi.

      A sostegno di questa seconda ipotesi ci sono diversi elementi. Il primo è un documento della Commissione europea sulla cooperazione estera in ambito migratorio, visionato da IrpiMedia, datato maggio 2022, ma anticipato da una bozza del 2017. Nel documento, in riferimento a futuri accordi di riammissione, si legge che la Commissione avrebbe dovuto lanciare, «entro la fine del 2022», «i primi partenariati con i Paesi nordafricani, tra cui la Tunisia». Il secondo elemento è contenuto nell’accordo raggiunto dal Consiglio sul Patto. Su pressione dell’Italia, la proposta di legge prevede la possibilità di mandare i richiedenti asilo in un Paese terzo considerato sicuro, sulla base di una serie di fattori legati al rispetto dei diritti umani in generale e dei richiedenti asilo più nello specifico.
      I dubbi sulla Tunisia, Paese terzo sicuro

      A marzo 2023 – durante il picco di partenze dalla Tunisia a seguito di un violento discorso del presidente nei confronti della comunità subsahariana nel Paese – la lista dei Paesi di origine considerati sicuri è stata aggiornata, e include ormai non solo la Tunisia stessa, sempre più insicura, come raccontato nelle puntate precedenti, ma anche la Costa d’Avorio, il Ghana, la Nigeria. Che rappresentano ormai le prime nazionalità di sbarco.

      In questo senso, aveva attirato l’attenzione la richiesta da parte delle autorità tunisine a inizio 2022 di laboratori mobili per il test del DNA, utilizzati spesso nei commissariati sui subsahariani in situazione di regolarità o meno. Eppure, nel contesto la situazione della comunità subsahariana nel Paese resta estremamente precaria. Solo la settimana scorsa un migrante di origine non chiara, ma subsahariano, è stato accoltellato nella periferia di Sfax, dove la tensione tra famiglie tunisine in situazioni sempre più precarie e subsahariani continua a crescere.

      Malgrado un programma di ritorno volontario gestito dall’Organizzazione internazionale delle migrazioni (Oim), continua a esistere una tendopoli di fronte alla sede dell’organizzazione internazionale. La Tunisia, dove manca un quadro legale sul diritto di asilo che tuteli quindi chi viene riconosciuto come rifugiato da UNHCR, continua a non essersi dotata di una zona Sar (Search & Rescue). Proprio a questo fa riferimento esplicito la bozza del nuovo patto sull’asilo firmato a Bruxelles. Una delle condizioni richieste, allora, potrebbe essere proprio quella di notificare all’Organizzazione marittima internazionale (Imo) una zona Sar una volta ottenuti tutti gli equipaggiamenti richiesti dal ministero dell’Interno tunisino.

      https://irpimedia.irpi.eu/thebigwall-crisi-economica-rimpatri-cosa-stanno-negoziando-ue-tunisia
      #crise_économique #UE #externalisation

    • Pour garder ses frontières, l’Europe se précipite au chevet de la Tunisie

      Alors que le régime du président #Kaïs_Saïed peine à trouver un accord avec le #Fonds_monétaire_international, la Tunisie voit plusieurs dirigeants européens — notamment italiens et français — voler à son secours. Un « soutien » intéressé qui vise à renforcer le rôle de ce pays comme garde-frontière de l’Europe en pleine externalisation de ses frontières.

      C’est un fait rarissime dans les relations internationales. En l’espace d’une semaine, la présidente du Conseil italien, Giorgia Meloni, aura effectué deux visites à Tunis. Le 7 juin, la dirigeante d’extrême droite n’a passé que quelques heures dans la capitale tunisienne. Accueillie par son homologue Najla Bouden, elle s’est ensuite entretenue avec le président Kaïs Saïed qui a salué, en français, une « femme qui dit tout haut ce que d’autres pensent tout bas ». Quatre jours plus tard, c’est avec une délégation européenne que la présidente du Conseil est revenue à Tunis.

      Accompagnée de la présidente de la Commission européenne #Ursula_von_der_Leyen et du premier ministre néerlandais #Mark_Rutte, Meloni a inscrit à l’agenda de sa deuxième visite les deux sujets qui préoccupent les leaders européens : la #stabilité_économique de la Tunisie et, surtout, la question migratoire, reléguant au second plan les « #valeurs_démocratiques ».

      Un pacte migratoire

      À l’issue de cette rencontre, les Européens ont proposé une série de mesures en faveur de la Tunisie : un #prêt de 900 millions d’euros conditionné à la conclusion de l’accord avec le Fonds monétaire international (#FMI), une aide immédiate de 150 millions d’euros destinée au budget, ainsi que 105 millions pour accroitre la #surveillance_des_frontières. Von der Leyen a également évoqué des projets portant sur l’internet à haut débit et les énergies vertes, avant de parler de « rapprochement des peuples ». Le journal Le Monde, citant des sources bruxelloises, révèle que la plupart des annonces portent sur des fonds déjà budgétisés. Une semaine plus tard, ce sont #Gérald_Darmanin et #Nancy_Faeser, ministres français et allemande de l’intérieur qui se rendent à Tunis. Une #aide de 26 millions d’euros est débloquée pour l’#équipement et la #formation des gardes-frontières tunisiens.

      Cet empressement à trouver un accord avec la Tunisie s’explique, pour ces partenaires européens, par le besoin de le faire valoir devant le Parlement européen, avant la fin de sa session. Déjà le 8 juin, un premier accord a été trouvé par les ministres de l’intérieur de l’UE pour faire évoluer la politique des 27 en matière d’asile et de migration, pour une meilleure répartition des migrants. Ainsi, ceux qui, au vu de leur nationalité, ont une faible chance de bénéficier de l’asile verront leur requête examinée dans un délai de douze semaines. Des accords devront également être passés avec certains pays dits « sûrs » afin qu’ils récupèrent non seulement leurs ressortissants déboutés, mais aussi les migrants ayant transité par leur territoire. Si la Tunisie acceptait cette condition, elle pourrait prendre en charge les milliers de subsahariens ayant tenté de rejoindre l’Europe au départ de ses côtes.

      Dans ce contexte, la question des droits humains a été esquivée par l’exécutif européen. Pourtant, en mars 2023, les eurodéputés ont voté, à une large majorité, une résolution condamnant le tournant autoritaire du régime. Depuis le mois de février, les autorités ont arrêté une vingtaine d’opposants dans des affaires liées à un « complot contre la sûreté de l’État ». Si les avocats de la défense dénoncent des dossiers vides, le parquet a refusé de présenter sa version.

      L’allié algérien

      Depuis qu’il s’est arrogé les pleins pouvoirs, le 25 juillet 2021, Kaïs Saïed a transformé la Tunisie en « cas » pour les puissances régionales et internationales. Dans les premiers mois qui ont suivi le coup de force, les pays occidentaux ont oscillé entre « préoccupations » et compréhension. Le principal cadre choisi pour exprimer leurs inquiétudes a été celui du G 7. C’est ainsi que plusieurs communiqués ont appelé au retour rapide à un fonctionnement démocratique et à la mise en place d’un dialogue inclusif. Mais, au-delà des proclamations de principe, une divergence d’intérêts a vite traversé ce groupement informel, séparant les Européens des Nord-Américains. L’Italie — et dans une moindre mesure la France — place la question migratoire au centre de son débat public, tandis que les États-Unis et le Canada ont continué à orienter leur communication vers les questions liées aux droits et libertés. En revanche, des deux côtés de l’Atlantique, le soutien à la conclusion d’un accord entre Tunis et le FMI a continué à faire consensus.

      La fin de l’unanimité occidentale sur la question des droits et libertés va faire de l’Italie un pays à part dans le dossier tunisien. Depuis 2022, Rome est devenue le premier partenaire commercial de Tunis, passant devant la France. Ce changement coïncide avec un autre bouleversement : la Tunisie est désormais le premier pays de départ pour les embarcations clandestines en direction de l’Europe, dans le bassin méditerranéen. Constatant que la Tunisie de Kaïs Saïed a maintenu une haute coopération en matière de #réadmission des Tunisiens clandestins expulsés du territoire italien, Rome a compris qu’il était dans son intérêt de soutenir un régime fort et arrangeant, en profitant de son rapprochement avec l’Algérie d’Abdelmadjid Tebboune, qui n’a jamais fait mystère de son soutien à Kaïs Saïed. Ainsi, en mai 2022, le président algérien a déclaré qu’Alger et Rome étaient décidées à sortir la Tunisie de « son pétrin ». Les déclarations de ce type se sont répétées sans que les autorités tunisiennes, d’habitude plus promptes à dénoncer toute ingérence, ne réagissent publiquement. Ce n’est pas la première fois que l’Italie et l’#Algérie — liées par un #gazoduc traversant le territoire tunisien — s’unissent pour soutenir un pouvoir autoritaire en Tunisie. Déjà, en 1987, Zine El-Abidine Ben Ali a consulté Rome et Alger avant de déposer le président Habib Bourguiba.

      L’arrivée de Giorgia Meloni au pouvoir en octobre 2022 va doper cette relation. La dirigeante d’extrême droite, élue sur un programme de réduction drastique de l’immigration clandestine, va multiplier les signes de soutien au régime en place. Le 21 février 2023, un communiqué de la présidence tunisienne dénonce les « menaces » que font peser « les hordes de migrants subsahariens » sur « la composition démographique tunisien ». Alors que cette déclinaison tunisienne de la théorie du « Grand Remplacement » provoque l’indignation, — notamment celle de l’Union africaine (UA) — l’Italie est le seul pays à soutenir publiquement les autorités tunisiennes. Depuis, la présidente du Conseil italien et ses ministres multiplient les efforts diplomatiques pour que la Tunisie signe un accord avec le FMI, surtout depuis que l’UE a officiellement évoqué le risque d’un effondrement économique du pays.

      Contre les « diktats du FMI »

      La Tunisie est en crise économique au moins depuis 2008. Les dépenses sociales engendrées par la révolution, les épisodes terroristes, la crise du Covid et l’invasion de l’Ukraine par la Russie n’ont fait qu’aggraver la situation du pays.

      L’accord avec l’institution washingtonienne est un feuilleton à multiples rebondissements. Fin juillet 2021, avant même la nomination d’un nouveau gouvernement, Saïed charge sa nouvelle ministre des Finances Sihem Namsia de poursuivre les discussions en vue de l’obtention d’un prêt du FMI, prélude à une série d’aides financières bilatérales. À mesure que les pourparlers avancent, des divergences se font jour au sein du nouvel exécutif. Alors que le gouvernement de Najla Bouden semble disposé à accepter les préconisations de l’institution financière (restructuration et privatisation de certaines entreprises publiques, arrêt des subventions sur les hydrocarbures, baisse des subventions sur les matières alimentaires), Saïed s’oppose à ce qu’il qualifie de « diktats du FMI » et dénonce une politique austéritaire à même de menacer la paix civile. Cela ne l’empêche pas de promulguer la loi de finances de l’année 2023 qui reprend les principales préconisations de l’institution de Bretton Woods.

      En octobre 2022, un accord « technique » a été trouvé entre les experts du FMI et ceux du gouvernement tunisien et la signature définitive devait intervenir en décembre. Mais cette dernière étape a été reportée sine die, sans aucune explication.

      Ces dissensions au sein d’un exécutif censé plus unitaire que sous le régime de la Constitution de 2014 trouvent leur origine dans la vision économique de Kaïs Saïed. Après la chute de Ben Ali, les autorités de transition ont commandé un rapport sur les mécanismes de corruption du régime déchu. Le document final, qui pointe davantage un manque à gagner (prêts sans garanties, autorisations indument accordées…) que des détournements de fonds n’a avancé aucun chiffre. Mais en 2012, le ministre des domaines de l’État Slim Ben Hmidane a avancé celui de 13 milliards de dollars (11,89 milliards d’euros), confondant les biens du clan Ben Ali que l’État pensait saisir avec les sommes qui se trouvaient à l’étranger. Se saisissant du chiffre erroné, Kaïs Saïed estime que cette somme doit être restituée et investie dans les régions marginalisées par l’ancien régime. Le 20 mars 2022, le président promulgue une loi dans ce sens et nomme une commission chargée de proposer à « toute personne […] qui a accompli des actes pouvant entraîner des infractions économiques et financières » d’investir l’équivalent des sommes indument acquises dans les zones sinistrées en échange de l’abandon des poursuites.

      La mise en place de ce mécanisme intervient après la signature de l’accord technique avec le FMI. Tandis que le gouvernement voulait finaliser le pacte avec Washington, Saïed mettait la pression sur la commission d’amnistie afin que « la Tunisie s’en sorte par ses propres moyens ». Constatant l’échec de sa démarche, le président tunisien a préféré limoger le président de la commission et dénoncer des blocages au sein de l’administration. Depuis, il multiplie les appels à un assouplissement des conditions de l’accord avec le FMI, avec l’appui du gouvernement italien. Le 12 juin 2023, à l’issue d’une rencontre avec son homologue italien, Antonio Tajani, le secrétaire d’État américain Anthony Blinken s’est déclaré ouvert à ce que Tunis présente un plan de réforme révisé au FMI.

      Encore une fois, les Européens font le choix de soutenir la dictature au nom de la stabilité. Si du temps de Ben Ali, l’islamisme et la lutte contre le terrorisme étaient les principales justifications, c’est aujourd’hui la lutte contre l’immigration, devenue l’alpha et l’oméga de tout discours politique et électoraliste dans une Europe de plus en plus à droite, qui sert de boussole. Mais tous ces acteurs négligent le côté imprévisible du président tunisien, soucieux d’éviter tout mouvement social à même d’affaiblir son pouvoir. À la veille de la visite de la délégation européenne, Saïed s’est rendu à Sfax, deuxième ville du pays et plaque tournante de la migration clandestine. Il est allé à la rencontre des populations subsahariennes pour demander qu’elles soient traitées avec dignité, avant de déclarer que la Tunisie ne « saurait être le garde-frontière d’autrui ». Un propos réitéré lors de la visite de Gérald Darmanin et de son homologue allemande, puis à nouveau lors du Sommet pour un nouveau pacte financier à Paris, les 22 et 23 juin 2023.

      https://orientxxi.info/magazine/pour-garder-ses-frontieres-l-europe-se-precipite-au-chevet-de-la-tunisie

    • Perché oggi Meloni torna in Tunisia

      È la terza visita da giugno: l’obiettivo è un accordo per dare al paese aiuti economici europei in cambio di più controlli sulle partenze di migranti

      Nella giornata di domenica è previsto un viaggio istituzionale in Tunisia della presidente del Consiglio italiana Giorgia Meloni, insieme alla presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen e al primo ministro olandese #Mark_Rutte. Per Meloni è la terza visita in Tunisia in poco più di un mese: era andata da sola una prima volta il 6 giugno, e poi già insieme a von der Leyen e Rutte l’11 giugno.

      Il motivo delle visite è stata una serie di colloqui con il presidente tunisino, l’autoritario Kais Saied, per firmare un “memorandum d’intesa” tra Unione Europea e Tunisia che ha l’obiettivo di fornire un aiuto finanziario al governo tunisino da circa un miliardo di euro. Questi soldi si aggiungerebbero al prestito del Fondo Monetario Internazionale (#FMI) da 1,7 miliardi di euro di cui si parla da tempo e che era stato chiesto dalla Tunisia per provare a risolvere la sua complicata situazione economica e sociale.

      Il memorandum, di cui non sono stati comunicati i dettagli, secondo fonti a conoscenza dei fatti impegnerebbe la Tunisia ad applicare alcune riforme chieste dall’FMI, e a collaborare maggiormente nel bloccare le partenze di migranti e richiedenti asilo che cercano di raggiungere l’Italia via mare.

      Nell’incontro dell’11 giugno le discussioni non erano andate benissimo, e avevano portato solo alla firma di una dichiarazione d’intenti. La visita di domenica dovrebbe invece concludersi con una definizione degli accordi, almeno nelle intenzioni dei leader europei. «Speriamo di concludere le discussioni che abbiamo iniziato a giugno», aveva detto venerdì la vice portavoce della Commissione Europea Dana Spinant annunciando il viaggio di domenica.

      Il memorandum d’intesa prevede che l’Unione Europea offra alla Tunisia aiuti finanziari sotto forma di un prestito a tassi agevolati di 900 milioni di euro – da erogare a rate nei prossimi anni – oltre a due contributi a fondo perduto rispettivamente da 150 milioni di euro, come contributo al bilancio nazionale, e da 100 milioni di euro per impedire le partenze delle imbarcazioni di migranti. Quest’ultimo aiuto di fatto replicherebbe su scala minore quelli dati negli anni scorsi a Libia e Turchia affinché impedissero con la forza le partenze di migranti e richiedenti asilo.

      Dell’accordo si è parlato molto criticamente nelle ultime settimane per via delle violenze in corso da tempo nel paese, sia da parte della popolazione locale che delle autorità, nei confronti dei migranti subsahariani che transitano nel paese nella speranza di partire via mare verso l’Europa (e soprattutto verso l’Italia). Da mesi il presidente Kais Saied – che negli ultimi tre anni ha dato una svolta autoritaria al governo del paese – sta usando i migranti come capro espiatorio per spiegare la pessima situazione economica e sociale in cui si trova la Tunisia.

      Ha più volte sostenuto che l’immigrazione dai paesi africani faccia parte di un progetto di «sostituzione demografica per rendere la Tunisia un paese unicamente africano, che perda i suoi legami con il mondo arabo e islamico». Le sue parole hanno causato reazioni razziste molto violente da parte di residenti e polizia nei confronti dei migranti, con arresti arbitrari e varie aggressioni. L’ultimo episodio è stato segnalato all’inizio di luglio, quando le forze dell’ordine tunisine hanno arrestato centinaia di migranti provenienti dall’Africa subsahariana e li hanno portati con la forza in una zona desertica nell’est del paese al confine con la Libia.

      https://www.ilpost.it/2023/07/16/tunisia-meloni

    • Firmato a Tunisi il memorandum d’intesa tra Tunisia e Ue, Meloni: «Compiuto passo molto importante»

      Saied e la delegazione Ue von der Leyen, Meloni e #Rutte siglano il pacchetto complessivo di 255 milioni di euro per il bilancio dello Stato nordafricano e per la gestione dei flussi migratori. 5 i pilastri dell’intesa

      E’ stato firmato il Memorandum d’intesa per una partnership strategica e globale fra Unione europea e Tunisia. L’Ue ha diffuso il video della cerimonia di firma, alla quale erano presenti la presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, il premier dell’Olanda Mark Rutte e il presidente tunisino Kais Saied. Al termine della cerimonia di firma è iniziato l’incontro fra i tre leader europei e Saied, a seguito del quale sono attese dichiarazioni alla stampa. L’incontro si svolge nel palazzo presidenziale tunisino di Cartagine, vicino Tunisi. Per raggiungere questo obiettivo Bruxelles ha proposto un pacchetto di aiuti (150 milioni a sostegno del bilancio dello Stato e 105 milioni come supporto al controllo delle frontiere), su cui era stato avviato un negoziato.

      «Il Team Europe torna a Tunisi. Eravamo qui insieme un mese fa per lanciare una nuova partnership con la Tunisia. E oggi la portiamo avanti». Lo scrive sui social la Presidente della Commissione Ue, Ursula Von der Leyen, postando foto con lei, Meloni, Rutte e Saied.

      E nella conferenza stampa congiunta con Saied, Meloni e Rutte la presidente ha affermato che la Ue coopererà con la Tunisia contro i trafficanti di migranti.

      «Abbiamo raggiunto un obiettivo molto importante che arriva dopo un grande lavoro diplomatico. Il Memorandum è un importante passo per creare una vera partnership tra l’Ue e la Tunisia». Lo ha detto la premier Giorgia Meloni al termine dell’incontro con Kais Saied nel palazzo di Cartagine. L’intesa va considerata «un modello» perle relazioni tra l’Ue e i Paesi del Nord Africa.

      L’obiettivo iniziale era di firmare un Memorandum d’intesa entro lo scorso Consiglio europeo, del 29 e 30 giugno, ma c’è stato uno slittamento. L’intesa con l’Europa, nelle intenzioni di Bruxelles, dovrebbe anche facilitare lo sblocco del finanziamento del Fondo monetario internazionale da 1,9 miliardi al momento sospeso, anche se in questo caso la trattativa è tutta in salita.

      Anche oggi, nel giorno della firma del Memorandum di Intesa tra Unione europea e Tunisia, a Lampedusa - isola simbolo di migrazione e di naufragi - sono sbarcati in 385 (ieri quasi mille). L’obiettivo dell’accordo voluto dalla premier Meloni e il presidente Saied è soprattutto arginare il flusso incontrollato di persone che si affidano alla pericolosa via del mare per approdare in Europa. Un problema che riguarda i confini esterni meridionali dell’Unione europea, come ha sempre sottolineato la presidente del Consiglio, che oggi arriverà a Tunisi per la seconda volta, con la presidente della Commissione Ursula von der Leyen e con il collega olandese Mark Rutte.

      Le dichiarazioni della premier Giorgia Meloni

      «Oggi abbiamo raggiunto un risultato estremamente importante, il memorandum firmato tra Tunisia e Ue è un ulteriore passo verso la creazione di un vero partenariato che possa affrontare in modo integrato la crisi migratoria e lo sviluppo per entrambe le sponde del Mediterraneo».

      Così la presidente del Consiglio Giorgia Meloni nel punto stampa dopo la firma del Memorandum.

      «Il partenariato con la Tunisia- ha aggiunto Meloni- rappresenta per noi un modello per costruire nuove relazioni con i vicini del Nord Africa. Il memorandum è un punto di partenza al quale dovranno conseguire diversi accordi per mettere a terra gli obiettivi che ci siamo dati».

      Infine la presidente del Consiglio ha ricordato che «domenica prossima 23 luglio a Roma ci sarà la conferenza internazionale sull’immigrazione che avrà come protagonista il presidente Saied e con lui diversi capi di Stato e governo dei paesi mediterranei. E’ un altro importante passo per affrontare la cooperazione mediterranea con un approccio integrato e io lo considero come l’inizio di un percorso che può consentire una partnership diversa da quella che abbiamo avuto nel passato».

      Le dichiarazioni della Presidente della Commisisone Europea

      Per Ursula Von der Leyen l’accordo odierno è «un buon pacchetto di misure», da attuare rapidamente «in entrambe le sponde del Mediterraneo» ma ha anche precisato che «L’ assistenza macrofinanziaria sarà fornita quando le condizioni lo permetteranno».

      La Presidente ha elencato i 5 pilastri del Memorandum con la Tunisia:

      1) creare opportunità per i giovani tunisini. Per loro «ci sarà una finestra in Europa con l’#Erasmus». Per le scuole tunisine stanziati 65 milioni;

      2) sviluppo economico della Tunisia. La Ue aiuterà la crescita e la resilienza dell’economia tunisina;

      3) investimenti e commercio: "La Ue è il più grande partner economico della Tunisia. Ci saranno investimenti anche per migliorare la connettività della Tunisia, per il turismo e l’agricoltura. 150 milioni verranno stanziati per il ’#Medusa_submarine_cable' tra Europa e Tunisia;

      4) energia pulita: la Tunisia ha «potenzialità enormi» per le rinnovabili. L’ Europa ha bisogno di «fonti per l’energia pulita. Questa è una situazione #win-win. Abbiamo stanziato 300 milioni per questo progetto ed è solo l’inizio»;

      5) migranti: «Bisogna stroncare i trafficanti - dice Von der Leyen - e distruggere il loro business». Ue e Tunisia coordineranno le operazioni Search and Rescue. Per questo sono stanziati 100 milioni di euro.

      Le dichiarazioni del Presidente Kais Saied

      «Dobbiamo trovare delle vie di collaborazione alternative a quelle con il Fondo Monetario Internazionale, che è stato stabilito dopo la seconda Guerra mondiale. Un regime che divide il mondo in due metà: una metà per i ricchi e una per i poveri eche non doveva esserci». Lo ha detto il presidente tunisino Kais Saied nelle dichiarazioni alla stampa da Cartagine.

      «Il Memorandum dovrebbe essere accompagnato presto da accordi attuativi» per «rendere umana» la migrazione e «combattere i trafficanti. Abbiamo oggi un’assoluta necessità di un accordo comune contro la migrazione irregolari e contro la rete criminale di trafficanti».

      «Grazie a tutti e in particolare la premier Meloni per aver risposto immediatamente all’iniziativa tunisina di organizzare» un vertice sulla migrazione con i Paesi interessati.

      https://www.rainews.it/articoli/2023/07/memorandum-dintesa-tra-unione-europea-e-tunisia-la-premier-meloni-von-der-le
      #memorandum_of_understanding #développement #énergie #énergie_renouvelable #économie #tourisme #jeunes #jeunesse #smugglers #traficants_d'êtres_humains #aide_financière

    • La Tunisie et l’Union européenne signent un partenariat sur l’économie et la politique migratoire

      La présidente de la Commission européenne s’est réjouie d’un accord destiné à « investir dans une prospérité partagée », évoquant cinq piliers dont l’immigration irrégulière. La Tunisie est un point de départ pour des milliers de migrants vers l’Europe.

      L’Union européenne (UE) et la Tunisie ont signé dimanche 16 juillet à Tunis un protocole d’accord pour un « partenariat stratégique complet » portant sur la lutte contre l’immigration irrégulière, les énergies renouvelables et le développement économique de ce pays du Maghreb. La présidente de la Commission européenne, Ursula von der Leyen, s’est réjouie d’un accord destiné à « investir dans une prospérité partagée », évoquant « cinq piliers », dont les questions migratoires.

      La Tunisie est un point de départ pour des milliers de migrants qui traversent la Méditerranée vers l’Europe. Les chefs de gouvernement italien, Giorgia Meloni, et néerlandais, Mark Rutte, accompagnaient la dirigeante européenne après une première visite il y a un mois, pendant laquelle ils avaient proposé ce partenariat.

      Il s’agit « d’une nouvelle étape importante pour traiter la crise migratoire de façon intégrée », a dit Mme Meloni, qui a invité le président tunisien, Kais Saied, présent à ses côtés, à participer dimanche à Rome à un sommet sur les migrations. Celui-ci s’est exprimé à son tour pour insister sur le volet de l’accord portant sur « le rapprochement entre les peuples ».

      « Nouvelles relations avec l’Afrique du Nord »

      Selon Mme Meloni, le partenariat entre la Tunisie et l’UE « peut être considéré comme un modèle pour l’établissement de nouvelles relations avec l’Afrique du Nord ». M. Rutte a pour sa part estimé que « l’accord bénéficiera aussi bien à l’Union européenne qu’au peuple tunisien », rappelant que l’UE est le premier partenaire commercial de la Tunisie et son premier investisseur. Sur l’immigration, il a assuré que l’accord permettra de « mieux contrôler l’immigration irrégulière ».

      L’accord prévoit une aide de 105 millions d’euros pour lutter contre l’immigration irrégulière et une aide budgétaire de 150 millions d’euros alors que la Tunisie est étranglée par une dette de 80 % de son produit intérieur brut (PIB) et est à court de liquidités. Lors de sa première visite, la troïka européenne avait évoqué une « assistance macrofinancière de 900 millions d’euros » qui pouvait être fournie à la Tunisie sous forme de prêt sur les années à venir.

      Mme von der Leyen a affirmé dimanche que Bruxelles « est prête à fournir cette assistance dès que les conditions seront remplies ». Cette « assistance » de l’UE est conditionnée à un accord entre la Tunisie et le Fonds monétaire international (FMI) pour un nouveau crédit du Fonds, un dossier qui est dans l’impasse depuis des mois.

      https://www.lemonde.fr/afrique/article/2023/07/16/la-tunisie-et-l-union-europeenne-signent-un-partenariat-sur-l-economie-et-la

    • Les députés reprochent à la Commission européenne d’avoir signé un accord avec un « cruel dictateur » tunisien

      Des eurodéputés ont dénoncé mardi le protocole d’accord signé par l’UE avec la Tunisie.

      L’accord a été conclu dimanche après une réunion à Tunis entre le président tunisien Kaïs Saïed et la présidente de la Commission européenne Ursula von der Leyen, accompagnée de la Première ministre italienne Giorgia Meloni et du Premier ministre néerlandais Mark Rutte.

      Le texte, qui doit encore être précisé, prévoit l’allocation d’au moins 700 millions d’euros de fonds européens, dont certains sous forme de prêts, dans le cadre de cinq piliers : la stabilité macroéconomique, l’économie et le commerce, la transition verte, les contacts interpersonnels et les migrations.

      Ursula von der Leyen a présenté le mémorandum comme un « partenariat stratégique et global ». Mais les eurodéputés ont adopté un point de vue très critique sur la question. Ils dénoncent les contradictions entre les valeurs fondamentales de l’Union européenne et le recul démocratique en cours en Tunisie. Ils ont également déploré l’absence de transparence démocratique et de responsabilité financière.

      La figure de Kaïs Saïed, qui a ouvertement diffusé des récits racistes contre les migrants d’Afrique subsaharienne a fait l’objet des reproches de la part des parlementaires.

      https://twitter.com/sylvieguillaume/status/1681221845830230017

      « Il est très clair qu’un accord a été conclu avec un dictateur cruel et peu fiable », a dénoncé Sophie in ’t Veld (Renew Europe). « Le président Saïed est un dirigeant autoritaire, ce n’est pas un bon partenaire, c’est un dictateur qui a augmenté le nombre de départs ».

      S’exprimant au nom des sociaux-démocrates (S&D), Birgit Sippel a accusé les autorités tunisiennes d’abandonner les migrants subsahariens dans le désert « sans nourriture, sans eau et sans rien d’autre », un comportement qui a déjà été rapporté par les médias et les organisations humanitaires.

      « Pourquoi la Tunisie devrait-elle soudainement changer de comportement ? Et qui contrôle l’utilisation de l’argent ? » interroge Birgit Sippel, visiblement en colère.

      « Nous finançons à nouveau un autocrate sans contrôle politique et démocratique au sein de cette assemblée. Ce n’est pas une solution. Cela renforcera un autocrate en Tunisie », a-t-elle ajouté.

      https://twitter.com/NatJanne/status/1680982627283509250

      En face, la Commissaire européenne en charge des Affaires intérieures Ylva Johansson, a évité toute controverse et a calmement défendu le mémorandum UE-Tunisie. La responsable suédoise a souligné que le texte introduit des obligations pour les deux parties.

      « Il est clair que la Tunisie est sous pression. Selon moi, c’est une raison de renforcer et d’approfondir la coopération et d’intensifier le soutien à la Tunisie », a-t-elle répondu aux députés européens.

      Selon Ylva Johansson, 45 000 demandeurs d’asile ont quitté la Tunisie cette année pour tenter de traverser la « route très meurtrière » de la Méditerranée centrale. Cette « augmentation considérable » suggère un changement du rôle de la Tunisie, de pays d’origine à pays de transit, étant donné que « sur ces 45 000, seuls 5 000 étaient des citoyens tunisiens ».

      « Il est très important que notre objectif principal soit toujours de sauver des vies, d’empêcher les gens d’entreprendre ces voyages qui finissent trop souvent par mettre fin à leur vie, c’est une priorité », a poursuivi la Commissaire.

      Les députés se sont concentrés sur les deux enveloppes financières les plus importantes de l’accord : 150 millions d’euros pour l’aide budgétaire et 105 millions d’euros pour la gestion des migrations, qui seront toutes les deux déboursées progressivement. Certains eurodéputés ont décrit l’aide budgétaire, qui est censée soutenir l’économie fragile du pays, comme une injection d’argent dans les coffres privés de Kaïs Saïed qui serait impossible à retracer.

      « Vous avez financé un dictateur qui bafoue les droits de l’homme, qui piétine la démocratie tunisienne que nous avons tant soutenue. Ne nous mentez pas ! », s’est emporté Mounir Satouri (les Verts). « Selon nos analyses, les 150 et 105 millions d’euros sont une aide au Trésor (tunisien), un versement direct sur le compte bancaire de M. Kaïs Saïed ».

      https://twitter.com/alemannoEU/status/1680659154665340928

      Maria Arena (S&D) a reproché à la Commission européenne de ne pas avoir ajouté de dispositions supplémentaires qui conditionneraient les paiements au respect des droits de l’homme.

      « Nous donnons un chèque en blanc à M. Saïed, qui mène actuellement des campagnes racistes et xénophobes, soutenues par sa police et son armée », a déclaré l’eurodéputée belge.

      « Croyez-vous vraiment que M Saïed, qui a révoqué son parlement, qui a jeté des juges en prison, qui a démissionné la moitié de sa juridiction, qui interdit maintenant aux blogueurs de parler de la question de l’immigration et qui utilise maintenant sa police et son armée pour renvoyer des gens à la frontière (libyenne), croyez-vous vraiment que M. Saïed va respecter les droits de l’homme ? Madame Johansson, soit vous êtes naïve, soit vous nous racontez des histoires ».

      Dans ses réponses, Ylva Johansson a insisté sur le fait que les 105 millions d’euros affectés à la migration seraient « principalement » acheminés vers des organisations internationales qui travaillent sur le terrain et apportent une aide aux demandeurs d’asile, comme l’Organisation internationale pour les migrations (OIM), bien qu’elle ait admis que certains fonds seraient en fait fournis aux agents tunisiens sous la forme de navires de recherche et de sauvetage et de radars.

      https://twitter.com/vonderleyen/status/1680626156603686913

      « Permettez-moi d’insister sur le fait que la Commission européenne, l’UE, n’est pas impliquée dans le refoulement de ressortissants de pays tiers vers leur pays d’origine. Ce que nous faisons, c’est financer, par l’intermédiaire de l’OIM, les retours volontaires et la réintégration des ressortissants de pays tiers », a souligné la Commissaire.

      « Je ne suis pas d’accord avec la description selon laquelle la Tunisie exerce un chantage. Je pense que nous avons une bonne coopération avec la Tunisie, mais il est également important de renforcer cette coopération et d’augmenter le soutien à la Tunisie. Et c’est l’objectif de ce protocole d’accord ».

      https://fr.euronews.com/my-europe/2023/07/18/les-deputes-reprochent-a-la-commission-europeenne-davoir-signe-un-accor

  • Wind and solar overtake fossil generation in the EU

    New data from energy think tank Ember shows that wind and solar produced more EU electricity than fossil fuels in May, for the first full month on record. Almost a third of the EU’s electricity in May was generated from wind and solar (31%, 59 TWh), while fossil fuels generated a record low of 27% (53 TWh).

    https://i.imgur.com/sRTT46u.png
    https://ember-climate.org/press-releases/wind-and-solar-overtake-fossil-generation-in-the-eu

    #énergie_solaire #énergie_éolienne #énergie #UE #EU #production #parts #Union_européenne #statistiques #évolution #graphique #chiffres #enfin_une_bonne_nouvelle (?)

  • Communiqué de presse du Conseil « Justice et affaires intérieures » (#JAI) de l’Union européenne :

    Migration policy : Council reaches agreement on key asylum and migration laws

    The Council today took a decisive step towards a modernisation of the EU’s rulebook for asylum and migration. It agreed on a negotiating position on the asylum procedure regulation and on the asylum and migration management regulation. This position will form the basis of negotiations by the Council presidency with the European Parliament.

    “No member state can deal with the challenges of migration alone. Frontline countries need our solidarity. And all member states must be able to rely on the responsible adherence to the agreed rule. I am very glad that on this basis we agreed on our negotiating position.”
    Maria Malmer Stenergard, Swedish minister for migration
    Streamlining of asylum procedure

    The asylum procedure regulation (APR) establishes a common procedure across the EU that member states need to follow when people seek international protection. It streamlines the procedural arrangements (e.g. the duration of the procedure) and sets standards for the rights of the asylum seeker (e.g. being provided with the service of an interpreter or having the right to legal assistance and representation).

    The regulation also aims to prevent abuse of the system by setting out clear obligations for applicants to cooperate with the authorities throughout the procedure.
    Border procedures

    The APR also introduces mandatory border procedures, with the purpose to quickly assess at the EU’s external borders whether applications are unfounded or inadmissible. Persons subject to the asylum border procedure are not authorised to enter the member state’s territory.

    The border procedure would apply when an asylum seeker makes an application at an external border crossing point, following apprehension in connection with an illegal border crossing and following disembarkation after a search and rescue operation. The procedure is mandatory for member states if the applicant is a danger to national security or public order, he/she has misled the authorities with false information or by withholding information and if the applicant has a nationality with a recognition rate below 20%.

    The total duration of the asylum and return border procedure should be not more than 6 months.
    Adequate capacity

    In order to carry out border procedures, member states need to establish an adequate capacity, in terms of reception and human resources, required to examine at any given moment an identified number of applications and to enforce return decisions.

    At EU level this adequate capacity is 30 000. The adequate capacity of each member state will be established on the basis of a formula which takes account of the number of irregular border crossings and refusals of entry over a three-year period.
    Modification of Dublin rules

    The asylum and migration management regulation (AMMR) should replace, once agreed, the current Dublin regulation. Dublin sets out rules determining which member state is responsible for the examination of an asylum application. The AMMR will streamline these rules and shorten time limits. For example, the current complex take back procedure aimed at transferring an applicant back to the member state responsible for his or her application will be replaced by a simple take back notification
    New solidarity mechanism

    To balance the current system whereby a few member states are responsible for the vast majority of asylum applications, a new solidarity mechanism is being proposed that is simple, predictable and workable. The new rules combine mandatory solidarity with flexibility for member states as regards the choice of the individual contributions. These contributions include relocation, financial contributions or alternative solidarity measures such as deployment of personnel or measures focusing on capacity building. Member states have full discretion as to the type of solidarity they contribute. No member state will ever be obliged to carry out relocations.

    There will be a minimum annual number for relocations from member states where most persons enter the EU to member states less exposed to such arrivals. This number is set at 30 000, while the minimum annual number for financial contributions will be fixed at €20 000 per relocation. These figures can be increased where necessary and situations where no need for solidarity is foreseen in a given year will also be taken into account.

    In order to compensate for a possibly insufficient number of pledged relocations, responsibility offsets will be available as a second-level solidarity measure, in favour of the member states benefitting from solidarity. This will mean that the contributing member state will take responsibility for the examination of an asylum claim by persons who would under normal circumstances be subject to a transfer to the member state responsible (benefitting member state). This scheme will become mandatory if relocation pledges fall short of 60% of total needs identified by the Council for the given year or do not reach the number set in the regulation (30 000).
    Preventing abuse and secondary movements

    The AMMR also contains measures aimed at preventing abuse by the asylum seeker and avoiding secondary movements (when a migrant moves from the country in which they first arrived to seek protection or permanent resettlement elsewhere). The regulation for instance sets obligations for asylum seekers to apply in the member states of first entry or legal stay. It discourages secondary movements by limiting the possibilities for the cessation or shift of responsibility between member states and thus reduces the possibilities for the applicant to chose the member state where they submit their claim.

    While the new regulation should preserve the main rules on determination of responsibility, the agreed measures include modified time limits for its duration:

    - the member state of first entry will be responsible for the asylum application for a duration of two years
    - when a country wants to transfer a person to the member state which is actually responsible for the migrant and this person absconds (e.g. when the migrant goes into hiding to evade a transfer) responsibility will shift to the transferring member state after three years
    - if a member state rejects an applicant in the border procedure, its responsibility for that person will end after 15 months (in case of a renewed application)

    https://nsl.consilium.europa.eu/104100/Newsletter/axgy5g4bs3zixsx3bkhgg2epeiecucjvrcybx7b6shr3lt7za5b4x3vrbmpevnc

    #conseil_de_l'Europe #asile #migrations #réfugiés #Dublin #règlement_Dublin #accord #8_juin_2023 #UE #Union_européenne #EU #asylum_procedure_regulation (#APR) #procédure_d'asile #frontières #procédure_accélérée #inadmissibilité #procédure_de_frontière #frontières_extérieures #capacité_adéquate #asylum_and_migration_management_regulation (#AMMR) #mécanisme_de_solidarité #solidarité #relocalisation #contribution_financière #compensation #responsibility_offsets #mouvements_secondaires #abus

    –—

    ajouté à la métaliste sur le pacte :
    https://seenthis.net/messages/1019088

    • Analyse de #Fulvio_Vassallo_Paleologo:

      Paesi terzi “sicuri”, sicurezza delle persone migranti e propaganda di Stato

      1.Le conclusioni del Consiglio dei ministri dell’interno dell’Unione Europea riuniti a Lussembugo lo scorso 8 giugno sono state propagandate come una vittoria della linea tenuta dal governo Meloni fino alle ultime ore di una convulsa trattativa, che si è conclusa con una spaccatura che avrà certamente ripercussioni sulla prossima fase di codecisione sulle politiche migratorie e sulle procedure di asilo, nella quale analoghe divisioni si potrebbero riprodurre all’interno del Parlamento europeo.

      La materia sulla quale i ministri del’interno dei diversi paesi europei hanno alla fine trovato una soluzione di compromesso, su cui il ministro Piantedosi ha espresso soddisfazione, riguarda buona parte della vigente legislazione europea in materia di imigrazione ed asilo, sia per quanto riguarda la cd. dimensione esterna, con riferimento ai paesi terzi di origine e transito, che per quanto concerne i cd. meccanismi di solidarietà, in materia di rimpatri forzati e al fine di contrastare i cd. movimenti secondari, con una sostanziale rivisitazione del vigente Regolamento Dublino III del 2013. A tale riguardo si prevede espressamente che “Gli Stati membri hanno piena discrezionalità quanto al tipo di solidarietà cui contribuiscono. Nessuno Stato membro sarà mai obbligato a effettuare ricollocazioni”. Una sconfitta che il governo italiano non può nascondere dietro i propositi di espellere o respingere i richiedenti asilo denegati nei paesi di transito.

      I ministri dell’interno dei diversi paesi dell’Unione Europea hanno così trovato a maggioranza una intesa che però appare come una scatola vuota, se si pensa alla mole delle normative (dal Regolamento frontiere Schengen alla Direttiva 2008/115/ CE sui rimpatri) che dovrebbero essere modificate per approvare definitivamente quanto si è deciso a Lussemburgo, ed all’esiguo tempo che manca in vista delle prosime elezioni europee, dopo tre anni di stallo seguiti alla prima versione del Patto sull’immigrazione e l’asilo adottata dalla Commissione nel 2020. Inoltre la spaccatura tra i paesi di Visegrad Ungheria e Polonia, ed i conservatori del gruppo della Meloni, non lasciano presagire risultati definitivi nel breve periodo.

      2. La proposta di regolamento sulla procedura di asilo (Proposal for a Regulation of the European Parliament and of the Council on asylum and migration management and amending Council Directive (EC) 2003/109 and the proposed Regulation (EU) XXX/XXX [Asylum and Migration Fund] tenta di stabilire una procedura comune in tutta l’UE che gli Stati membri devono seguire quando le persone fanno richiesta di protezione internazionale. Si snelliscono le disposizioni procedurali (ad esempio la durata della procedura) e si stabiliscono norme per i diritti del richiedente asilo (ad esempio, la fornitura del servizio di un interprete o il diritto all’assistenza e alla rappresentanza legali). La procedura di frontiera si applicherebbe quando un richiedente asilo presenta domanda a un valico di frontiera esterna, a seguito di arresto in relazione a un attraversamento illegale della frontiera e in seguito allo sbarco dopo un’operazione di ricerca e soccorso. Ma anche quando proviene da un paese terzo ritenuto sicuro. La procedura è obbligatoria per gli Stati membri se il richiedente rappresenta un pericolo per la sicurezza nazionale o l’ordine pubblico, ha ingannato le autorità con informazioni false o nascondendo informazioni e se il richiedente ha una nazionalità di un paese con un tasso di riconoscimento delle richieste di asilo inferiore al 20%.

      Il punto sul quale in Italia il governo Meloni ed il ministro dell’interno Piantedosi hanno insistito di più, a livello di comunicazione, ma anche come base per una intensa attività diplomatica che conducono da mesi senza risultati effettivi, riguardava la possibilità di rinviare nei paesi di transito i richiedenti asilo denegati dopo la procedura in frontiera, già prevista in modo più rigoroso dalla legge 50 del 2023 (ex Decreto Cutro). Una legge approvata senza il parere delle competenti Comissioni Affari costituzionali, che sta già facendo vitime, con espulsioni comminate dai prefetti “in automatico” a persone già inserite in Italia, che chiedono il rinnovo del permesso di soggiorno per protezione speciale, ma che ad oggi appare in contrasto non solo con importanti principi fondamentali del nostro ordinamento (come gli articoli 10, 13,24,32,113 della Costituzione), ma anche con molti dei principi di garanzia ribaditi con grande nettezza dalle proposte legislative adottate a Lussemburgo dal Consiglio dei ministri dell’interno dell’Unione Europea.

      Durante l’iter di conversione del decreto legge in Parlamento, l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (ACNUR- UNHCR) aveva inviato una “Nota tecnica” al governo, nel tentativo di avviare un confronto su diversi punti “critici” che non rispettavano norme internazionali o Direttive dell’Unione Europea. Come ha dichiarato la rappresentante dell’UNHCR per l’Italia, “Avevamo rappresentato queste criticità, confidando che nel procedimento legislativo alcuni correttivi potessero essere apportati”.

      Nella sua ultima nota tecnica, l’UNHCR evidenzia innanzitutto come la nuova legge 50/2023 “ estende la preesistente procedura accelerata di frontiera ai richiedenti provenienti da Paesi di origine designati come sicuri e dispone il trattenimento per quei richiedenti, tra coloro che siano stati avviati a tale procedura, i quali non abbiano consegnato il “passaporto o altro documento equipollente” o non prestino “idonea garanzia finanziaria”. Il trattenimento avverrà nei punti di crisi (hotspot) esistenti presso i maggiori luoghi di sbarco, nelle strutture analoghe ai punti di crisi che verranno individuate o nei Centri di Permanenza per i Rimpatri (CPR) che si trovino in prossimità della frontiera. I minori e tutte le altre persone con esigenze particolari, come da disposizioni vigenti, sono esonerati da ogni forma di procedura accelerata”.

      L’ACNUR dopo una generale considerazione positiva delle procedure accelerate in frontiera, soprattuto nei casi in cui appare maggiormente probabile l’esito positivo della domanda di protezione, “Raccomanda, tuttavia, di incanalare in procedura di frontiera (con trattenimento) solo le domande di protezione internazionale che, in una fase iniziale di raccolta delle informazioni e registrazione, appaiano manifestamente infondate.
      In particolare, la domanda proposta dal richiedente proveniente da un Paese di origine sicuro non deve essere incanalata in tale iter quando lo stesso abbia invocato gravi motivi per ritenere che, nelle sue specifiche circostanze, il Paese non sia sicuro. Si sottolinea, a tal fine, la centralità di una fase iniziale di screening, volta a far emergere elementi utili alla categorizzazione delle domande (triaging) e alla conseguente individuazione della procedura più appropriata per ciascun caso.

      3. La nozione di Paese terzo sicuro è presente nella legislazione eurounitaria con la direttiva 2005/85/Ce del Consiglio del 1° dicembre 2005. L’art. 29 prevedeva che il Consiglio, deliberando a maggioranza qualificata su proposta della Commissione e previa consultazione del Parlamento europeo, potesse adottare un elenco comune minimo dei paesi terzi considerati dagli Stati membri paesi d’origine sicuri. Tale disposizione fu annullata dalla Corte di giustizia perché introduceva una riserva di competenza in favore del Consiglio, con semplice obbligo di consultazione del Parlamento europeo, che non poteva essere prevista da un atto derivato.

      Con la cd. direttiva procedure (dir. 2013/32/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013) la traccia è stata ripresa e ampliata.
      Gli articoli da 36 a 39 disciplinano infatti in termini molto dettagliati i contorni della nozione di Paese di origine sicuro e le conseguenze di tale nozione sulle procedure di valutazione delle domande.
      L’art. 36 detta le condizioni soggettive alle quali è subordinato il riconoscimento della natura di Paese sicuro di un determinato richiedente: questi deve essere cittadino del Paese di provenienza definito sicuro o apolide che in quel Paese soggiornasse abitualmente; inoltre, non deve avere invocato gravi motivi a lui riferibili, tesi a escludere che il Paese di origine sia sicuro.
      L’art. 37 fa rinvio all’allegato I della stessa direttiva, dove sono dettate le condizioni alle quali è possibile designare un Paese come sicuro. Il testo dell’Allegato I è il seguente: “Un paese è considerato paese di origine sicuro se, sulla base dello status giuridico, dell’applicazione della legge all’interno di un sistema democratico e della situazione politica generale, si può dimostrare che non ci sono generalmente e costantemente persecuzioni quali definite nell’articolo 9 della direttiva 2011/95/UE, né tortura o altre forme di pena o trattamento disumano o degradante, né pericolo a causa di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale.
      Per effettuare tale valutazione si tiene conto, tra l’altro, della misura in cui viene offerta
      protezione contro le persecuzioni ed i maltrattamenti mediante:
      a) le pertinenti disposizioni legislative e regolamentari del paese ed il modo in cui sono applicate;
      b) il rispetto dei diritti e delle libertà stabiliti nella Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e/o nel Patto internazionale relativo ai diritti civili e sociali

      L’art. 38 della Direttiva atualmente in vigore, fino a quando non verrà espressamente abrogata, fornisce il: “Concetto di paese terzo sicuro”.

      1. Glic Stati membri possono applicare il oncetto di paese terzo sicuro solo se le autorità competenti hanno accertato che nel paese terzo in questione una persona richiedente protezione internazionale riceverà un trattamento conforme ai seguenti criteri:
      a) non sussistono minacce alla sua vita ed alla sua libertà per ragioni di razza, religione,
      nazionalità, opinioni politiche o appartenenza a un determinato gruppo sociale;
      b) non sussiste il rischio di danno grave definito nella direttiva 2011/95/UE;
      c) è rispettato il principio di «non-refoulement» conformemente alla convenzione di Ginevra;
      d) è osservato il divieto di allontanamento in violazione del diritto a non subire torture né
      trattamenti crudeli, disumani o degradanti, sancito dal diritto internazionale; e
      e) esiste la possibilità di chiedere lo status di rifugiato e, per chi è riconosciuto come rifugiato,
      ottenere protezione in conformità della convenzione di Ginevra.
      2. L’applicazione del concetto di paese terzo sicuro è subordinata alle norme stabilite dal diritto nazionale, comprese:
      a) norme che richiedono un legame tra il richiedente e il paese terzo in questione, secondo le quali sarebbe ragionevole per detta persona recarsi in tale paese;
      b) norme sul metodo mediante il quale le autorità̀ competenti accertano che il concetto di paese terzo sicuro può̀ essere applicato a un determinato paese o a un determinato richiedente. Tale metodo comprende l’esame caso per caso della sicurezza del paese per un determinato richiedente e/o la designazione nazionale dei paesi che possono essere considerati generalmente sicuri;
      c) norme conformi al diritto internazionale per accertare, con un esame individuale, se il paese terzo interessato sia sicuro per un determinato richiedente e che consentano almeno al richiedente di impugnare l’applicazione del concetto di paese terzo sicuro a motivo del fatto che quel paese terzo non è sicuro nel suo caso specifico. Al richiedente è altresì data la possibilità di contestare l’esistenza di un legame con il paese terzo ai sensi della lettera a)”

      4. Secondo la nuova proposta legislativa sulle procedure di asilo, approvata dal Consiglio dei ministri del’interno dell’Unione Europea a Lussemburgo, gli Stati membri dovrebbero avere la possibilità di applicare il concetto di terzo sicuro paese […] come motivo di inammissibilità ove esista la possibilità per il richiedente[…] di chiedere e, se ne ricorrono i presupposti, di ricevere effettivo protezione in un paese terzo, dove la sua vita e la sua libertà non sono minacciate conto di razza, religione, nazionalità, appartenenza a un particolare gruppo sociale o opinione politica, dove lui o lei non è soggetto a persecuzione né affronta un rischio reale di danno grave come definito nel regolamento (UE) n. XXX/XXX [Nuovo Regolamento sulle Qualifiche ancora da approvare] ed è tutelato contro il respingimento e contro l’allontanamento, o contro le violazioni del diritto alla protezione dalla tortura e da trattamenti crudeli, inumani o degradanti prevista dal diritto internazionale.
      Si aggiungono poi nuove condizioni per considerare inammissibile una domanda di asilo.
      Si prevede in particolare che Il concetto di un paese terzo sicuro può essere applicato solo se esiste […] un collegamento tra il richiedente e […] il paese terzo in base al quale sarebbe […] ragionevole[…] che il richiedente […] si rechi in quel paese […], compreso il fatto che […] ha transitato […] in quel paese terzo. La connessione in particolare tra il richiedente e il paese terzo sicuro potrebbe essere considerata stabilita dove i membri della famiglia del richiedente siano presenti in quel paese o dove il richiedente si è stabilito o ha soggiornato in quel paese. Nella fase convulsa di ricerca del compromesso finale, nella notte dei ministri del’interno a Lussemburgo, è saltata la previsione sostenuta dall’Italia che anche un transito temporaneo avrebbe potuto comportare l’acertamento di questa “commessione” e dunque comportare l’inammissibilità della domanda di protezione già nella procedura in frontiera e la possibilità di respingimento o espulsione con immediato accompagnamento forzato. La posizione dei cittadini di paesi terzi “in transito” rimane comunque molto a rischio e sarà sicuramente oggetto di trattative in sede di rinegoziazione degli accordi bilaterali già esistenti.

      Al Considerando 37b) si prevede comunque che, “Nel valutare se i criteri per una protezione effettiva come stabilito nel presente Regolamento sono soddisfatte da un paese terzo, l’accesso ai mezzi di sussistenza sufficienti a mantenere un tenore di vita adeguato dovrebbe essere inteso come comprensivo dell’accesso a vitto, vestiario, alloggio o alloggio e il diritto a svolgere un’attività lavorativa remunerata a condizioni non meno favorevoli di quelle previste per gli stranieri del Paese terzo generalmente nelle stesse circostanze”. Anche nella proposta di nuovo Regolamento oltre alla situazione dei transitanti nei paesi terzi ritenuti sicuri si deve aggiungere anche la considerazione della maggiore ampiezza operativa che si sta attribuento, anche a livello interno, alla categoria di paese di origine sicuro.

      Al Considerando (46) si aggiunge che […] Dovrebbe essere possibile designare un paese terzo come paese di origine sicuro con eccezioni per parti specifiche del suo territorio o categorie chiaramente identificabili di persone. Inoltre, il fatto che un paese terzo sia incluso in una lista di paesi di origine sicuri non può stabilire una garanzia assoluta di sicurezza per i cittadini di tale paese paese, anche per coloro che non appartengono a una categoria di persone per le quali tale è fatta eccezione, e quindi non dispensa dalla necessità di condurre un’adeguata esame individuale della domanda di protezione internazionale. Per sua stessa natura, la valutazione sottesa alla designazione non può che tener conto del carattere generale, civile, circostanze legali e politiche in quel paese e se autori di persecuzioni, torture o trattamenti o punizioni inumani o degradanti sono soggetti a sanzione quando ritenuti responsabili in quel paese. Per questo motivo, dove il richiedente può dimostrare elementi che giustificano il motivo per cui il concetto di paese di origine sicuro non è applicabile a lui, la designazione del paese come sicuro non può più essere considerata rilevante per lui o lei.

      5. Il governo italiano si vanta di avere costretto l’Unione europea a spostare l’attenzione dai problemi che interssano maggiormente agli Stati continentali, e dunque dai cd. “movimenti secondari” alla questione dei “movimenti primari”, con particolare riferimento alle frontiere esterne del Mediteraneo. La prospettiva che si persegue, magari in collaborazione con l’UNHCR, che però ha posizioni di garanzia molto precise sul punto, è di favorire la “deportazione” in questi paesi, ritenuti “sicuri”, di immigrati irregolari di diversa nazionalità, dopo il diniego sulla domanda di protezione, alla fine della “procedura in frontiera”. Sfugge evidentemente alla premier Meloni, o si preferisce nascondere, la situazione dei diritti umani nei paesi nordafricani di transito, come l’Egitto, la Libia, la Tunisia, l’Algeria, che pure ministri e sottosegretari italiani hanno intensamente frequentato in questi ultimi mesi. Con i risultati che sono sotto gli occhi di tutti. Adesso ci riproveranno a Tunisi, con la visita in programma per domenica 11 giugno in cui la Meloni sarà accompagnata adirittura da Ursula Von der Layen a nome della Commissione europea e dal premier olandese Rutte.

      Nella propaganda governativa si omette di ricordare che nessun accordo di riammissione stipulato con paesi terzi, anche quello tuttora vigente con la Tunisia, prevede deportazioni di cittadini provenienti da altri Stati e giunti irregolarmente nel nostro territorio, o che hanno ricevuto un diniego sulla richiesta di protezione internazionale. A parte la considerazione che l’ingresso per ragioni di soccorso non può essere equiparato all’ingresso clandestino. E questo lo chiarisce bene la Corte di Cassazione con la sentenza sul caso Rackete n.6626/2020. Si vedrà se la prossima missione della Meloni a Tunisi, in compagnia della Presidente della Commissione europea convincerà l’autocrate Saied che sta espellendo sistematicamente dal suo paese tutti i migranti subsahariani, ad accettare di riprendersi cittadini non tunisini sbarcati in Italia. Ed è pure abbastanza improbabile che aumenti la quota di cittadini tunisini che, in base agli accordi vigenti, vengono espulsi o respinti (respingimento differito) verso Tunisi, sulla base degli accordi bilaterali già vigenti con l’Italia. Due voli alla settimana, o poco più per circa sessanta persone. Difficile immaginare una intensificazione dei rimpatri con accompagnamento di polizia. In questi casi, come osserva il Garante nazionale per le persone private della libertà personale in un recente rapporto, “L’aspetto di maggiore criticità è che “le regole dell’attività di rimpatrio forzato da parte della Polizia di Stato sono in larga parte definite da semplici circolari e disposizioni interne e non da fonti normative di rango primario. Manca cioè un quadro legislativo che specifichi le regole operative e ciò ha inevitabili ricadute”. Per esempio, “la disciplina compiuta del possibile ricorso all’impiego della forza, al di là di principi generali, che definisca i possibili strumenti contenitivi, le modalità e la durata del loro impiego. Così come mancano disposizioni operative sui controlli di sicurezza, la cui attuazione talvolta si avvicina a una perquisizione personale, pratica eccezionale anche in contesti ben più problematici”. Ma anche in Tunisia la discrezionalità di polizia sconfina sempre più spesso nell’arbitrio.

      Come denuncia l’ASGI, “Alla luce dell’attuale trasformazione autoritaria dello Stato tunisino e dell’estrema violenza e persecuzione della popolazione nera, delle persone in movimento, degli oppositori politici e degli attori della società civile, noi, le organizzazioni firmatarie, rilasciamo questa dichiarazione per ricordare che la Tunisia non è né un paese di origine sicuro né un paese terzo sicuro e pertanto non può essere considerato un luogo sicuro di sbarco (Place of Safety, POS) per le persone soccorse in mare”.

      Come riferisce il sito Meltingpot, a margine di un diniego dopo la richiesta di protezione internazionale alla competente Commissione territoriale, il Tribunale di Cagliari ha accolto la richiesta di sospensiva di un cittadino tunisino. La situazione è peculiare e occorrerà attendere il merito per approfondirla ma il decreto è significativo perché, il Tribunale “smentisce” il fatto che la Tunisia sia un Paese Sicuro“. Si tratta naturalmente di decisioni che valgono per casi individuali, e sarà fondamentale provare la situazione di ciascuna persona che in frontiera, ma anche nei CPR, possa risultare destinataria di un provedimento di allontanbamento forzato verso la Tunisia.

      6. La seconda proposta legislativa su nuovi criteri di gestione in materia di immigrazione ed asilo di portata più ampia approvata a Lussemburgo lo scorso 8 giugno (Proposal for a Regulation of the European Parliament and of the Council on asylum and migration management and amending Council Directive (EC) 2003/109 and the proposed Regulation (EU) XXX/XXX [Asylum and Migration Fund] non prevede particolari impegni dell’Unione Europea per sostenere le politiche di rimpatrio forzato di citt che adini di paesi terzi verso gli Stati da cui sono transitati prima di entrare in territorio europeo. Materia che richiederebbe una modifica radicale della Direttiva rimpatri 2008/115/CE.

      Il nuovo regolamento sulla gestione della migrazione e dell’asilo dovrebbe sostituire, una volta concordato, l’attuale regolamento Dublino che stabilisce norme che determinano quale Stato membro è competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale. Il nuovo Regolamento dovrebbe semplificare queste regole e ridurre i termini. Ad esempio, l’attuale complessa procedura di ripresa in carico finalizzata al trasferimento di un richiedente nello Stato membro responsabile della sua domanda sarà sostituita da una semplice notifica di ripresa in carico. Rimane comunque confermata la responsabilità primaria dei paesi di primo ingresso, quello che Salvini voleva evitare ricattando i paesi membri con la chiusura dei porti. Lo Stato membro di primo ingresso sarà competente per la domanda di asilo per una durata di due anni. Quando un paese vuole trasferire una persona nello stato membro che è effettivamente responsabile del migrante e questa persona fugge (ad esempio quando il migrante si nasconde per eludere un trasferimento) la responsabilità passerà allo stato membro di trasferimento solo dopo tre anni.

      La nuova proposta legislativa su immigrazione ed asilo, faticosamente elaborata a Lussemburgo, si limita, con l’art. 7 (Cooperazione con i paesi terzi per facilitare il rimpatrio e la riammissione), a prevedere che dove la Commissione e il Consiglio ritengano che un terzo paese non collabora sufficientemente alla riammissione di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare, la Commissione e il Consiglio, nell’ambito delle rispettive competenze, prendono in considerazione le azioni appropriate tenendo conto delle competenze dell’Unione e delle relazioni generali degli Stati membri con il paese terzo.
      In particolare, in questi casi, 1. […] La Commissione può, sulla base dell’analisi effettuata a norma dell’articolo 25 bis, paragrafi 2 o 4, del regolamento (UE) n. 810/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio e di qualsiasi altra informazione disponibile dagli Stati membri, nonché dall’Unione istituzioni, organi e organismi, […] presentare al Consiglio una relazione comprendente, se del caso, l’identificazione di eventuali misure che potrebbero essere adottate per migliorare la cooperazione di tale paese terzo in materia di riammissione, tenendo conto dell’Unione e delle relazioni generali degli Stati membri con il paese terzo.

      7. Al di là delle perplessità sui tempi di attuazione delle proposte varate dal Consiglio dei ministri dell’interno dell’Unione europea e della loro dubbia compatibilità con il vigente diritto eurounitario e con il diritto internazionale umanitario e dei rifugiati, si deve rimarcare come il governo italiano, con un decreto interministeriale approvato lo scorso marzo, abbia ulteriormente ampliato la lista di paesi terzi sicuri che preclude di fatto sia l’esame approfondito delle domande di protezione nelle procedure in frontiera, che il rinnovo della maggior parte dei permessi di soggiorno finora concessi per protezione speciale. Con questo ultimo aggiornamento di marzo 2023 vengono ritenuti paesi terzi sicuri: Albania, Algeria, Bosnia-Erzegovina, Capo Verde, Costa d’Avorio, Gambia, Georgia, Ghana, Kosovo, Macedonia del Nord, Marocco, Montenegro, Nigeria, Senegal, Serbia e Tunisia.

      La categoria di “paese terzo sicuro” esisteva da anni nella legislazione italiana e nella normativa europea, ma è stato con il Decreto sicurezza Salvini n.113 del 2018 che se ne è estesa la portata e assieme ad altre modifiche legislative, ha ridotto di molto la portata effettiva del diritto di asilo riconosciuto dall’art. 10 della Costituzione italiana.

      L’art. 7-bis del dl 4 ottobre 2018, n. 113 (cd. decreto sicurezza), introdotto in sede di conversione dall’art. 1 della l. 1°dicembre 2018, n. 132, ha inserito nel d.lgs 28 gennaio 2008, n. 25 l’art. 2-bis, intitolato «Paesi di origine sicuri». E’ dunque chiaro che nell’ordinamenro italiano non esiste al momento alcuna categoria di paese di transito “sicuro” e dunque questo criterio, ancora allo stato di proposta legislativa da parte del Conisglio dei ministri dell’interno dell’Unione Europea NON potrà avere nell’immediato alcuna portata normativa, almeno fino a quando, al termine della procedura di codecisione, un nuovo Regolamento che lo preveda non venga pubblicato nella Gazzetta Ufficiale europea.

      L’art. 2-bis del d. lgs n. 25 del 2008, modificato dal decreto sicurezza del 2018, era articolato in cinque commi:

      «Art. 2-bis (Paesi di origine sicuri). – 1. Con decreto del Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, di concerto con i Ministri dell’interno e della giustizia, è adottato l’elenco dei Paesi di origine sicuri sulla base dei criteri di cui al comma 2. L’elenco dei Paesi di origine sicuri è aggiornato periodicamente ed è notificato alla Commissione europea.

      2. Uno Stato non appartenente all’Unione europea può essere considerato Paese di origine sicuro se, sulla base del suo ordinamento giuridico, dell’applicazione della legge all’interno di un sistema democratico e della situazione politica generale, si può dimostrare che, in via generale e costante, non sussistono atti di persecuzione quali definiti dall’articolo 7 del decreto legislativo 19 novembre 2007, n. 251, né tortura o altre forme di pena o trattamento inumano o degradante, né pericolo a causa di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale. La designazione di un Paese di origine sicuro può essere fatta con l’eccezione di parti del territorio o di categorie di persone.

      3. Ai fini della valutazione di cui al comma 2 si tiene conto, tra l’altro, della misura in cui è offerta protezione contro le persecuzioni ed i maltrattamenti mediante: a) le pertinenti disposizioni legislative e regolamentari del Paese ed il modo in cui sono applicate; b) il rispetto dei diritti e delle libertà stabiliti nella Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali del 4 novembre 1950, ratificata ai sensi della legge 4 agosto 1955, n. 848, nel Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, aperto alla firma il 19 dicembre 1966, ratificato ai sensi della legge 25 ottobre 1977, n. 881, e nella Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura del 10 dicembre 1984, in particolare dei diritti ai quali non si può derogare a norma dell’articolo 15, paragrafo 2, della predetta Convenzione europea; c) il rispetto del principio di cui all’articolo 33 della Convenzione di Ginevra; d) un sistema di ricorsi effettivi contro le violazioni di tali diritti e libertà.

      4. La valutazione volta ad accertare che uno Stato non appartenente all’Unione europea è un Paese di origine sicuro si basa sulle informazioni fornite dalla Commissione nazionale per il diritto di asilo, che si avvale anche delle notizie elaborate dal centro di documentazione di cui all’articolo 5, comma 1, nonché su altre fonti di informazione, comprese in particolare quelle fornite da altri Stati membri dell’Unione europea, dall’EASO, dall’UNHCR, dal Consiglio d’Europa e da altre organizzazioni internazionali competenti.

      5. Un Paese designato di origine sicuro ai sensi del presente articolo può essere considerato Paese di origine sicuro per il richiedente solo se questi ha la cittadinanza di quel Paese o è un apolide che in precedenza soggiornava abitualmente in quel Paese e non ha invocato gravi motivi per ritenere che quel Paese non è sicuro per la situazione particolare in cui lo stesso richiedente si trova».

      8. Adesso si sta tentando di estendere la nozione di paese terzo sicuro non solo ai cittadini di quel paese, ma anche a coloro che provengono da altri paesi e sono transitati nel paese terzo “sicuro”. Anche per queste persone, con la sola eccezione di MSNA (minori non accompagnati) e di altri soggetti vulnerabili, si prevedono procedure accelerate in frontiera e un numero più ampio di casi di trattenimento amministrativo, per facilitare respingimenti ed espulsioni al termine delle procedure in frontiera, in modo forse da dissuadere le partenze verso l’Italia e l’Europa, aspirazione di vari governi, che comunque, nel corso degli anni, è stata sistematicamente smentita dai fatti. Non si vede peraltro con quali mezzi, risorse umane e luoghi di detenzione amministrativa, si potrà attuare il trattenimento dei richiedenti asilo nelle procedure in frontiera, subito dopo gli sbarchi. Le norme al riguardo, tra l’altro, non saranno operative per 90 giorni dall’entrata in vigore della legge n.50/2023, in assenza del decreto interministeriale che dovrebbe fissare l’entità delle risorse economiche che il richiedente asilo dovrebbe dimostrare per evitare il trattenimento nella prima fase di esame della sua richiesta di protezione. Per tutta l’estate, dunque, la situazione nei punti di sbarco, ma anche nei centri di prima accoglienza, resterà caotica, e sarà affidata esclusivamente ai provvedimenti delle autorità amministrative, prefetti e questori, senza una chiara cornice legislativa.

      Su questo sarà battaglia legale, e solidarietà verso chi chiede comunque protezione, soprattutto nei territori più vicini alle frontiere esterne, sempre che sia possibile esercitare i diritti di difesa, e che le misure di accompagnamento forzato non vengano eseguite prima del riesame da parte della giurisdizione, dato l’abbattimento dei casi di effetto sospensivo del ricorso, ed i precedenti purtroppo non sono molti. La sentenza della Cassazione (Sez. 1, 18 novembre 2019, n. 29914) ha cassato una precedente decisione di merito che aveva rigettato la domanda di protezione internazionale, facendo leva sul principio, già più volte enunciato, secondo cui “nei giudizi di protezione internazionale, a fronte del dovere del richiedente di allegare, produrre o dedurre tutti gli elementi e la documentazione necessari a motivare la domanda, la valutazione delle condizioni socio-politiche del Paese d’origine del richiedente deve avvenire, mediante integrazione istruttoria officiosa, tramite l’apprezzamento di tutte le informazioni, generali e specifiche di cui si dispone pertinenti al caso, aggiornate al momento dell’adozione della decisione, sicché il giudice del merito non può limitarsi a valutazioni solo generiche ovvero omettere di individuare le specifiche fonti informative da cui vengono tratte le conclusioni assunte, potendo incorrere in tale ipotesi, la pronuncia, ove impugnata, nel vizio di motivazione apparente”. Rimane quindi alto il rischio che la categoria dei paesi terzi sicuri, o dei paesi di transito sicuri, considerate anche le nuove procedure in frontiera introdotte dalla legge n.50 del 2023, riducano fortemente la portata effettiva del diritto di asilo costituzionale.

      Il Diritto di asilo previsto nelle sue diverse forme dall’art. 10 della Costituzione italiana, e ribadito nelle Direttive europee e nei Regolamenti fin qui vigenti, ha natura individuale e costituisce un dirito fondamentale della persona. La ratio fondante di tutta la disciplina in materia di protezione internazionale consiste proprio nella protezione dei singoli da condotte gravemente lesive dei loro diritti umani. Ciò è confermato con grande apertura e
      chiarezza dalla nostra Costituzione, all’art. 10, co. 3 che ha una portata molto più ampia della formulazione dello stesso diritto nella Convenzione di Ginevra del 1951 e nelle Direttive europee. Al contrario, la nozione di «Paesi di origine sicuri» si fonda su una valutazione di «safety for the majority» che difficilmente si concilia con la dimensione individuale del diritto di asilo, fortemente sminuendo «the role of individual case by case assessment»”previsto dalle Convenzioni internazionali. In Italia la legge vigente prevede soltanto una presunzione relativa di sicurezza rispetto al Paese di origine, ma senza alcun riferimento automatico alla situazione in questo paese o al transito in un altro paese terzo ritenuto sicuro. Il richiedente e la Commissione teritoriale, e poi il giudice in caso di ricorso giurisdizionale, sono tenuti a cooperare per fare emergere i necesari elementi probatori per affermare o escludere un diritto alla protezione. Ma non ci può essere alcun automatismo nel diniego di uno status di protezione nei confronti di chi provenga o sia transitato da un paese terzo sicuro.

      Si deve ricordare a tale proposito la sentenza della Corte Europea dei diritti dell’Uomo del 21 novembre 2019, Ilias and Ahmed c. Ungheria, che ha accertato la violazione dell’art. 3 della CEDU da parte dell’Ungheria, le cui autorità avevano rigettato la domanda di protezione di due cittadini bengalesi espulsi verso la Serbia, sul semplice presupposto che tale Stato era stato incluso in un elenco governativo sui Paesi sicuri, senza compiere una
      valutazione seria e approfondita del caso specifico e senza preoccuparsi degli effetti di
      un respingimento a catena verso altri Stati.

      9. La pressione dei governi europei, e del governo italiano in particolare, sulle procedure in frontiera e sulla possibilità di ricorrere alle categorie di paese terzo di origine o di transito “sicuro” apre scenari inquietanti, soprattutto dopo che con la legge n.50/2023 si sono introdotte norme procedurali che intaccano i diritti di difesa dei richiedenti asilo giunti in frontiera, sia pure a seguito di operazioni di soccorso in mare. Toccherà operare un attento monotoraggio sul riconoscimento effettivo dei diritti fondamentali, a partire dai diritti all’informazione ed alla comprensione linguistica, e dal diritto di accesso effettivo ad una procedura di asilo, in tutti i luoghi di frontiera soprattutto in quelli che sono definiti “punti di fontiera esterna”. Ocorrerà vigilare sulla attuazione degli accordi con i paesi di transito e origine che possano essere ritenuti “sicuri”, ma solo sulla carta, dalle autorità amministrative. Bisogna impedire che attraverso l’esecuzione immediata di misure di allontanamento forzato, adottate magari con modalità sostanzialmente uniformi e collettive, senza riguardo alla situazione individuale delle singole persone, o delle loro condizioni psico-fisiche, possano ripetersi quelle violazioni dei diritti umani che hanno già portato a pesanti condanne dell’Italia da parte dei Tribunali internazionali, come nei tre fondamentali casi Hirsi, Sharifi e Khlaifia.

      https://www.a-dif.org/2023/06/09/paesi-terzi-sicuri-sicurezza-delle-persone-migranti-e-propaganda-di-stato

    • Editorial : Migration Pact Agreement Point by Point

      What was agreed? What are the consequences? Where are we now?

      ECRE will analyse the detailed texts of the General Approach, when they are available. In the meantime, 48 points can already be made on the agreement reached yesterday among the EU Member States on the Pact on Migration and Asylum to reform EU asylum law.

      - The EU Member States have reached an agreement on key pillars of the EU asylum system, responsibility, solidarity and procedural rules. The agreement has been under discussion throughout the Swedish Presidency.
      - This is not the final word – the Council will negotiate with the Parliament on the basis of this agreement and the Parliament’s respective agreement in order to reach a common position which will become law. However, it is to be expected that Parliament will concede – and these are more or less the positions likely to be adopted.
      - The agreement reduces protection standards in Europe, which is kind of the point. Whether it will meet its other objectives of deterring arrivals, rapid returns or reducing so-called secondary movement remains to be seen.
      – Two countries opposed the agreement: Hungary and Poland, primarily on the basis that they don’t believe that Europe should have an asylum system. Four countries abstained: Bulgaria, Malta, Lithuania and Slovakia, for different reasons in each case.

      The headlines

      - Overall, states have agreed on labyrinth of procedural rules, byzantine in their complexity and based on trying to limit the number of people who are granted international protection in Europe.
      - They fail to address the major the dysfunction of the system, the Dublin rules, which escape largely intact.
      - An underlying objective is to transfer responsibility to countries outside Europe, even though 85% of the world’s refugees are hosted outside Europe, mainly in desperately poor countries. The targets are the countries of the Western Balkans and North Africa, through the use of legal tools such as the “safe third country” concept. Nonetheless, the reforms do nothing to increase the likelihood that these countries agree to host people returned from the EU.
      - Within Europe, the reforms increase the focus at the borders.
      - As such, the reforms go in the opposite direction to the successful response to displacement from Ukraine, which demonstrated the value of light procedures, rapid access to a protection status, allowing people to work as soon as possible so they can contribute, and freedom of movement which allows family unity and a fairer distribution of responsibility across Europe.

      Procedural changes

      – Instead, new elements include expanded use of border procedures, inadmissibility procedures, and accelerated procedures, and the Pact deploys legal concepts to deflect responsibility to other countries, such as the safe third country concept. More people will be stuck at the borders in situations akin to the Greek island model.
      - There will be an expanded use of the border procedure with it becoming mandatory for people from countries where the protection rate is 20% or below.
      - Countries in the centre and north insisted on this change before agreeing to solidarity because their primary concern is ending so-called “secondary movement”. Safeguards such as access to legal assistance or to an appeal are reduced. There will be almost no exemptions for vulnerable people, families or children, and more procedures will be managed in detention.

      No new responsibility rules

      - The rules on responsibility remain the same as now under Dublin, with the principle of first entry still in place.
      - The period of responsibility of the country of arrival for an applicant is extended. It will be two years for people who enter at the external border, but reduced to 15 months after a rejection in the border procedure (to give states an incentive to use the border procedure), and reduced to 12 months for those rescued at sea (to give states an incentive to stop watching people drown).
      – The improvements to the rules on responsibility (compared to Dublin) proposed by the Commission have been rejected, including a wider family definition to allow family unification with siblings.

      A new solidarity mechanism

      - To compensate for the effects of the rules, a solidarity mechanism is introduced to compensate the countries at the borders in situations of “migratory pressure”. A separate mechanism for situations of search and rescue has been rejected.
      – Solidarity is mandatory but flexible, meaning that all countries have to contribute but that they can chose what to offer: relocation and assuming responsibility for people; capacity-building and other support; or a financial contribution.

      The numbers

      – The states have agreed on a minimum of 30,000 people to have their applications processed in a border procedure every year. There will also be a “cap”, a maximum set several times this number which increases over the first three years.
      – Member States’ individual adequate capacity (minimum number or target for border procedures) will be set using a formula based on the overall adequate capacity and the number of a “irregular” entries (i.e. people arriving to seek protection).
      – Member States can cease to use the border procedure when they approach their target with a notification to the Commission.
      – At the same time, the target for relocations is also set at 30,000.
      – There is an incentive to provide relocations (rather than other solidarity) in the form of “offsets” (reductions of solidarity contributions for those offering relocation).
      - The financial equivalent of a relocation is set at EUR 20,000. Money will also be provided from EU funding for reception capacity to manage the border procedure.

      The good news

      - This is the beginning of the end of the reforms.
      - There is a solidarity mechanism, to be codified in EU law.

      The bad news

      – Expanded use of the border procedure equals more people in detention centres at the external border, subject to sub-standard asylum procedures.
      – With the increase in responsibility for countries at the border, and given how controversial centres are for local communities, there is a risk that they chose pushbacks instead. If Italy’s share of the 30,000 annual border procedure cases is 5000, for example, are they likely to go ahead with detention centres or to deny entry?
      – Setting a numerical target for the use of the border procedure – which will almost always take place in detention – creates the risk of arbitrariness in its application.
      - The rules on responsibility remain as per Dublin. The Commission’s improvements have been removed so the incentives to avoid compliance, for instance on reception conditions, remain.
      – There is strong encouragement of the use of “safe third concept” as a basis for denying people access to an in-merits asylum procedure or to protection in Europe.
      - The definition of a safe third country has been eroded as Member States will decide which countries meet the definition. A country needs to meet certain protection criteria and there needs to be a connection between the person and the country, as per international law. However, what constitutes a connection is determined by national law. Examples in the text are family links and previous residence, but a MS could decide that pure transit is a sufficient connection.
      - Solidarity is flexible. If Member States can choose, how many will choose relocation? Relocation of people across the EU would lead to a fairer division of responsibility instead of too much being required of the countries at the external border.
      - The procedural rules appear complex to the point of unworkability.

      Uncertain as yet

      – What has been agreed on offsets – solidarity obligation offsets (reductions in a country’s solidarity obligations to others) in the case of offering relocation places and solidarity benefit offsets (reductions in solidarity entitlements of a country under pressure) in the case of failure to accept Dublin transfers.
      - Definition of migratory pressure and whether and how it incorporates “instrumentalisation” and SAR.

      What will change in practice?

      – More of the people arriving to seek protection in Europe will be subject to a border procedure, rather than having their case heard in a regular asylum procedure.
      – People will still arrive seeking protection in Europe but they will face a harsher system.
      - Responsibilities of the countries at the external borders are increased, which continues to provide an incentive to deny access to territory and to keep standards – on reception or inclusion, for example – low.
      - There could now be greater focus on implementation and management of asylum systems. However, the only concrete references to compliance are in relation to achieving the set number of border procedures and in ensuring Dublin transfers happen.
      – Onward (“secondary”) movement is still likely, and smugglers will continue to adapt, offering more to take people to countries away from the external borders.

      The winners

      – The Commission, which has invested everything on getting the Pact passed. “Trust and cooperation is back in the Council,” according to the Commissioner.
      – France, the Netherlands and the other hardliners, who have largely got what they wanted.
      - The Swedish Presidency, which has brokered a deal and one that suits them – as a less than honest broker. The Minister’s presentation at the press conference underlined secondary movement and enforcement of Dublin.
      – Smugglers, who will be able to charge more for the more complex and longer journeys that people will have to take.

      The losers

      - Refugees, for whom access to a fair asylum procedure will be harder. Risk of detention is higher. Risk of pushbacks is increased. Length and complexity of procedures is increased.
      - Non-EU countries at the borders who will deal with more pushed back people and who will be under pressure to build asylum systems to be safe enough to be “safe” third countries.
      - The Med5+ who have conceded on every major point and gained very little. They will have to manage the border procedures and, while solidarity is mandatory, it is flexible, meaning that relocation is not prioritised. It all begs the question: what have they really been offered in return?
      - Germany, which refused to stand firm and defend the even minor improvements that the government coalition agreement required, and on which it had the support of a small progressive alliance, and potential alliances with the south. For example, on exemptions to the border procedure. Given the desperation to reach a deal more could and should have been demanded.

      https://ecre.org/editorial-migration-pact-agreement-point-by-point

    • Décryptage – Pacte UE migration et asile : une approche répressive et sécuritaire au mépris des droits humains

      Le #8_juin_2023, les Etats membres de l’UE réunis en #Conseil_Justice_et_Affaires_Intérieures sont parvenus à un #accord sur deux des #règlements du #pacte_européen_sur_la_migration_et_l’asile. Alors que les négociations entre le Parlement et le Conseil se poursuivent, La Cimade décrypte les principaux enjeux des réformes européennes en cours d’adoption en matière de migration et d’asile et rend publique ses analyses et propositions.

      Le 23 septembre 2020, la Commission européenne dévoilait sa proposition de « pacte euro­péen sur la migration et l’asile » comme une « une nouvelle approche en matière de migration » visant à « instaurer un climat de confiance et un nouvel équilibre entre responsabi­lité et solidarité ».

      Sur la forme, ce pacte se traduit par un éventail de mesures législatives et opérationnelles pour la mise en œuvre de cette « nouvelle » politique migra­toire. À ce jour, la plupart de ces propositions n’ont pas encore été adoptées et font encore l’objet d’intenses négociations entre le Conseil et le Parlement européen.

      Sur le fond, les mesures proposées s’inscrivent dans la continuité des logiques déjà largement éprouvées. Elles sont fondées sur une approche répressive et sécuritaire au service de l’endiguement des migrations et de l’encouragement des expulsions, solutions qui ont prouvé leur inefficacité, et surtout qui coutent des vies humaines.

      La Cimade appelle l’UE et ses Etats membres à engager un véritable changement de paradigme, pour une Europe qui se fonde sur le respect des droits humains et les solidarités internationales, afin d’assurer la protection des personnes et non leur exclusion. La Cimade continuera à se mobiliser avec d’autres pour défendre les droits des personnes en exil tout au long des parcours migratoires.

      A travers ce document de décryptage, La Cimade souhaite contribuer à la compréhension des principaux enjeux des réformes européennes en cours d’adoption en matière de migration et d’asile et rendre publique ses analyses ainsi que ses propositions.

      https://www.lacimade.org/decryptage-pacte-ue-migration-et-asile-une-approche-repressive-et-securita
      #pacte #pacte_migration_et_asile #pacte_migration_asile

    • L’Europe se ferme un peu plus aux réfugiés

      Au moment où le Haut-Commissariat aux réfugiés des Nations unies (UNHCR) annonce, dans son rapport annuel, que le nombre de réfugiés et de déplacés dans le monde n’a jamais été aussi élevé qu’en 2022, le Conseil de l’Union européenne (UE) se félicite qu’après trois ans de négociation, les Etats membres se sont mis enfin mis d’accord sur un projet de réforme du droit d’asile.

      Ce pourrait être une bonne nouvelle. Car le rapport de l’ONU indique que les pays riches, dont font partie la plupart des Etats européens, sont loin de prendre leur part de cet exode. Ils n’accueillent que 24 % de l’ensemble des réfugiés, la grande majorité de ceux-ci se trouvant dans des Etats à revenu faible ou intermédiaire.

      En témoigne la liste des cinq pays qui accueillent le plus de réfugiés : si l’on excepte l’Allemagne, qui occupe la quatrième place, il s’agit de la Turquie (3,6 millions), de l’Iran (3,4 millions), du Pakistan (1,7 million) et de l’Ouganda (1,5 million).

      Et si l’on rapporte le nombre de personnes accueillies à la population, c’est l’île caribéenne d’Aruba (un réfugié pour six habitants) et le Liban (un réfugié pour sept habitants) qui viennent en tête du classement. A titre de comparaison, on compte en France un réfugié pour 110 habitants.
      Un partage plus équitable

      L’Europe aurait-elle décidé de corriger ce déséquilibre, pour répondre à l’appel de Filippo Gandi, le Haut-Commissaire pour les réfugiés, qui réclame « un partage plus équitable des responsabilités, en particulier avec les pays qui accueillent la majorité des personnes déracinées dans le monde » ?

      S’il s’agissait de cela, quelques moyens simples pourraient être mis en œuvre. En premier lieu, on pourrait ouvrir des voies légales permettant aux personnes en besoin de protection de gagner l’Europe sans être confrontées aux refus de visas qui leur sont quasi systématiquement opposés.

      On pourrait ensuite mettre en place une politique d’accueil adaptée, à l’instar de celle que les pays européens ont su mettre en place pour faire face à l’arrivée de plusieurs millions d’Ukrainiens en 2022.

      A la lecture du communiqué du Conseil de l’UE du 8 juin, on comprend que la réforme ne vise ni à faciliter les arrivées, ni à offrir de bonnes conditions d’accueil. Il y est certes question d’un « besoin de solidarité », mais l’objectif n’est pas de soulager ces pays qui accueillent la majorité des déracinés : il s’agit d’aider les Etats membres « en première ligne » à faire face aux « défis posés par la migration ».

      Autrement dit, de faire baisser la pression qui pèse sur les pays qui forment la frontière méditerranéenne de l’UE (principalement l’Italie, la Grèce et Malte) du fait des arrivées d’exilés par la voie maritime.

      Non que leur nombre soit démesuré – il était de l’ordre de 160 000 personnes en 2022 –, mais parce que la loi européenne prévoit que le pays responsable d’une demande d’asile est celui par lequel le demandeur a pénétré en premier dans l’espace européen.

      En vertu de ce règlement dit « Dublin », ce sont donc les pays où débarquent les boat people qui doivent les prendre en charge, et ces derniers sont censés y demeurer, même si leur projet était de se rendre ailleurs en Europe.

      L’accord conclu le 8 juin, qui doit encore être approuvé par le Parlement européen, ne remet pas en cause ce principe profondément inéquitable, qui n’est réaménagé qu’à la marge. Il porte sur deux propositions de règlements.

      La première réforme la procédure d’asile applicable à la frontière, avec notamment une phase de « screening » impliquant l’obligation de placer en détention la plupart des personnes qui demandent l’asile à la suite d’un débarquement, le temps de procéder au tri entre celles dont les demandes seront jugées irrecevables – pour pouvoir procéder à leur éloignement rapide – et celles dont les demandes seront examinées.

      Un dispositif contraire aux recommandations du Haut-Commissariat aux réfugiés qui rappelle, dans ses lignes directrices sur la détention, que « déposer une demande d’asile n’est pas un acte criminel ».

      La seconde met en place un « mécanisme de solidarité », particulièrement complexe, destiné à organiser la « relocalisation » des exilés admis à déposer une demande d’asile dans un autre Etat membre que celui dans lequel ils ont débarqué.
      Un goût de réchauffé

      Ces deux « innovations », dont le Conseil de l’UE prétend qu’elles marquent « une étape décisive sur la voie d’une modernisation du processus en matière d’asile et d’immigration », ont pourtant un goût de réchauffé.

      En 2015, en réaction aux arrivées en grand nombre de boat people sur les côtes grecques et italiennes, essentiellement dues à l’exil massif de Syriens fuyant la guerre civile – épisode qui fut alors qualifié de « crise migratoire majeure » – , le Conseil de l’UE avait mis en place l’« approche hotspot », destinée à assister les pays dont les frontières extérieures sont soumises à une « pression migratoire démesurée ».

      Ce dispositif, incluant déjà une procédure de filtrage pour distinguer les potentiels réfugiés des migrants présumés « irréguliers », visait à organiser l’expulsion de ces derniers dans des délais rapides et à répartir les autres ailleurs en Europe.

      A cette fin, le Conseil avait adopté un programme de « relocalisation », en vue de transférer 160 000 personnes reconnues éligibles à demander l’asile depuis l’Italie et la Grèce vers d’autres Etats membres de l’UE.

      On le voit, les innovations de 2023 présentent de grandes similitudes avec le plan d’action de 2015. Qu’est-il advenu de celui-ci ? Loin de permettre la prise en charge rapide des exilés ayant surmonté la traversée de la Méditerranée, l’approche hotspot a entraîné la création, dans cinq îles grecques de la mer Egée, de gigantesques prisons à ciel ouvert où des milliers de personnes ont été entassées sans possibilité de rejoindre le continent, parfois pendant plusieurs années, dans un déni généralisé des droits humains (surpopulation, insécurité, manque d’hygiène, violences sexuelles, atteintes aux droits de l’enfant et au droit d’asile). Un désastre régulièrement documenté, à partir de 2016, tant par les ONG que par les agences onusiennes et européennes, et qui perdure.

      La principale raison de cet échec tient à l’absence de solidarité des autres Etats de l’UE à l’égard de la Grèce et, dans une moindre mesure, de l’Italie. Car les promesses de « relocalisation » n’ont pas été tenues : sur les 160 000 demandeurs d’asile qui auraient dû être transférés en 2015, 30 000 seulement ont bénéficié de ce programme.

      La France, qui s’était engagée pour 30 000, en a accueilli moins du tiers. Un signe, s’il en était besoin, que les pays européens répugnent à remplir leurs obligations internationales à l’égard des réfugiés, malgré le nombre dérisoire de ceux qui frappent à leur porte, au regard des désordres du monde.

      On se souvient de l’affaire d’Etat qu’a suscitée l’arrivée à Toulon, au mois de novembre 2022, de l’Ocean Viking, ce bateau humanitaire qui a débarqué quelque 230 boat people sauvés du naufrage, immédiatement placés en détention.

      Emboîtant le pas d’une partie de la classe politique qui s’est empressée de crier à l’invasion, le ministre de l’Intérieur avait annoncé que la plupart seraient expulsés – avant que la justice ordonne leur mise en liberté.
      Quelle efficacité ?

      On peine à croire, dans ce contexte, que les promesses de 2023 seront mieux tenues que celles de 2015. Si le nouveau « mécanisme de solidarité » est présenté comme « obligatoire », le communiqué du Conseil de l’UE ajoute qu’il sera « flexible », et qu’« aucun Etat membre ne sera obligé de procéder à des relocalisations » !

      Une façon de prévenir l’opposition frontale de quelques pays, comme la Pologne ou la Hongrie, dont le Premier ministre a déjà fait savoir que le programme de relocalisation imposé par Bruxelles était « inacceptable ». Sur cette base, le système de compensation financière imaginé pour mettre au pas les récalcitrants n’a guère plus de chances de fonctionner.

      De nombreux commentateurs ont salué l’accord conclu le 8 juin comme l’étape inespérée d’un processus qui paraissait enlisé depuis plusieurs années. Ils voient surtout dans ce texte de compromis un espoir de voir la réforme de l’asile adoptée avant le renouvellement, en 2024, du Parlement européen, pour éviter que ces questions ne phagocytent la campagne électorale.

      C’est une analyse à courte vue. Car il y a tout lieu de craindre que cette réforme, qui s’inscrit dans la continuité d’une politique européenne de rejet des exilés, ne fera qu’intensifier le déséquilibre constaté par les Nations unies dans la répartition mondiale des réfugiés. Et poussera toujours davantage ceux-ci vers les routes migratoires qui font de l’Europe la destination la plus dangereuse du monde.

      https://www.alternatives-economiques.fr/claire-rodier/leurope-se-ferme-un-plus-aux-refugies/00107291

      #Claire_Rodier

    • Pacte européen sur la migration et l’asile : repartir sur d’autres bases

      La présidence belge de l’UE qui aura lieu en 2024 ambitionne de faire adopter le nouveau pacte européen sur la migration et l’asile. L’approche qui domine est essentiellement répressive et contraire aux droits fondamentaux. Elle ne répond pas aux enjeux des migrations internationales. A ce stade, le pacte ne semble plus pouvoir apporter une amélioration à la situation des personnes exilées. Il faut donc y mettre fin et redémarrer les discussions sur base d’une approche radicalement différente.
      Le nouveau pacte UE : le phénix de Moria ?

      En septembre 2020, à la suite de l’incendie meurtrier du hotspot grec surpeuplé et insalubre de Moria (centre d’enregistrement et de tri mis en place lors de la crise de l’accueil de 2015), la Commission européenne a présenté son projet de pacte sur la migration et l’asile. Celui-ci est censé répondre au « plus jamais ça » et offrir « un modèle de gestion prévisible et stable des migrations internationales ». Il est décrit par Margarítis Schinás, vice-président de la Commission, chargé des Migrations et de la promotion du mode de vie européen, comme une maison commune dont les fondations sont l’externalisation, les étages sont les contrôles aux frontières, et le grenier est l’accueil.

      Mais le nouvel « air frais » annoncé n’est en réalité qu’un air vicié. Ce pacte présente en effet les mêmes solutions inefficaces, couteuses et violatrices des droits qui dès lors continueront de produire inévitablement les mêmes crises structurelles de l’accueil et l’aggravation des situations humanitaires et meurtrières le long des routes de l’exil. De nombreuses études documentées, depuis plus d’une vingtaine d’années, analysent l’impact d’une politique migratoire basée sur l’externalisation des frontières ainsi qu’une vision restrictive de l’accueil, et montrent ses dérives et son inefficacité

      .
      Un pacte contre les migrations : détenir, trier, expulser

      Le projet de Pacte repose sur cinq règlements législatifs et quelques recommandations et lignes directrices. Ceux-ci concernent respectivement : les procédures et contrôles aux frontières (APR et Filtrage), le Règlement de Dublin (AMMR), la gestion des crises aux frontières, l’enregistrement, ainsi que le partage des données numériques des personnes exilées (EURODAC)

      .

      A ce jour, les négociations autour du nouveau pacte européen sur la migration et l’asile sont au stade ultime du trilogue

      . La Présidence belge de l’Union européenne, qui aura lieu au premier semestre 2024, ambitionne d’aboutir à son adoption. Les positions de la Commission (septembre 2020), du Parlement (mars 2023) et du Conseil (juin 2023) sont, malgré des nuances, globalement similaires.

      L’orientation répressive et sélective des personnes exilées tout comme l’externalisation des questions migratoires dominent le contenu du pacte. Il est donc inéluctable, qu’une fois le trilogue terminé et le pacte en voie d’être adopté, la mise en œuvre par les Etats membres de ces cinq règlements occasionnera pour les personnes exilées :

      – une pérennisation des entraves, contrôles et criminalisation de leurs départs avec des risques de refoulements en chaîne, y compris vers des pays aussi dangereux que la Lybie et la Syrie ;
      - une procédure de filtrage ou tri avec une fiction de non entrée, à savoir que les droits et devoirs garantis sur le territoire européen ne leur sont pas applicables, malgré leur présence sur ce territoire ;
      - une mise en détention quasi systématique aux frontières y compris pour les enfants dès douze ans avec la possibilité de prolongation en cas de situation dite de crise ;
      – une procédure express d’analyse des demandes de protection qui est incompatible avec une réelle prise en compte des vulnérabilités notamment chez les mineurs, les femmes et les personnes LGBTQI+ ;
      – des décisions rapides d’expulsions sur base du concept de pays tiers « sûrs » avec un recours non suspensif ;
      – la récolte obligatoire, l’enregistrement et le partage des données personnelles entre agences européennes (Frontex, Europol, EASO etc.) et ce, dès l’âge de 6 ans ;
      - un système d’accueil à la carte est envisagé par le Conseil où les 27 auront le choix entre la relocalisation ou la participation financière à un pot commun européen en vue de financer notamment la dimension externe du pacte. Il s’agit du seul progrès par rapport à la situation actuelle, mais la Hongrie et la Pologne, malgré la position prise à la majorité qualifiée au Conseil de juin 2023, ont déjà annoncé leur refus d’y participer.

      Il est clair qu’avec ce type de mesures, le droit d’asile est en danger, les violences et le nombre de décès sur les routes de l’exil (faute de voies légales accessibles et de refoulements systématiques) vont augmenter et que les crises structurelles de l’accueil ne pourront être résolues.
      Le respect des droits des personnes exilées est résiduel

      La situation actuelle des migrations internationales exige des solutions immédiates et durables vu l’étendue du non-respect des droits fondamentaux des personnes exilées et du droit international.
      Selon l’ONU, près de 300 enfants sont morts depuis le début de l’année 2023

      en essayant de traverser la Méditerranée pour atteindre l’Europe. « Ce chiffre est deux fois plus important que celui des six premiers mois de l’année 2022. Nous estimons qu’au cours des six premiers mois de 2023, 11 600 enfants ont effectué la traversée, soit également le double par rapport à la même période de 2022. Ces décès sont absolument évitables », a souligné la responsable aux migrations et aux déplacés à l’Unicef, Verena Knaus. Les chiffres réels sont probablement plus élevés car de nombreux naufrages ne sont pas enregistrés.

      Le racisme et la répression contre les personnes exilées augmentent en Europe et dans les pays du Maghreb, entrainant à leur tour des refoulements systématiques impunis parfois même sous la surveillance de Frontex. Le récent naufrage de Pylos
      au large des côtes grecques et les refoulements effectués depuis la Tunisie dans le désert aux frontières algériennes et libyennes en sont les dramatiques illustrations.
      Quant au volet de l’accueil, il fait l’objet de profonds désaccords. Premièrement, les pays du « MED5 » (Italie, Espagne, Grèce, Malte et Chypre) se disent toujours seuls à assumer la responsabilité de l’accueil sur le sol européen. D’autres pays comme la Belgique se disent également victimes des mouvements secondaires. Face à eux, les pays du groupe de Visegrad (Pologne, Hongrie, Tchéquie, Slovaquie) bloquent tout mécanisme de répartition solidaire. Au niveau européen, la Commission promeut, comme elle l’a fait en juillet 2023 avec la Tunisie, l’adoption de protocoles d’entente avec des Etats peu respectueux des droits humains comme le Maroc et l’Egypte. Cela en vue de limiter la mobilité vers et en Europe. Ces partenariats ont un objectif essentiellement sécuritaire (matériel et formations des garde-côtes aux services du contrôle des frontières et des retours) et n’abordent pas les questions de protection et intégration des personnes migrantes dans les pays du Sud et du Nord

      .
      La solution : suspendre les négociations en repartant sur d’autres bases

      Ni la vision générale du Pacte, ni le contenu de ses cinq règlements législatifs ne répondent aux nombreux défis et opportunités que représentent les migrations internationales. Comme l’a démontré Alice Chatté dans son analyse Regard juridique sur les cinq volets législatifs du pacte européen sur la migration et l’asile

      , « les cinq instruments législatifs proposés dans le pacte, qu’ils soient nouveaux ou réformés, ne sont en réalité que la transcription en instruments légaux des pratiques actuelles des Etats membres, qui ont hélas montré leurs faiblesses et dysfonctionnements. Cela se traduit par des procédures, dorénavant légales, qui autorisent le tri et le recours à la détention systématique à l’ensemble des frontières européennes ainsi que l’examen accéléré des demandes de protection internationale sur base du concept de pays « sûrs » favorisant de facto les pratiques de refoulement et le non-accueil au bénéfice du retour forcé ». Elle ajoute que « le projet du pacte, ainsi que les cinq règlements qui le traduisent juridiquement, ne respectent pas les droits fondamentaux des personnes exilées. Il est en l’état incompatible avec le respect du droit international et européen, ainsi qu’avec le Pacte mondial sur les migrations des Nations Unies ».

      A ce stade final du trilogue, les positions des trois Institutions (Commission, Parlement, et Conseil) ne divergent pas fondamentalement entre elles. Les quelques améliorations défendues par le Parlement (dont un monitoring des droits fondamentaux aux frontières et une réforme des critères du Règlement Dublin), sont insuffisantes pour constituer une base de négociation et risquent de ne pas survivre aux négociations ardues du trilogue

      . Puisque le Pacte ne peut plus suffisamment être réformé pour apporter une amélioration immédiate et durable à la situation des personnes exilées, il faut donc se résoudre à mettre fin aux négociations en cours pour repartir sur de nouvelles bases, respectueuses des droits humains et des principes des Pactes mondiaux sur les migrations et sur les réfugiés.
      La Présidence belge de l’UE doit promouvoir la justice migratoire

      Face aux dérives constatées dans de nombreux Etats membres, y compris la Belgique, condamnée à de nombreuses reprises par la justice pour son manque de respect des droits fondamentaux des personnes en demande d’asile, une approche européenne s’impose. Celle-ci doit être basée sur une approche multilatérale, cohérente et positive des migrations internationales, guidée par le respect des droits fondamentaux des personnes exilées et par la solidarité. Le Pacte mondial des migrations des Nations unies adopté en 2018 et la gestion de l’accueil en 2022 d’une partie de la population ukrainienne sont des sources d’inspiration pour refonder les politiques migratoires de l’Union européenne. Plutôt que de chercher à faire aboutir un pacte qui institutionnalise des pratiques de violation des droits humains, la future Présidence belge de l’UE devrait promouvoir une telle vision, afin de promouvoir le respect du droit d’asile et, plus largement, la #justice_migratoire.

      https://www.cncd.be/Pacte-europeen-sur-la-migration-et

  • UE : les Vingt-Sept s’accordent sur une réforme de l’asile, après trois ans d’intenses débats

    Les ministres européens ont arraché jeudi un accord sur deux volets clés d’une réforme de la politique migratoire. La réforme prévoit un système de solidarité entre États membres, et un examen accéléré des demandes d’asile de certains exilés aux frontières afin de les renvoyer plus facilement vers leur pays d’origine ou de transit. La commissaire européenne aux Affaires intérieures Ylva Johansson s’est réjouie d’une « étape très importante » pour le Pacte sur l’asile et la migration, présenté en septembre 2020.

    La journée de jeudi 8 juin a été marquée par de difficiles négociations entre États membres sur le sujet brûlant de l’immigration. Contre toute attente, les ministres européens de l’Intérieur réunis à Bruxelles sont parvenus à signer un accord dans la soirée après trois ans d’intenses débats - le projet de réforme a été présentée par la Commission européenne en septembre 2020.

    Ce feu vert ouvre la voie à des pourparlers avec le Parlement européen, en vue d’une adoption de la réforme avant les élections européennes de juin 2024.

    « Ce ne sont pas des décisions faciles pour tous ceux qui sont autour de la table, mais ce sont des décisions historiques », a salué la ministre allemande de l’Intérieur, Nancy Faeser. La commissaire européenne aux Affaires intérieures Ylva Johansson s’est réjouie d’une « étape très importante » pour le Pacte sur l’asile et la migration.

    Alors, que contient l’accord ? InfoMigrants fait le point.
    1/ Mécanisme de solidarité

    L’un des textes agréés par les ministres prévoit un système de solidarité entre États membres dans la prise en charge des migrants. Quelque 30 000 demandeurs d’asile seraient relocalisés chaque année dans un pays de l’Union européenne (UE).

    Ce mécanisme de solidarité serait rendu obligatoire mais « flexible » au sein de l’UE dans la prise en charge des exilés.

    Les États membres seraient tenus d’accueillir un certain nombre de ces demandeurs arrivés dans un pays de l’UE soumis à une pression migratoire, ou à défaut d’apporter une contribution financière.

    Les pays qui refuseraient d’accueillir des migrants devraient payer 20 000 euros pour chaque demandeur d’asile non relocalisé. Ces sommes seraient versées sur un fonds géré par la Commission et destiné à financer des projets liés à la gestion de la migration.
    2/ Examen accéléré des demandes d’asile

    L’autre texte endossé par les ministres contraint les États membres à mettre en œuvre une procédure accélérée d’examen des demandes d’asile -12 semaines maximum-, dans des centres situés aux frontières, pour les migrants qui ont statistiquement le moins de chances de se voir accorder le statut de réfugié.

    C’est le cas, par exemple, des ressortissants « du Maroc, de l’Algérie, de la Tunisie, du Sénégal, du Bangladesh et du Pakistan », a commenté la secrétaire d’État belge à l’Asile et à la Migration, Nicole de Moor.

    L’objectif est de faciliter le renvoi de ces migrants vers leur pays d’origine ou de transit.
    3/ Des propositions non retenues

    Lors des discussions, une dizaine d’États membres, dont l’Italie et la Grèce, ont exprimé leur opposition ou leurs réserves sur les propositions sur la table.

    C’est le cas par exemple de la volonté de certains pays verser de l’argent aux pays en première ligne dans les arrivées de migrants. En échange, ces États géreraient l’accueil des exilés.

    Une proposition farouchement rejetée par certains pays, dont l’Italie. « Nous avons écarté l’hypothèse selon laquelle l’Italie et tous les États membres de première entrée seraient payés pour garder les migrants irréguliers sur leur territoire. L’Italie ne sera pas le centre d’accueil des migrants au nom de l’Europe », a indiqué dans un communiqué le ministre italien Matteo Piantedosi.

    L’Italie et la Grèce, ainsi que d’autres pays, réclamaient de leurs côtés de pouvoir renvoyer des migrants déboutés du droit d’asile vers des pays tiers « sûrs » par lesquels ils ont transité, même en l’absence d’autres liens (famille, travail...) entre le migrant et ce pays. Une idée qui rencontrait l’hostilité de l’Allemagne. Le compromis prévoit qu’il revient aux États membres d’apprécier si le simple transit constitue un lien suffisant.

    La ministre allemande avait réclamé que « les familles avec des enfants en bas âge ne soient pas soumises à la procédure frontalière ». Cette disposition, qui était défendue par une minorité d’États membres, ne figure toutefois qu’en annexe du texte.
    4/ Hostilité de certains pays

    La Pologne et la Hongrie ont voté contre la réforme, tandis que la Bulgarie, Malte, la Lituanie et la Slovaquie se sont abstenues, a-t-on appris auprès de la présidence suédoise du Conseil de l’UE, qui a mené les longues et complexes négociations.

    Le Premier ministre hongrois nationaliste Viktor Orban a qualifié vendredi d’"inacceptable" cet accord. « Bruxelles abuse de son pouvoir. Ils veulent ‘relocaliser’ les migrants vers la Hongrie par la force. C’est inacceptable », a-t-il réagi, selon un message posté sur Twitter par le porte-parole du gouvernement Zoltan Kovacs.

    https://www.infomigrants.net/fr/post/49551/ue--les-vingtsept-saccordent-sur-une-reforme-de-lasile-apres-trois-ans
    #accord #asile #migrations #réfugiés #UE #union_européenne #procédure_accélérée #Pacte_sur_l'asile_et_la_migration #relocalisation #mécanisme_de_solidarité #renvois #expulsions #2023 #8_juin_2023

    –—

    ajouté à la métaliste sur le pacte :
    https://seenthis.net/messages/1019088

    • Il Patto europeo sulla migrazione riduce la protezione per coloro che cercano asilo

      I leader dell’Unione europea hanno raggiunto un accordo sul “Patto su migrazione e asilo”, che rischia di ridurre gli standard di protezione per le persone in arrivo alle frontiere degli stati membri.

      “Le persone che cercano rifugio nell’Unione europea hanno diritto a un’accoglienza basata sulla dignità e sulla compassione. Col Patto, invece, alle frontiere degli stati membri verrebbero istituite procedure destinate, consapevolmente, a causare sofferenza attraverso la detenzione per mesi in centri chiusi lungo le frontiere. Gli stati membri potrebbero anche rinviare persone in cerca di salvezza verso paesi da loro giudicati sicuri”, ha dichiarato Eve Geddie, direttrice dell’ufficio di Amnesty International presso l’Unione europea.

      “Con l’accordo odierno, la solidarietà resta un concetto vuoto e dimenticato: consentirebbe infatti agli Stati membri di non partecipare alla solidarietà, contribuendo invece ad un fondo comune che può essere utilizzato per pagare i paesi extraeuropei per accogliere le persone in cerca di protezione. Gli stati membri alla frontiera esterna resterebbero con poco sostegno da parte degli altri”, ha proseguito Geddie.

      “Avevamo sperato in una riforma basata sulla solidarietà e sul pieno rispetto dei diritti delle persone migranti e richiedenti asilo. Ora sta al Parlamento europeo impedire nei negoziati che seguiranno che questo Patto, così com’è, entri a far parte della legislazione europea e per assicurare la costruzione di un approccio umano e sostenibile”, ha concluso Geddie.

      https://www.amnesty.it/il-patto-europeo-sulla-migrazione-riduce-la-protezione-per-coloro-che-cercan
      #rétention #détention_administrative

  • Méditerranée : plus de 700 migrants interceptés par les garde-côtes libyens en une semaine - InfoMigrants
    https://www.infomigrants.net/fr/post/49324/mediterranee--plus-de-700-migrants-interceptes-par-les-gardecotes-liby

    Méditerranée : plus de 700 migrants interceptés par les garde-côtes libyens en une semaine
    Par Guillaume Gérard Publié le : 01/06/2023
    Plus de 700 exilés ont été interceptés en mer par les garde-côtes libyens entre le 21 et le 27 mai, a fait savoir l’Organisation internationale pour les migrations lundi. Un chiffre inhabituellement élevé qui s’explique notamment par les départs de centaines de migrants depuis les plages de l’est de la Libye. C’est un chiffre inhabituellement élevé. Entre le 21 et le 27 mai, 726 exilés dont des femmes et des enfants, tentant de rejoindre l’Europe, ont été arrêtés par les garde-côtes libyens au large de Tripoli puis renvoyés vers la Libye, d’après les chiffres publiés par l’Organisation internationale des migrations (OIM). C’est depuis l’est du pays, en région cyrénaïque, que ces nombreux départs ont eu lieu, explique Giacomo Terenzi, coordinateur de l’OIM en Libye, interrogé par InfoMigrants. Au moins 600 personnes interceptées le 27 mai seraient parties de Benghazi, la deuxième ville du pays, située à quelque mille kilomètres à l’est de Tripoli. Généralement, les bateaux qui partent de l’est du pays sont bien plus gros que les embarcations de l’ouest puisqu’ils doivent effectuer une route plus longue pour rejoindre l’Italie. Ils comptent souvent plusieurs centaines de personnes à bord.
    « Notre accès est généralement limité à l’est », admet le représentant de l’OIM, dont le siège en Libye se trouve à Tripoli. Cette partie du pays, dont les autorités ne sont pas reconnues par la communauté internationale, est contrôlée par une faction rivale au gouvernement de Tripoli, à l’ouest.
    « Les autorités de l’est opèrent d’une façon très différente des garde-côtes libyens à l’ouest », ajoute Giacomo Terenzi. Sans financement et soutien de l’Union européenne (UE), les autorités de Cyrénaïque n’ont pas les moyens - ou la volonté politique - de stopper les embarcations de migrants qu’à l’ouest.
    En tout, depuis le 1er janvier 2023, ce sont près de 6 000 exilés qui n’ont pas réussi à atteindre l’Europe par la mer, dont 244 femmes et 122 enfants, selon l’OIM. Ils ont été interceptés en mer par les gardes côtes de l’ouest du pays et ramenés en Libye. Au moins 643 personnes ont trouvé la mort en tentant la traversée et 332 sont portées disparues. À leur retour sur le sol libyen, les migrants récupérés par les garde-côtes sont envoyés dans des centres de détention. Ils y sont exposés à de graves abus – travail forcé, torture, viols - et sont parfois même vendus en tant qu’esclaves et esclaves sexuels.
    L’UE est souvent pointée du doigt dans la politique migratoire menée par Tripoli. Bruxelles fournit un soutien financier aux autorités libyennes pour empêcher les arrivées de migrants sur son territoire. Depuis 2017, l’UE a alloué 57,2 millions d’euros au pays. Et en mars, le Conseil européen a renouvelé pour deux ans son soutien aux autorités libyennes - soutien qui comprend notamment la formation des garde-côtes libyens et la fourniture de navires. En 2021, Amnesty International déclarait déjà que les États membres de l’UE « continuent honteusement d’aider les garde-côtes libyens (…) alors qu’ils ont parfaitement connaissance des horreurs » que les migrants subissent dans les prisons. La mission d’enquête de l’ONU qui a rendu ses conclusions en mars fait état de collusions entre les garde-côtes, les passeurs et les trafiquants.
    InfoMigrants recueille régulièrement les témoignages de personnes passées par les centres de détention, ils décrivent la violence qui y règne. « Les gardes nous frappent sans raison. Parfois, ils emmènent des personnes dans une pièce et les violentent. Ils filment les tortures et les envoient aux familles pour qu’elles paient une rançon » racontait Malik, un réfugié soudanais de 23 ans, à la rédaction en février 2022. Les femmes sont, quant à elles, la cible de viols répétés. « Tous les jours, les gardiens viennent chercher des femmes dans les cellules, et les emmènent à l’extérieur. Ils nous violent devant les autres hommes. On les entend rire et se moquer en arabe, car ils savent qu’après ce sera leur tour de nous passer dessus », expliquait en 2021 Aminata, une Ivoirienne, dont le dernier enfant est le fruit d’une agression sexuelle commise dans une prison libyenne. Plusieurs ONG ont également fait état de violences commises par les garde-côtes libyens envers les embarcations de migrants et les bateaux humanitaires qui portent secours aux exilés. Fin mars, l’Ocean Viking révélait avoir été menacé par des Libyens en pleine mer. Ils ont tiré des coups de feu en l’air pour empêcher la navire de l’ONG SOS Méditerranée de porter secours à des exilés en détresse. Plusieurs témoignages semblables ont été rapportés ces dernières années.Des migrants eux-mêmes ont essuyé des tirs des forces libyennes en mer, alors qu’ils tentaient de leur échapper. En février 2022, un exilé a perdu la vie et trois ont été blessés après avoir été visé par des garde-côtes libyens armés. Les Nations Unies avaient alors réclamé une enquête et promis de sanctionner les responsables. Mais à ce jour, aucune information judiciaire n’a été ouverte. Selon l’OIM, au moins 25 000 exilés sont morts ou disparus en Méditerranée centrale depuis 2014. Cette route migratoire demeure la plus meurtrière au monde.

    #Covid-19#migrant#migration#mediterranee#libye#violence#OIM#UE#ONU#politiquemigratoire#postbrexit

  • Intelligence artificielle : l’#UE et les #États-Unis vont se doter d’un « code de conduite » commun
    https://www.france24.com/fr/%C3%A9co-tech/20230531-intelligence-artificielle-l-ue-et-les-%C3%A9tats-unis-vont-se-dot

    En fait les USA agiront comme bon leur semble

    Si l’Union européenne prépare déjà un cadre juridique complet et impératif en matière d’IA, ce code de conduite sera lui d’application volontaire

  • Pesticide firms withheld brain toxicity studies from EU regulators, study finds | Pesticides | The Guardian
    https://www.theguardian.com/environment/2023/jun/01/pesticide-firms-withheld-brain-toxicity-studies-from-eu-regulators-stud

    En toute #impunité

    Apolline Roger, a lawyer at ClientEarth, contrasted the lack of penalties for non-disclosure of toxicity studies with those imposed for breaches of EU data protection and competition laws, which can lead to fines of significant percentages of a company’s annual turnover.

    “You don’t have [penalties] like that for this process, even though what is at stake is the dispersion of potentially very harmful substances in the environment, and therefore in our food, water and bodies,” she said. “What does it say about us when we place a higher value on digital data and consumer protection than on health and the environment?”

    #sans_vergogne #pesticides #ue

  • Prix de l’énergie : les litiges explosent, selon le Médiateur latribune.fr

    La part des litiges liés aux changements de prix de l’énergie a doublé sur un an, de 8% à 16%. Néanmoins, le nombre total de litiges enregistrés, tous sujets confondus, par le médiateur par rapport à 2021 est demeuré stable (30.558 litiges reçus) mais « cette stabilité masque des situations contrastées », insiste-t-il dans un communiqué.

    La crise de l’énergie enflamme les relations entre clients et fournisseurs. Dans son bilan publié ce mardi, le Médiateur de l’énergie constate, sans surprise, que les litiges sur les questions de prix ont doublé en 2022, dans un contexte d’explosion des cours du gaz et de l’électricité, selon un bilan publié ce mardi 30 mai.

    « Les hausses sans précédent des prix de l’énergie ont été souvent répercutées par certains fournisseurs de façon peu transparente, voire incompréhensible ou trompeuse, occasionnant une forte augmentation de ce type de litiges : la part des litiges liés à des changements de prix a doublé par rapport à 2021 (de 8 à 16%) » , pointe-t-il.

    Les mauvais élèves pointés du doigt
    Le Médiateur, qui a pour habitude de pointer publiquement les mauvais élèves, a ainsi dégainé plusieurs « cartons rouges » pour l’occasion à destination d’un certain nombre de fournisseurs : #Ohm_Energie#Gaz_de_Bordeaux , #Mint_Energie , #Mega_Energie et #Wekiwi .
    Quatre  « mauvaises pratiques tarifaires » sont notamment dénoncées chez certains : des prix non connus au moment où l’énergie était consommée dans des offres indexées sur les prix de marché, des contrats qui ne permettent pas de bénéficier du bouclier tarifaire (notamment chez Gaz de Bordeaux), des modifications de contrats en cours,  « sans donner une information loyale et transparente » , et surtout de fortes hausses de prix peu après la souscription d’offres à des prix très attractifs.

    Le nombre total de litiges reste stable
    Néanmoins, le nombre total de litiges enregistrés, tous sujets confondus, par le médiateur par rapport à 2021 est demeuré stable (30.558 litiges reçus) mais « cette stabilité masque des situations contrastées », insiste-t-il dans un communiqué. Contrairement aux litiges sur les prix, les litiges plus classiques ont été moins nombreux l’an dernier à cause de l’amélioration du traitement des plaintes par la plupart des fournisseurs, du déploiement des compteurs communicants ou de l’arrêt provisoire du démarchage.

    « Pour améliorer le fonctionnement du marché, je publierai à la rentrée un guide des recommandations de bonnes pratiques, rédigé en concertation avec l’ensemble des acteurs du secteur de l’énergie », a assuré le Médiateur Olivier Challan Belval dans le communiqué.

    Des factures en forte hausse
    Les factures d’électricité des ménages dans l’Union européenne ont bondi de 20% sur un an au second semestre 2022, tandis que leurs factures de gaz s’envolaient de 46%, atteignant des niveaux record à cause de la guerre en Ukraine, selon des chiffres d’Eurostat publiés fin avril. Sur la période allant de juillet à décembre 2022, les prix de l’électricité pour les ménages ont atteint en moyenne à travers l’UE 28,4 euros pour 100 kWh, soit un bond de 21% par rapport à la même période de 2021, a indiqué l’office européen des statistiques.

    Une conséquence de la flambée des prix de gros de l’électricité, de facto indexés sur le coût de production de la dernière centrale utilisée pour équilibrer l’offre et la demande, le plus souvent une centrale au gaz. Or, les cours du gaz naturel se sont envolés à mesure que la Russie cessait ses livraisons à l’Europe. Eurostat souligne cependant de fortes disparités entre les pays, ainsi que les impacts divers des mesures de soutien prises par les gouvernements nationaux. La part des taxes dans les prix de l’électricité a ainsi été diminuée quasiment de moitié en Europe.

    Au second semestre, les plus fortes hausses sur un an ont été enregistrées en Roumanie (+112%), République tchèque (+97%), Danemark (+70%), Lituanie (+65%) et Lettonie (+59%). A l’inverse, des augmentations bien plus modérées ont été constatées en Autriche, Allemagne, Pologne et Bulgarie (4 à 5%). La hausse en France s’établit à 9%. Exprimés en euros, les prix moyens de l’électricité pour les ménages ont varié d’environ 11 euros/100 kWh en Hongrie et en Bulgarie, à environ 45 euros en Belgique et 59 euros au Danemark.

    De même, les factures de gaz des ménages de l’UE se sont en moyenne établies à 11,4 euros pour 100 kWh au second semestre 2022, contre 7,8 euros un an plus tôt. Les pays de l’Est, très dépendants du gaz russe, ont été lourdement touchés : les prix du gaz ont plus que triplé en République tchèque, bondi d’environ 160% en Roumanie et en Lettonie, et ils ont doublé en Lituanie comme en Belgique. Seuls deux pays (Croatie et Slovaquie) ont enregistré des hausses inférieures à 20%, selon Eurostat.

    Source : https://www.latribune.fr/entreprises-finance/industrie/energie-environnement/les-litiges-lies-au-prix-de-l-energie-explose-selon-le-mediateur-963961.ht

    #ue #union_européenne #énergie #inflation #prix #électricité #france #gaz #politique #économie #europe #edf #capitalisme

  • Comment les #entreprises_polluantes ont transformé les #quotas gratuits de #CO₂ en un marché de plusieurs milliards d’euros
    https://www.lemonde.fr/planete/article/2023/05/30/comment-les-entreprises-polluantes-ont-transforme-les-quotas-gratuits-de-co-

    C’est une histoire de trente ans qui se chiffre en milliards d’euros. Trente longues années qui ne resteront pas dans les annales de l’Union européenne (#UE) comme étant les plus glorieuses dans sa lutte contre le réchauffement climatique. Trois décennies au cours desquelles les #industries les plus #polluantes du Vieux Continent – l’acier, le ciment, le pétrole, l’aluminium et d’autres – auront reçu gratuitement des quotas d’#émissions_de_CO2, sortes de « droits à polluer » supposés être réduits dans le temps, afin de les inciter à réduire leurs émissions de gaz à effet de serre.

    Or, le dispositif a rapidement été détourné de son objet pour devenir un outil financier permettant à ses bénéficiaires d’augmenter leurs profits, grâce à la revente de ces quotas. Rien qu’entre 2013 et 2021, estime le Fonds mondial pour la nature, les plus grosses industries émettrices ont empoché 98,5 milliards d’euros et n’ont consacré qu’un quart de cette somme (25 milliards d’euros) à l’action climatique.

    Le système des #quotas_gratuits, lancé le 1er janvier 2005 et toujours en vigueur, est appelé à disparaître en 2034. Le 18 avril, le Parlement européen a en effet adopté un nouveau plan pour le climat prévoyant son remplacement progressif par un « mécanisme d’ajustement carbone aux frontières » de l’Union, dans le but de verdir, cette fois, les importations des secteurs les plus émetteurs de CO2. L’UE, en optant pour un dispositif plus simple, n’a pas fait officiellement son mea culpa. Mais c’est bien de cela qu’il s’agit.

    Détournement « légal »
    Comme nous le révélons au terme de huit mois d’enquête avec le soutien financier du fonds Investigative Journalism for Europe (IJ4EU), ce système, qui se voulait bienveillant à l’égard des industriels, a été détourné de son but initial. Nous nous sommes intéressés aux sidérurgistes et aux cimentiers de France et d’Espagne, deux secteurs qui font partie des plus gros bénéficiaires.

    L’analyse approfondie des transactions financières enregistrées par ces acteurs sur le système d’échange de quotas d’émissions (SEQE-EU-ETS en anglais) confirme ce que certains supposaient depuis longtemps : les entreprises ont revendu une partie de leurs quotas gratuits pour des centaines de millions d’euros, parfois des milliards. Mais, contrairement à l’énorme fraude à la TVA qui avait ébranlé le dispositif à ses débuts, faisant perdre 6 milliards d’euros aux pays de l’UE et donnant lieu à des condamnations en justice bien des années après, le détournement dont il est question s’opère de façon légale.

  • « Les Etats et les institutions européennes doivent garantir un espace humanitaire en Méditerranée »
    https://www.lemonde.fr/idees/article/2023/05/08/les-etats-et-les-institutions-europeennes-doivent-garantir-un-espace-humanit

    « Les Etats et les institutions européennes doivent garantir un espace humanitaire en Méditerranée »
    Tribune Collectif
    A l’occasion de la Journée de l’Europe, le 9 mai, un collectif d’une centaine d’élus, parmi lesquels Martine Aubry, Carole Delga et Grégory Doucet, appelle, dans une tribune au « Monde », les Etats de l’UE à respecter les règles applicables au sauvetage en mer et à mettre fin aux sanctions contre les associations humanitaires.

    #Covid-19#migrant#migration#postcovid#politiquemigratoire#UE#mediterranee#humanitaire#droit#asile

  • La façon dont Ursula von der Leyen a négocié le contrat pour les vaccins avec Pfizer “décrédibilise les institutions européennes et la Belgique” Olivier le Bussy - La Libre

    Frédéric Baldan, un citoyen belge, a introduit une plainte pénale contre la présidente de la Commission européenne, à qui il reproche d’avoir outrepassé ses droits en négociant de façon directe et secrète avec le président de la firme pharmaceutique américaine.

    La façon dont a été négocié le troisième contrat passé entre la firme pharmaceutique Pfizer et la Commission européenne, au nom des États membres, pour l’achat de 1,8 milliard de doses de vaccins contre le Covid-19, n’en finit pas de faire des vagues. Lesquelles éclaboussent la présidente de la Commission, Ursula von der Leyen. En juillet 2022, la Médiatrice européenne avait épinglé le cas de “maladministration” que constitue le refus de l’exécutif européen de dévoiler le contenu des SMS échangés entre Mme von der Leyen et le CEO de l’entreprise américaine, Albert Bourla, pendant la négociation du contrat de 35 milliards d’euros signé en mai 2021. En février 2023, le quotidien américain New York Times a déposé une plainte administrative à ce sujet contre la Commission devant la Cour de justice de l’Union européenne. Le parquet européen a, de son côté, ouvert une enquête sur le processus d’acquisition des vaccins.

    Enfin, Le Vif a révélé, il y a quelques jours, qu’une plainte pénale avait été introduite le 5 avril dernier contre la présidente von der Leyen par un citoyen belge, Frédéric Baldan, devant le juge d’instruction liégeois Frédéric Frenay. Elle vise l’Allemande pour des faits d’” usurpation de fonctions et de titre”, parce qu’elle s’est substituée au comité de pilotage chargé de négocier les contrats ; de “destruction de documents publics”, parce que la Commission ne remet pas la main sur les SMS échangés, et de “prise illégale d’intérêts et de corruption”. Rien que ça.

    M. Baldan est un lobbyiste accrédité auprès des institutions européennes, spécialiste des relations entre l’UE et la Chine. Il a expliqué à La Libre les raisons qui l’ont convaincu de déposer une plainte visant directement Ursula von der Leyen. “J’ai assez bien suivi, par intérêt personnel, le travail de la commission spéciale du Parlement européen sur le Covid-19. Au fur et à mesure des découvertes témoignages, il est apparu qu’il y avait des comportements troublants, qui laissaient voir que des infractions avaient été commises” , avance M. Baldan, qui a sollicité le concours de Maître Diane Protat, du barreau de Paris.

    Le plaignant estime que la façon dont les contrats ont été négociés et conclu lèse la Belgique, qui se retrouve avec 25,1 millions de doses de vaccins surnuméraires, dont près de 12 millions de doses Pfizer, dont l’achat a pesé sur ses finances publiques. Il estime aussi que le comportement de la présidente de la Commission a endommagé “la crédibilité de l’autorité publique”.
    Vous visez en particulier la présidente von der Leyen et la manière parce qu’elle a négocié directement le troisième contrat avec Pfizer avec le PDG de l’entreprise pharmaceutique, Albert Bourla, alors que cette tâche revenait à une équipe de négociateurs de la Commission ?
    Oui, tout à fait. Et la censure des clauses des contrats est également inadmissible. C’est inimaginable de penser qu’on va faire prévaloir l’intérêt d’acteurs privés sur celui du public ad vitam aeternam. Un article dans le Code pénal sanctionne les fonctionnaires, dépositaires ou représentants de l’autorité ou de la force publique qui, de manière, arbitraire, porte atteinte aux droits garantis par la Constitution. Or, le droit à la transparence est inscrit dans la Constitution, ainsi que dans la Charte européenne des droits fondamentaux qui a valeur constitutionnelle selon la jurisprudence de la CJUE. Si on est démocratie, alors c’est le moment de le prouver. Je veux que la justice mène une instruction judiciaire indépendante à charge et à décharge et me dise s’il y a eu, ou non, quelque chose de répréhensible. Et nous démontre, le cas échéant, qu’on s’est complètement trompé. Mais en tout cas, on ne peut pas laisser perdurer cette situation.

    Vous soutenez que la Belgique a été lésée, notamment parce qu’elle se retrouve, comme tous les États membres, avec des millions de doses surnuméraires, qu’elle a payées avec les deniers publics. Dix États membres d’Europe centrale et orientale avaient réclamé l’an dernier la renégociation des contrats. Mais l’État belge, lui, ne se plaint de rien, pour le moment…

    Source et suite : https://www.lalibre.be/international/europe/2023/04/18/la-facon-dont-ursula-von-der-leyen-a-negocie-le-contrat-pour-les-vaccins-ave

    #ue #union_européenne #covid-19 #ursula_von_der_leyen #sante #en_vedette #covidisme #épidémiologiste #mckinsey #mac_kinsey #mckinseygate #corruption #incompétence #privatisation #cabinets_de_conseil #consulting #covid-19 #dette

  • Ce scandale qu’ursula von der leyen pensait laisser derrière elle à Berlin France Culture

    L’opposition allemande publie un rapport d’enquête accablant sur la responsabilité d’ursula von der leyen dans un scandale qui a coûté des dizaines de millions d’euros au ministère qu’elle dirigeait avant de partir pour Bruxelles.

    Il est beaucoup question de la présidente de la Commission européenne ursula von der leyen dans la presse allemande ce mercredi.

    Oui car avant de quitter Berlin pour Bruxelles l’année dernière, ursula von der leyen était la ministre de la Défense d’Angela Merkel, et son départ avait été jugé aussi inattendu que précipité. aujourd’hui, un an plus tard, voilà que ressurgit un vieux dossier de l’époque qui n’a pas fini de la poursuivre... jusque dans son exil européen.

    https://media.radiofrance-podcast.net/podcast09/10901-24.06.2020-ITEMA_22368464-2020C22811S0176-177945590

    Car pendant ces années où Mme von der leyen a dirigé le ministère allemand de la Défense, celui-ci a accumulé les problèmes de gestion, les dizaines de millions d’euros dilapidés sans contrôle pour payer des consultants, conseillers et autre sous-traitants privés. "Il y en a pour près de 100 millions" , affirme ce matin l’hebdomadaire Focus https://www.focus.de/politik/deutschland/berater-affaere-im-verteidigungsministerium-faktisches-komplettversagen-neuer- en se basant sur un rapport d’enquête qui vient d’être rendu public et qui s’avère "dévastateur" pour l’ex-ministre.

    Ce rapport, il faut le préciser, a été rédigé par les députés issus de l’opposition qui ont participé à la commission d’enquête parlementaire sur cette affaire. Un an de travail, et ces conclusions des députés Verts, libéraux-démocrates et du Parti de Gauche qui sont accablantes, reprises également par Der Spiegel https://www.spiegel.de/politik/deutschland/ursula-von-der-leyen-und-die-berateraffaere-faktisches-komplettversagen-a-55 : sous ursula von der leyen, la gestion du ministère était "un échec complet_", dixit le rapport, avec des procédures de contrôle des contrats de consulting qui n’étaient pas respectées, et cachaient souvent des liens de copinage, de connivence entre hauts fonctionnaires et lobbyistes privés. 

    La désormais présidente de la Commission européenne s’en est toujours sorti, jusque là, en disant que les décisions n’étaient pas prises à son niveau, qu’elle n’en avait pas connaissance et donc qu’elle ne pouvait en être tenue responsable. Ce n’est pas ce que conclut le rapport d’enquête de l’opposition, martèle Der Spiegel https://www.spiegel.de/politik/deutschland/ursula-von-der-leyen-und-die-berateraffaere-faktisches-komplettversagen-a-55 . Il met en avant la responsabilité inévitable de l’ex-ministre, qui était tenue au courant des problèmes rencontrés à cause de tous ces contrats, mais n’a jamais fait mine de mettre fin aux mauvaises pratiques. 

    Pire encore, rappelle Politico https://www.politico.eu/article/ursula-von-der-leyen-german-governing-parties-contracting-scandal , Urusula von der leyen a semblé tenter de faire obstruction à l’enquête parlementaire, quand on s’est rendu compte que ses deux téléphones portables professionnels saisis pour les besoins de l’enquête avaient été consciencieusement expurgés de tout message avant d’être livrés à la commission.

    A présent "il n’y a plus guère de doute sur la raison véritable qui a poussé ursula von der leyen à fuir à Bruxelles" résume le chef du service investigation de Die Welt Wolfgang Büscher pour qui l’ex-cheffe de la Bundeswehr est bien coupable, je cite, d’avoir laissé ces "oiseaux parasites que sont les consultants privés faire leur nid au ministère de la Défense" , d’avoir donné les clés de la Défense nationale, à travers ces lobbyistes, aux intérêts des grandes compagnies du secteur de l’armement en particulier.

    Faut-il en conclure pour autant que la nomination d’ursula von der leyen n’aura été comme le sous-entend Wolfgang Büscher, qu’une « exfiltration en urgence pour masquer le chaos qu’elle laissait derrière elle » ? _ 

    On n’en est pas là... Il faut enfin rappeler, avec la Süddeutsche Zeitung https://www.sueddeutsche.de , que les conclusions définitives de la commission d’enquête parlementaire dans son ensemble (opposition+majorité) ne devraient être rendues que la semaine prochaine. D’ores et déjà, les partis de la grande coalition merkelienne font bloc autour d’ursula von der leyen, ils rejettent toutes ces accusations et plaident l’ignorance de l’ancienne ministre. A Berlin comme à Bruxelles, on se demande bien comment ceux qui accablent la présidente de la Commission européenne et ceux qui l’absolvent vont arriver à accorder leurs violons.

    Source : https://www.radiofrance.fr/franceculture/podcasts/revue-de-presse-internationale/ce-scandale-qu-ursula-von-der-leyen-pensait-laisser-derriere-elle-a-berl

    #mckinsey #mac_kinsey #mckinseygate #corruption #incompétence #privatisation #cabinets_de_conseil #consulting #en_vedette #allemagne #covid-19 #politique #femme #ue #union_européenne #ursula_von_der_leyen

    • A Liège, une plainte pénale contre Ursula von der Leyen Le Vif

      Le juge d’instruction liégeois Frédéric Frenay vient d’être saisi afin d’instruire une plainte pénale contre Ursula von der Leyen, la présidente de la Commission européenne. Une plainte pour « usurpation de fonctions et de titre », « destruction de documents publics » et « prise illégale d’intérêts et corruption ».

      En clair, il est reproché à la présidente de la Commission de s’être substituée « sans aucun mandat » aux Etats membres de l’UE – dont le gouvernement belge – en négociant de façon « directe et secrète », par SMS notamment, des contrats d’achat de vaccins avec le CEO de Pfizer, Albert Bourla, durant la pandémie de Covid-19. Il lui est aussi reproché d’avoir supprimé ces textos, une affaire connue sous le nom du « Deletegate ». Le plaignant, Frédéric Baldan, 35 ans, estime que le comportement d’Ursula von der Leyen porte atteinte « aux finances publiques de la Belgique » et « à la confiance publique ». Il s’est constitué partie civile et réclame 50 000 euros pour son préjudice moral. Cette affaire a déjà fait l’objet de plaintes contre la Commission auprès de l’ombudsman européen (saisi par un journaliste allemand) et de la Cour de justice de l’Union européenne (saisie par The New York Times). Avec cette nouvelle plainte, le Deletegate prend une tournure pénale : ce n’est plus la Commission qui est ciblée pour manque de transparence, c’est sa présidente, à titre personnel.

      Source : https://www.levif.be/magazine/a-liege-une-plainte-penale-contre-ursula-von-der-leyen

      #Deletegate

  • Studio Crapulax : Quand l’humour se mêle de politique – La guerre des retraites

    Le studio Crapulax revient — avec beaucoup d’humour — sur la réforme des retraites menée par notre chère philanthrope de première ministre, Élisabeth Borne, ainsi que des événements survenus après l’application de l’article 49.3 de la Constitution, preuve ultime de notre démocratie. Des hordes de prolétaires ignobles ont osé brûler des poubelles en pleine manifestation et même prétendre que des violences policières avaient été commises. Quelle blague ! On ne peut que saluer la fermeté de nos forces de l’ordre face à ces sauvageons et leur rappeler que les réformes sont nécessaires pour notre bien-être à tous. Bravo à notre gouvernement éclairé et à sa politique visionnaire !

    https://www.youtube.com/watch?v=HZpLeKjhZnU

    #guerre des #retraites #emmanuel_macron #lrem #ue #union_européenne #violences #police #france #playmobil #en_marche et ses « #réformes  » avec le #ps 

  • Violences liées au milieu de la drogue à Anvers : un blessé léger et 20 habitations endommagées par une grave explosion Belga - RTBF
    ¨Anvers plus que jamais en proie à la violence liée au milieu de la drogue _

    Une violente explosion a endommagé pas moins de vingt habitations et fait un blessé léger à Anvers dans la nuit de samedi à dimanche, communique la police locale.

    L’explosion a eu lieu vers 3h00 du matin dans le voisinage de la place Franklin Roosevelt. Une personne a été légèrement blessée, à cause d’éclats de verre.

    Les dégâts concernent au moins quinze habitations dans quatre rues, mais il s’agit avant tout de débris de verre. La résidence qui est suspectée d’avoir été la cible de l’explosion est par contre plus largement endommagée. Cinq véhicules ont aussi été abîmés.


    . . . . . .
    Compte tenu de la gravité de l’impact de cette attaque sur le quartier, j’ai demandé à la police locale de mener une vaste enquête de quartier avec des visites de maison en maison pour parler à tous les habitants et recueillir autant d’informations que possible", a commenté le bourgmestre Bart De Wever.

    « Cet incident violent montre une fois de plus à quel point le crime organisé lié à la drogue doit être combattu de toutes ses forces dans ce pays. Avec tout le respect pour les efforts et les engagements pris récemment par le gouvernement fédéral, la police judiciaire fédérale reste en sous-effectif », déplore celui qui est aussi président de la N-VA.

    Source : https://www.rtbf.be/article/violences-liees-au-milieu-de-la-drogue-a-anvers-un-blesse-leger-et-20-habitatio
    #drogue #drogues #cocaïne #crack #mafia #santé #addiction #société #cocaine #trafic #criminalité #héroïne #marché #Anvers #ue #union_européenne

  • L’économie mondiale n’éternue pas du rhume de la crise aux USA.
    http://www.argotheme.com/organecyberpresse/spip.php?article4441

    Une crise économique mondiale, une inflation sur les denrées alimentaire et des pénuries de plusieurs produits notamment énergétiques sont vraiment le fait de la guerre menée par la Russie en Ukraine. Ou bien est-ce le cycle de fin de la domination des pays occidentaux sur les échanges internationaux et l’avenir de l’humanité ainsi que celui de la planète ? Grands événements : Gigantisme de l’inattendu.

    / #crise,_capitalisme,_économie,_justice,_Bourse, économie , #UE_-_Union_Européenne, journaliste, poète, livre, écrits, #Data_-_Données

    #Grands_événements_:_Gigantisme_de_l’inattendu. #économie_ #_journaliste,_poète,_livre,_écrits

  • #France : Les urgences le refusent, il meurt à 17 ans sur un parking th

    Nicolas, 17 ans, est décédé d’une pneumopathie.
    Comment un tel drame a-t-il pu se produire ? Suite au décès de Nicolas en Haute-Garonne, en France, le 10 mars dernier, les parents de l’adolescent de 17 ans ont porté plainte contre X. Le jeune Français est décédé sur le parking d’une pharmacie, après une énième tentative de sa mère pour soigner la « grippe » dont son garçon était victime.


    Sauf qu’il ne s’agissait pas d’une banale infection respiratoire, comme l’avait diagnostiquée son médecin, mais d’une pneumopathie qui aurait pu être soignée. Appelés en urgence, les secours n’ont malheureusement rien pu faire pour sauver l’ado. C’est l’autopsie pratiquée après son décès qui a pu établir avec certitude la maladie dont il souffrait.

    « Madame ce n’est pas la peine de venir, c’est une simple grippe »
    Les signaux d’alerte ont pourtant été nombreux. Nicolas vomissait depuis un certain temps et son état de santé se dégradait. Mais ni son médecin traitant – qui lui a simplement prescrit du Doliprane – ni les urgences n’ont jugé bon de s’alarmer. Au contraire, ces dernières ont demandé à sa mère de ne surtout pas l’y amener : « Chaque fois on lui a répondu : ’’Madame ce n’est pas la peine, c’est une simple grippe’’ (…) Comment est-ce possible, aujourd’hui, qu’à 17 ans on puisse décéder de la sorte, après avoir vomi durant une semaine et avoir obtenu plusieurs diagnostics », s’interroge l’avocat de la famille pour France 3.

    La semaine passée, le directeur générale de l’entreprise dans laquelle Nicolas devait effectuer son apprentissage de peintre a pris la parole sur LinkedIn pour rendre hommage à l’adolescent et partager sa colère. « Faute de pouvoir accueillir les patients aux urgences, on les trie au téléphone et voilà le résultat », déplore-t-il.

    Les services d’urgence ont été mis en cause à plusieurs reprises en France, au cours des derniers mois, suite à des décès de patients. Des enquêtes sont en cours sur des défauts de prise en charge ou des mauvais diagnostics. Une jeune femme de 19 ans est décédée au Centre Hospitalier Régional Metz-Thionville le 4 mars, suite à son admission aux urgences.

    Source : https://www.lessentiel.lu/fr/story/les-urgences-le-refusent-il-meurt-a-17-ans-sur-un-parking-525728973787
    #Santé #Hôpital #libéralisation d’#emmanuel_macron suivant les ordres de l’#union_européenne , l’#ue pour faire de soit disant #économies #déglingue #France

  • Union Européenne : Le FEP, Fond Européen pour la Paix continu d’entretenir la guerre, pour 9,2 millards d’euros
    Le plan inédit de l’Union européenne pour (essayer de) livrer plus d’obus et plus vite à l’Ukraine Maria Udrescu - La Libre Belgique

    Cette semaine, les Vingt-sept devraient valider un plan qui consistera notamment à effectuer, pour la première fois, des achats communs de munitions. Une initiative inspirée par l’expérience des achats communs de vaccins contre le Covid-19.

    En extrême urgence", "rapidement", "en vitesse", "immédiatement",... Ces mots ponctuent la proposition européenne pour accélérer la livraison d’obus à l’Ukraine et que les Vingt-sept devraient valider cette semaine. Inspirés par l’achat commun de vaccins contre le Covid-19 et, surtout, confrontés aux besoins criants de Kiev pour faire face à l’agression russe, devenue une guerre d’usure, les pays de l’Union européenne prévoient de passer ensemble, pour la première fois, des commandes de munitions, en particulier d’obus d’artillerie de 155 mm, utilisés dans les puissants armements de fabrication occidentale qui peuvent changer la donne du conflit.

    L’objectif est double : continuer à soutenir l’Ukraine, tout en remplissant les stocks, quasiment épuisés, des Etats membres, qui fournissent des armes à l’Ukraine depuis des mois. Et le défi est majeur puisque l’UE doit offrir des garanties à l’industrie afin qu’elle accélère son rythme de production d’obus et d’armes, alors que les pays européens ont rechigné pendant des années à faire de la défense une priorité. "Nous étions convaincus que les prochains conflits seraient courts et high tech" , soupire un diplomate. Si l’UE n’est pas partie au conflit, certains Etats membres, dont la France, évoquent désormais la nécessité de bâtir une "économie de guerre", conscients des efforts immenses qu’il reste à faire et de l’enjeu : "la Russie ne peut pas et ne doit pas gagner cette guerre", insiste une autre source européenne.

    1. Pourquoi l’Ukraine a-t-elle besoin d’obus de 155 mm ?
    155 mm, c’est le calibre standard de l’Otan - celui des Russes est de 152 mm. Selon El Pais, 60% des obusiers dont dispose l’Ukraine sont de modèle soviétique et utilisent des obus de calibre 122mm ou 152mm. Dans les premiers mois de la guerre, les pays européens - en particulier ceux d’Europe centrale et orientale - se sont dépêchés de livrer à Kiev les équipements de type soviétique dont ils disposaient encore et que l’armée ukrainienne savait utiliser. Progressivement, des armements plus modernes (canons M777 américains, Caesar français, lance-roquettes Himars, etc.) ont été fournis à l’Ukraine, au fur et à mesure que ses soldats ont été formés à les manier. Selon le décompte fait en janvier 2023 par le Center for Strategic and International studies, l’armée ukrainienne aurait reçu environ 300 pièces d’artillerie tractées et automotrices de 155 mm. Et ce chiffre est destiné à augmenter, les obusiers de type soviétique n’étant de toute façon plus produits à grande échelle ni en Ukraine ni en Europe de l’Est.

    Les équipements de modèle occidental fonctionnent avec des munitions de 155 mm (intelligentes, plus précises, même à très longue distance, dotées d’un système de guidage, etc.). Mais les livraisons occidentales de ces projectiles n’arrivent plus à tenir le rythme de la guerre. Les Ukrainiens tirent entre 5000 et 7000 obus par jour, soit un cinquième de ce qu’ils seraient en capacité d’utiliser s’ils avaient plus de stocks, alors que la Russie en tire 50 000. Le ministre de la Défense ukrainien a indiqué que son pays aurait besoin de 350000 obus par mois pour repousser les forces russes et lancer ses propres contre-offensives.

    2. Premier objectif : livrer à Kiev, aussi vite que possible, ce dont on dispose
    Lors du sommet européen de février, l’Estonie, a esquissé un plan européen pour livrer 1 million d’obus à Kiev. Prix estimé de l’opération : 4 milliards d’euros (soit 4000 euros la pièce). Nouveauté : l’achat commun de munitions, encore jamais pratiqué par les Vingt-sept. L’idée a fait son chemin et un projet a été mis sur la table par la Commission européenne et le Service européen pour l’action extérieure (SEAE). Il a fait l’objet de plusieurs négociations entre les Vingt-sept, dont les représentants auprès de l’UE se sont encore rencontrés ce dimanche pour régler les derniers détails, afin de permettre aux ministres des Affaires étrangères et ceux de la Défense , réunis ce lundi à Bruxelles, de s’accorder sur le texte, qui sera ensuite validé au plus haut niveau par les dirigeants européens, jeudi.

    Le plan comprend trois pistes, à développer en parallèle, dont la première consiste à encourager les Etats membres à puiser davantage dans leurs stocks de munitions (qu’elles soient de 155 mm ou de 152mm) ou à rediriger leurs nouvelles commandes d’obus vers l’Ukraine. Certes, "on n’a pas besoin d’attendre un dispositif européen pour faire cela" , précise un diplomate, qui insiste sur le fait que les livraisons à Kiev n’ont jamais cessé. Mais il faut accélérer la cadence. L’UE prévoit une enveloppe d’un milliard d’euros, dans le cadre de la Facilité européenne pour la paix (FEP), afin de rembourser à hauteur de 50% ou 60% les obus fournis à l’Ukraine - jusqu’ici 450 millions d’euros ont été mobilisés via la FEP pour livrer 350 000 munitions de 155mm.

    3. Mais quid alors de notre défense et des stocks des Etats membres ?
    Mais les Etats membres veulent surtout être sûrs qu’ils pourront rapidement combler leurs stocks et donc que "l’industrie sera en mesure de répondre à la demande", précise un diplomate. Or actuellement, "les dépenses en munitions de l’Ukraine est plusieurs fois supérieur à notre taux de production. Cela met nos industries de défense à rude épreuve" , avait mis en garde le secrétaire général de l’Otan Jens Stoltenberg, mi-février.

    Or les entreprises ont elles-mêmes besoin d’être rassurées avant de songer à effectuer des investissements pour accélérer la cadence. Passer des commandes groupées (et donc importantes) d’obus de 155 mm, pour répondre tant aux besoins de l’Ukraine qu’à ceux des Etats membres, devrait permettre d’envoyer un signal positif aux industriels. L’autre enjeu est aussi d’éviter un "phénomène de compétition" , de course à l’achat d’obus, entre les Vingt-sept, et donc d’augmentation des prix.

    Pour effectuer des achats groupés, deux options existent. Soit un Etat membre coordonne l’opération pour d’autres - l’Allemagne s’est déjà portée volontaire, tenant à privilégier ce modèle national, selon elle plus pragmatique, rapide, efficace et moins bureaucratique, mais qui permet aussi de booster sa propre industrie. Soit c’est l’Agence européenne de défense (AED) qui prend les manettes et gère l’achat commun au nom de minimum trois pays. Une solution plus européenne que préfère par exemple la Belgique, tout comme la France.

    Un autre milliard d’euros, toujours de la FEP, est prévu pour rembourser en partie les projectiles achetés via ces commandes groupées et envoyées à l’Ukraine. Au total, deux milliards d’euros doivent donc servir à financer à 50% l’achat d’obus pour Kiev. Ce qui signifie que la valeur totale des livraisons visée est de 4 milliards d’euros, soit le montant demandé par l’Estonie.

    4. Problème résolu, alors ?
    Dimanche, plusieurs questions pratiques restaient néanmoins en suspens. Par exemple, ces achats groupés, stimulés par des fonds européens, doivent-ils se limiter à des obus de 155 mm Made in Europe ? Actuellement, 15 entreprises situées dans 12 Etats membres de l’UE produisent ce type de projectiles. Si d’aucuns y voient une occasion de booster l’industrie européenne, d’autres insistent pour faire des besoins de l’Ukraine une priorité.

    Si certains Etats membres poussent pour fixer la livraison d’1 million d’obus à l’Ukraine comme objectif officiel du plan européen, d’autres incitent à la prudence. "Il est difficile d’annoncer cet objectif sans garanties sur les délais", met en garde une source européenne. Or la grande inconnue reste le timing. Dans le plus optimiste des scénarios, les commandes groupées d’obus pourraient être passées en mai. Actuellement, le délai de livraison est en moyenne de 12,6 mois. Et il est difficile de savoir à quel point cette opération permettra d’accélérer la fabrication d’obus de 150mm. Les entreprises européennes seraient aujourd’hui en mesure de produire 600 000 obus de 155 mm par an - vendredi un fonctionnaire européen a refusé de confirmer cette information stratégique.

    4. Et à plus long terme ?
    La troisième piste du plan européen reste encore quelque peu floue, tant le défi est majeur : s’attaquer aux difficultés structurelles de l’industrie de la défense, aux obstacles majeurs qu’ils rencontrent pour accélérer la production. Thierry Breton, commissaire européen au Marché intérieur, a déjà entamé la semaine dernière une tournée "défense" dans plusieurs pays de l’UE (Bulgarie, Slovaquie, République tchèque, Pologne, France et Roumanie) pour faire le point.

    La Commission veut identifier les goulots d’étranglement, aider à réorganiser les chaînes d’approvisionnement et les filières de production, soutenir la coopération de divers fabricants, leur faciliter l’obtention de permis de construction, ou encore aider l’industrie de la défense à accéder plus facilement à des investissements, alors que les banques rechignaient jusqu’ici à s’aventurer dans ce domaine. "Il faut signaler que financer la sécurité c’est contribuer à la #durabilité" de nos sociétés, explique une source européenne.

    La Facilité européenne (FEP) pour la paix est un instrument extérieur au budget de l’UE, étant directement financée par les contributions des États membres proportionnellement à leur revenu national brut. Initialement, elle avait été dotée de 5,7 milliards d’euros pour la période budgétaire 2021-2027. Mais depuis le début de l’agression russe, 3,6 milliards d’euros ont déjà servi uniquement à armer l’Ukraine. En décembre, les Vingt-sept se sont donc accordés pour injecter 2 milliards d’euros de plus dans la FEP. Mais ceux-ci devraient servir à financer le nouveau plan européen axé sur la livraison d’obus à Kiev.

    L’idée est donc d’y ajouter 3,5 milliards d’euros supplémentaires censés suffire jusqu’en 2027. Cette nouvelle enveloppe pourrait être validée cette semaine, mais ce timing n’est pas certain. En particulier, les plus grands contributeurs à la FEP pourraient avoir besoin de plus de temps pour donner leur feu vert. Ceux-ci sont l’Allemagne (25 %), la France (17 %), l’Italie (12 %), et l’Espagne (8,5 %). À eux seuls, ces quatre États membres assument près de 63 % du budget de la FEP. Beaucoup insistent aussi sur la nécessité de rappeler que cet instrument n’est pas exclusivement destiné à l’Ukraine. “La FEP a une dimension mondiale” , insiste un fonctionnaire européen, tandis qu’un diplomate pointait les besoins de certaines régions en Afrique, que les Européens tentent de stabiliser.

    #ue #union_européenne #guerre #FEP #Covid-19 #Estonie #obus #canons #Allemagne #France #Italie #Espagne #Afrique

    Source : https://www.lalibre.be/international/europe/2023/03/20/le-plan-inedit-de-lunion-europeenne-pour-essayer-de-livrer-plus-dobus-et-plu

  • « A #Nantes, les vermines #PS de la mairie ont aussi recours à des #briseurs-de-grève. Ce vendredi, des camions ramassent les poubelles.
    Les éboueurs en grève sont remplacés par des précaires de l’entreprise Urbaser, 210 millions de chiffre d’affaires.
    Les éboueurs tiennent la grève depuis deux semaines, sans paie, fers de lance de la mobilisation. Et les socialistes nantais brisent leur résistance. Honte à #JohannaRolland ! »

    Et le pire, c’est qu’elle s’affiche comme opposante à la casse des retraites avec ses copains de la NUPES. Mensonge, postures, double discours permanent, manipulation et répression ... La gauche détestable.

    https://twitter.com/ContreAttaque_/status/1636745784510038016?cxt=HHwWgIC2ldDn8bYtAAAA

    • Assistant d’agence RH (H/F) - Plaine Saint Denis
      https://www.urbaserenvironnement.fr/recrutement/268-assistant-d-agence-rh-h-f-plaine-saint-denis

      Urbaser Environnement recrute pour sa filiale Urbaser Environnement RDP un :
      Assistant d’agence (H/F)

      Ville : Plaine Saint Denis (93)
      Statut : Employé à temps plein
      Type de contrat : CDI
      Formation exigée : Comptabilité/RH
      Expérience exigée : 2 ans minimum sur un poste similaire

      Urbaser Environnement recherche pour sa filiale Urbaser Environnement RDP un Assistant d’agence RH H/F.
      A ce poste, vous assisterez le Directeur d’agence et le Responsable d’exploitation dans la gestion quotidienne des éléments d’exploitations :
      Missions d’exploitation :

      Vérifier et saisir les données de la feuille de service (heures de travail, tonnages collectés…) dans les différents tableaux de bord ;
      Veiller à la bonne gestion des intérimaires, alerter en cas de dérive (motifs, durée…) ;
      Suivre le tableau de suivi du personnel (visites médicales, formations obligatoires…) et alerter le Responsable d’exploitation sur les rendez-vous à organiser ;
      Réceptionner le courrier et le transmettre ;
      Rédiger avec le directeur d’agence tout courrier et le classer.

      Missions pour les collectvités locales :

      Renseigner au quotidien les rapports mensuels d’activités ;
      Photocopier les bons de pesée de tous les déchets afin de les transmettre aux collectivités mensuellement ;
      Calculer la formule de révision avec le soutien du service financier du siège.

      Missions comptables :

      Etablir les bons de commandes et les faire valider par le responsable d’exploitation ;
      Rapprocher les factures et les bons de commandes ;
      Renseigner le tableau de suivi des FNP à envoyer en fin de mois au service comptabilité du siège.

      Ressources Humaines :

      Saisir les éléments variables de paye et autres éléments comme les CP, formation, maladie, AT…, les faire valider par le Directeur d’agence et les transmettre au siège ;
      Renseigner le registre du personnel ;
      Rédiger les courriers d’entretien disciplinaires et les contrats d’embauche ;
      Mettre à jour le compteur des congés ;
      Tenir à jour les dossiers du personnel.

      Profil recherché :

      Savoir être :

      Sens de la propreté et du service public ;
      Ponctualité, rigueur, respect des consignes ;
      Courtoisie ;
      Capacité d’adaptation ;
      Maitrise des outils informatiques.

      Formations Nécessaires :

      Formation accueil sécurité administratif ;
      Formation comptabilité ;
      Assistance de direction.

      Dépôt de candidature : l.reynier@urbaserenvironnement.fr

      Concernant vos données personnelles, nous vous invitons à consulter notre politique de confidentialité des candidats.

      Responsable de production (H/F) - Graulhet
      Responsable Comptable (H/F) - Montpellier

      #uejobs

  • G. Friedman "..c’est cynique, immoral, mais ça marche ». Extraits du discours.

    Stratfor : comment Washington peut conserver sa domination sur la planète. Extraits du discours de George Friedman, directeur de la société de renseignement et d’analyse Stratfor, au Council on Foreign Relations de Chicago.
    Dans son discours au Council il explique comment Washington peut conserver sa domination sur la planète. Il identifie également les ennemis potentiels des USA.

    Friedman voudrait que le monde actuel soit exclusivement sous le contrôle direct ou indirect des USA
    Le président de Stratfor déclare que les USA n’ont pas de relations avec l’Europe. « Nous avons des relations avec la Roumanie, la France et ainsi de suite. Il n’y a pas d’Europe avec laquelle les USA ont des relations quelconques". Cela rappelle forcément la conversation de la sous-secrétaire d’Etat Victoria Nuland avec l’ambassadeur des USA à Kiev en 2014. Nuland avait alors expliqué à son interlocuteur en des termes très crus ce qu’elle pensait de l’Europe unie et de ses dirigeants : • Ukraine, la manip... 33] Plus tard, elle a présenté ses excuses pour la forme de ses propos, mais pas sur le fond. Il faut savoir que Mme Nuland est une lectrice des notes analytiques de Stratfor.
    « Les USA contrôlent tous les océans de la terre. Personne n’avait encore réussi à le faire. Par conséquent, nous pouvons nous ingérer partout sur la planète, mais personne ne peut nous attaquer. Le contrôle des océans et de l’espace est la base de notre pouvoir", a déclaré Friedman à Chicago,
    Selon lui, "la priorité des USA est d’empêcher que le capital allemand et les technologies allemandes s’unissent avec les ressources naturelles et la main d’œuvre russes pour former une combinaison invincible".Créer un "cordon sanitaire" autour de la Russie permettra à terme aux USA de tenir en laisse l’Allemagne et toute l’Union européenne

    https://www.youtube.com/watch?v=emCEfEYom4A


    #USA #UE #Russie

  • EU responds to Italy drownings with more support for Libya

    The European Commission wants to further shore up the Libyan coast guard and launch anti-smuggling partnerships with Tunisia and Egypt.

    The proposals were outlined in a letter sent earlier this week by European Commission president Ursula von der Leyen, and seen by EUobserver, to Italy’s prime minister Giorgia Meloni.

    The letter came in response to Meloni, who had queried the European Commission over the recent drowning deaths of some 70 people, including small children, off the Calabrian coast.

    “First, we must coordinate our actions with key patterns to prevent irregular departures and save lives at sea,” said von der Leyen, in her letter.

    This includes priority funding with Tunisia and Egypt, as well as “further support to Libya’s maritime border management and search-and-rescue capacities,” she said.

    The boat which sank off the Italian coast late last month departed from Turkey and in an area not patrolled by NGO search-and-rescue boats.

    Those NGO boats are currently under intense pressure from Rome’s far-right government under Meloni’s leadership. Geo Barents, a rescue boat operated by Doctor’s without Borders, was recently detained and fined up to €10,000 by Italian authorities.

    Von der Leyen’s emphasis on North Africa, however, is part of a larger effort to stem irregular migration.

    The European Commission had in February, along with Italian authorities, already handed over new patrol boats to the Libyan Coast Guard and announced some €800m for North Africa up until 2024.

    But those intercepted at sea by the Libyans, including in search-and-rescue zones controlled by the Maltese , are returned to a country where they are often locked up in inhumane conditions.

    The Libyans intercepted and returned almost 31,000 people last year, up from around 12,000 in 2020.

    Over 330 have died or gone missing in the attempt across all Mediterranean routes, so far this year, according to the International Organization for Migration (IOM), a UN body.

    Meanwhile, the Egypt and Tunisia police plans will be part of a new north African multi-country program against smuggling in the region, she said.

    Von der Leyen also mentioned €500m to help resettle some 50,000 people up until 2025, noting the need to create humanitarian corridors.

    A first meeting had also taken place on how to best coordinate and cooperate on search and rescues among national authorities, she said.
    Interior ministers in Brussels

    The letter comes ahead of a crunch meeting in Brussels on Thursday (9 March) of interior ministers, where migration will be a key point of talks.

    Although no decisions are expected, the discussions will likely feed into an European summit later this month.

    Ministers on Thursday are set to discuss visa policy and how to best use it as leverage to get origin countries to take back their rejected nationals.

    But internal aspects are also on the table.

    Since December, the Dutch, along with other EU states, have been unable to return migrants to Italy under the so-called Dublin rules.

    “The reason, as far as we understand right now, is that the Italians have a lack of reception capacities,” an EU diplomat told reporters on Wednesday.

    The Swedish EU presidency is also hoping to get some in-house agreements on the outstanding overhaul of the EU’s asylum and migration policy.

    Key to that reform is the regulation on asylum and migration management.

    The rule is a core component of the overhaul first proposed by the European Commission in September 2020 and is set to replace the broken Dublin system currently in place.

    A second EU diplomat said the Council, representing member states, is on track to get an internal agreement on the regulation.

    But talks on politically sensitive issues, when it comes defining so-called mandatory solidarity, won’t likely start until the next EU presidency, under Spain, in July.

    “We need to have the legal framework in place first. I mean, there is there are a lot of opinions on this issue,” said the EU diplomat.

    That in-house agreement is needed before negotiations can start with the European Parliament amid a wider plan to get all the outstanding asylum files sorted before next year’s European elections.

    https://euobserver.com/migration/156808

    #externalisation #asile #migrations #réfugiés #Libye #frontières #contrôles_frontaliers #Tunisie #Egypte #gardes-côtes_libyens #commission_européenne #UE #EU

    –—
    Fil de discussion sur le #naufrage de #Crotone:
    https://seenthis.net/messages/992511

  • Il y a 8 ans, le 6 mars 2015, lors d’un Cercle Léon Trotsky, LO analysait le conflit dans lequel était déjà plongée l’Ukraine. On peut consulter cet exposé ici :

    Un quart de siècle après l’éclatement de l’URSS, le peuple ukrainien victime des rivalités entre l’impérialisme et la Russie de Poutine
    https://www.lutte-ouvriere.org/documents/archives/cercle-leon-trotsky/article/un-quart-de-siecle-apres-l
    #conférenceLO du 6 mars 2015

    https://videos.lutte-ouvriere.org/download/video/CLT-Ukraine-part1.mp4

    https://videos.lutte-ouvriere.org/download/video/20150306_CLT_Ukraine_part2.mp4

    Sommaire :

    De la «  prison des peuples  » à l’Union des républiques socialistes soviétiques
    – La guerre civile en Ukraine

    Le charcutage de l’Europe de l’Est par l’impérialisme

    La bureaucratie stalinienne piétine le droit des peuples

    De Yalta à l’éclatement de l’Union soviétique

    La disparition de l’Union soviétique sous l’effet des forces centrifuges
    – La prudence initiale des dirigeants impérialistes
    – Le pillage légalisé sous couvert de «  l’économie de marché  »
    – L’indépendance des Républiques ex-soviétiques

    L’indépendance de l’Ukraine en 1991
    – Bureaucrates et oligarques se partagent pouvoir et richesses…

    Les grandes manœuvres des impérialistes autour de la Russie

    Poutine et la restauration de la puissance de l’État russe

    L’Ukraine, arène sanglante des rivalités entre les impérialistes et le Kremlin
    – L’Union européenne n’a que du sang et des larmes à proposer à l’Ukraine
    – La population ukrainienne, victime des oligarques et de la crise économique
    – Les manifestations du Maïdan encadrées par des partis réactionnaires
    – L’Ukraine bascule dans une guerre civile meurtrière

    Les travailleurs doivent opposer leurs propres intérêts au piège mortel de la guerre

    #ukraine #maïdan #guerre #lutte_de_classe #Poutine #oligarchie #oligarques #État_russe #russie #impérialisme #manifestations #bureaucratie #histoire #droit_des_peuples #UE #union_européenne #États-Unis #révolution_russe

  • [rapport] Zoom sur les menaces géopolitiques et climatiques du projet de gazoduc EastMed, soutenu par l’UE - Espace Presse Greenpeace France
    https://www.greenpeace.fr/espace-presse/rapport-zoom-sur-les-menaces-geopolitiques-et-climatiques-du-projet-de-ga

    Un nouveau rapport publié aujourd’hui par Greenpeace Italie dénonce les risques #géopolitiques et climatiques liés au projet de gazoduc EastMed, que la Commission européenne a jugé prioritaire dans le cadre des projets d’intérêt commun (PIC) dans le domaine de l’#énergie.

    Le gazoduc, qui ne serait pas mis en service avant 2028, relierait les champs gaziers israéliens et chypriotes à la Grèce puis à l’Italie, traversant les eaux contestées entre la Grèce, la Turquie et Chypre.

    Face au danger qu’il représente à la fois pour la paix en #Europe et pour le #climat, Greenpeace demande à la Commission et aux gouvernements européens de se retirer du projet de #gazoduc EastMed, de le retirer de la liste des PIC et de procéder à une évaluation des risques de #conflit pour tout projet transfrontalier d’infrastructure de combustibles #fossiles soutenu par l’UE. La France doit également prendre ses responsabilités en poussant activement pour l’arrêt du soutien de l’#UE à ce projet.

  • Deux tonnes de cocaïne retrouvées sur le littoral français de la Manche afp/oang

    Deux tonnes de cocaïne retrouvées sur le littoral français de la Manche / Le Journal horaire / 13 sec. / aujourd’hui à 19:02

    Plus de deux tonnes de cocaïne emballées dans des sacs se sont échouées le week-end dernier et mercredi sur le littoral français de la Manche. La valeur marchande au détail est estimée à près de 150 millions de francs.

    Plusieurs sacs contenant environ 850 kg de cocaïne avaient déjà été découverts dimanche matin sur la plage de Réville (Manche). Et mercredi, de nouveaux sacs se sont échoués sur le littoral, a annoncé la préfecture de la Manche dans un communiqué.

    Cette fois, selon une source proche du dossier confirmant une information de Ouest France, il s’agit d’une 1,5 tonne de cocaïne, soit au total 2,3 tonnes, ce qui est « historique ».

    Mercredi, la préfecture maritime de la Manche et de la mer du Nord a rappelé qu’une enquête avait été ouverte en début de semaine par le parquet de Cherbourg, le suivi de l’enquête étant confié à la section de recherche de Caen (Calvados), la gendarmerie maritime et l’Ofast, l’office dédié à la lutte contre les trafics de stupéfiants.

    L’origine de la drogue pas établie
    La provenance des ballots hermétiquement fermés qui se sont échoués sur le littoral du Cotentin n’est pas établie. Ils peuvent avoir été jetés volontairement à la mer pour éviter un contrôle ou sont tombés tout seuls d’un navire, a expliqué une source proche du dossier.

    Parfois, les ballots sont arrimés à la coque du bateau et non pas placés à l’intérieur et peuvent se décrocher en fonction de l’état de la mer, a complété une autre source proche du dossier.

    Surveillance aérienne du secteur
    Les enquêteurs doivent désormais essayer de retracer le parcours de ces sacs. La préfecture maritime a affirmé qu’une « surveillance particulière des approches maritimes du secteur du Nord Cotentin était maintenue et assurée par des moyens aériens ». « De nouveaux survols ainsi que des patrouilles maritimes sont réalisées », a-t-elle ajouté.

    En début d’après-midi, il « n’y avait pas eu de nouvelles découvertes de stupéfiants », a précisé jeudi la préfecture maritime dans un tweet.

    Ce n’est pas la première fois que de la cocaïne arrive sur le littoral français. Fin 2019, des ballots contenant au total 1,6 tonne de poudre blanche s’étaient échoués sur les plages d’une zone allant de Saint-Jean-de-Luz (Pyrénées-Atlantiques) à Camaret (Finistère).

    Plus récemment, fin mai 2022, des pains de cocaïne, pour un total d’environ 21 kg, avaient été trouvés sur une plage de Berck (Pas-de-Calais).

    * Paris veut éviter un « tsunami blanc » #
    Mercredi, lors d’une conférence de presse consacrée au bilan 2022 de la lutte contre les trafics de stupéfiants, Gabriel Attal, ministre des Comptes publics en charge des douanes, avait annoncé une saisie « historique » de 1,9 tonne de cocaïne au port du Havre le 19 février par ses services.

    « Il faut éviter que ce tsunami blanc atteigne nos côtes », avait-il ajouté. En 2022, 27,7 tonnes de cette drogue ont été saisies, soit une hausse de 5% par rapport à l’année précédente.

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    #Source : https://www.rts.ch/info/monde/13829297-deux-tonnes-de-cocaine-retrouvees-sur-le-littoral-francais-de-la-manche