• 11 octobre 2023, verdict en cour d’appel pour le #procès contre #Mimmo_Lucano, ancien maire de #Riace

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    Ce fil de discussion est la suite de celui-ci :
    Le 20.09.2023 la défense de #Mimmo_Lucano a prononcé le plaidoyer final dans le cadre de l’#appel à la condamnation de l’ancien maire de #Riace...
    https://seenthis.net/messages/1018103

    #accueil #migrations #solidarité #asile #réfugiés #Italie #criminalisation_de_la_solidarité #acquittement #justice #Xenia

    • La corte d’appello condanna Mimmo Lucano a 1 anno e 6 mesi

      La sentenza di primo grado aveva fissato la condanna a 13 anni e due mesi, la procura aveva chiesto 10 anni e 5 mesi. I suoi avvocati volevano l’assoluzione. Lucano non ha mai smesso di lavorare nei progetti per l’accoglienza e in una lettera aveva invitato i giudici ad andare a vedere il Villaggio Globale di Riace

      La Corte d’appello di Reggio Calabria ha condannato l’ex sindaco di Riace Mimmo Lucano a 1 anno e 6 mesi: un decimo di quanto chiesto dalla procura. Le accuse sono state fortemente ridimensionate, e l’esito drasticamente ridotto rispetto alla condanna in primo grado a oltre 13 anni.

      La procura generale aveva chiesto per questo secondo grado di giudizio la condanna a 10 anni e 5 mesi di carcere per l’ex sindaco di Riace e principale imputato del processo “Xenia”, nato da un’inchiesta della guardia di Finanza sulla gestione dei progetti di accoglienza dei migranti nel piccolo paese della Locride. Un processo che lo vede alla sbarra insieme ad altre 17 persone. Le accuse erano pesanti: associazione a delinquere e peculato, frode, falso in atto pubblico, abuso d’ufficio e truffa.

      La prima condanna

      Il Tribunale di Locri a settembre del 2021 lo aveva condannato a 13 anni e 2 mesi di reclusione, e 700mila euro di danni per la gestione dei progetti di accoglienza per i migranti (ma c’è anche la gestione dei rifiuti, il mancato pagamento della Siae e altri illeciti amministrativi), nonostante Riace sia stata lodata in tutto il mondo, e gli stessi giudici abbiano descritto i progetti come figli di un’utopia.

      Dal processo è stato dimostrato che Lucano non ha tratto benefici per il suo conto corrente. Nelle motivazioni della sentenza di primo grado i giudici trovavano la colpa nel «comportamento omissivo, che era stato tenuto per bieco calcolo politico».

      E ancora: «Nulla importa che l’ex sindaco di Riace sia stato trovato senza un euro in tasca», perché, si leggeva, «ove ci si fermasse a valutare questa condizione di mera apparenza, si rischierebbe di premiare la sua furbizia, travestita da falsa innocenza».

      Per i difensori, Andrea Daqua e Giuliano Pisapia, si tratta di un processo politico, in cui sono stati fatti anche errori. Durante il processo d’appello sono state aggiunte nuove intercettazioni e contestate trascrizioni della guardia di finanza da quelle precedenti. Nelle motivazioni d’appello i due legali avevano parlato di «lettura forzata se non surreale dei fatti».

      Dopo la sentenza di primo grado era scaturito in ambito internazionale un appello firmato dal linguista Noam Chomsky, dall’ex capitana Sea Watch Carola Rackete, fino al leader della sinistra francese Jean-Luc Mélenchon perché venissero ritirate le accuse a suo carico.
      La lettera

      Alle ultime elezioni regionali si era candidato in appoggio a Luigi de Magistris, ma non è stato eletto. Non ha smesso di lavorare. Il 20 settembre l’ex sindaco di Riace ha consegnato una lettera alla Corte: «Come tutti gli esseri umani posso aver commesso degli errori, ma ho sempre agito con l’obiettivo e la volontà di aiutare i più deboli e di contribuire all’accoglienza e all’integrazione di bambini, donne e uomini che fuggivano dalla fame, dalla guerra, dalle torture».

      Lucano ha poi ricordato: «Sono passati cinque anni da quando sono stato arrestato con l’accusa infamante di svolgere la mia attività di accoglienza e integrazione dei migranti per finalità di carriera politica e di lucro. Sono passati due anni da quando mi è stata inflitta la condanna in primo grado a una smisurata pena detentiva quale non tocca spesso ai peggiori criminali».

      Ma non ha desistito, e ha invitato i giudici ad andare a vedere i risultati del suo lavoro: «Ho continuato a dedicarmi a tempo pieno, da privato cittadino, alla riapertura e alla gestione del Villaggio globale di Riace che ha ospitato e continua ad ospitare bambini e persone con fragilità. Non si è interrotta, dunque, quella che considero la missione della mia vita, a prescindere da incarichi pubblici e finanziamenti statali. Altro che associazione a delinquere. Al termine di questo processo vi invito a visitare il Villaggio Globale di Riace, sarete i benvenuti».

      https://www.editorialedomani.it/politica/italia/mimmo-lucano-sentenza-corte-appello-oooeao9j

    • Non reggono in Appello le accuse monstre a Lucano. L’ex sindaco condannato a un anno e 6 mesi
      https://www.youtube.com/watch?v=qBE1GEzNnow&embeds_referring_euri=https%3A%2F%2Fwww.corrieredellaca

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      La decisione della Corte nel processo al “modello Riace”: assolti 15 imputati su 17. L’accusa aveva chiesto 10 anni 5 mesi per l’ex sindaco. In primo grado la pena comminata era stata di oltre 13 anni

      L’ex sindaco di Riace Domenico Lucano è stato condannato a un anno e sei mesi (con pena sospesa) dalla Corte d’Appello di Reggio Calabria, pena sensibilmente inferiore rispetto ai 13 anni e due mesi rimediati in primo grado e rispetto alla richiesta della Procura generale (10 anni e 5 mesi). Oggi assente a Reggio Calabria, l’ex primo cittadino ha atteso l’esito della camera di consiglio durata circa sei ore, nel piccolo borgo del “modello” per molti anni simbolo dell’accoglienza e alla sbarra dopo l’inchiesta “Xenia” della procura di Locri. Dentro e fuori dall’aula applausi e festeggiamenti per la decisione.

      L’accusa, rappresentata dai sostituti procuratori generali Adriana Fimiani e Antonio Giuttari, aveva chiesto per l’ex primo cittadino una condanna di 10 anni e 5 mesi di reclusione. Imputati davanti ai giudici della Corte d’appello di Reggio Calabria, (presidente Elisabetta Palumbo, giudici relatori Davide Lauro e Massimo Minniti) Lucano e altre 17 persone.
      Si conclude così il secondo capitolo giudiziario scaturito dall’inchiesta condotta dalla Guardia di Finanza che si basa sull’accusa di aver utilizzato i fondi destinati all’accoglienza dei migranti per “trarre vantaggi personali”. Associazione a delinquere, abuso d’ufficio, truffa, concussione, peculato, turbativa d’asta, falsità ideologica e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Queste, a vario titolo, le accuse della Procura di Locri che ha attaccato in toto il sistema di accoglienza messo in piedi nel borgo della Locride. In primo grado il Tribunale di Locri aveva condannato Lucano a 13 anni e 2 mesi di reclusione, a fronte della richiesta della Procura a 7 anni e 11 mesi.

      Il dibattimento

      Nel corso del dibattimento i legali di Lucano, gli avvocati Andrea Daqua e Giuliano Pisapia, avevano sottolineato come quella di Lucano fosse una «innocenza documentalmente provata» poiché l’obiettivo dell’ex sindaco di Riace «era uno solo ed in linea con quanto riportato nei manuali Sprar: l’accoglienza e l’integrazione. Non c’è una sola emergenza dibattimentale (intercettazioni incluse) dalla quale si possa desumere che il fine che ha mosso l’agire del Lucano sia stato diverso».
      Nelle motivazioni d’appello i legali avevano sottolineato che in sentenza c’era stato un «uso smodato delle intercettazioni telefoniche, conferite in motivazione nella loro integralità attraverso la tecnica del copia/incolla». Intercettazioni che, in molti casi, secondo gli avvocati, sarebbero inutilizzabili. Nel corso delle arringhe finali i legali di Lucano avevano chiesto alla corte di ribaltare la sentenza di primo grado del Tribunale di Locri che aveva motivato la sentenza in 900 pagine definendo Lucano “dominus indiscusso” del sistema messo in piedi a Riace per l’accoglienza e l’integrazione dei migranti. Tanti i sostenitori di Lucano che hanno atteso la decisione dei giudici dentro e fuori la Corte d’appello di Reggio Calabria, tra loro anche Giuseppe Lavorato.
      In tanti di sono recati anche a Riace e hanno aspettato insieme all’ex sindaco l’esito del processo.

      https://www.corrieredellacalabria.it/2023/10/11/non-reggono-in-appello-le-accuse-monstre-a-lucano-lex-sindaco-

    • Lucano: “Finalmente respiro e ora torno in politica. Sogno un’altra Italia”

      Dopo la sentenza che ha cancellato la condanna a 13 anni e due mesi, parla l’ex sindaco del paese dell’accoglienza. “Riace era avanguardia dei diritti e della speranza, torniamo a esserlo”

      Ora respiro, ora respiro di nuovo». Non è facile parlare con l’ex sindaco dell’accoglienza Mimmo Lucano dopo la sentenza che lo ha assolto dall’accusa di aver trasformato la “sua” Riace in un “sistema clientelare” costruito al solo scopo di “ricavarne benefici politici”, sostenevano i giudici del primo grado. “Che assurdità. Proprio io, che non mi sono mai voluto candidare. Ma adesso la verità è stata ristabilita”, dice l’ex sindaco dell’accoglienza mentre dietro di lui si sente il paese in festa e di tanto in tanto la comunicazione salta perché qualcuno l’abbraccia forte.

      Quando ha sentito il giudice leggere la sentenza che ribaltava quella durissima di primo grado che effetto le ha fatto?

      “In pochi secondi tutti i dispiaceri, l’amarezza, i momenti più duri, quelli in cui non credevo di farcela, tutto è stato cancellato. Mi sono sentito rinascere”.

      È stata dura?

      “È stata dura, è stata lunga, ci sono stati i domiciliari, le misure cautelari che mi hanno tenuto lontano da Riace, poi la sentenza di primo grado, il fango. Ma adesso è come se tutto fosse sparito, in questo momento non pesa più”.

      In questi anni c’è stato qualcosa che è stato più difficile di altre da sopportare?

      «Il sospetto. Quelle ombre che sono state evocate su di me, l’idea che è stata instillata che avessi fatto tutto per un tornaconto personale. Riace era ed è un’idea di umanità, di rinascita per gli ultimi, per tutti. Adesso la verità è venuta a galla».

      I giudici di primo grado dietro quel modello avevano letto un sistema criminale.

      “Assurdo. La contestazione di associazione a delinquere è quanto di più lontano da quello che il villaggio globale, la comunità che qui avevamo costruito, rappresenta.Noi abbiamo sempre lottato per la fratellanza, perché tutti avessero un’opportunità, questa è l’antitesi alle associazioni criminali, che qui significano mafia. E noi l’abbiamo sempre combattuta. I miei primi passi in politica sono stati proprio contro la mafia”.

      A proposito di politica, cade anche l’interdizione ai pubblici uffici. Pensa di candidarsi nuovamente?

      “È presto, la sentenza è appena arrivata, solo adesso inizio a realizzare, ma ci sto pensando. Sicuramente adesso si apre una fase nuova, di rinascita e di speranza”.

      In che misura?

      “Fin dall’inizio della sua storia Riace è stata un’avanguardia in termini di difesa dei diritti umani, anzi dell’umanità. Abbiamo mostrato concretamente che accoglienza non è un problema di ordine pubblico o motivo di allarme sociale, ma occasione per il territorio che la sperimenta, crescita, rinascita per tutti, per chi c’era e per chi viene accolto”.

      E adesso che l’Italia sembra andare in tutt’altra direzione?

      «In questo momento storico così buio, con i decreti Cutro e Piantedosi che criminalizzano i migranti e chi prova a essere solidale, che i giudici cancellino una sentenza che provava a smentirlo trasforma Riace nuovamente in un’avanguardia».

      Di cosa?

      «Della speranza di un’altra Riace possibile, di un’altra Italia possibile, di un altro mondo possibile. Noi abbiamo sempre lottato per questo».

      Nel frattempo però il “paese dell’accoglienza” è stato distrutto

      «In realtà non del tutto. Paradossalmente la sentenza di primo grado ha scatenato un’ondata incredibile di solidarietà. Associazioni come “A buon diritto” hanno promosso persino una raccolta fondi per aiutarmi a pagare la sanzione pecuniaria che mi era stata inflitta. Ma quando il presidente Luigi Manconi mi ha chiamato, gli ho chiesto di usare quei fondi per altro».

      A cosa sono stati destinati?

      «Qui a Riace vivono ancora tante famiglie di rifugiati, quei fondi sono stati utilizzati per dei progetti di lavoro che adesso impiegano tantissime persone anche in strutture come il frantoio, che inizialmente era stato letto come parte di un progetto criminale ed è speranza per chi è arrivato senza più avere nulla».

      Insomma, l’accoglienza a Riace non è morta.

      «Assolutamente no e questo si deve anche a tutte le persone che in questi anni non hanno mai fatto mancare il proprio sostegno né a me, né a Riace. Il mio primo pensiero oggi è stato per loro, per i miei legali, l’avvocato Mazzone soprattutto, il primo a credere in me e che adesso non c’è più».

      Al ministro Salvini che in passato l’ha definita uno zero ha pensato?

      «No, ma so che è uno che guarda il calcio. E a lui che ha usato la mia condanna per criminalizzare l’accoglienza direi che i risultati si commentano a fine partita».

      https://www.repubblica.it/cronaca/2023/10/12/news/lucano_finalmente_respiro_e_ora_torno_in_politica_sogno_unaltra_italia-41

    • Freispruch in Riace

      Dem für gute Flüchtlingsarbeit bekannten italienischen Bürgermeister drohten 13 Jahre Haft. Jetzt hat ihn ein Gericht in zweiter Instanz freigesprochen.

      Mimmo Lucano ist kein Schwerverbrecher. Zu diesem Schluss kam am Mittwochnachmittag das Gericht im süditalienischen Reggio Calabria, das in zweiter Instanz den früheren Bürgermeister der kleinen kalabrischen Gemeinde Riace in fast allen Anklagepunkten freisprach.

      Lucano war mit seiner Politik der ausgestreckten Hand gegenüber Mi­gran­t*in­nen weit über Italien hinaus berühmt geworden, und wurde für sein „Modell Riace“ in den Medien gefeiert und mit Preisen ausgezeichnet, unter anderem mit dem Friedenspreis der Stadt Dresden – bis er im Jahr 2021 in erster Instanz als angeblicher Chef einer kriminellen Vereinigung zu exorbitanten 13 Jahren und 2 Monaten Haft verurteilt wurde.

      Angeblich hatte er, der in den Jahren 2004 bis 2018 Bürgermeister des 1.800-Seelen-Ortes Riace war, sich der Förderung illegaler Einwanderung schuldig gemacht, zahlreiche Delikte wie Betrug, Urkundenfälschung, Unterschlagung begangen, mehr als 700.000 Euro an staatlichen Geldern beiseite geschafft.
      Alles nur Show in Riace?

      Und das Modell Riace? Alles nur Fassade, wenn man Staatsanwaltschaft und Gericht glauben darf, das 2021 in erster Ins­tanz urteilte. Diese „Fassade“ bestand darin, dass Lucano dem Verfall des Dorfkerns von Riace, dem Wegzug jüngerer Menschen etwas entgegensetzen wollte: die Ansiedlung von Migrant*innen, für die Häuser instand gesetzt wurden, und die Schaffung von Arbeit in neu eröffneten Läden und Werkstätten, in denen alteingesessene Bür­ge­r*in­nen gemeinsam mit Neuankömmlingen aus Syrien oder Äthiopien tätig waren. Ende 2017 lebten 470 Mi­gran­t*in­nen in Riace, mehr als ein Viertel der Ortsbevölkerung.

      Doch in den Augen des Innenministeriums in Rom und der Justiz war das alles nur Show. Im Jahr 2017 behauptete der damalige Präfekt von Reggio Calabria, in Riace würden systematisch die staatlichen Zuwendungen für Mi­gran­t*in­nen unterschlagen. 2018 dann erließ das Gericht von Locri Haftbefehl gegen Lucano, der in Hausarrest genommen und seines Amtes enthoben wurde.

      Der damalige Innenminister und Chef der fremdenfeindliche Lega, Matteo Salvini, nutzte diese Steilvorlage, um das Modell Riace von einem Tag auf den anderen zu liquidieren und die dort lebenden Geflüchteten wegzuschaffen.
      Weder persönliche Bereicherung noch politischer Ehrgeiz

      Lucano stand mit 23 Mitangeklagten vor Gericht, und wurde dann zu einer Haftstrafe verurteilt, die eines Mafiabosses würdig gewesen wäre. Dabei mussten auch die Staatsanwaltschaft und das damals urteilende Gericht zugeben, dass auf keinem seiner Konten auch nur ein roter Heller war und ihm keine private Bereicherung nachgewiesen werden konnte. Aber egal: Seine Gegner argumentierten, es sei ihm um „politischen Nutzen“ und den eigenen Ruhm gegangen. Lucano allerdings hatte mehrfach Angebote für Kandidaturen zum Europaparlament und zum nationalen Parlament ausgeschlagen. Viel politischer Ehrgeiz war da nicht zu sehen.

      Zu einer ganz anderen Würdigung kamen denn jetzt auch die Rich­te­r*in­nen in zweiter Instanz. Fast alle Mitangeklagten Lucanos wurden freigesprochen. Er selbst allerdings wurde wegen Urkundenfälschung in einem Verwaltungsakt von 2017 zu 18 Monaten Haft auf Bewährung verurteilt. Dennoch feierten er und seine An­hän­ge­r*in­nen das Verdikt wie einen Freispruch. Die zahlreichen Anwesenden im Gerichtssaal stimmten „Mimmo, Mimmo!“-Sprechchöre an und sangen „Bella Ciao“. Lucano selbst, der das Urteil in Riace abgewartet hatte, brach nach dem Richterspruch in Freudentränen aus. Er sieht seinen guten Ruf wiederhergestellt und erwägt eine Rückkehr in die Politik.

      https://taz.de/Ex-Buergermeister-Mimmo-Lucano/!5962687

    • Mimmo Lucano, ridotta drasticamente la condanna in appello: un urlo liberatorio!

      «La solidarietà non può essere reato»

      La sentenza di appello del processo a carico dell’ex sindaco di Riace, Domenico “Mimmo” Lucano, e dei membri della sua giunta, per un totale di 18 imputati, rovescia completamente il verdetto di primo grado.

      I giudici della Corte d’appello di Reggio Calabria, infatti, lo hanno condannato a un anno e sei mesi di reclusione, con pena sospesa, contro la richiesta della Procura generale di 10 anni e 5 mesi, stravolgendo la sentenza di primo grado del Tribunale di Locri che gli aveva inflitto 13 anni e 2 mesi di carcere per associazione per delinquere, truffa, peculato, falso e abuso d’ufficio per le iniziative di accoglienza, cooperazione, convivenza pacifica e solidarietà costruite nei tre mandati (tra il 2004 e il 2018) da Sindaco di Riace.

      La Corte ha così assolto Lucano da tutti i reati più gravi e poi tutti gli altri 17 imputati e ha ristabilito una verità dei fatti totalmente diversa da quella, abnorme, disegnata dal primo grado.

      «Ci sarà ora qualcuno che chiederà scusa a Mimmo Lucano per la sistematica attività di diffamazione indirizzata nei suoi confronti» si chiede A Buon Diritto.

      Per il presidente, Luigi Manconi, e per tutta l’associaizone «la soddisfazione per la sentenza di appello è grande».

      «Abbiamo sostenuto fin dal primo momento l’idea di politica dell’accoglienza e dell’ospitalità promossa dalla giunta di Riace e abbiamo sostenuto gli imputati con una sottoscrizione nazionale che ha dato eccezionali risultati. Questa sentenza conferma che eravamo nel giusto quando affermavamo che la solidarietà non può essere criminalizzata», conclude l’associazione alla quale si sono aggiunti in queste ore diversi commenti di personalità e organizzazioni solidali che sono sempre state vicine all’ex Sindaco.

      Intervistato da Repubblica, Mimmo Lucano ha detto: «In pochi secondi tutti i dispiaceri, l’amarezza, i momenti più duri, quelli in cui non credevo di farcela, tutto è stato cancellato. Mi sono sentito rinascere».

      E poi: «È stata dura e lunga, ci sono stati i domiciliari, le misure cautelari che mi hanno tenuto lontano da Riace, poi la sentenza di primo grado, il fango. Adesso è come se tutto fosse sparito, in questo momento non pesa più».

      https://twitter.com/RaffaellaRoma/status/1712154008217854430

      https://www.meltingpot.org/2023/10/mimmo-lucano-ridotta-drasticamente-la-condanna-in-appello-un-urlo-libera

    • C’è un giudice a Reggio Calabria

      Mimmo Lucano, a lungo agli arresti domiciliari e condannato a tredici anni e due mesi dal tribunale di Locri, con una sentenza nella cui motivazione si leggono anche pesanti giudizi etici (un “falso innocente» che avrebbe agito con una «logica predatoria delle risorse pubbliche» per soddisfare «appetiti di natura personale, spesso declinati in chiave politica»), ha visto oggi la Corte d’appello di Reggio Calabria assolvere i suoi coimputati (salvo uno) e ridurre drasticamente la condanna a un anno e sei mesi di reclusione.

      Da quel che si può capire dal dispositivo letto oggi in udienza, la condanna dovrebbe riguardare un episodio di abuso d’ufficio per l’affidamento del servizio di raccolta di rifiuti. Un reato che a detta del Ministro della giustizia andrebbe abolito perché inutile e fonte di ritardi e costi processuali (9 condanne su 5.000 processi penali).

      Ovviamente, come si suol dire in queste occasioni, aspettiamo di leggere la motivazione, che probabilmente ci riserverà ulteriori piacevoli sorprese. Ma già il dispositivo giustifica alcune valutazioni.

      L’indagine, nata da ispezioni al Comune di Riace disposte dal Prefetto di Reggio Calabria dell’epoca (successivamente nominato da Salvini capo del dipartimento libertà civili e immigrazione del Viminale) e da indagini della Guardia di Finanza, non ha retto al vaglio del giudizio della Corte d’appello. La difesa di Lucano, sostenuta dagli avvocati Andrea Daqua e Giuliano Pisapia, aveva sostenuto, oltre ad alcuni plateali errori delle indagini (un’intercettazione erroneamente trascritta dalla polizia giudiziaria), l’inconsistenza del quadro probatorio dell’accusa e questa linea è stata evidentemente condivisa dalla Corte. Ma insieme all’accusa giuridica necessariamente dovrebbero essere caduti anche i giudizi morali negativi e le feroci critiche al modello di accoglienza realizzato da Lucano. Il “modello Riace” conosciuto e apprezzato nel mondo, sia nelle aule universitarie che nelle più diverse tribune mediatiche.

      E’ difficile però che quel modello, nell’attuale temperie culturale e politica, possa facilmente essere rimesso completamente in piedi. Non ostante la propria personale sofferenza per le accuse ricevute, Lucano, con l’aiuto concreto di alcune associazioni, ha continuato a praticare nel Villaggio Globale di Riace la sua idea di accoglienza. Non è certo il “modello Riace” che vedeva coinvolto l’intero paese, ma è importante che sia rimasto e rimanga in piedi il suo nucleo etico e culturale.

      https://www.articolo21.org/2023/10/ce-un-giudice-a-reggio-calabria

    • La condanna di Mimmo Lucano è stata ridotta in appello a 1 anno e 6 mesi

      In primo grado l’ex sindaco di Riace era stato condannato a oltre 13 anni per la gestione dei migranti, con una sentenza molto contestata

      Mercoledì la Corte d’appello di Reggio Calabria ha condannato Mimmo Lucano, ex sindaco di Riace, a un anno e sei mesi di reclusione per reati commessi nella gestione dei progetti di accoglienza dei migranti di Riace, in Calabria. Lucano era stato condannato in primo grado a 13 anni e 6 mesi di carcere, quasi il doppio della pena chiesta dall’accusa, con una sentenza assai contestata dato che la sua gestione dei migranti a Riace era stata raccontata in tutta Europa e nel resto del mondo come un modello di integrazione e solidarietà: il cosiddetto “modello Riace”.

      La sentenza d’appello è arrivata dopo diverse ore di camera di consiglio e non si sanno ancora le motivazioni della decisione dei giudici. In primo grado, a settembre del 2021, Lucano era stato condannato per 21 reati che includevano associazione a delinquere e una serie di reati tra cui falso in atto pubblico, peculato, abuso d’ufficio e truffa. Nella sentenza di appello i giudici hanno assolto Lucano da quasi tutti i reati, dichiarato il non luogo a procedere per difetto di querela per altri e concesso la sospensione condizionale della pena.

      Lucano è stato invece condannato per falsità materiale e ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici, e comunque limitatamente a un solo atto, delle decine indicate nella sentenza di primo grado, relativo a un contributo ricevuto per l’accoglienza di alcuni migranti. La procura aveva chiesto una condanna a 10 anni e 5 mesi: insieme a Lucano erano imputate altre 17 persone, tutte assolte a parte una.

      La vicenda giudiziaria di Mimmo Lucano era iniziata nel 2016, a seguito di alcune rilevazioni di varie irregolarità amministrative da parte di ispettori della prefettura locale. Due anni dopo era stata avviata un’inchiesta, l’operazione Xenia, che nel 2021 aveva portato alla condanna in primo grado da parte del tribunale di Locri. Lucano era stato invece assolto dalle accuse di concussione e immigrazione clandestina.

      In sostanza, secondo i giudici, il sistema organizzato da Lucano, descritto come un modello per i principi di solidarietà a cui si ispirava, nascondeva invece un’associazione a delinquere responsabile di una serie di reati. A dicembre del 2021 erano state pubblicate le motivazioni della sentenza. Secondo i giudici Lucano li aveva compiuti per arricchirsi e garantirsi una tranquillità economica una volta andato in pensione. Gli avvocati di Lucano avevano ritenuto queste accuse insensate, e avevano sostenuto che Lucano avesse gestito Riace col solo scopo di realizzare un sistema ispirato a valori di accoglienza e solidarietà.

      Le critiche alla sentenza avevano riguardato anche il calcolo della pena: i giudici avevano individuato due separati disegni criminosi, ripartendo quindi in due filoni i reati di cui Lucano era accusato e quindi duplicando la pena, con più di 10 anni di reclusione per il primo e più di 2 per il secondo, raddoppiando, come detto, la pena chiesta dall’accusa.

      Lucano e i suoi avvocati avevano fatto ricorso, e a luglio del 2022 c’era stato un ulteriore sviluppo nella vicenda: la Corte d’appello di Reggio Calabria aveva deciso di riaprire l’istruttoria dibattimentale: significa che la corte aveva ammesso un’integrazione alle prove raccolte durante il processo di primo grado. L’integrazione consisteva in 50 pagine di una perizia cosiddetta “pro veritate”, realizzata da un consulente della difesa di Lucano, Antonio Milicia, perito trascrittore. Il perito aveva trascritto cinque intercettazioni. In quattro di queste c’erano differenze, che la difesa aveva definito «fondamentali», tra il testo che presentava Milicia e quello che venne presentato dal perito del processo di primo grado.

      Prossimamente verranno depositate le motivazioni della sentenza d’appello.

      https://www.ilpost.it/2023/10/11/lucano-appello-ridotta-pena

    • Italie : peine allégée pour le maire qui aidait des migrants

      Condamné en première instance à treize ans de prison pour « association de malfaiteurs aux fins d’immigration irrégulière », il a vu l’essentiel des charges portées contre lui être abandonnées.

      Par un cri de victoire et des embrassades avec ses proches, #Domenico_Lucano, dit « #Mimmo », a célébré l’arrêt de la cour d’appel de Reggio de Calabre, mercredi 11 octobre. Les juges lui ont en effet notifié qu’il n’était plus « que » condamné à dix-huit mois de prison avec sursis, en dépit des réquisitions du procureur. Ancien maire de Riace de 2004 à 2018, petite ville d’à peine 2 000 âmes perchée sur les collines calabraises, Mimmo Lucano avait été condamné en première instance, en 2021, à une lourde peine : plus de treize ans de réclusion pour « association de malfaiteurs aux fins d’immigration irrégulière », « pratiques frauduleuses » et « détournements de biens publics ». « Justice a été rendue à un homme qui a toujours travaillé dans le seul et unique intérêt du bien commun et de la défense des plus faibles », ont réagi les deux avocats de l’ancien élu, à la sortie de la cour d’appel.

      « Il s’agissait d’un #procès_politique, les charges pesant sur lui étaient excessives, souligne Gianfranco Schiavone, président du Consortium italien de solidarité (ICS), une plate-forme qui dispense de l’aide juridique aux demandeurs d’asile. Cet épisode restera comme une page sombre de la justice italienne, celle où l’on a cherché à démolir un homme et un #modèle d’accueil. » Car derrière le maire de Riace, c’est bien l’intégration des migrants qui était mise en cause.

      En 1998, Mimmo Lucano accueille pour la première fois des Kurdes échoués sur une plage voisine, et ne s’arrêtera plus de porter secours aux migrants. En vingt ans, il va faire de Riace une commune connue dans le monde entier pour son #accueil_inconditionnel. Des dizaines d’exilés, venus de Somalie, de Tunisie, d’Afghanistan, trouvent refuge dans la bourgade. Une coopérative sociale est créée, tout comme des boutiques. L’école du village rouvre et fait cohabiter petits Calabrais et migrants.

      Cible de Matteo Salvini

      Le « modèle Riace », perçu comme un modèle d’intégration vertueux par le travail permettant, aussi, d’enrayer le déclin d’une Calabre qui se vide, est vanté dans de nombreux pays. En 2016, le magazine américain Fortune classe l’édile au 40e rang des personnes les plus influentes de la planète. La même année, le pape François lui envoie une lettre dans laquelle il exprime son soutien à ses initiatives en faveur des migrants.

      https://www.lemonde.fr/international/article/2023/10/13/italie-la-cour-d-appel-allege-la-peine-du-maire-calabrais-condamne-pour-avoi

    • Le maire calabrais Mimmo Lucano voit sa peine pour « délit de solidarité » réduite

      En 2021, il avait été condamné, en première instance, à 13 ans de prison et 500 000 euros d’amende, pour délit de solidarité. Le crime de Domenico Lucano, dit Mimmo : avoir mis en place un ambitieux système d’accueil des réfugiés dans le village de Riace, en Calabre, dont il était maire.

      Sa peine a été réduite à un an de prison et 1 400 euros d’amende par la cour d’appel de Locri, en Calabre, qui a rendu son verdict ce mercredi en fin d’après midi. Les 17 autres solidaires assis à ses côtés sur le banc des accusés ont tous été acquittés, alors qu’ils avaient écopé, en première instance, de 1 à 10 ans de prison.

      « C’est une #victoire ! Je viens de l’avoir au téléphone. Il pleurait en remerciant tous ceux qui l’ont soutenu », explique Martine Mandrea, animatrice de son comité de soutien à Marseille.

      https://www.humanite.fr/monde/domenico-lucano/le-maire-calabrais-mimmo-lucano-voit-sa-peine-pour-delit-de-solidarite-redu

    • Cosa insegna la (quasi) assoluzione di Mimmo Lucano

      La quasi-assoluzione in appello di Mimmo Lucano e della sua giunta rappresenta una svolta nella battaglia culturale e politica relativa alla criminalizzazione della solidarietà. La pesante condanna ricevuta in primo grado, oltre tredici anni di carcere, superiore alle richieste della pubblica accusa, appare ora abnorme e immotivata, probabilmente viziata da teoremi pregiudiziali.

      All’ex sindaco di Riace era stata addebitata addirittura l’associazione per delinquere. Già il fatto che magistratura e forze dell’ordine in quel contesto avessero dedicato una quantità ingente di tempo e risorse a indagare sull’accoglienza dei rifugiati, distogliendole necessariamente dalla lotta alla ndrangheta, aveva qualcosa di surreale. Entrando nel merito, nel 2019 la Cassazione aveva criticato la conduzione delle indagini, affermando che poggiavano “sulle incerte basi di un quadro di riferimento fattuale sfornito di significativi e precisi elementi”.

      La vicenda Lucano si aggiunge quindi a una serie di casi giudiziari in cui i protagonisti di iniziative di accoglienza verso profughi e migranti sono stati colpiti non solo da veementi campagne politiche e mediatiche, ma anche da accuse che li hanno costretti a difendersi e non di rado a sospendere la loro attività: basti ricordare Carola Rackete e le molte ong finite sotto processo, con le navi ispezionate e sequestrate, ma mai condannate; padre Mussie Zerai, processato perché impegnato ad aiutare i profughi eritrei suoi connazionali; gli attivisti di Baobab a Roma, che rifocillavano i profughi e li aiutavano a ripartire verso la Francia; i coniugi triestini Gian Andrea Franchi e Lorena Fornasir, che con la loro associazione Linea d’Ombra assistevano i migranti della rotta balcanica.

      Il fenomeno non è solo italiano, giacché, per restare in Europa, in Francia aveva fatto rumore il processo a Cédric Herrou, contadino-attivista che accoglieva in val Roja i profughi provenienti dall’Italia.

      Non è il caso di parlare di un complotto, e tanto meno di rivolgere agli inquirenti accuse di politicizzazione speculari a quelle provenienti, anche in questi giorni, dal fronte della chiusura dei confini. Occorre però vedere in queste ripetute inchieste giudiziarie, quasi sempre destinate al fallimento o a magri risultati, uno dei frutti più tossici di un clima culturale avvelenato: un clima in cui l’accoglienza è esposta al rischio costante di essere scambiata per un atto sovversivo, di attacco alla sovranità statuale e al controllo (selettivo) dei confini. E in cui di fatto si finisce per intimidire e scoraggiare chi si mobilita per soccorrere e aiutare.

      Se vi è un auspicio da trarre da questa vicenda, è che magistratura e forze dell’ordine siano sollecitate a indirizzare le loro energie, non infinite e quindi necessariamente guidate da scelte di priorità, a indagare ben altri luoghi di malaffare, ben altre forme di lesione della legalità, ben altre violazioni della sovranità statuale. E per quanto riguarda noi cittadini, sia lecito sognare un mondo in cui l’accoglienza non sia né di destra, né di sinistra, ma la conseguenza di un’opzione per i diritti umani affrancata da logiche di schieramento.

      https://www.avvenire.it/opinioni/pagine/mimmo-lucano-assoluzione-criminalizzazione-solidarieta

    • Per Mimmo Lucano ribaltata la sentenza: crollano quasi tutte le accuse

      La Procura generale di Reggio Calabria aveva chiesto 10 anni e 5 mesi di reclusione, mentre per i giudici è rimasto in piedi solo un falso in atto pubblico per un’assegnazione di fondi a cooperative

      Crollano in appello quasi tutte le accuse contestate all’ex sindaco di Riace, Mimmo Lucano. I giudici della Corte d’appello di Reggio Calabria, infatti, dopo una camera di consiglio di 7 ore, lo hanno condannato ad un anno e sei mesi di reclusione, con pena sospesa, contro la richiesta della Procura generale di 10 anni e 5 mesi, ribaltando la sentenza di primo grado del Tribunale di Locri che gli aveva inflitto 13 anni e 2 mesi di carcere per associazione per delinquere, truffa, peculato, falso e abuso d’ufficio. Assolti altri 16 imputati, collaboratori di Lucano, mentre l’unica altra condanna, a un anno, è per Maria Taverniti.

      Dalla lettura del dispositivo emerge che la Corte, presieduta da Elisabetta Palumbo, ha condannato Lucano solo per il reato di falso in atto pubblico in relazione ad una determina del 2017 relativa all’assegnazione di fondi pubblici alle cooperative, mentre sono state prescritte altre due accuse tra le quali l’abuso d’ufficio per l’affidamento del servizio di raccolta e trasporto dei rifiuti nel Comune di Riace a due cooperative sociali prive dei requisiti richiesti dalla legge.

      Tutti gli atti del processo sono stati trasmessi comunque alla Corte dei Conti. Il resto cade, soprattutto l’accusa di essere il promotore di un’associazione a delinquere finalizzata alla gestione illecita dei fondi destinati ai progetti Sprar e Cas. Lucano non era presenta alla lettura della sentenza e ha atteso l’esito nel suo paese.

      Dentro e fuori dall’aula applausi e festeggiamenti per la decisione che smonta le accuse contenute prima nei durissimi rapporti della Prefettura di Reggio Calabria e poi nell’inchiesta “Xenia” della procura di Locri che nel 2018 aveva portato Lucano agli arresti domiciliari. L’inchiesta della procura di Locri e poi la sentenza di primo grado avevano accusato un modello di accoglienza diventato famoso nel mondo e iniziato nel 1998 quando con un gruppo di amici accolse alcuni curdi sbarcati a Riace, da cui il soprannome “Mimmo u’ curdu”.

      Eletto tre volte sindaco, tra il 2004 e il 2018, quando venne sospeso dopo gli arresti domiciliari. «È la fine di un incubo che in questi anni mi ha abbattuto, umiliato, offeso - ha commentato Lucano -. E che mi ha reso agli occhi della gente come un delinquente. Avrò fatto anche degli errori, ma sono stato attaccato, denigrato, anche a livello politico, per distruggere il “modello Riace”, la straordinaria opportunità creata per accogliere centinaia di persone che avevano bisogno e per ridare vita e ripopolare i centri della Calabria». Ma cosa rimane del “modello Riace”? Nulla o poco più. Non esistono più né Cas, né Sprar.

      Il Comune, a guida leghista dopo la caduta di Lucano, non ha più confermato quel sistema. Il nome di Riace però continua ad attrarre. Arrivano ancora immigrati, lo stesso Lucano aiuta a trovare case, ma è accoglienza improvvisata e non ci sono né lavoro né fondi per attività. E proprio per questo hanno chiuso quasi tutte le botteghe e i laboratori di artigianato. Molti i debiti ancora da pagare e comunque nel paese non si vede più quel turismo solidale di allora. Invece purtroppo a Riace marina è comparsa la prostituzione di donne nigeriane. Non è però finito il modello calabrese di accoglienza.

      Proprio nella Locride non sono pochi i comuni che continuano ad ospitare gli immigrati, ormai realtà consolidate, come a Camini, paese confinante con Riace. O come a Roccella Jonica, anche questo confinante, Comune record per sbarchi dalla rotta turca, e dove si accoglie senza tensione. O ancora a Gioiosa Jonica, Benestare, Caulonia, Ardore, Siderno. Tutte località che ancora ospitano Cas e Sai, pur tra non poche difficoltà. Ma senza problemi di irregolarità o bilanci in disordine. Buona accoglienza silenziosa e poco conosciuta. Senza riflettori politici, positivi o negativi. Solo accoglienza e integrazione. Tutta un’altra storia.

      https://www.avvenire.it/attualita/pagine/per-lucano-ribaltata-la-sentenza

    • Mimmo Lucano: «Il modello Riace ha spaventato chi non guarda ai migranti con umanità»

      L’ex sindaco a Telesuonano: «Futuro? Tre possibilità, ma ne preferisco una». L’avvocato Daqua: «Grave errore giudiziario che nessuno ripagherà»

      https://www.youtube.com/watch?v=sw2suusH4H8

      «Il mio sogno? È nato un po’ per caso e ho cercato di realizzarlo in maniera inconsapevole. Mi sono interessato di accoglienza, di solidarietà dopo uno sbarco. Ma è vero, man mano che passavano gli anni, ho immaginato in maniera concreta di riscattare la mia terra, la Calabria. Nonostante i luoghi della precarietà, spesso anche dell’abbandono, del silenzio, dell’omertà, abbiamo trasmesso un messaggio al mondo: che almeno siamo grandi per essere vicini a chi subisce le decisioni di guerra, chi subisce scelte di politiche che hanno depredato i territori del cosiddetto terzo e quarto mondo, abbiamo fatto capire che è possibile costruire alternative umane utilizzando i nostri spazi, i nostri luoghi che sono dei luoghi abbandonati. E non c’è voluto nulla, il modello Riace non è altro che l’utilizzo di case in cui prima abitavano i nostri emigranti che per ragione di lavoro hanno cercato altrove possibilità di un sogno per la loro vita». Ha esordito così, con queste parole semplici ma potenti, Mimmo Lucano, ospite nell’ultima puntata di Telesuonano, il format condotto da Danilo Monteleone in onda su L’altro Corriere tv (canale 75). L’ex sindaco di Riace, da poco reduce dalla sentenza di appello “Xenia” che ha fatto cadere quasi tutte le accuse a suo carico (dai 13 e due mesi inflitti a Lucano in primo grado, si è passati a un anno e sei mesi – con pena sospesa – per una «residua ipotesi di falso su una determina»), ha ripercorso il suo viaggio giudiziario, partendo dall’inizio dell’operazione che lo ha coinvolto.
      Dopo la sentenza

      «Quella mattina è stato l’epilogo di qualcosa di strano. Negli ultimi anni della terza legislatura, che corrispondono al 2015-2016, avevo percepito un atteggiamento ostile soprattutto dalla prefettura di Reggio Calabria, e anche a livello centrale con tentativi così ingiustificati di contrastare quello che invece nel piccolo era stata una soluzione per un problema globale come quello della migrazione. Devo dire che il primo ad avere raccontato al mondo che in Calabria esiste un luogo in cui addirittura l’immigrazione, l’arrivo delle persone, non è solo un problema, ma risolve i problemi delle comunità locali, è stato il regista Wim Wenders. Ha detto “questo è un messaggio per il mondo, è un messaggio globale, è stato fatto a livello locale però va molto al di là di questa prospettiva”. E poi quella mattina, quell’epilogo è stata la fine di una favola, è stato di nuovo scendere nella realtà ed è cambiato tutto. Ricordo le persone che mi sono state vicine in maniera molto lucida. Ancora vivo quei momenti, quelle sensazioni, quel bussare alla porta nelle prime ore del mattino, e poi ho visto l’avvocato Antonio Mazzone, Andrea Daqua che per me non sono stati solo avvocati. Hanno lottato insieme a me per un ideale di giustizia, di rispetto, della dignità, della democrazia della nostra terra. Aspettavo questo riscatto, la mia realtà stava vivendo un paradosso. Monsignor Bregantini è venuto a fare il testimone, partendo con il treno da Campobasso e ha detto: “Attenzione, questa non è una storia criminale, è una storia profetica che indica al mondo un’altra soluzione”». Dopo la sentenza di primo grado c’è stato però qualcosa che è riuscito a dare speranza a Lucano. «È durata solo un giorno quella sensazione di sconforto, perché il giorno dopo, eravamo all’inizio di ottobre, perché la sentenza è arrivata il 30 settembre 2021, ho ricevuto una telefonata che mi ha cambiato completamente lo stato d’animo. Non lo so perché, ho avvertito che c’era quasi un raggio di luce in una storia con tante ombre. Luigi Manconi (sociologo ed ex senatore, ndr), mi chiama e mi dice che c’è un’indignazione generale per quella condanna che è una condanna che non è solo verso una persona, ma verso gli ideali che appartengono alla collettività e soprattutto appartengono anche alla dimensione dei nostri luoghi, della nostra terra. Io l’ho sempre vista sotto questo aspetto, io sono stato il tramite, però quello che volevamo contrastare è quel messaggio che dice attenzione, la soluzione umana prevale su quella disumana. La soluzione disumana non porta a nulla, porta solo a guerre, a odi, a razzismi, a commercio di armi. Manconi in quella circostanza si è fatto promotore di una raccolta fondi che era finalizzata al pagamento della mia multa, perché oltre agli anni di reclusione dovevo pagare anche una sanzione pecuniaria. Io mi sono rifiutato, perché non riconoscevo quella giustizia. Ho detto “questi fondi utilizziamoli per riavviare l’accoglienza” e così è stato. Il villaggio globale ha riaperto l’asilo, ha riaperto la mensa sociale, ha riaperto la scuola, il dopo scuola, la scuola per gli adulti, abbiamo riaperto la fattoria sociale che prima addirittura era stata considerata il luogo del reato penale per quanto riguarda il peculato».

      A chi ha dato fastidio Riace?

      «A chi ha dato fastidio Riace? Qualcuno – ha affermato Lucano – ha voluto sintetizzare dicendo così: “noi siamo Riace, loro sono Cutro”. Ecco, ancora oggi si scelgono i percorsi di deportazione per la soluzione dei migranti, di persone che, non dobbiamo mai dimenticarlo, sono vittime delle politiche dei Paesi occidentali e siamo noi che abbiamo imposto regimi, guerre, vendita di armi, abbiamo depredato quei territori, le persone che arrivano non è vero che arrivano per fare un viaggio perché sono migranti economici». Sul primo percorso ispettivo su Riace del governo, che in quella fase era di centrosinistra, Lucano evidenzia come in quel periodo si diceva che appoggiare Riace significava perdere consensi. «Perché, paradossalmente, i consensi li ha chi propone misure di ordine, di disciplina, di chiusura delle frontiere, di chiusura dei porti. Riace non è stato tutto questo, semplicemente ha proposto una soluzione partendo dai luoghi. Ancora oggi io dico, che rispetto alle deportazioni in Albania (Lucano si riferisce all’accordo Italia-Albania, ndr) la soluzione ideale sarebbe quella di riaccendere i paesi abbandonati della Calabria». «Ci sono tanti disoccupati nei nostri paesi – ha proseguito l’ex sindaco –. Addirittura quando io facevo il sindaco non c’era nemmeno il reddito di cittadinanza. C’è una realtà locale di autoctoni che vive condizioni di difficoltà e qual è la soluzione? Quella di andare via, andando via si desertificano i territori che rimangono dei luoghi dove c’è solo il silenzio. L’arrivo delle persone è stato vissuto con la consapevolezza che invece poteva esserci una rigenerazione dei luoghi, qualcuno l’ha definita un’accoglienza dolce che occupa gli spazi che non sono di nessuno. Se tutte le realtà disabitate, soprattutto le aree interne, le aree fragili calabresi, dessero la disponibilità di numeri piccoli, allora non si parlerebbe più di invasione, ma di una straordinaria opportunità. Una cosa che si sarebbe potuta fare in Calabria? Penso alla legge 18 del 2009 che prendeva spunto da questa economia sociale e solidale che in atto a Riace, poteva essere l’occasione per attuare delle politiche in cui l’Europa sarebbe dovuta stare attenta ad avviare dei processi legati al recupero delle aree abbandonate nelle campagne, per una nuova riforma agraria, per attività sulla zootecnica, su quelle che sono le risorse e le vocazioni dei territori».

      Cosa resta oggi del modello Riace?


      «Oggi a Riace non c’è la scuola – ha ricordato Lucano – non c’è l’asilo, c’è di nuovo quell’atmosfera di oblio sociale che prelude poi all’abbandono. Quando le comunità diventano questo, di fronte agli occhi ti appare solo un deserto, paesi fantasmi. Ecco, il mio impegno di questi anni è andato in questa direzione. Poi è arrivata la storia giudiziaria, il voler dire che non c’è altra soluzione se non quella di chiudere le frontiere, chiudere gli spazi, di considerare l’immigrazione solo come un problema, solo come un’invasione, solo come qualcosa che produce la paura, che giustifica misure di sicurezza. Riace è stato il paese pioniere di una nuova visione che ribalta totalmente il paradigma dell’invasione. E secondo me è qui che bisogna cercare il movente giudiziario che mi ha portato ad essere indagato. Credo che il neoliberismo a livello mondiale non gradisca il senso dell’umanità».
      Il futuro di Mimmo Lucano

      Ma c’è davanti a Mimmo Lucano un ritorno all’impegno politico diretto? «Quello che ho davanti – ha detto ancora l’ex sindaco di Riace – è qualcosa che non riguarda solo me, in tanti hanno sostenuto Riace come un’idea in cui si è ritrovata tutta l’Europa. Io sono stato tante volte in Germania, in Francia, in Spagna. Riace non è qualcosa che riguarda solo me, quello che dovrò fare, ma certamente è un messaggio politico. Io non so quello che farò, ma credo dipenderà dal contributo che potrò dare alla collettività ed è una decisione che prenderò insieme alle tante persone che hanno condiviso il mio percorso di sofferenza. Esistono tre possibilità per dedicarsi all’impegno politico e sociale: la prima è fare il sindaco, l’altra è impegnarsi per la Regione, per la nazione e per l’Europa, e poi c’è la militanza, che non prevede ruoli. È quella che mi affascina di più».

      Dopo Mimmo Lucano, nella seconda parte di Telesuonano, è toccato all’avvocato Andrea Daqua ripercorrere in maniera più approfondita la vicenda processionale dell’ex primo cittadino di Riace. «Cosa ho pensato quando ho sentito pronunciare la condanna a 13 anni e due mesi? Con il collega Giuliano Pisapia (ex sindaco di Milano che nel frattempo era diventato difensore di Lucano dopo la morte del professore Antonio Mazzone che aveva seguito dall’inizio la vicenda, ndr), abbiamo immediatamente qualificato quel dispositivo come aberrante, ma non in riferimento soltanto alla quantità smisurata, sproporzionata della pena, ma perché noi che avevamo seguito il processo, avevamo subito intuito che c’era un contrasto evidente tra quel dispositivo e il dato che era invece emerso dall’istruttoria. Poi questa nostra convinzione si è rafforzata quando abbiamo letto la motivazione che era più aberrante del dispositivo e, soprattutto, quando abbiamo ascoltato fonti autorevolissime del diritto italiano, giuristi di primo livello che erano completamente sganciati dal processo e non conoscevano nemmeno Lucano, che hanno spiegato perché quella sentenza era aberrante». Così Andrea Daqua che ha sottolineato come anche nel caso di Lucano, «le cause scatenanti o determinanti di un determinato processo possono essere molteplici, ma noi abbiamo il dovere di attenerci al dato documentale, al dato processuale e sulla base di questo abbiamo dimostrato che Lucano è stato vittima di un gravissimo errore giudiziario. Poi su come sia nato questo errore giudiziario o sulle motivazioni qua potremmo parlare interi giorni». Un errore giudiziario che, come spesso capita, travolge una persona, i suoi familiari e, nel caso di Lucano, una esperienza. Chi ripagherà questo danno? «Nessuno – ha dichiarato Daqua –, l’unico modo secondo il mio modesto parere per dare un senso a questo danno irreparabile che ha subito una persona perbene come Lucano, è quello di leggere le carte, di leggere il processo, di capire il perché di tante anomalie e studiare i rimedi possibili affinché ciò non accada più, perché quello che è successo a Lucano domani potrebbe succedere a chiunque. Allora qui è necessario che gli addetti ai lavori riflettano su questo procedimento e capiscano come anche alcuni strumenti processuali andrebbero rivisti».

      Il ricordo dell’avvocato Antonio Mazzone

      «La fortuna di Mimmo (Lucano, ndr) – ha detto ancora l’avvocato Daqua – è che è stato seguito all’inizio dal professore Mazzone, scomparso da tre anni. Io appena mi sono laureato sono entrato nello studio del professore Mazzone e non ne sono mai uscito, anche se poi ho aperto il mio studio. Però continuare a collaborare con lui, è stata veramente una fortuna perché dove arrivava lui nessuno di noi era in grado di arrivare. Appena Lucano mi ha fatto vedere la prima relazione prefettizia, che era uno dei supporti investigativi su cui si è appoggiato poi il costrutto accusatorio, io, convinto della bontà del suo modello, della sua onestà, gli ho detto: “sindaco io la aiuto, ma qui c’è qualcosa che va oltre. Noi dobbiamo parlare con il prof. Mazzone”. Cosa che da lì a qualche giorno abbiamo fatto e da quel momento in poi tutta la prima parte l’abbiamo seguita insieme. Mazzone è stato convinto dal primo minuto dell’onestà di Lucano e aveva ragione». Ma cosa avrebbe detto Mazzone dopo aver ascoltato le due sentenze? «Nel primo grado – ha risposto sorridendo Daqua – è meglio che io non lo dica. Nel secondo grado, avrebbe detto che giustizia è stata fatta. E’ chiaro che in questo processo il merito è del professore, perché quando lui è venuto a mancare noi eravamo già in una fase istruttoriale avanzata. Poi è intervenuto il collega Pisapia, che ringrazio per il modo con cui lui si è messo a disposizione».

      La precisazione sulla sentenza in Appello

      Sull’ultima sentenza in Appello, Daqua ci ha tenuto a fare una precisazione. «Sento spesso dire che è stata ridotta la condanna – ha affermato il legale – non è proprio così, Lucano è stato assolto per tutti i reati. Per un reato, che è una ipotesi di falso relativa a una determina, c’è stata la condanna. E anche su questa noi siamo assolutamente rispettosi della decisione della Corte, aspetteremo l’esito della motivazione, perché secondo noi anche quella determina è lecita, però chiaramente aspetteremo la valutazione della corte e poi valuteremo. Comunque, nel complesso, possiamo dire che il castello accusatorio si è sbriciolato, sono caduti tutti i reati che erano gravi come il peculato, l’associazione a delinquere e la truffa. Abbiamo dimostrato che diverse intercettazioni erano assolutamente non rispondenti al contenuto della effettiva dichiarazione». «Le intercettazioni – ha continuato Daqua – costituiscono sicuramente uno strumento processuale, ma va assolutamente rivisto in una prospettiva di rispetto verso il principio costituzionale di presunzione di innocenza».

      https://www.youtube.com/watch?v=NzLgnpZvtTk&embeds_referring_euri=https%3A%2F%2Fwww.corrieredellaca

      https://www.corrieredellacalabria.it/2023/11/16/mimmo-lucano-il-modello-riace-ha-spaventato-chi-non-guarda-ai-

  • Les hébergeurs de migrants sont acquittés par la cour d’appel de Bruxelles

    « Aujourd’hui, on a gagné pas seulement pour nous mais pour l’ensemble des hébergeurs qui pourront maintenant héberger ’sur leurs deux oreilles’... Un petit peu plus en tout cas », a déclaré mercredi en début d’après-midi la journaliste Myriam Berghe, lors d’un rassemblement à Bruxelles organisé par le collectif citoyen ’#Solidarity_is_not_a_crime'.

    Un peu plus tôt, la cour d’appel de Bruxelles a acquitté Myriam Berghe et trois autres personnes qui avaient hébergé des migrants en 2017. Elles étaient poursuivies pour complicité d’un trafic d’êtres humains.

    « Oui, on a le droit d’héberger. Oui, on a le droit de prêter un téléphone et un ordinateur aux personnes qu’on héberge et on a le droit de leur traduire ce qu’ils nous demandent de traduire », a déclaré Myriam Berghe.

    Le parquet lui reprochait d’avoir prêté de l’argent et son téléphone à un migrant qu’elle avait accueilli, soutenant que cela servait à ce dernier pour aider d’autres migrants à rejoindre la Grande-Bretagne. « C’est une énorme victoire et on a réussi à faire passer le message que, oui, on a hébergé des #passeurs, mais qui sont bien eux-mêmes victimes de #trafic_d'êtres_humains », a-t-elle poursuivi.

    Myriam Berghe et sa consœur, Anouk Van Gestel, ainsi que deux autres « hébergeurs » - tous acquittés - ont toutefois déploré le coût de leur victoire : plusieurs mois de détention préventive pour deux d’entre eux, quatre ans de procédure judiciaire angoissante et des frais de justice et d’avocats auxquels ils doivent faire face.

    Plusieurs dizaines de personnes étaient présentes pour les écouter, mercredi vers 12h00, place Jean Jacobs, aux abords du palais de justice de Bruxelles. Le rassemblement était organisé par le collectif citoyen ’Solidarity is not a crime’, né de la volonté de dénoncer la criminalisation de la migration et de la solidarité aux migrants.

    https://www.rtbf.be/info/belgique/detail_les-hebergeurs-de-migrants-sont-acquittes-par-la-cour-d-appel-de-bruxell
    #délit_de_solidarité #victoire #justice #Belgique #hébergement #asile #migrations #réfugiés #criminalisation_de_la_solidarité

    ping @isskein @karine4

  • Débandade de Macron face aux militaires : l’incroyable renversement !
    https://www.crashdebug.fr/debandade-de-macron-face-aux-militaires-l-incroyable-renversement

    Signez la pétition en soutien à nos militaires, ils perdent leur nerfs, c’est bon signe, maintenez la pression.

    Amitiés,

    f.

    ♦️ADHÉREZ AUX PATRIOTES :

    http://les-patriotes.fr/jadhere

    🇫🇷 (Pour rappel, Les Patriotes, nouvelle formation politique, ne bénéficient d’AUCUN soutien financier public ni d’aucun soutien bancaire. Ils vivent exclusivement des adhérents et donateurs.)

    ♦️FAIRE UN DON AUX PATRIOTES :

    http://les-patriotes.fr/don

    ♦️PÉTITION DE SOUTIEN AUX MILITAIRES :

    https://les-patriotes.fr/petition-sou...

    ♦️ACHETER MON NOUVEAU LIVRE :

    https://les-patriotes.fr/covid-19-la-...

    ♦️ TÉLÉGRAM : https://t.me/les_patriotes

    #Militaires#VictoireJustice#Archives

    Source : Youtube.com

    Information complémentaire :

    Crashdebug.fr : Guerre civile ou coup (...)

  • Les #livreurs de #Saint-Etienne font plier #UberEats

    C’est une première #victoire pour les livreurs de repas de Saint-Étienne, dans la Loire : ils viennent d’obtenir du géant de la #livraison UberEats un #minimum_horaire_garanti pour les #courses dans la ville. Les livreurs n’excluent pas d’autres actions, notamment pour peser face à d’autres plateformes.

    Dans l’histoire de David contre Goliath, c’est David qui gagne avec sa fronde ... et dans la vie parfois c’est pareil ! Les #livreurs de repas de Saint-Étienne, dans la Loire, viennent de le prouver. Après des #grèves éclairs au mois de décembre, la plateforme UberEats s’engage à leur garantir un #minimum_horaire pour leurs courses. Une première victoire, mais les livreurs ne comptent pas s’arrêter là.

    Une #négociation victorieuse avec UberEats

    Dès la première grève éclair du 13 décembre, à Saint-Étienne, la plateforme UberEats avait tenu à s’entretenir avec les livreurs stéphanois sur leurs #revendications. Depuis le 21 décembre, la plateforme s’engage à leur garantir un minimum horaire pour les courses : 10 euros entre 11h30 et 13h30, 12 euros entre 19h et 21h. Une seule condition pour cela : réaliser deux courses minimum dans l’heure.

    https://twitter.com/rapportsdeforce/status/1340962547055407105

    Une vraie satisfaction pour Junior et Pierre : « Ce qu’on a réussi à faire ici, la petite ville de Saint-Étienne qui arrive à faire plier Uber, c’est beau. On appelle toutes les villes de France à faire comme nous. Si tout le monde nous suit, c’est eux qui vont s’asseoir et discuter. Et on aura tout ce qu’on veut, et ce qu’on mérite ! »

    D’autres actions sont à prévoir

    Malgré cette première victoire, les livreurs s’accordent à dire que c’est loin d’être suffisant. Ils réclament plus qu’un minimum horaire : « Un #minimum_par_course. Qu’on soit au moins à 4 euros 50 par course. Ce n’est pas demander la lune ! ». Les livreurs demandent aussi une #revalorisation de la #prime de #pluie.

    Les Stéphanois réfléchissent déjà à de nouvelles grèves après les fêtes pour se faire entendre. « Une action qui dure plus longtemps, plus forte. Si on n’est pas là, de toute façon, ils ne font rien. On est un petit maillon de la chaîne, mais un maillon essentiel. » Et pourquoi pas, disent-ils, une action spécialement contre #Deliveroo, un autre service de livraison, qui, lui, n’a jamais répondu à leurs sollicitations.

    https://www.francebleu.fr/infos/societe/les-livreurs-de-saint-etienne-font-plier-ubereats-1609039011
    #uber #travail #exploitation

    ping @karine4 @isskein

  • Boycott d’Israël. La France cherche à contourner les décisions de la justice européenne
    14 décembre 2020 par François Dubuisson ( Professeur de droit international à l’Université libre de Bruxelles (ULB )
    https://orientxxi.info/magazine/boycott-d-israel-la-france-cherche-a-contourner-les-decisions-de-la-just

    Dans un arrêt récent, la Cour européenne des droits de l’homme a condamné la France et confirmé la légalité des appels au boycott des produits israéliens. Au lieu de se plier à cette décision, Paris tente de la contourner, au mépris du droit.
    (...)
    Après cet arrêt, on se serait attendu à ce que les autorités françaises abrogent les circulaires recommandant de poursuivre les actions de boycott et indiquent, au contraire, qu’en leur principe elles sont protégées par la liberté d’expression. C’est le droit commun applicable à tout discours politique qui aurait ainsi été de mise : seul le constat de propos spécifiques dégénérant en antisémitisme pourrait donner lieu à l’entame d’une procédure pénale.

    Pourtant, une autre voie a été privilégiée, qui donne le sentiment que la France entend minorer l’arrêt de la Cour et préserver, au moins en apparence, le principe d’une incrimination de l’appel au boycott des produits israéliens. En effet, le 20 octobre 2020, le ministre français de la justice Éric Dupond-Moretti a fait publier une nouvelle circulaire (une « dépêche ») « relative à la répression des appels discriminatoires au boycott des produits israéliens » par laquelle le fondement légal des poursuites est réaffirmé, simplement accompagné d’une exigence plus stricte de « motivation des décisions de condamnation ». De manière très sinueuse, cette circulaire explique que des poursuites ne devront être engagées que si « les faits, considérés in concreto, caractérisent un appel à la haine ou à la discrimination », en vérifiant en quoi la « teneur » de l’appel au boycott en cause, ses « motifs » et ses « circonstances » en révèlent une nature délictueuse. Elle précise encore que le « caractère antisémite de l’appel au boycott » peut découler non seulement de « paroles, gestes et écrits » qui l’accompagnent, mais peut également se « déduire du contexte ». (...)

    #BDS

    • Rassurez-vous : la Campagne BDS est bien légale !
      Communiqué de la campagne BDS France, le 26 novembre 2020
      https://www.bdsfrance.org/rassurez-vous-la-campagne-bds-est-bien-legale

      La dépêche insiste sur le « renforcement de l’exigence de motivation des décisions de condamnation » et sur le fait que « la CEDH n’a pas invalidé la possibilité de poursuites des appels au boycott » mais ne remet pas en question l’arrêt de la CEDH, puisqu’elle reconnait que la décision de la CEDH « s’avère protectrice de la liberté d’expression militante en ce qu’elle autorise l’appel au boycott politique », et il ne pourrait y avoir de poursuites que si « les faits caractérisaient un appel à la haine ou à la discrimination et non une simple action politique. »

      La campagne BDS reste donc parfaitement protégée par l’arrêt de la CEDH puisque c’est un mouvement antiraciste, pour l’égalité complète des droits, pour la fin des discriminations que subit le peuple palestinien, pour le respect du droit international et des droits humains universels.

      Nous voyons donc dans cette dépêche, destinée essentiellement à répondre aux demandes des relais d’Israël en France, une dernière tentative désespérée de montrer la possibilité de poursuites pour appel au boycott des produits israéliens, et cerise sur le gâteau, un manque du sens de la pédagogie quand le ministère de la Justice « oublie » d’inclure dans ses stages de citoyenneté, l’historique des boycotts, le rappel de la colonisation comme crime de guerre ainsi qu’un cours de droit international qui rappellerait que la résistance au colonialisme est légale et que les notions de crimes d’apartheid et de crimes contre l’Humanité s’appliquent aussi à Israël.

      #Palestine #France #Europe #CEDH #boycott #criminalisation_des_militants #victoire (pour une fois qu’on en a une)

  • L’attente
    Dimitris Alexakis - Ou la vie sauvage

    Cinq ans de procédure, de collecte minutieuse de témoignages, de preuves et de mobilisations quotidiennes pour que le lien entre salle d’audience et société ne soit pas rompu mais demeure riche et vivant ; plus de 20 ans de crimes — et une victoire, hier : la condamnation du parti néo-nazi Aube Dorée, à Athènes, reconnu comme une organisation criminelle.

    La géographie de la terreur répandue par Aube Dorée pendant les « années de crise » se confond presque avec celle de votre quartier. Cette rue est celle au bout de laquelle ils s’étaient mis à quatre contre un immigré pakistanais, à coups de chaînes. Ce tunnel au-dessous de la station Attikí est celui où un des leurs avait poignardé un jeune homme à la peau sombre. Le jeune homme s’était effondré contre le carrelage et avait lancé un cri, quelqu’un avait filmé la scène de loin sur son portable, à l’autre bout du tunnel un homme en uniforme était demeuré immobile.
    Cette place — où se trouve une des aires de jeux préférées de ta fille — était « leur place ».

    https://oulaviesauvage.blog/2020/10/08/lattente

    #Grèce #procès #aube_dorée #antifascisme #extrême_droite #mafia #athènes #jailgoldendawn #terreur #victoire

    • ... il est 11 heures 22, c’est le 454e jour du procès, tu ne penses plus à rien, l’imminence du verdict et l’angoisse annihilent provisoirement tout ce que tu peux conserver de souvenirs de cette lutte et de cette histoire-là — 5 ans de procès, de collecte minutieuse de témoignages, de preuves et de mobilisations quotidiennes pour que le lien entre salle d’audience et société ne soit pas rompu mais demeure riche et vivant ; plus de 20 ans de crimes, d’opérations commando contre migrants et opposants, de terreur, de malversations mafieuses, d’impunité largement imputable au parti aujourd’hui au pouvoir et de collusion entre néo-nazis et services, commissariats de quartier, dirigeants politiques, journalistes — ta mémoire est comme paralysée, seul compte l’instant d’après, qui n’est pas encore là.

    • Le verdict final (incarcération immédiate de la presque totalité des prévenus, appel suspensif pour 12 d’entre eux seulement, notamment au motif du "jeune âge") est tombé hier après quelques journées d’audiences tumultueuses, qui ont notamment vu la procureure, représentante de l’État selon le droit pénal grec (calqué sur le droit français) réclamer pour tous les prévenus (à l’exception de l’assassin de Pavlos Fyssas, condamné à perpétuité) la liberté jusqu’au jugement d’appel. La partie civile du mouvement antifasciste, qui représentait lors de ce procès les pêcheurs égyptiens, a publiquement accusé (hors tribunal) la procureure de collusion avec le parti néonazi ; la question centrale de l’implication de membres et secteurs de l’appareil d’État dans le soutien à Aube Dorée a ainsi été portée à jour à un moment crucial. Le pari pouvait sembler risqué mais était parfaitement cohérent avec la démarche suivie depuis le début par ce collectif d’avocats : faire constamment le lien entre salle d’audience et mouvement politique, tribunal et société. La présidente du tribunal a le lendemain choisi de suivre sur ce point la partie civile - plutôt que les avocats d’Aube Dorée qui réclamaient des mesures disciplinaires contre les avocats des victimes (et en particulier contre Thanasis Kampagiannis). La procureure a été sommée de revoir sa copie, de revenir sur sa réclamation initiale et, en fait, sur les mensonges flagrants que ses réclamations contenaient. C’est une victoire réaffirmée, après le premier jugement du 7 octobre reconnaissant Aube Dorée comme une organisation criminelle. L’aboutissement d’une stratégie de long cours débutée au milieu des années 90 à l’initiative du mouvement antifasciste, stratégie qui a en partie constitué à porter systématiquement plainte contre les auteurs de violences du parti néonazi grec (lequel, prenant là pour modèle le parti nazi lui-même, a développé en parallèle à sa présence parlementaire des groupes chargés de semer la terreur dans les rues). Le processus ne s’est pas achevé hier (un des dirigeants de l’organisation est notamment en fuite, en tous cas "introuvable", malgré le "dispositif policier exceptionnel" que les autorités grecques sont censées avoir déployé depuis des jours...), les audiences reprendront pour l’appel, mais une victoire a été obtenue, à la fois juridique, politique et symbolique. La presse aux ordres paraissait hier soir sidérée, sonnée presque.

      “How Do You Fight the Devil With a Lawyer ?” (Max Romeo)

  • Victoire historique des collectifs d’avocats et du mouvement antifasciste en Grèce contre le parti néo-nazi « Aube Dorée », reconnu ce matin comme une « organisation criminelle »

    Vidéo : l’instant où le verdict historique (l’ensemble des dirigeants d’Aube Dorée reconnus coupables de direction d’une organisation criminelle) a été annoncé à la foule réunie à l’extérieur du tribunal. Jour de victoire après 5 ans de procès, de collecte activiste de témoignages et de preuves et de mobilisations quotidiennes (en sorte que le lien entre salle d’audience et société soit maintenu et vivant) et plus de 20 ans de crimes, d’opérations commando contre migrants et opposants politiques, de terreur, de malversations mafieuses, d’impunité largement imputable au parti aujourd’hui en place et de collusion entre néo-nazis et services, commissariats de quartier, dirigeants politiques et journalistes.

    L’attaque arbitraire et provocatrice au canon à eau puis aux grenades lacrymogènes de la police grecque contre la foule (dispersée en quelques minutes...), sous le prétexte de jets de bouteilles en plastique, intervient immédiatement après et est visible à la fin de la vidéo.

    https://www.youtube.com/watch?v=BeYrMTUjXQE&ab_channel=newsittv

    #Grèce #aube_dorée #mafia #néonazis #extrême_droite #procès #victoire #jailgoldendawn

  • Victoire à Roybon !
    Enfin Pierre part en Vacances

    Coordination NINA

    https://lavoiedujaguar.net/Victoire-a-Roybon-Enfin-Pierre-part-en-Vacances

    Communiqué de la Coordination « Center Parcs : ni ici ni ailleurs » à propos de l’abandon du projet de Center Parcs à Roybon (Isère)

    Ça y est, Pierre & Vacances a jeté l’éponge ! Mais l’histoire ne s’arrête pas là : que vont-ils faire du terrain maintenant ? Que deviennent leurs autres projets en France et ailleurs ?

    La compagnie Pierre & Vacances a abandonné son projet de complexe touristique Center Parcs à Roybon. À la bonne heure ! C’est une victoire de taille dans la lutte contre la destruction de notre monde et du vivant qui l’habite ; une victoire qui en appelle d’autres. Déjà parce que Pierre & Vacances a d’autres projets du même acabit en France et ailleurs, et ensuite parce que la cohorte de ceux qui considèrent le monde comme un ensemble de ressources à exploiter, au mépris de la vie, ne se limite pas à Pierre & Vacances et à leurs soutiens.

    Le développement économique a un coût qu’il s’agit de ne plus nier. Nous n’avons pas été dupes des arguments économiques trop souvent rabâchés en faveur du projet de Center Parcs, qui visaient à en camoufler le coût environnemental et social. Concernant la promesse d’emplois, par exemple, il a fallu rappeler constamment la précarité des conditions de travail proposées par Pierre & Vacances, ou encore la mobilisation des finances publiques nécessaires à la création de ces infrastructures et des emplois qui vont avec. (...)

    #Center_Parcs #Roybon #Isère #ZAD #victoire #tourisme_industriel #forêts #résistance

  • #Amazon condamné à ne plus livrer que les #produits_alimentaires, médicaux et d’hygiène

    Le tribunal judiciaire de Nanterre a rejeté ce mardi la fermeture totale des entrepôts français du géant américain, mais le contraint à ne plus livrer que des produits alimentaires, médicaux ou d’hygiène. Amazon a décidé de faire appel.

    Camouflet pour le géant Amazon en France. Le #tribunal_judiciaire de Nanterre (Hauts-de-Seine), dont dépend son siège français de Clichy-la-Garenne, vient ce mardi de lui ordonner, dans les 24 heures, de « restreindre l’activité de ses entrepôts aux seules activités de réception des marchandises, de préparation et d’expédition des commandes de produits alimentaires, de #produits_d'hygiène et de #produits_médicaux, sous astreinte, d’un million d’euros par jour de retard et par infraction constatée ».

    La décision s’applique dans l’attente de « l’évaluation des #risques_professionnels inhérents à l’épidémie de Covid-19 sur l’ensemble de ses #entrepôts ainsi qu’à la mise en œuvre des mesures prévues à l’article L 4121-1 du #Code_du_travail » et pendant « une durée maximum d’un mois » qui pourra, si besoin, être allongée par un nouveau #jugement.

    Le tribunal de Nanterre avait été saisi en référé, mercredi 8 avril, par l’union syndicale Solidaires (Sud) qui réclamait à titre principal la fermeture des six entrepôts français du géant du #e-commerce sous astreinte d’un million d’euros par jour. A défaut, Solidaires demandait qu’#Amazon_Logistique_France soit au moins contraint de réduire son activité aux 10 % de marchandises « essentielles » et par conséquent de diminuer d’autant le nombre de salariés présents sur les sites français. C’est à cette deuxième option que le tribunal vient de faire droit dans son délibéré, après une audience qui a duré environ deux heures vendredi.

    « Impossible de respecter les #distances_sociales »

    « C’est une décision très intéressante pour les salariés d’Amazon car elle dit que les obligations de prévention de la santé des #salariés passent avant la réussite financière de l’entreprise », s’est félicité Me Judith Krivine, du cabinet Dellien Associés. Et l’avocate du syndicat de relever que c’est déjà la troisième décision de justice qui va dans le même après celles concernant une association d’aide à domicile de Lille vendredi 3 avril et #La_Poste jeudi 9 avril.

    « Nous ne disons pas qu’Amazon n’a rien fait, mais c’est un empilement de mesures, précipitées et disparates, dénonce Laurent Degousée, co-délégué Sud Commerce. Sauf à être habillé en cosmonaute, il est impossible, avec les effectifs actuels d’Amazon, de respecter les distances sociales dans un entrepôt. Le juge, sans ironie, vient d’ordonner à Amazon de faire ce qu’il prétend faire depuis plusieurs semaines : se limiter aux #marchandises_essentielles. »

    La représentante Sud-Solidaires du site de #Lauwin-Planque (Nord), l’un des plus grands centres du groupe en France, ne cache pas sa satisfaction : « Cela fait trois semaines que l’on lutte tous les jours face au géant, estime Tatiana Campagne. Pour nous, c’est une grande #victoire. L’entreprise doit mettre des choses en place en négociant avec nous et non plus en se prenant pour des rois comme depuis le début de la crise. »

    Jean-François Bérot, élu Sud-Solidaires à Saran (Loiret), veut aussi y voir un augure favorable pour l’étape judiciaire suivante : faire reconnaître devant les prud’hommes de Nanterre onze dossiers de #droit_de_retrait de salariés contestés par la direction.

    Malaise grandissant chez les salariés

    « C’est une #bombe_sanitaire et sociale qui est en train d’exploser et qui concerne plus de 10 000 #travailleurs directs mais aussi une armée d’#intérimaires et de #livreurs », pointait le syndicat dans son communiqué du 8 avril. Le syndicat reproche à Amazon de ne pas protéger ses salariés correctement contre le Covid-19 et de poursuivre son activité « comme si de rien n’était, en dépit de la mobilisation du personnel, des mises en demeure des syndicats, de l’inspection et de la médecine du travail, mais aussi des critiques des ministres de l’Economie et du Travail ».

    La semaine dernière, cinq entrepôts du géant américain, sur les six qu’il compte en France, avaient été épinglés par le ministère du Travail pour la mauvaise protection de leurs salariés. Trois des six mises en demeure ont depuis été levées. Et depuis plusieurs semaines, le malaise ne cesse de croître dans les entrepôts Amazon. Arrêts maladie, droits de retrait, arrêt pour garde d’enfants, jours de grève… l’#absentéisme atteint des taux records. « Entre 40 et 60 % », selon les sites et les syndicats.

    Officiellement, un seul employé est actuellement hospitalisé en réanimation à cause du Covid-19, mais les syndicats soupçonnent des dizaines de #malades non comptabilisés.

    Amazon fait appel

    « Nous sommes en désaccord avec la décision rendue aujourd’hui (NDLR : ce mardi) par le tribunal judiciaire de Nanterre et nous évaluons actuellement ses implications pour nos sites logistiques français », fait savoir Amazon, qui a décidé de faire appel. Celui-ci ne suspend cependant pas la décision qui devra donc être exécutée.

    L’e-commerçant affirme que « rien n’est plus important que la sécurité des collaborateurs. Ainsi, en France, ces quatre dernières semaines, nous avons distribué sur nos sites plus de 127 000 paquets de lingettes désinfectantes, plus de 27 000 litres de #gel_hydroalcoolique, ainsi que plus de 1,5 million de #masques. Nous avons aussi mis en place des contrôles de température et des mesures de distanciation sociale et également triplé nos équipes d’entretien en France pour renforcer le #nettoyage de 200 zones supplémentaires sur chaque site. »

    http://www.leparisien.fr/economie/amazon-condamne-a-ne-plus-livrer-que-les-produits-alimentaires-medicaux-e
    #justice #livraison #coronavirus #confinement #covid-19 #distanciation_sociale #protection #travail #distanciation_sociale

  • Quartier libre des Lentillères
    La victoire ne fait que commencer !

    Les Lentillères

    https://lavoiedujaguar.net/Quartier-libre-des-Lentilleres-La-victoire-ne-fait-que-commencer

    Le maire de Dijon a annoncé lundi 25 novembre que les Lentillères allaient être interdites à l’urbanisation. Le projet d’éco-quartier contre lequel nous luttons depuis dix ans ne verra donc jamais le jour !

    C’est une première victoire contre l’urbanisation mortifère de Dijon, et nous l’avons célébrée lundi soir sous les fenêtres du conseil municipal.

    Mais le maire annonce aussi qu’il va « demander l’évacuation de tous ceux qui occupent de manière illégale ce terrain » en précisant que « pourront y faire des jardins partagés ou des maraîchages urbains ceux qui s’inscriront pour avoir un bail ». Plus tard, il osera compléter : « Je ne l’avais pas dit parce que je ne voulais pas faire plaisir aux anars, mais je l’avais prévu depuis le début. »

    C’est donc pour ne pas faire plaisir aux anars qu’il a répété pendant toutes ces années que le projet se ferait…

    Il n’a de toute façon pas peur de la contradiction, en menaçant d’évacuer les gens à qui il vient de donner raison. Ces terres seraient bétonnées depuis bien longtemps par Dijon Métropole si elles n’avaient pas été occupées illégalement. (...)

    #Dijon #mairie #occupation #jardins #territoire #maraîchage #communs #autonomie #victoire

  • #Piazza_della_Vittoria, Bolzano
    En me promenant à #Bolzano en mai 2019, voici ce que je vois :

    Piazza della vittoria, già Piazza della Pace
    (Place de la #victoire, déjà Place de la #paix)

    Je suis évidemment intriguée... pourquoi passer de la paix à la victoire ? Victoire de qui ? Paix pour qui ?

    Le #monument sur ladite place est aussi très imposant et impressionnant... et par son #architecture on comprend vite quand il a été érigé...

    Petit tour sur wikipedia, qui nous dit que le monument a été construit entre 1926 et 1928.
    #Monumento_alla_Vittoria :
    https://it.wikipedia.org/wiki/Monumento_alla_Vittoria_(Bolzano)
    #Siegesdenkmal

    Vous pouvez découvrir l’histoire du monument sur la page wikipedia.

    Je voulais aussi signaler un passage autour de ce monument dans le #livre de #Alessandro_Leogrande, « #La_frontiera » :

    «A Bolzano li chiamano ancora ’relitti fascisti’. Sono tutti quei musolei, palazzi, cimeli che ricordano il ventennio mussoliniano. Il relitto fascista per eccellenza è il monumento realizzato da #Marcello_Piacentini nel 1928 per celebrare la vittoria italiana nella Grande guerra e per rimarcare, com’è scritto in latino a caratteri cubitali sulla facciata, che ’hic patriae fines siste signa, hinc ceteros excluimus lingua legibus artibus’. E, cioè, che non solo qui sono fissati i confini della patria, ma che proprio ’da qui’ educammo ’gli altri’ con la lingua, le leggi, le arti.
    Per decenni ’gli altri’, cioè la comunità germanofona cui il fascismo aveva impedito di usare la propria lingua, hanno visto nel monumento il simbolo più eclatante dell’usurpazione e dell’occupazione. Ed eclatante il monumento di Piacentini lo è davvero. Non solo perché, con grande dispendio di marmo bianco, s’alza in stile littorio fino a dominare un’ampia porzione d’abitato, proprio nel punto in cui era stata avviata la costruzione di un altro monumento, prontamente demolito, in memoria dei caduti del reggimento austriaco #Kaiserjäger. Non so perché appare del tutto fuori luogo rispetto al territorio circostante, al paesaggio, all’architettura tradizionale, con lse sue quattordici colonne a forma di fascio che reggono un’imponente architrave. Ma anche perché è stato il cardine della mutazione urbanistica della città. Una mutazione imposta dal fascismo, che culmina, al termine di una serie di strade che ricordano i ’trionfi’ nazionali, nella piazza del Tribunale.
    Il Monumento è stato sempre percepito come la punta dell’iceberg di una frattura più ampia. D’altro canto, la destra italiana l’ha sempre difeso come un ’proprio’ simbolo, anche in età repubblicana. Così, benché a un certo punto la Südtiroler Volkspartei, il partito che rappresenta le minoranze tedesche e ladina e ha governato il processo di crescente autonomia della provincia, lo volesse buttare giù, è rimasto al suo posto. Ogni volta che gli attriti sono riemersi, ogni volta che il cammino verso l’autodeterminazione della provincia speciale è parso arrestarsi, ogni volta che le bombe hanno ripreso a esplodere, e sono state molte le bombe a esplodere in queste vallate tra gli anni sessanta e ottanta del Novecento, quelle funebri colonne littorie sono tornate al centro del buco nero delle reciproche incomprensioni.
    Nel 1979 fu #Alexander_Langer, leader della nuova sinistra, da sempre sostenitore della necessità di creare gruppi interetnici, tanto da aver fondato dieci anni prima una rivista che si chiamava ’#Die_Brücke', ciò ’Il ponte’, a presentare in Consiglio provinciale una mozione in cui si chiedeva che il monumento diventasse un luogo di ’memoria autocritica’. Ma la mozione non passò, perché gli opposti nazionalismi vedevano entrambi come fumo negli occhi la possibilità di trasformare quelle colonne in un monito permanente. Per gli uni andavano soltanto abbattute, per gli altri dovevano rimanere tali e quali al loro posto. Dopo una serie di attentati, il Monumento venne addirittura recintato, tanto da accrescere il senso di separazione.
    La trasformazione auspicata da Langer si è realizzata solo ora con la creazione di un percorso espositivo permanente intitolato BZ ’18-’45. Un monumento, una città, due dittature , che si snoda nei locali sottostanti l’opera di Piacentini. (...)
    L’esposizione allestita nall cripta e nei corridoi sotterranei mi ha sorpreso. Pannello dopo pannello, video dopo video, sono ripercorsi i momenti della sua costruzione e la storia della città tra le due guerre mondiali, quando fu pesantemente condizionata dai due totalitarismi, quello fascista e quello nazista. Tuttavia il maggior intervento sul monumento non è tanto costituito dal percorso espositivo, quanto da un anello a led che cinge una delle colonne centrali. Sullo schermo nero circolare, spesso almeno mezzo metro, scorre rosso il titolo della mostra (BZ ’18-’45...), tradotto in tre lingue: italiano, tedesco e inglese.
    L’opera di Piacentini non è stata rimossa, ma questa sorta di vistoso ’anello al naso’ ha il potere di desacralizzarla, trasformandola in altro da sé. Tra la retorica del Monumento e gli occhi di chi lo guarda si insinua subito un terzo elemento che ne ribalta il senso profondo».

    (pp.218-220)

    #fascisme #WWI #première_guerre_mondiale #toponymie #Italie #langue #alterité #patriotisme #architecture_fasciste #urbanisme_fasciste #géographie_urbaine #Südtirol #Province_autonome_de_Bolzano #nationalisme #exposition

    ping @simplicissimus @reka

    • «A Bolzano li chiamano ancora ’relitti fascisti’. Sono tutti quei mausolei, palazzi, cimeli che ricordano il ventennio mussoliniano. Il relitto fascita per eccellenza è il monumento realizzato da #Marcello_Piacentini nel 1928 per celebrare la vittoria italiana nella Grande guerra e per rimarcare, com’è scritto in latino a caratteri cubitali sulla facciata, che ’hic patriae fines siste signa, hinc ceteros excoluimus lingua legibus artibus’. E, cioè, che non solo qui sono fissati i confini della patria, ma che proprio ’da qui’ educammo ’gli altri’ con la lingua, le leggi, le arti.
      Per decenni ’gli altri’, cioè la comunità germanofona cui il fascismo aveva impedito di usare la propria lingua, hanno visto nel monumento il simbolo più eclatante dell’usurpazione e dell’occupazione. Ed eclatante il monumento di Piacentino lo è davvero. Non solo perché, con grande dispendio di marmo bianco, s’alza in stile littorio fino a dominare un’ampia porzione dell’abitato, prioprio nel punto in cui era stata avviata la costruzione di un altro monumento, prontamente demolito, in memoria dei caduti del reggimento austriaco Kaiserjäger. Non solo perché appare del tutto fuori luogo rispetto al territorio circostante, al paesaggio, all’architettura tradizionale, con le sue quattordici colonne a forma di fascio che reggono un’imponente architrave. Ma anche perché è stato il cardine della mutazione urbainstica della città. Una mutazione imposta dal fascismo, che culmina, al termine di una serie di strade che ricordano i ’trionfi’ nazionali, nella piazza del Tribunale.
      Il Monumento è stato sempre percepito come la punta dell’iceberg di una frattura più ampia. D’altro canto, la destra italiana l’ha sempre difeso come un ’proprio’ simbolo, anche in età repubblicana. Così, benché a un certo punto la Südtiroler Volkspartei, il partito che rappresenta la minoranza tedesca e ladina e ha governato il processo di crescente autonomia della provincia, lo volesse buttare giù, è rimasto al suo posto. Ogni volta che gli attriti sono riemersi, ogni volta che il cammino verso l’autodeterminazione della provincia speciale è parso arrestarsi, ogni volta che le bombe hanno ripreso a esplodere, e sono state molte le bombe a esplodere in queste vallate tra gli anni sessanta e ottanta del Novecento, quelle funebri colonne littorie sono tornate al centro del buco nero delle reciproche incomprensioni.
      Nel 1979 fu #Alexander_Langer, leader della nuova sinistra, da sempre sostenitore della necessità di creare gruppi interetnici, tanto da aver fondato dieci anni prima una rivista che si chiamava ’Die Brücke’, cioè ’Il ponte’, a presentare in Consiglio provinciale una mozione in cui si chiedeva che il monumento diventasse un luogo di ’memoria autocritica’. Ma la mozione non passò, perché gli opposti nazionalismi vedevano entrambi come fumo negli occhi la possibilità di trasformare quelle colonne in un monito permanente. Per gli uni andavano soltanto abbattute, per gli altri dovevano rimanere tali e quali al loro posto. Dopo una serie di attenati, il Monumento venne addiritutra recintato, tanto da accrescere il senso di separazione.
      La trasformazione auspicata da Langer si è realizzata solo ora con la creazione di un percorso espositivo permanente BZ ’18-’45. Un monumento, una città, due dittature , che si snoda nei locali sottostanti l’opera di Piacentini. (...)

      L’esposizione allestita nella cripta e nei corridoi sotterranei mi ha sorpreso. Pannello dopo pannello, video dopo video, sono ripercorsi i momenti della sua costruzione e la storia della città tra le due guerre mondiali, quando fu pesantemente condizionata dai due totalitarismi, quello fascista e quello nazista. Tuttavia il maggior intervento sul monumento non è tatno costituito dal percorso espositivo, quanto da un anello a led che cinge una delle colonne centrali. Sullo schermo nero circolare, spesso almeno mezzo metro, scorre in rosso il titolo della mostra (BZ ’18-’45...), tradotto in tre lingue: italiano, tedesco e inglese.
      L’opera di Piacentini non è stata rimossa, ma questa sorta di vistoso ’anello al naso’ ha il potere di desacralizzarla, trasformandola in altro da sé. Tra la retorica del Monumento e gli occhi di chi lo guarda si insinua subito un terzo elemento che ne ribalta il senso più profondo»

      in: Alessandro Leogrande, La frontiera , 2017, pp. 218-220.

    • #Mussolini bas relief

      “The Mussolini Bas relief” in travertine marble is 36 m long, 5,5 m high and 50 cm deep. With these dimensions it is surely the biggest bas relief in Europe. It has been sculpted on 57 plates of marble of various dimensions and disposed on two rows on the pediment of the “Casa Littoria” (house of the lictor) that was the headquarters of the fascist party. The numerous figures and details on the bas relief represent and glorify various establishments in different stages of fascism, from the victory of the first world war to the march on Rome. At the centre the dictator, Benito Mussolini, is represented like a Roman emperor on a horse with his arm out in a Roman salute. Between the horses’ legs the words “Believe, Obey, Fight” are sculpted in large letters.
      The bas relief was finished, but never fully assembled, during the fascist regime. Some of the central plates, post-war, were held in a safety-deposit. During the following years after the end of the war the monuments that glorified fascism were destroyed and only in 1957 during a visit from the President of the Republic the Mussolini bas relief was completed.
      To date, all the attempts to destroy the Mussolini bas relief or safeguard it in a museum have failed for reasons linked to its political exploitation from the various parties and groups. A contest accepted by the South-Tyrolean government in 2011 has still not produced any results.

      https://www.sentres.com/en/mussolini-bas-relief
      #Hans_Piffrader

  • La semaine dernière, 8 artistes se retiraient de la prestigieuse biennale d’art du Whitney Museum de New-York pour protester contre la présence au CA de Warren Kanders, lié à une entreprise de fabrication de gaz lacrymogène utilisés contre les migrants mexicains aux USA et contre les manifestants pacifiques à Gaza :

    Eight Artists Withdraw Their Work From 2019 Whitney Biennial
    Zachary Small, Hyperallergic, le 20 juillet 2019
    https://hyperallergic.com/510167/artists-withdraw-work-from-2019-whitney-biennial

    Aujourd’hui, Warren Kanders annonce qu’il démissionne du CA du musée !

    Warren Kanders Resigns From Whitney Museum Board After Months of Controversy and Protest
    Zachary Small, Hyperallergic, le 25 juillet 2019
    https://hyperallergic.com/511052/warren-kanders-resigns

    #Palestine #Gaza #Mexique #USA #Whitney_Museum #Biennale #Musée #Art #BDS #Boycott_culturel #victoire #Warren_Kanders #gaz_lacrymogène

  • Le délai de 15 minutes de réservation pour les VTC définitivement supprimé
    http://www.lefigaro.fr/societes/2014/12/17/20005-20141217ARTFIG00259-le-delai-de-15-minutes-de-reservation-pour-les-vt

    Par Isabelle de Foucaud Publié le 17/12/2014 à 15:30

    Le délai de 15 minutes de réservation pour les VTC définitivement supprimé

    Le Conseil d’Etat a définitivement annulé un décret instituant ce délai minimal entre la réservation et la prise en charge du client, estimant que cette condition restreint encore davantage l’activité de ces concurrents des taxis. Les professionnels se félicitent de cette « victoire ».

    Nouveau coup dur pour les taxis dans leur bataille contre les voitures de tourisme avec chauffeur (VTC). Après que leur grève lundi à Paris contre le géant américain Uber a fait un flop, le Conseil d’État a annoncé ce mercredi avoir définitivement annulé un décret instituant un délai de 15 minutes entre la réservation et la prise en charge du client, imposé aux VTC.

    « Par la décision rendue ce jour, le Conseil d’État s’est définitivement prononcé sur la légalité de ce décret. Il rappelle que le législateur a distingué l’activité particulière des taxis de celle des VTC qui consiste à assurer le transport individuel de clients suivant des conditions fixées à l’avance entre les parties et à condition de respecter l’exigence d’une location préalable », explique la haute juridiction administrative dans un communiqué. De fait, l’article L. 231-3 du code du tourisme stipule que « les voitures de tourisme avec chauffeur ne peuvent ni stationner sur la voie publique si elles n’ont pas fait l’objet d’une location préalable, ni être louées à la place ». A l’inverse, les taxis stationnent et circulent dans les rues à la recherche de clients qui les abordent sans réservation préalable.
    Une exigence « illégale »

    Le Conseil d’État estime que « le gouvernement n’était pas autorisé à rajouter au régime des VTC des conditions nouvelles qui restreignent leur activité. Il juge donc que l’exigence d’un délai minimal de quinze minutes entre la réservation du véhicule et la prise en charge du client, qui n’est pas prévue par la loi et va au-delà de l’exigence légale de réservation préalable, est illégale », ajoute-t-il.

    Pour rappel, le décret n° 2013-1251 du 27 décembre 2013 précisait les conditions de la réservation préalable des VTC. Il prévoyait que « la réservation préalable d’une voiture de tourisme avec chauffeur (…) est caractérisée par le respect d’un délai minimal de quinze minutes entre la réservation du véhicule et la prise en charge effective du client ». Selon le décret, « ce délai permet de mieux distinguer l’activité de ces véhicules de celle des taxis ». Le Conseil d’État avait déjà suspendu en février ce décret contesté par les VTC qui l’estimaient trop favorable aux taxis.

    « Cette mesure était injuste, elle est désormais illégale. Nous parvenons à prendre en charge en moyenne dans Paris en cinq minutes, pourquoi nous empêcher artificiellement d’être efficaces ? », a réagi Yan Hascoet, PDG et cofondateur de Chauffeur-Privé suite à la décision du Conseil d’État.

    #PourUneConcurrenceSaine, le décret des 15 min d’attente pour les #VTC est définitivement annulé ce jour... http://t.co/cZvJW9w1TS
    — Chauffeur-Privé (@ChauffeurPrive) 17 Décembre 2014

    Même soulagement pour Yanis Kiansky, PDG et cofondateur d’AlloCab, qui voit une « épée de Damoclès » disparaître. « C’est un beau cadeau de Noël. Cette décision met un point final à un dossier qui a bien failli tuer notre activité. » L’entrepreneur se réjouit que « l’argument de vente » de la filière soit conforté. « Nous servons nos clients en cinq minutes avec moins de chauffeurs que les taxis », rappelle-t-il. Sur Twitter, AlloCab célèbre tout simplement une « victoire » des VTC.

    Après sa suspension, le décret des 15 minutes d’attente pour les #VTC est définitivement annulé le 17/12 #victoire http://t.co/fU5EdKmxWN
    — AlloCab.com (@Allocab) 17 Décembre 2014

    Yves Weisselberger, fondateur de SnapCar, n’est pas surpris par cette décision, le décret ayant été suspendu il y a six mois. « Nous avons continué à développer notre activité comme si cette obligation était annulée. Nous sommes toutefois satisfaits de voir que le Conseil d’État considère ce délai minimal comme un frein à notre activité et qu’il déséquilibrait la concurrence de manière injustifiée. »

    Oublié l’infâme décret des 15 minutes ? Il n’était que suspendu en référé par le Conseil d’Etat. Celui-ci l’annule définitivement aujourd’hui
    — yves weisselberger (@yweisselberger) 17 Décembre 2014

    #Taxi #Frankreich #Uber #VTC #disruption

  • Alain Damasio : « Créer une pluralité d’îlots, d’archipels, est la seule manière de retourner le capitalisme »
    https://www.bastamag.net/Alain-Damasio-Les-Furtifs-La-Volte-ultra-liberalisme-ZAD-pouvoir-alienatio

    Comment vivre dans des villes privatisées, où notre attention est contrôlée et sollicitée en permanence, et nos corps pistés à chaque instant ? Le dernier roman d’Alain Damasio, dont l’action se déroule en 2040, explore ce monde possible, avec justesse, de manière sensible et réaliste. Il nous invite à sortir d’urgence de nos « techno-cocons », à expérimenter de nouvelles manières d’être au monde et de résister, pour reprendre le contrôle sur nos vies. Attention, entretien décapant. Photo (une) : Alain Damasio (...) #Inventer

    / A la une, #Politique, #Altermondialisme, #ZAD, #Surveillance_et_biométrie


    • Photo (une) : Alain Damasio en visite sur la Zad de à Notre-Dame-des-Landes, dans l’ancienne bibliothèque du Taslu, celle qui était accessible aux handicapés / © ValK

      Cette description peut sembler un détail ou anecdotique, mais, au vu de ce que dit Alain Damasio sur la #zad #NDdL, je ne regrette pas d’avoir demandé de rajouter ceci... Faut que je cherche encore comment je vais articuler ça mais dire que le #CMDO a eut raison est non seulement violent pour pas mal de gens mais surtout, faux. Il n’y avait ni raison ni tord possible a ce moment là, il n’y avait que l’urgence et le chantage et par d’habiles trahisons et autre retournements de vestes, on a voulu nous faire croire que c’était une victoire mais tant que les membres du CMDO et autres « complices » ne tordront pas le cou à cette légende, nous n’avancerons pas et ce sera un gâchis immense de perte de connaissances pour la suite... voir par exemple les différentes versions de réponses au dernier texte critique paru : https://seenthis.net/messages/788890

      #validisme #héroïsme #consentement #dépassement #victoire #histoire

    • Pour expliquer, quand même, la légende de la photo : la bibliothèque de Taslu était initialement dans l’ex Transfu, la petite cabane qui avait servi de point Medic en 2012 puis aussi d’espace communication. Sauf qu’au bout d’un moment, y’avait trop de livres à mettre dedans, les dons affluaient ! Il a été décidé de l’agrandir et le choix s’est porté sur le 1er étage de la « maison en dur » de la Rollandière, pour qu’elle reste « au même endroit ». Des travaux ont été fait pour que cette partie accueil en bas et bibliothèque en haut soient rénovées... dont un magnifique escalier en planches de bois qui semblent sortir du mur de torchis impeccable. Y’a pas à dire c’est très beau, vraiment ... mais ... sans rampe ! Toutes les personnes à mobilité réduite, toutes les personnes sujettes au vertige galèrent. Mais quand t’es visiteur-ice, tu te sens tellement privilégié d’être là que tu dis rien. Moi, au bout de 2 ou 3 visites, alors que j’accompagnais des visiteurices du Mexique, j’en ai quand même parlé, de cet accès difficile aux handicapé-e-s, qui posait sacrément problème pour un lieu comme ça. Spontanément il m’a été répondu que ça allait faire moche une rampe, qu’il n’y avait pas de problème, qu’il y avait même une cage prévue à l’extérieur qui allait servir pour les fauteuils roulants, mais bon, c’était un peu galère donc la mise en place était suspendue. Sur l’instant, choquée, je me suis contentée de signaler que ça me faisait chier d’avoir plus de mal à accéder à la bibliothèque de la zad qu’à Nantes... La personne m’a alors « gentiment » dit qu’il suffisait de demander de l’aide, que même les mômes s’adaptaient en montant et descendant sur leurs fesses... Ouaip, c’était trash... mais c’était pas fini !
      Un peu plus tard, autour du repas partagé avec les visiteureuses du Mexique, quelques anecdotes fusent, les présentations-critiques des différents lieux aussi. Une fois de plus je suis choquée par cette propension à dire des trucs comme ça devant des visiteureuses, mais à vitrioler le moindre reproche qui dépasse sur internet. Vient l’anecdote de Pâques : un sympathisant avait largué quelques paquets d’œufs en chocolat dans différents champs. Ça repart en vannes, sur quel lieu allait gueuler de ne pas en avoir et allait critiquer les lieux qui en avaient pour les taxer de privilégié-e-s. Devant la surprise d’un des visiteurs, une personne lui explique que, absurdité totale, y’avait des gens qui s’étaient mis en tête qu’il y avait une lutte des classes sur la zad. J’avoue, là, j’y tiens plus, les invité-e-s sont censé-e-s faire le lien avec les communautés zapatistes, il est hors de question de nier que oui, y’a des lieux qui galèrent grave et d’autres où c’est, en comparaison, le luxe. Courroux de mes « allié-e-s » de la zad : on ne peut pas laisser dire ça, « on a tout sacrifié pour venir s’installer là » (sauf que s’installer, ça n’est déjà plus se percevoir comme squateureuses) etc. etc. Lorsque je souligne qu’un lieu comme le Taslu est déjà immensément riche de toutes les visites et de tous les dons, même redistribués (comment ?) que c’est un des premiers qui reçoit les sourires et les considérations de celleux qui viennent comme pour un pèlerinage, et que par exemple ne pas pouvoir accéder à la bibliothèque magnifiquement dotée sans souffrance, ça me fout les boules (j’avoue, à ce moment là, j’ai les larmes aux yeux) je récolte des sortes de « allons, allons », la « bienveillance » d’une habitante exténuée (réellement) qui m’explique que ce n’est pas intentionnel et qu’iels croulent sous les charges. Je sais que c’est vrai, je ne dis plus rien, un silence gêné s’installe ... pas longtemps, la bonhommie de l’accueil reprend : il est temps de demander aux visiteureuses où iels souhaitent dormir : description rapide des possibilités « mais ici y’a moyen d’avoir une chambre individuelle en dur avec une couette en plumes ! » ... Je laisse passer à nouveau même si dans un lieu plus « roots » attend un compa qui les connait et a fait son maximum pour les accueillir mais ... sans « chambre individuelle bla bla bla » ... je ronge mon frein. Et c’est là que j’ai sans doute eut tord : j’aurai dû parler plus longuement aux ami-e-s visiteureuses et leur expliquer les dégâts que provoquait déjà ce glissement : on fait visiter la zad en commençant par la « zone Est » et la route des Chicanes, tellement « célèbres » et marquantes et aussitôt sa destruction verbale commence avec l’égrenage de tout ce qui ne va pas sur cette partie. Il en a été de même pour Alain Damasio, son récit transpire ça. Ce qu’il rapporte n’est pas ce qu’il a ressenti mais la construction qui lui en a été faite, et les grandes tablées pantagruéliques de St Jean du Tertre y sont aussi pour beaucoup : comment résister à tant de générosité opulente ?! Lorsqu’il est venu au Taslu, nous n’avons été que 2 à lui poser des questions un peu grattantes. Moi je lui ai justement parlé de l’aspect « viriliste » de ses bouquin, avouant n’avoir lu que quelques extraits que j’avais adoré mais d’autres qui m’avaient gênée, et il avait expliqué ce qu’il dit dans l’interview, que oui il était conscient désormais qu’il avait des lacunes côté féminisme.
      Sauf qu’à Saint-Jean-du-Tertre, il a rencontré Golgoth... et il l’a suivi !

      Ce que je lis ça et là des furtifs est grandement marqué par cette rencontre, entre autres, et j’y vois en filigrane, un #capacitisme qui sera traduit, comme sur la zad, en un #validisme « inconscient », « pas malveillant » ... tu penses bien ! Ce truc qui consiste à dire que si tu vas sur internet plutôt qu’en manif, t’es de la merde « mais je parle pas pour toi hein ! » .. Bah si, justement, et ça fait mal de se prendre et des lacrymos de flics et des lacrymales de censément « allié-e-s ». Sur twitter y’a un hashtag qui déferle depuis quelques jours pour définir ce que ça provoque : #PayeTonBurnOutMilitant
      https://twitter.com/search?q=%23PayeTonBurnOutMilitant&src=tyah
      Ce même capacitisme qui a fait le tri sur la zad et permet de dire désormais que non, y’a pas de problème, la négociation a permis de protéger la plupart des gens et que celleux qui sont parti-e-s n’arrivaient pas à s’adapter !

      Ha, et pour l’anecdote, plusieurs mois plus tard il n’y avait toujours pas de rampe, il a fallu que je suggère l’idée d’une corde, qui pourrait même être esthétique (l’habitant a pigé la pique et s’est excusé)... A ma connaissance et à moins que ça ait changé depuis septembre 2018, il n’y en a toujours pas.

    • L’avantage dans le fait de rendre publique une histoire, c’est de recevoir des réponses : IL N’Y A TOUJOURS PAS DE RAMPE À LA BIBLIOTHEQUE COMMUNE DE LA ZAD ! Pas plus que d’accessibilité aux fauteuils « bien évidemment » ...

    • La rencontre entre #Beb-deum et #Alain_Damasio produit autre chose qu’un beau livre avec de jolis textes littéraires, ce qui serait déjà beaucoup. C’est un carnet d’anthropologue perdu, comme tombé du futur entre nos mains. Un carnet qui compacte en une seule unité de papier un catalogue de vente d’êtres humains, tel que l’hypercapitalisme va certainement en produire, avec la parole de ces futurs « clownes » – esclaves parfois affranchis, clones fugitifs, rebelles à leur docilité programmée – et qui pensent ! Qui pensent et qui écrivent, créent des slogans, parodient leur condition, racontent leur vie de corps commercialisé qu’ils se réapproprient à leur façon par des autoportraits, leurs propres marques physiques, toute une autre « présentation de soi ».
      https://seenthis.net/messages/601882

  • #Refus_d’entrée : criminaliser la solidarité

    En France, deux petites victoires ont été remportées contre les tentatives du gouvernement Français de criminaliser la solidarité envers les migrant·e·s. Un tribunal administratif a annulé deux ordres de la police française d’interdire de territoire des citoyen·ne·s européen·ne·s en raison de leur soutien aux migrant·e·s à Calais. L’interdiction ordonnée par la police a été déclarée illégale. Cette victoire au tribunal pourrait affecter des dizaines d’autres personnes placées sur des listes d’interdiction et dans les bases de données de surveillance par la police française.

    La liste des #interdictions_de_territoire

    En mars 2017, D. était à la gare de St Pancras à Londres pour prendre l’Eurostar en direction de Calais. Il s’y rendait pour participer à une réunion publique sur le rôle des sociétés privées impliquées à hauteur de plusieurs millions d’euros dans la sécurisation de la frontière Franco-Anglaise. Mais avant de monter dans le train, il est arrêté au contrôle des passeports, puis emmené dans une petite pièce par la Police aux Frontières française (#PAF). Après un moment d’entretien au téléphone, les agent·e·s de la PAF impriment un “Refus d’entrée”, document officiel l’informant qu’il lui est interdit d’entrer en France.
    Ce type de traitement n’est que trop courant envers les voyageurs et voyageuses non-européen·ne·s. Mais D. est titulaire d’un passeport européen. Le document qui lui a été remis stipulait qu’il figurait dans une base de donnée de la police française regroupant les personnes fichées comme « Danger pour l’ordre public ou la sécurité nationale ». En outre, la police lui annonce qu’il va également « avoir des problèmes » pour voyager dans d’autres pays, puisque son nom était dorénavant signalé sur la base de données du Système d’Information Schengen (SIS) utilisée par les polices aux frontières dans toute l’Europe.
    Le cas de D. n’est pas un incident isolé. Ainsi, en mars 2017 X. se rendait en Belgique en bus et a été arrêté·e par la PAF au port de Douvres. Après environ une heure d’attente, on informe X. que l’entrée en France lui est refusée et iel reçoit un papier notifiant simplement qu’iel est un « danger pour l’ordre public ou la sécurité nationale ».
    Ce n’était pas la première fois que X. a eu des problèmes pour entrer en France. En Octobre 2016, X. est arrêté·e à son arrivée à Calais et constate que les agent·e·s consultent une liste de trois pages avec des noms et des photographies. La police désigne à X. une photo d’iel prise en 2010 (date devinée grâce à la couleur de ses cheveux !) figurant en page 3 du document.
    On informe X. qu’en cas d’arrestation à Calais, iel serait interdit·e de présence sur le territoire français. Iel n’a pas été arrêté·e, malgré cela, l’entrée en France lui fut refusée la fois suivante.

    En examinant et recoupant l’enchaînement de ces incidents avec d’autres, il semble probable que la police ait établi une « liste de personnes interdites du territoire » juste avant l’expulsion de la jungle en octobre 2016.

    Nous savons que d’autres personnes ont reçu ces interdictions.
    D. et X., plutôt chanceux·se·s d’avoir pu le faire dans le délai imparti de deux mois, ont décidé de contester cette interdiction devant les tribunaux français. Iels ont été soutenu·e·s dans cette action par le réseau Calais Migrant Solidarity et par l’association française Anafé qui travaille avec les étrangers et étrangères empêché·e·s d’entrer en France. Nous pensons qu’il s’agit de l’une des premières fois qu’un refus d’entrée est contesté en France. La plupart des personnes à qui sont imposés ces refus d’entrée sont des migrant·e·s non-européen·ne·s, déporté·e·s loin de France et qui ont peu de chance de les contester.

    La #fiche_S

    Le ministère français de l’Intérieur a défendu l’interdiction devant la cour, arguant que D. et X. étaient bel et bien un “danger” pour la France. Mais de quel danger parle-t-on ? L’État français a tiré cet argument de son fichier consacré à D. et X. – une des tristement célèbres « fiche S » constituées par la police politique française sur de supposé·e·s fauteurs et fauteuses de troubles.

    Cette “fiche S” comportait deux parties. Tout d’abord, D. et X. sont identifié·e·s comme « membre de la mouvance anarcho-autonome d’ultra gauche (« no border ») susceptible de se livrer à des actions violentes dans les perspectives du démantèlement du camp de migrants de Calais ». L’État, dans ses pièces, ne mentionnait aucune violence de ce type, mais citait plutôt plusieurs articles de presse français traitant de la prétendue “violence” des “No Borders”.

    En fait, les assertions de ces médias étaient entièrement fondées sur des citations de sources policières, souvent anonymes. Ainsi, en un cercle parfait, la police a communiqué à la presse des affirmations sans fondements, puis a utilisé ces même citations de presse dans leurs propres “preuves”. Ni D., ni X., ni personne d’autre n’a jamais été poursuivi·e pour les prétendues “violences” mentionnées dans ces rapports, et encore moins reconnu·e coupable.

    La deuxième partie de la fiche S donne quelques exemples plus précis des activités de D. Par exemple, il est arrêté en 2010 dans une “occupation illégale” – c’est-à-dire qu’il était simplement présent dans l’Africa House, squat où habitaient environ 100 personnes venant principalement du Soudan, d’Érythrée et d’Éthiopie. Il a également été repéré par la police lors d’une manifestation de migrant·e·s à Calais en 2014. Le dossier de X. mentionnait que « du 5 au 7 février 2010, des activistes No Border, y compris X., ont illégalement occupé un hangar de la rue Kronstadt à Calais et ont accueilli des migrant·e·s, les forces de l’ordre devant expulser les lieux », et qu’en 2010, des activistes No Border, y compris X. ont déployé une banderole “solidarité avec les sans papiers” sur la façade du beffroi de la mairie de Calais.
    Comme l’a convenu la cour, tout ceci n’avait rien de bien sérieux, était inexact ou ancien, et que rien ne suggérait une menace imminente contre la nation française.

    Il y avait aussi des éléments issus de dossiers de la police britannique. Encore une fois, ceux-ci mentionnent simplement que D et X sont allé·e·s à des manifestations, et que X a été arrêté·e lors de l’une d’elle, mais jamais poursuivi·e.

    Ce que tout cela montre également est comment les polices britannique et française échangent de vagues « renseignements », des rumeurs policières et des soupçons, sur les personnes qu’ils identifient comme politiquement actives. Cette “intelligence” est ensuite utilisée comme une base pour bloquer les mouvements transfrontaliers des personnes, notamment en les ajoutant aux listes de surveillance internationales comme le Système d’Information Schengen.

    #No_Borders” : la menace fantôme

    En bref, la seule accusation réelle contre D et X était qu’iels appartenaient à une « violente » organisation « anarcho-autonome » appelée « No Borders ». Mais quelle est cette prétendue organisation ?

    Bien sûr, certaines personnes solidaires des migrant·e·s de Calais se considèrent anarchistes. Et certaines, anarchistes ou « ultra-gauchistes » ou non, s’identifient à l’idée de « No Borders ». Ces deux mots ont pu être compris différemment selon les personnes : un slogan, une demande, un défi, un rêve. En revanche ce qu’ils ne signifient absolument pas est l’appartenance à une organisation qui organiserait le soulèvement des migrant·e·s à Calais.

    C’est un fantôme créé par la police française et les journalistes qui alimentent des histoires en buvant quelques verres. Il n’existe tout simplement pas. Les journalistes des deux côtés de la Manche ont diffusé d’innombrables histoires de « No Borders » incitant à des émeutes, incendiant la jungle, alimentant des réseaux de passeurs, etc. Aucunes de ces affirmations n’ont jamais été étayées par des preuves ou des enquêtes, ni jamais justifiées devant un tribunal.

    Par ailleurs, les migrant·e·s à Calais sont généralement des personnes plutôt débrouillardes. Beaucoup ont vécu des guerres et des dictatures, des révolutions, traversé des mers et des déserts. Iels n’ont pas besoin d’aide pour être en colère, ni pour s’organiser pour franchir les frontières et passer à l’action.

    Lutter pour la solidarité

    Pour nous, cette contestation en justice ne concernait pas seulement deux individu·e·s . Il s’agissait de contester une arme largement utilisée par la police pour bloquer la libre circulation des personnes en toute impunité. C’était une petite participation à la résistance contre les gouvernements qui s’échinent à mettre fin aux mouvements de solidarité entre citoyen·ne·s et migrant·e·s.

    Au cours des dernières années, des milliers d’Européen·ne·s ont réagi au passage des réfugié·e·s avec soutien et solidarité, depuis les plages de Grèce en passant par les cols des Alpes jusqu’aux “Jungles” de Calais. Cela dérange les politicien·ne·s et les médias qui s’affairent à vouloir faire paniquer la population au sujet d’ « invasions de migrant·e·s ». Leur but est de semer la peur et la division, essayant d’empêcher les gens de s’unir contre les élites capitalistes qui sont nos ennemis communs. La solidarité concrète et pratique, quand les personnes avec et sans papiers résistent côte à côte, est une réelle menace pour leur projet de « diviser pour mieux régner ».

    C’est pourquoi les États répondent en diabolisant et en criminalisant la solidarité. À Lesbos ou à Lampedusa, des volontaires sont emprisonné·e·s ou harcelé·e·s pour avoir sauvé quelques-unes des milliers de personnes qui se noient en mer. A Calais, la police arrête et interdit de territoire arbitrairement quiconque qu’elle aura étiqueté comme « No Borders ». Iels espèrent ainsi effrayer les citoyen·ne·s et isoler les migrant·e·s. L’État et les médias peuvent ainsi discréditer et attaquer leurs boucs émissaires en toute liberté.

    Cette victoire judiciaire est une petite partie de la lutte contre cette guerre lancée contre la solidarité. Ce qui est primordial est que nous ne nous laissions pas effrayer et que nous continuions à combattre nos vrais ennemis qui traînent dans les halls de commerce et dans les lieux de pouvoir. Français·e·s ou Britanniques, Européen·ne·s ou Africain·e·s, nous avons les mêmes ennemis, ne les laissons pas nous diviser.

    #Calais #délit_de_solidarité #solidarité #asile #migrations #réfugiés #victoire #France

  • A lire absolument : Que reste-t-il du champ des possibles ouvert par la zad ?
    https://iaata.info/Que-reste-t-il-du-champ-des-possibles-ouvert-par-la-zad-3477.html
    https://iaata.info/home/chroot_ml/ml-toulouse/ml-toulouse/public_html/local/cache-vignettes/L200xH200/arton3477-583cb.jpg?1560969595

    Une critique de la normalisation des activités à la zad, et du déploiement du fonds de dotation visant à acheter terres et bâtis.

    Particulièrement pour celleux qui pensaient trouver une auto-analyse critique dans la traduction de Pour l’amour de la victoire : lettre ouverte à Extinction Rebellion de ZADIBAO, presenté comme une mise en garde autour de la victoire

    Mais je sais aussi ce que l’on ressent quand le système, réalisant que nos victoires sont une menace pour sa survie, se retourne contre nous. Je sais que l’on n’est jamais prêt-e à faire face à la véritable répression quand elle s’abat sur nous. Elle prend parfois la forme de la criminalisation médiatique ou celle du bruit des matraques s’abattant sur nos crânes. Mais souvent elle se faufile par-derrière, dans une stratégie d’assimilation et d’incorporation qui transforme nos actions en leurs mots, mots qui deviennent alors des outils pour se donner des airs écologiques ou construire leurs slogans électoraux. Ceci est donc autant une lettre de mise en garde qu’une lettre d’amour, ou plutôt une lettre qui parle d’amour et du fait que peut être l’une des meilleures manières d’être rebelle aujourd’hui implique de tomber amoureux-se de quelque part, de s’y attacher si profondément que l’on est prêt-e à tout pour défendre la vie qui s’y trouve. Ceci est un appel à habiter pleinement, passionnément.

    ... et alléché comme moi à cause de la photo « TELL THE TRUTH » qui l’illustre ! https://zadibao.net/2019/06/21/pour-lamour-de-la-victoire-lettre-ouverte-a-extinction-rebellion

    #ZaD #NDdL #XR #Extinction_Rebellion #victoire #compromis #légende #histoire

    • L’excellente analyse parue sur Iaata, sans haine et avec une sérieuse projection politique, a été publiée de manière résumée (et donc moins précise) sur Reporterre :
      L’achat des terres à l’État signe la « mort politique » de la Zad de Notre-Dame-des-Landes : https://reporterre.net/L-achat-des-terres-a-l-Etat-signe-la-mort-politique-de-la-Zad-de-Notre-D

      De manière assez surprenante, Reporterre ne donne pas de lien vers la source du texte complet mais a, par contre, ajouté un lien vers la réponse qui lui a été faite, à cette tribune donc, par le groupe "légaliste" de la zad. Ça donne un texte assez bizarre, très "comptable", sur la défensive et peu axé sur le sensible où, encore une fois, ne sont exprimés ni doutes, ni regrets, et encore moins la rage de s’être fait berner... chose logique pour un groupe qui doit absolument "vendre" la levée de fonds pour sauver des terres...
      Voici donc la réponse : Notre-Dame-des-Landes : La Zad est bien vivante et fait vivre l’alternative
      https://reporterre.net/Notre-Dame-des-Landes-La-Zad-est-bien-vivante-et-fait-vivre-l-alternativ

      Le site zad.nadir a décidé de consacrer une page à ce débat. On retrouve donc les deux textes :
      Que reste-t-il du champ des possibles ouvert... , pour lequel le site fait une note préliminaire où, par un habile retournement, il fait passer l’action de boycott du site comme cause du manque d’information (alors que le boycott en était la résultante !) ce qui, pour le coup, situe la suite de la réponse préliminaire : https://zad.nadir.org/spip.php?article6583
      – le texte de réponse à la tribune de Reporterre ne présente, quand à lui, aucune note préliminaire du site : Réponse à ceux qui voudraient fermer le champ des possibles sur la zad de NDDL  : https://zad.nadir.org/spip.php?article6584

      Comme le zad.nadir cite / critique indymedia, je mets aussi le lien vers l’analyse "enrichie" de multiples commentaires sur indymedia nantes : Que reste-t-il du champ des possibles ouvert par la zad ?  : https://nantes.indymedia.org/articles/45879

    • Voici une troisième vision sur le thème. Cette fois-ci c’est un autre groupe qui répond, et qui me semble, pour le coup, bien plus en phase avec la réalité de la zad que la première réponse. En tout cas elle est beaucoup plus humble, bien plus hésitante, ne nie pas les problèmes et constate même certains échecs dont une désertion de soutiens précieux à cause de la légalisation :
      Un an après les expulsions, qu’est-ce qu’on fait encore sur la ZAD ? : https://zad.nadir.org/spip.php?article6586

      Il y a plus d’un an que les expulsions et l’abandon de l’aéroport on transformé ce qui se vivait sur la ZAD. Tout a été bousculé et depuis ces évènements on entend souvent qu’il est difficile de savoir ce qu’il se passe sur la ZAD. Il y a peu de récits qui sortent, et ce qui sort représente souvent une vision très manichéenne : soit on lit que tout est merveilleux et qu’on a tout gagné, soit on lit que toutes les personnes qui y restent encore sont des traîtres. Ce qu’on y vit est bien plus complexe. On est un petit groupe de gens d’affinités semblables. Quelques personnes parmi nous sont impliquées dans des structures collectives depuis longtemps, et d’ autres sont arrivées plus récemment. Notre position est plutôt celle de personnes qui habitent là et qui y suivent encore des activités. Avec ce texte on essaie donc de raconter un peu où ça en est pour nous.

    • Merci pour le lien vers ce chouette texte ! Comme ça ne se présente pas en « réponse à », je comptais en faire une publication à part entière dans la soirée mais y’a tant et tant d’infos importantes que j’aurai pu oublier de le faire comme hier soir déjà (mais c’était sur facebeurk donc ça compte pas !)
      J’ajoute un lien vers https://web.archive.org/web/20190710113158/https://nantes.indymedia.org/articles/45989 parce que je sais pas pour les autres mais chez moi c’est une galère sans nom d’aller sur indymedia depuis quelques semaines... Et puis, comme je l’ai dit ailleurs, au moins comme ça l’article est précieusement conservé quoi qu’il arrive.
      Quand à la « réalité de la zad » elle ne peut évidemment être, comme toute réalité, que multiple, ça va sans dire, et c’est précisément ce possible des multiples qui m’a fait la défendre, et lorsque j’utilise cette expression ça ne parle que de la zad que je ... connaissais, puisque je n’y vais plus.

  • Palestine : un activiste gagne son procès contre une base de données le liant au terrorisme |
    Middle East Eye | Richard Assheton et Jan-Peter Westad
    22 janvier 2019
    https://www.middleeasteye.net/fr/reportages/palestine-un-activiste-gagne-son-proc-s-contre-une-base-de-donn-es-le

    Le directeur d’une influente organisation palestinienne de lobbying a gagné sa bataille juridique concernant son inscription dans la base de données financière World-Check, qui l’a, à tort, lié au terrorisme.

    Dans une décision annoncée lundi, Majed al Zeer, directeur du Palestinian Return Centre (PRC), reconnu par les Nations unies pour sa campagne en faveur du droit au retour des réfugiés palestiniens, a été retiré de la catégorie « terrorisme » et a obtenu 10 000 livres sterling (environ 11 300 euros) de dommages et intérêts.

    Les avocats représentant Zeer, qui a également été indemnisé pour ses frais de justice, estiment qu’il a été ajouté sur World-Check en raison d’une proscription « à motivation politique » du gouvernement israélien.

    Selon eux, cette conclusion a « entamé » ce qu’ils ont présenté comme la tactique israélienne consistant à abuser des bases de données de diligence raisonnable à des fins politiques.

    « Il s’agit d’un moment historique pour la cause palestinienne », a déclaré Majed al Zeer à Middle East Eye.

    « C’est le premier pas pour que tous les Palestiniens ou ceux qui travaillent pour la Palestine relancent World-Check pour ses fausses informations, qui ont été diffusées partout afin d’empêcher la Palestine de devenir libre et les Palestiniens de revendiquer leurs droits. »

    #victoirepalestinienne
    @sinehebdo je le reposte car je ne retrouve pas ton commentaire

  • La bataille de Tourville : Victoire des Gilets Jaunes

    Cet après-midi, à force de persévérance et avec une intelligence redoutable, les gilets jaunes auront fermé l’intégralité d’une des plus grandes zones commerciales de la région.

    Si plusieurs actions ont eu lieu aujourd’hui autour de Rouen, celle des gilets jaunes de Tourville La Rivière a le mérite d’être d’une efficacité redoutable. Pour la 3e fois depuis le début de la mobilisation, le centre commercial Carrefour, sa galerie commerciale et la quasi totalité des grandes enseignes du site : IKEA, Leroy Merlin, Décathlon, Darty, Mac Donald, a été totalement fermée dans la journée.

    Jamais un mouvement n’aura pris autant au sérieux la question du blocage économique et de mémoire de manifestants, jamais ce site n’aura été contraint de fermer ses portes deux samedis de suite, dont celui du tant attendu Black Friday. Comment 200 personnes qui, pour la plupart, n’ont jamais manifesté ou bloqué quoi que ce soit de leur vie, ont malicieusement déjoué un dispositif de 70 gendarmes mobiles et d’une trentaine de flics du coin ?

    https://a-louest.info/La-bataille-de-Tourville-Victoire-des-Gilets-Jaunes-602

    La bataille de Tourville : Victoire des Gilets Jaunes

    Cet après-midi, à force de persévérance et avec une intelligence redoutable, les gilets jaunes auront fermé l’intégralité d’une des plus grandes zones commerciales de la région.

    #actions #Rouen #mobilisation #Carrefour #IKEA #Leroy_Merlin #Décathlon #Darty #Mac_Donald #mouvement #blocage #Black_Friday #Tourville #Victoire #GiletsJaunes

    • Gilets jaunes à Paris : « Ce n’est que le début de la révolte ! »
      "« Je bosse aux 3-8 dans une usine de moteurs électriques et je gagne le Smic, une misère », explique Clémentine. Pour elle, Emmanuel Macron « mène une politique pour les riches, il ne se met pas à la place de ceux qui travaillent dur ». Nicolas abonde : « Quand Macron dit qu’il suffit de traverser la rue pour trouver du boulot, c’est du mépris total. » Même sentiment de « ne plus respirer » chez Vadim, séparé de la mère de son enfant. « Toutes les six semaines, je fais 1400 kilomètres aller-retour pour aller chercher mon gamin. Avec le prix de l’essence, il ne me reste plus rien à la fin du mois, même si j’ai beau faire des heures sup’ ! » Les dernières vacances du trio ? Une semaine à Berck-sur-Mer, à une centaine de kilomètres de chez eux.

      Installées sur un banc pour souffler quelques instants au milieu d’une atmosphère saturée par les gaz lacrymogènes, Céline, Isabelle et Mélanie dressent le même constat : celui d’une vie passée à travailler pour des « clopinettes ». Ces habitantes des Yvelines et de l’Oise sont respectivement préparatrice de commandes, aide-soignante et équipière-caisse dans un magasin. « On gagne le Smic et après le loyer, les assurances et les taxes, il ne reste plus grand-chose pour manger », soupire Céline, la plus âgée. « A chaque élection, on se dit pourtant que ça peut difficilement être pire… Mais là Macron a battu les records ! » Elle ne supporte plus ce président de la République qu’elle souhaiterait voir « démissionner » : « Il n’y a plus rien à en tirer. Il est imbu de sa personne, il ne sait pas ce qu’est une fin de mois difficile, et pourtant il ose nous rabaisser en nous traitant de fainéants. »"

      Gilets jaunes à Paris : « Ce n’est que le début de la révolte ! »
      Par Sylvain Mouillard et Gurvan Kristanadjaja — 24 novembre 2018 à 16:33

      Ce samedi de mobilisation dans tout le pays a été marqué par divers débordements sur les Champs-Elysées. Entre selfies et cris de colère, des gilets jaunes livrent leurs témoignages et pistes pour l’avenir du mouvement.

      Gilets jaunes à Paris : « Ce n’est que le début de la révolte ! »

      La scène se voulait symbolique pour ce deuxième acte de la mobilisation : les Champs-Elysées, la plus belle avenue du monde selon la formule consacrée, prise par les gilets jaunes. Peu après 10 heures, 5000 personnes - équipées pour beaucoup de masques de ski, lunettes de plongée et autres protections -, ont tenté de pénétrer sur l’avenue malgré l’interdiction de la préfecture, provoquant des affrontements avec les forces de l’ordre. « Ils disent qu’on est 5000, mais on est bien plus ! C’est nous le peuple, pas les boutiques de luxe, c’est notre argent et notre avenue ! », clame un manifestant énervé près d’un barrage de fortune.

      Dès lors, jusqu’au milieu de l’après-midi, plusieurs feux ont été allumés aux abords de l’Arc de Triomphe, notamment de scooters électriques et vélos en libre-service, et des barricades ont été dressées. La police a répliqué à plusieurs reprises avec des jets de grenades lacrymogènes et en déclenchant son canon à eau pour disperser la foule, sans succès.

      La mobilisation a rapidement tourné au concours de faits d’armes. Un des manifestants sort en courant d’un affrontement avec les CRS. Il interpelle son copain en mimant un coup de poing : « J’ai pris un flic par le dos mais il faut se barrer vite sinon tu prends de la gardav (garde à vue, ndlr) ». Un autre, aux abords d’un feu de scooter électrique avenue Friedland, s’adresse à sa compagne, drapeau français à la main : « Tu peux me prendre en photo ? ». Puis pose fièrement, l’étendard flottant entre ses bras tendus.

      Au même moment, face à l’arrivée imminente d’un nouveau nuage de gaz lacrymogène, un autre manifestant lance, amusé : « Y’a un Décathlon qui vend des masques de piscine pas loin. » Il y a aussi ces autres manifestants, inspirés par la vidéo virale de Jacline Mouraud, en partie à l’origine de la mobilisation des gilets jaunes. Ils se filment, eux aussi, en selfie et commentent en direct sur les réseaux ce qu’ils voient. « Là, vous voyez, un gros feu et une barricade. On lâche rien, on est là ! », dit l’un d’eux. Il croise une autre manifestante aussi occupée à se filmer en direct en selfie, chapeau, sac et chaussures jaunes. Ils comparent leurs audiences : « T’en es à combien de spectateurs, toi ? 122, 123 ? », interroge-t-il. Et le procédé semble fonctionner : à chaque accalmie, les manifestants se partagent sur leurs téléphones des vidéos d’autres barrages dans d’autres villes, les galvanisant un peu plus encore.

      Au soleil, sous la pluie

      Devant l’une des barricades près de l’Arc de Triomphe, faite de barrières métalliques de travaux, un autre « gilet jaune » fait résonner la chanson Les Champs Elysées de Joe Dassin dans son sac, en partie couverte par les bourdonnements incessants de l’hélicoptère de la préfecture de police. Avec sa compagne, ils sont venus de Normandie jusqu’à Paris, principalement pour protester contre la baisse de leur pouvoir d’achat. « Les taxes on en paye plein, mais on voit pas le prix de ce qu’on donne », dit l’un d’eux. « C’est la province qui monte à Paris », s’exclame une autre manifestante. Au pied de l’Arc de Triomphe, on croise Clémentine, Vadim et Nicolas, la trentaine, venus de Béthune, dans le Pas-de-Calais. Ils ont pris un bus, affrété par l’association « Robin des bus ». 15 euros l’aller-retour, une somme abordable pour ces trois ouvriers décidés à crier leur « ras-le-bol ».

      « Je bosse aux 3-8 dans une usine de moteurs électriques et je gagne le Smic, une misère », explique Clémentine. Pour elle, Emmanuel Macron « mène une politique pour les riches, il ne se met pas à la place de ceux qui travaillent dur ». Nicolas abonde : « Quand Macron dit qu’il suffit de traverser la rue pour trouver du boulot, c’est du mépris total. » Même sentiment de « ne plus respirer » chez Vadim, séparé de la mère de son enfant. « Toutes les six semaines, je fais 1400 kilomètres aller-retour pour aller chercher mon gamin. Avec le prix de l’essence, il ne me reste plus rien à la fin du mois, même si j’ai beau faire des heures sup’ ! » Les dernières vacances du trio ? Une semaine à Berck-sur-Mer, à une centaine de kilomètres de chez eux.

      « Macron, il n’y a plus rien à en tirer »

      Installées sur un banc pour souffler quelques instants au milieu d’une atmosphère saturée par les gaz lacrymogènes, Céline, Isabelle et Mélanie dressent le même constat : celui d’une vie passée à travailler pour des « clopinettes ». Ces habitantes des Yvelines et de l’Oise sont respectivement préparatrice de commandes, aide-soignante et équipière-caisse dans un magasin. « On gagne le Smic et après le loyer, les assurances et les taxes, il ne reste plus grand-chose pour manger », soupire Céline, la plus âgée. « A chaque élection, on se dit pourtant que ça peut difficilement être pire… Mais là Macron a battu les records ! » Elle ne supporte plus ce président de la République qu’elle souhaiterait voir « démissionner » : « Il n’y a plus rien à en tirer. Il est imbu de sa personne, il ne sait pas ce qu’est une fin de mois difficile, et pourtant il ose nous rabaisser en nous traitant de fainéants. » Pour sa fille Mélanie, l’attitude des CRS sur la place de la Concorde « reflète l’état d’esprit de Macron » : « Ils nous gazent et nous traitent comme des chiens. »

      De son côté, Frédéric, 48 ans, n’en veut pas aux forces de l’ordre : « Quand on discute avec eux, on comprend qu’ils nous soutiennent mais bon, ils travaillent pour l’Etat. » L’homme, qui vit à Crépy-en-Valois (Oise), a rejoint la capitale en train : « C’était une obligation de venir car c’est le seul moyen pour nous faire entendre. » Son message ? Un « ras-le-bol des taxes et des conditions de vie et de travail. » Lui bosse à l’aéroport de Roissy, souvent en horaires décalés. « Je me lève parfois à 4 heures du matin, ou alors je rentre à minuit. Les transports en commun, à ces heures-là, il ne faut pas y penser. »

      Pourtant, Frédéric a conscience que « la planète est en danger » et qu’il faudrait faire plus pour l’environnement. « On veut bien payer des impôts, mais il faut qu’ils servent à quelque chose. Ce que fait le gouvernement, c’est bénin et ça touche les plus fragiles. » Il ne se remet pas de la suppression de l’impôt sur la fortune : « Irresponsable », tranche-t-il. « Jusqu’alors, les Français étaient très dociles. Ils se rendent compte des abus. Ils réalisent qu’ils peuvent exprimer leur mécontentement sur les réseaux sociaux, alors que les médias traditionnels, eux, font bloc avec le gouvernement en minimisant la mobilisation alors qu’il y a un réel malaise. »

      Barricades improvisées

      La suite ? Le groupe de Béthune souhaiterait que les « gilets jaunes » passent à la vitesse supérieure. « Bloquer les ronds-points, ça ne sert pas à grand chose, à part à faire chier les Français », tranchent-ils. Leur idée ? « Bloquer les points économiques, les raffineries, sans que les policiers ne soient au courant, même si c’est dur de continuer à mobiliser avec la fatigue et les heures de boulot. » D’autant, selon Nicolas, que la précarité économique risque de s’accentuer prochainement « avec les augmentations en janvier des prix du diesel, du gaz, des timbres ». Il en est persuadé, « ce n’est que le début de la révolte ».

      A 16 heures, malgré l’interpellation de 19 personnes, la mobilisation des gilets jaunes dans la capitale ne semblait pas s’éteindre. Tout autour des Champs Elysées, des barricades improvisées se montent, entassement de barrières métalliques très vite enflammées. En difficulté face à ces groupuscules très nombreux et mobiles, les forces de l’ordre peinent à reprendre le contrôle de la situation.

      Sylvain Mouillard , Gurvan Kristanadjaja

      https://www.liberation.fr/france/2018/11/24/gilets-jaunes-a-paris-ce-n-est-que-le-debut-de-la-revolte_1694052

  • 24 octobre 1975. Retour sur la grève des Islandaises 24 Octobre 2018 - Révolution Permanente
    http://www.revolutionpermanente.fr/24-octobre-1975-Retour-sur-la-greve-des-Islandaises

    La grève des Islandaises de 1975 est un mouvement social mené par les femmes islandaises un 24 octobre. Elles revendiquaient alors l’égalité hommes/femmes dans le monde du travail ainsi que la reconnaissance de leur rôle dans l’économie. Sans oublier le travail domestique supplémentaire, aussi surnommé double journée de travail. La grève fut suivie par 90 % des femmes du pays et s’accompagna d’une grande manifestation à Reykjavik. Sous pression de la mobilisation, elle entraîna des changements de législation donnant plus de droits aux femmes.


    Le 24 octobre 1975, les femmes islandaises ne sont pas allées à leur emploi rémunéré, elles n’ont rien fait chez elles ou pour leurs enfants. 90% des femmes y ont participé, y compris dans les communautés rurales. En conséquence, de nombreuses industries ont dû fermer pour la journée. Le service téléphonique s’est arrêté, et les journaux ne furent pas imprimés car ces métiers étaient réservés aux femmes. Les théâtres ont aussi fermé pour la journée : les actrices avaient refusé de travailler. La majorité des enseignants étaient des femmes, donc les écoles ont aussi fermé leur porte ce jour-là, ou étaient en capacité limitée.

    Pour continuer la liste, les vols aériens ont tous été annulés car les hôtesses de l’air n’étaient pas venues au travail ; et les poissonneries ont fermé car les ouvriers de l’usine étaient des femmes. Les saucisses, un repas populaire, étaient en rupture de stock dans de nombreux magasins ce jour-là. Les papas se sont alors trouvés obligés d’amener leurs enfants au travail et de les nourrir. Ce jour-là, les dirigeants des banques ont dû travailler comme caissiers pour maintenir les banques ouvertes.

    Au cours de cette journée, 25 000 femmes parmi les 220 000 Islandais se sont rassemblé dans le centre de Reykjavik. Lors du rassemblement, les femmes ont chanté et parlé de ce qui pourrait être mit en œuvre pour atteindre l’égalité des sexes en Islande. Il y avait également beaucoup d’oratrices lors de cette journée, dont une femme au foyer, deux membres du parlement, une représentante du mouvement des femmes, et une travailleuse. Le dernier discours de la journée fut d’Adalheidur Bjarnfredsdottir, qui « représentait Sokn, le syndicat pour les femmes moins payées d’Islande ».

    La grève dura jusqu’à minuit ce soir-là. A minuit une, les typographes se sont remises au travail pour sortir les journaux. Ces derniers n’étaient pas aussi longs que d’habitude et ne contenaient que des articles sur la grève. Les femmes ont alors atteint leur objectif : montrer à l’Islande leur valeur en provoquant la quasi-paralysie du pays pour une journée. Le Jour de congé a ouvert les yeux de beaucoup d’hommes qui l’appelaient « le long vendredi ».

    L’année suivante, le parlement islandais adopta une loi garantissant l’égalité des droits pour les femmes et les hommes. Cependant, en 1976, la loi n’a guère provoqué de changement sur l’inégalité des salaires et les disparités en matière d’emploi. Aussi, tous les ans, comme aujourd’hui 24 octobre 2018 des milliers de femmes viennent en masse sur la place centrale de Reykjavik pour manifester, elles arrêtent toutes de travailler à 14h55 pour « montrer leurs postes importants et continuer la lutte pour l’égalité ».

    #grève #Femmes #Victoire #Islande

  • #Musée de la #prison #Hoa_Lo, au Vietnam

    Sur wiki :

    La Prison Hỏa Lò est une ancienne prison située à Hanoï au Vietnam, également appelée #Maison_centrale ou ironiquement #Hanoi_Hilton. Elle a été construite durant l’#occupation_française. Détruite en partie en 1990, elle est maintenant un musée.


    https://fr.wikipedia.org/wiki/Prison_H%E1%BB%8Fa_L%C3%B2

    Carte, photos et dessin du quartier dans laquelle fut installée la prison par les Français et de la prison elle-même :

    Règlement de la prison :

    #cartographie

    Photos des salles du musée :


    Salle D :

    Salle E, #cachots :

    Le #badamier :

    La #fuite...

    Couloir des #condamnés_à_mort :

    #Ngo_Gia_Tu : « Je refuse de reconnaître les actions qu’on m’attribue. Je n’ai pas créé le communisme. Le #communisme est né de l’#injustice infligée par l’#oppression_capitaliste au monde des #ouvriers et des #paysans » :

    Bâtiment des #femmes :

    #haut-relief se situant dans la cour de la prison :


    #terrorisme


    #théâtre


    #éducation #école #résistance #organisation_politique

    « Les détenus luttent contre la main de fer de l’ennemi » :

    Dans la même salle que celle où c’est marqué « Les détenus luttent contre la main de fer de l’ennemi » (si je ne me trompe pas), cette plaque :
    « Je n’ai rien à ajouter. Dans cette bataille pour la #survie, entre nous qui avons perdu notre pays et notre #liberté, et vous qui êtes des #envahisseurs, le #sacrifice de gens comme moi est inévitable. Je sais juste que nous finirons par vaincre » :


    #victoire

    Les ex-prisonniers devenus des personnalités importantes du #parti_communiste vietnamien (une salle leur est consacrée) :


    #propagande

    #Phan_Thi_Khuong : « Je participe à la #révolution pour renverser des réactionnaires comme vous »

    –------------

    Puis cette prison fut utilisée pour y détenir les soldats américains capturés durant la guerre du Vietnam, dont #John_McCain. Voici quelques images :

    John McCain qui se fait soigner :

    #Hanoï #Vietnam #colonisation #Indochine #colonialisme #mémoire #France

    Comme vous y êtes habitués maintenant, les photos suivront dans les prochains jours... car il faut le temps pour les charger...

    cc @reka

  • Notre-Dame-des-Landes
    Communiqué commun du mouvement anti-aéroport
    suite à la décision du gouvernement

    https://lavoiedujaguar.net/Notre-Dame-des-Landes-Communique-commun-du-mouvement-anti-aeroport-s

    Ce midi, le gouvernement vient enfin d’annoncer l’abandon du projet d’aéroport de Notre-Dame-des-Landes.

    Nous notons que la DUP ne sera officiellement pas prorogée. Le projet sera donc définitivement nul et non avenu le 8 février.

    Il s’agit bien d’une victoire historique face à un projet d’aménagement destructeur. Celle-ci aura été possible grâce à un long mouvement aussi déterminé que divers.

    Nous voulons d’abord saluer chaleureusement aujourd’hui toutes celles et ceux qui se sont mobilisé·e·s contre ce projet d’aéroport au cours des cinquante dernières années. (...)

    #Notre-Dame-des-Landes #victoire_historique #expérimentation_sociale #10_février

  • “Cet accord de fin de grève, c’est une victoire pour notre dignité d’agents de nettoyage” | Bondy Blog
    http://www.bondyblog.fr/201712152124/cet-accord-de-fin-de-greve-cest-une-victoire-pour-notre-dignite-dagents-de

    Après 45 jours de grève, les discussions entre la direction du groupe ONET et les syndicats ont abouti à la signature d’un d’accord ce vendredi 15 décembre. Les salariés fêteront leur victoire ce samedi.

    #grève #nettoyage #victoire #onet

  • L’exemplaire victoire de François Ruffin
    https://reporterre.net/L-exemplaire-victoire-de-Francois-Ruffin

    « Vous savez, Ruffin c’est la dernière petite lueur en France. Le dernier qui peut prouver que les Français ne sont pas des cons », explique une militante qui arbore le sticker « Picardie Debout ! avec François Ruffin ». Quelques minutes plus tard, les résultats officiels tombent : François Ruffin remporte son siège de député avec 54 % des voix. Le journaliste laisse enfin tomber le masque pour souffler. À ses côtés, son équipe s’embrasse et se tombe dans les bras. Aux accolades s’ajoutent les larmes de joie : « Putain j’y crois pas. J’y crois pas », répète une militante.

    • Euh, t’as vu la photo choisie ?
      La victoire du guerrier … si tu gagnes, tu auras le droit de baiser
      #misère_politique (encore)
      et oui aussi, je n’apprécie ni Ruffin ni aucun·e qui veut ce type de pouvoir et toute la liesse horrible qui va avec

    • Bah son équipe s’embrasse de joie et dans l’équipe il y a une femme. Je ne voie pas de contenu sexuel ni sexiste dans cette image. je voie au moins 3 personnes enlacées, une femme de dos, probablement Ruffin et une paire de bras qui semblent masculin.

      ps- Ruffin c’est pas la dernière petite lueur ! M’enfin et les autres insoumis·es et Mme Obono. Et soit dit en passant il y a des insoumis qui font perdre pas mal d’espoir !

    • La victoire du guerrier … si tu gagnes, tu auras le droit de baiser

      @touti qu’il baise sa femme après une telle victoire. Pourquoi pas ! autant joindre l’utile à l’agréable.
      Utile parce que si je ne suis pas complètement #Ruffin ,sa tactique est la bonne ( pas pour baiser, non, non ! ) mais infiltrer l’assemblée nationale pour faire entendre ses arguments ; du moins essayer de se faire entendre. On verra ... nul doute que si j’habitais dans sa circonscription, je votais des 2 mains pour le bonhomme. Plutôt que d’avoir voté avec mes pieds, une fois de plus.

    • @vanderling libre à toi de t’enthousiasmer, si tu as envie de croire que dieu est dans le vote.

      Je crois que vous n’avez pas compris ni l’un ni l’autre @mad_meg @vanderling ce que je veux dire en critiquant le choix de cette image pour illustrer un article nommé « L’exemplaire victoire de François Ruffin ».

      La photographie est un choix de représentation du monde. Que vous puissiez croire que c’est le reflet d’une réalité objective me rend triste. « son équipe s’embrasse de joie et dans l’équipe il y a une femme » non.
      Je pars de l’autre côté de la lorgnette, celui des sens.
      On voit d’abord, et moi je vois la tête d’un homme qui s’enfonce dans le giron d’une femme qui écarte les bras et je lis le mot victoire.

      Le mot victoire me fait frémir d’horreur.
      Pour au moins 3 raisons claires
      – victoire = guerrier et bataille
      – victoire = défaite
      – victoire = récompense

      #gagnant #victoire #photographie #représentation #journalisme #propagande #inconscient #role_des_femmes

      Ensuite, la rédaction a fait le choix de cette image et pas d’une autre, des photos de cette élection il y en a eu des tonnes, mais c’est celle-ci qui a été publiée, et pour illustrer le titre. Non seulement c’est une victoire mais il faudrait qu’elle soit exemplaire ?

      Comment mieux donner envie à de nouveaux guerriers d’aller à la guerre que de leurs promettre les bras d’une femme en récompense ? Quitte d’ailleurs à la violer, comme il se fait dans toutes les guerres, cf les américains au débarquement, les français en Afrique, la Bosnie etc. Et même si c’est « la sienne » qu’est-ce que ça change à son consentement ? Une femme n’existe pas pour le repos du guerrier.

      Donc, en fait, hors de son contexte éditoriale et historique, cette photo je m’en moquerais totalement. Là, le choix est délibéré, et la promesse inconsciente faite aux prochains gagnants est pour moi extrêmement désagréable et heurte ma sensibilité au point qu’elle me prévient déjà de ce que continueront d’être les élections : des turpitudes de bitards, un piège à cons, au premier sens du terme.

    • Là, le choix est délibéré, et la promesse inconsciente faite aux prochains gagnants est pour moi extrêmement désagréable et heurte ma sensibilité au point qu’elle me prévient déjà de ce que continueront d’être les élections : des turpitudes de bitards, un piège à cons, au premier sens du terme.

      ou point sensible - douloureux - fait attention à toi quand même @touti

    • je t’emmerde @vanderling, je n’ai pas besoin de tes mises en garde, et je fais grandement confiance à ma sensibilité qui est un de mes premiers atouts. Evidemment, pour d’autres personnes, la sensibilité évoque d’abord la faiblesse ou permet de disqualifier des propos sans jamais se requestionner.

    • Merci @mad_meg de prendre le temps pour comprendre.
      Ah, et aussi autre chose.
      Il est encore très courant de penser qu’une fois chef, ou avec du pouvoir, les femmes vont trouver un homme beaucoup plus attirant et lui tomber dans les bras.
      De n’importe quel milieu que ce soit, et même chez les militants qui se disent révolutionnaires, ça nous faisait toujours un sujet de discussion mi rigolard mi peiné d’ailleurs.
      Le nombre de voitures qui se vendent sous cette promesse en sont encore la preuve.
      #repos_du_guerrier

    • @touti c’est vent der linge qui t’emmerdes en retour malgré ta sensibilité à fleur de peau.

      libre à toi de t’enthousiasmer, si tu as envie de croire que dieu est dans le vote.

      pourquoi pas les saintes écritures et tutti quanti, aussi ! entre l’autre baltringue DUDH48 qui compare Macron au prophète, ça commence à faire beaucoup de n’importe quoi en 24 heures.

    • Enthousiasme - Étymologie
      Terme grec provenant d’un mot se traduisant par  : inspiré par un dieu, (de en et dieu).
      https://www.littre.org/definition/enthousiasme

      Ouiii et alors ! je ne vois toujours pas le rapport entre le vote ( législatif ), François Ruffin, sa femme, ses électeurs et électrices, et Dieu dans tout çà ?
      Et toujours pas, non plus, ce que la photo illustrant l’article de Reporterre a de choquante, d’autant plus que ce n’est pas la seule, il y a même des vidéos. Aussi doté d’une certaine sensibilité ( comme tout à chacun ) ton point de vue m’échappe.
      Quand je ne m’abstiens pas, je rentre plus à reculons dans un bureau de vote que frappé d’un quelconque transport divin
      Le jour où je confondrais un isoloir avec un confessionnal, je te ferais signe.

    • Ce jeu de mots que tu ne sembles pas gouter visait le très clair enthousiasme que tu affiches envers Ruffin et le vote

      nul doute que si j’habitais dans sa circonscription, je votais des 2 mains pour le bonhomme

      .

      Et je suis au regret d’arguer que je préfère exprimer ma sensibilité que de subir celle des cailloux.

  • Ça va au delà des #Victoires2017, un message des artistes @Imanyofficiel : la justice pour tou-tes #Theo #Adama @nuitdebout @Quoi_magueule https://twitter.com/LisePressac/status/830176140451012610 …
    https://twitter.com/Wapipi_Tangata/status/830359622955446272

    Ça va au delà des #Victoires2017, un message des artistes @Imanyofficiel : la justice pour tou-tes #Theo #Adama @nuitdebout @Quoi_magueule https://twitter.com/LisePressac/status/830176140451012610