Bulgaria : lottare per vivere, lottare per morire
Di morti insepolti, notti insonni e domande che non avranno risposta
“ГРАНИЦИТЕ УБИВАТ”, ovvero “I confini uccidono”. Questa scritta campeggia su delle vecchie cisterne arrugginite lungo la statale 79, la strada che collega Elhovo a Burgas, seguendo il confine bulgaro-turco fino al Mar Nero. L’abbiamo fatta noi del Collettivo Rotte Balcaniche (▻https://www.facebook.com/profile.php?id=100078755275162), rossa come il sangue che abbiamo visto scorrere in queste colline. Volevamo imprimere nello spazio fisico un ricordo di chi proprio tra questi boschi ha vissuto i suoi ultimi istanti, lasciare un segno perché la memoria avesse una dimensione materiale. Dall’altra parte, volevamo lanciare un monito, per parlare a chi continua a transitare su questa strada ignorandone la puzza di morte e a chi ne è direttamente responsabile, per dire “noi sappiamo e non dimenticheremo”. Ne è uscita una semplice scritta che forse in pochi noteranno. Racchiude le lacrime che accompagnano i ricordi e un urlo che monta dentro, l’amore e la rabbia.
Dall’anno passato il confine bulgaro-turco è tornato ad essere la prima porta terrestre d’Europa. I dati diffusi dalla Polizia di frontiera bulgara contano infatti oltre 158 mila tentativi di ingresso illegale nel territorio impediti nei primi nove mesi del 2023, a fronte dei 115 mila nel corrispondente periodo del 2022, anno in cui le medesime statistiche erano già più che triplicate 1. Il movimento delle persone cambia a seconda delle politiche di confine, come un flusso d’acqua alla ricerca di un varco, così la totale militarizzazione del confine di terra greco-turco, che si snoda lungo il fiume Evros, ha spostato le rotte migratorie verso la più porosa frontiera bulgara. Dall’altro lato, la sempre più aggressiva politica di deportazioni di Erdogan – che ha già ricollocato con la forza 600 mila rifugiatə sirianə nel nord-ovest del paese, sotto il controllo turco, e promette di raggiungere presto la soglia del milione – costringe gli oltre tre milioni di sirianə che vivono in Turchia a muoversi verso luoghi più sicuri.
Abbiamo iniziato a conoscere la violenza della polizia bulgara più di un anno fa, non nelle inchieste giornalistiche ma nei racconti delle persone migranti che incontravamo in Serbia, mentre ci occupavamo di distribuire cibo e docce calde a chi veniva picchiatə e respintə dalle guardie di frontiera ungheresi. Siamo un gruppo di persone solidali che dal 2018 ha cominciato a viaggiare lungo le rotte balcaniche per supportare attivamente lə migrantə in cammino, e da allora non ci siamo più fermatə. Anche se nel tempo siamo cresciutə, rimaniamo un collettivo autorganizzato senza nessun riconoscimento formale. Proprio per questo, abbiamo deciso di muoverci verso i contesti caratterizzati da maggior repressione, laddove i soggetti più istituzionali faticano a trovare agibilità e le pratiche di solidarietà assumono un valore conflittuale e politico. Uno dei nostri obiettivi è quello di essere l’anti-confine, costruendo vie sicure attraverso le frontiere, ferrovie sotterranee. Tuttavia, non avremmo mai pensato di diventare un “rescue team”, un equipaggio di terra, ovvero di occuparci di ricerca e soccorso delle persone disperse – vive e morte – nelle foreste della Bulgaria.
La prima operazione di salvataggio in cui ci siamo imbattutə risale alle notte tra il 19 e il 20 luglio. Stavo per andare a dormire, verso l’una, quando sento insistentemente suonare il telefono del Collettivo – telefono attraverso cui gestiamo le richieste di aiuto delle persone che vivono nei campi rifugiati della regione meridionale della Bulgaria 2. Era M., un signore siriano residente nel campo di Harmanli, che avevo conosciuto pochi giorni prima. «C’è una donna incinta sulla strada 79, serve un’ambulanza». Con lei, le sue due bambine di tre e sei anni. Chiamiamo il 112, numero unico per le emergenze, dopo averla messa al corrente che probabilmente prima dell’ambulanza sarebbe arrivata la polizia, e non potevamo sapere cosa sarebbe successo. Dopo aver capito che il centralino ci stava mentendo, insinuando che le squadre di soccorso erano uscite senza aver trovato nessuno alle coordinate che avevamo segnalato, decidiamo di muoverci in prima persona. Da allora, si sono alternate settimane più e meno intense di uscite e ricerche. Abbiamo un database che raccoglie la quarantina di casi di cui ci siamo in diversi modi occupatə da fine luglio e metà ottobre: nomi, storie e foto che nessunə vorrebbe vedere. In questi mesi tre mesi si è sviluppata anche una rete di associazioni con cui collaboriamo nella gestione delle emergenze, che comprende in particolare #CRG (#Consolidated_Rescue_Group: ▻https://www.facebook.com/C.R.G.2022), gruppo di volontariə sirianə che fa un incredibile lavoro di raccolta di segnalazioni di “distress” e “missing people” ai confini d’Europa, nonché di relazione con lə familiari.
Ricostruire questo tipo di situazioni è sempre complicato: le informazioni sono frammentate, la cronologia degli eventi incerta, l’intervento delle autorità poco prevedibile. Spesso ci troviamo ad unire tessere di un puzzle che non combacia. Sono le persone migranti stesse a lanciare l’SOS, oppure, se non hanno un telefono o è scarico, le “guide” 3 che le accompagnano nel viaggio. Le richieste riportano i dati anagrafici, le coordinate, lo stato di salute della persona. Le famiglie contattano poi organizzazioni solidali come CRG, che tra lə migrantə sirianə è un riferimento fidato. L’unica cosa che noi possiamo fare – ma che nessun altro fa – è “metterci il corpo”, frapporci tra la polizia e le persone migranti. Il fatto che ci siano delle persone bianche ed europee nel luogo dell’emergenza obbliga i soccorsi ad arrivare, e scoraggia la polizia dal respingere e torturare. Infatti, è la gerarchia dei corpi che determina quanto una persona è “salvabile”, e le vite migranti valgono meno di zero. Nella notte del 5 agosto, mentre andavamo a recuperare il cadavere di H., siamo fermatə da un furgone scuro, senza insegne della polizia. È una pattuglia del corpo speciale dell’esercito che si occupa di cattura e respingimento. Gli diciamo la verità: stiamo andando a cercare un ragazzo morto nel bosco, abbiamo già avvisato il 112. Uno dei soldati vuole delle prove, gli mostriamo allora la foto scattata dai compagni di viaggio. Vedendo il cadavere, si mette a ridere, “it’s funny”, dice.
Ogni strada è un vicolo cieco che conduce alla border police, che non ha nessun interesse a salvare le vite ma solo ad incriminare chi le salva. Dobbiamo chiamare subito il 112, accettando il rischio che la polizia possa arrivare prima di noi e respingere le persone in Turchia, lasciandole nude e ferite nel bosco di frontiera, per poi essere costrette a riprovare quel viaggio mortale o imprigionate e deportate in Siria? Oppure non chiamare il 112, perdendo così quel briciolo di possibilità che veramente un’ambulanza possa, prima o poi, arrivare e potenzialmente salvare una vita? Il momento dell’intervento mette ogni volta di fronte a domande impossibili, che rivelano l’asimmetria di potere tra noi e le autorità, di cui non riusciamo a prevedere le mosse. Alcuni cambiamenti, però, li abbiamo osservati con continuità anche nel comportamento della polizia. Se inizialmente le nostre azioni sono riuscite più volte ad evitare l’omissione di soccorso, salvando persone che altrimenti sarebbero state semplicemente lasciate morire, nell’ultimo mese le nostre ricerche sono andate quasi sempre a vuoto. Questo perché la polizia arriva alle coordinate prima di noi, anche quando non avvisiamo, o ci intercetta lungo la strada impedendoci di continuare. Probabilmente non sono fatalità ma stanno controllando i nostri movimenti, per provare a toglierci questo spazio di azione che ci illudevamo di aver conquistato.
Tuttavia, sappiamo che i casi che abbiamo intercettato sono solo una parte del totale. Le segnalazioni che arrivano attraverso CRG riguardano quasi esclusivamente persone di origini siriane, mentre raramente abbiamo ricevuto richieste di altre nazionalità, che sappiamo però essere presenti. Inoltre, la dottoressa Mileva, capo di dipartimento dell’obitorio di Burgas, racconta che quasi ogni giorno arriva un cadavere, “la maggior parte sono pieni di vermi, alcuni sono stati mangiati da animali selvatici”. Non sanno più dove metterli, le celle frigorifere sono piene di corpi non identificati ma le famiglie non hanno la possibilità di venire in Bulgaria per avviare le pratiche di riconoscimento, rimpatrio e sepoltura. Infatti, è impossibile ottenere un visto per venire in Europa, nemmeno per riconoscere un figlio – e non ci si può muovere nemmeno da altri paesi europei se si è richiedenti asilo. In alternativa, servono i soldi per la delega ad unə avvocatə e per effettuare il test del DNA attraverso l’ambasciata. Le procedure burocratiche non conoscono pietà. Le politiche di confine agiscono tanto sul corpo vivo quanto su quello morto, quindi sulla possibilità di vivere il lutto, di avere semplicemente la certezza di aver perso una sorella, una madre, un fratello. Solo per sapere se piangere. Anche la morte è una conquista sociale.
«Sono una sorella inquieta da 11 mesi. Non dormo più la notte e passo delle giornate tranquille solo grazie ai sedativi e alle pillole per la depressione. Ovunque abbia chiesto aiuto, sono rimasta senza risposte. Vi chiedo, se è possibile, di prendermi per mano, se c’è bisogno di denaro, sono pronta a indebitarmi per trovare mio fratello e salvare la mia vecchia madre da questa lenta morte». Così ci scrive S., dalla Svezia. Suo fratello aveva 30 anni, era scappato dall’Afghanistan dopo il ritorno dei Talebani, perché lavorava per l’esercito americano. Aveva lasciato la Turchia per dirigersi verso la Bulgaria il 21 settembre 2022, ma il 25 non era più stato in grado di continuare il cammino a causa dei dolori alle gambe. In un video, gli smuggler che guidavano il viaggio spiegano che lo avrebbero lasciato in un determinato punto, nei pressi della strada 79, e che dopo aver riposato si sarebbe dovuto consegnare alla polizia. Da allora di lui si sono perse le tracce. Non è stato ritrovato nella foresta, né nei campi rifugiati, né tra i corpi dell’obitorio. È come se fosse stato inghiottito dalla frontiera. S. ci invia i nomi, le foto e le date di scomparsa di altre 14 persone, quasi tutte afghane, scomparse l’anno scorso. Lei è in contatto con tutte le famiglie. Neanche noi abbiamo risposte: più la segnalazione è datata più è difficile poter fare qualcosa. Sappiamo che la cosa più probabile è che i corpi siano marciti nel sottobosco, ma cosa dire allə familiari che ancora conservano un’irrazionale speranza? Ormai si cammina sulle ossa di chi era venuto prima, e lì era rimasto.
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1. РЕЗУЛТАТИ ОТ ДЕЙНОСТТА НА МВР ПРЕЗ 2022 г., Противодействие на миграционния натиск и граничен контрол (Risultati delle attività del Ministero dell’Interno nel 2022, Contrasto alla pressione migratoria e controllo delle frontiere), p. 14.
2. Per quanto riguarda lə richiedenti asilo, il sistema di “accoglienza” bulgaro è gestito dall’agenzia governativa SAR, e si articola nei campi ROC (Registration and reception center) di Voenna Rampa (Sofia), Ovcha Kupel (Sofia), Vrajdebna (Sofia), Banya (Nova Zagora) e Harmanli, oltre al transit centre di Pastrogor (situato nel comune di Svilengrad), dove si effettuano proceduredi asilo accelerate. […] I centri di detenzione sono due: Busmantsi e Lyubimets. Per approfondire, è disponibile il report scritto dal Collettivo.
3. Anche così sono chiamati gli smuggler che conducono le persone nel viaggio a piedi.
▻https://www.meltingpot.org/2023/10/bulgaria-lottare-per-vivere-lottare-per-morire
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]]>#Lampedusa : ’Operational emergency,’ not ’migration crisis’
Thousands of migrants have arrived on Lampedusa from Africa this week, with the EU at odds over what to do with them. DW reports from the Italian island, where locals are showing compassion as conditions worsen.
Long lines of migrants and refugees, wearing caps and towels to protect themselves from the blistering September sun, sit flanked on either side of a narrow, rocky lane leading to Contrada Imbriacola, the main migrant reception center on the Italian island of Lampedusa.
Among them are 16-year-old Abubakar Sheriff and his 10-year old brother, Farde, who fled their home in Sierra Leone and reached Lampedusa by boat from Tunisia.
“We’ve been on this island for four days, have been sleeping outside and not consumed much food or water. We’ve been living on a couple of biscuits,” Abubakar told DW. “There were 48 people on the boat we arrived in from Tunisia on September 13. It was a scary journey and I saw some other boats capsizing. But we got lucky.”
Together with thousands of other migrants outside the reception center, they’re waiting to be put into police vans headed to the Italian island’s port. They will then be transferred to Sicily and other parts of Italy for their asylum claims to be processed, as authorities in Lampedusa say they have reached “a tipping point” in migration management.
Not a ’migration crisis for Italy,’ but an ’operational emergency’
More than 7,000 migrants arrived in Lampedusa on flimsy boats from Tunisia earlier this week, leading the island’s mayor, Filippo Mannino, to declare a state of emergency and tell local media that while migrants have always been welcomed, this time Lampedusa “is in crisis.”
In a statement released on Friday, Italian Prime Minister Giorgia Meloni said her government intends to take “immediate extraordinary measures” to deal with the landings. She said this could include a European mission to stop arrivals, “a naval mission if necessary.” But Lampedusa, with a population of just 6,000 and a reception center that has a capacity for only 400 migrants, has more immediate problems.
Flavio Di Giacomo, spokesperson for the UN’s International Organization for Migration (IOM), told DW that while the new arrivals have been overwhelming for the island, this is not a “migration crisis for Italy.”
“This is mainly an operational emergency for Lampedusa, because in 2015-2016, at the height of Europe’s migration crisis, only 8% of migrants arrived in Lampedusa. The others were rescued at sea and transported to Sicily to many ports there,” he said. “This year, over 70% of arrivals have been in Lampedusa, with people departing from Tunisia, which is very close to the island.”
Di Giacomo said the Italian government had failed to prepare Lampedusa over the past few years. “The Italian government had time to increase the reception center’s capacity after it was set up in 2008,” he said. “Migration is nothing new for the country.”
Why the sudden increase?
One of Italy’s Pelagie Islands in the Mediterranean, Lampedusa has been the first point of entry to Europe for people fleeing conflict, poverty and war in North Africa and the Middle East for years, due to its geographical proximity to those regions. But the past week’s mass arrival of migrants caught local authorities off guard.
“We have never seen anything like what we saw on Wednesday,” said a local police officer near the asylum reception center.
Showing a cellphone video of several small boats crammed with people arriving at the Lampedusa port, he added, “2011 was the last time Lampedusa saw something like this.” When the civil war in Libya broke out in 2011, many people fled to Europe through Italy. At the time, Rome declared a “North Africa emergency.”
Roberto Forin, regional coordinator for Europe at the Mixed Migration Centre, a research center, said the recent spike in arrivals likely had one main driving factor. “According to our research with refugees and migrants in Tunisia, the interceptions by Tunisian coast guards of boats leaving toward Italy seems to have decreased since the signing of the Memorandum of Understanding in mid-July between the European Union and Tunisia,” he said. “But the commission has not yet disbursed the €100 million ($106.6 million) included in the deal.”
The EU-Tunisia deal is meant to prevent irregular migration from North Africa and has been welcomed by EU politicians, including Meloni. But rights groups have questioned whether it will protect migrants. Responding to reporters about the delayed disbursement of funds, the European Commission said on Friday that the disbursement was still a “work in progress.”
IOM’s Giacomo said deals between the EU and North African countries aren’t the answer. “It is a humanitarian emergency right now because migrants are leaving from Tunisia, because many are victims of racial discrimination, assault, and in Libya as well, their rights are being abused,” he said. "Some coming from Tunisia are also saying they are coming to Italy to get medical care because of the economic crisis there.
“The solution should be to organize more search-and-rescue at sea, to save people and bring them to safety,” he added. “The focus should be on helping Lampedusa save the migrants.”
A group of young migrants from Mali who were sitting near the migrant reception center, with pink tags on their hands indicating the date of their arrival, had a similar view.
“We didn’t feel safe in Tunisia,” they told DW. “So we paid around €750 to a smuggler in Sfax, Tunisia, who then gave us a dinghy and told us to control it and cross the sea toward Europe. We got to Italy but we don’t want to stay here. We want to go to France and play football for that country.”
Are other EU nations helping?
At a press briefing in Brussels on Wednesday, the European Commission said that 450 staff from Europol, Frontex and the European Union Agency for Asylum have been deployed to the island to assist Italian authorities, and €40 million ($42.6 million) has been provided for transport and other infrastructure needed for to handle the increase in migrant arrivals.
But Italian authorities have said they’re alone in dealing with the migrants, with Germany restricting Italy from transferring migrants and France tightening its borders with the country.
Lampedusa Deputy Mayor Attilio Lucia was uncompromising: “The message that has to get through is that Europe has to wake up because the European Union has been absent for 20 years. Today we give this signal: Lampedusa says ’Enough’, the Lampedusians have been suffering for 20 years and we are psychologically destroyed,” he told DW.
“I understand that this was done mostly for internal politics, whereby governments in France and Germany are afraid of being attacked by far-right parties and therefore preemptively take restrictive measures,” said Forin. “On the other hand, it is a measure of the failure of the EU to mediate a permanent and sustainable mechanism. When solidarity is left to voluntary mechanisms between states there is always a risk that, when the stakes are high, solidarity vanishes.”
Local help
As politicians and rights groups argue over the right response, Lampedusa locals like Antonello di Malta and his mother feel helping people should be the heart of any deal.
On the night more than 7,000 people arrived on the island, di Malta said his mother called him saying some migrants had come to their house begging for food. “I had to go out but I didn’t feel comfortable hearing about them from my mother. So I came home and we started cooking spaghetti for them. There were 10 of them,” he told DW, adding that he was disappointed with how the government was handling the situation.
“When I saw them I thought about how I would have felt if they were my sons crying and asking for food,” said Antonello’s mother. “So I started cooking for them. We Italians were migrants too. We used to also travel from north to south. So we can’t get scared of people and we need to help.”
Mohammad still has faith in the Italian locals helping people like him. “I left horrible conditions in Gambia. It is my first time in Europe and local people here have been nice to me, giving me a cracker or sometimes even spaghetti. I don’t know where I will be taken next, but I have not lost hope,” he told DW.
“I stay strong thinking that one day I will play football for Italy and eventually, my home country Gambia,” he said. “That sport gives me joy through all this hardship.”
▻https://www.dw.com/en/lampedusa-operational-emergency-not-migration-crisis/a-66830589
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Unpicking the notion of ‘safe and legal’ routes
Introduction
The last ten years have brought a growing recognition of the need to address the issue of mixed and irregular migratory movements through the introduction of pathways that enable people to move from one country and continent to another in a safe and legal manner. As well as averting the need for refugees and migrants to embark on dangerous and expensive journeys involving unscrupulous human smugglers, such routes promise to mitigate the negative perceptions of states with respect to the impact of such movements on their sovereignty, security, and social stability.
This essay examines the context in which the discourse on safe and legal routes has emerged and identifies the different types of organised pathways that have been proposed by states and other stakeholders. Focusing particularly on population movements from the global South to the global North, it discusses the opportunities, difficulties, and dilemmas associated with this approach to the governance of cross-border mobility. More specifically, it scrutinises the increasingly popular assumption that the introduction of such routes will lead to significant reductions in the scale of mixed and irregular migration.
The context
In the mid-1980s, the world’s most prosperous states began to express concern about the growing number of foreign nationals arriving irregularly on their territory, many of whom subsequently submitted applications for refugee status. Regarding such movements as a threat to their sovereignty, and believing that many of those applications were unfounded, over the next two decades those countries introduced a range of restrictive measures designed to place new physical and administrative barriers in the way of unwanted new arrivals, especially those originating from the global South.
The limitations of these measures were dramatically exposed in 2015-16, when up to a million people, initially from Syria but subsequently from several other countries, made their way in an unauthorised manner to the European Union, many of them travelling via Türkiye. Reacting to this apparent emergency, the EU adopted a strategy pioneered in earlier years by Australia and the United States, known as “externalisation”. This involved the provision of financial and other incentives to low- and middle-income states on the understanding that they would obstruct the outward movement of irregular migrants and readmit those deported from wealthier states.
At the same time, governments in the developed world were beginning to acknowledge that mixed and irregular movements of people could not be managed by exclusionary measures alone. This recognition was due in no small part to the efforts of human rights advocates, who were concerned about the negative implications of externalisation for refugee and migrant protection. They also wanted to highlight the contribution that foreign nationals could make to destination countries in the global North if they were able to move there in a regular and orderly manner. The common outcome of these different discourses was a growing degree of support for the notion that the establishment of safe and legal routes could minimise the scale and mitigate the adverse consequences of mixed and irregular movements.
This was not an entirely new approach. As then UN secretary-general Kofi Annan had argued in the early 2000s, international migration, if governed in an appropriate manner, could have “win-win outcomes”, bringing benefits to countries of origin, countries of destination, and migrants alike. But to attain those outcomes, certain conditions had to be met. In the words of the Global Commission on International Migration (GCM), a body established by Mr. Annan:
It is in the interest of both states and migrants to create a context in which people migrate out of choice and in a safe and legal manner, rather than irregularly and because they feel they have no other option. Regular migration programmes could reinforce public confidence in the ability of states to admit migrants into their territory on the basis of labor market needs. Programmes of this kind would also help to create a more positive image of migrants and foster greater public acceptance of international migration.
Migration governance initiatives
In recent years, and especially since the so-called “European migration crisis” of 2015-16, this notion has been taken up by a number of different migration governance initiatives. Focusing primarily on labour migration, the 2018 Global Compact for Safe, Regular and Orderly Migration (GCM) cited “enhanced availability and flexibility of pathways for regular migration,” as one of its key objectives. Endorsed by the majority of UN member states, the GCM extended this approach to the realm of forced migration, encouraging the international community to “develop or build on existing national and regional practices for admission and stay of appropriate duration based on compassionate, humanitarian or other considerations for migrants compelled to leave their countries of origin.”
At the same time, the Global Compact on Refugees (GCR), also adopted in 2018 and which was even more widely endorsed by the international community, underlined the necessity for people who were fleeing persecution and armed conflict to have access to safe and legal routes. “There is a need,” it said, “to ensure that such pathways are made available on a more systematic, organised and sustainable basis, that they contain appropriate protection safeguards, and that the number of countries offering these opportunities is expanded overall.”
Similar approaches have emerged in the context of regional migration governance initiatives. The EU’s 2011 Global Approach to Migration and Mobility, for example, acknowledged the importance of “preventing and reducing irregular migration and trafficking in human beings” by “organising and facilitating legal migration and mobility.” The more recent EU Pact on Migration and Asylum also “aims to reduce unsafe and irregular routes and promote sustainable and safe legal pathways for those in need of protection.” “Developing legal pathways,” it says, “should contribute to the reduction of irregular migration.”
In 2022, the Summit of the Americas, a meeting of states that focussed on the issue of human mobility in the western hemisphere, endorsed the Los Angeles Declaration on Migration and Protection. Using language similar to that of the EU Pact, it committed participating states to “a shared approach to reduce and manage irregular migration,” and to “promoting regular pathways for migration and international protection.” Signatories expressed their commitment “to strengthen fair labor migration opportunities in the region,” and “to promote access to protection and complementary pathways for asylum seekers, refugees and stateless persons.”
As indicated by the declaration’s reference to “labor migration opportunities”, the recognition of the need for safe and legal pathways to be established is closely linked to another recent development: a growing and global shortage of workers. In many industrialised states, members of the existing labour force are aging, taking retirement, quitting, or changing their jobs. The Covid-19 pandemic prompted those countries to introduce new border controls and stricter limits on immigration. Taking advantage of these circumstances, employees have been able to demand better wages and working conditions, thereby pushing up the cost of producing goods and providing services. Confronted with these threats to their profitability, the private sector has been placing growing pressure on governments to remove such restrictions and to open the door to foreign labour.
Safe and legal routes
As demonstrated by the migration governance initiatives described in the previous section, there is now a broad international consensus on the need to provide safe and legal routes for people who wish or feel obliged to leave their own country. There is also an agreement, supported by a growing volume of academic research, that the provision of such routes has a role to play in reducing the scale of mixed and irregular migration and in boosting the economies of destination states. But what specific forms might those safe and legal routes take? The next section of this essay answers that question by describing the principal proposals made and actions taken in that respect.
Labour migration programmes
One such proposal has been labour migration programmes established on a permanent, temporary, or seasonal bases. The rationale for such programmes is that they would allow people from poorer countries who are in need of employment to fill gaps in the labour markets of more prosperous states. As well as boosting the economies of destination countries, such programmes would allow the migrants concerned to enhance their skills and to support their countries of origin by means of remittances.
Until recently, for example, there have been only limited legal opportunities for the citizens of Central and South American countries, especially those with lower levels of skill, to join the US workforce. At the 2022 Summit of the Americas, however, President Biden indicated that he would introduce a package of measures designed to manage northward migration more effectively, including the establishment of safe and legal routes for Latin Americans. According to one US spokesperson, “we will have announcements related to labor pathways as part of the Los Angeles Declaration, designed to ensure that those pathways meet the highest labor standards and are not used for abuse or for a race to the bottom.”
Mexico, another signatory to the declaration, has already taken steps in this direction, offering border worker visas to Guatemalans and Belizeans wishing to work in the country’s southernmost states—an initiative intended to meet the labour needs of the area while reducing the number of people from those two countries arriving and working in an irregular manner.
Turning next to Germany, in 2015-16, at a time when the country was receiving large numbers of new arrivals from the Western Balkan states, most of whom submitted unsuccessful asylum claims, a new employment regulation was introduced. This opened the labour market for nationals of those countries, on condition that they had a valid job offer from a German employer.
Since that time, EU member states more generally have begun to acknowledge the need to recruit employees from outside the bloc. Thus in April 2022, the European Commission launched what it described as “an ambitious and sustainable legal migration policy,” including “specific actions to facilitate the integration of those fleeing Russia’s invasion of Ukraine into the EU’s labour market.” In the emphatic words of the commissioner for home affairs, “legal migration is essential to our economic recovery […] while reducing irregular migration.”
A more preemptive approach to the issue has been taken by Australia, whose Pacific Labour Mobility Scheme allows businesses to recruit seasonal and temporary workers from ten Pacific island states. The purpose of the scheme is to meet Australia’s domestic labour market needs, to promote regional cooperation and development, and, in doing so, to avert the kind of instability that might provoke unpredictable and irregular movements of people.
Refugee-related programmes
When Russia invaded Ukraine in February 2022, large numbers of people displaced by the hostilities began to make their way to neighbouring and nearby member states of the European Union. While the EU has made vigorous and often inhumane efforts to exclude asylum seekers originating from other parts of the world, even if they had strong claims to refugee status, in the case of Ukraine steps were quickly taken to regularise the situation of the new arrivals. Refugees from Ukraine were allowed to enter the EU without a visa, to enjoy residence and work rights there for up to three years, and to move freely from one member state to another.
This arrangement, known as “temporary protection”, was based on a number of considerations: the geographical proximity of Ukraine to the EU, the great difficulty that the EU would have had in trying to obstruct the movement, a humanitarian concern for people who had been obliged to flee by the conflict, and a particular readiness to support the citizens of a friendly country that was suffering from the aggression committed by Russia, a state with a long history of enmity to the EU and NATO. While it remains to be seen how effectively the Ukrainians can be absorbed into the economies and societies of EU member states, in the short term at least, the temporary protection system provided a means of channeling a very large and rapid movement of people into routes that were safe and legal.
Looking beyond the specifics of the Ukrainian situation, UNHCR, the UN’s agency for refugees, has in recent years made regular calls for governments—predominantly but not exclusively in the global North—to establish and expand the scale of state-sponsored refugee resettlement programmes. Such efforts enjoy limited success, however, partly because of the serious cuts made to the US resettlement quota by the Trump administration, and partly because of the restrictions on movement introduced by many other countries as a result of the Covid-19 pandemic. In the aftermath of the 2015-16 “migrant crisis”, moreover, European countries were reluctant to consider the admission of additional refugees, even if they were to arrive in an organised manner.
In a more positive development, the decade since the beginning of the Syrian refugee emergency in 2012 has delivered a new focus on the establishment of privately- sponsored resettlement programmes, enabling families as well as neighbourhood, community, and faith-based groups in the global North to sponsor the reception and initial integration of refugees from countries of asylum in the global South. Canada has taken a particular lead in this respect, establishing private sponsorship programmes for Afghan, Syrian, and Ukrainian refugees, with Australia, the US, and some European countries also experimenting with this particular form of safe and legal route.
A similar approach can be seen with respect to the notion of “humanitarian corridors”, an initiative taken by Italian church-affiliated groups. Self-funded but closely coordinated with the government in Rome, this programme has enabled religious communities in Italy to welcome hundreds of refugees from Ethiopia, Greece, and Lebanon. Discussions are currently underway with a view to expanding this model to other European states.
Recent years have seen a growing interest in the notion of labour mobility for refugees, arrangements whereby refugees with specific skills and qualifications are allowed to leave their country of asylum in order to take up pre-arranged employment opportunities in another state. An approach first proposed more than a decade ago but largely unimplemented since that time, the potential of such initiatives has now been recognised by Australia, Canada, and the UK, all of which have recently established pilot programmes of this type.
In similar vein, humanitarian organisations have promoted the notion that refugees in developing countries of asylum should be able to benefit from scholarship programmes in states that are better equipped to provide them with appropriate education at the secondary and tertiary levels. The implementation of this approach has been boosted considerably by the emergencies in Syria and Ukraine, both of which have prompted universities around the world to make special provisions for refugee students.
When people move from one country to another in the context of a refugee crisis, a common consequence is for family members to be separated, either because some have been left behind in the country of origin, or because they lose contact with each other during their journey to a safer place. In response to this humanitarian issue, the international community has for many years supported the notion of family reunification programmes, organised with the support of entities such as the International Organization for Migration, UNHCR, and the Red Cross movement. Most recently, there has been a recognition that such programmes also have a role to play in reducing the scale of irregular movements, given the frequency with which people engage in such journeys in an attempt to reunite with their relatives.
Relocation and evacuation programmes
Other arrangements have been made to enable refugees and migrants to relocate in a safe and legal manner from countries that are not in a position to provide them with the support that they need. In the EU, efforts—albeit largely unsuccessful—have been made recently to establish redistribution programmes, relocating people from front-line states such as Greece and Italy, which have large refugee and migrant populations, to parts of Europe that are under less pressure in this respect.
In a more dramatic context, UNHCR has established an evacuation programme for refugees and migrants in Libya, where they are at serious risk of detention and human rights abuses, and where escape from the country by boat also presents them with enormous dangers. A safe and legal alternative has been found in an arrangement whereby the most vulnerable of these people are transferred to emergency transit centres in Niger and Rwanda, pending the time when other countries accept them as permanent residents.
Finally, proposals have been made with respect to the establishment of arrangements that would allow people who are at risk in their country of origin to move elsewhere in a safe and legal manner. For individuals and families, this objective could be attained by means of humanitarian visas issued by the overseas embassies of states that wish to provide sanctuary to people who are threatened in their homeland.
On a larger scale, orderly departure programmes might be established for designated categories of people who feel obliged to leave their own country and who might otherwise have no alternative but to move by irregular means. An important—but as yet unreplicated— precedent was set in this respect by a 1980s programme that allowed some 800,000 Vietnamese citizens to relocate to the US and other western countries with the authorisation of the Hanoi government, sparing them from the dangerous journeys that the “boat people” had undertaken in earlier years.
The potential of regular pathways
It is not surprising that the notion of safe and legal routes has attracted so much attention in recent years. They are in the interest of refugees and migrants, who would otherwise have to embark on difficult and often dangerous journeys. They are in the interest of states, who have much to gain from the orderly and authorised movement of people. And they are in the interest of international organisations that are struggling to respond to large-scale and unpredicted movements of people, and which are trying to ensure that human mobility is governed in a more effective, human and equitable manner.
At the same time, there is a need to scrutinise the popular assumption that such measures can substantially reduce the scale of mixed and irregular migratory movements, and to address the many difficulties and dilemmas associated with the establishment of such pathways.
Scaling up
Despite all of the rhetorical support given to the notion of regular pathways in recent years, the number of people who are able to access them is still very modest. And there are a number of reasons why they might not be scaled up to any great extent. First, the Covid-19 pandemic, which erupted unexpectedly not long after the GCM and GCR had been negotiated, caused many governments to act with a new degree of caution in relation to the cross-border movement of people. And while the pandemic has subsided, states may well prefer to retain some of the immigration restrictions they introduced in the context of the pandemic.
Second, and more recently, the need for states in Europe and beyond to admit large numbers of refugees from Afghanistan and Ukraine seems certain to limit their enthusiasm and capacity for the establishment of safe routes for people from other parts of the world. With many thousands of people from those two countries left without jobs and in temporary accommodation, the introduction or expansion of other pathways would simply exacerbate this problem.
While the admission of overseas workers appears to be a way of addressing the demographic deficits and labour market needs of the industrialised states, are the citizens and politicians of those countries ready to acknowledge the need to admit more foreign nationals, even if they arrive in a managed manner? Immigration has become a toxic issue in many of the world’s more prosperous states, and few governments or opposition parties are willing to run on electoral platforms that advocate an increase in the number of new arrivals from other parts of the world.
In the context described above, it should come as no surprise that most of the orderly pathway initiatives introduced in recent years (such as privately sponsored resettlement, humanitarian corridors, evacuation, and relocation programmes) have all operated on a modest scale and have often been established on a pilot basis, with no guarantee of them being expanded.
For example, when in 2021 the British home secretary introduced a new labour mobility programme for refugees, she boldly announced that “those displaced by conflict and violence will now be able to benefit from access to our global points-based immigration system, enabling them to come to the UK safely and legally through established routes”. In fact, only 100 Syrian refugees from Jordan and Lebanon will benefit from the programme over the next two years.
And the UK is not an isolated case. According to a recent study, in 2019 the OECD countries provided complementary pathways to fewer than 156,000 people from seven major refugee-producing countries. Two-thirds of them were admitted on the basis of family reunion, with the remaining third split equally between people granted visas for work and for educational purposes. That 156,000 constituted just 0.6 percent of the global refugee population.
Reducing irregular migration
Even if safe and legal routes could be established and expanded, what impact would that have on the scale of irregular migration? That is a difficult question to answer, partly because the evidence on this issue is so limited, and partly because it is methodologically challenging to establish causal linkages between these two phenomena, as demonstrated by two recent studies.
With respect to the German labour programme in the Western Balkans, one analyst has suggested that although the number of asylum applications from that region did indeed drop after the new initiative was introduced, “one cannot credibly single out the exact effect the Western Balkan Regulation had on reducing irregular migration from the region to Germany”. The author goes on to say that “the regulation was only one of many policy measures at the time, including many restrictive measures and faster processing times of asylum applications as well as the ‘closure’ of the Western Balkan route.” Consequently, “it is not possible to isolate the exact causal role the Western Balkan Regulation may have played.”
A case study of Mexico and the US reaches a similar conclusion, suggesting “there is evidence that lawful channels for migration between Mexico and the US have suppressed unlawful migration, but only when combined with robust enforcement efforts,” including the intensification of border controls that facilitated the apprehension and return of migrants crossing the frontier in an irregular manner. This conclusion on the close relationship between safe pathways and enforcement, shared by both studies, is ironic, given that some of the strongest NGO advocates for the former are most vocal in their opposition to the latter!
A more general review of the evidence on this matter also casts doubt on the notion that an expansion of safe and legal routes will necessarily lead to a reduction in irregular movements. Looking specifically at labour migration programmes, the study says that they are often proposed “on the basis of an assumption of a rerouting effect, whereby migrants who would otherwise arrive and enter the asylum system or stay in a country without legal status will be incentivised to try and access a legal work permit from home rather than migrate illegally.” But the validity of that assumption “will depend on the capacity of legal pathways to accommodate the number of low-skilled workers who want to migrate, but lack permission to enter their desired destination.”
That statement concerning the number of people who would like to or have been obliged to migrate but who have been unable to do so in a safe and legal manner is readily substantiated in numerical terms. Most estimates suggest that around 15 million irregular migrants are to be found in the US and Europe alone, with millions more in countries such as India, Libya, Malaysia, Mexico, Saudi Arabia, and South Africa. According to UNHCR, there are some 30 million refugees worldwide and more than 4.5 million asylum seekers who are waiting for their applications to be processed. A worldwide survey undertaken in 2018 concluded that some 750 million people, 15 percent of all the world’s adults, would move to another country if they had the opportunity to do so.
Given the growing demand for migration opportunities in poorer regions of the world, coupled with the general reluctance of the industrialised states to facilitate the large-scale admission of people who want to move there, it is difficult to see how this square can be circled. The most likely scenario is that the supply of opportunities for regular migration will be unable to meet the demand, meaning that aspirant migrants who are not selected for regular entry will still have a strong incentive to move in an irregular manner.
Indeed, it can also be argued that the establishment of safe and legal routes intensifies the social networks linking countries of origin and destination, enabling those migrants who move in a regular manner to inform the compatriots they have left behind of the opportunities that exist in the countries to which they have moved and to send remittances to people at home that can be used to pay the costs of a clandestine journey to the same location. In this respect, instead of reducing levels of irregular migration, the establishment of safe and legal routes might actually contribute to their growth.
Selection criteria and processes
In addition to the scale of the routes that might be established and their potential impact on levels of irregular migration, a number of other issues must be considered in the context of this discourse.
First, the notion of safe and legal pathways is based on the idea that states should control the arrival of foreign nationals on their territory, determining how many should be admitted, what countries they should come from, why they wish or need to move to another country, what their demographic profile is, and what skills they should have. In other words, for safe and legal routes to work effectively, states and other stakeholders have to establish selection criteria and processes that allow the admission of some people who would like to move, while refusing entry to others. This is not a principle accepted by some refugee and migrant advocates, for whom the notion of safe and legal routes has become a disguised proxy for “open borders”.
Almost inevitably, moreover, different constituencies within receiving states will be pushing for priority to be given to certain categories of people. Humanitarians will want the emphasis to be on refugees. Diaspora families and communities will favour family reunification programmes and community-sponsored resettlement. The private sector will argue the case for the admission of people with the skills and capacity to fill gaps in the labour market in a cost-effective manner. Universities will argue the case for visas to be granted to refugees and other foreign citizens with the necessary qualifications or academic aptitude. The selection process is therefore likely to be a contested and controversial one, potentially limiting governmental enthusiasm for the notion of safe and legal routes.
Status and rights
Second, as the attempt to regularise migratory movements proceeds, some important questions will have to be addressed in relation to the status and rights of the new arrivals and the organisation of such programmes. In the context of labour migration programmes, for example, would people be admitted on a temporary or permanent basis, and in the latter case would they eventually be able to acquire permanent resident rights or citizenship? Would they be tied to a single employer or allowed to move freely in the labour market? Would they enjoy the same pay, rights, and working conditions as citizens of the countries in which they are employed?
A somewhat different set of issues arises in the context of labour mobility initiatives for refugees. Will they be allowed to leave their countries of asylum by the governments of those states and, more importantly, would they be able to return to it if employed abroad on a temporary basis? As some refugee lawyers have mooted, would they be at risk of being deported to their country of origin, and thereby be at risk of persecution, if their country of first asylum refused to readmit them? And if they were readmitted to their country of first asylum, would they have full access to the labour market there, or find themselves returning to a refugee camp or informal urban settlement where only informal and low-income livelihoods opportunities exist?
With respect to privately sponsored resettlement, there is some evidence, especially from Canada, that refugees who arrive by this route fare better than those who are admitted by means of state-sponsored programmes. But there are also risks involved, especially in emergency situations where the citizens of resettlement countries are, for good humanitarian reasons, eager to welcome refugees into their homes and neighbourhoods, and where the state is only too happy to devolve responsibility for refugees to members of the community.
A particular case in point is to be found in the UK’s sponsorship scheme for Ukrainian refugees, in which some of the new arrivals have found themselves matched with inappropriate sponsors in isolated rural locations and with few affordable options available with respect to their long-term accommodation.
State manipulation
Third, the establishment and expansion of safe and legal routes could have adverse consequences if misused by destination countries. With respect to resettlement, for example, UNHCR has always insisted that refugees should be selected on the basis of their vulnerability, and not in terms of what the organisation describes as their “integration potential”.
That principle might prove more difficult to uphold in a context where alternative pathways are being discussed, specifically targeted at people on the basis of their skills, qualifications, language abilities, family connections and value to the labour market. Rather than expanding their refugee resettlement programmes, as UNHCR would like them to do, will destination countries prefer to make use of pathways that enable them to cherry-pick new arrivals on the basis of perceived value to the economy and society?
At the same time, there is a risk that states will use the establishment of organised pathways as a pretext for the exclusion of asylum seekers who arrive in an independent manner and by irregular means. That has long been the approach adopted by Australia, whose policy of interception at sea and relocation to remote offshore processing facilities is justified by the government on the grounds that the country has a substantial refugee resettlement programme. Rather than taking to boats and “ jumping the queue”, the authorities say, refugees should wait their turn to be resettled from their country of asylum, however difficult that might be in practice.
Taking its cue from Australia, the UK is in the process of establishing a formalised two-tier asylum system. On one hand, “bespoke” admissions programmes will be established for refugees from countries in which the UK has a particular geopolitical interest, most notably Afghanistan and Ukraine. On the other hand, the asylum claims of people arriving in the UK in an irregular manner, such as by boat across the English Channel (including those from Afghanistan and Ukraine) are now deemed inadmissible, and many of those arriving in this way are detained and liable to deportation to Rwanda without the possibility of returning to the UK, even if their refugee claim is recognised by the authorities in Kigali. At the time of writing, however, there is no evidence that this policy will have its intended effect of deterring irregular arrivals, nor indeed whether it will ever be implemented, given the legal challenges to which it is being subjected.
Regularisation
Finally, while much of the recent discourse on irregular migration has focused on the extent to which its scale and impact can be minimised by the establishment of safe and legal pathways, it must not be forgotten that many destination countries already have substantial populations of people who are officially not authorised to be there: so-called “illegal immigrants”, unsuccessful asylum seekers, and foreign nationals who have overstayed their visas, to give just three examples.
No serious attempt to address the issue of irregular migration can avoid the situation and status of such people, although questions relating to their regularisation, whether by means of amnesties or by other measures. have not featured at all prominently in the recent discourse on international mobility.
Interestingly, the GCM avoids the issue completely, presumably because it is deemed to be a matter that lies within the jurisdiction of sovereign states. If an attempt had been made to include the question of regularisation in the compact, it would almost certainly have been endorsed by fewer states. Nevertheless, any discussion of irregular migration must involve a consideration of those people who are living and working in countries where they do not have a legal status, as countries such as Spain, Ireland, and Italy have started to recognise. It is an issue that warrants much more attention at the national and multilateral levels, irrespective of its controversial nature.
Conclusion
A strong case can be made for the introduction and expansion of safe and legal migratory routes, as has been recognised by a plethora of recent initiatives relating to the governance of international mobility. But expectations of them should be modest.
While such routes may have a limited role to play in reducing the scale and impact of mixed and irregular movements, they appear unlikely to have the transformative effect that some participants in the migration discourse have suggested they might have. Such routes are also likely to be a contentious matter, with some states using the notion of safe and legal routes as a pretext for the introduction of draconian approaches to the issue of irregular migration, and with migrant advocates employing the same concept as a means of avoiding the more controversial slogan of “open borders”.
As indicated in the introduction, this essay has focused to a large extent on mixed and irregular migration from the global South to the global North, as it is those movements that have prompted much of the recent discourse on safe and legal routes. But it should not be forgotten that most migratory movements currently take place within the global South, and that some 85 percent of the world’s refugees are to be found in low and middle-income countries.
Looking at the migration and refugee scenario in the developing world, there are perhaps greater grounds for optimism than can be found by focusing on the industrialised states. With some exceptions (South Africa being a prime example), countries in the global South are less exercised by the issue of irregular migration.
Two regions—South America and West Africa—have established rather successful freedom-of-movement arrangements for their citizens. And despite some restrictive tendencies, encouraged in many instances by the externalisation policies of the global North, developing countries have kept their borders relatively open to refugees, as demonstrated by the presence of so many Rohingya refugees from Myanmar in Bangladesh, South Sudanese in Uganda, Syrians in Jordan and Lebanon, and Venezuelans in a host of neighbouring and nearby states.
In an ideal world, the cross-border movement of people would indeed take place in an exclusively voluntary, safe, and orderly manner. But that scenario cannot be envisaged in an era that is characterised by failures of global governance, widespread armed conflict, growing regional inequalities, intensifying environmental disasters, and the climate crisis, not to mention the general unwillingness of politicians and the public to countenance large-scale immigration and refugee arrivals. Looking to the future, there is every reason to believe that large numbers of people will have to move out of necessity rather than choice, in an unpredictable and irregular manner.
▻https://mixedmigration.org/articles/unpicking-the-notion-of-safe-and-legal-routes
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]]>Termes nautiques
▻https://www.annoncesbateau.com/conseils/termes-nautiques
petit #dictionnaire
Écrit par : Bénédicte Chalumeau
...
Pour naviguer il est nécessaire d’avoir une compréhension du vocabulaire de la navigation, de la mer et des bateaux. Nous vous présentons ici les termes techniques les plus courants, utilisés dans le monde maritime.
A
#Abattre :
Écarter sa route du lit du vent. Ce mouvement s’appelle une abattée.
#Abord (en) :
Sur le côté du bâtiment.
#Accastillage :
Objets et accessoires divers équipant un navire.
#Accoster :
Placer un bâtiment le long d’un quai ou le long d’un autre navire.
#Acculée :
Mouvement en arrière d’un navire, il cule.
#Adonner :
Le vent adonne pour un navire à voiles quand il tourne dans un sens favorable à la marche, c’est à dire quand il vient plus à l’arrière. Le contraire est refuser.
#Affaler :
Faire descendre, c’est le contraire de hâler. Affaler quelqu’un le long du bord, ou d’un mât, c’est le faire descendre au bout d’un filin.
#Aiguillots :
Pivots fixes sur une mèche du gouvernail ou sur l’étambot et tournant dans les fémelots.
#Aileron :
Partie de tente qui se place en abord. Prolongements en abord et généralement découverts de l’abri de navigation.
#Ajut :
Noeud servant à réunir momentanément deux bouts de cordage.
#Allure :
Direction d’un navire par rapport à celle du vent.
#Amariner :
Amariner un équipage : l’habituer à la mer.
#Amarrage :
Action d’amarrer.
#Matelotage
: bout de lusin, merlin, ligne, etc... servant à relier ensemble deux cordages.
#Amarres :
Chaînes ou cordages servant à tenir le navire le long du quai.
#Amener :
abaisser, faire descendre.
#Amer :
Point de repère sur une côte.
#Amure :
Manoeuvre qui retient le point inférieur d’une voile du côté d’où vient le vent (voiles carrées). Par extension est synonyme d’allure. Pour les bateaux latins, on continue à dire qu’ils naviguent bâbord ou tribord amures, selon que le vent vient de la gauche ou de la droite.
#Anguillers :
Conduits, canaux ou trous pratiqués dans la partie inférieure des varangues des couples pour permettre l’écoulement de l’eau dans les fonds.
#Anspect :
Ou barre d’anspect. Levier en bois dur servant à faire tourner un cabestan ou un guindeau. Primitivement, servait à pointer les canons en direction.
#Aperçu :
Pavillon signal que l’on hisse pour indiquer que l’on a compris un signal.
#Apiquer :
Hisser l’une des extrémités d’un gui ou d’une vergue de manière à l’élever au-dessus de l’autre.
#Apparaux :
Ensemble des objets formant l’équipement d’un navire.
#Appel :
Direction d’un cordage, de la chaîne de l’ancre.
#Appuyer :
Haler, raidir un cordage pour soutenir ou fixer l’objet auquel il aboutit. Appuyer un signal, c’est l’accompagner d’un signal sonore, coup de Klaxon, pour attirer l’attention. Appuyer la chasse : poursuivre obstinément.
#Araignée :
Patte d’oie à grand nombre de branches de menu filin qu’on installe sur les funes des tentes et tauds pour permettre de les maintenir horizontaux. Hamac : réseau de petites lignes à oeil placées à chaque extrémité de la toile du hamac pour le suspendre : elles se réunissent à deux boucles métalliques ou organeaux d’où partent les « rabans » de suspension.
#Arborer :
Arborer un pavillon, c’est le hisser au mât. En Méditerranée, dans la langue des galères, le mât s’appelait l’arbre.
#Ardent :
Un navire est ardent lorsqu’il tend de lui-même à se rapprocher du lit du vent. C’est le contraire du mou.
#Armement :
L’armement d’un bâtiment consiste à le munir de tout ce qui est nécessaire à son genre de navigation ; ce terme désigne aussi la totalité des objets dont un navire est muni. Ces objets sont inscrits sur les « feuilles d’armement ». Dans une embarcation, on appelle ainsi son équipage.
#Armer :
Armer un navire : le munir de son armement. / Armer un câble : le garnir en certains endroits pour le garantir des frottements.
#Arraisonner :
Arraisonner un navire c’est le questionner sur son chargement, sa destination, et toutes autres informations pouvant intéresser le navire arraisonneur.
#Arrimage :
Répartition convenable dans le navire de tous les objets composants son armement et sa cargaison.
#Arrivée :
Mouvement que fait le navire quand il s’éloigne du lit du vent pour recevoir le vent plus de l’arrière. Synonyme : « abattée ». Contraire : « auloffée ».
#Arrondir :
Passer au large d’un cap pour éviter les dangers qui le débordent.
#Assiette :
Manière dont le navire est assis dans l’eau, autrement dit sa situation par rapport à la différence de ses tirants d’eau avant et arrière.
Assiette positive : T AV < T AR
Assiette négative : T AV > T AR
#Atterrir :
Faire route pour trouver une terre ou un port.
#Attrape :
Cordage fixé sur un objet de façon à pouvoir en temps utile l’amener à portée de main.
#Atterrissage :
Action d’atterrir.
#Auloffée :
Mouvement d’un navire tournant son avant vers le lit du vent. Contraire : arrivée abattée (ou abattée).
#Aveugler :
Une voie d’eau, obstruer avec des moyens de fortune
B
#Bâbord :
Partie du navire située à gauche d’un observateur placé dans l’axe de ce navire en faisant face à l’avant.
#Baguer :
Faire un noeud coulant.
#Baille :
Baquet (appellation familière donnée à leur école, par les élèves de l’école Navale).
#Balancine :
Manoeuvre partant du haut du mât et soutenant les extrémités d’une vergue ou l’extrémité d’un gui ou d’un tangon.
#Ballast :
Compartiments situés dans les fonds du navire et servant à prendre du lest, eau ou combustible.
#Ballon :
Défense sphérique que l’on met le long du bord.
#Bande :
Inclinaison latérale du navire. Synonyme de gîte. Mettre l’équipage à la bande : l’aligner sur le pont pour saluer un navire ou une personnalité.
#Barbotin :
Couronne à empreintes du guideau ou du cabestan sur laquelle les maillons d’une chaîne viennent s’engrener successivement.
#Base :
Banc de roche ou de corail formant un bas-fond.
#Bastaque :
Hauban à itague employé sur les petits bateaux. Il peut aussi servir à hisser certains objets.
#Bastingage :
Autrefois muraille en bois ou en fer régnant autour du pont supérieur d’un navire, couronnée par une sorte d’encaissement destiné à recevoir pendant le jour, les hamacs de l’équipage ; une toile peinte les recouvrait pour les protéger de la pluie et de l’humidité. On emploie aussi ce terme par extension pour désigner les gardes corps ou lisses de pavois.
#Battant :
Partie du pavillon qui flotte librement par opposition au guindant qui est le long de la drisse.
#Bau :
Poutres principales placées en travers du bateau pour relier les deux murailles de la coque et supporter les bordages de la coque.
#Beaupré :
Mât situé à l’avant du bâtiment.
#Béquiller :
#Empêcher un navire échoué de se coucher en le maintenant avec des béquilles.
#Berceau :
Assemblage en bois ou en fer destiné à soutenir un navire quand il est halé à terre.
#Berne (en) :
Mettre le pavillon à mi-drisse en signe de deuil.
#Bigue :
Très gros mât de charge maintenu presque vertical et portant à son extrémité supérieure des cordages et des appareils destinés à lever des poids très lourds. On nomme aussi bigues deux mâts placés et garnis comme le précèdent, et dont les têtes sont réunies par une portugaise.
#Bittes :
Pièce de bois ou d’acier fixé verticalement sur un pont ou un quai et servant à tourner les aussières.
#Bitture :
Partie d’une chaîne élongée sur le pont à l’avant et à l’arrière du guindeau, filant librement de l’écubier aussitôt qu’on fait tomber l’ancre (prendre une bitture).
#Bollard :
Point d’amarrage à terre constituée par un gros fût cylindrique en acier coulé, à tête renflée, pour éviter le glissement de l’amarre.
#Bôme :
Vergue inférieure d’une voile aurique.
#Borde :
#Ensemble des tôles ou des planches formant les murailles d’un navire.
#Bordée :
– Distance parcourue par un navire en louvoyant et sans virer de bord.
– Division : de l’équipage pour faire le quart.
#Border :
– ne voile : la raidir en embarquant l’écoute.
– La côte : la suivre de très près.
– Un navire : mettre en place le bordé.
#Bordure :
Côté inférieur d’une voile ; la ralingue qui y est fixée se nomme ralingue de fond ou de bordure.
#Bosco :
Maître de manoeuvre (marine de guerre), Maître d’équipage (marine de commerce)
B#osse :
Bout de cordage ou de chaîne fixé par une de ses extrémités et qui, s’enroulant autour d’un cordage ou d’une chaîne sur lesquels s’exerce un effort, les maintient immobile par le frottement.
#Bossoir :
– Pièce de bois ou de fer saillant en dehors d’un navire et servant à la manoeuvre des ancres à jas ; par extension coté avant d’un navire. De capon - de traversières : sert à mettre l’ancre au poste de navigation ; d’embarcation ou portemanteau : sert à suspendre et à amener les embarcations.
– Homme de bossoir : homme de veille sur le gaillard avant.
#Bouge :
Convexité transversale entre ponts et faux-ponts des navires.
#Bouée :
Corps flottant.
#Bourlinguer :
Se dit d’un bateau qui lutte dans une forte mer et d’un marin qui navigue beaucoup.
#Braie :
Sorte de collier en toile à voile ou en cuir que l’on applique autour du trou pratiqué dans le pont pour le passage d’un mât, d’une pompe, de la volée d’un canon afin d’empêcher l’infiltration de l’eau à l’intérieur du bateau.
#Branles :
Nom ancien des hamacs (d’où « branle-bas »).
#Brasse :
Mesure de longueur pour les cordages, 1m83, servant aussi à indiquer la profondeur de l’eau. Ce terme est en usage dans la plupart des nations maritimes mais la longueur en est différente : en France : 1m624, en Angleterre et en Amérique : 1m829 (six pieds anglais).
#Brasser :
Orienter les vergues au moyen des manoeuvres appelées bras. - carré : placer les vergues à angle droit avec l’axe longitudinal du navire. Brasser un tangon.
#Brider :
Étrangler, rapprocher plusieurs cordages tendus parallèlement par plusieurs tours d’un autre cordage qui les serre en leur milieu ; ou augmente ainsi leur tension.
#Brigadier :
Matelot d’une embarcation placé à l’avant pour recevoir les bosses ou les amarres, annoncer les obstacles sous le vent ou aider à accoster avec la gaffe.
#Brin :
Mot servant à indiquer la qualité du chanvre d’un cordage ; le meilleur est dit le premier brin. S’emploie aussi pour qualifier un homme remarquable.
#Bulbe :
Renflement de la partie inférieure d’une étrave.
#Bulge :
Renflement des flancs du navire.
C
#Cabaner :
Chavirer sans dessus dessous en parlant d’une embarcation.
#Cabestan :
Treuil vertical servant à actionner mécaniquement ou à bras les barbotins.
#Cabillot :
Chevilles en bois ou en métal qui traversent les râteliers et auxquelles on amarre les manoeuvres courantes au pied des mâts ou en abord.
#Câblot :
Petit câble d’environ 100 mètres de longueur servant à mouiller les embarcations au moyen d’un grappin ou d’une petite ancre.
#Cabotage :
Navigation entre deux ports d’une même côte ou d’un même pays.
#Caillebotis :
treillis en bois amovible servant de parquet et laissant écouler l’eau.
#Calfatage :
Opération qui consiste à remplir d’étoupe, au moyen d’un ciseau et à coups de maillet, les coutures des bordages ou des ponts en bois d’un navire afin de les rendre étanches. L’étoupe est ensuite recouverte de brai.
#Calier :
Homme employé spécialement à la distribution de l’eau douce.
#Caliorne :
Gros et fort palan destiné aux manoeuvres de force.
#Cap de mouton :
Morceau de bois plat et circulaire percé de trois ou quatre trous dans lesquels passent des rides pour raidir les haubans, galhaubans, etc...
#Cape (à la) :
On dit qu’un navire est à la cape quand, par gros temps, il réduit sa voilure ou diminue la vitesse de sa machine en gouvernant de façon à faire le moins de route possible et à dériver le plus possible pour éviter les effets de la mer.
#Capeler :
Capeler un mât, c’est faire embrasser la tête du mât par toutes les manoeuvres dormantes qui doivent entourer cette tête et s’y trouver réunies.
#Capeyer :
Tenir la cape.
#Capon :
Palan qui servait à hisser l’ancre sur les anciens navires (bossoirs de capon).
#Carène :
Partie immergée de la coque d’un navire.
#Caréner (un navire) :
Nettoyer et peindre sa carène.
#Cartahu :
Cordage volant, sans affectation spéciale, destiné à hisser ou amener les objets qu’on y attache. Les cartahus de linge servent à mettre le linge au sec ; ils se hissent parfois entre les mâts de corde.
#Chadburn :
Système mécanique employé pour transmettre les ordres de la passerelle aux machines (marine de commerce).
#Chambre (d’embarcation) :
Partie libre, à l’arrière de l’embarcation où peuvent s’asseoir les passagers.
#Chandeliers :
Barres généralement en acier fixées verticalement en abord d’un pont, autour des panneaux et des passerelles pour empêcher les chutes. Les chandeliers sont percés de trous dans lesquels passent les tringles ou les filières de garde-corps.
#Chapelle, #Faire_chapelle :
Se dit d’un navire qui, marchant, sous un vent favorable, vient à masquer par suite, d’une cause quelconque et est obligé de faire le tour pour reprendre les mêmes amures.
#Charnier :
Tonneau à couvercle, ayant généralement la forme d’un cône tronqué et dans lequel étaient conservés les viandes et les lards salés pour la consommation journalière de l’équipage (ancien). Par extension réservoir rempli d’eau potable.
#Chasser (sur son ancre) :
Entraîner l’ancre par suite d’une tenue insuffisante de fond.
#Château :
Superstructure établie sur la partie centrale d’un pont supérieur et qui s’étend d’un côté à l’autre du navire.
#Chatte :
Grappin à patte sans oreilles dont on se sert pour draguer les câbles ou les objets tombés à la mer.
#Chaumard :
Pièce de guidage pour les amarres solidement fixées sur le pont dont toutes les parties présentent des arrondis pour éviter d’user ou de couper les filins.
#Chèvre :
Installation de trois mâtereaux réunis à leur tête pour les manoeuvres de force.
#Choquer :
Filer ou lâcher un peu de cordage soumis à une tension.
#Claire :
Ancre haute et claire :
ancre entièrement sortie de l’eau, ni surpattée, ni surjalée. On dira de même :
manoeuvre claire, pavillon clair.
#Clan :
Ensemble formé par un réa tournant dans une mortaise qui peut être pratiquée dans un bordage, une vergue ou un mât.
#Clapot :
Petites vagues nombreuses et serrées qui se heurtent en faisant un bruit particulier.
#Clapotis :
Etat de la mer qui clapote ou bruit de clapot.
#Clin :
Les bordages sont disposés à clin quand ils se recouvrent comme les ardoises d’un toit :
embarcation à clins.
#Clipper :
Nom donné à un
voilier
fin de carène, spécialement construit pour donner une grande vitesse (clipper du thé, de la laine).
#Coaltar :
Goudron extrait de la houille (protège le bois de la pourriture).
#Coffre :
Grosse bouée servant à l’amarrage des navires sur une rade.
#Connaissement :
Document où est consigné la nature, le poids et les marques des marchandises embarquées. Cette pièce est signée par le capitaine après réception des marchandises avec l’engagement de les remettre dans l’état où elles ont été reçues, au lieu de destination sauf périls et accidents de mer.
#Conserve, Naviguer de conserve :
Naviguer ensemble (un bâtiment est ainsi « conserve » d’un autre).
#Contre-bord (navire à) :
Navire faisant une route de direction opposée à celle que l’on suit.
#Coque :
Boucle qui se forme dans les cordages.
#Coqueron :
Compartiment de la coque souvent voisine de l’étrave ou de l’étambot, servant e soute à matériel.
#Corde :
Ce mot n’est employé par les marins que pour désigner la corde de la cloche.
#Cornaux :
W-C. de l’équipage consistant en auges inclinées qui découlent dans les conduits aboutissant à la mer ; les cornaux étaient autrefois placés à tribord et à bâbord sur le plancher de la poulaine.
#Corps-morts :
Chaînes et ancres disposées au fond de la mer, solidement retenues par des empennelages, et dont une branche qui part dès la réunion des chaînes est nommée itague revient au-dessus de l’eau où elle est portée par un corps flottant (bouée ou coffre).
#Coupée :
Ouverture pratiquée dans les pavois ou dans le bastingage permettant l’entrée ou la sortie du bord.
#Couples :
Axes de charpente posés verticalement sur la quille.
#Coursive :
Terme général pour désigner des passages étroits tels que ceux qui peuvent se trouver entre des chambres ou autres distributions du navire.
#Crachin :
Pluie très fine. Crachiner.
#Crapaud (d’amarrage) :
Forts crampons pris sur le fond et servant au mouillage des coffres et des grosses bouées.
#Crépine :
Tôle perforée placée à l’entrée d’un tuyautage pour arrêter les saletés.
#Croisillon :
Petite bitte en forme de croix.
#Croupiat :
Grelin de cordage quelconque servant à amarrer l’arrière d’un navire à un quai ou à un bâtiment voisin. Faire croupiat :
appareiller le navire en s’aidant d’une amarre pour éviter le navire vers la sortie du port ou du bassin.
#Cul :
Fond, partie arrière, basse ou reculée, d’un objet.
– Cul d’une poulie :
Partie de la caisse opposée au collet.
– Cul de poule :
Arrière allongé et relevé.
– Cul de porc :
Sorte de noeud.
#Culer :
En parlant d’un navire : marche arrière en avant.
D
#Dalot :
Trous pratiqués dans les ponts et laissant s’écouler dans un tuyau placé au-dessous l’eau qui se trouve à la surface du pont.
#Dames :
Échancrures du plat-bord d’un canot garnies de cuivre et destinées à recevoir et à maintenir les avirons pendant la nage.
#Darse :
Bassin d’un port.
#Déborder :
Action de pousser au large une embarcation ou un bâtiment accosté à un navire ou à un quai.
#Débouquer :
Sortir d’un canal ou d’une passe pour gagner la mer libre.
#Décapeler :
Un mât, une vergue, c’est enlever les cordages qui y sont capelés ; un cordage, entourant un objet quelconque, c’est le dépasser par-dessus cet objet et l’enlever. De façon générale : ôter, décapeler un tricot, etc...
#Défense :
Tout objet suspendu contre le bord d’un navire ou d’une embarcation pour préserver la muraille du choc des quais et de toute construction flottante.
#Déferler :
Larguer les rabans de ferlage qui tiennent une voile serrée et la laisser tomber sur ses cargues. La lame déferle lorsqu’elle brise en s’enroulant sur elle-même ou en choquant une plage, une roche.
#Déferler_un_pavillon :
Peser sur la drisse pour permettre au pavillon de se déployer.
#Déhaler :
Déplacer un navire au moyen de ses amarres.
Se déhaler :
S’éloigner d’une position dangereuse au moyen de ses embarcations, de ses voiles.
#Dérader :
Quitter une rade.
#Déraper :
Une ancre : l’arracher du fond. Un navire dérape lorsqu’il enlève du fond sa dernière ancre.
#Dérive :
Différence entre le cap vrai du bâtiment et sa route vraie sous l’effet du vent de la mer et du courant.On appelle aussi « dérive » les surfaces que l’on immerge au centre de la coque ou sur les côtés pour s’opposer à la pression latérale du vent ; on devrait dire dans ce cas « contre dérive ». Être en dérive : navire ou objet qui flotte au gré du vent, des lames, des courants.
#Désaffourcher :
Relever une des deux ancres qui tiennent un navire affourché.
#Désarmé :
Un navire est désarmé lorsqu’il est amarré dans un port sans équipage et qu’il n’y a, en général, que des gardiens à bord.
#Détroit :
Ancre installée à la poupe d’un bâtiment.
#Déventer :
Une voile : la brasser en ralingue de façon à ce qu’elle fasseye.
#Dévers :
Inclinaison de l’étrave et courbure vers l’extérieur des couples de l’avant ayant pour avantage d’éviter l’embarquement des lames, formées par la vitesse du bâtiment.
#Délester :
Décharger le lest d’un navire, par exemple, alléger un navire.
#Démailler :
Séparer les maillons d’une chaîne, ou l’ancre de sa chaîne.
#Demande :
Filer à la demande un cordage qui fait effort, c’est le laisser (à la) filer en n’opposant qu’une faible résistance, mais en se tenant prêt à arrêter le mouvement au besoin.
#Dépaler :
Être dépalé : être porté par les courants, en dehors de la route que l’on doit suivre.
#Déplacement :
Poids du volume d’eau déplacé par un navire qui flotte. Le déplacement s’exprime en tonnes de 1000 kg.
#Dévirer :
(Cabestan, treuil, etc...) : tourner en sens contraire.
#Dinghy :
Embarcation en caoutchouc. L’on dit aussi
zodiac quel que soit le modèle.
#Double :
Le double d’une manoeuvre : la partie qui revient sur elle-même dans le sens de la longueur après avoir passé dans une poulie ou autour d’un cabillot ou de tout autre objet. Quart de vin supplémentaire à titre de récompense.
#Doubler :
– Au vent : naviguer au vent de, passer au vent de...
– Un cap : manoeuvrer et faire route de manière à contourner un cap.
– Un bâtiment : le gagner de vitesse.
– Les manoeuvres, cordages : les disposer en double en cas de mauvais temps ou autrefois à l’approche du combat.
#Draille :
Cordage tendu le long duquel une voile, une tente peuvent courir ou glisser par le moyen d’un transfilage ou d’anneaux.
#Drisse :
Cordage ou palan servant à hisser une vergue, une corne, une voile.
– De flamme : cordage confectionné au moyen d’une machine spéciale, en une tresse ronde avec huit faisceaux, de trois fils à voile non goudronnés et destiné à hisser les signaux.
#Drome :
Ensemble des embarcations, des pièces de rechange : mâts, vergues, avirons, etc... embarqués à bord d’un bâtiment.
– Des embarcations : rassemblement en bon ordre des avirons, mâts, gaffes d’un canot sur les bancs.
#Drosse :
Cordage en filin, en cuir, en fil d’acier, ou en chaîne qui sert à faire mouvoir la barre de gouvernail.
#Drosser :
Entraîner hors de sa route par les vents et la mer.
#Ducs d’albe :
Nom donné à un ou plusieurs poteaux réunis, enfoncés dans le fond d’un bassin ou d’une rivière afin d’y capeler des amarres quand on le déhale d’un navire.
E
#Echafaud :
Planches formant une plate-forme que l’on suspend le long de la coque pour travailler.
#Echouer :
Toucher le fond.
#Ecope :
Pelle en bois à long manche qui sert à prendre de l’eau à la mer pour en asperger la muraille d’un bâtiment pour la nettoyer. Elle sert également à vider les embarcations.
#Écoutille :
Ouverture rectangulaire pratiquée dans le pont pour pouvoir accéder dans les entreponts et dans les cales.
#Ecubier :
Conduit en fonte, en tôle ou en acier moulé ménagé de chaque bord de l’étrave pour le passage des chaînes de l’ancre. Ouverture par laquelle passe la chaîne d’une ancre.
#Elingue :
Bout de filin ou longue estrope dont on entoure les objets pesants tels qu’une barrique, un ballot, une pièce de machine, etc... A cette élingue, on accroche un palan ou la chaîne d’un mât de charge pour embarquer ou débarquer les marchandises.
#Embardée :
Abattée d’un navire en marche en dehors de sa route ou au mouillage ou sous l’effet du vent ou du courant.
#Embarder :
Se dit d’un navire qui s’écarte de sa route à droite ou à gauche en suivant une ligne courbe et irrégulière. On dit aussi qu’un navire, à l’ancre, embarde quand il change constamment de cap sous l’effet du vent ou du courant.
#Embellie :
Amélioration momentanée de l’état de la mer et diminution du vent pendant une tempête ou encore éclaircie du ciel pendant le mauvais temps ou la pluie.
#Embosser :
Un navire : mouiller ou amarrer le bâtiment de l’AV et de l’AR, pour le tenir dans une direction déterminée malgré le vent ou le courant.
#Embouquer :
S’engager dans un canal, un détroit ou une passe.
#Embraquer :
Tirer sur un cordage de manière à le raidir : embraquer le mou d’une aussière.
#Embrun :
L’embrun est une poussière liquide arrachée par le vent de la crête des lames.
#Emerillon :
Croc ou anneau rivé par une tige dans un anneau de manière à pouvoir tourner librement dans le trou de l’anneau.
#Empanner :
Un navire à voile empanne ou est empanné quand il est masqué par le côté de l’écoute de ses voiles.
#Encablure :
Longueur employée pour estimer approximativement la distance entre deux objets peu éloignés l’un de l’autre. Cette longueur est de 120 brasses (environ 200 mètres). Longueur normale d’une glène d’aussière. Autre définition de l’encablure : un dixième de mille soit environ 185 mètres.
#Encalminé :
Voilier encalminé : quand il est dans le calme ou dans un vent si faible qu’il ne peut gouverner.
#Engager :
Un navire est engagé quand il se trouve très incliné par la force du vent, le désarrimage du chargement ou la houle et qu’il ne peut se redresser. Cordage engagé : cordage qui bloque.
#En grand :
Tout à fait, sans retenue.
#Entremise :
Fil d’acier reliant deux têtes de bossoir et sur lequel sont frappés les tire-veilles. Pièces de bois, cornière, placées dans le sens longitudinal. Elles servent avec les barrots à établir la charpente des ponts, à limiter les écoutilles, etc...
#Épauler :
La lame : prendre la mer à quelques quarts de l’AV pour mieux y résister.
#Epontille :
Colonne verticale de bois ou de métal soutenant le barrot d’un pont ou d’une partie à consolider.
#Erre :
Vitesse conservée par un navire sur lequel n’agit plus le propulseur.
#Espars :
Terme général usité pour désigner de longues pièces de bois employées comme mâts, vergues, etc...
#Essarder :
Essuyer, assécher avec un faubert ou une serpillière.
#Etale :
– Sans vitesse.
– Étale de marée : moment où la mer ne monte ni ne baisse
#Etaler :
Résister à.
#Étalingure :
Fixation de l’extrémité d’un câble, d’une chaîne sur l’organeau d’une ancre. - de cale : fixation du câble ou de la chaîne dans la cale ou le puits à chaînes.
#Etambot :
Pièce de bois de même largeur que la quille et qui s’élève à l’arrière en faisant avec celle-ci un angle généralement obtus qu’on nomme quête. Il reçoit les fémelots ou aiguillots du gouvernail.
#Etamine :
Étoffe servant à la confection des pavillons.
#Etarquer :
Une voile : la hisser de façon à la tendre le plus possible.
#Étrangler :
Une voile : l’étouffer au moyen de cordages.
#Etrangloir :
Appareil destiné à ralentir et à arrêter dans sa course une chaîne d’ancre.
#Evitage :
Mouvement de rotation d’un bâtiment sur ses ancres, au changement de marées ou par la force du vent qui agit plus sur lui que sur le courant. Espace nécessaire à un bâtiment à l’ancre pour effectuer un changement de cap, cap pour cap.
F
#Fanal :
Lanterne d’embarcation.
#Fardage :
Tout ce qui se trouve au-dessus de la flottaison excepté la coque lisse et offrant de la prise au vent. Dans la marine de commerce, désigne aussi les planches , nattes, etc... que l’on place sur le vaigrage du fond pour garantir les marchandises contre l’humidité.
#Fatiguer :
Un bâtiment fatigue lorsque, par l’effet du vent, de la mer, ses liaisons sont fortement ébranlées.
#Faubert :
Sorte de balai fait de nombreux fils de caret et dont on fait usage à bord pour sécher un pont après la pluie ou le lavage.
#Faux-bras :
Cordage installé le long du bord, pour faciliter l’accostage des embarcations.
#Femelots :
Pentures à deux branches embrassant l’étambot ou le gouvernail et représentant des logements pour recevoir les aiguillots.
#Ferler :
– Une voile carrée : relever par plis sur la vergue une voile carguée et la fixer au moyen de rabans dits de ferlage qui entourent la voile et la vergue.
– Un pavillon : le plier et le rouler en le maintenant ensuite avec sa drisse.
#Filer :
– Une amarre : laisser aller une amarre dont un des bouts est attaché à un point fixe.
– La chaîne : augmenter la touée d’une chaîne en la laissant aller de la quantité voulue en dehors du bord.
– Par le bout, une chaîne ou grelin : laisser aller du navire dans l’eau.
#Filière :
Cordage tendu horizontalement et servant de garde-corps ou à suspendre différents objets. - de mauvais temps : cordage qu’on tend d’un bout à l’autre du bâtiment et auquel les hommes se retiennent pendant les forts mouvements de roulis et de tangage.
#Flux :
Marée montante.
#Forain :
Ouvert : Rade foraine : rade sans abri, exposée au mauvais temps du large (mouillage d’attente).
Forme :
– Bassin de radoub, ou cale sèche : bassin de radoub.
– Formes d’un navire : ses lignes.
#Fraîchir :
Se dit du vent qui augmente d’intensité.
#Frais :
Désigne la forme du vent : joli frais, bon frais, grand frais.
#Franc-bord :
Distance entre le niveau de l’eau à l’extérieur du navire et la partie supérieure du pont principal à la demi-longueur du navire.
#Fret :
Somme convenue pour le transport de marchandises par navire. Les marchandises composant le chargement du navire.
#Fuir :
Devant le temps ou devant la mer : gouverner de manière à recevoir le vent ou la mer par l’arrière.
#Fune :
Grelin qui traîne le chalut. Prolongement de la filière des tentes d’un navire (mettre les tentes en fune).
G
#Galhauban :
Cordage en chanvre ou en acier servant à assujettir par le travers et vers l’arrière les mâts supérieurs.
#Gambier :
Changer la position d’une voile à antenne ou au tiers d’un côté à l’autre du navire en faisant passer la vergue de l’autre côté du mât. Synonyme : muder, trélucher.
#Galipot :
Sorte de mastic avec lequel on recouvre les pièces métalliques en cas de repos prolongé ou d’exposition à l’arrosage par l’eau de mer. Pâte formée en parties égales de céruse et de suif fondu, étalée à chaud, au pinceau, sur les surfaces à protéger. On l’enlève par grattage et lavage à l’huile. Galipoter (vieux).
#Gite :
Synonyme de bande : Giter.
#Glène :
De cordage : portion de cordage ployée en rond sur elle-même, c’est à dire lové.
#Grain :
Vent violent qui s’élève soudainement généralement de peu de durée. Les grains sont parfois accompagnés de pluie, de grêle ou de neige.
#Gréement :
L’ensemble des cordages, manoeuvres de toutes sortes et autres objets servant à l’établissement, à la tenue ou au jeu de la mâture, des vergues et des voiles d’un navire.
#Guindeau :
Appareil servant à virer les chaînes, à mouiller et à relever les ancres à bord d’un navire. Son axe de rotation est horizontal.
H
#Habitacle :
Sorte de cuvette ou de caisse cylindrique en bois ou en cuivre recouverte à la partie supérieure d’une glace et qui contient le compas de route et les lampes qui l’éclairent.
#Hale-bas :
Petit cordage frappé au point de drisse des voiles enverguées sur des drailles et qui sert à les amener.
#Haler :
Remorquer un navire dans un canal ou le long d’un quai au moyen d’un cordage tiré au rivage. Tirer un cordage ou un objet quelconque au moyen d’un cordage sur lequel on fait un effort.
#Hanche :
Partie de la muraille d’un navire qui avoisine l’arrière. On relève un objet par la hanche quand il est à 45° par l’arrière du travers.
#Haut-fond :
Sommet sous-marin recouvert d’eau peu profonde et dangereux pour la navigation.
#Hauturière :
Navigation au large ; contrôlée par l’observation des astres. Long cours.
I
#Itague :
Cordage passant par une poulie simple et sur lequel on agit à l’aide d’un palan pour augmenter la puissance. Chaîne retenant un coffre et maillée au point de jonction des chaînes des ancres de corps-mort.
J
#Jambettes :
Montants, bouts d’allonges qui dépassent le plat-bord d’un bâtiment et sur lesquels on tourne des manoeuvres ou on prend un retour. Pièces de bois ou de fer légèrement inclinées et retenant les pavois.
#Jarretière :
Sangle qui sert à saisir une drôme dans une embarcation.
#Jauge :
Volume des capacités intérieures des navires exprimé en tonneaux de 2m3.83 ou 100 pieds cubes anglais.
#Jauge brute :
Volume de tous les espaces fermés du navire sans exception aucune.
#Jauge nette :
Volume des espaces utilisables commercialement.
#Jaumière :
Ouverture pratiquée dans la voûte d’un navire pour le passage et le jeu de la partie supérieure de la mèche du gouvernail.
#Joue :
Creux des formes de la coque à l’avant d’un navire. Synonyme : épaule. Face extérieure de la caisse d’une poulie.
#Joute :
Compétition d’embarcations à l’aviron.
#Jusant :
Marée descendante.
L
#Laisse :
– De marée : partie du rivage alternativement couverte et découverte par la mer dans les mouvements de la marée.
#Laize :
Chacune des bandes de toile dont se compose une voile.
#Lamanage :
Pilotage restreint aux ports, baies, rade et rivières de peu d’importance. Dans la coutume d’Oléron, le pilote s’appelait loman, c’est à dire homme du lof (côté du vent) ; on en a fait laman, puis lamaneur.
#Larder :
Voir paillet.
#Latte :
– De hauban : patte métallique fixée sur le bordage pour servir de cadène de hauban.
#Lège :
Bâtiment lège : bâtiment vide.
#Lest :
Matières pesantes arrimées dans les fonds du navire pour en assurer la stabilité.
#Libre pratique :
Permission donnée par les autorités sanitaires d’un port à un navire de communiquer librement avec la terre.
#Loch :
Appareil servant à mesurer la vitesse du navire.
#Lumières :
Petits canaux ou conduits pratiqués sur la face antérieure des varangues et destinés à conduire les eaux de cale au pied des pompes. Synonyme : anguillers
M
#Mahonne :
Chaland de port à formes très arrondies utilisé en Méditerranée.
#Maille :
Intervalle entre deux couples voisins d’un navire ou entre deux varangues. Ouverture laissée entre les fils des filets de pêche.
#Main_courante :
Barre en métal, ou pièces de bois mince, placées de chaque côté des échelles de dunette, de roof-passerelle, de gaillard, etc... pour servir de rampe.
#Maistrance :
(Marine Nationale) - L’ensemble des officiers mariniers de la Marine de guerre française et plus particulièrement ceux de carrière qui constituent le cadre de maistrance proprement dit.
#Maître_bau :
Bau situé dans la plus grande largeur du navire.
#Maître_couple :
Couple situé de même.
#Maître_de_quart :
(Marine nationale) - Gradé du service manoeuvre qui, à bord des bâtiments militaires, seconde l’officier de quart dans le service des embarcations et rend les honneurs du sifflet à l’arrivée et au départ des officiers.
#Maniable :
Modéré (vent) ; assez beau (temps).
#Manifeste :
Liste complète et détaillée par marque et numéros des colis de marchandises formant la cargaison d’un navire. Cette liste est remise à la Douane du port de destination.
#Marie-Salope :
Chaland à saletés.
#Marnage :
Synonyme : d’amplitude pour la marée.
#Maroquin :
Cordage tendu entre deux mâts pour servir à supporter une ou plusieurs poulies dans lesquelles passent des manoeuvres ou des drisses.
#Mascaret :
Phénomène qui se produit dans le cours inférieur d’un fleuve consistant en plusieurs lames creuses et courtes formées par la remontée du flot contre le courant du propre fleuve.
#Mât_de_charge :
Espar incliné tenu par des balancines portant des apparaux servant à déplacer des poids.
#Mâter :
Mettre un mât en place. Mâter une pièce, une barrique, les avirons : les dresser et le tenir dans une position verticale.
#Mégaphone :
Tronc de cône creux et léger servant à augmenter la portée de la voix.
#Membrure :
Pièce de bois ou de fer soutenant le bordé et les vaigres sur laquelle viennent se fixer les barrots (Synonyme : couple).
#Midship :
Aspirant ou enseigne de vaisseau, en général le plus jeune parmi les officiers. Désigne également des chaussures ouvertes utilisées à bord des bâtiments de la Marine en pays chaud.
#Mole :
Construction en maçonnerie, destinée à protéger l’entrée d’un port et s’élevant au-dessus du niveau des plus fortes marées.
#Mollir :
Diminuer de violence (vent / mer).
#Mou :
Un cordage a du mou quand il n’est pas assez tendu. Donner du mou : choquer une manoeuvre. Un navire est mou quand il a tendance à abattre.
#Moucheter_un_croc :
Amarrer un bout entre pointe et dos pour empêcher le décrochage.
#Mouiller :
Jeter l’ancre et filer la touée de la chaîne convenable.
#Mousson :
Vents périodiques, soufflant avec de légères variations pendant une moitié de l’année dans une direction et pendant l’autre moitié de l’année dans la direction opposée. (Mers de Chine et Océan Indien).
#Musoir :
Pointe extrême d’une jetée ou d’un môle ; se dit aussi de l’extrémité d’un quai à l’entrée d’un bassin ou d’un sas.
N
#Nable :
Trou percé dans le fond d’une embarcation servant à la vider lorsque cette embarcation n’est pas à flot. S’obture au moyen d’un bouchon de nable.
#Nage :
Mouvement imprimé par l’armement aux avirons d’une embarcation.
– Chef de nage : Nageurs assis sur le banc arrière dont les mouvements sont suivis par tous les autres.
– Nage à couple : Quand il y a 2 (canot) ou 4 (chaloupe) nageurs sur chaque banc.
– Nage en pointe : 1 nageur par banc (baleinière).
#Natte :
Nom donné aux paillets et aux sangles qu’on place en divers endroits de la mâture et du gréement qu’on veut garantir du frottement.
#Nid de pie :
Installation placée assez haut sur le mât avant de certains navires et dans laquelle se tient l’homme de vigie. A bord des navires polaires, on dit plutôt #nid_de_corbeau.
O
#Obéir :
Un navire obéit bien à la barre quand il en sent rapidement l’action.
#Obstructions :
Défenses fixes, d’un port pour en interdire l’accès à un ennemi de surface, sous-marin ou aérien.
#Oeil :
Boucle formée à l’extrémité d’un filin.
#Oeil de la tempête :
Éclaircie dans le ciel au centre des ouragans.
#Oeuvres_mortes :
Partie émergée de la coque.
#Oeuvres_vives :
Partie immergée de la coque.
#Opercule :
Tape de hublot.
#Oreilles_d_âne :
Cuillers en tôle permettant d’augmenter le débit d’air entrant par les hublots.
P
#Paille de bitte :
Tige de fer traversant la tête d’une bitte pour empêcher la chaîne ou l’aussière de décapeler.
#Paillet :
Réunion de fils de bitord, torons de cordage, etc... tressés ensemble et formant une sorte de natte. On les emploie pour garnir les manoeuvres dormantes afin empêcher le frottement.
#Palanquée :
Colis, ensemble de marchandises groupées dans une élingue ou un filet pour être embarquées ou débarquées en un seul mouvement de grue.
#Palanquer :
Agir sur un objet quelconque avec un ou plusieurs palans.
#Panne (mettre en) :
Manoeuvre qui a pour objet d’arrêter la marche du navire par le brasseyage de la voilure.
#Pantoire :
Fort bout de cordage terminé par un oeil muni d’une cosse.
#Pantoire_de_tangon :
Retient le tangon dans le plan vertical.
#Paravane (un) :
Deux brins de dragage fixés au brion terminés par des flotteurs divergents. Installation destinée à la protection contre les mines à orin.
#Paré :
Prêt, libre, clair, hors de danger.
#Parer :
– Un cap : le doubler ; - un abordage : l’éviter.
– Une manoeuvre : la préparer.
– Manoeuvres : commandement pour tout remettre en ordre.
Faire parer un cordage : le dégager s’il est engagé ou empêcher de la faire.
#Passerelle :
Petit cordage servant de transfilage ou à passer une manoeuvre plus grosse dans les poulies ou un conduit.
Aussière ou chaîne passée d’avance sous la coque d’un bâtiment afin de permettre une mise en place rapide d’un paillet makaroff.
#Pataras :
Hauban supplémentaire destiné à soulager temporairement à un hauban soumis à un effort considérable - très employé sur les yachts de course, ce hauban mobile appelle largement sur l’arrière.
#Patente de santé :
Certificat délivré à un navire par les autorités du port pour attester l’état sanitaire de ce port.
#Pavois :
Partie de coque au-dessus du pont formant garde corps.
#Grand_pavois :
Pavillon de signaux frappés le long des étais et de l’entremise dans un ordre déterminé.
#Petit_pavois :
Pavillons nationaux en tête de chacun des mâts. Au-dessus du pavois : Syn. « de montré » pour un signal par pavillon de 1 signe.
P#eneau (faire) :
Tenir l’ancre prête à mouiller par grands fonds après avoir filé une certaine quantité de chaîne pour atténuer la violence du choc sur le fond.
#Perdant :
Synonyme : jusant.
#Perthuis :
Détroit entre les îles, des terres ou des dangers.
Ouverture d’accès dans une cale sèche.
#Phare :
Construction en forme de tour portant un feu à son sommet.
Mât avec ses vergues, voiles et gréement. Ex. : phare de misaine, phare de l’avant, phare de l’arrière, phare d’artimon, phare carré.
#Phoscar :
Sorte de boîte à fumée et à feu jetée d’un bâtiment afin de matérialiser un point sur la mer.
#Pic (a pic) :
Position verticale de la chaîne de l’ancre au moment où celle-ci est sur le point d’être arrachée au fond. A long pic : laisser la chaîne de l’ancre un peu plus longue que pour être à pic.
#Pied :
Jeter un pied d’ancre : mouiller avec un peu de touée pour un court laps de temps.
Mesure de longueur égale à 0,305mètre.
#Pied_de_biche :
Pièce de fonte, dans un guindeau.
#Pied_de_pilote :
Quantité dont on augmente le tirant d’eau pour être sur de ne pas talonner.
#Pigoulière :
Embarcation à moteur assurant à heures fixes à TOULON le service de transport du personnel entre différents points de l’Arsenal.
#Piloter :
Assurer la conduite d’un navire dans un port ou dans les parages difficiles de la côte.
#Piquer_l_heure :
Sonner l’heure au moyen d’une cloche.
#Plat-bord :
– Dans un bâtiment en bois : ensemble des planches horizontales qui recouvrent les têtes des allonges de sommet.
– Dans un navire en fer : ceinture en bois entourant les ponts.
#Plein :
Synonyme : pleine mer.
– Plus près bon plein : allure de 1 quart plus arrivée que le plus près.
– Mettre au plein : échouer un bateau à la côte.
#Poste (amarre de) :
Aussière ou grelin de forte grosseur fournie par les ports pour donner plus de sécurité et plus de souplesse à l’amarrage des navires et éviter l’usure de leurs propres aussières d’amarrage.
#Pot_au_noir :
Zone des calmes équatoriaux caractérisés par des pluies torrentielles.
#Poulaine :
Partie extrême avant d’un navire : lieu d’aisance de l’équipage.
#Poupée_de_guindeau :
Bloc rond en fonte sur lequel on garnit les amarres que l’on veut virer au guindeau.
#Prélart :
Laize de toile à voile souple, cousues ensemble puis goudronnées, destinées à couvrir les panneaux d’une écoutille et empêcher l’accès de l’eau dans les entreponts ou la cale.
#Puisard :
Espace compris entre deux varangues et formant une caisse étanche dans laquelle viennent se rassembler les eaux de cale.
#Pilot_chart :
Cartes périodiques publiées par l’Office Météo des Etats-Unis fournissant des renseignements sur la direction et la force des vents et des courants probables et la position des icebergs.
Q
#Quart :
32ème partie du tour d’horizon, vaut 11 degrés 15 minutes.
Synonyme. : de rhumb de compas.
#Queue _de_rat :
– Cordage terminé en pointe.
– D’un grain : rafale violente et subite à la fin d’un grain.
– Aviron de queue : aviron servant de gouvernail.
#Quille_de_roulis :
Plan mince, en tôle, fixé normalement et extérieurement à la coque, dans la région du bouchain, sur une partie de la longueur du navire, et destiné à entraîner l’eau lors des mouvements de roulis pour les amortir plus rapidement.
R
#Raban :
Tresse ou sangle de 8 à 9 mètres de long formée d’un nombre impair de brins de bitord.
– De hamac : bout de quarantenier servant à suspendre le hamac.
– De ferlage : cordon ou tresse servant à serrer une voile sur une vergue, un gui, etc...
#Rabanter :
Fixer ou saisir un objet à son poste avec les rabans destinés à cet usage.
– Une voile : la relever pli par pli sur la vergue et l’entourer, ainsi que la vergue, avec les rabans.
#Radier :
Maçonnerie sur laquelle on établit les portes d’un bassin et d’une forme.
#Radoub :
Passage au bassin d’un navire pour entretien ou réparation de sa coque.
#Rafale :
Augmentation soudaine et de peu de durée du vent.
#Rafiau ou #Rafiot :
Petite embarcation, mauvais navire.
#Rafraîchir :
Un câble, une amarre, c’est en filer ou en embraquer une certaine longueur de manière à ce que le portage ne soit jamais à la même place.
#Raguer :
Un cordage rague lorsqu’il s’use, se détériore en frottant sur un objet dur ou présentant des aspérités. Se dit aussi d’un bâtiment frottant contre un quai.
#Rail :
Pièce en cuivre vissée sur un mât à pible ou un gui sur laquelle sont enfilés les coulisseaux.
#Rambarde :
Garde-corps.
Synonyme : de main courante.
#Ras :
Radeau servant aux réparations à faire à un bâtiment près de sa flottaison.
Petits appontements flottants.
#Ratier :
Argot de bord - Matelot sans spécialité chargé de l’entretien de la coque.
#Rattrapant :
Yacht rattrapant. Terme de régate : lorsque deux yachts font la même route ou à peu près, celui qui est en route libre derrière l’autre commence à être considéré comme « yacht rattrapant l’autre » aussitôt qu’il s’en approche assez près pour qu’il y ait « risque de collision » et continue à être tel jusqu’à ce qu’il redevienne en roue libre devant ou derrière, ou s’en soit écarté par le travers jusqu’à écarter le risque de collision.
#Raz :
Courant violent dû au flot ou au jusant dans un passage resserré.
#Reflux :
Mouvement rétrograde de l’eau après la marée haute.
Synonyme : jusant, ébe.
#Refuser :
Le vent refuse lorsque sa direction vient plus de l’avant. Contraire : adonner.
#Relâcher :
Un navire relâche quand par suite du mauvais temps, avaries subies, etc... il est forcé d’interrompre sa mission et d’entrer dans un port qui n’est pas son port de destination.
#Renard :
Plateau sur lequel sont pointés les noms des officiers qui descendent à terre.
#Rencontrer :
La barre ou simplement rencontrer : mettre la barre du côté opposé à celui où elle était auparavant pour arrêter le mouvement d’abatée du navire.
#Rendre :
Un cordage rend lorsqu’il s’allonge. Une manoeuvre est rendue lorsqu’on l’a amenée à son poste en halant dessus. Rendre le mou d’un cordage : tenir le cordage à retour d’un bout tandis qu’on hale de l’autre bout. Rendre le quart : remettre le quart à son successeur.
#Renflouer :
Remettre à flot un navire échoué.
#Renverse :
Du courant : le changement cap pour cap de sa direction.
#Ressac :
Retour violent des lames sur elles-mêmes lorsqu’elles vont se briser sur une côte, un haut-fond.
#Retenue :
Cordage en chanvre, en acier ou chaîne servant à soutenir un bout-dehors, un bossoir.
#Rider :
Une manoeuvre dormante : c’est la raidir fortement à l’aide de ridoirs ou de caps de mouton.
#Riper :
Faire glisser avec frottement.
#Risée :
Petite brise subite et passagère.
#Rocambeau :
Cercle en fer garni d’un croc, servant notamment à hisser la vergue d’une voile au tiers et à amurer le point d’amure du foc le long de son bout-dehors.
#Rôle :
Rôle de combat, rôle d’équipage, etc...
#Rondier :
Gradé ou matelot chargé d’une ronde.
#Roof :
Superstructure établie sur un pont supérieur et ne s’étendant pas d’un côté à l’autre du navire.
#Roulis :
Balancement qui prend le navire dans le sens transversal.
#Routier :
Carte marine à petite échelle comprenant
S
#Sabaye :
Cordage avec lequel on hâle à terre un canot mouillé près de la côte.
##Sabord :
Ouverture rectangulaire pratiquée dans la muraille d’un navire.
Saborder :
Faire des brèches dans les oeuvres vives d’un navire pour le couler.
#Safran :
Surface du gouvernail sur laquelle s’exerce la pression de l’eau pour orienter le navire.
#Savate :
Pièce de bois sur laquelle repose un navire au moment de son lancement.
#Saisine :
Cordage servant à fixer et à maintenir à leur place certains objets.
#Sangle :
Tissu en bitord qui sert à garantir du frottement certaines parties du navire ou du gréement ou à maintenir au roulis des objets suspendus.
#Sas :
Partie d’un canal muni d’écluses, destinée à établir une jonction entre deux bassins de niveaux différents. Compartiment en séparant deux autres dont les ouvertures ne peuvent s’ouvrir que l’une après l’autre.
#Saute_de_vent :
Changement subit dans la direction du vent.
#Sauve-Garde :
Cordages fourrés ou chaînes servant à empêcher le gouvernail d’être emporté s’il vient à être démonté. Ils sont fixés d’un bout sur le gouvernail, de l’autre sur les flancs du bâtiment.
#Sec (à) :
Un bâtiment court à sec, est à sec de toile lorsqu’il navigue sans se servir de ses voiles, mais poussé par le vent.
#Semonce :
Ordre donné par un navire armé à un autre navire de montrer ses couleurs et au besoin d’arrêter pour être visité.
#Coup (coup de) :
Coup de canon appuyant cet ordre.
#Servir :
Faire servir : manoeuvre d’un navire à voiles pour quitter la panne et reprendre la route.
#Seuil :
Élévation du fond de la mer s’étendant sur une longue distance.
#Sillage :
Trace qu’un navire laisse derrière lui à la surface de la mer.
#Slip :
Plan incliné destiné à mettre à l’eau ou à haler à terre de petits bâtiments ou des hydravions au moyen d’un chariot sur rails.
#Soufflage :
Doublage en planches minces sur le bordé intérieur ou extérieur.
#Souille :
Enfoncement que forme dans la vase ou le sable mou un bâtiment échoué.
#Sous-venté :
Un voilier est sous-venté quand il passe sous le vent d’un autre bâtiment, d’une terre qui le prive de vent.
#Spardeck :
Pont léger au-dessus du pont principal.
#Suceuse :
Drague travaillant par succion du fond.
#Superstructures :
Ensemble des constructions légères situées au-dessus du pont supérieur.
#Surbau :
Tôle verticale de faible hauteur encadrant un panneau, un roof ou un compartiment quelconque.
#Syndic :
Fonctionnaire de l’Inscription Maritime remplaçant les Administrateurs dans les sous-quartiers.
#Syzygie (marée des) :
Marées correspondant à la nouvelle ou à la pleine lune. Synonyme : marée de vive-eau.
T
#Table_à_roulis :
Table percée de trous.
Par gros temps, on y met des chevilles appelées violons ou cabillots qui permettent de fixer les objets qui s’y trouvent.
#Tableau :
Partie de la poupe située au-dessus de la voûte.
Dans un canot ou une chaloupe, partie arrière de l’embarcation.
#Talon_de_quille :
Extrémité postérieure de la quille sur laquelle repose l’étambot.
#Talonner :
Toucher le fond de la mer avec le talon de la quille.
#Tangon :
Poutre mobile établie horizontalement à l’extérieur d’un navire, à la hauteur du pont supérieur et perpendiculairement à la coque, sur laquelle on amarre les embarcations quand le navire est à l’ancre.
– De spinnaker ou de foc : espars servant à déborder le point d’écoute du spinnaker ou du foc au vent arrière.
#Tangage :
Mouvement que prend le navire dans le sens longitudinal.
#Tanker :
Navire pétrolier.
#Tape :
Panneau en tôle ou pièce de bois obturant une ouverture.
#Taud :
Abri de grosse toile qu’on établit en forme de toit au-dessus des ponts pour garantir l’équipage contre la pluie. Etui placé sur les voiles serrées pour les garantir de la pluie.
#Teck :
Bois des Indes presque imputrescibles aussi fort et plus léger que le chêne ; très employé dans la construction navale.
#Tenir :
Navire tenant la mer : se comportant bien dans le mauvais temps.
#Tenir le large :
Rester loin de la terre.
#Tenue :
Qualité du fond d’un mouillage. Les fonds de bonne tenue sont ceux dans lesquels les pattes des ancres pénètrent facilement et ne peuvent cependant en être arrachées qu’avec difficulté.
La tenue d’un mât est son assujettissement par les étais et les haubans.
#Teugue :
Partie couverte du pont supérieur avant, constituant un gaillard d’avant où les hommes de l’équipage peuvent s’abriter.
#Tiens-bon ! :
Commandement à des hommes qui agissent sur un cordage, un cabestan, etc... de suspendre leurs efforts tout en restant dans la position où ils sont (voir « Tenir bon »).
#Tiers (voile au) :
Synonyme : de bourcet
Voiles des canots et chaloupes.
#Tillac :
Pont supérieur ou parfois plancher d’embarcation.
#Tins :
Pièces de bois carrées placées à des distances régulières sur le fond d’une cale-sèche et destinées à soutenir la quille des navires.
#Tire-veilles :
Nom donné à un bout de filin terminé par une pomme à la rambarde au bas de l’échelle de coupée d’un navire et auquel on se tient pour monter à bord ou pour en descendre.
Bout amarré sur l’entremise des bossoirs d’embarcation et auxquels se tient l’armement d’une embarcation quand on la met à l’eau ou quand on la hisse.
#Tomber :
– Sous le vent : s’éloigner de l’origine du vent.
– Sur un navire, une roche : être entraîné par le vent, le courant ou toute autre cause vers un navire, un rocher, etc...
– Le vent tombe, la mer tombe : le vent diminue d’intensité, les vagues de force.
#Tonnage :
Capacité cubique d’un navire ou de l’un de ses compartiments exprimée en tonneaux. Le tonneau est égal à cent pieds cubes anglais ou à 2,83 mètres cubes (c’est le tonneau de jauge) ; Le tonnage exprime toujours un volume.
#Tonne :
Grosse bouée en bois, en fer ou en toile.
#Top :
Prendre un top : comparer une pendule réglée avec son chronomètre, ou relever un signal horaire au compteur.
#Tosser :
Un navire tosse lorsque, amarré le long d’un quai, sa coque frappe continuellement contre le quai par l’effet de la houle.
A la mer, le navire tosse quand l’AV retombe brutalement dans le creux des vagues.
#Touage :
Remorquage, plus particulièrement en langage de batellerie.
#Toucher :
Être en contact avec le fond. Toucher terre : faire escale.
#Touée :
Longueur de la remorque avec laquelle on hale un navire pour le déplacer.
Longueur de la chaîne filée en mouillant une ancre. Par extension : longueur d’une certaine importance d’un câble filé ou d’un chemin à parcourir.
#Touline :
Petite remorque et plus généralement lance-amarre.
#Tourner :
Une manoeuvre : lui faire faire un nombre de tours suffisant autour d’un point fixe pour l’empêcher de filer ou de lâcher.
#Traîne :
Tout objet que l’on file à l’arrière d’un navire à l’aide d’un bout de filin.
A la traîne : un objet est à la traîne lorsqu’il n’est pas placé à la place qui lui est assignée.
#Transfiler :
– Deux morceaux de toile : les rapprocher bord à bord au moyen d’un bout de ligne passant alternativement des oeillets pratiqués dans l’un dans ceux pratiqués dans l’autre.
– Une voile : la fixer à sa vergue, gui ou corne au moyen d’un filin nommé transfilage et passant d’un oeillet à l’autre en embrassant la vergue, le gui, la corne.
#Traversier :
Amarre appelant d’une direction perpendiculaire à l’axe longitudinal.
Un vent traversier est un vent bon pour aller d’un port à un autre et pour un revenir.
#Trou_d_homme :
Ouverture elliptique d’un double fond ou d’un ballast.
#Tunnel :
Conduit en tôlerie de dimensions suffisantes pour permettre le passage d’un homme et à l’intérieur duquel se trouve une ligne d’arbres entre la chambre des machines et la cloison de presse-étoupe AR.
V
#Va_et_vient :
Cordage en double servant à établir une communication entre deux navires ou entre un navire et la côte, notamment pour opérer le sauvetage des naufragés.
#Vadrouille :
Bouts de cordage défaits, serrés sur un manche et servant au nettoyage. Faubert emmanché.
#Vague_satellite :
Soulèvement de la mer produit par le mouvement du navire en marche.
#Varangue :
La varangue est la pièce à deux branches formant la partie inférieure d’un couple et placées à cheval sur la quille. La varangue est prolongée par des allonges. Tôle placée verticalement et transversalement d’un bouchain à l’autre pour consolider le petit fond du navire.
#Vase :
Terre grasse, noirâtre, gluante. La vase peut être molle, dure mêlée ; elle présente généralement une bonne tenue.
#Veille (ancre de) :
Ancre prête à être mouillée.
#Veiller :
Faire attention, surveiller. Veiller l’écoute : se tenir prêt à la larguer, à la filer. Veiller au grain : l’observer, le suivre.
#Vélique :
Point vélique = centre de voilure de toutes les voiles.
#Ventre :
La partie centrale d’un bâtiment surtout lorsque ses couples sont très arrondis.
#Verine :
Bout de filin terminé par un croc ou une griffe et dont on fait usage en simple ou en double pour manier les chaînes des ancres.
#Videlle :
Reprise faite à un accroc dans une toile.
#Virer :
Exercer un effort sur un cordage ou sur une chaîne par enroulement sur un treuil, guindeau ou cabestan.
– Virer à pic : virer suffisamment le câble ou la chaîne pour amener l’étrave du navire à la verticale de l’ancre.
– Virer à long pic : virer en laissant la chaîne un peu plus longue que la profondeur de l’eau.
#Virer_de_l_avant :
faire avancer un navire en embraquant ses amarres de l’avant au cabestan ou au guindeau.
– Virer sur la chaîne : rentrer une partie de la chaîne en se servant du cabestan ou du guindeau.
– Virer de bord : changer les amures des voiles.
#Vit_de_nulet ou #Vi_de_mulet :
Tige de métal articulée fixée à une vergue, à un gui, à un mât de charge pour le relier au mât qui porte une douille. Employé en particulier pour les mâts de charge.
#Vitesse :
L’unité marine de vitesse est le noeud qui représente un mille marin (1852 mètres) à l’heure. Ne jamais dire un noeud à l’heure.
#Vive-eau :
Grande marée.
#Voie_d_eau :
Fissure ou ouverture accidentelle dans des oeuvres vives.
W
#Wharf :
Littéralement quai, plus spécialement pour désigner un appontement qui s’avance dans la mer au-delà de la barre sur la côte occidentale d’Afrique.
Y
#Youyou :
Très petite embarcation de service à l’aviron et à la voile.
]]>« Hausse préoccupante » de la mortalité des cyclistes en France
▻https://www.lemonde.fr/societe/article/2023/02/01/securite-routiere-hausse-preoccupante-de-la-mortalite-des-cyclistes_6160112_
More Afghans with protection guaranteed to reach Germany in coming months
German Foreign Minister Annalena Baerbock has said she expects more Afghans to be brought to Germany in the near future, following a new agreement with Pakistan.
Annalena Baerbock announced on Thursday (June 23) that a new agreement with Pakistan will create a legal exit route via Pakistan to Germany for thousands of people who have been promised protection in Germany, adding that work on implementing the agreement was proceeding at full speed.
The foreign minister said that those who had already been promised protection by the German government would be the main beneficiaries of this new exit route. She highlighted that the personal information of those who will benefit from the new arrangement was known to German authorities, which will facilitate their quick transfer to Germany from Pakistan.
Ambitious action plan
Baerbock also gave an interim assessment of the government’s “Afghanistan Action Plan,” which she first presented six months ago, shortly after accepting her position as foreign minister.
She said that about two-thirds of the people who had been granted protection had managed to make their way to Germany. This is equivalent to a total of more than 21,000 Afghan nationals.
The number of departures from Afghanistan and neighboring countries has almost doubled since the action plan was implemented at beginning of the year. More than 12,000 people have been brought to Germany since then. However according to some reports, help came too late for some, resulting in a series of deaths.
Afghanistan mission ’not in vain’
In her statement, Baerbock also welcomed the Bundestag’s planned Afghanistan inquiry committee, which is expected to begin its work on July 7. She said that it was important to learn from the mistakes of the Bundeswehr mission in Afghanistan in the past two decades without blaming anyone. Baerbock emphasized that the Afghanistan mission “was not in vain.”
Germany’s Bundeswehr withdrew from Afghanistan alongside various other international forces at the end of June 2021, having had a continuous presence in the country for almost 20 years. International forces led by the US had declared war on Afghanistan following the terrorist attacks on the United States on September 11, 2001.
Following the ouster of the militant Islamist Taliban government during that war, whom the US had accused of harboring the mastermind of the attack, Osama bin Laden, thousands of international troops remained in Afghanistan to help the country with its nation-building efforts while also trying to minimize attacks by militants.
After taking power in August 2021 amid the power vacuum left behind by the withdrawal of international troops, the Taliban have restricted civil liberties, increasingly excluding girls and women in particular from public life. There have also been reports of violence against people who had collaborated with the international forces in the country over the past 20 years.
▻https://www.infomigrants.net/en/post/41452/more-afghans-with-protection-guaranteed-to-reach-germany-in-coming-mon
#Allemagne #asile #migrations #réfugiés #corridors_humanitaires #réfugiés_afghans #Afghanistan #Pakistan #voies_légales #Afghanistan_Action_Plan
Schengen : de nouvelles règles pour rendre l’espace sans contrôles aux #frontières_intérieures plus résilient
La Commission propose aujourd’hui des règles actualisées pour renforcer la gouvernance de l’espace Schengen. Les modifications ciblées renforceront la coordination au niveau de l’UE et offriront aux États membres des outils améliorés pour faire face aux difficultés qui surviennent dans la gestion tant des frontières extérieures communes de l’UE que des frontières intérieures au sein de l’espace Schengen. L’actualisation des règles vise à faire en sorte que la réintroduction des #contrôles_aux_frontières_intérieures demeure une mesure de dernier recours. Les nouvelles règles créent également des outils communs pour gérer plus efficacement les frontières extérieures en cas de crise de santé publique, grâce aux enseignements tirés de la pandémie de COVID-19. L’#instrumentalisation des migrants est également prise en compte dans cette mise à jour des règles de Schengen, ainsi que dans une proposition parallèle portant sur les mesures que les États membres pourront prendre dans les domaines de l’asile et du retour dans une telle situation.
Margaritis Schinas, vice-président chargé de la promotion de notre mode de vie européen, s’est exprimé en ces termes : « La crise des réfugiés de 2015, la vague d’attentats terroristes sur le sol européen et la pandémie de COVID-19 ont mis l’espace Schengen à rude épreuve. Il est de notre responsabilité de renforcer la gouvernance de Schengen et de faire en sorte que les États membres soient équipés pour offrir une réaction rapide, coordonnée et européenne en cas de crise, y compris lorsque des migrants sont instrumentalisés. Grâce aux propositions présentées aujourd’hui, nous fortifierons ce “joyau” si emblématique de notre mode de vie européen. »
Ylva Johansson, commissaire aux affaires intérieures, a quant à elle déclaré : « La pandémie a montré très clairement que l’espace Schengen est essentiel pour nos économies et nos sociétés. Grâce aux propositions présentées aujourd’hui, nous ferons en sorte que les contrôles aux frontières ne soient rétablis qu’en dernier recours, sur la base d’une évaluation commune et uniquement pour la durée nécessaire. Nous dotons les États membres des outils leur permettant de relever les défis auxquels ils sont confrontés. Et nous veillons également à gérer ensemble les frontières extérieures de l’UE, y compris dans les situations où les migrants sont instrumentalisés à des fins politiques. »
Réaction coordonnée aux menaces communes
La proposition de modification du code frontières Schengen vise à tirer les leçons de la pandémie de COVID-19 et à garantir la mise en place de mécanismes de coordination solides pour faire face aux menaces sanitaires. Les règles actualisées permettront au Conseil d’adopter rapidement des règles contraignantes fixant des restrictions temporaires des déplacements aux frontières extérieures en cas de menace pour la santé publique. Des dérogations seront prévues, y compris pour les voyageurs essentiels ainsi que pour les citoyens et résidents de l’Union. L’application uniforme des restrictions en matière de déplacements sera ainsi garantie, en s’appuyant sur l’expérience acquise ces dernières années.
Les règles comprennent également un nouveau mécanisme de sauvegarde de Schengen destiné à générer une réaction commune aux frontières intérieures en cas de menaces touchant la majorité des États membres, par exemple des menaces sanitaires ou d’autres menaces pour la sécurité intérieure et l’ordre public. Grâce à ce mécanisme, qui complète le mécanisme applicable en cas de manquements aux frontières extérieures, les vérifications aux frontières intérieures dans la majorité des États membres pourraient être autorisées par une décision du Conseil en cas de menace commune. Une telle décision devrait également définir des mesures atténuant les effets négatifs des contrôles.
De nouvelles règles visant à promouvoir des alternatives effectives aux vérifications aux frontières intérieures
La proposition vise à promouvoir le recours à d’autres mesures que les contrôles aux frontières intérieures et à faire en sorte que, lorsqu’ils sont nécessaires, les contrôles aux frontières intérieures restent une mesure de dernier recours. Ces mesures sont les suivantes :
- Une procédure plus structurée pour toute réintroduction des contrôles aux frontières intérieures, comportant davantage de garanties : Actuellement, tout État membre qui décide de réintroduire des contrôles doit évaluer le caractère adéquat de cette réintroduction et son incidence probable sur la libre circulation des personnes. En application des nouvelles règles, il devra en outre évaluer l’impact sur les régions frontalières. Par ailleurs, tout État membre envisageant de prolonger les contrôles en réaction à des menaces prévisibles devrait d’abord évaluer si d’autres mesures, telles que des contrôles de police ciblés et une coopération policière renforcée, pourraient être plus adéquates. Une évaluation des risques devrait être fournie pour ce qui concerne les prolongations de plus de 6 mois. Lorsque des contrôles intérieurs auront été rétablis depuis 18 mois, la Commission devra émettre un avis sur leur caractère proportionné et sur leur nécessité. Dans tous les cas, les contrôles temporaires aux frontières ne devraient pas excéder une durée totale de 2 ans, sauf dans des circonstances très particulières. Il sera ainsi fait en sorte que les contrôles aux frontières intérieures restent une mesure de dernier recours et ne durent que le temps strictement nécessaire.
– Promouvoir le recours à d’autres mesures : Conformément au nouveau code de coopération policière de l’UE, proposé par la Commission le 8 décembre 2021, les nouvelles règles de Schengen encouragent le recours à des alternatives effectives aux contrôles aux frontières intérieures, sous la forme de contrôles de police renforcés et plus opérationnels dans les régions frontalières, en précisant qu’elles ne sont pas équivalentes aux contrôles aux frontières.
- Limiter les répercussions des contrôles aux frontières intérieures sur les régions frontalières : Eu égard aux enseignements tirés de la pandémie, qui a grippé les chaînes d’approvisionnement, les États membres rétablissant des contrôles devraient prendre des mesures pour limiter les répercussions négatives sur les régions frontalières et le marché intérieur. Il pourra s’agir notamment de faciliter le franchissement d’une frontière pour les travailleurs frontaliers et d’établir des voies réservées pour garantir un transit fluide des marchandises essentielles.
- Lutter contre les déplacements non autorisés au sein de l’espace Schengen : Afin de lutter contre le phénomène de faible ampleur mais constant des déplacements non autorisés, les nouvelles règles créeront une nouvelle procédure pour contrer ce phénomène au moyen d’opérations de police conjointes et permettre aux États membres de réviser ou de conclure de nouveaux accords bilatéraux de réadmission entre eux. Ces mesures complètent celles proposées dans le cadre du nouveau pacte sur la migration et l’asile, en particulier le cadre de solidarité contraignant, et doivent être envisagées en liaison avec elles.
Aider les États membres à gérer les situations d’instrumentalisation des flux migratoires
Les règles de Schengen révisées reconnaissent l’importance du rôle que jouent les États membres aux frontières extérieures pour le compte de tous les États membres et de l’Union dans son ensemble. Elles prévoient de nouvelles mesures que les États membres pourront prendre pour gérer efficacement les frontières extérieures de l’UE en cas d’instrumentalisation de migrants à des fins politiques. Ces mesures consistent notamment à limiter le nombre de points de passage frontaliers et à intensifier la surveillance des frontières.
La Commission propose en outre des mesures supplémentaires dans le cadre des règles de l’UE en matière d’asile et de retour afin de préciser les modalités de réaction des États membres en pareilles situations, dans le strict respect des droits fondamentaux. Ces mesures comprennent notamment la possibilité de prolonger le délai d’enregistrement des demandes d’asile jusqu’à 4 semaines et d’examiner toutes les demandes d’asile à la frontière, sauf en ce qui concerne les cas médicaux. Il convient de continuer à garantir un accès effectif à la procédure d’asile, et les États membres devraient permettre l’accès des organisations humanitaires qui fournissent une aide. Les États membres auront également la possibilité de mettre en place une procédure d’urgence pour la gestion des retours. Enfin, sur demande, les agences de l’UE (Agence de l’UE pour l’asile, Frontex, Europol) devraient apporter en priorité un soutien opérationnel à l’État membre concerné.
Prochaines étapes
Il appartient à présent au Parlement européen et au Conseil d’examiner et d’adopter les deux propositions.
Contexte
L’espace Schengen compte plus de 420 millions de personnes dans 26 pays. La suppression des contrôles aux frontières intérieures entre les États Schengen fait partie intégrante du mode de vie européen : près de 1,7 million de personnes résident dans un État Schengen et travaillent dans un autre. Les personnes ont bâti leur vie autour des libertés offertes par l’espace Schengen, et 3,5 millions d’entre elles se déplacent chaque jour entre des États Schengen.
Afin de renforcer la résilience de l’espace Schengen face aux menaces graves et d’adapter les règles de Schengen aux défis en constante évolution, la Commission a annoncé, dans son nouveau pacte sur la migration et l’asile présenté en septembre 2020, ainsi que dans la stratégie de juin 2021 pour un espace Schengen pleinement opérationnel et résilient, qu’elle proposerait une révision du code frontières Schengen. Dans son discours sur l’état de l’Union de 2021, la présidente von der Leyen a également annoncé de nouvelles mesures pour contrer l’instrumentalisation des migrants à des fins politiques et pour assurer l’unité dans la gestion des frontières extérieures de l’UE.
Les propositions présentées ce jour viennent s’ajouter aux travaux en cours visant à améliorer le fonctionnement global et la gouvernance de Schengen dans le cadre de la stratégie pour un espace Schengen plus fort et plus résilient. Afin de favoriser le dialogue politique visant à relever les défis communs, la Commission organise régulièrement des forums Schengen réunissant des membres du Parlement européen et les ministres de l’intérieur. À l’appui de ces discussions, la Commission présentera chaque année un rapport sur l’état de Schengen résumant la situation en ce qui concerne l’absence de contrôles aux frontières intérieures, les résultats des évaluations de Schengen et l’état d’avancement de la mise en œuvre des recommandations. Cela contribuera également à aider les États membres à relever tous les défis auxquels ils pourraient être confrontés. La proposition de révision du mécanisme d’évaluation et de contrôle de Schengen, actuellement en cours d’examen au Parlement européen et au Conseil, contribuera à renforcer la confiance commune dans la mise en œuvre des règles de Schengen. Le 8 décembre, la Commission a également proposé un code de coopération policière de l’UE destiné à renforcer la coopération des services répressifs entre les États membres, qui constitue un moyen efficace de faire face aux menaces pesant sur la sécurité dans l’espace Schengen et contribuera à la préservation d’un espace sans contrôles aux frontières intérieures.
La proposition de révision du code frontières Schengen qui est présentée ce jour fait suite à des consultations étroites auprès des membres du Parlement européen et des ministres de l’intérieur réunis au sein du forum Schengen.
Pour en savoir plus
Documents législatifs :
– Proposition de règlement modifiant le régime de franchissement des frontières par les personnes : ▻https://ec.europa.eu/home-affairs/proposal-regulation-rules-governing-movement-persons-across-borders-com-20
– Proposition de règlement visant à faire face aux situations d’instrumentalisation dans le domaine de la migration et de l’asile : ▻https://ec.europa.eu/home-affairs/proposal-regulation-situations-instrumentalisation-field-migration-and-asy
– Questions-réponses : ▻https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/en/qanda_21_6822
– Fiche d’information : ▻https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/en/fs_21_6838
▻https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/fr/ip_21_6821
#Schengen #Espace_Schengen #frontières #frontières_internes #résilience #contrôles_frontaliers #migrations #réfugiés #asile #crise #pandémie #covid-19 #coronavirus #crise_sanitaire #code_Schengen #code_frontières_Schengen #menace_sanitaire #frontières_extérieures #mobilité #restrictions #déplacements #ordre_public #sécurité #sécurité_intérieure #menace_commune #vérifications #coopération_policière #contrôles_temporaires #temporaire #dernier_recours #régions_frontalières #marchandises #voies_réservées #déplacements_non_autorisés #opérations_de_police_conjointes #pacte #surveillance #surveillance_frontalière #points_de_passage #Frontex #Europol #soutien_opérationnel
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Ajouté dans la métaliste sur les #patrouilles_mixtes ce paragraphe :
« Lutter contre les déplacements non autorisés au sein de l’espace Schengen : Afin de lutter contre le phénomène de faible ampleur mais constant des déplacements non autorisés, les nouvelles règles créeront une nouvelle procédure pour contrer ce phénomène au moyen d’opérations de police conjointes et permettre aux États membres de réviser ou de conclure de nouveaux accords bilatéraux de réadmission entre eux. Ces mesures complètent celles proposées dans le cadre du nouveau pacte sur la migration et l’asile, en particulier le cadre de solidarité contraignant, et doivent être envisagées en liaison avec elles. »
]]>La longue agonie du fret ferroviaire
▻https://lvsl.fr/la-longue-agonie-du-fret-ferroviaire
En 1827, la première ligne de chemin de fer ne transportait pas des voyageurs mais des marchandises. Avec seulement 18 kilomètres de voies, la ligne de Saint-Étienne à Andrézieux, tractée par des chevaux, servait à transporter de la houille depuis le port fluvial. Le transport de marchandises par train s’est ensuite développé de manière exponentielle au travers de compagnies privées. En 1882, la France possède alors la plus forte densité de chemin de fer au monde avec 26 000 km de voies. Les marchandises sont échangées dans des halles adjacentes aux gares, avant que le trafic ne soit peu à peu séparé des voyageurs. En 1938, la création de la SNCF unifie le réseau. Il y a alors 6 500 embranchements jusqu’aux entreprises (les ITE) et plus de 42 500 km de voies. Cette situation continue dans l’après-guerre : en 1950 les deux tiers des marchandises sont transportées par le rail et c’est le transport de marchandises qui fait vivre la SNCF. Alors que les frontières entre cheminots du service voyageur et du service fret ne sont pas établies, on estime que 200 000 d’entre eux travaillent directement ou indirectement dans le transport de marchandises. Pourtant, la concurrence avec la route a déjà commencé. Les camions se multiplient et, en 1984, le ferroviaire ne représente déjà plus que 30% du transport de marchandises1. La baisse est brutale : ce chiffre passe à 20% en 1990, puis 17% en 2000 et 9% en 2010. Aujourd’hui, il reste moins de 5 000 cheminots au service de SNCF Fret et seulement 32 milliards de tonnes-kilomètres2 sont transportées sur les voies ferroviaires contre 317,3 milliards de tonnes-kilomètres sur les routes.
]]>Libye : Le premier #vol d’#évacuation vers le #Niger depuis plus d’un an permet de mettre en sécurité 172 demandeurs d’asile
Le HCR, l’Agence des Nations Unies pour les réfugiés, a évacué 172 demandeurs d’asile vulnérables de Libye vers le Niger dans la soirée du 4 novembre. Il s’agissait du premier vol d’évacuation vers le Niger depuis plus d’un an, suite à la levée par les autorités libyennes d’une interdiction des #vols_humanitaires.
« Le HCR est soulagé de voir la reprise de ces #vols_d’évacuation vitaux », a déclaré le chef de mission du HCR en Libye, Jean-Paul Cavalieri. « Cependant, compte tenu du nombre limité de places, l’évacuation ne peut être une solution que pour des personnes extrêmement vulnérables, ayant un besoin urgent de #sécurité et de #protection ».
Nombre des personnes évacuées ont été détenues dans des conditions extrêmement difficiles, ont été victimes de traite ou ont subi des violences en Libye. Le groupe comprend des #familles, des #enfants voyageant seuls et un bébé né il y a seulement quelques semaines. Les personnes évacuées ont déclaré qu’elles étaient soulagées de quitter la Libye.
Le HCR salue l’intervention du Conseil présidentiel libyen, du bureau du Premier ministre, du ministère des Affaires étrangères et du bureau du procureur général, qui ont œuvré pour mettre fin à la suspension des vols humanitaires destinés à sauver des vies.
Cette évacuation a eu lieu grâce au #mécanisme_de_transit_d’urgence (#Emergency_Transit_Mechanism, #ETM) mis en place en 2017 grâce au gouvernement du Niger. Ce dernier a généreusement accepté d’accueillir temporairement sur son territoire des réfugiés confrontés à des situations de danger de mort en Libye afin que le HCR puisse travailler à l’identification de solutions durables pour chacun d’entre eux.
Au Niger, le HCR apporte un soutien en matière de soins de santé mentale à ceux qui ont été confrontés à des traumatismes pendant leur séjour en Libye, ainsi qu’un accès à des possibilités de formation professionnelle. A ce jour, 3361 réfugiés et demandeurs d’asile ont été évacués de Libye vers le Niger. Parmi eux, 3213 ont quitté le Niger vers des pays tiers dans le cadre du mécanisme de #réinstallation et de #voies_complémentaires.
Des images sont disponibles ci-dessous pour les médias : ▻https://media.unhcr.org/Share/u8w3y0436symfomxvm1r45y0vrgyfw32
▻https://www.unhcr.org/fr/news/press/2021/11/61854b36a/libye-premier-vol-devacuation-vers-niger-dun-an-permet-mettre-securite.html
#asile #migrations #réfugiés #Libye #migrerrance #vulnérabilité
À la frontière franco-espagnole, le renforcement des contrôles conduit les migrants à prendre toujours plus de #risques
Au #Pays_basque, après que trois Algériens sont morts fauchés par un train à Saint-Jean-de-Luz/Ciboure le 12 octobre, associations et militants dénoncent le « #harcèlement » subi par les migrants tentant de traverser la frontière franco-espagnole. Face à l’inaction de l’État, des réseaux citoyens se mobilisent pour « sécuriser » leur parcours et éviter de nouveaux drames.
Saint-Jean-de-Luz (Pyrénées-Atlantiques).– Attablés en terrasse d’un café, mardi 26 octobre, sous un ciel gris prêt à déverser son crachin, Line et Peio peinent toujours à y croire. « On n’imagine pas le niveau de fatigue, l’épuisement moral, l’état de détresse dans lequel ils devaient se trouver pour décider de se reposer là un moment », constatent-ils les sourcils froncés, comme pour marquer leur peine.
Le 12 octobre dernier, trois migrants algériens étaient fauchés par un train, au petit matin, à 500 mètres de la gare de Saint-Jean-de-Luz/Ciboure. Un quatrième homme, blessé mais désormais hors de danger, a confirmé aux enquêteurs que le groupe avait privilégié la voie ferrée pour éviter les contrôles de police, puis s’était arrêté pour se reposer, avant de s’assoupir.
Un cinquième homme, dont les documents d’identité avaient été retrouvés sur les lieux, avait pris la fuite avant d’être retrouvé deux jours plus tard à Bayonne.
« Ceux qui partent de nuit tentent de passer la frontière vers 23 heures et arrivent ici à 3 ou 4 heures du matin. La #voie_ferrée est une voie logique quand on sait que les contrôles de police sont quasi quotidiens aux ronds-points entre #Hendaye et #Saint-Jean-de-Luz », souligne Line, qui préside l’association #Elkartasuna_Larruna (Solidarité autour de la Rhune, en basque) créée en 2018 pour accompagner et « sécuriser » l’arrivée importante de migrants subsahariens dans la région.
Peio Etcheverry-Ainchart, qui a participé à la création de l’association, est depuis élu, dans l’opposition, à Saint-Jean-de-Luz. Pour lui, le drame reflète la réalité du quotidien des migrants au Pays basque. « Ils n’iraient pas sur la voie ferrée s’ils se sentaient en sécurité dans les transports ou sur les axes routiers », dénonce-t-il en pointant du doigt le manque d’action politique au niveau local.
« Ils continueront à passer par là car ils n’ont pas le choix et ce genre de drame va se reproduire. La #responsabilité politique des élus de la majorité est immense, c’est une honte. » Trois cents personnes se sont réunies au lendemain du drame pour rendre hommage aux victimes, sans la présence du maire de Saint-Jean-de-Luz. « La ville refuse toutes nos demandes de subvention, peste Line. Pour la majorité, les migrants ne passent pas par ici et le centre d’accueil créé à #Bayonne, #Pausa, est suffisant. »
Un manque de soutien, à la fois moral et financier, qui n’encourage pas, selon elle, les locaux à se mobiliser auprès de l’association, qui compte une trentaine de bénévoles. Son inquiétude ? « Que les gens s’habituent à ce que des jeunes meurent et que l’on n’en parle plus, comme à Calais ou à la frontière franco-italienne. Il faut faire de la résistance. »
Samedi dernier, j’en ai récupéré deux tard le soir, épuisés et frigorifiés
Guillaume, un « aidant »
Ce mardi midi à Saint-Jean-de-Luz, un migrant marocain avance d’un pas sûr vers la halte routière, puis se met en retrait, en gardant un œil sur l’arrêt de bus. Dix minutes plus tard, le bus en direction de Bayonne s’arrête et le trentenaire court pour s’y engouffrer avant que les portes ne se referment.
Guillaume, qui travaille dans le quartier de la gare, fait partie de ces « aidants » qui refusent de laisser porte close. « Samedi dernier, j’en ai récupéré deux tard le soir, qui étaient arrivés à Saint-Jean en fin d’après-midi. Ils étaient épuisés et frigorifiés. » Après les avoir accueillis et leur avoir offert à manger, il les achemine ensuite jusqu’à Pausa à 2 heures du matin, où il constate qu’il n’est pas le seul à avoir fait la navette.
La semaine dernière, un chauffeur de bus a même appelé la police quand des migrants sont montés à bord
Guillaume, un citoyen vivant à Saint-Jean-de-Luz
« Il m’est arrivé de gérer 10 ou 40 personnes d’un coup. Des femmes avec des bébés, des enfants, des jeunes qui avaient marché des heures et me racontaient leur périple. J’allais parfois m’isoler pour pleurer avant de m’occuper d’eux », confie celui qui ne cache pas sa tristesse face à tant d’« inhumanité ». Chaque jour, rapporte-t-il, la police sillonne les alentours, procède à des #contrôles_au_faciès à l’arrêt de bus en direction de Bayonne et embarque les migrants, comme en témoigne cette vidéo publiée sur Facebook en août 2019 (▻https://www.facebook.com/100000553678281/posts/2871341412894286/?d=n).
« La semaine dernière, un #chauffeur_de_bus a même appelé la #police quand des migrants sont montés à bord. Ça rappelle une époque à vomir. » Face à ce « harcèlement » et cette « pression folle », Guillaume n’est pas étonné que les Algériens aient pris le risque de longer la voie ferrée. « Les habitants et commerçants voient régulièrement des personnes passer par là. Les gens sont prêts à tout. »
À la frontière franco-espagnole aussi, en gare de Hendaye, la police est partout. Un véhicule se gare, deux agents en rejoignent un autre, situé à l’entrée du « topo » (train régional qui relie Hendaye à la ville espagnole de Saint-Sébastien), qui leur tend des documents. Il leur remet un jeune homme, arabophone, qu’ils embarquent.
« Ils vont le laisser de l’autre côté du pont. Ils font tout le temps ça, soupire Miren*, qui observe la scène sans pouvoir intervenir. Les policiers connaissent les horaires d’arrivée du topo et des trains venant d’#Irun (côté espagnol). Ils viennent donc dix minutes avant et se postent ici pour faire du contrôle au faciès. » Depuis près de trois ans, le réseau citoyen auquel elle appartient, Bidasoa Etorkinekin, accueille et accompagne les personnes en migration qui ont réussi à passer la frontière, en les acheminant jusqu’à Bayonne.
La bénévole monte à bord de sa voiture en direction des entrepôts de la SNCF. Là, un pont flambant neuf, barricadé, apparaît. « Il a été fermé peu après son inauguration pour empêcher les migrants de passer. » Des #grilles ont été disposées, tel un château de cartes, d’autres ont été ajoutées sur les côtés. En contrebas, des promeneurs marchent le long de la baie.
Miren observe le pont de Santiago et le petit chapiteau blanc marquant le #barrage_de_police à la frontière entre Hendaye et #Irun. « Par définition, un #pont est censé faire le lien, pas séparer... » Selon un militant, il y aurait à ce pont et au pont de #Behobia « quatre fois plus de forces de l’ordre » qu’avant. Chaque bus est arrêté et les passagers contrôlés. « C’est cela qui pousse les personnes à prendre toujours plus de risques », estime-t-il, à l’instar de #Yaya_Karamoko, mort noyé dans la Bidassoa en mai dernier.
On ne peut pas en même temps organiser l’accueil des personnes à Bayonne et mettre des moyens énormes pour faire cette chasse aux sorcières
Eñaut, responsable de la section nord du syndicat basque LAB
Le 12 juin, à l’initiative du #LAB, syndicat socio-politique basque, une manifestation s’est tenue entre Irun et Hendaye pour dénoncer la « militarisation » de la frontière dans ce qui a « toujours été une terre d’accueil ». « Ça s’est inscrit dans une démarche de #désobéissance_civile et on a décidé de faire entrer six migrants parmi une centaine de manifestants, revendique Eñaut, responsable du Pays basque nord. On ne peut pas en même temps organiser l’accueil des personnes à Bayonne et mettre des moyens énormes pour faire cette #chasse_aux_sorcières, avec les morts que cela engendre. L’accident de Saint-Jean-de-Luz est le résultat d’une politique migratoire raciste. » L’organisation syndicale espère, en développant l’action sociale, sensibiliser toutes les branches de la société – patronat, salariés, État – à la question migratoire.
Des citoyens mobilisés pour « sécuriser » le parcours des migrants
À 22 heures mardi, côté espagnol, Maite, Arantza et Jaiona approchent lentement de l’arrêt de bus de la gare routière d’Irun. Toutes trois sont volontaires auprès du réseau citoyen #Gau_Txori (les « Oiseaux de nuit »). Depuis plus de trois ans, lorsque les cars se vident le soir, elles repèrent d’éventuels exilés désorientés en vue de les acheminer au centre d’accueil géré par la Cruz Roja (Croix-Rouge espagnole), situé à deux kilomètres de là. En journée, des marques de pas, dessinées sur le sol à intervalle régulier et accompagnées d’une croix rouge, doivent guider les migrants tout juste arrivés à Irun. Mais, à la nuit tombée, difficile de les distinguer sur le bitume et de s’orienter.
« En hiver, c’est terrible, souffle Arantza. Cette gare est désolante. Il n’y a rien, pas même les horaires de bus. On leur vient en aide parce qu’on ne supporte pas l’injustice. On ne peut pas rester sans rien faire en sachant ce qu’il se passe. » Et Maite d’enchaîner : « Pour moi, tout le monde devrait pouvoir passer au nom de la liberté de la circulation. » « La semaine dernière, il y avait beaucoup de migrants dans les rues d’Irun. La Croix-Rouge était dépassée. Déjà, en temps normal, le centre ne peut accueillir que 100 personnes pour une durée maximale de trois jours. Quand on leur ramène des gens, il arrive que certains restent à la porte et qu’on doive les installer dans des tentes à l’extérieur », rapporte, blasée, Jaiona.
À mesure qu’elles dénoncent les effets mortifères des politiques migratoires européennes, un bus s’arrête, puis un second. « Je crois que ce soir, on n’aura personne », sourit Arantza. Le trio se dirige vers le dernier bus, qui stationne en gare à 23 h 10. Un homme extirpe ses bagages et ceux d’une jeune fille des entrailles du car. Les bénévoles tournent les talons, pensant qu’ils sont ensemble. C’est Jaiona, restée en arrière-plan, qui comprend combien l’adolescente a le regard perdu, désespérée de voir les seules femmes présentes s’éloigner. « Cruz Roja ? », chuchote l’une des volontaires à l’oreille de Mariem, qui hoche la tête, apaisée de comprendre que ces inconnues sont là pour elle.
Ni une ni deux, Maite la soulage d’un sac et lui indique le véhicule garé un peu plus loin. « No te preocupes, somos voluntarios » (« Ne t’inquiète pas, nous sommes des bénévoles »), lui dit Jaiona en espagnol. « On ne te veut aucun mal. On t’emmène à la Croix-Rouge et on attendra d’être sûres que tu aies une place avant de partir », ajoute Maite dans un français torturé.
Visage juvénile, yeux en amande, Mariem n’a que 15 ans. Elle arrive de Madrid, un bonnet à pompon sur la tête, où elle a passé un mois après avoir été transférée par avion de Fuerteventura (îles Canaries) dans l’Espagne continentale, comme beaucoup d’autres ces dernières semaines, qui ont ensuite poursuivi leur route vers le nord. Les bénévoles toquent à la porte de la Cruz Roja, un agent prend en charge Mariem. Au-dehors, les phares de la voiture illuminent deux tentes servant d’abris à des exilés non admis.
J’avais réussi à passer la frontière mais la police m’a arrêtée dans le #bus et m’a renvoyée en Espagne
Fatima*, une exilée subsaharienne refoulée après avoir franchi la frontière
Le lendemain matin, dès 9 heures, plusieurs exilés occupent les bancs de la place de la mairie à Irun. Chaque jour, entre 10 heures et midi, c’est ici que le réseau citoyen Irungo Harrera Sarea les accueille pour leur donner des conseils. « Qui veut rester en Espagne ici ? », demande Ion, l’un des membres du collectif. Aucune main ne se lève. Ion s’y attendait. Fatima*, la seule femme parmi les 10 exilés, a passé la nuit dehors, ignorant l’existence du centre d’accueil. « J’avais réussi à passer la frontière mais la police m’a arrêtée dans le bus et m’a renvoyée en Espagne », relate-t-elle, vêtue d’une tenue de sport, un sac de couchage déplié sur les genoux. Le « record », selon Ion, est détenu par un homme qui a tenté de passer à huit reprises et a été refoulé à chaque fois. « Il a fini par réussir. »
Éviter de se déplacer en groupe, ne pas être trop repérable. « Vous êtes noirs », leur lance-t-il, pragmatique, les rappelant à une triste réalité : la frontière est une passoire pour quiconque a la peau suffisamment claire pour ne pas être contrôlé. « La migration n’est pas une honte, il n’y a pas de raison de la cacher », clame-t-il pour justifier le fait de s’être installés en plein centre-ville.
Ion voit une majorité de Subsahariens. Peu de Marocains et d’Algériens, qui auraient « leurs propres réseaux d’entraide ». « On dit aux gens de ne pas traverser la Bidassoa ou longer la voie ferrée. On fait le sale boulot en les aidant à poursuivre leur chemin, ce qui arrange la municipalité d’Irun et le gouvernement basque car on les débarrasse des migrants, regrette-t-il. En voulant les empêcher de passer, les États ne font que garantir leur souffrance et nourrir les trafiquants. »
L’un des exilés se lève et suit une bénévole, avant de s’infiltrer, à quelques mètres de là, dans un immeuble de la vieille ville. Il est invité par Karmele, une retraitée aux cheveux grisonnants, à entrer dans une pièce dont les murs sont fournis d’étagères à vêtements.
Dans ce vestiaire solidaire, tout a été pensé pour faire vite et bien : Karmele scrute la morphologie du jeune homme, puis pioche dans l’une des rangées, où le linge, selon sa nature – doudounes, pulls, polaires, pantalons – est soigneusement plié. « Tu es long [grand], ça devrait t’aller, ça », dit-elle en lui tendant une veste. À sa droite, une affiche placardée sous des cartons étiquetés « bébé » vient rappeler aux Africaines qu’elles sont des « femmes de pouvoir ».
Le groupe d’exilés retourne au centre d’accueil pour se reposer avant de tenter le passage dans la journée. Mariem, l’adolescente, a choisi de ne pas se rendre place de la mairie à 10 heures, influencée par des camarades du centre. « On m’a dit qu’un homme pouvait nous faire passer, qu’on le paierait à notre arrivée à Bayonne. Mais je suis à la frontière et il ne répond pas au téléphone. Il nous a dit plus tôt qu’il y avait trop de contrôles et qu’on ne pourrait pas passer pour l’instant », confie-t-elle, dépitée, en fin de matinée. Elle restera bloquée jusqu’en fin d’après-midi à Behobia, le deuxième pont, avant de se résoudre à retourner à la Cruz Roja pour la nuit.
L’exil nous détruit, je me dis des fois qu’on aurait mieux fait de rester auprès des nôtres
Mokhtar*, un migrant algérien
Au même moment, sur le parking précédant le pont de Santiago, de jeunes Maghrébins tuent le temps, allongés dans l’herbe ou assis sur un banc. Tous ont des parcours de vie en pointillés, bousillés par « el ghorba » (« l’exil »), qui n’a pas eu pitié d’eux, passés par différents pays européens sans parvenir à s’établir. « Huit ans que je suis en Europe et je n’ai toujours pas les papiers », lâche Younes*, un jeune Marocain vivant depuis un mois dans un foyer à Irun. Mokhtar*, un harraga (migrant parti clandestinement depuis les côtes algériennes) originaire d’Oran, abonde : « L’exil nous détruit, je me dis des fois qu’on aurait mieux fait de rester auprès des nôtres. Mais aujourd’hui, c’est impossible de rentrer sans avoir construit quelque chose... » La notion « d’échec », le regard des autres seraient insoutenables.
Chaque jour, Mokhtar et ses amis voient des dizaines de migrants tenter le passage du pont qui matérialise la frontière. « Les Algériens qui sont morts étaient passés par ici. Ils sont même restés un temps dans notre foyer. Avant qu’ils ne passent la frontière, je leur ai filé quatre cigarettes. Ils sont partis de nuit, en longeant les rails de train depuis cet endroit, pointe-t-il du doigt au loin. Paix à leur âme. Cette frontière est l’une des plus difficiles à franchir en Europe. » L’autre drame humain est celui des proches des victimes, ravagés par l’incertitude faute d’informations émanant des autorités françaises.
Les proches des victimes plongés dans l’incertitude
« Les familles ne sont pas prévenues, c’est de la torture. On a des certitudes sur deux personnes. La mère de l’un des garçons a appelé l’hôpital, le commissariat… Sans obtenir d’informations. Or elle n’a plus de nouvelles depuis le jour du drame et les amis qui l’ont connu sont sûrs d’eux », expliquait une militante vendredi 22 octobre. Selon le procureur de Bayonne, contacté cette semaine par Mediapart, les victimes ont depuis été identifiées, à la fois grâce à l’enquête ouverte mais aussi grâce aux proches qui se sont signalés.
La mosquée d’Irun a également joué un rôle primordial pour remonter la trace des harragas décédés. « On a été plusieurs à participer, dont des associations. J’ai été en contact avec les familles des victimes et le consulat d’Algérie, qui a presque tout géré. Les corps ont été rapatriés en Algérie samedi 30 octobre, le rescapé tient le coup moralement », détaille Mohamed, un membre actif du lieu de culte. Dès le 18 octobre, la page Facebook Les Algériens en France dévoilait le nom de deux des trois victimes, Faisal Hamdouche, 23 ans, et Mohamed Kamal, 21 ans.
À quelques mètres de Mokhtar, sur un banc, deux jeunes Syriens se sont vu notifier un refus d’entrée, au motif qu’ils n’avaient pas de documents d’identité : « Ça fait quatre fois qu’on essaie de passer et qu’on nous refoule », s’époumone l’aîné, 20 ans, quatre tickets de « topo » à la main. Son petit frère, âgé de 14 ans, ne cesse de l’interroger. « On ne va pas pouvoir passer ? » Leur mère et leur sœur, toutes deux réfugiées, les attendent à Paris depuis deux ans ; l’impatience les gagne.
Jeudi midi, les Syriens, mais aussi le groupe d’exilés renseignés par Irungo Harrera Sarea, sont tous à Pausa, à Bayonne. Certains se reposent, d’autres se détendent dans la cour du lieu d’accueil, où le soleil cogne. « C’était un peu difficile mais on a réussi, confie Fofana, un jeune Ivoirien, devant le portail, quai de Lesseps. Ça me fait tellement bizarre de voir les gens circuler librement, alors que nous, on doit faire attention. Je préfère en rire plutôt qu’en pleurer. »
Si les exilés ont le droit de sortir, ils ne doivent pas s’éloigner pour éviter d’être contrôlés par la police. « On attend le car pour aller à Paris ce soir », ajoute M., le Syrien, tandis que son petit frère se cache derrière le parcmètre pour jouer, à l’abri du soleil, sur un téléphone. Une dernière étape, qui comporte elle aussi son lot de risques : certains chauffeurs des cars « Macron » réclament un document d’identité à la montée, d’autres pas.
▻https://www.mediapart.fr/journal/international/311021/la-frontiere-franco-espagnole-le-renforcement-des-controles-conduit-les-mi
#frontières #migrations #réfugiés #France #Espagne #Pyrénées #contrôles_frontaliers #frontières #délation #morts #morts_aux_frontières #mourir_aux_frontières #décès #militarisation_de_la_frontière #refoulements #push-backs #solidarité
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voir aussi :
#métaliste sur les personnes en migration décédées à la frontière entre l’#Espagne et la #France, #Pays_basque :
►https://seenthis.net/messages/932889
La #CNPT publie son rapport sur l’accompagnement des #rapatriements_sous_contrainte par la #voie_aérienne
Dans son rapport publié aujourd’hui, la #Commission_nationale_de_prévention_de_la_torture (CNPT) présente les recommandations relatives aux 37 transferts par la #police et aux 23 rapatriements sous contrainte par la voie aérienne qu’elle a accompagnés entre avril 2020 et mars 2021, une période qui a été marquée par le COVID-19. La Commission estime inadéquates certaines #pratiques_policières qui persistent. Finalement, la Commission dresse le bilan du contrôle des 25 renvois sur des vols de ligne, respectivement des renvois du niveau d’exécution 2 et 3, qu’elle a accompagnés entre novembre 2019 et mars 2021.
Pratiques policières jugées inadéquates
De manière générale, les observatrices et observateurs de la CNPT continuent d’être témoins de l’hétérogénéité des pratiques cantonales en vigueur s’agissant de la prise en charge et du transfert à l’#aéroport des personnes à rapatrier, notamment en matière de recours aux #entraves. La Commission estime que des mesures urgentes doivent être prises afin d’harmoniser les pratiques policières dans le cadre des renvois.
Même si des améliorations ont été constatées, la Commission regrette que le recours aux #entraves_partielles reste fréquent tant au niveau des transferts que de l’organisation au sol. Dans son rapport, la Commission appelle instamment aux autorités de renoncer par principe à toute forme de #contrainte, et de limiter une application aux seuls cas qui présentent un danger imminent pour leur propre sécurité ou celle d’autrui. Par ailleurs, elle rappelle que les #enfants ne devraient en aucun cas faire l’objet de #mesures_de_contrainte. Elle conclut également qu’un diagnostic psychiatrique ne peut en aucun cas à lui seul signifier le recours à des entraves.
En outre, la Commission juge inadéquates plusieurs pratiques policières qui persistent dans le cadre des renvois, même si elle les observe de manière isolée : notamment l’entrée par surprise dans une cellule, l’utilisation de #menottes_métalliques aux chevilles, le recours au #casque_d'entraînement, l’utilisation d’une #chaise_roulante pour transporter une personne entravée et la #surveillance par plusieurs #agents_d'escorte d’une personne à rapatrier entravée et placée sur une chaise. La Commission rappelle également avec force dans son rapport que les personnes à rapatrier doivent être informées de manière transparente et dans une langue qu’elles comprennent sur le déroulement du renvoi.
Contrôle des renvois du niveau d’exécution 2 et 3
Dans son rapport, la Commission relève avec préoccupation que les renvois du niveau d’exécution 3 sont exécutés mais sans être clairement distingués des renvois du niveau d’exécution 2. Il existe néanmoins une différence significative entre les deux niveaux de renvoi en termes de mesures de contrainte autorisées. La Commission s’interroge sur la pertinence de ces niveaux d’exécution 2 et 3 et estime qu’une réflexion approfondie doit être menée en la matière. Par ailleurs, le recours aux mesures de contrainte doit être limité aux seuls cas qui présentent un danger imminent pour leur propre sécurité ou celle d’autrui, et ceci pour la durée la plus courte possible. Enfin, compte tenu des mesures de contrainte autorisées dans le cadre des renvois du niveau d’exécution 3, un contrôle indépendant, en particulier des transferts et de l’organisation au sol, devrait être garanti.
▻https://www.nkvf.admin.ch/nkvf/fr/home/publikationen/mm.msg-id-84376.html
#rapport #Suisse #renvois_forcés #expulsions #renvois #2020 #asile #migrations #réfugiés #avions
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Pour télécharger le rapport :
▻https://www.nkvf.admin.ch/dam/nkvf/de/data/Medienmitteilungen/2021-07-08/bericht-ejpd-kkjpd-f.pdf
La servitude de marchepied
Si tu as envie de te promener le long des cours d’eau, même sur un terrain privé, sais-tu que c’est un droit de passage nommé #servitude_de_marchepied qui n’est que rarement appliqué.
#communs
#voies_piétonnes
#promenades
Article L2131-2 - Code général de la propriété des personnes publiques - Légifrance
▻https://www.legifrance.gouv.fr/codes/article_lc/LEGIARTI000031065981
Article L2131-2
Modifié par LOI n°2015-992 du 17 août 2015 - art. 62
Les propriétaires riverains d’un cours d’eau ou d’un lac domanial ne peuvent planter d’arbres ni se clore par haies ou autrement qu’à une distance de 3,25 mètres. Leurs propriétés sont grevées sur chaque rive de cette dernière servitude de 3,25 mètres, dite servitude de marchepied.
Tout propriétaire, locataire, fermier ou titulaire d’un droit réel, riverain d’un cours d’eau ou d’un lac domanial est tenu de laisser les terrains grevés de cette servitude de marchepied à l’usage du gestionnaire de ce cours d’eau ou de ce lac, des pêcheurs et des piétons.
]]>The Death of Asylum and the Search for Alternatives
March 2021 saw the announcement of the UK’s new post-Brexit asylum policy. This plan centres ‘criminal smuggling gangs’ who facilitate the cross border movement of people seeking asylum, particularly in this case, across the English Channel. It therefore distinguishes between two groups of people seeking asylum: those who travel themselves to places of potential sanctuary, and those who wait in a refugee camp near the place that they fled for the lottery ticket of UNHCR resettlement. Those who arrive ‘spontaneously’ will never be granted permanent leave to remain in the UK. Those in the privileged group of resettled refugees will gain indefinite leave to remain.
Resettlement represents a tiny proportion of refugee reception globally. Of the 80 million displaced people globally at the end of 2019, 22,800 were resettled in 2020 and only 3,560 were resettled to the UK. Under the new plans, forms of resettlement are set to increase, which can only be welcomed. But of course, the expansion of resettlement will make no difference to people who are here, and arriving, every year. People who find themselves in a situation of persecution or displacement very rarely have knowledge of any particular national asylum system. Most learn the arbitrary details of access to work, welfare, and asylum itself upon arrival.
In making smugglers the focus of asylum policy, the UK is inaugurating what Alison Mountz calls the death of asylum. There is of course little difference between people fleeing persecution who make the journey themselves to the UK, or those who wait in a camp with a small chance of resettlement. The two are often, in fact, connected, as men are more likely to go ahead in advance, making perilous journeys, in the hope that safe and legal options will then be opened up for vulnerable family members. And what makes these perilous journeys so dangerous? The lack of safe and legal routes.
Britain, and other countries across Europe, North America and Australasia, have gone to huge efforts and massive expense in recent decades to close down access to the right to asylum. Examples of this include paying foreign powers to quarantine refugees outside of Europe, criminalising those who help refugees, and carrier sanctions. Carrier sanctions are fines for airlines or ferry companies if someone boards an aeroplane without appropriate travel documents. So you get the airlines to stop people boarding a plane to your country to claim asylum. In this way you don’t break international law, but you are certainly violating the spirit of it. If you’ve ever wondered why people pay 10 times the cost of a plane ticket to cross the Mediterranean or the Channel in a tiny boat, carrier sanctions are the reason.
So government policy closes down safe and legal routes, forcing people to take more perilous journeys. These are not illegal journeys because under international law one cannot travel illegally if one is seeking asylum. Their only option becomes to pay smugglers for help in crossing borders. At this point criminalising smuggling becomes the focus of asylum policy. In this way, government policy creates the crisis which it then claims to solve. And this extends to people who are seeking asylum themselves.
Arcane maritime laws have been deployed by the UK in order to criminalise irregular Channel crossers who breach sea defences, and therefore deny them sanctuary. Specifically, if one of the people aboard a given boat touches the tiller, oars, or steering device, they become liable to be arrested under anti-smuggling laws. In 2020, eight people were jailed on such grounds, facing sentences of up to two and a half years, as well as the subsequent threat of deportation. For these people, there are no safe and legal routes left.
We know from extensive research on the subject, that poverty in a country does not lead to an increase in asylum applications elsewhere from that country. Things like wars, genocide and human rights abuses need to be present in order for nationals of a country to start seeking asylum abroad in any meaningful number. Why then, one might ask, is the UK so obsessed with preventing people who are fleeing wars, genocide and human rights abuses from gaining asylum here? On their own terms there is one central reason: their belief that most people seeking asylum today are not actually refugees, but economic migrants seeking to cheat the asylum system.
This idea that people who seek asylum are largely ‘bogus’ began in the early 2000s. It came in response to a shift in the nationalities of people seeking asylum. During the Cold War there was little concern with the mix of motivations in relation to fleeing persecution or seeking a ‘better life’. But when people started to seek asylum from formerly colonised countries in the ‘Third World’ they began to be construed as ‘new asylum seekers’ and were assumed to be illegitimate. From David Blunkett’s time in the Home Office onwards, these ‘new asylum seekers’, primarily black and brown people fleeing countries in which refugee producing situations are occurring, asylum has been increasingly closed down.
The UK government has tended to justify its highly restrictive asylum policies on the basis that it is open to abuse from bogus, cheating, young men. It then makes the lives of people who are awaiting a decision on their asylum application as difficult as possible on the basis that this will deter others. Forcing people who are here to live below the poverty line, then, is imagined to sever ‘pull factors’ for others who have not yet arrived. There is no evidence to support the idea that deterrence strategies work, they simply costs lives.
Over the past two decades, as we have witnessed the slow death of asylum, it has become increasingly difficult to imagine alternatives. Organisations advocating for people seeking asylum have, with diminishing funds since 2010, tended to focus on challenging specific aspects of the system on legal grounds, such as how asylum support rates are calculated or whether indefinite detention is lawful.
Scholars of migration studies, myself included, have written countless papers and books debunking the spurious claims made by the government to justify their policies, and criticising the underlying logics of the system. What we have failed to do is offer convincing alternatives. But with his new book, A Modern Migration Theory, Professor of Migration Studies Peo Hansen offers us an example of an alternative strategy. This is not a utopian proposal of open borders, this is the real experience of Sweden, a natural experiment with proven success.
During 2015, large numbers of people were displaced as the Syrian civil war escalated. Most stayed within the region, with millions of people being hosted in Turkey, Jordan and Lebanon. A smaller proportion decided to travel onwards from these places to Europe. Because of the fortress like policies adopted by European countries, there were no safe and legal routes aboard aeroplanes or ferries. Horrified by the spontaneous arrival of people seeking sanctuary, most European countries refused to take part in burden sharing and so it fell to Germany and Sweden, the only countries that opened their doors in any meaningful way, to host the new arrivals.
Hansen documents what happened next in Sweden. First, the Swedish state ended austerity in an emergency response to the challenge of hosting so many refugees. As part of this, and as a country that produces its own currency, the Swedish state distributed funds across the local authorities of the country to help them in receiving the refugees. And third, this money was spent not just on refugees, but on the infrastructure needed to support an increased population in a given area – on schools, hospitals, and housing. This is in the context of Sweden also having a welfare system which is extremely generous compared to Britain’s stripped back welfare regime.
As in Britain, the Swedish government had up to this point spent some years fetishizing the ‘budget deficit’ and there was an assumption that spending so much money would worsen the fiscal position – that it would lead both to inflation, and a massive national deficit which must later be repaid. That this spending on refugees would cause deficits and hence necessitate borrowing, tax hikes and budget cuts was presented by politicians and the media in Sweden as a foregone conclusion. This foregone conclusion was then used as part of a narrative about refugees’ negative impact on the economy and welfare, and as the basis for closing Sweden’s doors to people seeking asylum in the future.
And yet, the budget deficit never materialised: ‘Just as the finance minister had buried any hope of surpluses in the near future and repeated the mantra of the need to borrow to “finance” the refugees, a veritable tidal wave of tax revenue had already started to engulf Sweden’ (p.152). The economy grew and tax revenue surged in 2016 and 2017, so much that successive surpluses were created. In 2016 public consumption increased 3.6%, a figure not seen since the 1970s. Growth rates were 4% in 2016 and 2017. Refugees were filling labour shortages in understaffed sectors such as social care, where Sweden’s ageing population is in need of demographic renewal.
Refugees disproportionately ended up in smaller, poorer, depopulating, rural municipalities who also received a disproportionately large cash injections from the central government. The arrival of refugees thus addressed the triple challenges of depopulation and population ageing; a continuous loss of local tax revenues, which forced cuts in services; and severe staff shortages and recruitment problems (e.g. in the care sector). Rather than responding with hostility, then, municipalities rightly saw the refugee influx as potentially solving these spiralling challenges.
For two decades now we have been witnessing the slow death of asylum in the UK. Basing policy on prejudice rather than evidence, suspicion rather than generosity, burden rather than opportunity. Every change in the asylum system heralds new and innovative ways of circumventing human rights, detaining, deporting, impoverishing, and excluding. And none of this is cheap – it is not done for the economic benefit of the British population. It costs £15,000 to forcibly deport someone, it costs £95 per day to detain them, with £90 million spent each year on immigration detention. Vast sums of money are given to private companies every year to help in the work of denying people who are seeking sanctuary access to their right to asylum.
The Swedish case offers a window into what happens when a different approach is taken. The benefit is not simply to refugees, but to the population as a whole. With an economy to rebuild after Covid and huge holes in the health and social care workforce, could we imagine an alternative in which Sweden offered inspiration to do things differently?
▻https://discoversociety.org/2021/04/07/the-death-of-asylum-and-the-search-for-alternatives
#asile #alternatives #migrations #alternative #réfugiés #catégorisation #tri #réinstallation #death_of_asylum #mort_de_l'asile #voies_légales #droit_d'asile #externalisation #passeurs #criminalisation_des_passeurs #UK #Angleterre #colonialisme #colonisation #pull-factors #pull_factors #push-pull_factors #facteurs_pull #dissuasion #Suède #déficit #économie #welfare_state #investissement #travail #impôts #Etat_providence #modèle_suédois
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ajouté au fil de discussion sur le lien entre économie et réfugiés/migrations :
►https://seenthis.net/messages/705790
Beyond gratitude : lessons learned from migrants’ contribution to the Covid-19 response
This report recognises and values the fundamental contribution of migrant workers to our societies and economies throughout the Covid-19 pandemic. Over the past year we have leaned heavily on ‘key workers’. Migrants account for a large share of these frontline workers and figure heavily amongst the multiple occupations we now classify as essential. Yet their jobs have often been labelled as ‘low-skilled’ and their work undervalued. As a result, many have risked their lives on the Covid-19 frontline while lacking the basic social protections enjoyed by other workers.
A desire to capture the contribution of migrants during the pandemic inspired us to begin the systematic tracking of events across the globe over the past year. We wanted to make migrants’ essential work more visible, track the innovations and reforms that have enhanced their contribution during the emergency, and draw lessons from these experiences to inform long-term reforms and policies. We have observed many national and local governments relaxing migration regulations and creating new incentives for migrant workers in essential services, demonstrating that migration policies – regardless of today’s increasingly polarised debates – can and do change when necessary. This matters for the post-pandemic recovery, given that countries will continue to rely on migrant workers of all skill levels. We all must ensure that these changes are lasting.
The following policy recommendations emerge from our research:
- Enhance routes to regularisation, in recognition of migrants’ vital contribution to essential services.
- Expand legal migration pathways, ensuring safe working conditions for all, to support post-Covid-19 global recovery, tackle shortages in essential workforces and fill skills gaps.
- Ensure that migrants, whatever their status, have access to key basic services and social protection.
- Detach immigration policies from inflexible ‘low’ and ‘high’ skills classifications. Workers of all skill levels will be essential in the long path to recovery.
▻https://www.odi.org/publications/17963-beyond-gratitude-lessons-learned-migrants-contribution-covid-19-response
#travail #covid-19 #coronavirus #travailleurs_étrangers #migrations #apport #bénéfices #économie #essentiel #politique_migratoire #recommandations #pandémie #odi #rapport #voies_légales #conditions_de_travail #accès_aux_droits #protection_sociale
Pour télécharger le rapport :
▻https://www.odi.org/sites/odi.org.uk/files/resource-documents/hmi-migrant_key_workers-working_paper-final_0.pdf
#COVID-19 : un candidat #vaccin lentiviral administrable par #voie_nasale assure une protection stérilisante dans des modèles animaux | Institut Pasteur
▻https://www.pasteur.fr/fr/espace-presse/documents-presse/covid-19-candidat-vaccin-lentiviral-administrable-voie-nasale-assure-protect
[...] Malgré une activité neutralisante intense mesurée dans le sang [aprés une vaccination par voie intramusculaire], seule une légère protection, c’est à dire une réduction d’un facteur 10 de la charge virale pulmonaire, a été observée suite à un challenge par le virus #SARS-CoV-2.
Dans une étude parallèle2, il a été montré que les anticorps présents dans les muqueuses pulmonaires, du type #IgA étaient beaucoup plus utiles pour la neutralisation du virus que les anticorps IgG présents dans le sang.
Il a donc été appliqué un schéma de vaccination « #prime_and_target » (pour « amorcer et cibler ») dans lequel la réponse immunitaire a été initiée par une injection classique intra-musculaire, puis la réponse a été ciblée dans les voies respiratoires, par instillation du vaccin par la voie nasale.
En utilisant cette stratégie de #vaccination « prime and target », l’activité neutralisante mesurée dans le sang n’a pas augmenté de manière substantielle. Cependant, un effet majeur sur la protection contre une épreuve virale a été obtenu avec une diminution d’un facteur >1000 de la charge virale pulmonaire, certains animaux étant sous les limites de détection du test RT-PCR. La forte protection conférée a également complètement inhibé l’inflammation pulmonaire et la tempête de cytokines, et a par conséquent empêché les lésions histopathologiques pulmonaires.
« Ces travaux introduisent la notion importante que l’activité neutralisante des anticorps mesurée dans le sérum sanguin n’est probablement pas corrélée au niveau de protection mais plutôt que la protection vaccinale contre le SARS-CoV-2 nécessite une immunité mucosale, et notamment des anticorps IgA, au niveau de la porte d’entrée du virus, à savoir les voies respiratoires supérieures », explique Laleh Majlessi, co-auteure de l’étude et directrice de recherche au sein du Laboratoire Commun Pasteur-TheraVectys.
]]>Le réseau SNCF
merci @BB27000
▻https://www.sncf-reseau.com/fr/carte/atlas-reseau-ferre-francais
l’atlas à feuilleter
▻https://it4v7.interactiv-doc.fr/html/atlas_reseau_ferre_2020_web_914
la carte en pdf
▻https://www.sncf-reseau.com/sites/default/files/2020-06/CARTE%20RFN%202020_WEB_0.pdf
Comment sécuriser les #universités vis-à-vis de l’épidémie ?
Comment éviter de nouvelles vagues épidémiques sans restreindre ni les libertés publiques ni l’activité sociale ? Comment faire en sorte que les universités, ainsi que les autres lieux publics, ne participent pas à la circulation du virus ? Nous examinons ici l’état des connaissances sur les voies de contamination pour formuler des préconisations à mettre en œuvre de toute urgence .
Le coronavirus se transmet principalement par voie respiratoire. Une personne atteinte du Covid et symptomatique, émet en toussant des gouttelettes de salives entre 50 microns et 1 mm, chargées en virus . Les porteurs symptomatiques ou asymptomatiques, en parlant ou simplement en respirant, émettent de plus petites gouttes porteuse de particules virales, entre la centaine de nanomètre, ce qui correspond à la taille du virus, et 5 microns. Ces deux types de gouttelettes ont des comportements hydrodynamiques différents . Les grosses gouttelettes produites par la toux retombent sur le sol après un vol de l’ordre du mètre. Lorsqu’on les respire, elles se déposent, du fait de leur inertie, sur les parois des voies respiratoires. Les petites gouttelettes produites par la toux, par la parole, par le chant ou par la respiration ont une faible inertie et suivent l’écoulement de l’air. En conséquence, elles peuvent rester suspendues en aérosol dans l’air, entraînées par ses mouvements turbulents. Lorsqu’on les respire, elles pénètrent profondément dans les voies respiratoires. Seules des gouttelettes de petites tailles peuvent ainsi aller jusqu’aux alvéoles pulmonaires . Une dizaine d’études de cas ont montré des contaminations par voies aérosol. Cela a été confirmé par des études sur des modèles animaux. On estime maintenant que 50% au moins des contaminations sont dues aux porteurs asymptomatiques, ce qui implique des gouttes transportées en aérosol. Du reste, 4 personnes sur 5 se montrent incapables de savoir précisément dans quelles circonstances elles ont été contaminées.
►https://www.youtube.com/watch?v=x_HcZyz1pFQ
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El Supremo reconoce el derecho a pedir asilo en las embajadas en contra del criterio del Gobierno
Esta posibilidad aparece recogida en la Ley de Asilo, pero ningún gobierno ha aprobado su desarrollo reglamentario por lo que España, salvo escasas excepciones, impide de forma sistemática acceder al procedimiento de asilo a través de esta vía
El Tribunal Supremo ha reconocido el derecho de potenciales solicitantes de asilo a pedir en embajadas españolas su traslado legal a España para formalizar una petición de protección internacional. Aunque esta posibilidad aparece recogida en la Ley de Asilo de 2009, ningún gobierno ha aprobado su desarrollo reglamentario por lo que, salvo escasas excepciones, habitualmente se impide de forma sistemática acceder al procedimiento de asilo a través de esta vía. Los magistrados también han confirmado la obligación de los embajadores a contestar a dichas peticiones.
En la sentencia, el Alto Tribunal echa por tierra los argumentos en los que se han apoyado gobiernos de distintos colores para negarse a aplicar el artículo 38 de la normativa de asilo, que permite a los embajadores del país «promover el traslado» de los solicitantes de asilo a España para que estos puedan formalizar su solicitud en territorio español. Para la Sala de lo contencioso administrativo número 5, el enunciado de la legislación española contiene «elementos suficientes» para realizar traslados de solicitantes de asilo por esta vía cuando el demandante «corra peligro» en su país de origen, sin que su aplicación quede supeditada al desarrollo reglamentario al que se aferra el gobierno.
El fallo sostiene que la normativa «se limita a regular la atención de aquellas solicitudes que se presentan fuera del territorio nacional y en un tercer país», por la que el embajador tiene competencia de valorar «el peligro para la integridad física del solicitante que motive su derivación a España». Para ello, apunta la Sala, debe aplicar «las mismas exigencias» que determinan el reconocimiento de la protección internacional en España.
Es decir, el Supremo concluye que la normativa ya desarrolla el mecanismo por el que un demandante puede registrar en las embajadas españolas una suerte de petición de asilo, sobre la que los representantes españoles deben valorar si su integridad corre peligro y, en ese caso, promover su traslado a España para tramitar la demanda de manera oficial.
La sentencia se refiere al caso de una familia kurdo-iraquí que llegó a Grecia en 2016 huyendo del conflicto bélico en Irak, donde solicitó asilo sin respuesta, según Stop Mare Mortum, organización que ha apoyado jurídicamente a los demandantes. Un año después, pidieron ser trasladados a España en el marco del programa europeo de reubicación, pero solo fue aceptada la solicitud de la madre y las hijas. El padre, quien tuvo que permanecer en Grecia, solicitó protección posteriormente junto al resto de su familia en la Embajada española en el país europeo, pero no recibieron respuesta.
Ante el silencio de la embajada española, explican desde la organización, la familia presentó una demanda ante la Audiencia Nacional que le dio la razón en marzo del 2019. No obstante, la abogacía del Estado interpuso un recurso de casación en el Tribunal Supremo para evitar el traslado del padre de familia en España, alegando la imposibilidad de aplicación del artículo 34 de la Ley de Asilo, debido a su falta de desarrollo reglamentario, entre otras razones expuestas.
La falta de reglamento no impide su aplicación
Para el Supremo, la falta de desarrollo reglamentario no impide la aplicación del contenido de la normativa «a las solicitudes de protección internacional formuladas a su amparo». Además, el Tribunal aclara que la valoración del peligro para la integridad física del solicitante se debe realizar en base a la situación que le empuja a salir del país de origen.
Según Stop Mare Nostrum, es «habitual» la falta de respuesta de las embajadas españolas cuando un potencial solicitante de asilo intenta acceder al procedimiento de protección internacional a través de esta vía. De las 38 peticiones de traslado registradas por la ONG en los consulados de Atenas y Tánger, los representantes españoles «no han respondido a ninguna». En este sentido, la Abogacía del Estado justificó en su recurso que la Ley de Asilo no «les impone la obligación de resolver estas peticiones». Este extremo también ha sido rechazado por el Alto Tribunal, que sí ve en la ausencia de contestación una actuación «susceptible de impugnación».
Según detalla la sentencia, a la que ha accedido elDiario.es, el abogado del Estado defendía que, ante la falta de desarrollo reglamentario, «no existe como tal un procedimiento administrativo para poder aplicar ese artículo» lo que, consideraba «imprescindible para determinar los órganos competentes y las condiciones en las que un embajador puede promover el traslado a España a los efectos de solicitar asilo así como para determinar las consecuencias prácticas de tal medida».
Diferente argumento para defender ante Estrasburgo las devoluciones en caliente
Los argumentos de la Abogacía del Estado evidencian la falta de aplicación por parte del Gobierno de la posibilidad de solicitar el traslado a España desde las embajadas españolas, lo que se contradice con los razonamientos que España presentó ante el Tribunal Europeo de Derechos Humanos para defender la legalidad de las devoluciones en caliente en las vallas de Ceuta y Melilla.
Según sostenían entonces desde la Abogacía del Estado, España contaba con vías legales de entrada al territorio, entre las que nombraba el artículo 38 de la Ley de Asilo. El mismo que no se podría aplicar debido a la falta de desarrollo reglamentario, según dice el abogado del Estado en el recurso que pretendía evitar el traslado del hombre iraquí para encontrarse con su familia.
«La sentencia demuestra la incoherencia de los argumentos de la Abogacía del Estado, que los utiliza según su conveniencia en una materia tan sensible como los derechos humanos», dice Stop Mare Mortum. «El pasado mes de febrero, ante el Tribunal Europeo de Derechos Humanos, defendía la existencia de este mecanismo para pedir asilo en las embajadas y así demostrar que las personas que saltaron la valla, podían haber solicitado asilo en España vía artículo 38», recuerda la organización. «En los procedimientos judiciales que han terminado en la actual Sentencia del Tribunal Supremo la argumentación de la abogacía del estado era la contraria: que las solicitudes a Embajada no se podían tramitar por falta de reglamento de desarrollo de la ley de asilo».
El razonamiento desarrollado por la Abogacía del Estado para justificar las devoluciones en caliente de migrantes en Ceuta y Melilla fue clave en la consiguiente sentencia del Tribunal Europeo de Derechos Humanos, que avaló las expulsiones inmediatas de quienes sortean de forma irregular las alambradas de las ciudades autónomas porque, según el concluyó, «se pusieron ellos mismos en una situación de ilegalidad al intentar entrar deliberadamente en España por la valla de Melilla».
Según el Defensor del Pueblo, la Ley de Asilo de 2009, a diferencia de la normativa anterior, no permite la presentación oficial de solicitudes de asilo en las representaciones diplomáticas, por lo que deja en manos del embajador la posibilidad de promover el traslado a España del solicitante si considera que corre peligro físico. Un informe de la institución de 2016 señaló que «la alta conflictividad existente en la actualidad en muchos países, junto a la limitación de no permitir la presentación de la demanda en las representaciones de España en el exterior, contribuyen a dificultar el acceso al procedimiento». Estos obstáculos, advertía, «pueden menoscabar los compromisos internacionales asumidos por España y la finalidad de dicho instrumento».
▻https://www.eldiario.es/desalambre/supremo-reconoce-derecho-solicitantes-asilo-pedir-asilo-embajadas-espanolas
#asile #réfugiés #ambassade #ambassades #Espagne #justice #voies_légales
La #Technopolice, moteur de la « #sécurité_globale »
L’article 24 de la #loi_Sécurité_Globale ne doit pas devenir l’arbre qui cache la forêt d’une politique de fond, au cœur de ce texte, visant à faire passer la #surveillance et le #contrôle_de_la_population par la police à une nouvelle ère technologique.
Quelques jours avant le vote de la loi Sécurité Globale à l’Assemblée Nationale, le ministère de l’Intérieur présentait son #Livre_blanc. Ce long #rapport de #prospective révèle la #feuille_de_route du ministère de l’Intérieur pour les années à venir. Comme l’explique Gérard Darmanin devant les députés, la proposition de loi Sécurité Globale n’est que le début de la transposition du Livre dans la législation. Car cette loi, au-delà de l’interdiction de diffusion d’#images de la police (#article_24), vise surtout à renforcer considérablement les pouvoirs de surveillance des #forces_de_l’ordre, notamment à travers la légalisation des #drones (article 22), la diffusion en direct des #caméras_piétons au centre d’opération (article 21), les nouvelles prérogatives de la #police_municipale (article 20), la #vidéosurveillance dans les hall d’immeubles (article 20bis). Cette loi sera la première pierre d’un vaste chantier qui s’étalera sur plusieurs années.
Toujours plus de pouvoirs pour la police
Le Livre blanc du ministère de l’Intérieur envisage d’accroître, à tous les niveaux, les pouvoirs des différentes #forces_de_sécurité (la #Police_nationale, la police municipale, la #gendarmerie et les agents de #sécurité_privée) : ce qu’ils appellent, dans la novlangue officielle, le « #continuum_de_la_sécurité_intérieure ». Souhaitant « renforcer la police et la rendre plus efficace », le livre blanc se concentre sur quatre angles principaux :
- Il ambitionne de (re)créer une #confiance de la population en ses forces de sécurité, notamment par une #communication_renforcée, pour « contribuer à [leur] légitimité », par un embrigadement de la jeunesse – le #Service_National_Universel, ou encore par la création de « #journées_de_cohésion_nationale » (page 61). Dans la loi Sécurité Globale, cette volonté s’est déjà illustrée par la possibilité pour les policiers de participer à la « #guerre_de_l’image » en publiant les vidéos prises à l’aide de leurs #caméras_portatives (article 21).
- Il prévoit d’augmenter les compétences des #maires en terme de sécurité, notamment par un élargissement des compétences de la police municipale : un accès simplifié aux #fichiers_de_police, de nouvelles compétences en terme de lutte contre les #incivilités … (page 135). Cette partie-là est déjà en partie présente dans la loi Sécurité Globale (article 20).
- Il pousse à une #professionnalisation de la sécurité privée qui deviendrait ainsi les petites mains de la police, en vu notamment des #Jeux_olympiques Paris 2024, où le besoin en sécurité privée s’annonce colossal. Et cela passe par l’augmentation de ses #compétences : extension de leur #armement, possibilité d’intervention sur la #voie_publique, pouvoir de visionner les caméras, et même le port d’un #uniforme_spécifique (page 145).
- Enfin, le dernier grand axe de ce livre concerne l’intégration de #nouvelles_technologies dans l’arsenal policier. Le titre de cette partie est évocateur, il s’agit de « porter le Ministère de l’Intérieur à la #frontière_technologique » (la notion de #frontière évoque la conquête de l’Ouest aux États-Unis, où il fallait coloniser les terres et les premières nations — la reprise de ce vocable relève d’une esthétique coloniale et viriliste).
Ce livre prévoit une multitude de projets plus délirants et effrayants les uns que les autres. Il propose une #analyse_automatisée des #réseaux_sociaux (page 221), des #gilets_connectés pour les forces de l’ordre (page 227), ou encore des lunettes ou #casques_augmentés (page 227). Enfin, le Livre blanc insiste sur l’importance de la #biométrie pour la police. Entre proposition d’#interconnexion des #fichiers_biométriques (#TAJ, #FNAEG, #FAED…) (page 256), d’utilisation des #empreintes_digitales comme outil d’#identification lors des #contrôles_d’identité et l’équipement des #tablettes des policiers et gendarmes (#NEO et #NEOGEND) de lecteur d’empreinte sans contact (page 258), de faire plus de recherche sur la #reconnaissance_vocale et d’#odeur (!) (page 260) ou enfin de presser le législateur pour pouvoir expérimenter la #reconnaissance_faciale dans l’#espace_public (page 263).
Le basculement technologique de la #surveillance par drones
Parmi les nouveaux dispositifs promus par le Livre blanc : les #drones_de_police, ici appelés « #drones_de_sécurité_intérieure ». S’ils étaient autorisés par la loi « Sécurité Globale », ils modifieraient radicalement les pouvoirs de la police en lui donnant une capacité de surveillance totale.
Il est d’ailleurs particulièrement marquant de voir que les rapporteurs de la loi considèrent cette légalisation comme une simple étape sans conséquence, parlant ainsi en une phrase « d’autoriser les services de l’État concourant à la #sécurité_intérieure et à la #défense_nationale et les forces de sécurité civile à filmer par voie aérienne (…) ». Cela alors que, du côté de la police et des industriels, les drones représentent une révolution dans le domaine de la sécurité, un acteur privé de premier plan évoquant au sujet des drones leur « potentiel quasiment inépuisable », car « rapides, faciles à opérer, discrets » et « tout simplement parfaits pour des missions de surveillance »
Dans les discours sécuritaires qui font la promotion de ces dispositifs, il est en effet frappant de voir la frustration sur les capacités « limitées » (selon eux) des caméras fixes et combien ils fantasment sur le « potentiel » de ces drones. C’est le cas du maire LR d’Asnières-sur-Seine qui en 2016 se plaignait qu’on ne puisse matériellement pas « doter chaque coin de rue de #vidéoprotection » et que les drones « sont les outils techniques les plus adaptés » pour pallier aux limites de la présence humaine. La police met ainsi elle-même en avant la toute-puissance du #robot par le fait, par exemple pour les #contrôles_routiers, que « la caméra du drone détecte chaque infraction », que « les agents démontrent que plus rien ne leur échappe ». Même chose pour la #discrétion de ces outils qui peuvent, « à un coût nettement moindre » qu’un hélicoptère, « opérer des surveillances plus loin sur l’horizon sans être positionné à la verticale au-dessus des suspects ». Du côté des constructeurs, on vante les « #zooms puissants », les « #caméras_thermiques », leur donnant une « #vision_d’aigle », ainsi que « le #décollage possible pratiquement de n’importe où ».
Tout cela n’est pas que du fantasme. Selon un rapport de l’Assemblée nationale, la police avait, en 2019, par exemple 30 drones « de type #Phantom_4 » et « #Mavic_Pro » (ou « #Mavic_2_Enterprise » comme nous l’avons appris lors de notre contentieux contre la préfecture de police de Paris). Il suffit d’aller voir les fiches descriptives du constructeur pour être inondé de termes techniques vantant l’omniscience de son produit : « caméra de nacelle à 3 axes », « vidéos 4K », « photos de 12 mégapixels », « caméra thermique infrarouge », « vitesse de vol maximale à 72 km/h » … Tant de termes qui recoupent les descriptions faites par leurs promoteurs : une machine volante, discrète, avec une capacité de surveiller tout (espace public ou non), et de loin.
Il ne s’agit donc pas d’améliorer le dispositif de la vidéosurveillance déjà existant, mais d’un passage à l’échelle qui transforme sa nature, engageant une surveillance massive et largement invisible de l’espace public. Et cela bien loin du léger cadre qu’on avait réussi à imposer aux caméras fixes, qui imposait notamment que chaque caméra installée puisse faire la preuve de son utilité et de son intérêt, c’est-à-dire de la nécessité et de la #proportionnalité de son installation. Au lieu de cela, la vidéosurveillance demeure une politique publique dispendieuse et pourtant jamais évaluée. Comme le rappelle un récent rapport de la Cour des comptes, « aucune corrélation globale n’a été relevée entre l’existence de dispositifs de vidéoprotection et le niveau de la délinquance commise sur la voie publique, ou encore les taux d’élucidation ». Autre principe fondamental du droit entourant actuellement la vidéosurveillance (et lui aussi déjà largement inappliqué) : chaque personne filmée doit être informée de cette surveillance. Les drones semblent en contradiction avec ces deux principes : leur utilisation s’oppose à toute notion d’information des personnes et de nécessité ou proportionnalité.
Où serons-nous dans 4 ans ?
En pratique, c’est un basculement total des #pratiques_policières (et donc de notre quotidien) que préparent ces évolutions technologiques et législatives. Le Livre blanc fixe une échéance importante à cet égard : « les Jeux olympiques et paralympiques de Paris de 2024 seront un événement aux dimensions hors normes posant des enjeux de sécurité majeurs » (p. 159). Or, « les Jeux olympiques ne seront pas un lieu d’expérimentation : ces technologies devront être déjà éprouvées, notamment à l’occasion de la coupe de monde de Rugby de 2023 » (p. 159).
En juillet 2019, le rapport parlementaire cité plus haut constatait que la Police nationale disposait de 30 drones et de 23 pilotes. En novembre 2020, le Livre blanc (p. 231) décompte 235 drones et 146 pilotes. En 14 mois, le nombre de drones et pilotes aura été multiplié par 7. Dès avril 2020, le ministère de l’Intérieur a publié un appel d’offre pour acquérir 650 drones de plus. Rappelons-le : ces dotations se sont faites en violation de la loi. Qu’en sera-t-il lorsque les drones seront autorisés par la loi « sécurité globale » ? Avec combien de milliers d’appareils volants devra-t-on bientôt partager nos rues ? Faut-il redouter, au cours des #JO de 2024, que des dizaines de drones soient attribués à la surveillance de chaque quartier de la région parisienne, survolant plus ou moins automatiquement chaque rue, sans répit, tout au long de la journée ?
Les évolutions en matières de reconnaissance faciale invite à des projections encore plus glaçantes et irréelles. Dès 2016, nous dénoncions que le méga-fichier #TES, destiné à contenir le visage de l’ensemble de la population, servirait surtout, à terme, à généraliser la reconnaissance faciale à l’ensemble des activités policières : enquêtes, maintien de l’ordre, contrôles d’identité. Avec le port d’une caméra mobile par chaque brigade de police et de gendarmerie, tel que promis par Macron pour 2021, et la retransmission en temps réel permise par la loi « sécurité globale », ce rêve policier sera à portée de main : le gouvernement n’aura plus qu’à modifier unilatéralement son #décret_TES pour y joindre un système de reconnaissance faciale (exactement comme il avait fait en 2012 pour permettre la reconnaissance faciale à partir du TAJ qui, à lui seul, contient déjà 8 millions de photos). Aux robots dans le ciel s’ajouteraient des humains mutiques, dont le casque de réalité augmentée évoqué par le Livre Blanc, couplé à l’analyse d’image automatisée et aux tablettes numériques NEO, permettrait des contrôles systématiques et silencieux, rompus uniquement par la violence des interventions dirigées discrètement et à distance à travers la myriade de drones et de #cyborgs.
En somme, ce Livre Blanc, dont une large partie est déjà transposée dans la proposition de loi sécurité globale, annonce le passage d’un #cap_sécuritaire historique : toujours plus de surveillance, plus de moyens et de pouvoirs pour la police et consorts, dans des proportions et à un rythme jamais égalés. De fait, c’est un #État_autoritaire qui s’affirme et se consolide à grand renfort d’argent public. Le Livre blanc propose ainsi de multiplier par trois le #budget dévolu au ministère de l’Intérieur, avec une augmentation de 6,7 milliards € sur 10 ans et de 3 milliards entre 2020 et 2025. Une provocation insupportable qui invite à réfléchir sérieusement au définancement de la police au profit de services publiques dont le délabrement plonge la population dans une #insécurité bien plus profonde que celle prétendument gérée par la police.
►https://www.laquadrature.net/2020/11/19/la-technopolice-moteur-de-la-securite-globale
#France #Etat_autoritaire
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Sous-#métaliste sur les #villes-refuge en #Europe...
#ville-refuge #migrations #asile #réfugiés #solidarité
Métaliste :
►https://seenthis.net/messages/759145
Introduction. Pour une lecture territoriale des #corridors de #transport en Europe — Géoconfluences
▻http://geoconfluences.ens-lyon.fr/informations-scientifiques/dossiers-regionaux/territoires-europeens-regions-etats-union/rte-t/introduction
Les Réseaux transeuropéens de transport (RTE-T) reposent sur l’idée que l’intégration européenne ne peut se faire qu’avec des liaisons efficaces entre les pays membres. Derrière cette apparente évidence se cache une très grande complexité pour connecter entre elles les infrastructures nationales et faire coopérer les acteurs et les opérateurs à toutes les échelles. C’est cette difficulté que notre dossier se propose d’éclairer.
Mobilité #communications #routes #voies_ferrées
]]>Fil de discussion sur le nouveau #pacte_européen_sur_la_migration_et_l’asile
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Migrants : le règlement de Dublin va être supprimé
La Commission européenne doit présenter le 23 septembre sa proposition de réforme de sa politique migratoire, très attendue et plusieurs fois repoussée.
Cinq ans après le début de la crise migratoire, l’Union européenne veut changer de stratégie. La Commission européenne veut “abolir” le règlement de Dublin qui fracture les Etats-membres et qui confie la responsabilité du traitement des demandes d’asile au pays de première entrée des migrants dans l’UE, a annoncé ce mercredi 16 septembre la cheffe de l’exécutif européen Ursula von der Leyen dans son discours sur l’Etat de l’Union.
La Commission doit présenter le 23 septembre sa proposition de réforme de la politique migratoire européenne, très attendue et plusieurs fois repoussée, alors que le débat sur le manque de solidarité entre pays Européens a été relancé par l’incendie du camp de Moria sur lîle grecque de Lesbos.
“Au coeur (de la réforme) il y a un engagement pour un système plus européen”, a déclaré Ursula von der Leyen devant le Parlement européen. “Je peux annoncer que nous allons abolir le règlement de Dublin et le remplacer par un nouveau système européen de gouvernance de la migration”, a-t-elle poursuivi.
Nouveau mécanisme de solidarité
“Il y aura des structures communes pour l’asile et le retour. Et il y aura un nouveau mécanisme fort de solidarité”, a-t-elle dit, alors que les pays qui sont en première ligne d’arrivée des migrants (Grèce, Malte, Italie notamment) se plaignent de devoir faire face à une charge disproportionnée.
La proposition de réforme de la Commission devra encore être acceptée par les Etats. Ce qui n’est pas gagné d’avance. Cinq ans après la crise migratoire de 2015, la question de l’accueil des migrants est un sujet qui reste source de profondes divisions en Europe, certains pays de l’Est refusant d’accueillir des demandeurs d’asile.
Sous la pression, le système d’asile européen organisé par le règlement de Dublin a explosé après avoir pesé lourdement sur la Grèce ou l’Italie.
Le nouveau plan pourrait notamment prévoir davantage de sélection des demandeurs d’asile aux frontières extérieures et un retour des déboutés dans leur pays assuré par Frontex. Egalement à l’étude pour les Etats volontaires : un mécanisme de relocalisation des migrants sauvés en Méditerranée, parfois contraints d’errer en mer pendant des semaines en attente d’un pays d’accueil.
Ce plan ne résoudrait toutefois pas toutes les failles. Pour le patron de l’Office français de l’immigration et de l’intégration, Didier Leschi, “il ne peut pas y avoir de politique européenne commune sans critères communs pour accepter les demandes d’asile.”
▻https://www.huffingtonpost.fr/entry/migrants-le-reglement-de-dublin-tres-controverse-va-etre-supprime_fr_
#migrations #asile #réfugiés #Dublin #règlement_dublin #fin #fin_de_Dublin #suppression #pacte #Pacte_européen_sur_la_migration #new_pact #nouveau_pacte #pacte_sur_la_migration_et_l'asile
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Documents officiels en lien avec le pacte :
►https://seenthis.net/messages/879881
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Refugee protection at risk
Two of the words that we should try to avoid when writing about refugees are “unprecedented” and “crisis.” They are used far too often and with far too little thought by many people working in the humanitarian sector. Even so, and without using those words, there is evidence to suggest that the risks confronting refugees are perhaps greater today than at any other time in the past three decades.
First, as the UN Secretary-General has pointed out on many occasions, we are currently witnessing a failure of global governance. When Antonio Guterres took office in 2017, he promised to launch what he called “a surge in diplomacy for peace.” But over the past three years, the UN Security Council has become increasingly dysfunctional and deadlocked, and as a result is unable to play its intended role of preventing the armed conflicts that force people to leave their homes and seek refuge elsewhere. Nor can the Security Council bring such conflicts to an end, thereby allowing refugees to return to their country of origin.
It is alarming to note, for example, that four of the five Permanent Members of that body, which has a mandate to uphold international peace and security, have been militarily involved in the Syrian armed conflict, a war that has displaced more people than any other in recent years. Similarly, and largely as a result of the blocking tactics employed by Russia and the US, the Secretary-General struggled to get Security Council backing for a global ceasefire that would support the international community’s efforts to fight the Coronavirus pandemic
Second, the humanitarian principles that are supposed to regulate the behavior of states and other parties to armed conflicts, thereby minimizing the harm done to civilian populations, are under attack from a variety of different actors. In countries such as Burkina Faso, Iraq, Nigeria and Somalia, those principles have been flouted by extremist groups who make deliberate use of death and destruction to displace populations and extend the areas under their control.
In states such as Myanmar and Syria, the armed forces have acted without any kind of constraint, persecuting and expelling anyone who is deemed to be insufficiently loyal to the regime or who come from an unwanted part of society. And in Central America, violent gangs and ruthless cartels are acting with growing impunity, making life so hazardous for other citizens that they feel obliged to move and look for safety elsewhere.
Third, there is mounting evidence to suggest that governments are prepared to disregard international refugee law and have a respect a declining commitment to the principle of asylum. It is now common practice for states to refuse entry to refugees, whether by building new walls, deploying military and militia forces, or intercepting and returning asylum seekers who are travelling by sea.
In the Global North, the refugee policies of the industrialized increasingly take the form of ‘externalization’, whereby the task of obstructing the movement of refugees is outsourced to transit states in the Global South. The EU has been especially active in the use of this strategy, forging dodgy deals with countries such as Libya, Niger, Sudan and Turkey. Similarly, the US has increasingly sought to contain northward-bound refugees in Mexico, and to return asylum seekers there should they succeed in reaching America’s southern border.
In developing countries themselves, where some 85 per cent of the world’s refugees are to be found, governments are increasingly prepared to flout the principle that refugee repatriation should only take place in a voluntary manner. While they rarely use overt force to induce premature returns, they have many other tools at their disposal: confining refugees to inhospitable camps, limiting the food that they receive, denying them access to the internet, and placing restrictions on humanitarian organizations that are trying to meet their needs.
Fourth, the COVID-19 pandemic of the past nine months constitutes a very direct threat to the lives of refugees, and at the same time seems certain to divert scarce resources from other humanitarian programmes, including those that support displaced people. The Coronavirus has also provided a very convenient alibi for governments that wish to close their borders to people who are seeking safety on their territory.
Responding to this problem, UNHCR has provided governments with recommendations as to how they might uphold the principle of asylum while managing their borders effectively and minimizing any health risks associated with the cross-border movement of people. But it does not seem likely that states will be ready to adopt such an approach, and will prefer instead to introduce more restrictive refugee and migration policies.
Even if the virus is brought under some kind of control, it may prove difficult to convince states to remove the restrictions that they have introduced during the COVD-19 emergency. And the likelihood of that outcome is reinforced by the fear that the climate crisis will in the years to come prompt very large numbers of people to look for a future beyond the borders of their own state.
Fifth, the state-based international refugee regime does not appear well placed to resist these negative trends. At the broadest level, the very notions of multilateralism, international cooperation and the rule of law are being challenged by a variety of powerful states in different parts of the world: Brazil, China, Russia, Turkey and the USA, to name just five. Such countries also share a common disdain for human rights and the protection of minorities – indigenous people, Uyghur Muslims, members of the LGBT community, the Kurds and African-Americans respectively.
The USA, which has traditionally acted as a mainstay of the international refugee regime, has in recent years set a particularly negative example to the rest of the world by slashing its refugee resettlement quota, by making it increasingly difficult for asylum seekers to claim refugee status on American territory, by entirely defunding the UN’s Palestinian refugee agency and by refusing to endorse the Global Compact on Refugees. Indeed, while many commentators predicted that the election of President Trump would not be good news for refugees, the speed at which he has dismantled America’s commitment to the refugee regime has taken many by surprise.
In this toxic international environment, UNHCR appears to have become an increasingly self-protective organization, as indicated by the enormous amount of effort it devotes to marketing, branding and celebrity endorsement. For reasons that remain somewhat unclear, rather than stressing its internationally recognized mandate for refugee protection and solutions, UNHCR increasingly presents itself as an all-purpose humanitarian agency, delivering emergency assistance to many different groups of needy people, both outside and within their own country. Perhaps this relief-oriented approach is thought to win the favour of the organization’s key donors, an impression reinforced by the cautious tone of the advocacy that UNHCR undertakes in relation to the restrictive asylum policies of the EU and USA.
UNHCR has, to its credit, made a concerted effort to revitalize the international refugee regime, most notably through the Global Compact on Refugees, the Comprehensive Refugee Response Framework and the Global Refugee Forum. But will these initiatives really have the ‘game-changing’ impact that UNHCR has prematurely attributed to them?
The Global Compact on Refugees, for example, has a number of important limitations. It is non-binding and does not impose any specific obligations on the countries that have endorsed it, especially in the domain of responsibility-sharing. The Compact makes numerous references to the need for long-term and developmental approaches to the refugee problem that also bring benefits to host states and communities. But it is much more reticent on fundamental protection principles such as the right to seek asylum and the notion of non-refoulement. The Compact also makes hardly any reference to the issue of internal displacement, despite the fact that there are twice as many IDPs as there are refugees under UNHCR’s mandate.
So far, the picture painted by this article has been unremittingly bleak. But just as one can identify five very negative trends in relation to refugee protection, a similar number of positive developments also warrant recognition.
First, the refugee policies pursued by states are not uniformly bad. Countries such as Canada, Germany and Uganda, for example, have all contributed, in their own way, to the task of providing refugees with the security that they need and the rights to which they are entitled. In their initial stages at least, the countries of South America and the Middle East responded very generously to the massive movements of refugees out of Venezuela and Syria.
And while some analysts, including the current author, have felt that there was a very real risk of large-scale refugee expulsions from countries such as Bangladesh, Kenya and Lebanon, those fears have so far proved to be unfounded. While there is certainly a need for abusive states to be named and shamed, recognition should also be given to those that seek to uphold the principles of refugee protection.
Second, the humanitarian response to refugee situations has become steadily more effective and equitable. Twenty years ago, it was the norm for refugees to be confined to camps, dependent on the distribution of food and other emergency relief items and unable to establish their own livelihoods. Today, it is far more common for refugees to be found in cities, towns or informal settlements, earning their own living and/or receiving support in the more useful, dignified and efficient form of cash transfers. Much greater attention is now given to the issues of age, gender and diversity in refugee contexts, and there is a growing recognition of the role that locally-based and refugee-led organizations can play in humanitarian programmes.
Third, after decades of discussion, recent years have witnessed a much greater engagement with refugee and displacement issues by development and financial actors, especially the World Bank. While there are certainly some risks associated with this engagement (namely a lack of attention to protection issues and an excessive focus on market-led solutions) a more developmental approach promises to allow better long-term planning for refugee populations, while also addressing more systematically the needs of host populations.
Fourth, there has been a surge of civil society interest in the refugee issue, compensating to some extent for the failings of states and the large international humanitarian agencies. Volunteer groups, for example, have played a critical role in responding to the refugee situation in the Mediterranean. The Refugees Welcome movement, a largely spontaneous and unstructured phenomenon, has captured the attention and allegiance of many people, especially but not exclusively the younger generation.
And as has been seen in the UK this year, when governments attempt to demonize refugees, question their need for protection and violate their rights, there are many concerned citizens, community associations, solidarity groups and faith-based organizations that are ready to make their voice heard. Indeed, while the national asylum policies pursued by the UK and other countries have been deeply disappointing, local activism on behalf of refugees has never been stronger.
Finally, recent events in the Middle East, the Mediterranean and Europe have raised the question as to whether refugees could be spared the trauma and hardship of making dangerous journeys from one country and continent to another by providing them with safe and legal routes. These might include initiatives such as Canada’s community-sponsored refugee resettlement programme, the ‘humanitarian corridors’ programme established by the Italian churches, family reunion projects of the type championed in the UK and France by Lord Alf Dubs, and the notion of labour mobility programmes for skilled refugee such as that promoted by the NGO Talent Beyond Boundaries.
Such initiatives do not provide a panacea to the refugee issue, and in their early stages at least, might not provide a solution for large numbers of displaced people. But in a world where refugee protection is at such serious risk, they deserve our full support.
▻http://www.against-inhumanity.org/2020/09/08/refugee-protection-at-risk
#réfugiés #asile #migrations #protection #Jeff_Crisp #crise #crise_migratoire #crise_des_réfugiés #gouvernance #gouvernance_globale #paix #Nations_unies #ONU #conflits #guerres #conseil_de_sécurité #principes_humanitaires #géopolitique #externalisation #sanctuarisation #rapatriement #covid-19 #coronavirus #frontières #fermeture_des_frontières #liberté_de_mouvement #liberté_de_circulation #droits_humains #Global_Compact_on_Refugees #Comprehensive_Refugee_Response_Framework #Global_Refugee_Forum #camps_de_réfugiés #urban_refugees #réfugiés_urbains #banque_mondiale #société_civile #refugees_welcome #solidarité #voies_légales #corridors_humanitaires #Talent_Beyond_Boundaries #Alf_Dubs
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#University_corridors and the role of academia in opening safe and legal pathways for refugees to Europe
In this blog I discuss the potential contribution of EU universities to opening safe and legal pathways for refugees to Europe. I describe the example of a recent project in Italy called ‘University Corridors for Refugees’ and argue that the expansion and scaling up of this initiative can save lives and partially remedy the inequality of opportunity that many refugees face.
What can universities do for refugees?
Since the ‘long summer of migration’ in 2015, universities across the EU started various refugee-related initiatives. Many contributed in the conventional way through research on topics like reception and integration. Some developed more practice-oriented solutions and opened their doors to forced migrants. Recognized refugees were given access to full-time study programs and asylum seekers were allowed to enroll in single university courses. In the majority of cases this was accompanied by softening rigorous intake procedures and removing financial barriers. One example here is the Incluusion program of Utrecht University, which in the last years has provided free access to a wide range of courses for hundreds of students with a refugee background. While attempts for large-scale and coordinated cross-national initiatives were not absent, solutions usually emerged bottom-up, driven by the active engagement of university management, academic staff and student communities.
These attempts, however, have an important limitation – they have been focused on the access to higher education for forced migrants who have already made their journey to the EU. A recent estimation by Amnesty International showed that about 80% of all refugees live in developing regions, while one third of the global refugee population resides in the world’s poorest countries. Even the most brilliant refugee students among these approximately 20 million people face disproportionate and unjustified burdens in their attempts to pursue higher education at EU universities. Rather than limited to lack of finances, as many would correctly suggest, these burdens often involve bureaucratic issues, which eventually deprive refugees from the equality of opportunity they deserve based on their own efforts, knowledge and skills.
How could EU universities, or at least those who have already demonstrated their commitment to assisting refugees, provide a remedy to this problem? My argument is that they can do so by extending their engagement beyond the EU borders and by opening university corridors for refugee students residing in third countries. Initially, universities can be the protagonists in creating coalitions of local civil society and private sector actors ready to provide material and social support to refugee students who want to continue their education in Europe. Subsequently, they can collaborate with international organizations and national authorities for the removal of bureaucratic obstacles that disproportionately affect refugees.
The evidence upon which I build my argument comes from a recent initiative called University Corridors for Refugees. It started as a small pilot project at the University of Bologna in 2019, and within just a year expanded to ten other higher education institutions across Italy. In brief, it is a wide partnership between public institutions, civil society and private sector actors that supports refugees to pursue a post-graduate degree in Italy in the following way. Each of the participating universities prepares a call for applications for a range of Master’s programmes for refugees residing in Ethiopia. UNHCR, with the assistance of NGOs, helps disseminate the calls among refugees who have recently graduated at Ethiopian universities and who live either in camps or in urban areas across the country. After a merit-based selection procedure conducted by the host universities, the Italian Ministry of Foreign Affairs and International Cooperation issues a study visa to the successful applicants. Once they have arrived on campus, the refugee students are welcomed and supported by a network of local partners. NGOs, regional/local authorities and churches provide study equipment, a public transport subscription, language classes and integration assistance. Universities award a tuition fee waiver and support the beneficiaries of the project with accommodation, while tutors selected among the local students help the newcomers adapt to the new environment. Finally, private sector partners facilitate the access to internships and training programs during their studies, with the potential for permanent employment after graduation. While the University of Bologna has already welcomed its first refugee students arriving through the University Corridors, the rest of the Italian universities participating in the project expect their successful candidates to join them in the following months.
Opening university corridors for refugees is not a novel idea. In fact, the Student Refugee Program in Canada has been operating for more than 40 years and has helped more than 2000 refugee students pursue higher education in nearly 100 Canadian universities. The Canadian model, however, makes part of the country’s private-sponsorship-program, which means that the arriving refugee students are at the same time permanently resettled. On the contrary, the Italian model described above allows refugees to continue their education in Italy on a study visa. In any case, and especially given the participation of private sector actors in the University Corridors project, it is very likely that the fresh refugee graduates will be able to transfer their visas into work permits and therefore remain in the country after their studies. In this way, the participating universities de facto contribute to opening safe and legal pathways for refugees to Europe.
The birth of University Corridors for Refugees
Why is the University Corridors for Refugees project so important and why should it be expanded and scaled up? My answer here is twofold. Firstly, because university corridors can potentially save lives. Secondly, because they can also, at least partially, remedy the inequality of opportunity that even the most devoted, hardworking and gifted refugee students face. The best way to demonstrate the added value of opening more university corridors to Europe is by sharing the little-known story behind the birth of the project in Italy.
In 2004, a young Italian PhD student named Stefania visited Ethiopia for a course in tropical medicine. One day, while traveling to the Blue Nile Falls, she met a twelve year old local Ethiopian boy, who eventually helped her cross the river. The two exchanged contacts and stayed in touch, while the family of Stefania decided to start sponsoring the education of the boy. This helped him complete high school and then enroll into a graduate program at the University of Addis Ababa.
At the university the Ethiopian boy met his two best friends. Both of them were refugees, who had recently fled the dictatorship in nearby Eritrea in quest for realizing their dream – to study journalism. Ethiopia’s open policy towards refugees allowed the two young men to follow courses along with their new Ethiopian friend. All three of them excelled in their studies and graduated together in 2014.
By that time, the young Italian PhD student had become an assistant professor at the University of Bologna. With her support, her Ethiopian friend prepared his documents and applied for a Master’s programme at the same institution. Eventually, he got accepted. Despite all bureaucratic obstacles faced, he received his study visa and arrived on time for the start of the semester. Exactly ten years after the boy had helped Stefania cross the Blue Nile, she returned the favor by helping him to safely and legally cross the Mediterranean and continue his education.
His two Eritrean refugee friends, however, were not so fortunate. They did not lag behind in terms of knowledge or skills and they were perfectly qualified for enrolling into a post-graduate program at an Italian university too. What they lacked was a valid passport. The only travel document they could obtain by the Ethiopian authorities was the Geneva passport, which is issued to recognized refugees. However, the Italian authorities repeatedly refused granting them study visas in these circumstances. It should be noted, that the Geneva passport is a valid travel document issued by all countries that have signed the Refugee Convention. In theory, therefore, there is no legal obstacle preventing refugees who have such passports to apply for and eventually obtain a visa to travel to Europe. After a long period of negotiations and with the immense efforts of Stefania and the intervention of UNHCR, one of the two Eritrean refugees was issued a study visa and flew to Italy where he started his Masters. By that time, the other refugee graduate had already chosen to take an alternative journey. He had already moved to Sudan on his way to Libya and then Italy. Fortunately, and again with the assistance of UNHCR, the Italian embassy in Khartoum provided him the necessary study visa and in September 2016 he arrived in Bologna. Following the steps of his two friends he obtained a merit-based scholarship, passed all his exams and graduated exactly two years later.
In the meanwhile, the persistence and personal engagement of Stefania had created the foundations of a wide network that supported the two Eritrean refugee students all the way from Ethiopia to their graduation at the University of Bologna. Local NGOs and individuals provided financial, material and social support. A crowdfunding campaign and a small concert helped cover the tuition fees. UNHCR, as already noted, took care of the legal issues and the communication with the Italian authorities.
Inspired by the positive experience, the university management decided to build upon this personal initiative and launched the UNI-CO-RE (University Corridors for Refugees) pilot project. The already existing partnership was further expanded and strengthened. The Catholic church and an international NGO supported the selected students during the preparation of their documents in Ethiopia, covering also the cost of their flight to Italy. The University of Bologna provided full tuition fee waivers and scholarships (again with the support of the Catholic church), while the Regional Agency for the Right to Higher Education in Emilia-Romagna offered accommodation in a student house. Local civil society organizations took over the integration of the beneficiaries, providing also psychological support. In addition, two associations of managers operating in the industrial, trade and service sectors agreed to provide internships and eventually employment to prospective refugee students. Ultimately, after a selection procedure with merit-based criteria, five more Eritrean refugees arrived in 2019 in Bologna to pursue their Master’s degrees in Engineering and Economics, while one more joined LUISS University in Rome. Few months later, with the support of UNHCR and the Italian Ministry of Foreign Affairs and International Cooperation the project was extended to 10 more universities and 20 new refugee students are expected to arrive in Italy in the autumn semester of 2020.
No need to passively wait
Returning to the question on the importance of expanding the university corridors, one can now ask what would have happened if Stefania’s efforts had not resulted in removing the barriers that the two refugee students faced in their attempts to continue their education in Europe? It would be a speculation to claim that the Eritrean refugee who had started his journey to Libya would end up in the depths of the sea. It is a fact though that since 2014 more than 20,000 migrants died trying to cross the Mediterranean. Some probably remember the boy from Mali, who drowned on April 18, 2015 with his school report card sewn into his pocket. His story became widely known when an Italian newspaper published a cartoon depicting the boy under water, showing his report to fish and mollusks who replied “Wow…All tens! What a rare pearl!”. Few years after his death five schools in Rome put stumbling stones in memory of the boy stating “To the young man from Mali, who died with a report card on his heart. This school would have welcomed him and other people who drowned while trying to cross the sea." Schools in other Italian cities also developed similar initiatives.
As I have argued above, some solutions already exist and there is no need to passively wait for similar unnecessary tragedies to occur. Universities across Europe have a unique chance to provide at least a partial remedy to the problem, by opening university corridors for refugees. They can demonstrate their leadership, unite efforts with local civil society, private sector partners and international organizations, and work together towards the removal of the various barriers depriving refugee students from equal opportunities. Importantly, the Italian Ministry of Foreign Affairs and International Cooperation eventually recognized the added value of university corridors and became one of the leading partners in the project. This shows that national authorities can be responsive to bottom-up solutions that improve migration governance in general and facilitate safe and legal pathways to Europe in particular. In the same way in which the persistence of a single person gave birth to the university corridors in Italy, the protagonism of European universities can help expand the initiative and build new bridges for refugee students that will provide them the chance to access higher education.
▻https://www.uu.nl/en/opinion/blog-university-corridors-and-the-role-of-academia-in-opening-safe-and-legal-path
#université #réfugiés #asile #migrations #solidarité #voies_légales #corridors
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►https://seenthis.net/messages/759145#message766829
Why ’stronger borders’ don’t work
Thousands of people die annually trying to cross borders. It’s often argued stronger borders and more checks would deter people from making dangerous crossings. But how accurate is this? Maya Goodfellow explores what the current border regime means for people seeking asylum
▻https://www.theguardian.com/uk-news/video/2020/jan/21/why-stronger-borders-dont-work
#fermeture_des_frontières #asile #migrations #réfugiés #walls_don't_work #dissuasion #frontières #problème #solution #vidéo #externalisation #vulnérabilité #danger #péril #militarisation_des_frontières #ressources_pédagogiques #pull_factor #facteur_pull #stéréotypes #préjugés #pull-factor #audition #voies_légales #réinstallation
Cette carte
Question concernant les #statistiques reçue via la mailing-list Migreurop, le 29.11.2019 et que je mets ici pour archivage, car la question des #chiffres autour des #migrations, de l’#asile, des #réfugiés et des #frontières revient souvent...
La question concerne le pourcentage d’#entrées_irrégulières des personnes ayant obtenu une protection en Europe .
Je n’arrive pas à trouver d’infos fiables sur le sujet.
Ici en France nos politiques rivalisent de chiffres hasardeux...
Il y a quelques mois une étude visant à promouvoir la mise en place de visas humanitaires avancait le chiffre de 90% de réfugiés étant entrés irrégulièrement en Europe.
►https://www.europarl.europa.eu/RegData/etudes/STUD/2018/621823/EPRS_STU(2018)621823_EN.pdf
"Currently, up to 90% of the total population of subsequently recognised refugees and beneficiaries of subsidiary protection reach the territory of Member States irregularly."
Comme source de cette info, ils indiquent ce document :
▻https://www.fluechtlingshilfe.ch/assets/asylrecht/rechtsgrundlagen/exploring-avenues-for-protected-entry-in-europe.pdf
...qui date de 2012, et c’est une « estimation », sans citer de sources.
"According to estimates, approximately 90% of all asylum seekers enter Europe in an irregular manner, since legal entry has become more and more difficult and in most cases impossible. »
Est-ce quelqu’un saurait ou il est possible de trouver cette info, c’est à dire le pourcentage d’entrée irrégulière ou via un visa, parmi les demandeurs d’asile d’une part, et ceux qui obtiennent un statut de réfugié, en Europe ?
ping @simplicissimus @reka
Négocier des voies de passage sûres : comment les acteurs non étatiques participent à la gestion des frontières
Alors que les #frontières européennes sont de plus en plus sécurisées, l’accès au territoire de personnes ayant besoin de protection est devenu un enjeu humanitaire sur lequel intervient une diversité d’acteurs citoyens, d’ONG, d’associations. Cet article examine la participation de ces acteurs à un « travail humanitaire de la frontière ». Il s’appuie pour cela sur l’étude de dispositifs promus en #Italie et au #Royaume-Uni pour soutenir des voies de passage légales. Formulés dans des contextes d’#urgence, ces « corridors humanitaires » et voies sûres se sont appuyés sur la notion de vulnérabilité pour défendre une ouverture mesurée et sélective de la frontière. Quel rôle peut alors être accordé à ces acteurs non étatiques humanitaires dans la gestion de ces frontières ? Quelles sont les limites à leur action dans un contexte de politiques migratoires restrictives ?
▻https://www.erudit.org/fr/revues/lsp/2019-n83-lsp04994/1066085ar
#vulnérabilité #corridors_humanitaires #asile #migrations #réfugiés #frontières #ONG #gestion_des_frontières #voies_sures #corridor_humanitaire
A surprisingly big black hole might have swallowed a star from the inside out, and scientists are baffled
▻http://theconversation.com/a-surprisingly-big-black-hole-might-have-swallowed-a-star-from-the-
About 15,000 light years away, in a distant spiral arm of the Milky Way, there is a black hole about 70 times as heavy as the Sun.
This is very surprising for astronomers like me. The black hole seems too big to be the product of a single star collapsing, which poses questions for our theories of how black holes form.
Our team, led by Professor Jifeng Liu at the National Astronomical Observatories, Chinese Academy of Sciences, has dubbed the mysterious object LB-1.
[…]
LB-1 is the first major result of our search with LAMOST. We saw a star eight times bigger than the Sun, orbiting a dark companion about 70 times as heavy as the Sun. Each orbit took 79 days, and the pair are about one and a half times as far away from each other as Earth and the Sun.
We measured the star’s motion by slight changes in the frequency of the light we detected coming from it, caused by a Doppler shift as the star was moving towards Earth and away from it at different times in its orbit.
We also did the same for a faint glow coming from hydrogen gas around the black hole itself.
How was LB-1 formed? It is unlikely that it came from the collapse of a single massive star: we think that any big star would lose more mass via stellar winds before it collapsed into a black hole.
One possibility is that two smaller black holes may have formed independently from two stars and then merged (or they may still be orbiting each other).
Another more plausible scenario is that one “ordinary” stellar black hole became engulfed by a massive companion star. The black hole would then swallow most of the host star like a wasp larva inside a caterpillar.
The discovery of LB-1 fits nicely with recent results from the LIGO-Virgo gravitational wave detectors, which catch the ripples in spacetime caused when stellar black holes in distant galaxies collide.
The black holes involved in such collisions are also significantly heavier (up to about 50 solar masses) than the sample of active black holes in the Milky Way. Our direct sighting of LB-1 proves that these overweight stellar black holes also exist in our galaxy.
]]>Après la mort de deux migrants dans la Manche, les associations alertent sur cette nouvelle route migratoire
Pour la première fois, les corps de deux migrants ont été retrouvés lundi sur une plage du #Touquet, dans le #Pas-de-Calais. Un drame qui souligne l’augmentation préoccupante du nombre d’exilés qui tentent de rejoindre les côtes britanniques par la #voie_maritime.
Les dépouilles de deux Irakiens ont été retrouvées lundi sur une plage du Touquet, dans le Pas-de-Calais. Ils avaient 17 et 22 ans. Ces jeunes hommes auraient tenté de traverser la Manche pour rejoindre le Royaume-Uni, selon les premiers éléments recueillis par la préfecture. Une petite embarcation semi-rigide a en effet été retrouvée à proximité. Ce drame porterait donc à quatre le nombre de migrants morts en tentant de rejoindre les côtes anglaises par la voie maritime.
Le 9 août, une Iranienne de 30 ans avait perdu la vie après être tombée d’un bateau surchargé. Le 23 août, le corps d’un Irakien avait été retrouvé au large de Zeebruges, en Belgique. Il pourrait s’agir d’un homme repéré par les secours français en train de tenter la traversée à la nage. Des morts prévisibles, selon les associations d’aide aux migrants. Depuis 2018, elles alertent régulièrement sur l’augmentation des traversées clandestines de la Manche.
Les traversées ont plus que doublé entre 2018 et 2019
Depuis le début de l’année 2019, la préfecture maritime de la Manche et de la mer du Nord, contactée par le JDD, a dénombré 206 cas de tentatives ou de traversées. Soit environ 2.000 migrants. Lundi matin encore, huit migrants ont été secourus sur une plage près de Calais, selon le parquet de Boulogne-sur-Mer.
Rien à voir avec les chiffres en Méditerranée où 69.962 personnes ont gagné l’Europe en bateau cette année, d’après les données de l’UNHCR au 14 octobre 2019. Et 1.071 y ont laissé leur vie ou sont portés disparus.
Il n’empêche. Si la plupart des candidats à l’immigration continuent de tenter de se faufiler dans un camion (souvent en risquant leur vie, 4 personnes étant décédées en 2018 selon la Cimade), de plus en plus d’entre eux choisissent la voie maritime. Le phénomène a été repéré pour la première fois par les autorités en 2016 et connaît, depuis, une croissance exponentielle. Cette année-là, 23 tentatives ou traversées sont comptabilisées par la préfecture maritime. Puis 12 cas en 2017 et… 78 en 2018, impliquant 586 migrants. En 2019, ce chiffre a donc plus que doublé, et l’année n’est pas finie.
Une bouée avec des bouteilles en plastique
Une nouvelle route migratoire d’autant plus préoccupante qu’elle est extrêmement dangereuse. Car la Manche est « une autoroute de la mer », rappelle la préfecture maritime, « 25% du trafic maritime international passe par le détroit du Pas-de-Calais ». Et de comparer cette traversée au fait de franchir une voie express de nuit et à pied.
Les exilés doivent naviguer de nuit entre ferrys et cargos, avec bien souvent des embarcations de fortune et un matériel de sauvetage insuffisant. L’Irakien repêché fin août près de Zeebruges portait une ceinture de flottaison bricolée avec des bouteilles en plastique.
A ces difficultés, il faut ajouter les courants forts et les températures glaciales. A bord, les passagers se retrouvent vite trempés, risquant l’hypothermie. Et s’ils tombent, leurs chances de s’en sortir se réduisent drastiquement. Les conditions météorologiques ne semblent pas dissuader les départs : la préfecture a enregistré un pic à l’hiver 2018, la pire période pour naviguer.
1.200 migrants auraient réussi la traversée, selon les médias britanniques
Alors, pourquoi prendre ce risque, au péril de sa vie ? "Parce que certains réussissent, avance Antoine Nehr, coordinateur de l’antenne d’Utopia 56 à Calais, « c’est un mélange de désespoir et d’espoir ». La préfecture maritime ne communique aucun chiffre sur le nombre de migrants ayant réussi à atteindre les cotes anglaises mais, côté britannique, la BBC, citant le ministère de l’Intérieur estime que plus de 1.200 personnes ont réussi la traversée cette année, dont 336 en août.
Autre facteur explicatif, selon ces associatifs : les conditions de vie toujours plus dures sur place. Depuis le démantèlement en 2016 de la « jungle » de Calais, « la politique est d’empêcher toute fixation, explique Antoine Nehr d’Utopia 56. Il y a des démantèlements des campements de fortune tous les deux jours, les forêts sont coupées pour empêcher de créer des lieux de vie, les tentes ou matériels sont jetés ». Ce qui pousserait les exilés à vouloir à tout prix parvenir au Royaume-Uni.
Plus de contrôles et plus de risques
« Ça ne va pas s’arrêter ! », prévient Claire Millot, secrétaire générale de l’association Salam, à l’AFP. « Parce que les conditions à Calais et Grande-Synthe sont épouvantables, avec des démantèlements réguliers, ils sont prêts à tout pour passer. » Pour elle, « ils ne sont pas prêts à entendre ce qu’on pourrait leur dire car ils sont déterminés. »
En fait, les migrants prennent de plus en plus de risques, en camions ou par bateaux. C’est en tout cas ce qu’observent les associations interrogées. « Les contrôles se sont renforcés sur le littoral nord entre Calais et Grande-Synthe, raconte Antoine Nehr au JDD. Il y a de plus en plus de murs, de barrières. » Il ajoute que ces personnes sont souvent « des déboutés du droit d’asile, en fin de parcours, qui n’ont plus d’autre choix et tentent le tout pour le tout ». En 2019, les contrôles ont également été accrus en mer et sur les côtes. Conséquence : « On observe qu’ils partent de plus loin et sur des canots surchargés », déclare Antoine Nehr.
Même constat pour Eva Ottavy, responsable des questions internationales à la Cimade. « Les camions n’ont plus le droit de s’arrêter dans les parkings entre Arras et Calais, indique-t-elle au JDD, pour éviter que les migrants n’y grimpent. Alors ils partent plus en amont sur la route ou prennent la mer. » Pour elle, « le renforcement des contrôles ne fait que déplacer les routes migratoires ». Tous craignent que d’autres drames soient passés sous les radars.
▻https://www.lejdd.fr/Societe/apres-la-mort-de-deux-migrants-dans-la-manche-les-associations-alertent-sur-ce
#route_migratoire #asile #migrations #réfugiés #France #Angleterre #UK #Calais #parcours_migratoire #décès #mort #mourir_dans_la_forteresse_Europe #frontières
Les types de voies à Paris
▻https://paris.dataveyes.com
Les types de voies à Paris
Il existe 45 types de#voies à #Paris. Cette #visualisation vous permet de les filtrer par type et de distinguer les voies privées des voies publiques.
]]>I migranti della #Open_Arms chiedono asilo dalla nave
L’8 agosto per la prima volta nella storia dei soccorsi in mare, 89 migranti dei 121 soccorsi in due diverse operazioni dalla nave spagnola Open Arms nelle acque internazionali al largo della Libia hanno espresso la volontà di fare richiesta di asilo in Europa, mentre sono ancora a bordo della nave umanitaria. L’organizzazione non governativa spagnola Proactiva Open Arms ha consegnato queste richieste all’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) e alla Centrale operativa della guardia costiera di Roma, in una mossa senza precedenti che potrebbe portare per vie legali al superamento del divieto di sbarco imposto dalle autorità italiane, dopo la conversione in legge del cosiddetto decreto sicurezza bis, che criminalizza il soccorso in mare e impedisce alle navi umanitarie di ricevere un porto di sbarco.
I profughi – che provengono da Eritrea, Etiopia, Somalia e Costa d’Avorio – sono bloccati da otto giorni al largo di Lampedusa e non hanno ricevuto l’autorizzazione a sbarcare né in Italia né a Malta, nonostante i numerosi appelli della capomissione Anabel Montes Mier che ha denunciato una situazione critica a bordo. Il 9 agosto sono stati portati rifornimenti e a bordo è salito anche l’attore Richard Gere.
Nel frattempo la nave norvegese Ocean Viking delle ong Medici senza frontiere e di Sos Méditerranée ha soccorso 85 persone, tra cui quattro bambini, a sessanta miglia dalle coste libiche. “Alcune donne hanno raccontato storie di violenza e di stupri, avevano sul corpo i segni di queste inenarrabili violenze”, ha raccontato Valentina Brinis, responsabile dei progetti di Proactiva Open Arms.
“A bordo si è creato un clima tale per cui le persone si sono aperte e hanno raccontato le loro storie, ci siamo resi conto così che si trattava di persone che avevano bisogno di protezione in base alle leggi internazionali come la Convenzione di Ginevra del 1951”, continua Brinis. Per questo gli operatori legali e gli avvocati dell’organizzazione hanno raccolto le richieste di asilo da parte dei migranti e le hanno presentate all’Unhcr e all’Mrcc di Roma.
Per la prima volta su una nave umanitaria i migranti hanno sottoscritto un documento in cui chiedono di poter fare domanda di asilo: questo procedimento apre una serie di questioni di diritto internazionale. “Di solito queste persone erano considerate soltanto naufraghi, invece sono in realtà dei richiedenti asilo. Questo significa che se fossero riportati indietro in Libia si tratterebbe di una violazione del principio di non respingimento sancito dalla Convenzione di Ginevra, ma anche dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo”, afferma l’operatrice, che insieme all’avvocato Arturo Salerni ha presentato le richieste. L’ong sottolinea che la richiesta dovrebbe sollecitare l’assegnazione di un porto sicuro di sbarco per persone che ne hanno diritto e che sono particolarmente vulnerabili.
Ma il ministero dell’interno italiano ha risposto con una nota dicendo “che la Open Arms è spagnola” e in base alle convenzioni internazionali “è dovere dello stato di bandiera prendersi cura di coloro che si trovano a bordo, dopo essere stati raccolti o trasportati in acque internazionali: gli esperti del ministero dell’Interno stanno valutando la possibilità di richiamare pertanto la Spagna - anche in ambito giurisdizionale - al rispetto degli obblighi internazionali facendosi carico delle 89 persone”.
L’organizzazione ribadisce di non essere interessata ad arrivare per forza in Italia, ma di voler chiedere con insistenza un porto sicuro di sbarco per i richiedenti asilo a bordo, tra loro 32 minori. “L’organizzazione aveva depositato un ricorso al tribunale di Palermo, competente su questa materia”, spiega l’ong. Anche il garante per i diritti delle persone private della libertà personale Mauro Palma ha sollecitato un intervento delle autorità italiane. Secondo Palma “la situazione in atto può e deve essere vista come ambito di competenza giurisdizionale del nostro paese, nonostante la sua presenza in acque internazionali”, in virtù del divieto d’ingresso nelle acque nazionali notificato dalle autorità italiane il primo agosto, per effetto del decreto sicurezza bis.
“L’interdizione all’ingresso costituisce esercizio della sovranità e implica che ai migranti soccorsi e a bordo della nave debbano essere riconosciuti tutti i diritti e le garanzie (divieto di non respingimento, diritti dei minori stranieri non accompagnati, diritto di protezione internazionale) che spettano alle persone nei confronti delle quali l’Italia esercita la propria giurisdizione”, ha scritto Palma in una nota.
A partire da queste premesse il garante ha denunciato “il duplice rischio di violazione del principio di non respingimento e del divieto di espulsioni collettive” da parte dell’Italia. E inoltre ha sottolineato che il divieto di ingresso può essere visto “come azione di respingimento collettivo delle persone soccorse, se esercitato senza un preventivo esame delle condizioni individuali delle stesse”.
Je vais commencer, avec cet article, une nouvelle liste autour de la question des sauvetages en Méditerranée. La métaliste ici :
▻https://seenthis.net/messages/706177#message767790
Sauver des vies. Protéger les droits. Combler le manque de #protection des réfugiés et des migrants en Méditerranée
A mettre en lien avec ce billet publié par @reka sur @visionscarto (septembre 2009) :
Migrations, sauvetage en mer et droits humains
►https://visionscarto.net/migrations-sauvetage-en-mer
ping @isskein
Le #canal_Seine-Nord adoubé par la Commission européenne
▻https://www.banquedesterritoires.fr/le-canal-seine-nord-adoube-par-la-commission-europeenne
« C’est une étape très importante que nous franchissons dans la concrétisation de ce projet et la pleine reconnaissance de sa vocation européenne », a déclaré Élisabeth Borne, citée dans un communiqué ce 2 juillet. La ministre des #Transports a ainsi salué la « décision d’exécution » adoptée par la Commission européenne le 27 juin qui fixe le calendrier du « projet transfrontalier Seine-Escaut ». « L’engagement pris par l’Union européenne à travers cet acte d’exécution est un signal très positif pour le #transport_fluvial en Europe, a de son côté commenté dans un communiqué Thierry Guimbaud, le directeur général de #Voies_navigables_de_France (#VNF). Il pose le cadre d’un financement pérenne de l’Union européenne au projet Seine-Escaut et démontre la solidité de ce projet partenarial pour lequel la France investit massivement. »
]]>Putains de camions - Les poids lourds en question | ARTE
▻https://www.arte.tv/fr/videos/081593-000-A/putains-de-camions
En Europe, 80 % des marchandises sont transportées par voie routière. Mais à quel prix ? Enquête sur la folie des #poids_lourds.
Cela n’aura pas échappé aux automobilistes : les #autoroutes européennes sont encombrées par des files de poids lourds toujours plus interminables. Alors que près de 80 % des marchandises transitent par #voie_routière, le nombre de camions en circulation devrait augmenter de 40 % dans cinq ans. Pourquoi ce choix de la route au détriment du #rail ou du #transport_maritime, qui présentent pourtant de nombreux avantages, notamment écologiques ? Pour quelle raison les camions sont-ils aussi nombreux – un tiers d’entre eux, selon les estimations – à rouler à vide ? #Diesel bon marché, dumping sur les salaires des chauffeurs, explosion des commandes sur Internet, production et livraison à flux tendu : cette folie des poids lourds, qui résulte d’une série de décisions politiques, notamment un investissement massif dans les autoroutes, sert des intérêts économiques. Si les entreprises privées profitent de ce système, les citoyens en subissent les conséquences : embouteillages, pollution, risques sanitaires et usure précoce des infrastructures publiques. À l’échelle du continent, la #Suisse offre pourtant un modèle plus vertueux : le pays a su s’affranchir du #lobby_automobile pour miser sur le #transport_ferroviaire.
]]>Voies Libres Drôme
▻https://voieslibresdrome.wordpress.com/presentation
Qui sommes nous ?
L’association « Voies Libres Drôme », créée en décembre 2017 par quinze habitants de la vallée de la Drôme et domiciliée à Saillans, résulte du constat de la nécessité de l’accueil, sur notre territoire, des personnes migrantes éprouvées par leur parcours depuis le pays qu’elles ont fui. Certaines de ces personnes souhaitent se reposer quelques jours après les dures épreuves traversées (périples de plusieurs mois ou années, torture, esclavagisme, faim, froid, etc.) ; d’autres souhaitent s’installer et s’intégrer plus durablement sur le territoire.
La situation est aujourd’hui particulièrement préoccupante dans le département des Hautes-Alpes, où des dizaines de personnes arrivent chaque semaine après une traversée épuisante des cols alpins, et peinent à trouver en France un toit et plus largement un accueil bienveillant. Les pouvoirs publics n’ont pas apporté à ce jour de solution viable aux réfugiés et l’orientation est à la fermeture de nos frontières. Des collectifs et associations locaux de bonne volonté tentent de répondre tant bien que mal à la situation très précaire des réfugiés, aggravée par l’arrivée du froid hivernal.
#France #Italie #migrants #Frontière_sud-alpine #frontières #Alpes #Hautes-Alpes #asile #migrations #réfugiés #parcours_migratoires #montagne #résistance #Briançon #Mongenèvre #Clavière #Vercheny #Saillans #Drôme #Voies_Libres
Voir la compilation ici :
►https://seenthis.net/messages/756096
Rail Baltica, le train qu’il ne faut pas rater - REGARD SUR L’EST
▻http://regard-est.com/rail-baltica-le-train-quil-ne-faut-pas-rater
Rail Baltica, la liaison ferroviaire entre Tallinn et la frontière lituano-polonaise, est sans aucun doute l’un des projets les plus importants de ce début de 21e siècle en matière d’infrastructures de transport dans les États baltes, visant au désenclavement des trois pays et à leur intégration au réseau ouest-européen.
#transport #train #voies_ferrées #pays_baltes #infrastructures
]]>L’État coule le #transport_fluvial
▻https://reporterre.net/L-Etat-coule-le-transport-fluvial
C’est la première fois que le vote annuel du budget de Voies navigables de France (#VNF, cet établissement public à caractère administratif gère et exploite le réseau fluvial français) soulève une telle tempête. Tous les membres du conseil d’administration, parmi lesquels Transport et logistique de France (#TLF, la première organisation professionnelle représentative des métiers du transport) et #France_Nature_Environnement, s’opposent farouchement à l’#État. Au point d’avoir tous signé le 20 décembre un communiqué de presse intitulé « Les #voies_navigables lâchées par le gouvernement ». Une manifestation de colère inédite dans le petit monde du transport #fluvial.
explications...
]]>En #Guinée, l’Organisation internationale pour les migrations contrôle des frontières et les âmes
En Guinée, l’Organisation internationale pour les migrations incite les jeunes à ne pas tenter de gagner l’Europe. Une #campagne de #communication financée par l’#Union_européenne et soutenue par des #artistes locaux bat son plein.
« #Ne_pars_pas », c’est le #slogan choisi par l’OIM (Organisation internationale pour les migrations) pour inciter la #jeunesse guinéenne à ne pas se risquer sur les routes de l’exil et à rester chez elle. Financée en majeure partie par l’Union Européenne, cette campagne de #sensibilisation a pris les contours d’une vaste entreprise de communication d’influence où les mondes des #arts et de la #culture ont été cooptés pour porter le message. Humoristes, auteurs de bandes dessinées et autres rappeurs sont payés pour clamer, écrire ou chanter des éléments de langage définis par l’OIM qui agit pour le compte de l’Union européenne.
La chanson « Falé » du très populaire groupe de rap #Degg_J_Force_3 a été écrite en partie par la directrice de l’OIM en Guinée et par son équipe de communicants. Son clip a été financé à hauteur de 15 000 euros par l’Union européenne. Plus de dix ans après la sortie du titre « Ouvrez les frontières » de l’Ivoirien Tiken Jah Fakoly, les artistes guinéens se veulent volontiers moralistes. #Moussa_Mbaye, un des deux chanteurs du groupe Degg J force 3, qui interprète « Falé » justifie sa démarche : « Nous pensons fermement que la jeunesse africaine a la possibilité de réussir dans son pays ».
L’OIM s’appuie également sur le réseau des migrants dits « #retournés_volontaires » qu’elle a rapatriés de Libye, du Maroc ou du Niger. À travers l’#Association_guinéenne_de_lutte_contre_l'immigration_illégale qu’elle finance, les migrants « #retournés_volontaires » racontent aux candidats potentiels au départ les dangers de la traversée du Sahara, les tortures en Libye, etc.
Il faut #rester_au_pays plutôt que de mourir en Méditerranée ou alors utiliser les #voies_légales, comme l’OIM invite à le faire. Mais ces voies légales n’ont jamais été aussi inaccessibles à une jeunesse guinéenne coincée dans un pays miné par le chômage, la misère, la corruption et dont le système éducatif ne lui offre aucun débouché professionnel.
▻https://www.franceculture.fr/emissions/grand-reportage/lorganisation-internationale-pour-les-migrations-en-guinee-controle-de
#contrôles_frontaliers #asile #migrations #frontières #OIM #IOM #Organisation_internationale_CONTRE_les_migrations (comme dit très bien Olivier Clochard dans le message où il a signalé cette information) #propagande #art #retours_volontaires #jeunes #externalisation #externalisation_des_contrôles_frontaliers #dissuasion
Pour voir et écouter le #clip officiel :
#Falé
►https://www.youtube.com/watch?v=7vebkDz7-Tg
JE COMMENCE ICI LA SUITE DU FIL DE DISCUSSION SUR LES MIGRATIONS DANS LE BRIANÇONNAIS :
►https://seenthis.net/messages/733720
–-> qui elle-même est la suite de celle-ci :
►https://seenthis.net/messages/688734
Opération antimigrants : des membres de Génération identitaire en #garde_à_vue
Plusieurs membres du groupuscule d’extrême droite Génération Identitaire ont été placés en garde à vue mardi en lien avec leurs patrouilles antimigrants dans les Alpes au printemps dernier, a-t-on appris de sources concordantes.
« @RomainEspino, porte-parole de Génération Identitaire vient d’être placé en garde à vue pour sa participation à la mission dans les #Alpes », annonce le groupe sur son compte Twitter.
Contacté par l’AFP, le président de ce mouvement, Clément Galant indiquait peu avant 11H00 entrer en garde à vue avec Romain Espino à Lyon.
Le parquet de Gap a confirmé à l’AFP que plusieurs membres du groupuscule ont effectivement été placés en garde à vue en lien avec les opérations menées au col de l’Échelle près de Briançon, sans plus de détail.
Au printemps dernier, des militants identitaires avaient multiplié les démonstration d’hostilité aux migrants, participant au contrôle de la frontière aux côtés des forces de l’ordre, sous la bannière de « Defend Europe », mouvement qui a déjà fait parler de lui en Méditerranée. Ils s’étaient notamment félicités de la remise de quatre « clandestins » à la police et de l’arrestation de sept migrants « repérés et signalés » par leurs soins.
Aucune poursuite n’avait jusqu’à maintenant été engagée contre eux, au grand dam des militants promigrants dont sept d’entre eux ont été poursuivis et condamnés pour avoir facilité l’entrée de migrants en France au même moment.
Une première enquête ouverte le 27 avril 2018 avait été classée sans suite faute d’infraction ou de plainte. Puis le procureur de Gap, Raphaël Balland, avait ouvert une enquête préliminaire plus globale au motif d’’immixtion dans une fonction publique (article 433-12), confiée à la gendarmerie de Briançon.
Les membres de Génération Identitaire ont toujours assuré que leurs actions étaient protégées par l’article 73 du code pénal qui prévoit que « dans les cas de crime ou délit flagrant puni d’une peine d’emprisonnement, toute personne a qualité pour appréhender l’auteur et le conduire devant l’officier de police judiciaire le plus proche ».
La préfecture des Hautes-Alpes dénonçait elle « une opération de communication (...) visant à faire croire qu’ils contribuent à la lutte contre l’immigration clandestine ».
▻https://www.ledauphine.com/hautes-alpes/2019/01/29/operation-antimigrants-dans-les-alpes-des-membres-de-generation-identita
#Briançon #génération_identitaire #justice #extrême_droite #Hautes-Alpes #migrations #frontières #Italie #France #réfugiés #asile #frontière_sud-alpine
Europarlamento chiede visti umanitari per l’Ue rilasciati nei consolati
In modo che le persone in cerca di protezione possano accedere all’Europa senza rischiare la vita. Una risoluzione approvata a larghissima maggioranza impegna la Commissione a rispondere.
Bruxelles – I paesi UE dovrebbero rilasciare visti umanitari presso ambasciate e consolati all’estero, in modo che le persone in cerca di protezione possano accedere all’Europa senza rischiare la vita. Il Parlamento oggi ha chiesto che la Commissione europea presenti, entro il 31 marzo 2019, una proposta legislativa che istituisca un “visto umanitario europeo”, che darebbe al richiedente l’accesso al territorio europeo esclusivamente nello Stato membro che lo rilascia e al solo scopo di presentare una domanda di protezione internazionale.
▻https://www.eunews.it/2018/12/11/parlamento-europeo-visti-umanitari-ue-consolati/112411
#EU #UE #visas_humanitaires #corridors_humanitaires #consulats #ambassades #asile #migrations #réfugiés #visa #visa_humanitaire_européen #visa_humanitaire #corridor_humanitaire #voies_légales