• Così la fine del #reddito_di_cittadinanza colpisce le donne vittime di violenza

    Secondo l’Istat il 38% delle donne inserite in un percorso di uscita dalla violenza ha subìto anche violenza economica e il 60% non ha autonomia finanziaria. Molte di loro per ricominciare avevano fatto ricorso al Rdc: adesso non ne usufruiranno più. I percorsi protetti sono rischio ed è possibile che tornino dal partner maltrattante

    Quando ha lasciato il marito che la picchiava, Alessia aveva sei figli da mantenere. Lavorava ma ha scelto di licenziarsi per mettersi in sicurezza. Arrivare a fine mese era difficile, soprattutto in una città costosa come Roma. Così è finita in una casa rifugio per donne vittime di violenza. Ha fatto domanda per ricevere il reddito di cittadinanza, che dopo qualche mese le è stato riconosciuto: insieme agli assegni familiari, arrivava a prendere circa 1.600 euro al mese. Con i soldi messi da parte, Alessia (il nome è di fantasia, come gli altri di questo articolo) si è poi trasferita con i figli in un piccolo paese nel Sud Italia: ha trovato un nuovo lavoro, e questo le ha permesso di ricominciare.

    Dal primo gennaio 2024 il reddito di cittadinanza verrà definitivamente sospeso, e questo rischia di compromettere i percorsi di uscita dalla violenza di molte donne. “Grazie al reddito di cittadinanza molte donne hanno lasciato il maltrattante e hanno trovato il coraggio di iniziare una nuova vita”, spiega Federica Scrollini, operatrice del centro antiviolenza BeFree di Roma. “Quel sostegno economico è stato volàno per la ricerca di una nuova autonomia che comprende casa, lavoro, cura di stesse e dei figli. Senza questa base di partenza, molti percorsi di fuoriuscita dalla violenza non vedranno la luce. D’altronde, con un mercato del lavoro in asfissia, i servizi sociali ridotti dall’osso e l’ennesima crisi economica alle porte, dove possiamo andare senza soldi?”.

    Secondo l’Istat il 38% delle donne inserite in un percorso di uscita dalla violenza ha subìto anche violenza economica. Il 60% non ha autonomia finanziaria, quota che sale al 69% se si considera la fascia tra i 18 e i 29 anni. Alcune di loro per ricominciare hanno fatto ricorso al reddito di cittadinanza, che da gennaio 2024 sarà sostituito dall’assegno di inclusione, concesso a tutte le famiglie con un minore, una persona con disabilità o con più di 60 anni, oppure con componenti svantaggiati inseriti in programmi di cura e assistenza certificati dalla pubblica amministrazione. L’importo è fino a 6mila euro l’anno, 500 al mese, più un contributo affitto di 3.360 euro l’anno, 280 al mese: il totale è di un massimo di 780 euro al mese, l’equivalente del reddito di cittadinanza. La misura prevede alcune agevolazioni per le donne vittime di violenza: nel conteggio dell’Isee, le donne potranno costituire nucleo familiare indipendente da quello del marito, e non avranno l’obbligo di partecipare percorsi di inclusione lavorativa, né di accettare le proposte di lavoro eventualmente offerte. “Il problema è che l’assegno esclude di fatto le donne che non hanno figli a carico, anche se si trovano in una situazione di difficoltà economica”, denuncia l’organizzazione ActionAid.

    Per le donne che non hanno figli, dal primo settembre c’è la possibilità di richiedere il supporto per la formazione e lavoro, pensato per le famiglie con una persona in grado di lavorare (i cosiddetti “occupabili”). Questo sussidio però è molto più ridotto -350 euro al mese- ed è vincolato alla partecipazione a progetti di formazione e di accompagnamento al lavoro individuati dal governo. Il limite massimo di Isee per ottenerlo, inoltre, è stato abbassato a 6mila euro, molto meno rispetto ai 9.360 euro del reddito di cittadinanza: gli “occupabili” che si trovano nella fascia intermedia restano senza aiuti. ActionAid ha lanciato quindi una petizione per chiedere al governo di garantire reddito, lavoro e autonomia abitativa affinché le donne non ricadano nella violenza.

    “Nei nostri servizi ci sono diverse donne che ancora ricevono il reddito di cittadinanza”, afferma Simona Lanzoni, vicepresidente della fondazione Pangea e coordinatrice della rete nazionale antiviolenza Reama, che ha aperto lo sportello Mia Economia sulla violenza economica. “Da gennaio rischiano di perdere quella sicurezza economica: ancora non sappiamo che cosa succederà. Comunque il reddito di cittadinanza non era una misura risolutiva: è utile in una fase iniziale, ma poi oltre quello che cosa c’è? In Italia mancano i sostegni al lavoro”.

    Lo sa bene Mara, brasiliana, arrivata in Italia da giovane. Per molti anni è stata vittima di violenza in ambito familiare, e ha anche subìto un abuso sessuale. Poi c’è stata la denuncia alla polizia: quando è arrivata in casa rifugio, aveva quasi cinquant’anni e non aveva niente in mano. Sono state le operatrici ad aiutarla a fare domanda per il reddito di cittadinanza: percepiva circa 700 euro al mese, e così si è sentita pronta a intraprendere un tirocinio, che da solo non le avrebbe garantito un guadagno sufficiente a sopravvivere. Dalla casa rifugio è passata alla casa di semi-autonomia: il tirocinio si è trasformato in un’assunzione, anche se a tempo determinato. Il contratto però le viene rinnovato di mese in mese, e il compenso non è sufficiente a pagare un affitto. Così Mara sta pensando di tornare in Brasile.

    Un altro strumento pensato per aiutare le donne che escono da una situazione di violenza e si trovano in condizione di povertà è il reddito di libertà: istituito nel 2020, consiste in un contributo economico di 400 euro al mese per un massimo di dodici mesi. Per il periodo tra il 2020 e il 2022 la misura è stata finanziata con 12 milioni di euro, a cui si aggiungono 1,8 milioni per il 2023: in tutto ne hanno potuto beneficiare meno di 3mila donne, un numero molto ridotto se si considera che secondo l’Istat ogni anno sarebbero circa 21mila le persone che avrebbero i requisiti per accedervi. In più non sono state adottate linee guida nazionali per valutare lo stato di bisogno delle richiedenti e oggi vige il principio del “chi prima arriva meglio alloggia”: le donne possono fare domanda e risultare idonee, ma una volta finiti i fondi non otterranno comunque il contributo.

    “Abbiamo molte donne che aspettano di ricevere il reddito di libertà”, spiega Mariangela Zanni, presidente del Centro Veneto Progetti Donna e consigliera dell’associazione nazionale Donne in rete contro la violenza(D.i.Re), che in Italia raccoglie più di cento centri antiviolenza e più di 50 case rifugio. “Si tratta di una misura importante, ma i finanziamenti sono pochi e le liste di attesa sono lunghe”.

    La violenza economica continua così ad essere uno dei principali strumenti di controllo sulla donna da parte del maltrattante. “La privazione del salario, l’impedimento di lavorare, l’obbligo a prendersi cura da sole dei figli, impedisce a molte donne che subiscono violenza di avere un’autonomia economica”, conclude Anita Lombardi, operatrice dello sportello di orientamento al lavoro del centro antiviolenza Casa delle donne di Bologna. “Per questo tutti gli strumenti che danno un sostegno economico, a partire dal reddito di cittadinanza fino al reddito di libertà, sono importanti affinché venga assicurato a queste donne il diritto a progettare la propria vita in libertà e autonomia”.

    https://altreconomia.it/cosi-la-fine-del-reddito-di-cittadinanza-colpisce-le-donne-vittime-di-v

    #revenu_de_Base #rdb #revenu_universel #Italie #femmes #violence_domestique #VSS #violences_sexuelles #violence_économique #autonomie_financière #autonomie #reddito_di_libertà

  • Remise en liberté d’Alexandra Richard : Quel est ce « trouble à l’ordre public » que craint la justice ?

    Au lendemain du 8 mars, journée internationale de lutte pour les droits des femmes, la cour d’appel de Rouen a examiné la demande de remise en liberté d’Alexandra Richard, condamnée à 10 ans de prison pour homicide volontaire sur son conjoint violent.

    Pendant 3 ans, Sébastien Gest l’a violée, frappée et menacée de mort à de multiples reprises. Le jour du drame, il lui a demandé de choisir l’arme avec laquelle il allait la tuer et l’a ainsi menacée : « j’vais t’buter, tu partiras les pieds devant ». Tous les éléments de l’enquête indiquent une scène de légitime défense, dans laquelle Alexandra Richard s’est emparée d’une arme pour se protéger. De surcroît, l’expertise balistique valide la plausibilité d’un coup de fusil déclenché de manière accidentelle.

    https://entreleslignesentrelesmots.blog/2022/03/22/remise-en-liberte-dalexandra-richard-quel-est-ce-troubl

    #féminisme #violence #droit

  • Renvois : la pratique des autorités migratoires suisses menace les #droits_humains

    Le #Tribunal_administratif_fédéral prononce encore et toujours le renvoi de personnes vers des « #Etats_tiers_sûrs » ou des « #Etats_d'origine_sûrs » sans procéder à un examen suffisant de la situation des droits humains dans ces pays et à une évalutation minutieuse des #risques encourus par les personnes concernées. Aussi s’accumulent les #mesures_conservatoires (#interim_measures) à l’encontre de la Suisse, sur la base desquelles les comités onusiens suspendent provisoirement les menaces de renvoi. Conclusion : les #critères_d’examen des autorités suisses sont inadéquats du point de vue des droits humains.

    Une femme seule avec des enfants fuit un pays en guerre civile pour se rendre en #Bulgarie, où elle obtient le statut de réfugiée. Sur place, elle est victime de #violence_domestique. Ne recevant pas de protection de la part des autorités bulgares, elle se réfugie en Suisse avec ses enfants. Le Secrétariat d’État aux migrations (SEM) rejette sa demande d’asile, invoquant qu’elle peut retourner en Bulgarie car il s’agit d’un « État tiers sûr ». Le Tribunal administratif fédéral confirme la décision du SEM*.

    Selon la loi sur l’asile (LAsi), une demande d’asile n’est généralement pas accordée si la personne requérante peut retourner dans un « État tiers sûr » dans lequel elle résidait avant de déposer sa demande en Suisse (art. 31a LAsi). En Suisse, les États de l’UE et de l’AELE sont considérés comme des pays tiers sûrs, car ils ont ratifié la Convention de Genève sur les réfugiés et la Convention européenne des droits de l’homme, qu’ils mettent en œuvre dans la pratique selon le Secrétariat d’État aux migrations. Le Conseil fédéral peut également désigner d’autres pays comme « États tiers sûrs » si ceux-ci disposent d’un mécanisme de protection efficace contre le renvoi des personnes concernées permettant de respecter le #principe_de_non-refoulement. Enfin, sont également considérés comme des « États d’origine sûrs » les pays dans lesquels les requérant·e·s d’asile sont à l’abri de toute persécution (art. 6a al. 2 let. a et b LAsi).

    Avec le soutien de l’Organisation suisse d’aide aux réfugiés (OSAR), la mère requérante d’asile et ses enfants déposent une plainte individuelle auprès du Comité des droits de l’enfant de l’ONU. Le Comité demande instamment à la Suisse de ne pas rapatrier la famille afin d’éviter que les enfants ne subissent un préjudice irréparable du fait des violations de leurs droits humains ; il ne peut en effet pas exclure que la famille se retrouve en danger en Bulgarie. Selon Adriana Romer, juriste et spécialiste pour l’Europe au sein de l’OSAR, cette affirmation est claire : « La référence générale au respect par un État de ses obligations en vertu du #droit_international n’est pas suffisante, surtout dans le cas d’un pays comme la Bulgarie. S’il y a des indications de possibles violations des droits humains, une évaluation et un examen minutieux sont nécessaires dans chaque cas individuel ».

    Le cas d’une demandeuse d’asile qui a fui un camp de réfugié·e·s grec pour se réfugier en Suisse illustre bien la problématique. Selon le Tribunal administratif fédéral (TAF), elle n’a pas fait valoir de circonstances qui remettraient en cause la #Grèce en tant qu’« État tiers sûr » (arrêt du TAF E-1657/2020 du 26 mai 2020). Les #viols qu’elle a subis à plusieurs reprises dans le camp de réfugié·e·s et l’absence de soutien psychologique sur place n’ont pas été pris en compte. Le Comité de l’ONU pour l’élimination de la discrimination à l’égard des #femmes (#CEDEF) est finalement intervenu un mois plus tard. C’est un sort similaire qu’a connu un requérant ayant survécu à la #torture, reconnu comme réfugié en Grèce. Bien que celui-ci ait dû vivre dans la rue et n’ait pas eu accès aux #soins_médicaux en Grèce, l’Office fédéral des migrations et le Tribunal administratif fédéral ont décidé que la « présomption d’ État tiers sûr » s’appliquait à la Grèce dans cette affaire (arrêt du TAF E-2714/2020 du 9 juin 2020). Là encore, le Comité contre la torture de l’ONU est intervenu et a empêché le renvoi. Pour Stephanie Motz, avocate zurichoise qui a plaidé dans les trois cas, deux fois avec l’association AsyLex et une fois avec l’avocate Fanny de Weck : « La situation dans les pays tiers n’est que sommairement examinée par le SEM et l’établissement des faits n’est pas suffisant pour être conforme au droit. En outre, il est fréquent que le Tribunal administratif fédéral n’examine pas en profondeur la situation des droits humains dans ces États, mais se contente de formuler des affirmations générales. En conséquence, les comités onusiens interviennent de plus en plus dans ces procédures ».

    Les critères d’évaluation peu rigoureux des autorités suisses concernent également les transferts au titre du #Règlement_de_Dublin, par lequel les requérant·e·s d’asile sont renvoyé·e·s vers l’État membre dans lequel ils et elles ont déposé leur première demande d’asile. À la fin de l’année dernière, le Comité contre la torture de l’ONU a dû interrompre temporairement un rapatriement Dublin de la Suisse vers la Pologne (arrêt du TAF F-3666/2020 du 23 juillet 2020).

    Enfin, le Comité pour l’élimination de la #discrimination_raciale de l’ONU (#CERD) est également intervenu au début de cette année lorsque la Suisse a voulu expulser un couple de #Roms vers le nord de la #Macédoine (arrêt du TAF E-3257/2017 du 30 juillet 2020, cons.10.2). Le couple était exposé à de sérieux risques et n’était pas protégé de manière adéquate par les autorités de #Macédoine_du_Nord. Le Tribunal administratif fédéral ayant désigné la Macédoine du Nord comme un « État d’origine sûr », le couple a, avec le soutien du Réseau de solidarité Berne, déposé une plainte individuelle auprès du CERD et peut rester en Suisse à titre provisoire.

    Plusieurs années peuvent s’écouler avant que les comités de l’ONU statuent définitivement sur les cas présentés. Dans trois de ceux-ci, le SEM a entre temps accepté les demandes d’asile. Dans les deux autres cas, grâce aux mesures conservatoires, les recourant·e·s sont également protégé·e·s pendant que le Comité examine le risque concret de violations des droits humains.

    En qualifiant un grand nombre de pays de « sûrs » de manière générale, les autorités suisses font courir de graves risques aux demandeur·euse·s d’asile. Les droits humains peuvent également être violés dans des #pays_démocratiques. Les nombreuses interventions des comités de l’ONU le montrent clairement : la pratique suisse n’est pas suffisante pour respecter les droits humains.

    *Pour la protection de la famille concernée, la référence correspondante n’est pas publiée.

    https://www.humanrights.ch/fr/qui-sommes-nous/autorite-migratoires-mesures-conservatoires
    #renvois #expulsions #migrations #asile #réfugiés #Suisse #TAF #SEM #justice #ONU #Dublin #renvois_Dublin

  • #Développement_humain (2020)

    - L´#indice_de_développement_humain et ses composantes
    – L´évolution de l´indice de développement humain
    – L´indice de développement humain ajusté aux #inégalités
    – L´indice de développement de #genre
    – L´indice d´#inégalités_de_genre
    – Indice de #pauvreté multidimensionnelle : pays en développement
    – Tendances démographiques
    #Santé
    – Niveaux d´#instruction
    #Revenu_national et composition des ressources
    #Travail et #emploi
    #Sécurité_humaine
    #Mobilité humaine et flux de capitaux
    – Qualité du développement humain
    – Inégalités femmes-hommes sur le cycle de vie
    – Autonomisation des #femmes
    #Durabilité_environnementale
    – Viabilité socio-économique

    http://www.cartostat.eu/dr=2020_developpement_humain/F/TABLEAU.html

    #cartothèque #cartes #visualisations #développement_humain
    #ressources_pédagogiques #statistiques #chiffres #monde
    #inégalités #démographie #éducation #mobilité_humaine #dette #tourisme #migrations #téléphone #téléphone_mobile #mortalité_infantile #paludisme #tuberculeuse #VIH #HIV #scolarisation #alphabétisation #PIB #chômage #réfugiés #IDPs #déplacés_internes #suicide #suicides #violence_domestique #violence_conjugale #alimentation #déficit_alimentaire #espérance_de_vie #lits_d'hôpitaux #soins #médecin #PISA #électricité #eau_potable #assainissement #travail_domestique #accouchement #contraception #congé_maternité #combustibles_fossiles #CO2 #émissions_de_CO2 #forêt #engrais #industrie_agro-alimentaire #pollution #pollution_atmosphérique #hygiène #dépenses_militaires #armée #pauvreté

    ping @reka

  • O. J. Simpson : Made in America (1/5) - « Je ne suis pas noir, je suis O. J.! » - Regarder le documentaire complet | ARTE
    https://www.arte.tv/fr/videos/071429-001-A/o-j-simpson-made-in-america-1-5
    https://api-cdn.arte.tv/api/mami/v1/program/fr/071429-001-A/940x530

    Vingt ans après le procès-fleuve d’O. J. Simpson et son acquittement spectaculaire, cette fresque documentaire magistrale met à nu le destin d’une star déchue qui a cristallisé les démons de l’Amérique, et en premier lieu la question raciale. Premier volet.

    1. « Je ne suis pas noir, je suis O. J. »

    C’est un peu long (5 volets) mais ce type a, en plus d’être une ordure domestique, fait un mal fou à « la cause », un peu comme outreau pour les histoires de pédocriminalité.

  • Le temps des ouvriers. Le temps de l’#usine (1/4)

    Du début du XVIIIe siècle à nos jours, Stan Neumann déroule sur plus de trois siècles l’histoire du monde ouvrier européen, rappelant en une synthèse éblouissante ce que nos sociétés doivent aux luttes des « damnés de la terre ».

    Dès le début du XVIIIe siècle, en Grande-Bretagne, une nouvelle économie « industrielle et commerciale », portée par le textile, chasse des campagnes les petits paysans et les tisserands indépendants. Pour survivre, ils doivent désormais travailler contre salaire dans des fabriques (factories) qui rassemblent plusieurs milliers d’ouvriers, sur des métiers appartenant à des marchands devenus industriels. C’est la naissance de la classe ouvrière anglaise. Le travail en usine, le Factory System, où seul compte le profit, impose aux déracinés une discipline et une conception du temps radicalement nouvelles. Avec la révolution industrielle de la fin du XVIIIe siècle, ils subissent un dressage plus violent encore, sous la loi de machines qui réduisent l’ouvrier à un simple rouage.
    Surexploitée et inorganisée, cette classe ouvrière primitive, qui oppose à la main de fer de l’industrie naissante des révoltes spontanées et sporadiques, va mettre plusieurs générations à inventer ses propres formes de lutte, dans une alliance parfois malaisée avec les républicains anglais, inspirés par la Révolution française de 1789. Ses revendications sont sociales et politiques : réglementation du travail des enfants, salaires, durée du temps de travail, liberté syndicale, droit de grève, suffrage universel... Dans les années 1820, après des décennies de combats perdus, une classe ouvrière anglaise puissante et combative semble en mesure de faire la révolution.

    Temps complet
    La classe ouvrière a-t-elle disparu, ou simplement changé de forme, de nom, de rêve ? Conciliant l’audace et la rigueur historique, l’humour et l’émotion, le détail signifiant et le souffle épique, Stan Neumann (Austerlitz, Lénine, Gorki – La révolution à contre-temps) livre une éblouissante relecture de trois cents ans d’histoire. Faisant vibrer la mémoire des lieux et la beauté des archives, célébrissimes ou méconnues, il parvient à synthétiser avec fluidité une étonnante quantité d’informations. Les séquences d’animation, ludiques et inventives, et un commentaire dit par la voix à la fois présente et discrète de Bernard Lavilliers permettent de passer sans se perdre d’un temps à l’autre : celui du travail, compté hier comme aujourd’hui minute par minute, celui des grands événements historiques, et celui, enfin, des changements sociaux ou techniques étalés parfois sur plusieurs décennies, comme le processus de légalisation des syndicats ou du travail à la chaîne. En parallèle, le réalisateur donne la parole à des ouvriers et ouvrières d’aujourd’hui et à une douzaine d’historiens et philosophes, hommes et femmes, « personnages » à part entière dont la passion communicative rythme le récit. On peut citer Jacques Rancière, Marion Fontaine, Alessandro Portelli, Arthur McIvor, Stefan Berger, avec Xavier Vigna comme conseiller scientifique de l’ensemble des épisodes. Cette série documentaire virtuose, où l’expérience intime coexiste avec la mémoire collective, au risque parfois de la contredire, révèle ainsi combien nos sociétés contemporaines ont été façonnées par l’histoire des ouvriers.

    https://www.arte.tv/fr/videos/082189-001-A/le-temps-des-ouvriers-1-4

    #documentaire #film_documentaire #film
    #agriculture #cleasning #nettoyage #industrie #industrie_textile #industrialisation #expulsions_forcées #histoire #Ecosse #UK #exode_rural #déplacés_internes #IDPs #histoire #force_de_travail #classe_ouvrière #Highlands #désindustrialisation #compétition #factory_system #esclavage #Crowley #temps #contrôle_du_temps #salaires #profit #filatures #travail_d'enfants #enfants #femmes #New_Lanark #Robert_Owen #silent_monitor #école #Institut_pour_la_formation_du_caractère #paternalisme #contrôle #tyrannie #liberté_de_commerce #grève #émeute #insécurité_sociale #pauvreté #workhouse #criminalisation_de_la_pauvreté #résistance #Enoch #Great_Enoch #John_Ludd #général_Ludd #luddisme #luttes #insurrection #cadence #progrès_technique #accidents_de_travail #Angleterre #insurrection_luddite #massacre_de_Peterloo #odeur #intercheangeabilité #temps_des_ouvriers

    Sur le silent monitor :

    This small four-sided wooden block was known as a ’silent monitor’ and was used by Robert Owen as a means of imposing discipline at his #New_Lanark_Mills.

    Robert Owen was strongly opposed to the use of corporal punishment, so in order to keep discipline at the New Lanark Mills, he devised his own unique system. The ’silent monitors’ were hung next to each worker in the mills, with each side displaying a different colour. ’Bad’ behaviour was represented by the colour black; ’indifferent’ was represented by blue; ’good’ by yellow; and ’excellent’ by white. The superintendent was responsible for turning the monitors every day, according to how well or badly the worker had behaved. A daily note was then made of the conduct of the workers in the ’books of character’ which were provided for each department in the mills.


    https://www.peoplescollection.wales/items/10456

    New Lanark :

    • Le temps des ouvriers (4/4)Le temps de la destruction

      Stan Neumann déroule sur plus de trois siècles l’histoire du monde ouvrier européen. Dernier volet : dans les années 1930, la classe ouvrière semble plus puissante que jamais. Le succès, en 1936, du Front populaire en France témoigne de cette force. Pourtant, les ouvriers européens vont de défaite en défaite...

      En Espagne, la dictature franquiste, soutenue par Hitler et Mussolini, triomphe en 1939. Puis dans l’Europe asservie, l’Allemagne nazie fait des ouvriers des pays vaincus des « esclaves du XXe siècle » : « travail obligatoire » pour les ouvriers de l’ouest de l’Europe, « extermination par le travail » des juifs, des Tsiganes et des prisonniers de guerre soviétiques.
      Après 1945, la guerre froide génère de nouvelles fractures. En Occident, on achète la paix sociale en améliorant les conditions de vie et de travail dans la plus pure tradition fordiste. À l’Est, le pouvoir est confisqué par des partis uniques qui prétendent représenter les ouvriers tout en les privant des libertés syndicales avec le soutien de l’URSS et de ses tanks. L’espoir renaît dans les années 1970, qui voient fleurir les utopies révolutionnaires, des Lip à Solidarnosc. Mais c’est un chant du cygne. Avec son cortège de misère et de chômage, la désindustrialisation a commencé.

      Temps complet
      La classe ouvrière a-t-elle disparu, ou simplement changé de forme, de nom, de rêve ? Conciliant l’audace et la rigueur historique, l’humour et l’émotion, le détail signifiant et le souffle épique, Stan Neumann ("Austerlitz", « Lénine »", ""Gorki"" – ""La révolution à contre-temps") livre une éblouissante relecture de trois cents ans d’histoire. Faisant vibrer la mémoire des lieux et la beauté des archives, célébrissimes ou méconnues, il parvient à synthétiser avec fluidité une étonnante quantité d’information. Les séquences d’animation, ludiques et inventives, et un commentaire dit par la voix à la fois présente et discrète de Bernard Lavilliers permettent de passer sans se perdre d’un temps à l’autre : celui du travail, compté hier comme aujourd’hui minute par minute, celui des grands événements historiques, et celui, enfin, des changements sociaux ou techniques étalés parfois sur plusieurs décennies, comme le processus de légalisation des syndicats ou du travail à la chaîne. En parallèle, le réalisateur donne la parole à des ouvriers et ouvrières d’aujourd’hui et à une douzaine d’historiens et philosophes, hommes et femmes, « personnages » à part entière dont la passion communicative rythme le récit. On peut citer Jacques Rancière, Marion Fontaine, Alessandro Portelli, Arthur McIvor, Stefan Berger, avec Xavier Vigna comme conseiller scientifique de l’ensemble des épisodes. Cette série documentaire virtuose, où l’expérience intime coexiste avec la mémoire collective, au risque parfois de la contredire, révèle ainsi combien nos sociétés contemporaines ont été façonnées par l’histoire des ouvriers.

      https://www.arte.tv/fr/videos/082189-004-A/le-temps-des-ouvriers-4-4

      #poing_levé #Front_populaire #Espagne #Fígols #mujeres_libres #guerre_d'Espagne #mineurs #alcolisme #violence_domestique #expulsions_collectives #travailleurs_étrangers #Volkswagen #nazisme #extermination_par_le_travail #Berlin #Pologne #Hongrie #superflu #rock_and_roll #mai_68 #Sochaux #Lip #Solidarność #Solidarnosc #Anna_Walentynowicz #printemps_de_Prague #NUM #autonomie_ouvrière #Arthur_McIvor #Margareth_Thatcher #muséification #désindustrialisation #invisibilisation #uberisation

  • On Social Reproduction and the Covid-19 Pandemic

    Thesis 1
    Capitalism prioritizes profit-making over life-making: We want to reverse it

    This pandemic, and the ruling class response to it, offers a clear and tragic illustration of the idea at the heart of Social Reproduction Theory: that life-making bows to the requirements of profit-making.

    Capitalism’s ability to produce its own life blood—profit—utterly depends upon the daily “production” of workers. That means it depends upon life-making processes that it does not fully and immediately control or dominate. At the same time, the logic of accumulation requires that it keeps as low as possible the wages and taxes that support the production and maintenance of life. This is the major contradiction at the heart of capitalism. It degrades and undervalues precisely those who make real social wealth: nurses and other workers in hospitals and healthcare, agricultural laborers, workers in food factories, supermarket employees and delivery drivers, waste collectors, teachers, child carers, elderly carers. These are the racialized, feminized workers that capitalism humiliates and stigmatizes with low wages and often dangerous working conditions. Yet the current pandemic makes clear that our society simply cannot survive without them. Society also cannot survive with pharmaceutical companies competing for profits and exploiting our right to stay alive. And it is apparent that the ‘invisible hand of the market’ will not make and run a planet-wide health infrastructure which, as the current pandemic is showing, humanity needs.

    The health crisis is thus forcing capital to focus on life and life-making work such as healthcare, social care, food production and distribution. We demand that this focus remains even when the pandemic has passed so that health, education and other life-making activities are decommodified and made accessible to all.

    Thesis 2
    Social reproduction workers are essential workers: We demand they be recognized as such in perpetuity

    While most commodity-producing companies lacking workers have seen their profits and stock values drop precipitously, they find themselves beholden to the people-making organizations, communities, households and individuals. But, given capitalism’s need to prioritize profit-making over life-making, such organizations, communities, households and individuals are barely equipped to meet the challenge. It is not just that Covid-19 has taken a toll on healthcare, public transit and grocery store workers, various community volunteers and others. Years and years of dismantling essential social services in the name of austerity means that social reproductive workforces are smaller than they used to be, and community organizations fewer and less well resourced.

    To compensate for decades of neglect in a crisis, many capitalist states and corporations are shifting their priorities, but only partially and temporarily. They are sending cheques to households, extending unemployment insurance to precarious workers, ordering automakers to switch from producing cars to producing masks and ventilators. In Spain, the state temporarily took over for-profit hospitals; in the US, insurance companies are forfeiting co-payments for Covid-19 testing. Among other things, this shows just how readily available and plentiful are the resources to actually meet people’s needs when there is political will.

    We demand that workers in social reproduction sectors—nurses, hospital cleaners, teachers, garbage removal staff, food makers and supermarket employees—be permanently recognized for the essential service they perform, and their wages, benefit and social standing be improved to reflect their importance in maintaining society as a whole.

    Thesis 3
    Bail out people not banks

    Our rulers are devoting far more resources to bailing out businesses, in the hope of staving off an utter collapse of capitalist value. The very profits produced, we remind you, by the labor power that social reproductive labor supplies. CEOs of hotel and restaurant chains, tech and airline companies, and more are throwing millions of workers off their payroll, while largely preserving their own hyper-inflated salaries and benefits. This is because the capitalist system requires that the contradiction between life and wage labour always be resolved to the benefit of capital rather than people’s lives.

    We demand that all financial resources and stimulus packages be invested in life-making work, and not in keeping capitalist companies running.

    Thesis 4
    Open borders, close prisons

    This pandemic is hitting immigrants and detainees very hard: those who are stuck in prisons or detention centers with indecent hygienic conditions and no health resources, those who are undocumented and suffer in silence for fear of seeking help and getting deported, those who work in life-making activities (health and social care, agriculture, etc.) and are more at risk of being infected because they have no choice but go to work (lacking adequate or any protective gear), those who are in transit between countries trying to reach their families, and those who cannot leave their countries because of travel bans and sanctions.

    Pandemic or not, Trump will retain the sanctions against Iran (where infection rates and deaths are skyrocketing). And neither Trump nor the European Union will pressure Israel to lift sanctions that rob the 2 million people imprisoned in Gaza of much needed medical supplies. This differentiated response to the pandemic draws upon and reinforces the racist and colonialist oppression that is capitalism’s underbelly.

    We demand that healthcare needs take precedence over any immigration regulations, that those imprisoned for most crimes be released immediately and alternative compassionate sanctions are found for those who are sick, that detention centers and other carceral institutions aimed at disciplining rather than nourishing life be closed.

    Thesis 5
    Solidarity is our weapon: Let’s use it against capital

    The pandemic has revealed to the world how working people in a crisis always get by through a wide and creative array of survival strategies. For most, that has meant relying on immediate friends and family. Some, however, are managing through mutual aid initiatives. For the homeless and those capitalist society has rejected as a burden, support has come from heroic initiatives of social reproduction volunteers who are offering to others nothing less than the right to life. Neighborhoods across the UK are creating Whatsapp groups to stay in touch with the most vulnerable and help them obtain food and medication. Schools are sending food vouchers to poor families with children eligible for free meals. Food banks and charities are seeing the number of volunteers rising. Social reproduction commons are arising as an urgent necessity. But we have also learned the lessons of the past: we will not allow capitalist governments to use social reproduction commons as an excuse for the state’s withdrawal from responsibility.

    As socialist feminists, we need to push this further, to work together to call for public provision of all that is necessary for human life to thrive. This means building solidarity across the different communities that are unequally affected and resourced. This means supporting the most marginalized and arguing for those with any social resources—trade unions, NGOs, community organizations—to share and support those without. This means demanding that the state recognize social reproduction work as the cornerstone of social existence.

    We demand that governments learn from the people and replicate in policy terms what ordinary people are doing to help and support each other.

    Thesis 6
    Feminist Solidarity against Domestic Violence

    The lockdown measures adopted by most countries to contain the spread of Covid-19, while absolutely necessary, have severe consequences for millions of people who live in abusive relationships. Reports of domestic violence against women and LGBTQ folk have multiplied during the pandemic as victims are forced to stay indoors with violent partners or family members. Stay-at-home campaigns that do not take into account the specific plight of domestic abuse are particularly worrisome in a context in which years of rampant neoliberalism have meant that funds have been withdrawn from anti-violence shelters and services

    We demand that governments immediately reverse years of defunding of anti-violence services, and provide the resources agencies need to operate and widely publicize their helplines.

    Thesis 7
    Social reproduction workers have social power: We can use it to reorganize society

    This pandemic can, and should, be a moment when the left puts forward a concrete agenda for how to support life over profit in a way that will help us move beyond capitalism. This pandemic has already shown us how much capitalism needs social reproductive workers—waged and unwaged, in hospitals and infrastructure work, in households, in communities. Let’s keep reminding ourselves of that, and of the social power that such workers hold. This is the moment when we, as social reproduction workers, must develop the consciousness of the social power we hold, in our national contexts, at the borders that divide us, and across the globe.

    If we stop, the world stops. That insight can be the basis of policies that respect our work, it can also be the basis of political action that builds the infrastructure for a renewed anti-capitalist agenda in which it is not profit-making but life-making that drives our societies.

    https://spectrejournal.com/seven-theses-on-social-reproduction-and-the-covid-19-pandemic

    #propositions #thèses #féminisme #reproduction_sociale #le_monde_d'après #marxisme #capitalisme #profit #travail #frontières #ouverture_des_frontières #prisons #solidarité #violence_domestique #solidarité_féminine #pouvoir #pouvoir_social #féminisme_marxiste

    Traduction en français :
    Sept thèses féministes sur le #covid-19 et la reproduction sociale

    Alors que la pandémie de Covid-19 continue de sévir dans le monde entier, il apparaît de plus en plus clairement que les intérêts de l’#économie mondiale sont en contradiction avec la #préservation_de_la_vie. Ainsi a été rendue visible aux yeux de tou·te·s l’importance fondamentale de celles et ceux qu’on trouve en première ligne – les infirmier·e·s et les autres personnels de santé, les ouvrier·e·s agricoles, les ouvrier·e·s des usines alimentaires, les employé·e·s des supermarchés etc. –, celles et ceux dont l’emploi permet la reproduction de la vie même. A travers ces sept thèses que nous traduisons aujourd’hui, le collectif féministe marxiste montre combien la théorie de la reproduction sociale peut nous aider à penser l’épidémie, mais aussi à dresser des pistes pour abolir le monde qui l’a produite.

    https://acta.zone/sept-theses-feministes-sur-le-covid-19-et-la-reproduction-sociale

    via @isskein
    ping @karine4

  • Bordering under the corona virus pandemic

    In our recent book Bordering (Yuval-Davis, Wemyss & Cassidy, 2019), we discuss the paradoxical phenomenon that, under neoliberal globalisation, borders did not disappear but rather proliferated off-and in-shore, from consulates across the globe to everyday spaces like railways and places of work. We described the functioning of bordering as processes rather than static boundary lines that, like computer firewalls, are invisible to some, impermeable to many others. We showed the ways these have crucially contributed to multi-scalar – from the global to the local – inequalities and precarities, forcing more and more people to be precariously stuck in limbo grey borderzones with no possibility of building regular lives with civil, political and social rights.

    It is important to examine the ways the pandemic has affected these processes of everyday bordering, both locally and globally. Of course, it is far too early to know, or even predict, the longer-term transformations in bordering that the pandemic will bring. However, it is safe to say that, as after earlier major crises, such as 9/11 and the AIDS crises – to mention just two major transformatory crises in recent decades – the ‘new normal’ is not going to go back to how things were, in several major ways. Everyday bordering, from the lockdown of individuals in their homes to the lockdown of regional and national borders, is at the heart of the technologies of control used to try to contain the pandemic and it is thus hard to believe that free movement would be restored any time soon.

    Except that, as we’ve shown in our book, free movement has never been free for most people. Border controls have been operating like computers’ firewalls, invisible to some, blocking many others, with money and required skills for the neoliberal economy being the main facilitators. We can see these firewalls continuing to operate today as well – at different ends of the scale, the super-rich flying in private jets able to travel without being subject to the usual restrictions and seasonal workers from Eastern Europe being flown into the UK by the farming industry to ensure that fruit is being picked. Two weeks into the lockdown, the Home Office published its guidance for post-Brexit immigration rules aimed at preventing low paid workers – the key workers on which healthcare services are depending – from working in the UK.

    These are just some of the paradoxes of ‘lockdown’ and ‘social distancing’ policies. On the one hand, a neo-liberal governmentality that puts the onus of responsibility on the individuals, where people are required to isolate themselves at home and keep away from others, while others are forced to carry on working – not only because they fulfil essential medical, social and economic roles, but also because many of them would not get any money to live on if they stop working.

    This is just one of the intersectional growing inequalities impacts of everyday bordering. Given their disproportionate presence in frontline health and public services, the percentage of BAME people who have died under the pandemic is still unknown but feared to be to very high. Of course, this is not just due to the kind of jobs they do, but also their poor and crowded living conditions, as well as a distrust of governmental and scientific authorities which have not helped them in the past.

    In addition to unequal class and racialised effects, the lockdown bordering has also had a major gendered effect, such as a sharp rise in domestic violence, as can be expected when nuclear family members are locked down together.

    In our book we discussed the ways everyday bordering as a top down technology of control has been reinforced by and reinforces the growth of bottom up nativist extreme right movements, which have brought to power authoritarian rulers in many countries in the globe and arguably Brexit in the UK. Blaming and scapegoating the ‘Others’ have been a major multi-scalar reaction to the pandemic, from Trump calling the corona virus ‘the Chinese virus’, to social media blaming George Soros in the traditional antisemitic blood conspiracy theories, to street hate crimes, including health workers reporting abuse from strangers for leaving their homes.

    One of the positive ‘side effects’ of the lockdown has been the development and reinforcement of mutual aid groups in local communities. Neighbours have got to know each other, help elderly and vulnerable people with their shopping etc. However, the other side of the strengthening of local bonds has been the rejection of ‘others’. Local media report people crossing county borders’ violating lockdowns – Kent Online reported ‘Lockdown louts from London have been fined after once again invading the county’ and being found by ‘enforcement officers from the council who were patrolling the area’. This is aided by regional bordering policies, which in some countries, such as Italy, has meant the official closure of regional borders for non-essential traffic, while in the UK, Sussex police, for example, praised ‘the amazing community spirit across Sussex’, whilst noting that ‘Unfortunately, a small number of people from outside of the county deemed it appropriate to visit the area’.

    The aim of this blog post is not to oppose bordering policies in the age of the pandemic, but rather to argue that using it as almost the only counter-pandemic measure is dangerous, both at present and for the future.

    At present, we have seen that when voluntary lockdown policies are used, without mass testing and sufficient protective equipment for those who are not in isolation, they cost many lives as well as create psychological, social and economic hardships. In comparison, other states, including Germany and South Korea, have used mass testing and contact tracing to slow down the rate of infection.

    Moreover, these borderings, like the borderings we described in our book, are an intersection of political projects of governance and of belonging. Very few states, including Ireland and Portugal, have recognised all migrants to be full entitled members of society during the pandemic; only a few states have recognized the right of all members of societies for minimum income during the pandemic, and policies aimed at exclusion and deprivation of all those in national and global grey limbo zones endanger the lives of millions across the globe.

    Everyday bordering policies are evolving in which the surveillance of people is reaching sci-fi dimensions. Similar COVID-19 related technologies are being developed globally by authoritarian and liberal governments. While Israel has authorised counter-terrorism surveillance to track corona virus patients, compulsory colour-coded health apps determine whether individuals can travel in China, while Russia uses face recognition technologies to enforce self-isolation. In Hong Kong and Singapore, COVID 19 apps identify locations and contacts of individuals. European governments are copying these apps whilst also collecting telecom data and using drones to spot transgressors.

    Such developments combine with rumours and debates about national and global digital monitoring of vaccinations, adding force to Yuval Noah Harari’s speculations that the epidemic may normalise biometric surveillance with authorities becoming able to detect people’s emotions as well as their lifestyles and whereabouts. This would be the utmost paradox: a borderless world with the most tightly operated everyday bordering technology.


    https://acssmigration.wordpress.com/2020/04/20/bordering-under-the-corona-virus-pandemic-georgie-wemyss-and-nira-yuval-davis/amp/?__twitter_impression=true

    #frontières #coronavirus #covid-19 #bordering #frontiérisation #surveillance #frontières_mobiles #riches #pauvres #immobilité #hyper-mobilité #travailleurs_étrangers #confinement #responsabilité_individuelle #travail #inégalités #everyday_bordering #classes_sociales #inégalités_raciales #violence_domestique #altérité #solidarité #racisme #xénophobie #surveillance_biométrique #drones

    La conclusion autour d’un #paradoxe :

    This would be the utmost paradox: a borderless world with the most tightly operated everyday bordering technology.

    Pour @etraces :

    Everyday bordering policies are evolving in which the surveillance of people is reaching sci-fi dimensions. Similar COVID-19 related technologies are being developed globally by authoritarian and liberal governments. While Israel has authorised counter-terrorism surveillance to track corona virus patients, compulsory colour-coded health apps determine whether individuals can travel in China, while Russia uses face recognition technologies to enforce self-isolation. In Hong Kong and Singapore, COVID 19 apps identify locations and contacts of individuals. European governments are copying these apps whilst also collecting telecom data and using drones to spot transgressors.

    Pour @karine4 :

    Moreover, these borderings, like the borderings we described in our book, are an intersection of political projects of governance and of belonging. Very few states, including Ireland and Portugal, have recognised all migrants to be full entitled members of society during the pandemic; only a few states have recognized the right of all members of societies for minimum income during the pandemic, and policies aimed at exclusion and deprivation of all those in national and global grey limbo zones endanger the lives of millions across the globe.

    ping @isskein @mobileborders

  • Compte twitter Counting Dead Women

    UK women killed by men or where a man is the principal/primary suspect. Account run by @k_ingalasmith

    https://twitter.com/countdeadwomen
    #féminicide #données #UK #Angleterre #femmes #meurtres #violence_domestique #violences_sexuelles

    Le fil est tenu par une chercheuse, une sociologue de l’université de Durham, #Karen_Ingala_Smith, dont voici le site perso :

    https://kareningalasmith.com

    Et sa page institutionnelle :

    Since 2009, I have been Chief Executive of nia, an East London based charity providing services for women, girls and children who have experienced sexual and domestic violence. Under my leadership, nia has maintained an undaunted feminist commitment to ending male violence. During an unfavourable economic climate, I have built upon nia’s reputation for innovative and creative ways of responding to the needs of the women and children it serves to become a highly regarded organisation championing an integrated approach to addressing all forms of male violence. nia’s services include East London Rape Crisis; The Emma Project –a unique refuge for women who have experienced domestic and sexual violence; Daria House – a refuge for women who have been sexually exploited with a focus on supporting women who been exploited through their involvement in prostitution; the London Exiting and Advocacy Project supporting women to exit prostitution; and the recently launched Huggett Women’s Centre.

    https://www.dur.ac.uk/sociology/staff/profile/?id=13884

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    The #Femicide_Census

    The Femicide Census is a unique source of comprehensive information about women who have been killed in the UK and the men who have killed them.

    Men’s violence against women is a leading cause of the premature death for women globally but research in the UK and Europe is limited and unconnected. The Femicide Census significantly improves upon currently available data by providing detailed comparable data about femicides in the UK since 2009, including demographic and social factors and the methods men selected to kill women. By collating femicides, we can see that these killings are not isolated incidents, and many follow repeated patterns.

    Launched in 2015, The Femicide Census was founded by Karen Ingala Smith and Clarissa O’Callaghan with support from Freshfields, Deloitte and Women’s Aid (England). It was inspired by information collected by Karen and recorded in her blog Counting Dead Women. Since then, The Femicide Census has become established as a leading articulation of men’s fatal violence against women in the UK. We are now ready to take the Femicide Census into its next phase as an independent entity.

    https://kareningalasmith.com/the-femicide-census

    #recensement #chiffres #statistiques #données #base_de_données

    –---

    Karen Ingala Smith est citée ici, en lien avec le coronavirus/covid-19 :
    Domestic abuse killings ’more than double’ amid Covid-19 lockdown
    https://seenthis.net/messages/831467#message843842

    • COVID-19 isolation could create ‘fertile ground for domestic violence’

      On the day that France’s President Emmanuel Macron announced sweeping plans to go into a 15-day period of enforced lockdown from Tuesday, concerns also arose as to the potential increase in cases of gender-based domestic violence, following a previous surge in China under similar conditions.

      “The crisis that we are going through and the quarantine could unfortunately create a fertile ground of domestic violence,” read a statement from France’s Secretary of State in charge of Gender Equality, Marlène Schiappa, adding that with the new quarantine measures in France, “the situation of emergency shelters for female victims of domestic violence is a major concern.”

      The statement also recognised that although courts in France are on lockdown, domestic violence cases are still open and being dealt with, and that the government website, Arretons Les Violences is still online, but that the ‘3919’ emergency hotline service for domestic violence victims will be operating under a reduced service.

      It is understood the state department will hold talks with the Fédération Nationale Solidarité Femmes on Wednesday to discuss the possibility of keeping the line open.

      The French Feminist collective NousToutes also recently highlighted the potential risk of domestic violence cases rising as a result of enforced isolation and called upon victims to make use of the 3919 emergency hotline.

      “Being confined at home with a violent man is dangerous. It is not recommended to go out. It is not forbidden to flee. Need help? Call 3919,” a statement from the group on Twitter read.

      Not forgetting the victims

      Due to the potential stress on public services as part of France’s ongoing battle against the coronavirus outbreak, some in Europe have been calling for the authorities to make sure that the authorities do not lose sight of the work they do in tackling domestic violence.

      Amandine Clavaud, policy adviser on Europe and gender equality at the Fondation Jean-Jaurès in Paris told EURACTIV that there is a need for an increase in vigilance on behalf of public bodies, with regards to these types of issues.

      “We have to be very attentive to the risks towards women and children amid this crisis, because the work of associations will possibly slow down with the quarantine,” she said.

      “In the case where public services reach saturation point, the treatments of domestic violence cases should definitely not be left-behind, but fully part of the whole strategy in dealing with the crisis.”

      Crisis abuse cases

      Concerns have arisen both in the United States and China with regards to the increase in domestic violence cases that could occur as a result of people in abusive relationships being forced to isolate together, and rights groups in Europe have now started to sound the horn over potential blindspots in this area.

      “In times of crisis and natural disasters, there is a documented rise in domestic abuse. As normal life shuts down, victims – who are usually women – can be exposed to abusers for long periods of time and cut off from social and institutional support,” the European Institute for Gender Equality’s Jurgita Pečiūrienė told EURACTIV.

      “The financial insecurity that often prohibits domestic violence victims from leaving abusers can also worsen in the aftermath of a crisis,” Pečiūrienė, who specialises in gender-based research, said.

      She added that there is a worrying deficit of data in the EU with regards to information sharing in the context of home-based violence amid national crises.

      “A lack of data in Europe prevents countries from learning from each other to ensure police and other support services can adapt to changing patterns of domestic violence in times of crisis,” she said.

      China & the US

      The measures imposed by the Chinese government in response to the COVID-19 outbreak for citizens to self-isolate for 14 days led to a surge in the recorded instances of domestic violence, according to reports from activists working in the country, as well as employees as women’s shelters.

      Meanwhile stateside, a statement released by the US National Domestic Abuse Hotline over the weekend noted that domestic violence abusers may seek to capitalise on the forced measures for domestic violence sufferers to isolate themselves.

      “Abuse is about power and control. When survivors are forced to stay in the home or in close proximity to their abuser more frequently, an abuser can use any tool to exert control over their victim, including a national health concern such as COVID-19,” the statement read.

      “In a time where companies may be encouraging that their employees work remotely, and the CDC is encouraging “social distancing,” an abuser may take advantage of an already stressful situation to gain more control.”

      https://www.euractiv.com/section/coronavirus/news/covid-19-isolation-could-create-fertile-ground-for-domestic-violence

      signalé par @isskein

    • Je partage ici les pensées d’une amie. Je ne sais pas si elle veut que son nom soit dévoilé, je laisse donc son témoignage (que j’ai reçu par email, le 18.03.2020) de manière anonyme, car elle pose des pensées qui sont très importantes à mes yeux et que ça vaut la peine qu’elles soient partagées...

      Voici son message :

      J’avais aussi dans ma liste « conséquences dramatiques du confinement » : la hausse des IVG, IST, dépressions, pétages de plombs des plus isolé.es, des santés mentales fragiles, etc... mouarf.

      En fait, en gros, pour moi, la question principale est : si on pense que le confinement est la seule manière de combattre la pandémie, alors il faut le faire de façon responsable, c’est à dire en mettant en place des mesures CONCRETES pour éviter la création de conséquences graves en parallèle... parce que sinon, pour moi ça donne une situation paradoxale : on sauve effectivement des vies d’un côté, et d’un autre, on envoie d’autres à des situations de souffrance extrêmes et aussi à la mort... comment on tient les comptes alors ? Combien seront « sauvé.es », pendant que d’autres mourront d’autre chose que du coronavirus ?

      Annoncer un confinement :
      – sans garantir de revenu minimum pour un tas de professions / gens (notamment les gens comme moi qui ne sont pas salarié.e mais intermittent.es du spectacle, ou artisans, etc...)
      – sans garantir une protection des personnes (enfants y compris !) victimes de violences
      – sans garantir une prévention / un suivi des réductions des risques...
      – sans regarder en face qu’on va « sauver » des milliers de vies d’un côté oui, mais envoyer des milliers de gens vers des souffrances extrêmes , à aussi à la mort d’un autre côté ...

      ça me semble étrange et irresponsable.

      J’en parle très peu autour de moi, parce que c’est un sujet brûlant, je sens qu’il y a comme une sorte de consensus hyper général (comme après les attentats de Charlie)... et ça semble difficile d’émettre une opinion un peu critique...

      En vrai, j’applique les « gestes barrières » et les consignes de sécurité, parce que je suis pas débile, XXX et moi on fait au mieux pour nous et pour les autres, et on a je crois un sens aïgue de la solidarité...

      et c’est justement parce que je me sens solidaire que j’ai aussi conscience que c’est pas une bonne idée pour des tonnes de gens, pour une tonne de situations sociales, ce confinement.
      Donc, prenons en compte tous les aspects de cette situation de pandémie : les données sanitaires ne sont pas les seules à prendre en compte il me semble. Il faut les croiser avec les données sociologiques, sociales, psychologiques. Nan ?

      Et puis, aussi, je trouve ça un peu « gros » quand Macron, dans son allocution guerrière d’hier soir, culpabilise les « inconscient.es » qui se baladent dans les parcs un dimanche après-midi dans un contexte de pandémie, alors qu’ils maintiennent les élections municipales, ou que bon nombre d’entreprises/banques/institutions ne sont pas obligées de fermer. Pourquoi ma voisine continue à aller bosser dans son usine de production d’objets inutiles, voir nuisibles à la planète et à la société alors que je ne peux pas aller faire courir mes gosses dans le parc en bas de chez moi ???
      Il faudrait peut être tenir une ligne claire et cohérente non ?

    • For some people, social distancing means being trapped indoors with an abuser

      As more cities go under lockdown, activists are worried that attempts to curb coronavirus will inadvertently lead to an increase in domestic violence.

      Coronavirus is fuelling domestic violence

      Home is supposed to be the safest place any of us could be right now. However, for people experiencing domestic violence, social distancing means being trapped inside with an abuser. As more cities go under lockdown, activists are worried that attempts to curb the coronavirus will inadvertently lead to an increase in domestic violence.

      Domestic violence is already a deadly epidemic. One in three women around the world experience physical or sexual violence, mostly from an intimate partner, according to the World Health Organization (WHO). As the WHO notes: “This makes it the most widespread, but among the least reported human rights abuses.” Gender-based violence tends to increase during humanitarian emergencies and conflicts; “women’s bodies too often become battlefields”.
      Coronavirus: the week explained - sign up for our email newsletter
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      Reports from China suggest the coronavirus has already caused a significant spike in domestic violence. Local police stations saw a threefold increase in cases reported in February compared with the previous year, according to Wan Fei, the founder of an anti-domestic violence not-forprofit. “According to our statistics, 90% of the causes of violence are related to the Covid-19 epidemic,” Wan told Sixth Tone, an English-language magazine based in China.

      A similar story is playing out in America. A domestic violence hotline in Portland, Oregon, says calls doubled last week. And the national domestic violence hotline is hearing from a growing number of callers whose abusers are using Covid-19 to further control and isolate them. “Perpetrators are threatening to throw their victims out on the street so they get sick,” the hotline’s CEO told Time. “We’ve heard of some withholding financial resources or medical assistance.”

      With all attention focused on curbing a public health crisis, the problem of private violence risks being overlooked or deprioritized by authorities. In the UK, for example, schools are now closed to everyone except for the children of key workers performing essential services. Domestic violence professionals have been left off this list; apparently preventing abuse at home isn’t an essential service. Dawn Butler, Labour’s women and equalities spokeswoman, has asked the prime minister to “urgently reconsider” this classification and consider implementing emergency funding to help people in danger escape domestic abuse during the crisis. “[T]wo women are killed every week by a partner or former partner,” Butler tweeted. “If the Govt fails to prepare and plan more people will die.”

      Now more than ever we need to look out for the most vulnerable in our society; activists are calling on neighbors to be extra aware and vigilant of possible cases of domestic violence. Retreating into our homes doesn’t mean cutting ourselves off from our communities. We’re all in this together.
      Harvey Weinstein begins his 23-year sentence

      The convicted rapist was transferred to a maximum-security prison in New York on Wednesday. New York’s governor, Andrew Cuomo, recently announced that New York will produce its own hand sanitizer, manufactured by prison inmates making as little as $0.16 an hour – so it’s possible that Weinstein might end up making state sanitizer.
      Remembering the Latina who invented hand sanitizer

      Did you know hand sanitizer was invented by a woman? In 1966 a student nurse named Lupe Hernandez realized that alcohol in gel form could be used to wash hands when there was no access to soap and water. Hernandez, who was based in California, quickly called an inventions hotline to patent the idea.
      Four men executed over Delhi rape and murder

      In 2012 a 23-year-old medical student was brutally gang-raped and murdered in a Delhi bus; a crime which shook the world and sparked unprecedented protests in India. On Friday four of the men convicted of the crime were hanged, the first time in five years capital punishment has been used in the country. One family may have got closure but the situation for Indian women remains bleak. “[I]n India, where a rape of a woman is reported every 16 minutes, this is no time for celebration,” argues a CNN op-ed. Since the attack India has introduced tougher sexual assault laws but rapes have continued to go up; in 2018, the last year for which there are statistics, they were significantly higher than in 2012.
      New Zealand passes law to decriminalize abortion

      “For over 40 years, abortion has been the only medical procedure considered a crime in New Zealand,” the country’s justice minister said in a statement. “But from now abortions will be rightly treated as a health issue.”
      Catherine Hamlin, trailblazing doctor, dies at 96

      The Australian gynecologist devoted much of her life to treating Ethiopian women with obstetric fistula – an injury sustained in childbirth that leaves women incontinent and often ostracized by their community.
      Marvel unveils its first black non-binary superhero: Snowflake

      Snowflake has a twin brother called Safespace. The reaction to these names has been less that ecstatic.
      The average woman gets mansplained to 312 times a year

      That’s according to a study of 2,000 employed women commissioned by a financial app called Self. I’m sure a helpful man somewhere will be happy to tell you exactly what is wrong with this study.
      The week in penguinarchy

      The best thing by far on the internet this week was a video of a penguin called Wellington marching around Chicago’s deserted aquarium and marveling at the fish. Coronavirus has caused most of us to go under lockdown, but at least Wellington got a nice day out.

      https://www.theguardian.com/commentisfree/2020/mar/21/coronavirus-domestic-violence-week-in-patriarchy?CMP=Share_iOSApp_Other

    • Le confinement cause une hausse des violences familiales, déplore la FCPE

      Marlène Schiappa avait alerté sur ce risque en période de confinement lié au coronavirus. La FCPE confirme ses craintes.

      C’était une des conséquences malheureusement prévues par le gouvernement en temps de confinement face au coronavirus. Le secrétaire d’État à l’égalité entre les hommes et les femmes Marlène Schiappa avait alerté dès le 16 mars et l’instauration de ces mesures exceptionnelles sur le fait qu’elles pouvaient “hélas générer un terreau propice aux violences conjugales”.

      La FCPE confirme ses craintes, ce dimanche 22 mars. Invité d’Europe1, Rodrigo Arenas, co-président de la principale fédération de parents d’élèves, a expliqué avoir une recrudescence d’appels liés à des situations de “violences familiales.”

      “Il y a deux choses qui rendent dingues les gens : la chaleur et la promiscuité. On n’a pas la chaleur, mais on a la promiscuité. On a énormément de remontées de violences conjugales et les enfants qui sont au bout de la chaîne s’en prennent plein la figure”, a-t-il indiqué à la radio comme vous pouvez l’entendre ci-dessous.

      Problème supplémentaire, contrairement à ce que promettait Marlène Schiappa au début du confinement, le numéro d’information dédié aux violences conjugales 3919 ne répond plus. Ou du moins plus beaucoup.

      Comme L’Obs, ou BFMTV vendredi, Le HuffPost a tenté de contacter le service ce samedi 22 mars sans succès. Un message pré-enregistré nous invite à renouveler notre appel plus tard.

      Joint par RTL samedi, le cabinet de Marlène Schiappa précise que le numéro “fonctionne toujours” mais que la migration -provoquée par le télétravail- de la plateforme prend du temps et entraîne des bugs. “Au plus tard lundi tout sera fonctionnel”, promet l’entourage de la ministre.

      https://www.huffingtonpost.fr/entry/confinement-la-fcpe-deplore-une-hausse-des-violences-familiales_fr_5e

    • Coronavirus Covid-19 : violences conjugales et femmes en danger, comment les aider en période de confinement ?

      Marlène Schiappa et son homologue italienne Elena Bonetti ont annoncé « agir ensemble » pour protéger les femmes contre les violences sexistes et sexuelles en cette période de confinement. Mais en application, comment ça se passe ?

      https://france3-regions.francetvinfo.fr/bourgogne-franche-comte/cote-d-or/dijon/coronavirus-covid-19-violences-conjugales-femmes-danger

    • Le confinement va augmenter les #violences_intra-familiales et en particulier les #violences_conjugales, c’est déjà ce qu’a révélé l’expérience du #Wuhan (https://www.bbc.com/news/world-asia-51705199). Là encore, ces violences seront encore moins prises en charge qu’avant puisque le 3919 ne fonctionne plus pendant cette crise contrairement à ce qu’avait annoncé Marlène Schiappa (https://www.nouvelobs.com/droits-des-femmes/20200319.OBS26314/le-39-19-ne-repond-plus.html). Au sixième jour du confinement, cette tendance est d’ailleurs aussi relatée par la FCPE ce dimanche (https://www.europe1.fr/societe/face-au-confinement-on-a-enormement-de-remontees-de-violences-conjugales-rap).

      https://npa2009.org/idees/societe/le-confinement-la-destruction-du-lien-social-et-ses-consequences

    • Concernant les violences conjugales et familiales, les procès en cours d’assises, que ce soient viols ou « féminicides », sont reportés. Ce qui constitue une non-réponse à la situation de fait. Mais certains tribunaux maintiennent des permanences au civil où des Juges aux Affaires familiales (JAF) peuvent décider d’éloigner par exemple un mari violent. Il appartient aux magistrats d’apprécier l’urgence des situations.

      https://www.franceculture.fr/droit-justice/denis-salas-la-justice-se-trouve-confrontee-a-un-phenomene-totalement-

    • For Abused Women, a Pandemic Lockdown Holds Dangers of Its Own

      As millions across the U.S. stay home to help flatten the curve, domestic violence organizations and support systems are scrambling to adapt to the rapidly shifting landscape.

      Early last week, as the novel coronavirus exploded from state to state, a woman called the National Domestic Violence Hotline in a crisis: Her partner had tried to strangle her and she needed medical help, but feared going to the hospital because of the virus.

      Another woman was being forced to choose between work and home. “He threatened to throw me out if I didn’t work from home,” she said. “He said if I started coughing, he was throwing me out in the street and that I could die alone in a hospital room.”

      In another call, a girl — aged between 13 and 15 (specific identifiers have been removed to protect the callers) — said that her mother’s partner had just abused her mother, then gone on to abuse the girl herself. But with schools shut, turning to a teacher or a counselor for help was not an option.

      These instances, gleaned from the hotline’s first responders, highlight two important facets of things to come during the coronavirus crisis. First, as lawmakers across the country order lockdowns to slow the spread of the virus, the lives of people stuck in physically or emotionally abusive relationships have — and will — become harder, which has already been seen in the pandemic hotspots of China and Italy.

      Second, the virus raises the stakes for domestic violence services across the country as they scramble to adapt to a patchwork of new government policies and restrictions that shift day by day and vary from state to state.

      “We know that any time an abusive partner may be feeling a loss of power and control — and everybody’s feeling a loss of power and control right now — it could greatly impact how victims and survivors are being treated in their homes,” said Katie Ray-Jones, chief executive of the hotline.

      She expects to see the intensity and frequency of abuse escalate, even if the number of individual cases doesn’t — a pattern that experts witnessed during the economic downturn of 2008 and immediately after 9/11, Hurricane Sandy and Hurricane Katrina.

      In the U.S., more than one in three women has experienced rape, physical violence, and/or stalking by an intimate partner (defined as current or former spouses or partners) in their lifetime, according to a 2010 survey by the Centers for Disease Control and Prevention. And in recent years, the number of domestic violence cases (which includes assault by intimate partners and family members) has spiked, making up more than half of all violent crimes in the U.S. in 2018, according to the Justice Bureau.

      Spending days, weeks or even months in the presence of an abusive partner takes an immense emotional toll too, said Teresa Burns, who manages the Casa de Esperanza shelter in St. Paul, Minn. And that’s exactly the conditions that the coronavirus lockdown has set up.

      Many of Burns’s clients are undocumented individuals whose immigration status can become a means of control by abusive partners. It’s not uncommon for abusers to claim that survivors will be deported if they seek help.

      She fears these types of threats will escalate during the coronavirus crisis, and with information about the government’s response changing nearly by the hour, survivors may not know who or what to believe.

      Those who may have felt safe once their partner left for work or their children were at school now live without any window of relief as businesses and schools shutter. “When the mind is constantly in fight, flight, freeze [mode] because of perpetual fear, that can have a lasting impact on a person’s mental health,” Burns said.

      Shelters across the country are adapting as best they can while trying to keep pace with constantly changing virus regulations, including implementing social distancing practices on site, taking temperatures of newcomers and regularly cleaning and disinfecting common spaces.

      In New York, now considered the epicenter of the virus in the U.S., shelters are categorized as essential services and are encouraged to keep functioning as normally as possible, even though many are at or almost at capacity, said Kelli Owens, executive director of the state’s Prevention of Domestic Violence office.

      But several organizations have started to cut back on certain services and may have to turn away newcomers soon to avoid overcrowding at shelters. Drop-in counseling centers are shut down and in-person support groups are suspended.

      One survivor, Maggie, 25, who spoke to The Times via Twitter, and is working to heal from an abusive relationship she left five years ago, said that in recent weeks, her weekly therapy appointment moved online and her support group was canceled altogether, which has made it even more difficult for her to cope with her increased isolation. As a result, she’s fallen back into unhealthy coping mechanisms, like drinking and smoking, she said.

      “I imagine many survivors, even if they are safe in their home, are experiencing long hours of sitting alone with traumatic thoughts and nightmares due to increased anxiety,” Maggie said.

      Advocates, who are often the first responders in cases of domestic violence, are fielding questions remotely, preparing those who can’t flee for worst case situations, known as safety planning.

      “We’re having really difficult conversations, running through horrific scenarios,” Ray-Jones said.

      “What that could mean is, OK, if an argument breaks out, where is the safest place in your house? Keep arguments out of the kitchen, out of the bathroom, which can be really dangerous spaces. If you need to go sleep in your car, is that a possibility?”

      Organizations most often take these kinds of questions over the phone, but being in such proximity with an abuser can turn the simple act of a phone call into such a dangerous gamble that many are preparing for fewer calls on their hotline and more questions via their text and online chat services that are available around the clock.

      Meanwhile, with courts closing across the country and advocates, who would typically help survivors navigate the judicial system, working remotely, yet another avenue of support for people experiencing abuse is further complicated, said Susan Pearlstein, the co-supervisor of the Family Law Unit of Philadelphia Legal Assistance.

      Still, the public should know that obtaining a legal protection order is considered an essential service by most jurisdictions and “many courts are trying to have access open for domestic violence survivors and to allow order petitions of abuse or restraining orders to be filed,” either over the phone or electronically, Pearlstein said.

      “This is a really heartbreaking time,” said Ray-Jones, speaking to the overall heightened anxiety during this uncertain period.

      Resources for victims and survivors:

      Anti-Violence Project offers a 24-hour English/Spanish hotline for L.G.B.T.Q.+ experiencing abuse or hate-based violence: call 212-714-1141

      The National Domestic Violence Hotline is available around the clock and in more than 200 languages: call 1-800-799-SAFE or chat with their advocates here or text LOVEIS to 22522.

      New York State Domestic and Sexual Violence Hotline is available in multiple languages: call 1-800-942-6906 for English. For deaf or hard of hearing: 711

      For immediate dangers, call 911.

      https://www.nytimes.com/2020/03/24/us/coronavirus-lockdown-domestic-violence.html

    • Warning over rise in UK domestic abuse cases linked to coronavirus

      Manchester deputy mayor says police beginning to classify incidents connected to virus.

      There has been a rise in domestic abuse incidents directly related to the coronavirus outbreak, according to a police leader.

      Beverley Hughes, Greater Manchester’s deputy mayor for policing and crime, said there had been reports of abuse linked to the lockdown, and said authorities were preparing for serious incidents.

      After a meeting of the region’s Covid-19 emergency committee, Lady Hughes said: “I think we are beginning to see a rise in domestic abuse incidents. We anticipated this might happen in the very stressful circumstances for many families.”
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      Charities and police forces across the country have been warning of a potential rise in cases of domestic violence. In China there was a threefold increase in cases reported to police stations in February compared with the previous year.

      The justice secretary, Robert Buckland, told the Commons justice committee this week that there may be more cases of domestic abuse, online crime and fraud during the lockdown.

      Hughes later said the overall level of domestic abuse cases was as expected, but officers had begun to classify incidents believed to have a connection to the virus.

      She said families were being asked to stay at home and many had significantly less money as a result of the restrictions.

      Hughes said: “The potential for tension to arise in the home as a result of what we are asking people to cope with, in order to suppress the virus, is going to increase and therefore we would be right to think this might display itself in an increase in the number of domestic incidents we are called to.

      “We are preparing for that. Some of those most serious incidents will be challenging to deal with, particularly if the victim needs to be moved to a refuge, but the police specialise in these kind of cases and the local partners, local authorities, they’re working together really closely to prepare for that.”

      Avon and Somerset police reported a 20.9% increase in domestic abuse incidents in the last two weeks, from 718 to 868. Police in Cumbria have asked postal workers and delivery drivers to look out for signs of abuse.

      DCI Dan St Quintin, of Cumbria police, said: “In the coming weeks and months we ask for everyone to look out for each other as much as possible. We would also like to extend this plea to those such as postal workers, delivery drivers, food delivery companies and carers who will still be visiting houses, to keep an eye out for any signs of abuse and to report any concerns to us.”

      Quintin said the Bright Sky app, which can be disguised for people worried about partners checking their phones, provided support and information for victims.

      The National Centre for Domestic Violence said it fully supported the plea and warned of “huge dangers lurking for victims”..

      Its chief executive, Mark Groves, said: “While the whole country grapples with the consequences of Covid-19, there are huge dangers lurking for victims of domestic abuse and violence. We fully support Cumbria police’s plea to key workers to help the police investigate suspicions or concerns surrounding victims or perpetrators.”

      The Thames Valley chief constable, John Campbell, said his force expected to see a rise in the number of domestic abuse calls He said domestic violence and fraud would become a priority for his force as “criminals decide to change their behaviours’ to take advantage of coronavirus”.

      “We are seeing and monitoring very closely the issues around domestic abuse, we anticipate that it might increase and we will deal with that robustly in a way that you would expect us to,” Campbell said.

      Shanika Varga, a solicitor at Stowe Family Law, who specialises in domestic abuse cases, said: “Being stuck in a house together for two weeks or longer means the risk of a situation becoming violent is much higher. Lots of people – whether they realise it or not – are in abusive relationships, and abusers will typically manipulate any situation to take advantage of their perceived position of power.”

      Varga urged victims to start thinking of a contingency plan for escaping their abusers. “Knowing your options and making sure people are informed and fully prepared to take action if need be is vital. Don’t forget that help is out there,” she said.

      https://www.theguardian.com/society/2020/mar/26/warning-over-rise-in-uk-domestic-abuse-cases-linked-to-coronavirus?CMP=

    • Coronavirus en #Nouvelle-Aquitaine : Les violences intrafamiliales en forte hausse avec le confinement

      Si la délinquance est en baisse, dans la région, les forces de l’ordre multiplient les interventions dans les foyers depuis une semaine.

      Avec le confinement, les violences intrafamiliales explosent selon les policiers et gendarmes en Nouvelle-Aquitaine. Le phénomène est national.
      Les disputes sur fond d’alcool se multiplient alors que les victimes se retrouvent prises au piège dans les foyers.
      L’Etat maintient ses services face à cette recrudescence. Les forces de l’ordre elles n’hésitent pas à reprendre contact avec les victimes après leurs interventions.

      C’était un scénario prévisible et malheureusement, il se vérifie un peu plus chaque jour. Les violences conjugales et intrafamiliales augmentent voire explosent depuis le début du confinement en France. Les policiers et gendarmes de la Gironde sont à l’unisson sur le sujet : « Si la délinquance (vol, cambriolage, trafic…) est en forte baisse, expliquent leurs responsables départementaux, les interventions pour des violences familiales se multiplient même si elles ne déclenchent pas forcément à chaque fois des procédures. » Ce mercredi soir, leurs collègues du Périgord ont par exemple interpellé un trentenaire qui menaçait sa famille avec un fusil et tentait de mettre le feu à la maison.

      Dès le 18 mars, les recours à police secours dans le département étaient déjà en forte hausse avec 1.200 appels ce jour-là contre 600 habituellement. Une semaine plus tard, le nombre de demandes sur la plateforme arretonslesviolences.gouv.fr aurait augmenté de 40 % selon les policiers girondins. En effet comme le soulignait le gouvernement en début de semaine, « le contexte particulier du confinement constitue malheureusement un terreau favorable aux violences » en raison de « la promiscuité, des tensions et de l’anxiété » qu’il entraîne.

      Encore plus difficile de se signaler pour les victimes

      Les gendarmes soulignent des interventions toujours plus nombreuses pour « des disputes familiales sur fond d’alcool et souvent la nuit. » A ce sujet, la réponse de Fabienne Buccio, la préfète de Gironde et de Nouvelle-Aquitaine, est claire : il n’y aura pas d’interdiction de ventes d’alcool « à ce stade » comme a pu tenter de le faire son homologue dans l’Aisne. La représentante de l’Etat préfère soulever un problème beaucoup plus important :

      « Je ne veux pas stigmatiser qui que ce soit mais en ce moment les hommes sont bien plus présents au domicile familial que d’habitude avec le confinement et c’est donc encore plus difficile pour les victimes de se signaler auprès des autorités. »

      Une situation face à laquelle, la plupart des associations se disent « désemparées » à l’image de l’Union nationale des familles de féminicides. « Être confiné, c’est déjà compliqué pour des gens qui s’entendent bien. Alors, pour les victimes de violences conjugales, elles vont vivre un véritable calvaire », rappelait il y a quelques jours sa présidente Sandrine Bouchait. Sans oublier, les enfants, eux aussi en première ligne face à la violence.

      Les forces de l’ordre n’hésitent pas à rappeler après leurs interventions

      Alors comment faire pour limiter au maximum les violences intrafamiliales ? Il y a les moyens connus avec les services de police ou de gendarmerie (17 ou 112), les pompiers (18 ou 112) ou le Samu (15) qui restent mobilisés pour les situations d’urgence. Marlène Schiappa, secrétaire d’État chargée de l’Égalité entre les femmes et les hommes et de la lutte contre les discriminations, a annoncé que les numéros d’écoute, les plateformes gouvernementales, l’accompagnement dans des hébergements d’urgence et les procès au pénal contre les agresseurs seraient maintenus. Le 3919 est notamment de nouveau opérationnel depuis lundi.

      Les forces de l’ordre sont également mobilisées sur le terrain : « Après certaines interventions, nous n’hésitons pas à rappeler les personnes et à reprendre contact avec elles. Nous sommes vraiment très attentifs à ce phénomène », explique la gendarmerie de la Gironde.

      De son côté, le secrétaire d’Etat auprès du ministre des Solidarités et de la santé en charge de l’enfance Adrien Taquet « appelle à nouveau chacun à redoubler de vigilance pendant cette période, et à composer le 119 si l’on est témoin, même auditif, même dans le doute, de violence commise sur un enfant, quelle que soit sa nature. » Le gouvernement va également réactiver une campagne de sensibilisation à la question des violences faites aux enfants cette semaine.

      https://www.20minutes.fr/societe/2748663-20200326-video-coronavirus-nouvelle-aquitaine-violences-intrafamil

    • Coronavirus et confinement : femmes et #enfants en danger

      Plus d’une centaine de sénatrices et de sénateurs demande au gouvernement de protéger les familles victimes de violence que le confinement expose à des dangers encore plus graves.

      Sans nier la gravité de la crise sanitaire et la nécessité absolue du confinement, nous ne devons pas occulter les risques auxquels sont exposés les femmes et les enfants dans les foyers violents. Le confinement peut être un piège terrible quand il enferme une famille dans la terreur permanente des insultes, des cris et des coups. En cette période où nous déployons une immense énergie pour essayer de dominer nos frustrations et notre angoisse, il faut imaginer ce que peut être le quotidien des victimes de violences, a fortiori quand le drame se joue dans un logement exigu : l’#enfer.

      En annonçant la mise en place d’un plan de continuité pour protéger les victimes de violences conjugales, la secrétaire d’Etat chargée de l’Egalité entre les femmes et les hommes et de la lutte contre la discrimination Marlène Schiappa a anticipé ce danger. Le maintien du numéro d’appel 3919 est une excellente initiative et il faut remercier les écoutants qui continuent d’exercer cette mission dans des conditions beaucoup plus complexes.

      Face à l’isolement de la victime

      De nombreuses questions persistent cependant : comment fuir un conjoint violent – surtout avec des enfants – quand les parents et amis susceptibles d’offrir un refuge sont loin, quand les transports sont aléatoires et quand les hébergements d’urgence, structurellement débordés, peuvent difficilement garantir des conditions de sécurité correctes face au virus ? Quelles mesures prendre pour protéger les victimes établies habituellement hors de France ? Comment les victimes confinées chez elles peuvent-elles joindre le 3919 ou la plateforme en ligne dédiée aux victimes de violences, alors que l’on sait que le premier signe de violences conjugales est l’isolement de la victime, privée de tout moyen de communication autonome par son compagnon violent qui lui a souvent confisqué son téléphone et s’acharne à traquer ses mails ?
      Si l’accompagnement des victimes peut toujours être assuré par les services de police et si le dépôt de plainte demeure possible, comment envisager qu’une victime puisse, sans courir un danger accru, porter plainte contre un conjoint violent avec lequel elle est condamnée à cohabiter à cause du confinement ? Est-il encore possible, compte tenu de l’état de nos hôpitaux, d’y faire établir des constats médicaux de coups et violences sexuelles ?

      Enfin, ne peut-on craindre que, malgré le renforcement récent, dans le sillage du Grenelle de lutte contre les violences conjugales, des efforts de formation et de sensibilisation des personnels de police et de gendarmerie, ceux-ci aient le réflexe de minimiser ces violences et de les considérer comme un effet compréhensible, voire excusable, du stress lié au confinement ? Chaque jour, le décompte glaçant des victimes du coronavirus a remplacé celui des féminicides qui avait marqué l’année 2019. L’épidémie a fait disparaître les violences conjugales et intrafamiliales de l’actualité mais pas de la réalité.
      Tous concernés

      Nous, sénatrices et sénateurs, demandons solennellement au gouvernement de continuer à assurer la protection, en cette période de crise sanitaire majeure, des femmes et des enfants victimes de violences, que l’exigence de confinement expose à des dangers encore plus graves. Malgré l’épreuve exceptionnelle que traverse notre pays, les femmes et les enfants qui subissent des violences ne doivent en aucun cas être sacrifiés.

      Le gouvernement peut compter sur les collectivités territoriales – les départements comme les communes – déjà très impliquées en temps normal dans les missions d’aide aux personnes vulnérables, de protection de l’enfance et de lutte contre les violences, pour apporter les solutions adaptées à chaque territoire pendant cette période exceptionnelle. La question des moyens alloués à ces missions et à leurs acteurs reste d’actualité.

      Engageons-nous, ensemble, pour que le nombre de ces victimes n’alourdisse pas le bilan, d’ores et déjà effroyable, de la crise sanitaire. Violences intrafamiliales : citoyens, voisins, amis, parents, collègues, tous concernés, tous acteurs, tous mobilisés, tous vigilants. C’est notre responsabilité collective.

      https://www.liberation.fr/debats/2020/03/28/coronavirus-et-confinement-femmes-et-enfants-en-danger_1783279

    • Violences conjugales : Schiappa annonce des « points contacts éphémères » dans les centres commerciaux

      https://www.lefigaro.fr/flash-actu/violences-conjugales-schiappa-annonce-des-points-contacts-ephemeres-dans-le

      La secrétaire d’État à l’Égalité femmes-hommes, Marlène Schiappa, a annoncé samedi l’installation de « points d’accompagnement éphémères » dans des centres commerciaux pour accueillir des femmes victimes de violences en temps de confinement où les déplacements sont limités. « Comme il est plus difficile de se déplacer, nous faisons en sorte que les dispositifs d’accompagnement aillent aux femmes », explique Mme Schiappa dans un entretien au Parisien.

      Créés « en partenariat avec des associations locales, les services de l’État et Unibail-Rodamco-Westfield, gestionnaire de centres commerciaux », ces « points d’accompagnement éphémères » seront installés dans des locaux « permettant la confidentialité mais assez vastes pour accueillir les femmes en respectant les mesures barrières », détaille-t-elle.

      La secrétaire d’État cite « dans un premier temps » pour la région parisienne So Ouest à Levallois-Perret, les 4 Temps à la Défense, Carré Sénart à Lieusaint, le Forum des Halles à Paris, ou les Ulis, et, dans le Nord, V2 à Valenciennes. « Dans un deuxième temps, Dijon, Rennes, Lyon... là où il y a un hypermarché ouvert », ajoute-t-elle, affirmant viser « une vingtaine de points dans les prochaines semaines ». « En allant faire les courses, ces femmes trouveront une oreille attentive et un accès à leurs droits d’une manière innovante et efficace », estime-t-elle.
      Fonds spécial et dépôt de plainte

      Parallèlement, Mme Schiappa annonce un « fonds spécial financé par l’État d’un million d’euros pour aider les associations de terrain à s’adapter à la période ». Elle promet également de financer « jusqu’à 20.000 nuitées d’hôtel pour que les femmes puissent fuir l’homme violent ».

      Interrogée sur l’absence de « motif ’’dépôt de plainte’’ », dans l’attestation de sortie obligatoire en période de confinement, la secrétaire d’État a répondu que « les juridictions pour les violences conjugales » avaient été laissées ouvertes.
      À lire aussi : "Une petite augmentation mais rien de significatif" : les violences conjugales à l’heure du confinement

      Elle a avancé le chiffre de « deux » meurtres de femmes par leur conjoint ou ex-conjoint depuis le début du confinement, le 17 mars. « Le confinement est une épreuve collective qui vient percuter l’histoire familiale et personnelle de chaque personne, la situation peut dégénérer à tout moment quand on vit avec une personne violente », rappelle-t-elle, inquiète que « les femmes se disent qu’elles doivent subir pendant le confinement ». « Non ! Les dispositifs de l’Etat ne sont pas mis sur pause, ils sont même renforcés », assure-t-elle.

      À VOIR AUSSI - Violences conjugales et confinement : un dispositif d’alerte mis en place dans les pharmacies

      Espérons que les flics n’en profite pas pour verbaliser les femmes dans ces point éphémères.

    • Coronavirus. Les associations craignent une augmentation des violences conjugales
      À Nantes, avec les mesures de confinement, l’association Solidarités Femmes double ses écoutantes au téléphone. Elle craint une augmentation des violences conjugales.
      Depuis mardi 18 mars, l’association Solidarité Femmes a renforcé sa ligne d’écoute téléphonique, destinée aux femmes victimes de violences conjugales. La ligne est ouverte du lundi au vendredi, de 10 h à 17 h, au 02 40 12 12 40.

      https://www.ouest-france.fr/pays-de-la-loire/loire-atlantique/coronavirus-les-associations-craignent-une-augmentation-des-violences-c

    • « En Belgique, plusieurs associations féministes ont également lancé un message d’alerte à ce sujet, comme l’association Femmes de Droit. L’asbl Vie Féminine a adapté ses activités : elle a renforcé ses permanences juridiques et sociales et a reçu l’autorisation de la Région Wallonne de les effectuer par téléphone, ce qui n’est pas le cas en temps normal où il leur est demandé de les organiser physiquement. »
      https://www.rtbf.be/info/dossier/les-grenades/detail_coronavirus-le-risque-de-violences-conjugales-augmente-a-cause-du-confin

    • Les violences conjugales à l’épreuve du confinement

      Depuis le début de la période de confinement, les collectifs féministes alertent sur les risques d’augmentation des violences conjugales. Les pouvoirs publics doivent prendre au sérieux une situation compliquée, comme celle où l’on se retrouve enfermée pour plusieurs semaines avec un conjoint violent.

      Le foyer, dans lequel il s’agit de se réfugier pour se protéger de la pandémie, n’est pas synonyme de réconfort et de sécurité pour de nombreuses femmes en France. La violence conjugale, souvent physique, mais également verbale, émotionnelle ou économique, pourrait se manifester plus fortement pendant la période de confinement. En Chine, les violences physiques au sein des couples ont augmenté pendant l’épidémie du coronavirus. La France n’est pas à l’abri de voir ses statistiques s’élever.
      Des femmes abandonnées

      Alors que le système d’aide aux victimes de violences conjugales ne fonctionne pas toujours correctement en période normale, le confinement et les bouleversements qui l’accompagnent n’arrangent pas les choses. Le numéro d’écoute national 3919 destiné aux femmes victimes de violences et à leur entourage ne fonctionne plus depuis l’annonce du confinement. Il rouvre avec des horaires réduits à partir de ce lundi 23 mars 2020. Pour Léonor Guénoun, du collectif féministe Nous toutes : « C’est très grave, et c’est vraiment un comble que ce numéro soit réduit, surtout en période de confinement, alors qu’il devrait être ouvert 24 heures sur 24. »

      Les centres d’hébergement ont du mal à accueillir de nouvelles personnes. Nous Toutes « demande des places dans des hôtels qui sont fermés ou peu occupés comme en Espagne » pour pallier ces foyers surchargés. L’absence de moyens spécifiques alloués empêche la prise en charge rapide et efficace des femmes victimes de violences conjugales. Pour Mohamed Jemal, président de l’association Un Toît pour elles, une association qui aide les femmes en grande précarité à se trouver un logement, « des promesses faites par le gouvernement n’ont pas été tenues pour la mise à disposition de chambres d’hôtel et la mise à l’abri des SDF ».

      Il regrette également qu’il n’y ait pas eu de « consignes claires pour mettre à l’abri des femmes en danger ». De plus, l’hébergement solidaire chez des particuliers ne fonctionne plus en raison du confinement. Les centres sociaux font face à des problèmes sanitaires supplémentaires à celui de l’épidémie. Les masques, les gants et le gel hydroalcoolique qui doivent parvenir aux associations sont répartis selon des schémas complexes, peu accessibles à des petites structures, comme celle gérée par Mohamed Jemal.
      Un climat propice à la violence

      Selon Léonor Guénoun, « trois risques principaux d’augmentation des violences » existent : dans des couples sans violence où un conjoint commence à être violent, dans un passage à un cran supérieur -de la violence verbale à la violence physique par exemple- et enfin « la tragédie d’un féminicide ».

      L’avocate Isabelle Steyer, référence dans la défense des victimes de violences conjugales, explique que le climat de surveillance constante se renforce étant donné que l’on peut vérifier les appels, les sorties, les occupations de chacun·e. Le confinement, selon elle, se vit comme une situation particulière car « on a jamais eu l’habitude de vivre tout le temps ensemble ». Être constamment ensemble peut déclencher des actes insoupçonnés parce que « la violence arrive à un moment où on ne s’y attend pas ».

      D’après l’avocate, le risque de ne plus avoir de vie intime et de tout partager pour la femme est de ne plus pouvoir « appeler qui l’on veut et penser à élaborer le départ ». Léonor Guénoun explique que la « fuite du domicile » doit pouvoir rester une option possible pour les femmes victimes.
      Des actions rapides et de l’aide collective

      Pour remédier à cette situation et prévenir tout acte violent, Nous toutes met en place des campagnes de sensibilisation et diffuse des visuels « pour que les femmes sachent qu’elles peuvent fuir et être aidées« . Le collectif féministe rappelle aussi les numéros à contacter, en cas d’urgence la police par le 17 ou le 114 pour les SMS, ou le 08.00.05.95.95. qui peut aider les femmes victimes. L’avocate Isabelle Steyer encourage également les femmes à prévenir et à « utiliser des espaces que l’on avait pas l’habitude d’utiliser pour téléphoner ».

      Pour les personnes qui ne seraient pas confrontées à de la violence conjugale, il faut rappeler à son entourage que le confinement n’autorise pas à être violent. Il convient également prendre régulièrement des nouvelles des personnes pouvant subir des situations violentes. Enfin, selon l’avocate, « le côte très positif est que tout les voisins sont là », ce qui facilite l’appel au secours et la demande d’aide rapide car « les relations sont beaucoup plus proches avec ce confinement ».

      https://radioparleur.net/2020/03/24/violences-conjugales-epreuve-du-confinement

    • Sur la mesure donnant la possibilité de signaler des violences en pharmacie, j’ai eu une discussion avec une personne (une femme, je crois) qui trouvait la mesure cheap et ridicule mais les pharmacies ne sont pas que des commerces, ce sont aussi des lieux de soin, plus accessibles et qui offrent un meilleur accueil que les poulaillers, et l’Espagne fait ça depuis vingt ans avec un certain succès.

    • Domestic abuse cases soar as lockdown takes its toll

      Some charities can no longer ‘effectively support’ women because of lockdown and staff sickness.

      More than 25 organisations helping domestic violence victims have reported an increase in their caseload since the start of the UK’s coronavirus epidemic.

      One group, Chayn, said that analysis of online traffic showed that visitors to its website had more than trebled last month compared with the same period last year. An audit of 119 organisations by the domestic abuse charity SafeLives found, however, that even as pressure on frontline services increased, most were being forced to reduce vital services.

      The groups were surveyed during the last week of March, with 26 of them able to confirm increased caseloads owing to Covid-19. Three-quarters said they had had to reduce service delivery to victims.

      Most domestic abuse organisations provide face-to-face or phone support, but a quarter say they can not “effectively support” adult abuse victims owing to technical issues, inability to meet victims, and staff sickness.

      A separate study highlights the plight of domestic-violence survivors. SafeLives interviewed 66 survivors, and the women were asked to score themselves from zero to 10, with 10 denoting “safe”. More than half offered a score of five or less, with three saying they felt “not safe at all”.

      One said: “I’m in a controlling, emotionally abusive relationship and fear it could escalate due to heightened stress surrounding the current virus situation.” Another added that she was having to sit in her car to get away from the perpetrator.

      There is growing pressure on the government to announce emergency funding to help victims. Suzanne Jacob, chief executive of SafeLives, said: “We know the government is thinking about what extra support might be needed for victims and their families during this difficult time, and this research shows that helping services to stay afloat and carry on doing their vital lifesaving work will be key.”

      Hera Hussain, founder of Chayn, said: “Survivors of domestic abuse are walking on eggshells, scared of having no support if tensions escalate.”

      Evidence suggests that domestic abuse is likely to increase as a result of the pandemic. In China’s Hubei province, where the virus was first detected, domestic violence reports to police more than tripled during the lockdown in February.

      https://www.theguardian.com/world/2020/apr/04/domestic-abuse-cases-soar-as-lockdown-takes-its-toll?CMP=Share_iOSApp_O

    • In Italy, support groups fear lockdown is silencing domestic abuse victims

      MILAN: Italy has seen a sharp fall in official reports of domestic violence as it approaches a month under coronavirus lockdown, raising concern among some support groups that forced confinement is leaving victims struggling to seek help.

      Citing official data, a parliamentary committee into violence against women said last week that reports to police of domestic abuse dropped to 652 in the first 22 days of March, when Italy went into lockdown, from 1,157 in the same period of 2019.

      Telefono Rosa, Italy’s largest domestic violence helpline, said calls fell 55per cent to 496 in the first two weeks of March from 1,104 in the same period last year. Other help groups said they had seen similar declines.

      The parliamentary committee’s report said the trend did not mean a decline in violence against women but was rather a signal that “victims of violence risk being even more exposed to control and aggression by a partner who mistreats them.”

      “There are a lot of problems in this situation, maybe not the least of them is the difficulty of asking for help when everyone is obliged to stay at home,” said Alessandra Simone, director of the police criminal division in Milan.

      Successive Italian governments have passed reforms aimed at improving protections, but 13.6per cent of women have suffered violence from a partner or ex-partner, according to national statistics bureau Istat.

      The country has seen more than 100,000 cases of COVID-19 and accounts for almost a third of worldwide deaths. It was the first European nation to go into lockdown.

      “We’re seeing a drastic fall in calls by women because they have less freedom in this situation of forced confinement,” said Chiara Sainaghi, who manages five anti-violence centres in and around Milan for the Fondazione Somaschi, a social assistance foundation. She said calls to her group had fallen by as much as 70per cent.

      Some help groups and the authorities say they have tried to launch other forms of contact, including messaging services like WhatsApp, whose use has surged during lockdowns in many countries. Users in Italy are placing 20per cent more calls and sending 20per cent more messages on WhatsApp compared to a year ago, the company said in mid-March.

      Italian police have in recent days adapted an app originally designed to allow young people to report bullying and drug dealing near their schools to report domestic violence by sending messages or pictures without alerting their partner.

      In Spain, where police said they had also seen a fall in calls for help, authorities launched a WhatsApp service for women trapped at home which the Equality Ministry said had seen a 270per cent increase in consultations since the lockdown began.

      Valeria Valente, the senator who chairs the Italian parliamentary committee, said cultural and social factors in Italy already made it hard for many to report domestic violence.

      But she said the shutdown appeared to be leading some women who might otherwise try to leave their partners to stick it out.

      “How is a woman who wants to report violence supposed to move? With the lockdown (she) can only contact the anti-violence centres when she goes to the pharmacy or buys food,” Valente said.

      https://www.channelnewsasia.com/news/world/in-italy--support-groups-fear-lockdown-is-silencing-domestic-abuse-

    • Domestic abuse killings ’more than double’ amid Covid-19 lockdown

      Pioneering project identifies at least 16 suspected incidences in UK over three-week period

      At least 16 suspected domestic abuse killings in the UK have been identified by campaigners since the Covid-19 lockdown restrictions were imposed, far higher than the average rate for the time of year, it has emerged.

      Karen Ingala Smith, the founder of Counting Dead Women, a pioneering project that records the killing of women by men in the UK, has identified at least 16 killings between 23 March and 12 April, including those of children.

      Looking at the same period over the last 10 years, Smith’s data records an average of five deaths.

      Her findings for 2020, which are collated from internet searches and people contacting over social media, were raised during evidence to the home affairs select ommittee on Wednesday.

      Dame Vera Baird QC, the victims’ commissioner for England and Wales, told MPs at the remote session: “Counting Dead Women has got to a total of 16 domestic abuse killings in the last three weeks. We usually say there are two a week, that looks to me like five a week, that’s the size of this crisis.”

      A number of domestic abuse charities and campaigners have reported a surge in calls to helplines and online services since the lockdown conditions were imposed, reflecting experiences in other countries.

      Smith, who is also chief executive of a domestic abuse charity, said: “I don’t believe coronavirus creates violent men. What we’re seeing is a window into the levels of abuse that women live with all the time. Coronavirus may exacerbate triggers, though I might prefer to call them excuses. Lockdown may restrict some women’s access to support or escape and it may even curtail measures some men take to keep their own violence under control.

      “We have to be cautious about how we talk about increases in men killing women. Over the last 10 years, in the UK, a woman has been killed by a man every three days, by a partner or ex-partner, every four days. So if this was averaged out, we might expect to see seven women killed in 21 days. In reality, there are always times when the numbers are higher or lower.

      “But we can say that the number of women killed by men over the first three weeks since lockdown is the highest it’s been for at least 11 years and is double that of an average 21 days over the last 10 years.”

      Smith’s research shows at least seven people have been allegedly killed by partners or former partners during the period, while three people have been allegedly killed by their father.

      The committee also heard evidence from Nicole Jacobs, the domestic abuse commissioner for England and Wales. She said time limits on investigating crimes would need to be relaxed to allow survivors of violence in the home to report perpetrators once the coronavirus restrictions were eased.

      “I have heard from police about the need to extend the time by which people can report crimes. There are people who are experiencing abuse right now who aren’t able to call the police because it wouldn’t be safe for them,” said Jacobs.

      “But they may well want to report a crime later so we need to allow for some extension to what the normal timescales would be for that kind of thing.”

      Crimes that are “summary only”, which means that they can only be tried at a magistrates court, including common assault and harassment, must be prosecuted within six months.

      Jacobs said services must prepare for the “inevitable surge” of domestic abuse victims seeking support when the lockdown lifts.

      She said there were concerns that some of the millions of pounds of government funding announced for the charity sector may struggle to reach small local charities that supported specific groups.

      “We need to allow those charities to quickly and very simply bid in and get the funds they need to sustain what they are doing, but also plan for the inevitable surge that we will have.“There will be people that are waiting and trying to survive every day and then will access support as quickly as they can when some of the lockdown is lifted,” she told MPs.

      https://www.theguardian.com/society/2020/apr/15/domestic-abuse-killings-more-than-double-amid-covid-19-lockdown?CMP=Sha

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      Sur Counting Dead Women:
      https://seenthis.net/messages/843847

    • Les violences conjugales et la crise du Covid-19

      Les politiques publiques menées en réponse à la crise sanitaire ont eu des conséquences lourdes sur les victimes de violences conjugales, en particulier en termes spatiaux puisque le confinement est venu renforcer le contrôle spatial exercé par les hommes violents. La recherche présentée dans ce blog scientifique vise à interroger la dimension spatiale des politiques publiques menées pendant la crise et leurs effets sur les pratiques spatiales des victimes de violences et de surveillance conjugale, en vue d’accompagner l’élaboration de politiques publiques à venir, d’éviter qu’une réponse à une crise sanitaire se traduise par une mise en danger des personnes les plus vulnérables.

      Le projet fait l’objet d’un financement ANR / Fondation de France. Il se déroulera pendant une période d’un an à compter de septembre 2020. Il a été lancé par une équipe de quatre membres : #Marion_Tillous (coordinatrice scientifique), Eva San Martin Zapatero, Julie Bulteau et Pauline Delage. Pour en savoir plus sur l’équipe, voir la page « A propos ».

      https://anrcovico.hypotheses.org/1

    • Violences conjugales, un « confinement sans fin »

      La période d’assignation à domicile au printemps a provoqué une hausse importante du nombre de signalements. Augmentation liée à une aggravation des faits de violence mais aussi à une plus grande mobilisation des proches, et en particulier du voisinage.

      Si l’on comprend les violences faites aux femmes comme une « guerre de basse intensité » (Falquet, 1997), alors le confinement instauré au printemps en réponse à l’épidémie de Covid-19 a marqué une nouvelle bataille, sur un terrain bien particulier. L’assignation à résidence et les restrictions de déplacement ont renforcé l’auteur de violences conjugales dans ses exigences de contrôle. En retour, le fait pour la femme victime de ne pas pouvoir sortir n’a pas seulement restreint la possibilité pour elle de trouver des relais et des témoins aux violences qui lui étaient faites, elle a aussi réduit les interactions dans lesquelles elle était considérée comme une personne à part entière. Le fait que les écoles et la plupart des services publics soient restés fermés après la fin du confinement a prolongé cette situation.

      La violence conjugale exercée par les hommes n’est pas soudaine ou ponctuelle. Elle s’inscrit dans une stratégie d’emprise : non seulement la victime est surveillée en permanence, mais également progressivement coupée des liens avec ses proches, et placée dans une dépendance matérielle et affective vis-à-vis de son agresseur. La question spatiale est cruciale dans ce processus de contrôle et d’isolement, ce que la chercheuse Evangelina San Martin Zapatero a mis en évidence à travers le terme de « déprise spatiale » (2019). S’inspirant du concept développé en sociologie du vieillissement, elle montre que les violences conjugales ont notamment pour conséquence une forte restriction des déplacements, une perte de compétence spatiale et une dépendance au conjoint pour la réalisation des déplacements.

      L’instauration du confinement en réponse à l’épidémie de Covid-19 a inévitablement été un atout pour les agresseurs dans leur stratégie d’emprise. C’est ce que montre l’augmentation considérable du nombre de signalements de faits de violence intraconjugaux pendant la période, que ce soit en France ou dans les autres pays concernés par des mesures de confinement. Dès le 5 avril, le secrétaire général de l’ONU, António Guterres, a appelé à un cessez-le-feu dans les violences faites aux femmes. L’organisation a estimé à la fin du mois d’avril que chaque nouveau trimestre de confinement se traduirait par 15 millions de cas supplémentaires de violence basée sur le genre (projections de l’Unfpra). Le rapport de la mission interministérielle pour la protection des femmes contre les violences et pour la lutte contre la traite des êtres humains paru au cours de l’été fait état également d’une forte hausse des signalements de violences sur les plateformes d’écoute des victimes, en particulier via les modes de communications « silencieux ». Ainsi, « les tchats de la plateforme de signalement des violences sexistes et sexuelles "Arrêtons les violences" ont été multipliés par 4,4 par rapport à 2019 pour tous les faits de violences et par 17 pour les faits de violences intrafamiliales ».

      Comme l’indique le rapport, cette hausse des signalements est liée à une aggravation des faits de violence plutôt qu’à un déclenchement de nouvelles violences dans des couples non concernés avant le confinement. Elle est aussi imputable à une plus grande mobilisation des proches, et en particulier du voisinage. Car si le confinement assigne à résidence les victimes et leurs agresseurs, il transforme aussi les voisin·e·s en témoins à temps complet. Et grâce au colossal travail de sensibilisation des organisations de lutte contre les violences conjugales et au mouvement #MeToo, ces témoins ne se contentent plus de vous glisser entre deux paliers que les murs sont fins comme du papier à cigarettes, mais assument de plus en plus la responsabilité d’alerter les associations ou les forces de l’ordre.

      Si le confinement a donné des oreilles aux murs, il a aussi ôté des yeux aux institutions et aux professionnels de la protection, comme le souligne Edouard Durand, juge des enfants au TGI de Bobigny, dans son audition par la délégation aux droits des femmes et à l’égalité des chances entre les hommes et les femmes du Sénat. Il a également considérablement compliqué le travail des associations qui accompagnent les femmes victimes de violence et assurent leur hébergement d’urgence (Delage, 2020). Et révélé à quel point les moyens manquent pour offrir des solutions concrètes : favoriser le recueil des témoignages tourne court si les écoutant·e·s ne peuvent pas diriger les victimes vers des lieux d’accueil d’urgence. Les 2 millions d’euros gouvernementaux issus du Grenelle contre les violences conjugales et du redéploiement des crédits du secrétariat d’Etat à l’égalité entre les femmes et les hommes pendant le confinement sont bien maigres pour imaginer des solutions de logement à la hauteur des besoins. Et le financement de nuitées d’hôtel destinées à l’éloignement des hommes agresseurs sur cette enveloppe et non sur celle de la justice grève encore le budget.

      Les politiques publiques menées (ou non menées) pendant la crise du Covid-19 au printemps 2020, en premier lieu le confinement, ont révélé l’ampleur des violences conjugales et la dimension proprement géographique de l’emprise des hommes violents. Elles ont montré que les violences conjugales ne sont pas autre chose, pour reprendre les termes d’Annick Billon (présidente de la délégation sénatoriale évoquée plus haut), qu’« un confinement sans fin ». En 2000, la philosophe Marilyn Frye définissait déjà l’oppression comme un ensemble de forces et de barrières qui produisent des « vies confinées et contraintes ». C’est ce qui rend si impérative une loi-cadre qui réponde de manière coordonnée aux différentes dimensions de l’oppression patriarcale.

      https://www.liberation.fr/debats/2020/10/01/violences-conjugales-un-confinement-sans-fin_1801102

  • #Droit_au_séjour et #violences_conjugales et familiales

    Les #violences subies dans le cadre conjugale ou familial peuvent être prises en compte pour décider de l’octroi d’un #titre_de_séjour, de son renouvellement et, éventuellement, du droit au retour en #France en cas de #menace de #mariage_forcé.

    Face à l’ampleur du phénomène des violences faites aux femmes, les mesure législatives successives ne sont pas à la hauteur des besoins.

    Malgré la prise en compte de cette problématique dans les différentes réformes sur l’immigration, notamment la #loi_Collomb de 2018, de nombreuses femmes restent exclues de toute possibilité d’accès à un titre de séjour ou du renouvellement.

    L’#ordonnance_de_protection, qui permet l’octroi d’un titre de séjour à toutes les femmes victimes de violences conjugales et familiales, quelle que soit leur situation administrative, n’est malheureusement pas beaucoup utilisée.

    Cette note pratique s’attache à présenter les différents cas envisagés par la loi pour tenir compte des violences conjugales et familiales dans le cadre du droit au séjour des étrangers et des étrangères.

    https://www.gisti.org/spip.php?article6292
    #violence_domestique #femmes #droit_de_séjour #migrations #étrangers #étrangères

    • Et un #rapport de l’#ODAE_romand (association en #Suisse) sur la même thématique (2016) :

      Femmes étrangères victimes de violences conjugales

      A l’occasion de la journée internationale des droits femmes, l’Observatoire romand du droit d’asile et des étrangers (ODAE romand) publie un nouveau rapport, en collaboration avec le groupe de travail « Femmes migrantes et violences conjugales ». Malgré l’importante avancée que constitue la modification de la Loi fédérale sur les étrangers, les femmes concernées ne sont toujours pas certaines d’obtenir le renouvellement de leur permis de séjour si elles quittent leur mari violent. Un grand nombre d’entre elles préfèrent donc taire les violences subies plutôt que de risquer un renvoi, parfois au péril de leur vie. Pour cette troisième édition, de nouveaux cas concrets ont été signalés à l’ODAE romand illustrant les différents aspects de cette problématique peu connue.

      https://odae-romand.ch/rapport/rapport-thematique-femmes-etrangeres-victimes-de-violences-conjugales-ob

  • Le violenze maschili contro le donne

    Nella settimana del corteo nazionale a Roma contro la violenza maschile sulle donne, annunciamo l’uscita del numero doppio di Studi sulla questione criminale 1-2/2019, numero monografico curato da Lucia Re (Università degli studi di Firenze), Enrica Rigo (Università di RomaTre) e Maria (Milly) Virgilio (Avvocata del Foro di Bologna), dedicato a “Le violenze maschili contro le donne”. Mettiamo in pubblicazione l’indice completo del numero e, in anteprima, un estratto dell’editoriale. Buona lettura!

    Contenu :

    Lucia Re, Enrica Rigo, Maria (Milli) Virgilio
    Le violenze maschili contro le donne: complessità del fenomeno ed effettività delle politiche di contrasto

    Franca Bimbi
    Tra protezione e care. Ripensare le violenze maschili contro le donne

    Paola Flores Miranda, Colectivo Crea Ciudad
    La experiencia urbana de las mujeres en la Ciudad de México: miedos, políticas y alternativas

    María Acale Sánchez
    Tratamiento penal de la violencia sexual de género

    Ana Lucia Sabadell, Lívia de Meira Lima
    La actuación de las instituciones del sistema de justicia brasileño en la elaboración de acciones de combate a la violencia doméstica

    Ilaria Boiano
    Criminalizzazione delle scelte delle donne in materia di salute sessuale e riproduttiva: il caso dell’aborto come guerra contro le donne

    Camilla Cannone
    La violenza in sala parto. Osservazioni a margine di una questione controversa

    Agostina Latino
    Manifestazioni e considerazioni della violenza nei confronti delle donne alla luce della Convenzione di Istanbul

    Maddalena Cannito
    Le violenze maschili contro le donne raccontate da Centri antiviolenza e Forze dell’ordine. Pratiche e linguaggi a confronto

    Alessia Schiavon
    La cyber-violenza maschile contro le donne: una nuova sfida per il diritto penale

    Elisa Giomi
    La rappresentazione della violenza di genere nei media. Frame, cause e soluzioni de

    STRUMENTARIO

    Cronologia di riferimenti normativi
    di Maria (Milli) Virgilio

    Il piano femminista contro la violenza di genere dalla performatività dei corpi alla presa di parola: il movimento femminista #Non_Una_Di_Meno in Italia
    di Tatiana Montella, Sara Picchi, Serena Fiorletta

    http://www.carocci.it/index.php?option=com_carocci&task=schedafascicolo&Itemid=257&id_fascicolo=83
    #revue #violence #violences #femmes #féminisme #violence_de_genre #genre #corps #violence_domestique #Mexique #Brésil #Italie #justice #accouchement #convention_de_Istanbul #cyber-violence

  • Domestic violence has been recognised as a valid reason for granting asylum.

    Last month, the Constitutional Court in Croatia issued a historic decision of major importance to all women seeking international protection in Croatia because of domestic violence in the countries from which they had to flee. With this decision, domestic violence has been recognised as a valid reason for granting asylum (https://www.jutarnji.hr/vijesti/hrvatska/kljucna-promjena-za-imigrantice-zbog-slucaja-zlostavljane-zene-iz-iraka-ustavni-sud-donio-je-povijesnu-odluku-obiteljsko-nasilje-razlog-je-za-azil/9531485). In deciding the case of an Iraqi woman who was denied asylum, who testified about severe violence and abuse by male family members in her home country, the Constitutional Court unanimously found that the Ministry of the Interior, the Administrative Court and the High Administrative Court had violated her human rights guaranteed by the Constitution and the Convention for the Protection of Human Rights. They upheld her case and overturned the judgments in question, returning her case for retrial and opening the door to a possible change in asylum practices.

    Reçu via Inicijativa dobrodosli, mail du 04.11.2019.

    #violence_domestique #asile #migrations #réfugiés #femmes #Croatie #justice

  • 440 pairs of women’s shoes...

    440 pairs of women’s shoes were hung on one of the city walls in Istanbul this week to draw attention to male domestic violence in the country. This is the number of women murdered by their husbands in Turkey in 2019.


    https://twitter.com/diorchild/status/1175355011536175109
    #violence_domestique #femmes #chaussures #manifestation #art_et_politique #Turquie #Istanbul #espace_public #visibilisation #féminicide

    Compte Instagram de l’artiste:
    https://www.instagram.com/vahittuna
    #Vahti_Tuna

    ping @isskein @visionscarto

  • COMMUNIQUE DE PRESSE DE LA COMMUNAUTÉ EMMAÜS DE GRENOBLE SUITE A L’ ARRESTATION D’UNE COMPAGNE DE LA COMMUNAUTÉ du 18 JUILLET 2019

    Aujourd’hui, #Rosa est passée devant la juge des libertés qui a confirmé le placement en centre de #rétention administrative à #Lyon, pour une durée maximale de 28 jours en vue de son #expulsion.

    On a eu droit à une application froide, mécanique de la #justice et tous les éléments qui attestaient de la conduite irréprochable de Rosa, du fait qu’elle a été violentée par son mari, de son engagement dans les activités solidaires de la communauté Emmaus ont été balayées d’un revers de la main.

    Depuis quelques temps, les 119 communautés Emmaüs de France subissent un #acharnement contre les compagnes et compagnons en attente de #régularisation.

    Que font ils de mal, ils s’investissent dans un mouvement, participent aux activités solidaires, paient des cotisations sociales et travaillent à la concrétisation de leur projet professionnel. Rien de plus normal pour tout citoyen.

    La communauté de Grenoble comme toutes les communautés et le mouvement Emmaus qui fête cette année les 70 de leur création, s’inquiètent de cet acharnement contre nos compagnes et compagnons. Rosa n’est qu’une parmi beaucoup de compagnes et compagnons pourchassés.

    Cela est peut être légal mais totalement illégitime. Au point que l’on est témoin de la gène pour ne pas dire de la honte des forces de l’ordre obligées de mener ces missions. Aujourd’hui un membre des forces de l’ordre nous a dit en guise d’au revoir : ‘ne lâchez rien’ citant l’inscription sur nos tee shirt.

    La loi est injuste changeons la loi. Nous en avons le pouvoir, car nos élus ont un mandat pour agir en notre nom, au nom des idéaux de notre pays.

    Nous allons continuer d’utiliser toutes les voies de recours pour ramener Rosa dans la communauté. Chaque minute qu’elle passe dans ce centre de rétention qui de l’extérieur ressemble à une prison, lui enlève un peu plus de joie de vivre et d’espoir. Elle est littéralement terrorisée de retourner à #Madasgascar, ou elle ne connaît plus personne (sa famille refuse de lui parler depuis son #divorce).

    Aujourd’hui des compagnons, des bénévoles, un responsable de la communauté sont montés à Lyon la soutenir dans cette épreuve. Nous avons été rejoint par Pierre Bénévole de la Fondation Abbé Pierre et par Daniela responsable de la communauté de Lyon et une administratrice de Lyon.

    Pour finir un compagnon David est entré dans le #CRA réconforter Rosa. Elle est au bord de craquer du fait de cette situation et de son « incarcération ».

    Mardi, elle était à peine arrivée que les autorités lui retiraient son téléphone portable, pour lui en proposer un autre à la vente le lendemain. Ils ne veulent pas que des films soient réalisés dans ces centres. Ont ils des choses à cacher ???

    Ce matin c’est menotté qu’elle a été emmenée au tribunal, comme une criminelle dangereuse sans doute.

    Nous ne pouvons plus tolérer ce type de situation et devons réagir.

    Nous allons réfléchir à mener des actions pour sensibiliser sur ses pratiques que nous condamnons de la hauteur de nos 70 ans d’engagement au service des plus fragiles.

    C’est à nous, citoyens de faire évoluer la société pour que cette honte ne nous entache pas devant les générations futures. Ensemble nous en avons le devoir.

    La loi est injuste, changeons la loi

    https://www.facebook.com/emmausgrenoble/photos/a.621250377946350/2927911243946907/?type=3&theater
    #renvoi #asile #migrations #réfugiés #France #détention_administrative #Grenoble #violence_domestique

    signalé par @karine4

  • An Epidemic of Violence We Never Discuss - The New York Times
    https://www.nytimes.com/2019/06/07/books/review/rachel-louise-snyder-no-visible-bruises.html

    By Rachel Louise Snyder

    In the year and a half since the #MeToo movement erupted, women have recounted stories of sexual assault — and men have been called out for their behavior — from Hollywood studios to restaurant kitchens to top media outlets. Yet one of the oldest and most common places for such egregious behavior has been largely left out of the conversation: our own homes.

    When it involves celebrities, domestic violence tends to be relegated to the realm of personal issues, like an addiction problem or a divorce. For the more ordinary among us, it rarely gets any media attention at all; even domestic murders — which are often the tragic culmination of years of physical and psychological abuse — seldom get more than a passing mention in the local news. Meanwhile, many of the mass shootings we see have origins in domestic violence. We ignore this phenomenon at our peril.

    As Rachel Louise Snyder argues in her powerful new book, domestic violence has reached epidemic proportions in the United States. Fifty women a month are shot and killed by their partners. Domestic violence is the third leading cause of homelessness. And 80 percent of hostage situations involve an abusive partner. Nor is it only a question of physical harm: In some 20 percent of abusive relationships a perpetrator has total control of his victim’s life. (Countries including Britain and France have laws to protect against this kind of abuse, but the United States does not.)

    #femmes #violence #impunité

  • Nowhere to turn: Victims say domestic abuse by police officers goes unpunished

    Debbie is one of multiple women who have told the Bureau of Investigative Journalism they suffered emotional or physical abuse at the hands of police officer partners, and that they believe their partners used their professional positions to seek to intimidate or harass them.

    From across the country we heard claims that alleged abusers got their partners repeatedly arrested, stalked them in marked cars, or warned them there was no point going to the police because the force was “a family.”


    https://www.thebureauinvestigates.com/stories/2019-05-01/police-perpetrators-domestic-violence
    #abus_sexuels #violence_domestique #police #UK #Angleterre

  • Die Angst im System

    Man muss nicht selbst betroffen sein, um die Auswirkungen geschlechtsspezifischer Gewalt zu spüren.

    Einst sagte mir ein damaliger Kumpel: „Ihr Frauen könnt nicht aufhören, über Vergewaltigung zu reden, weil ihr angeblich Angst habt. Ich finde, das liegt eher daran, dass ihr darauf steht, davon fantasiert.“ Damals war ich 18 Jahre alt und habe mich noch nicht als Feministin bezeichnet. Ich habe seine frauenfeindliche Aussage, die Vergewaltigung auf so eine böswilligen Weise verharmlost, unkommentiert gelassen. Mir fehlten damals das Vokabular und die Fakten, um dagegen argumentieren zu können. Das bereue ich heute noch.



    ©Tine Fetz

    Ja, auch Frauen, die selber nicht vergewaltigt worden sind, sprechen über sexualisierte Gewalt. Viele, die sich Gedanken über die Diskriminierung aufgrund des Geschlechts machen und dazu lesen, erkennen, dass Bedrängen, unerlaubtes Anfassen, Verfolgen und Catcallen nichts mit Zuneigung zu tun haben, sondern lediglich mit Macht. Vergewaltigung ist unter anderem auch eine Kriegspraxis: Indem Frauen der anderen Front „befleckt“ werden, wird die Moral der Soldaten gesenkt. Indem Frauen „besamt“ werden, wird die Erde, das Land, auf dem ein Volk lebt, erobert.

    Gewalt gegen Frauen und sexualisierte Gewalt sind so häufig und willkürlich, dass es für viele Frauen Alltag ist zu überlegen, wie sie damit umgehen können. Man weiß aus persönlichen Gesprächen mit anderen, dass viele Frauen ihre Strategien entwickelt haben, wie etwa bestimmte Straßen zu vermeiden, die Straßenseite zu wechseln, nachts auf dem Nachhauseweg den Schlüsselbund in der Hand so zu halten, dass sie ihn als Waffe nutzen können, falls Selbstverteidigung notwendig sein sollte. Viele kennen den Drang, die Haustür hinter sich zuzudrücken, anstatt sie sich sorgenfrei von alleine schließen zu lassen.

    Auch die Wissenschaft, die Alarmsysteme und Apps entwickelt, die Frauen bei Angriffen dabeihaben und einsetzen sollen, sagt Frauen: „Lernt, mit Gewalt umzugehen. Denn es wird nie aufhören.“ Anstatt dass Männer lernen, nicht anzugreifen, sollen sich Frauen Gedanken darüber machen, wie sie gegebenenfalls flüchten oder sich Hilfe holen können. Ganz so, als sei Gewalt unvermeidbar. Bei solchen Erfindungen wird ausgeblendet, dass sexualisierte Gewalt viel öfter in den eigenen vier Wänden stattfindet als draußen.

    Vergangenen Mittwoch stellte die Kommission zur Aufarbeitung sexuellen Kindesmissbrauchs ihre ersten Ergebnisse seit ihrer Gründung vor: Im vergangenen Jahr wurden 13.683 Kinder Opfer sexuellen Missbrauchs, 2017 lag die Zahl bei 12.850. Mehr als die Hälfte der Übergriffe fand in der Familie statt, 83 Prozent der befragten Betroffenen waren Frauen. Bei Angriffen auf Frauen im Erwachsenenalter sieht die Situation ähnlich aus: Laut polizeilicher Kriminalstatistik wurden 2016 insgesamt 435 Frauen in Deutschland getötet, 163 davon lebten mit dem Täter zusammen in einem Haushalt. Laut einer Studie des Bundesfamilienministeriums aus 2004 fanden über 70 Prozent der Fälle sexualisierter Gewalt in der eigenen Wohnung der betroffenen Frau statt. Den Zahlen der Frauenorganisation Terre des Femmes zufolge hat fast jede vierte Frau in Deutschland sexualisierte oder körperliche Gewalt oder beides durch ihren (Ex-)Partner erlebt.

    Aus einer kanadischen Studie aus dem Jahr 2015 geht hervor, dass Kinder und Enkelkinder von Holodomor-Überlebenden traumatisiert seien, obwohl sie zur Zeit der Ausrottung von der ukrainischen Bevölkerung durch Stalin noch nicht auf der Welt waren: „Sie horten Lebensmittel und gärtnern, als stünde das nächste Versorgungsembargo bevor.“ In den Kindern und Enkel*innen der Holodomor-Überlebenden solle das Trauma weiterleben. Auch Shoah-Überlebende gaben ihr Trauma weiter an ihre Kinder. Woran das liegen kann, versuchen Wissenschaftler*innen schon seit einiger Zeit herauszufinden. Während alleine das Zusammenleben mit traumatisierten Eltern, die Überlebende sind, in den Kindern ähnliche Bilder und Symptome auslösen kann, spricht die Epigenetik davon, dass Trauma die Regulation der Zellen beeinträchtige und dadurch genetisch vererbbar sei. Die Forscherin Isabelle Mansuy vom Labor für Neuroepigenetik an der ETH Zürich sagt in Anlehnung auf ihre Studie mit Mäusen, die als Jungtiere von ihren Müttern getrennt und traumatisiert werden: „Drei Generationen leiden unter den Folgen des Traumas und auch in der vierten finden wir typische Symptome. Wir vermuten, dass die Übertragung über die Keimzellen erfolgt.“ So oder so werden Ängste und Traumata weitergereicht. Von Generation zu Generation. Warum soll das anders sein, wenn es um geschlechtsspezifische Gewalt geht?

    Es stimmt, dass viele Frauen oft über sexualisierte Gewalt und Vergewaltigung sprechen, auch wenn sie selber noch nicht betroffen waren. Das liegt daran, dass sie im Gegensatz zu heterosexuellen cis Männern in einer Welt leben, in der Frauen und Mädchen systematisch unterdrückt und der Gewalt ausgesetzt werden. Die Welt, in der Frauen aufwachsen, bringt ihnen bei, mit Gewalt umzugehen, sich an Gewalt zu gewöhnen. Da sie vom Kindesalter mit diesem Bewusstsein erzogen werden, prägt das ihr Selbstverständnis. Die Geschichten von mehreren Generationen prägen also die Frauen von heute, auch wenn diese Geschichten nie erzählt worden sind. Reden hilft. Es macht die Probleme, unter denen sie leiden, hörbar. Es macht den Umgang mit Traumata oder Ängsten leichter.

    Manchmal erinnere ich mich an den Spruch meines damaligen Kumpels und frage mich, wie diese Konversation heute gelaufen wäre, was ich ihm wohl sagen würde. Ob er sich heute vorstellen kann, dass er in einer anderen Welt lebt als Frauen, oder noch immer glaubt, dass sie viel über sexualisierte Gewalt sprechen, weil sie sich das heimlich wünschen? Das werde ich wohl nie herausfinden.

    https://missy-magazine.de/blog/2019/04/09/die-angst-im-system

    #violence #agression_sexuelle #viol #traumatisme #prévention

    • Cette image... les clefs entre les doigts... ça évoque tellement de moments angoissants...
      Et on a beau savoir que ça marche pas vraiment, comme technique, on continue, d’autant plus depuis que les #contrôles incessants nous interdisent toute protection « armée » de défense...
      Je sais pas du tout ce que dit l’article mais cette image me touche...

    • @val_k : l’image qui fait référence à la peur et l’aggression en lieu public...la stratégie des clefs qui ne marche pas...mais ce que l’auteure dit aussi, pour comprendre un peu plus d’article :

      « Les systèmes d’arlame et les applications développés par la science à utiliser en cas d’aggression disent aux femmes : ’Il faut apprendre à vivre avec la violence. Jamais il y aura une fin’. Au lieu d’apprendre aux hommes d’arrêter les aggressions, les femmes doivent réfléchir comment fuir ou trouver de l’aide. Comme si la violence serait inévitable. Ces inventions techniques manquent à prendre en compte que la plupart des aggressions sexuelles se deroulent en éspace privé. »

      [...]

      « Le Ministère de la famille constate en 2004 plus de 70% cas de violence sexuelle dans l’appartement de la femme concerné. Selon l’organisation Terre des Femmes une femme sur quatre en Allemagne était victime de violence sexuelle ou physique de son (ancien) compagnon. »

      [...]

      « Le traumatisme persiste dans les prochaines générations. [...]. Il est confirmé : la peur et le traumatisme sont transmis de génération à génération. Pourquoi doit-il être different pour la violence à caractère sexuel ? »

  • Donna Ferrato - Living with the Enemy | International Center of Photography

    https://www.icp.org/browse/archive/collections/donna-ferrato-living-with-the-enemy?page=2

    Donna Ferrato - Living with the Enemy
    For over twenty years, Donna Ferrato has been documenting the effects of domestic violence on abused women and their children. Photographing in emergency rooms and shelters, courtrooms and activist rallies, batterers’ groups and women’s detention centers, Ferrato aims to expose “the dark side of family life.” Collected in the exhibition and publication “Living with the Enemy” (Aperture, 1991), these groundbreaking pictures are paired with texts by the photographer drawn from her conversations with the victims and perpetrators of abuse. In addition to a selection of prints from “Living with the Enemy,” ICP also maintains an extensive archive of Ferrato’s own research materials related to domestic violence as well as to the genesis of this ambitious and ongoing photographic project.

    #photographie #violence_domestique #famille #DonnaFerrato #livre #genre @cdb_77

  • Gli ostacoli al contrasto della violenza sulle donne

    In Europa gli stereotipi sessisti ostacolano la diffusione di efficaci strumenti di contrasto alla violenza di genere. Nel 2018 la ratifica della Convenzione di Istanbul è stata respinta da Bulgaria e Slovacchia. Ma anche dove la ratifica c’è stata, l’applicazione spesso procede a rilento.

    n Lituania una donna vittima di violenza maschile non saprebbe dove andare a stare, nel caso non avesse modo di sottrarsi autonomamente agli abusi subiti per esempio in famiglia. In questo paese non esistono infatti rifugi per l’accoglienza di donne vittime di violenza ed eventuali figli. Questo vuol dire che non vi è nessuno dei posti letto che sarebbero stabiliti dalla Convenzione di Istanbul, che il paese ha firmato nel 2013 ma mai ratificato.

    Nei paesi dell’Unione europea la Lituania è l’unico dove si registra la totale assenza di uno dei servizi considerati basilari per il contrasto alla violenza di genere: la disponibilità di luoghi protetti e accessibili gratuitamente, dove una donna che ha subito violenza può trovare riparo, protezione e assistenza per uscire dalla condizione di vittima. Tuttavia numerosi paesi sono ancora troppo vicini a questo vuoto: in Polonia manca il 99% dei posti letto attesi, nella Repubblica Ceca ne manca il 91%, in Bulgaria il 90%, mentre l’Italia è ferma all’89%.

    È un momento, quello attuale, in cui le politiche di parità e antidiscriminazione, comprese le azioni per il contrasto alla violenza contro le donne, registrano attacchi anche notevoli e azioni organizzate di contrasto. Come quello che comincia a essere noto come “Agenda Europe ”, un piano transnazionale per la restaurazione di una visione conservatrice e religiosa della società, e per il contrasto di politiche antidiscriminatorie, tra cui viene inclusa la tanto paventata “ideologia gender”.
    La situazione nell’est Europa

    La parola “gender” è oggetto del contendere anche in molti paesi dell’Est Europa in cui si sta dibattendo la ratifica o meno della Convenzione di Istanbul. È proprio su questo termine che in Slovacchia la ratifica è stata rigettata e in Bulgaria la Convenzione è stata dichiarata incostituzionale. Anche in Lituania la ratifica risulta impantanata per il rifiuto di accettare l’articolo 3.c della Convenzione, in cui il genere viene definito come un insieme di regole, comportamenti, attività e attributi che una società considera accettabili per uomini e donne. Un passaggio centrale nella Convenzione, indispensabile per mostrare che alla base della violenza spesso agiscono lo squilibrio di potere e i rapporti di forza e sottomissione tra uomini e donne radicati nella società. In altre parole, per indicare che la violenza di genere è perpetrata contro le donne proprio in quanto tali (art. 3.d).

    In totale i paesi che hanno ratificato la Convenzione di Istanbul sono 33, con Croazia, Grecia, Islanda, Lussemburgo e Macedonia che si sono uniti nel 2018. Ma nonostante le ratifiche sottoscritte da molti paesi est europei, in quest’area dell’Unione ci sono stati anche molti contrasti. Campagne di opposizione alla Convenzione sono state organizzate in diversi paesi: in Croazia ci sono state manifestazioni in piazza, in Bulgaria e Slovacchia si è arrivati al rifiuto della ratifica, mentre in Lituania non si riesce a portare avanti la discussione parlamentare.

    In generale nel paesi dell’est Europa si registra una scarsa conoscenza dei servizi rivolti alle donne vittime di violenza, come riporta un sondaggio 2016 di Eurobarometro sulla violenza di genere. Nel sondaggio tra le altre cose emerge che, considerando tutta l’Europa, un intervistato su cinque condivide punti di vista che tendono a colpevolizzare le vittime stesse - “se la sono cercata” è una narrazione che si sente spesso, persino in sede processuale - o ancora l’idea che quella sulla violenza maschile è una ricostruzione spesso esagerata se non inventata. Punti di vista largamente diffusi nell’Est Europa, sottolinea lo stesso sondaggio, così come è diffusa una certa ritrosia a denunciare gli episodi di violenza: nell’Europa orientale le persone sono generalmente propense a considerare la violenza domestica una questione privata che va gestita all’interno della famiglia; ad esempio si trova d’accordo con questa affermazione il 34% dei bulgari che hanno risposto al sondaggio e il 32% dei romeni.

    E ancora in un recente sondaggio nella Repubblica Ceca emerge che il 58% degli intervistat i pensa che lo stupro possa essere in qualche modo giustificabile da atteggiamenti della vittima stessa, come per esempio camminare da sole di notte o vestire in un modo piuttosto che in un altro. Una mentalità che tende a scoraggiare le denunce: secondo le stime, sempre nella Repubblica Ceca solo tra il 5 e l’8% dei casi di violenza finisce per essere riportato alla polizia, e ancora meno sono poi le storie che da lì finiscono in tribunale.
    Le dimensioni del problema

    In realtà però non si conosce ancora la reale dimensione del problema, le statistiche ufficiali sulle donne vittime di violenza sono ancora molto lacunose, e se si guarda a ciò che arriva nei tribunali si entra nel vivo di una mancanza di informazioni che comprende molti aspetti, dalla grande disomogeneità nel modo in cui sono raccolti i dati - per esempio nel conteggio delle violenze stesse o dei femminicidi - fino all’assenza di statistiche complete su esposti, denunce, cause intentate ed effettive condanne. La notevole varietà dei dati esistenti lascia ipotizzare sia differenze metodologiche di raccolta ed elaborazione, sia marcate differenze di mentalità tra i vari paesi per quanto riguarda la concezione stessa di violenza di genere.

    In generale in Europa sul fronte della fiducia delle donne vittime verso le istituzioni non va molto bene, se si pensa che solo una donna su 3 (il 33%) vittima di violenza grave da parte del partner si rivolge alla polizia o a strutture e organizzazioni dedicate. Percentuale che scende al 26% quando l’aggressore non è il proprio partner.

    Anche nei paesi dove l’emancipazione femminile è generalmente considerata più avanzata, la violenza non è affatto scomparsa, anzi. Spesso ha solo cambiato modalità o situazioni in cui si presenta. Un rapporto europeo pubblicato nel 2007 su violenza di genere e indipendenza economica rileva una situazione molto articolata quando si mettono in relazione emancipazione femminile e violenza. L’avere un lavoro fa registrare una lieve diminuzione della violenza subita in casa, ma solo se non ci sono di mezzo dei figli. E se da un lato le donne con livelli avanzati di istruzione risultano un po’ più al riparo da violenza sessuale e violenza da parte del partner, questa condizione espone maggiormente a molestie sessuali. Da notare inoltre che anche il livello di indipendenza economica conta: quando le donne guadagnano di più del partner, si segnala un consistente aumento della violenza da parte del partner; all’opposto quando la donna guadagna meno, risulta più esposta ad abusi psicologici.

    Molto resta ancora da fare, dunque. Non solo per agevolare firme e ratifiche della Convenzione di Istanbul, ma anche per garantire l’effettiva applicazione dei suoi contenuti. Non a caso la Convenzione stessa prevede un’attività di monitoraggio e valutazione ex post, che proprio quest’anno è stata condotta in Italia. Nel rapporto da poco pubblicato dall’associazione “Dire” si legge di numerosi ostacoli che le donne incontrano sia con le forze dell’ordine sia in ambito sanitario “dovuti ancora a scarsa preparazione e formazione sul fenomeno della violenza, ma soprattutto al substrato culturale italiano, caratterizzato da profondi stereotipi sessisti e diseguaglianze tra i generi, oltre che pregiudizi nei confronti delle donne che denunciano situazioni di violenza, cui ancora si tende a non credere”.

    Il rapporto definisce irrisori i fondi stanziati per contrastare la violenza sulle donne: secondo un dato ripreso dalla Corte dei Conti italiana ai centri antiviolenza e alle case rifugio arriverebbero circa 6.000 € annui, una cifra largamente insufficiente per ottenere gli standard di protezione da garantire alle vittime, e tanto più per pianificare azioni di prevenzione e contrasto di più ampio respiro. Risorse di cui il rapporto segnala anche una costante diminuzione negli anni e una distribuzione “a macchia di leopardo”, che si traduce nella presenza di strutture quasi solo al centro nord e una grave carenza strutturale nel sud e nelle isole.

    https://www.balcanicaucaso.org/aree/Europa/Gli-ostacoli-al-contrasto-della-violenza-sulle-donne-191542
    #violence_domestique #femmes #genre #violence #protection #convention_d'Istanbul #Bulgarie #Slovaquie #refuge #Europe

  • Comment intégrer les hommes, dont les auteurs de violences conjugales, dans les luttes féministes pour l’égalité ?
    https://www.bastamag.net/Comment-integrer-les-hommes-dont-les-auteurs-de-violences-conjugales-dans-

    Pour agir en faveur de l’égalité femmes-hommes, il est nécessaire de travailler avec les hommes, sur les représentations que ceux-ci ont d’eux-mêmes, sur les clichés liés à la virilité, sur les privilèges et les pouvoirs que la société leur octroie. Telle est la conviction d’Anaïs, David et Simon. Pratiquant l’éducation populaire, le trio travaille dans des centres sociaux, dans des prisons auprès de détenus condamnés pour violences conjugales, et dans le dialogue avec des familles, des pères, des conjoints… (...)

    #Inventer

    / #Féminisme, #Education_populaire_et_pédagogies_alternatives, #Reportages, #Inégalités, A la (...)

  • #Les_Mohamed

    #Jérôme_Ruillier nous fait (re)découvrir l’#histoire de l’#immigration maghrébine à travers des témoignages poignants (en trois parties : les pères, les mères, les enfants), qui rendent compte de la quête d’identité et des effets au quotidien du racisme.

    – Comme il y a un après Maus d’Art Spiegelman qui a révolutionné les consciences, il y aura désormais un après Les Mohamed
    – Une réflexion sur la France d’aujourd’hui, ses évolutions, son métissage, ses peurs, ses nouvelles revendications d’égalité et de justice sociale
    – Un regard d’auteur courageux dans lequel Ruillier n’hésite pas à se mettre en scène avec ses propres doutes, ses interrogations


    http://editions-sarbacane.com/les-mohamed
    #BD #livre #migrations #Algérie #guerre_d'Algérie #France #accords_d'Evian #travailleurs_immigrés #enracinement #contingents #OS #ouvriers_spécialisés #boucs_émissaires #colonialisme #colonialisme #regroupement_familial #solitude #Renault #industrie_automobile #île_Seguin #chaîne_de_montage #syndicat #alphabétisation #analphabétisme #indifférence #retraite #aide_au_retour #nationalité #citoyenneté #second@s #Algérie #Maroc #Douai #Houillère #extractivisme #charbon #mines #Sagenorpa #logement #baraquements #baraques #travail #accidents_de_travail #souffrance #solitude #Givors #guerre_d'Algérie #loi_Stoléru #identité #ZUP #foyer #foyer_de_célibataires #Montfermeil #violence_domestique #sexualité #liberté #arabophobie #discriminations #racisme #xénophobie #mariage_forcé #alphabétisation #cours_d'alphabétisation #cité_de_transit #barbelé #frontières_urbaines #frontières_intra-urbaines #brigade_spéciale #HLM #Nanterre #bidonville #voile #aide_au_retour #17_octobre #police #violences_policières #marche_des_beurs #résistance

  • Mise en œuvre de la #Convention_d’Istanbul en #Suisse

    La Convention d’Istanbul est en vigueur en Suisse depuis le 1er avril 2018. Ce traité international vise à prévenir et à lutter contre la violence à l’égard des #femmes et la #violence_domestique, et ce quels que soient la nationalité ou le #statut de séjour de la victime. Ainsi, la mise en œuvre de cette convention soulève actuellement des questions dans le domaine de la migration.

    La Suisse doit s’assurer que la mise en œuvre de la Convention d’Istanbul soit faite sans discrimination aucune, fondée notamment sur l’origine nationale, le statut de migrant ou de réfugié (art. 4, al. 3). Ainsi, des questions d’ordre juridique et pratique surviennent, que l’ont peut formuler en ces termes :

    les femmes réfugiées victimes de #violence ou d’#exploitation_sexuelle, notamment pendant leur fuite ou dans leur pays d’origine, bénéficient-elles d’un soutien suffisant en Suisse, considérant que les organes d’aide aux victimes n’offrent leur soutien que si l’infraction a été commise en Suisse ?
    existe-t-il suffisamment de mesures sensibles au genre concernant l’hébergement des femmes et des filles requérantes d’asile aux fins de leur protection contre la violence ?

    Ces questions ont fait l’objet de débats au Parlement suisse, notamment dans le cadre du postulat Feri («  Analyse de la situation des réfugiées  » (16.3407)). Ci-après, les dispositions pertinentes de la Convention d’Istanbul par rapport à ces questions sont énoncées et mises en rapport avec le contexte en Suisse.
    Accès à des services de soutien en cas de violence

    Selon la Convention d’Istanbul, toutes les femmes et les filles victimes de violence fondée sur le genre, y compris la violence domestique, doivent, sans distinction fondée sur la nationalité, le statut de réfugié ou de migrant, avoir accès à des services de soutien permettant leur protection et facilitant leur rétablissement.

    L’accès aux services de soutien spécialisés dans l’assistance aux victimes doit être garanti de manière immédiate (art. 22), s’agissant notamment, selon le Rapport explicatif de la Convention, à court et à long terme, d’une aide médicale, de conseils psychologiques, juridiques et d’un logement sûr (refuge, art. 23).
    L’accès aux services de soutien généraux, c’est-à-dire ouverts au public et pas seulement aux victimes de violences, doit également être garanti, s’agissant par exemple du conseil juridique et psychologique, de l’assistance financière, du logement, de la formation et de l’assistance en matière de recherche d’emploi (art. 20, al. 1). L’accès aux soins et aux services sociaux doit également être garanti en ce sens que ces services doivent être dotés de ressources suffisantes et d’un personnel formé aux différentes thématiques des violences fondées sur le genre afin d’apporter une assistance aux personnes et de les orienter vers des services adéquats (art. 20, al. 2). En matière d’accès aux soins, la Convention d’Istanbul ne fait qu’insister sur une obligation qui découle déjà du Pacte international relatif aux droits économiques, sociaux et culturels (Pacte I), s’agissant notamment de l’accessibilité par les migrants et personnes du domaine de l’asile et des exigences spécifiques au genre (cf. la Déclaration sur les devoirs des Etats envers les réfugiés et les migrants au titre du Pacte international relatif aux droits économiques, sociaux et culturels et l’Observation générale n° 14, « Le droit au meilleur état de santé susceptible d’être atteint » du Comité des droits économiques, sociaux et culturels).
    Les requérants d’asile doivent, en outre, bénéficier de « services de soutien » selon l’article 60, al. 3, de la Convention. Il s’agit, selon le Rapport explicatif de la Convention, d’apporter aux requérants d’asile une « assistance sensible au genre » qui réponde à leurs besoins particuliers. De fait, beaucoup de requérants d’asile ont vécu des événements traumatisants et des violences, durant leur fuite ou dans leur pays d’origine. Le Rapport explicatif de la Convention suggère ainsi que les Etats mettent en place un soutien psychosocial ou des services de conseil supplémentaires, ainsi que des soins médicaux pour les rescapés de traumatismes. Ces services de soutien visent à permettre aux femmes victimes de violences, notamment sexuelles, de s’autonomiser et se reconstruire activement.

    En Suisse, l’assistance aux victimes de violences repose principalement sur la loi fédérale sur l’aide aux victimes d’infractions (LAVI) du 23 mars 2007. Or, cette loi conditionne notamment les mesures d’assistances ou leur financement au lieu de commission de l’infraction ou de résidence de la victime au moment des faits, à savoir la Suisse (art. 3 LAVI). Autrement dit, les violences subies pendant leur fuite ou dans leur pays d’origine par les migrantes, réfugiées, requérantes d’asile, admises provisoirement ou déboutées, ne donnent pas droit à une prise en charge au titre de la LAVI. La prise en charge de ces services de soutien, lorsque les prestations (y compris l’interprétariat qui est souvent nécessaire) ne sont pas couvertes par la LAVI ou l’assurance maladie obligatoire, devrait en principe être assurée par la Confédération s’agissant des requérants d’asile logés dans les centres fédéraux ou par les cantons, qui sont responsables pour l’aide sociale des autres personnes. Il reste cependant à savoir de quelle manière cette prise en charge est organisée concrètement par la Confédération ou dans les cantons, et si des obstacles existent en droit et/ou en pratique quant à l’accessibilité aux services de soutien en cas de violence.
    Concept de protection contre la violence dans les centres d’hébergement de requérants d’asile

    La Convention d’Istanbul dispose, à l’article 60, al. 3, que les Etats parties doivent mettre en place des « procédures d’accueil sensibles au genre » des personnes requérant l’asile. Selon le Rapport explicatif de la Convention, il s’agit de prendre en compte les « besoins particuliers de protection » selon le sexe (sous-entendu, des femmes) lorsque sont élaborés les standards en matière d’accueil des requérants d’asile. En d’autres termes, le concept d’encadrement et d’hébergement dans les centres de premier accueil doit garantir le droit à la sécurité des résidentes.

    Le Rapport explicatif de la Convention fournit une liste de bonnes pratiques de procédures d’accueil sensibles au genre, qui ont fait leur preuve dans d’autres pays, à savoir :

    l’identification des victimes de violence à l’égard des femmes dans les procédures d’asile aussitôt que possible  ;
    le logement séparé des hommes et des femmes célibataires  ;
    des toilettes séparées, ou au minimum, des horaires différents établis et suivis pour permettre leur utilisation par les hommes et les femmes  ;
    des chambres pouvant être verrouillées par leurs occupants ;
    un éclairage adéquat dans tout le centre d’accueil  ;
    une protection effectuée par des gardes, incluant des gardes de sexe féminin, formés concernant les besoins spécifiques au genre des résidents  ;
    la formation des employés du centre d’accueil  ;
    un code de conduite applicable également aux prestataires de services privés ;
    des dispositions formelles pour l’intervention et la protection relatives à la violence fondée sur le genre  ;
    la fourniture d’informations aux femmes et aux filles sur la violence fondée sur le genre et sur les services d’assistance disponibles.

    S’agissant d’exemples de bonnes pratiques, ils ne constituent pas des obligations juridiquement contraignantes devant être impérativement suivies par les Etats parties. Cependant, la mise en place d’une procédure d’accueil sensible au genre constitue, elle, une obligation.

    En Suisse, l’obligation de mettre en place une procédure d’accueil sensible au genre existe à deux niveaux. Le premier concerne l’accueil des requérants d’asile dans un centre géré par la Confédération, pendant une durée maximale de 90 jours (140 jours à partir du 1er mars 2019). Le second niveau concerne l’accueil des requérants d’asile dans le canton dans lequel ils ont été attribués. Les conditions d’accueil diffèrent selon les cantons ou les situations (centres d’hébergement collectifs de petite, moyenne ou grande taille, gérés par des organismes de droit public ou des prestataires privés, ou hébergement en appartements privés). En d’autres termes, il ne peut pas exister en Suisse une procédure d’accueil sensible au genre, mais il en existe, ou devrait en exister, plusieurs.

    Une procédure d’accueil sensible au genre, aux niveaux des centres fédéraux ou cantonaux, peut revêtir plusieurs formes. Il peut s’agir de règles juridiquement contraignantes qui découlent d’une loi, d’une ordonnance ou de directives. S’agissant par exemple des centres gérés par la Confédération, l’ordonnance actuellement en vigueur du Département fédéral de justice et police (DFJP) relative à l’exploitation des logements de la Confédération dans le domaine de l’asile du 24 novembre 2007 dispose à son article 4, al. 1, relatif à l’hébergement que « les requérants d’asile et les personnes à protéger sont logés dans des dortoirs non mixtes. Les besoins particuliers des enfants, des familles et des personnes nécessitant un encadrement sont pris en compte dans la mesure du possible lors de l’attribution des lits ». Par ailleurs, l’article 3, al. 2, relatif à la saisie d’objets, prévoit que les requérants ne peuvent être fouillés que par des personnes du même sexe.

    Un concept de protection contre la violence ou des dispositions relatives à l’hébergement et l’encadrement sensibles au genre peut ou peuvent également être intégré(es) dans le contrat de prestations conclu entre l’autorité et le prestataire privé ou l’organisme de droit public.

    Il peut s’agir, enfin, de principes d’action ou principes directeurs qui ne sont pas nécessairement juridiquement contraignants mais qui sont respectés dans les faits, notamment parce qu’ils font partie de la formation dispensée au personnel d’encadrement dans les centres d’hébergement. En principe cependant, seules des dispositions contraignantes permettraient de respecter l’obligation, imposée par la Convention d’Istanbul, de mettre en place une procédure d’accueil des requérants d’asile sensible au genre.

    Reste donc la question de savoir si un tel concept de protection contre la violence existe, tant au niveau de la Confédération que des cantons, en matière d’hébergement des requérants d’asile et des autres personnes relevant du domaine de l’asile. Le rapport du Conseil fédéral en réponse au postulat Feri devrait également apporter des éléments de réponses sur ce point.
    Conclusion

    La Convention d’Istanbul s’applique à toutes les femmes et les filles victimes de violence fondée sur le genre, y compris la violence domestique, quel que soit le statut de séjour de la personne sur le territoire suisse. Le postulat Feri (16.3407) soulève des questions pertinentes en matière d’accès aux services de soutien et s’agissant de concept(s) de protection contre la violence dans les centres d’hébergement de requérants d’asile, auxquelles le rapport du Conseil fédéral attendu en 2019 devrait apporter des réponses concrètes.

    http://www.skmr.ch/frz/domaines/migration/nouvelles/mise-en-oeuvre-de-la-convention-d-istanbul.html
    #traite #migrations #réfugiés #asile

  • #Disgrazia !

    Entre 1921 et 1930, plus d’un million d’Italiens quittent leur pays pour la France. Parmi eux, une famille sicilienne tente sa chance à Grenoble. D’une génération à l’autre, ce récit graphique retrace l’histoire de cette migration qui fût, comme tant d’autres, marquée par la #pauvreté et le labeur.


    https://www.bdfugue.com/disgrazia
    #BD #migrations #migrants_italiens #Sommatino #Corato #mines #mineurs #miniera_Trabia-Tallarita #Grenoble #soufre #Sicile #Pouilles #violence_domestique #sexisme #racisme #xénophobie #livre #patriarcat #machisme #discriminations #inégalités

    • Et une autre BD par la même auteure (très très belle aussi) :
      #De_l’autre_côté

      Dans ce nouvel opus, Coline Picaud poursuit, prolonge et amplifie le projet qu’elle avait initié avec sa précédente bande dessiné, Disgrazia !1 Alors que cette dernière portait sur l’immigration italienne, cette fois-ci Coline Picaud se penche sur l’#immigration_maghrébine, toujours dans sa ville natale de Grenoble. Sa méthode, oscillant entre le journalisme de terrain et l’ethnographie, consiste à rencontrer des acteurs de cette immigration, de leur donner largement la parole et d’illustrer leur propos. Au cœur de son travail : l’histoire. En effet, son ambition est de rendre compte du processus migratoire dans sa ville depuis l’après Seconde Guerre mondiale. Pour cela, elle a rencontré, longuement, tout d’abord de vieux Algériens, puis des Marocains et des Tunisiens. Leur récit plonge dans la France coloniale puisque l’ère de l’indépendance n’avait pas encore sonné au moment où ils sont arrivés dans l’hexagone. Comme dans de nombreuses villes, les immigrés se fixent dans un quartier spécifique de Grenoble, #quartier_populaire et dégradé. Le lecteur découvre la réalité d’une vie aliénée, faite d’exploitation au travail, de conditions de vie urbaines difficiles, de racisme et de rejet latent de la part des populations locales. Les années passant, une vie familiale et communautaire s’organise, entrecoupée de luttes comme celle des foyers #Sonacotra dans les années 1970. Puis le quartier est en prise avec la #rénovation_urbaine qui vient déstructurer l’environnement de travailleurs désormais vieillis et retraités.

      Un second chapitre est centré sur le témoignage de Zahra, une jeune fille franco-marocaine qui a livré ses impressions et sentiments en échange de cours d’alphabétisation. Cette partie est très intéressante car elle donne largement la parole à l’expérience d’une femme pour qui les difficultés sont plus marquées encore que pour les hommes, leurs maris. L’histoire des conditions de passage du permis de conduire par Zahra est particulièrement éloquente. Enfin la dernière partie offre une perspective actuelle, à partir des témoignages variés de Maghrébins arrivés récemment dans l’hexagone. Cette nouvelle génération de migrants grenoblois se compose d’étudiants, de travailleurs précaires (parfois sans-papiers) ou de réfugiés politiques. Leur histoire est très loin d’être une « success story », certains se faisant renvoyer (le cas de Sousou), d’autres réussissant après bien des épreuves à obtenir des papiers.

      Ces récits de vie, kaléidoscopiques, offrent au lecteur une riche et vivante perspective de l’expérience d’immigration, valable bien au-delà du territoire grenoblois et constituent un sévère réquisitoire contre toutes les volontés dominantes de restreindre les possibilités migratoires. De ce point de vue, De l’autre côté de Coline Picaud apparaît comme un plaidoyer pour combattre les préjugés sur les migrations, sujet d’une actualité brûlante en cet automne 2015.


      https://dissidences.hypotheses.org/6261
      #migrants_algériens #migrants_tunisiens #migrants_marocains #quartier #gentrification #urban_matter

  • No place of safety. The inside story of how women fleeing domestic violence lost their refuge

    The Bureau of Investigative Journalism has been following the stories of six of the seven women housed in that shelter for the past three months as they have been buffeted around the social services system, from hotels, to council meetings, to lonely flats. The seventh woman has dropped off everyone’s radar.


    https://www.thebureauinvestigates.com/stories/2017-10-16/no-place-of-safety
    #violence_domestique #femmes #sécurité #disparitions #services_sociaux #errance #refuge #maison #logement #hébergement #UK #Angleterre