Le persone non hanno smesso di partire, semplicemente muoiono altrove.
Durante l’incontro tra la presidente Giorgia Meloni e il primo ministro inglese Keir Starmer avvenuto il 16 settembre a Roma, quest’ultimo si è complimentato 1 con la prima per il successo ottenuto sul calo degli sbarchi in Italia dalla Tunisia. Starmer sarebbe ora interessato ad adottare il “modello italiano” sulle migrazioni, con un particolare interesse rivolto al nuovo Memorandum Italia-Albania e ai metodi di deterrenza utilizzati dall’Unione Europea (UE) e dall’Italia per contrastare le partenze dalle coste nordafricane. Tuttavia, ciò che il Governo o il Ministro dell’Interno Matteo Piantedosi omettono durante le conferenze stampa o i post trionfali sui social è a quale prezzo ottengono tali risultati.
Una lunga e costosa tradizione di accordi e memorandum sulla pelle delle persone migranti
Tra i metodi di deterrenza utilizzati dall’UE per contrastare le migrazioni, spicca quello di stipulare accordi con i Paesi terzi (di provenienza o quelli da cui partono maggiormente le persone migranti) 2. Tali accordi si basano sull’esternalizzazione delle frontiere, ossia sull’appaltare le operazioni di respingimento o contenimento dei flussi migratori ad altri Paesi. Si tratta di operazioni estremamente costose e poco trasparenti che il progetto di Action Aid e Irpi Media The Big Wall cerca attualmente di tracciare 3.
Un esempio tra tutti è l’accordo Italia-Libia – nato nel 2017 durante il governo Gentiloni – che ha la funzione di impedire alle persone migranti di partire o di raggiungere la penisola. Tramite gli ingenti finanziamenti – da centinaia di milioni di euro 4 – dell’Italia e dell’UE che dal 2017 vengono devoluti in Libia, oltre alle motovedette italiane, le milizie libiche catturano le persone migranti che partono dalle coste del Paese per riportarle nei centri di detenzione. In questi centri le persone di ogni età vengono sistematicamente torturate, violentate o uccise.
“Secondo un rapporto del giugno 2022 della missione d’inchiesta indipendente delle Nazioni Unite sulla Libia 5, le persone migranti nel paese subiscono omicidi, sparizioni forzate, torture, schiavitù, violenze sessuali, stupri e altri atti inumani in relazione alla loro detenzione arbitraria. Nel settembre 2022, il Procuratore della Corte Penale Internazionale ha dichiarato in un comunicato che, secondo la valutazione preliminare del suo ufficio, gli abusi contro i migranti in Libia possono costituire crimini contro l’umanità e crimini di guerra”, riportava Human Rights Watch nel 2023 6.
Ciononostante, il Ministro Piantedosi continua a pubblicare tweet in cui afferma di aver condotto con successo operazioni di respingimento tramite la collaborazione della Libia. Tale dichiarazione, peraltro, è stata recentemente denunciata al Tribunale Penale Internazionale dalla Ong Mediterranea Saving Humans 7 in quanto la Libia non è paese sicuro e il respingimento si configura quindi come violazione delle norme internazionali ed europee in materia – come già stabilito da una sentenza della Cassazione sul caso del respingimento illegale condotto dalla nave italiana Asso 28 8.
In aggiunta, ricordiamo che mentre il governo sostiene di voler “combattere il traffico di esseri umani” tramite questi accordi, è stato provato come le stesse milizie libiche che si occupano della cattura delle persone migranti siano composte da trafficanti a loro volta.
Primo fra tutti Abdul Rahman al-Milad, detto “Bija” – recentemente ucciso a Tripoli – che non solo era presente nella lista nera dei trafficanti e ricercati internazionali Onu, ma che nel 2017 era perfino presente a un incontro al Viminale.
“Nel settembre del 2019 “Avvenire” aveva pubblicato le immagini che ritraevano proprio Bija, allora capitano della cosiddetta “guardia costiera libica”, durante un viaggio in Italia nel 2017, tenuto a lungo riservato dalle autorità. […] Ad oggi, cinque anni dopo la pubblicazione e sette anni dopo i fatti, i governi italiani che si sono succeduti non hanno mai chiarito quali fossero le tappe della missione di al-Milad in Italia, nonostante due dozzine di interrogazioni parlamentari in gran parte rimaste inevase”, si legge su Avvenire. Bija stesso gestiva il centro di detenzione di Zawyia e si è reso artefice dell’annegamento di decine di persone migranti contro cui aveva sparato.
Lontano dagli occhi, lontano dalle coste italiane: stupri e respingimenti illegali in Tunisia
Anche la Tunisia è uno dei partner strategici di Italia e UE per le operazioni di esternalizzazione delle frontiere. A questo proposito ricordiamo l’accordo siglato nel giugno del 2023, in seguito a una conferenza a cui hanno partecipato la presidente Meloni, la Commissaria UE Ursula von Der Leyen e il primo ministro olandese Mark Rutte e il presidente tunisino Kais Saied. L’accordo prevedeva lo stanziamento di 100 milioni di euro volto, almeno sulla carta, a “operazioni di ricerca e soccorso”, “gestione delle frontiere”, “lotta contro il traffico di esseri umani” e “politica dei rimpatri”.
Tuttavia, già nell’agosto dello stesso anno, come riporta l’Irpi 9, l’Ufficio delle Nazioni Unite per i diritti umani (Ohchr) si chiedeva se non ci fosse il pericolo che l’accordo UE-Tunisia potesse facilitare casi di violazioni dei diritti umani a danni di persone migranti nere e di altre fasce di popolazione vulnerabile. Questo perché, come è ormai noto, lo stesso presidente Saied da tempo sta adottando politiche sempre più repressive nei confronti delle persone migranti perlopiù provenienti dai Paesi dell’Africa sub-sahariana.
La testata giornalistica indipendente tunisina Inkyfada, nel mese di maggio, ha pubblicato un articolo 10 in cui, sviscerando le attuali politiche di Saied in materia di immigrazione e repressione del dissenso, ha affermato che il presidente ha lanciato una campagna d’odio razzista contro le persone migranti nere, associando l’immigrazione a “un piano criminale per cambiare la composizione del panorama demografico in Tunisia”.
Da lì in poi sono nate vere e proprie persecuzioni contro le persone nere, non solo immigrate ma anche di cittadinanza tunisina 11. L’impiego massiccio delle forze dell’ordine tunisine non ha fatto altro che acuire le violenze contro le persone migranti, le quali non solo vengono illegalmente respinte e scaricate nel deserto 12 , al confine con l’Algeria – come hanno rivelato Irpi Media, Lighthouse Reports e altre testate giornalistiche in un’importante inchiesta internazionale 13 – ma subiscono stupri e altre forme di violenza.
Su quest’ultimo punto, l’ultima inchiesta del Guardian 14 riporta testimonianze agghiaccianti. Una di queste è quella di Marie, ivoriana di 22 anni, che racconta di essere stata aggredita sessualmente a pochi chilometri da Sfax. “Era chiaro che mi avrebbero violentata”, [afferma Marie]. Le sue urla l’hanno salvata, allertando un gruppo di rifugiati sudanesi di passaggio. I suoi aggressori si sono ritirati in un’auto di pattuglia. Marie sa di essere stata fortunata. Secondo Yasmine, che ha creato un’organizzazione sanitaria a Sfax, centinaia di donne migranti sub-sahariane sono state violentate dalle forze di sicurezza tunisine negli ultimi 18 mesi”, si legge nell’inchiesta.
Nonostante l’UE sia consapevole delle denunce inerenti agli abusi subiti dalle persone migranti da parte delle stesse autorità con cui collabora per tenerle lontane dall’Europa, secondo il Guaridan “[l’UE] sta chiudendo un occhio”, puntando a esternalizzare il confine meridionale dell’Europa all’Africa. Inoltre, “si prevede di inviare alla Tunisia più denaro di quanto ammesso pubblicamente”.
Un’altra testimonianza raccolta dall’inchiesta, è quella di Moussa, 28enne originario di Conakry (Guinea). Dopo essere stato catturato in mare dalla guardia nazionale tunisina e riportato a Sfax – insieme ad altre 150 persone, tra cui minori – ha affermato di aver assistito a una scena brutale in cui le stesse autorità hanno iniziato sistematicamene a stuprare le donne.
“C’era una piccola casa […] ogni ora circa prendevano due o tre donne […] e le violentavano lì. Hanno preso molte donne. Potevamo sentirle urlare, chiedere aiuto. A loro non importava che c’erano 100 testimoni”. Inoltre, Moussa spiega che alcune riuscivano a malapena a camminare, ad altre sono stati restituiti i loro bambini ed altre ancora furono brutalmente picchiate. “C’era una donna incinta e l’hanno picchiata finché il sangue non ha cominciato a uscirle dalle gambe. È svenuta”.
Oltre alla violenza sessuale, quindi anche le percosse fisiche e sistematiche. Lo racconta Joseph, keniano di 21 anni, che è stato prelevato dal campo profughi di El Amra lo scorso settembre durante un raid della guardia nazionale tunisina. “Siamo stati ammanettati e messi su un autobus. La polizia picchiava tutti con i manganelli: bambini, donne, anziani. Tutti”. E ancora, si legge nell’inchiesta: “Sono stato colpito molte volte [afferma Joseph]”.
Ad altri è andata peggio: una guardia ha sparato un proiettile di gas lacrimogeno in faccia a un amico. “Il suo occhio pendeva dall’orbita e la sua gamba era stata rotta dalla polizia, quindi doveva saltare”. Joseph racconta che le autorità lo hanno infine abbandonato al confine con l’Algeria, rubandogli il passaporto, il cellulare e i soldi.
La guardia nazionale tunisina, oltre a violenze sessuali e trattamenti inumani e degradanti, utilizza come forma di deterrenza anche l’intimidazione nei confronti di bar o caffè che offrono i loro prodotti alle persone migranti, blindando soprattutto la città di Sfax: “Adesso Sfax è off-limits. La polizia ha “ripulito” i quartieri dalle persone migranti […]. I proprietari dei bar vengono arrestati se una persona migrante viene sorpresa a ordinare un caffè. Squadracce della polizia [effettuano raid] nei distretti come Haffara, pronti a rimuovere qualsiasi persona migrante”. Le persone sono quindi segregate ad El Emra, dove non arrivano neanche gli aiuti umanitari.
Benché l’UE continui ad affermare che lo scopo sia porre fine al traffico di esseri umani, quello che continuano a denunciare le organizzazioni umanitarie e le inchieste giornalistiche è che spesso i trafficanti fanno affari con le stesse autorità con cui collabora l’Europa.
Infatti, sottolinea il Guardian: “L’UE afferma di voler migliorare il codice di condotta per la polizia tunisina, un’ambizione che incorpori la formazione sui diritti umani. I contrabbandieri di Sfax, tuttavia, raccontano al Guardian di una corruzione diffusa e sistematica tra loro e la guardia nazionale. La guardia nazionale organizza le barche del Mediterraneo. Li guardano entrare in acqua, poi prendono la barca e il motore e ce li rivendono”.
Un circolo vizioso quindi, dove sostanzialmente l’UE e l’Italia si rendono artefici di false “soluzioni” securitarie da centinaia di milioni di euro, finanziando ed equipaggiando forze di polizia di paesi terzi che a loro volta collaborano con trafficanti. Trafficanti che, a differenza di chi poi viene incriminato o incriminata per “scafismo” come capro espiatorio solo perché sull’imbarcazione aiutava compagni e compagne di viaggio, si guardano bene dal rischiare la vita nel Mediterraneo. Resta quindi da chiedersi chi siano allora i veri mandanti di trafficanti, torturatori e autorità di frontiera violente.
Calano gli sbarchi, ma muoiono altrove
Utilizzando motovedette fornite dall’Europa, si legge nell’inchiesta del Guardian, la guardia nazionale marittima della Tunisia ha impedito a più di 50.000 persone di attraversare il Mediterraneo, da qui nasce il calo del numero di persone che arrivano in Italia e per cui Starmer si è complimentato con Meloni.
“Si sostiene che 127 milioni di sterline (ossia oltre 151 milioni di euro) come parte di un più ampio accordo su migrazione e sviluppo siano stati trasferiti direttamente a Saied. Alla richiesta di chiarimenti, la Commissione europea afferma che il pagamento è avvenuto in seguito all’incontro con la Tunisia”, riporta il Guardian. Quindi se da un lato è vero che c’è stato un calo degli sbarchi, dall’altro il governo Meloni si guarda bene dal rivelare a microfoni e telecamere a quale prezzo.
Di fatto, le persone migranti continuano a partire, semplicemente vengono uccise o muoiono altrove, nella piena consapevolezza di una Fortezza Europa che preferisce da un lato stipulare accordi con Paesi dove il rispetto dei diritti fondamentali non esiste; dall’altro, continuare a trincerarsi senza creare alternative sicure e percorribili che tutelino il diritto alla libertà di movimento.