Inchiesta sul gestore del #Cpr di Milano: tra falsi protocolli e servizi non erogati
Altreconomia ha potuto visionare l’offerta tecnica presentata dalla società Martinina Srl alla prefettura di Milano per aggiudicarsi l’appalto da oltre 1,2 milioni di euro per la gestione della struttura in #via_Corelli: alcuni degli accordi stretti con associazioni e Ong “esterne” per migliorare la vita dei trattenuti non sarebbero autentici
Lenzuola non distribuite, raro utilizzo dei mediatori culturali, tutela legale inesistente, assistenza sanitaria carente. Ma soprattutto falsi protocolli d’intesa “siglati” per svolgere servizi e attività all’interno del Centro di permanenza per il rimpatrio (Cpr) di via Corelli a Milano.
Altreconomia ha potuto visionare l’offerta tecnica presentata dalla società Martinina Srl alla prefettura di Milano per aggiudicarsi l’appalto da oltre 1,2 milioni di euro per la gestione della struttura: oltre alla discordanza tra quanto scritto nei documenti e la realtà nella struttura di reclusione, alcuni degli accordi stretti con associazioni e Ong “esterne” per migliorare la vita dei trattenuti sarebbero falsi.
Altri invece sarebbero stati siglati con soggetti di cui non è stato possibile trovare alcuna traccia online. “Viene da chiedersi in che cosa consista il controllo effettuato dalla prefettura, essendo risultata evidente l’assenza di servizi all’interno del centro oltre che palesi le incongruenze negli atti e nei documenti versati nella gara di appalto”, osserva l’avvocato Nicola Datena dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi), che ha visionato la documentazione insieme a chi scrive.
Alcuni snodi temporali. Martinina Srl nell’ottobre 2022 si è aggiudicata l’appalto per un anno (scadenza il 31 ottobre 2023, rinnovabile di un anno in assenza di nuove gare pubbliche) indetto dalla prefettura di Milano presentando un’offerta in cui garantiva, tra le altre cose, la collaborazione con diverse associazioni e società profit, finalizzata ad assicurare l’erogazione di “servizi” da integrare nella gestione del Cpr.
L’offerta tecnica consiste nella documentazione da presentare in sede di gara d’appalto che descrive come l’impresa intende eseguire il lavoro per l’ente che richiede la prestazione, ovvero il piano di lavoro, le fasi e le risorse impiegate, la durata e le ore di lavoro previste, eventuali migliorie richieste o proposte
Protocolli forniti in sede di gara ed esaminati dalla Commissione giudicatrice, la quale, nella decisione di assegnare l’appalto alla società domiciliata in provincia di Salerno, sottolinea l’importanza del “valore delle proposte migliorative dell’offerta tecnica”. Un “dettaglio” sfugge però ai funzionari della prefettura: almeno otto sarebbero falsi. Eccoli.
Secondo la documentazione contrattuale, il Vis (Volontariato internazionale per lo sviluppo), una delle più importanti organizzazioni del Terzo settore del nostro Paese, avrebbe firmato un protocollo con Martinina l’8 agosto 2022 volto alla formazione del personale del Cpr. Il nome del responsabile legale non corrisponde però ad alcun referente dell’organizzazione: “Ribadiamo l’assoluta estraneità del Vis e l’assenza di qualsiasi tipo di contatto o accordo, passato e presente, relativo alla gestione del Cpr di via Corelli. E ci tengo a precisare che come Ong salesiana abbiamo una visione della migrazione fondata sui diritti umani, distante dall’approccio applicato nei Cpr, con cui in ogni caso le nostre policy ci impedirebbero di collaborare”, spiega ad Altreconomia Michela Vallarino, presidente del Vis.
Sono 59 invece le pagine dell’accordo tra Martinina e la cooperativa sociale BeFree, uno dei più importanti enti antitratta italiani con sede a Roma, per la realizzazione del progetto “Inter/rotte” per l’assistenza per vittime di tratta e violenza. “Non avremmo mai potuto firmare un simile protocollo -spiega Francesca De Masi (qui la sua presa di posizione integrale)- perché siamo fortemente critiche nei confronti della stessa esistenza dei Cpr”. Il presunto protocollo è talmente grossolano che il nome del legale rappresentante è sbagliato e di conseguenza anche il codice fiscale generato.
Ala Milano Onlus secondo l’accordo dovrebbe invece garantire “prestazioni di natura di mediazione linguistica/culturale”. Il presidente, contattato da Altreconomia, dichiara però di non aver mai siglato quel protocollo. Così come Don Stefano Venturini, l’allora parroco della comunità pastorale delle parrocchie di San Martino in Lambrate e SS Nome di Maria, che si sarebbe impegnato, secondo le carte consultate, “a orientare, aiutare gli ospiti prestando attenzione specifica a quanto le persone esprimono”. “Ho incontrato una volta chi gestisce la struttura ma non ho mai siglato un protocollo”, spiega Venturini ad Altreconomia, aggiungendo, tra l’altro, come sia di competenza della curia diocesana un eventuale accordo formale. Nell’offerta inviata alla prefettura, Martinina ha allegato il decreto di nomina di Venturini emesso dall’arcivescovo Mario Enrico Delpini. “Non so come abbiano fatto ad averlo”, spiega ancora l’interessato.
L’accordo con la società sportiva Scarioni 1925 risulta stipulato il 24 agosto 2022 dall’ex presidente, che però è morto nel febbraio 2020: un post sulla pagina Facebook della società stessa, datato 31 marzo 2020, porge le condoglianze alla famiglia per la sua scomparsa. Il Centro islamico di Milano e Lombardia avrebbe siglato un accordo con Martinina per garantire il sostegno spirituale all’interno del centro. “La carta intestata è di un centro di Roma, la firma del protocollo di un centro di Cologno Monzese -spiega il presidente Ali Abu Shwaima-. Noi non abbiamo mai visto quel protocollo”. L’associazione Dianova Onlus garantirebbe assistenza per i trattenuti con tossicodipendenza: la prefettura sembra non essersi accorta però che il protocollo risulta firmato nell’agosto 2022 solo da Martinina Srl. “Non ho mai sentito questa società -spiega il presidente Pierangelo Buzzo, a cui è intestato l’accordo- e tra l’altro dal febbraio 2021 siamo cooperativa sociale, non più associazione. Il protocollo è falso”.
Diverso è il caso della Associazione di Volontariato “Il Paniere Alimentare”, dell’Organizzazione “Musica e Teatro” e dell’Associazione “Fiore di Donna”, dei quali non solo non è stato possibile riscontrare alcun riferimento online, ma di cui i codici fiscali inseriti nei protocolli risultano inesistenti, così come gli indirizzi mail di riferimento. La “Bondon grocery” dovrebbe riconoscere “agli ospiti del Cas e agli operatori della Martinina Srl che acquistano per conto delle persone trattenute nel Cpr uno sconto del 5% sulla spesa effettuata”: il protocollo firmato nell’agosto 2022 reca in intestazione la denominazione della società, che ha però cessato l’attività il primo luglio 2021.
Dianova, BeFree, l’Organizzazione “Musica e Teatro” vengono citati tra i protocolli di intesa presentati anche nell’offerta tecnica presentata da Engel Srl il 26 maggio 2021 per l’aggiudicazione del bando precedente a quello in essere. La prefettura di Milano ha pubblicato i documenti integrali -contratto siglato dalla società e offerta tecnica- il 10 novembre 2023.
Tornando ai protocolli siglati da Martinina Srl, questi danno uno spaccato della vita nel centro che appare molto distante della realtà. Attività ludico-ricreative, per “impegnare le giornate degli ospiti e rendere più piacevole il trascorrere del tempo”, cineforum, laboratori di teatro, musicali, sport. Addirittura “campagne di prevenzione della salute”. Ma niente di tutto questo si sarebbe mai verificato nella struttura. Sia per i numerosi report prodotti nel tempo da diversi soggetti, dall’Asgi al Garante dei diritti delle persone private della libertà personale, fino agli stessi verbali delle visite di monitoraggio redatti proprio dalla prefettura.
Così l’accesso ai servizi di mediazione linguistica-culturale, previsto nell’offerta, non si riscontra affatto nella realtà: in questo caso è l’Asgi, durante una delle visite d’accesso, a non incontrare alcun mediatore e dal Naga, che ha recentemente pubblicato un dettagliato report sulla situazione all’interno del centro. Oppure l’orientamento legale, anche questo assicurato sulla carta da Martinina Srl, addirittura con la “diffusione di materiale informativo tradotto nelle principali lingue parlate dagli stranieri presenti nel centro” ma che non trova riscontri. È il Garante, questa volta, a scrivere nel febbraio 2023 che l’informativa cartacea “non viene consegnata alle persone trattenute”. Problematico anche l’accesso ai servizi sanitari: nell’offerta tecnica si assicura “al ricorrere delle esigenze la somministrazione di farmaci e altre spese mediche” ma al di fuori degli psicofarmaci -che, come raccontato da Altreconomia nell’inchiesta “Rinchiusi e sedati”, su cinque mesi di spesa rappresentano il 60% degli acquisti in farmaci- sempre il Garante scrive che “l’assistenza sanitaria in caso di bisogno si limita alla distribuzione della tachipirina”. E c’è uno scarso accesso alle visite specialistiche. Emergono poi acquisti di distributori di tabacchi non presenti nel centro, colloqui con lo psicologo non documentati, addirittura la fornitura di “cestini da viaggio” in caso di trasferimenti da un Cpr all’altro, discrepanze anche relative alla qualità del cibo distribuito.
All’impatto sulla vita delle persone se ne aggiunge uno di natura economica. Secondo dati inediti consultati Altreconomia, infatti, la prefettura di Milano avrebbe già versato a Martinina Srl oltre 943mila euro per la gestione della struttura di via Corelli. Ed è rilevante anche l’avvicendamento delle società gestite dall’imprenditore Alessandro Forlenza. Lui, nel 2012 fonda la Engel Italia Srl, ex gestore del “Corelli” di Milano e del Cpr di Palazzo San Gervasio a Potenza: oggi quella società non esiste più perché il 20 ottobre 2023 è stata definitivamente “inglobata” nella Martinina Srl, a cui inizialmente era stato ceduto il ramo d’azienda che si occupava della detenzione amministrativa. La società è formalmente in mano a Paola Cianciulli, moglie di Forlenza, che è attualmente l’amministratrice unica dopo l’uscita di scena di Consiglia Caruso (la firmataria di tutti i protocolli d’intesa sopra citati), che il 31 agosto 2023 ha ceduto i mille euro di capitale sociale. A lei restano intestate due società con sede a Milano: l’Edil Coranimo Srl, che si occupa di costruzioni, e dal febbraio 2023 l’Allupo Srl che ha sede proprio in via Corelli, nel numero civico successivo al Centro per il rimpatrio. Una dinamica che desta interesse: l’oggetto sociale della Allupo Srl è molto diversificato e oltre alla ristorazione in diverse forme (da asporto o somministrazione diretta) è inclusa anche la possibilità di “gestione di case di riposo per anziani, case famiglia per minori, Cas, Sprar, Cara e Cpr”.
La Martinina Srl ha altre due sedi attive: una a Palazzo San Gervasio, a Potenza, dove è arrivata seconda nella gara di assegnazione della nuova gestione del Cpr precedentemente dalla Engel, vinto da Officine Solidali nel marzo 2023, un’altra a Taranto, per la gestione del Cas Mondelli che accoglie minori stranieri non accompagnati. L’ultimo bilancio disponibile è del 31 dicembre 2021 con importi ridottissimi: appena 2.327 euro di utili “portati a nuovo”. A quella data ancora non era attivo il Cpr di via Corelli. C’è un terzo soggetto, però, nella “sfera Martinina” con ben altri risultati: si tratta della Engel Family Srl nata nell’ottobre 2020 con in “dotazione” 250mila euro derivanti da Engel Srl. Paola Cianciulli è nuovamente amministratrice e socia unica della società che si occupa di “locazione immobiliare di beni propri o in leasing” che al 31 dicembre 2021 (l’ultimo disponibile) conta un valore della produzione complessivo di poco superiore a 372mila euro.
Ai milioni di euro per la gestione se ne aggiungono altri (ne hanno parlato anche ActionAid e l’Università degli studi di Bari nel recente dettagliato rapporto “Trattenuti. Una radiografia del sistema detentivo per stranieri”) se si prende in considerazione, documenti ottenuti da Altreconomia alla mano, anche l’esborso dovuto alla costante manutenzione che si rende necessaria anche a causa delle ricorrenti proteste dei trattenuti. Da inizio 2020 al marzo 2023 in totale sono stati spesi più di 3,3 milioni di euro di cui il 58% è stato impiegato per lavori di adeguamento della struttura, manutenzione o interventi di ripristino dei luoghi danneggiati. Anche perché, spesso, le strutture già in partenza sono spesso fatiscenti: il 15 settembre 2021 Invitalia, l’Agenzia nazionale di proprietà del ministero dell’Economia (già attiva nel campo delle migrazioni sul “fronte libico”), ha pubblicato un bando da 11,3 milioni di euro su mandato del Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione, in seno al ministero dell’Interno, proprio per la manutenzione straordinaria dei Centri di permanenza per il rimpatrio di tutta Italia. Ad aggiudicarsi i lavori del Cpr di Milano in via Corelli -di cui abbiamo inserito le foto inserite nel progetto di ristrutturazione- è stata la Tek Infrastructure, società con sede a Palermo da 1,6 milioni di euro di fatturato nel 2021, con un ribasso del 20%. Ma tra i pagamenti effettuati dalla prefettura fino al marzo 2023 a fare da “padrona” sulle manutenzioni è la Masteri Srl -non è possibile escludere perciò un subappalto- con quasi 620mila euro ricevuti in tre anni.
Fiumi di denaro pubblico che richiederebbero controlli estremamente approfonditi. Dai verbali delle ispezioni prefettizie, però, non emerge una verifica dettagliata di quanto avviene nella struttura. In uno dei verbali, infatti, alla domanda “La fornitura degli effetti letterecci avviene regolarmente e secondo le tempistiche e modalità previste dallo Schema di Capitolato vigente?”, il funzionario della prefettura barra “Sì”. Ma nella nota integrativa sottostante, riportata in calce al verbale, si legge che “ai 25 trattenuti non viene richiesto di firmare la consegna/ritiro degli effetti letterecci”. Risultano perciò incomprensibili le basi su cui viene affermata l’effettiva consegna di questi oggetti.
Assente qualsiasi considerazione sul rispetto dei diritti fondamentali e sulla corretta esecuzione dei servizi presenti nell’offerta tecnica. “Il monitoraggio da parte della società civile si conferma essere uno strumento fondamentale. Se quanto emerso verrà confermato nelle sedi opportune viene da chiedersi chi controlla i controllori”, conclude l’avvocato Datena. Intanto, le claudicanti promesse di Martinina Srl hanno potuto circolare a piede libero, a differenza dei reclusi. Con il rischio che alla sofferenza si sia aggiunta la beffa del racconto di una quotidianità inesistente.
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#Orientation des migrants en région : des retours du terrain « de plus en plus inquiétants », faute de places dans l’#hébergement_d’urgence
Des opérateurs craignent que la politique de #désengorgement de l’#Ile-de-France, qui passe par la création de « #sas », des centres d’#accueil_temporaire, n’offre pas de #solution pérenne.
Marie (son prénom a été modifié) est déjà repartie. Cette Angolaise est arrivée à Bordeaux aux alentours de la mi-juin, avec son garçon de 6 ans. Cela faisait trois ans qu’ils étaient logés dans un centre d’accueil pour demandeurs d’asile (#CADA) dans le 12e arrondissement de #Paris.
Courant avril, les gestionnaires de l’établissement ont commencé, selon Marie, à expliquer à certains des occupants – ceux qui avaient été #déboutés de leur demande d’asile ou qui avaient obtenu leur statut de réfugié – qu’ils devaient quitter les lieux, laisser la place à des personnes en cours de procédure. Ils leur ont proposé d’aller en région, à Bordeaux et en banlieue rennaise, dans des #centres_d’accueil temporaires.
Certains ont refusé. Marie, elle, a été « la dernière à [se] décider à partir », sous la « #pression ». On lui avait fait miroiter une scolarisation pour son fils – déjà en CP à Paris – et un hébergement. Elle a vite déchanté. « On a pris mes empreintes à la préfecture et donné un récépissé pour une demande de réexamen de ma demande d’asile alors que je ne souhaitais pas faire cela, explique-t-elle. Je n’ai pas d’éléments nouveaux à apporter et je risque une nouvelle OQTF [obligation de quitter le territoire français]. On m’a expliqué que sans ça, je n’aurais pas le droit à un logement et que le 115 [l’#hébergement_d’urgence] à Bordeaux, c’est pire qu’à Paris, qu’on nous trouve des hébergements pour deux jours seulement. » Marie n’a pas hésité longtemps. Revenue à Paris, elle « squatte » désormais chez une amie. La semaine, elle envoie son fils au centre de loisirs tandis qu’elle fait des ménages au noir dans un hôtel. Tous les jours, elle appelle le 115 pour obtenir un hébergement. En vain.
Cet exemple symbolise les difficultés du gouvernement dans sa politique d’ouverture de « sas ». Ces #centres_d’accueil_temporaire, installés en province, sont censés héberger des migrants qui se trouvent à la rue, dans des #hôtels_sociaux, des #gymnases ou encore dans les centres réservés aux demandeurs d’asile qui sont en cours de procédure.
Approche discrète
Cette politique, commencée début avril pour désengorger l’Ile-de-France – dont les dispositifs sont exsangues et plus coûteux pour le budget de l’Etat –, se veut pourtant innovante. Dix « sas » de cinquante places chacun doivent à terme ouvrir, dans lesquels les personnes transitent trois semaines au plus, avant d’être basculées principalement vers de l’hébergement d’urgence généraliste ou, pour celles qui en relèvent, vers le #dispositif_d’accueil des demandeurs d’asile. Ces « sas » reposent sur le #volontariat et, pour susciter l’adhésion, sont censés « permettre d’accélérer le traitement des situations des personnes dont l’attente se prolonge en Ile-de-France sans perspective réelle à court et moyen termes », défend, dans un courriel adressé au Monde, le ministère du logement.
C’est ce dernier qui pilote désormais la communication autour du dispositif. Au moment du lancement de celui-ci, c’est le ministère de l’intérieur qui en avait présenté les contours. Un changement d’affichage qui n’est pas anodin. Dans un contexte sensible, où plusieurs projets de centres d’accueil pour migrants en région ont suscité des manifestations hostiles, voire violentes de l’extrême droite, les pouvoirs publics optent pour une approche discrète.
Dans les faits, d’après les premiers éléments remontés et portant sur plusieurs centaines de personnes orientées, « 80 % sont des réfugiés statutaires et des demandeurs d’asile », le restant étant constitué de personnes sans-papiers, rapporte Pascal Brice, président de la Fédération des acteurs de la solidarité (FAS), qui chapeaute quelque 870 structures de lutte contre l’exclusion, dont les opérateurs de ces « sas » régionaux. « C’est un travail auprès des #sans-abri, migrants ou pas, ce n’est pas le sujet », martèle-t-on néanmoins au cabinet d’Olivier Klein, le ministre délégué au logement.
« On est en train de planter le dispositif »
Une posture qui agace Pascal Brice. Il dresse un parallèle avec la situation qui a prévalu à Saint-Brevin (Loire-Atlantique), où le maire (divers droite), Yannick Morez, a démissionné en dénonçant l’absence de soutien de l’Etat. L’édile avait été victime de menaces de mort et son domicile incendié dans un contexte de déménagement d’un CADA. « Il faut se donner les moyens politiques de réussir ce dispositif, or l’Etat n’assume pas sa politique d’accueil organisé et maîtrisé. Il fait les choses en catimini », regrette M. Brice. Les remontées du terrain seraient, en outre, « de plus en plus inquiétantes », assure le président de la FAS.
Adoma, l’opérateur d’un « sas » de cinquante places dans le 10e arrondissement de Marseille, considère que ce dernier « joue son rôle ». « Nous en sommes au troisième accueil de bus et ça fonctionne. Nous avons la garantie que les gens ne seront pas remis à la rue », rapporte Emilie Tapin, directrice d’hébergement pour #Adoma dans la cité phocéenne, où ont jusque-là été accueillis une majorité d’hommes afghans en demande d’asile. Mais ailleurs, le manque de places d’hébergement d’urgence vers lesquelles faire basculer les personnes après leur passage en « sas » se dresse comme un sérieux obstacle.
« Notre 115 est saturé et on a déjà des #squats et des #campements », s’inquiète Floriane Varieras, adjointe à la maire écologiste de Strasbourg. Une commune voisine, Geispolsheim, accueille un « sas ». « Sans création de places nouvelles, la tension sur l’hébergement d’urgence est tellement forte qu’on craint que le schéma vertueux qui visait à éviter que les personnes ne reviennent en région parisienne ne craque », signale à son tour la directrice générale de France terre d’asile, Delphine Rouilleault, qui s’occupe d’un « sas » près d’Angers.
Le ministère du logement assure que 3 600 places ont été « sanctuarisées dans le parc d’hébergement d’urgence pour faciliter la fluidité à la sortie des structures d’accueil temporaires ». Ce qui sous-entend que ces orientations se feront à moyens constants.
« On est en train de planter le dispositif, alerte Pascal Brice. Des gens sont orientés vers le 115 depuis les “sas” et remis à la rue au bout de quarante-huit heures. C’est insoutenable. Je me suis rendu dans plusieurs régions et, partout, l’Etat ferme des places d’hébergement d’urgence. Si les conditions perduraient, la FAS devrait à son plus grand regret envisager un retrait de ce dispositif. »
La province ? « Tu ne peux pas bosser là-bas »
Outre la question de l’hébergement, le succès des « sas » devait s’appuyer sur la promesse faite aux personnes d’une étude bienveillante de leur situation administrative. Sans parler franchement de régularisation, le ministère de l’intérieur avait assuré au Monde, en mars, qu’il y aurait des réexamens au regard du #droit_au_séjour. « Il y a un travail de conviction qui n’est pas encore installé », considère à ce stade Mme Rouilleault.
Le Monde a rencontré plusieurs familles ayant refusé une orientation en #province, à l’image de Hawa Diallo, une Malienne de 28 ans, mère de deux filles, dont une âgée de 10 ans et scolarisée dans le 15e arrondissement. « J’ai beaucoup de rendez-vous à Paris, à la préfecture, à la PMI [protection maternelle et infantile], à l’hôpital, justifie-t-elle. Et puis le papa n’a pas de papiers, mais il se débrouille à gauche, à droite avec des petits boulots. »
La province ? « Pour ceux qui sont déboutés de l’asile, ça ne sert à rien. Quand tu n’as pas de papiers, tu ne peux pas bosser là-bas », croit à son tour Brahima Camara. A Paris, cet Ivoirien de 30 ans fait de la livraison à vélo pour la plate-forme #Deliveroo. « Je loue un compte à quelqu’un [qui a des papiers] pour 100 euros par semaine et j’en gagne 300 à 400. C’est chaud, mais c’est mieux que voler. » Sa compagne, Fatoumata Konaté, 28 ans, est enceinte de quatre mois. Les deux Ivoiriens n’ont jamais quitté la région parisienne depuis qu’ils sont arrivés en France, il y a respectivement quatre et deux ans. Ils ont, un temps, été hébergés par le 115 dans divers endroits de l’Essonne. Depuis un an, « on traîne à la rue », confie Fatoumata Konaté. « Parfois, on dort dans des squats, parfois on nous donne des tentes. »
Chaque nuit, rien qu’à Paris, un millier de demandes auprès du 115 restent insatisfaites. Lasses, le 6 juillet, plus d’une centaine de personnes en famille originaires d’Afrique de l’Ouest ont investi deux accueils de jour de la capitale tenus par les associations Aurore et Emmaüs et y ont passé la nuit, faute de solution. « La situation devient intenable, prévient le directeur général d’Emmaüs Solidarité, Lotfi Ouanezar. On ne résoudra rien si on ne change pas de braquet. »
►https://www.lemonde.fr/societe/article/2023/07/17/orientation-des-migrants-en-region-des-retours-du-terrain-de-plus-en-plus-in
#migrations #asile #réfugiés #France #hébergement #SDF #dispersion
via @karine4
La garantie d’emploi, un outil au potentiel révolutionnaire | Romaric Godin
▻http://www.contretemps.eu/chomage-economie-garantie-emploi-depassement-capitalisme
L’ouvrage de Pavlina Tcherneva qui inaugure la collection « Économie politique » avance une proposition qui peut paraître a priori insensée : fournir à tous les citoyens qui le souhaitent un travail rémunéré, permettant de vivre décemment. Tout l’intérêt de son propos est de montrer que, précisément, cette proposition n’a rien d’insensé, mais qu’elle est parfaitement réalisable pour peu que l’on se libère de certaines certitudes qui ne sont que des constructions politiques. L’idée que le chômage soit le mode d’ajustement « normal » de l’économie est déjà un choix politique remarquablement déconstruit par l’autrice. Source : (...)
]]>L’#enseignement_numérique ou le supplice des Danaïdes. Austérité, surveillance, désincarnation et auto-exploitation
Où l’on apprend comment les étudiants en #STAPS de #Grenoble et #Saint-Étienne ont fait les frais de la #numérisation - #déshumanisation de l’#enseignement bien avant l’apparition du coronavirus. Et comment ce dernier pourrait bien avoir été une aubaine dans ce processus de #destruction programmé – via notamment la plate-forme #FUN (sic).
Les #plateformes_numériques d’enseignement ne datent pas de la série quasiment continue de confinements imposés aux universités depuis mars 2020. Enseignante en géographie à l’Université Grenoble Alpes, je constate le développement croissant d’« outils numériques d’enseignement » dans mon cadre de travail depuis plus d’une dizaine d’années. En 2014, une « #licence_hybride », en grande majorité numérique, est devenue la norme à Grenoble et à Saint-Étienne dans les études de STAPS, sciences et techniques des activités physiques et sportives. En 2020, tous mes enseignements sont désormais numériques à la faveur de l’épidémie. Preuves à l’appui, ce texte montre que le passage total au numérique n’est pas une exceptionnalité de crise mais une #aubaine inédite d’accélération du mouvement de numérisation global de l’#enseignement_supérieur en France. La #souffrance et les dégâts considérables que provoque cette #numérisation_de_l’enseignement étaient aussi déjà en cours, ainsi que les #résistances.
Une politique structurelle de #transformation_numérique de l’enseignement supérieur
La licence hybride de l’UFR STAPS à Grenoble, lancée en 2014 et en majorité numérique, autrement dit « à distance », est une des applications « pionnières » et « innovantes » des grandes lignes stratégiques du ministère de l’Enseignement supérieur en matière d’enseignement numérique définies dès 2013. C’est à cette date que la plateforme FUN - #France_Université_Numérique [1] -, financée par le Ministère, a été ouverte, regroupant des #MOOC - Massive Open Online Courses - ayant pour but d’« inciter à placer le numérique au cœur du parcours étudiant et des métiers de l’enseignement supérieur et de la recherche [2] » sous couvert de « #démocratisation » des connaissances et « #ouverture au plus grand nombre ». De fait, la plateforme FUN, gérée depuis 2015 par un #GIP - #Groupe_d’Intérêt_Public [3] -, est organisée autour de cours gratuits et en ligne, mais aussi de #SPOC -#Small_Private_Online_Course- diffusés par deux sous-plateformes : #FUN-Campus (où l’accès est limité aux seuls étudiant·e·s inscrit·e·s dans les établissements d’enseignement qui financent et diffusent les cours et doivent payer un droit d’accès à la plateforme) et #FUN-Corporate (plate-forme destinée aux entreprises, avec un accès et des certifications payants). En 2015, le ministère de l’Enseignement supérieur présentait le nouveau « #GIP-FUN » et sa stratégie pour « mettre en place un modèle économique viable en développant de nouveaux usages de cours en ligne » avec :
- une utilisation des MOOC en complément de cours sur les campus, voire en substitution d’un #cours_magistral, selon le dispositif de la #classe_inversée ;
- une proposition de ces #cours_en_ligne aux salariés, aux demandeurs d’emploi, aux entreprises dans une perspective de #formation_continue ;
– un déploiement des plateformes en marques blanches [4]
Autrement dit, il s’agit de produire de la sur-valeur à partir des MOOC, notamment en les commercialisant via des #marques_blanches [5] et des #certifications_payantes (auprès des demandeurs d’emploi et des entreprises dans le cadre de la formation continue) et de les diffuser à large échelle dans l’enseignement supérieur comme facteur de diminution des #coûts_du_travail liés à l’#encadrement. Les MOOC, dont on comprend combien ils relèvent moins de l’Open Source que de la marchandise, sont voués aussi à devenir des produits commerciaux d’exportation, notamment dans les réseaux postcoloniaux de la « #francophonie [6] ». En 2015, alors que la plateforme FUN était désormais gérée par un GIP, vers une #marchandisation de ses « produits », était créé un nouveau « portail de l’enseignement numérique », vitrine de la politique du ministère pour « déployer le numérique dans l’enseignement supérieur [7] ». Sur ce site a été publié en mars 2016 un rapport intitulé « MOOC : À la recherche d’un #business model », écrit par Yves Epelboin [8]. Dans ce rapport, l’auteur compare en particulier le #coût d’un cours classique, à un cours hybride (en présence et via le numérique) à un cours uniquement numérique et dresse le graphique suivant de rentabilité :
Le #coût fixe du MOOC, à la différence du coût croissant du cours classique en fonction du nombre d’étudiants, suffit à prouver la « #rentabilité » de l’enseignement numérique. La suite du document montre comment « diversifier » (depuis des partenariats publics-privés) les sources de financement pour rentabiliser au maximum les MOOC et notamment financer leur coût de départ : « la coopération entre les universités, les donateurs, des fonds spéciaux et d’autres sources de revenus est indispensable ». Enfin, en octobre 2019, était publié sur le site du ministère de l’Enseignement supérieur un rapport intitulé « #Modèle_économique de la transformation numérique des formations dans les établissements d’enseignement supérieur [9] », écrit par Éric Pimmel, Maryelle Girardey-Maillard et Émilie‐Pauline Gallie, inspecteurs généraux de l’éducation, du sport et de la recherche. Le rapport commence par le même invariable constat néolibéral d’#austérité : « croissance et diversité des effectifs étudiants, concurrence nationale et internationale, égalité d’accès à l’enseignement supérieur dans les territoires et augmentation des coûts, dans un contexte budgétaire contraint », qui nécessitent donc un développement généralisé de l’enseignement numérique. La préconisation principale des autrices·teurs du rapport tient dans une « réorganisation des moyens » des universités qui :
« consiste notamment à réduire le volume horaire des cours magistraux, à modifier les manières d’enseigner (hybridation, classes inversées...) et à répartir différemment les heures de cours, voire d’autres ressources, comme les locaux par exemple. Les économies potentielles doivent être chiffrées par les établissements qui devront, pour ne pas se voir reprocher de dégrader les conditions d’enseignement, redéployer ces montants dans les équipements ou le développement de contenus pédagogiques. »
Autrement dit encore, pour financer le numérique, il s’agit de « redéployer » les moyens en encadrement humain et en locaux, soit les moyens relatifs aux cours « classiques », en insistant sur la dimension « pédagogique » du « redéploiement » pour « ne pas se voir reprocher de dégrader les conditions d’enseignement ». Le financement du numérique dans l’enseignement universitaire par la marchandisation des MOOC est aussi envisagé, même si cette dernière est jugée pour l’instant insuffisante, avec la nécessité d’accélérer les sources de financement qu’ils peuvent générer : « Le développement de nouvelles ressources propres, tirées notamment de l’activité de formation continue ou liées aux certificats délivrés dans le cadre des MOOCs pourrait constituer une voie de développement de ressources nouvelles. » Un programme « ambitieux » d’appel à « #flexibilisation des licences » a d’ailleurs été lancé en 2019 :
Au‐delà de la mutualisation des ressources, c’est sur la mutualisation des formations qu’est fondé le projet « #Parcours_Flexibles_en_Licence » présenté par la mission de la pédagogie et du numérique pour l’enseignement supérieur (#MIPNES / #DGESIP) au deuxième appel à projets du #fonds_pour_la_transformation_de_l’action_publique (#FTAP) et financé à hauteur de 12,4 M€ sur trois ans. La mission a retenu quatre scénarios qui peuvent se combiner :
- l’#hybridation d’une année de licence ou le passage au #tout_numérique ;
- la transformation numérique partielle de la pédagogie de l’établissement ;
- la #co‐modalité pour répondre aux contraintes ponctuelles des étudiants ;
- les MOOCS comme enjeu de visibilité et de transformation.
Le ministère a pour ambition, depuis 2013 et jusqu’à aujourd’hui, « la transformation numérique partielle de la pédagogie des établissements ». Les universités sont fermées depuis quasiment mars 2020, avec une courte réouverture de septembre à octobre 2020. L’expérience du passage au numérique, non plus partiel, mais total, est en marche dans la start-up nation.
Nous avons déjà un peu de recul sur ce que l’enseignement numérique produit comme dégâts sur les relations d’enseignement, outre la marchandisation des connaissances qui remet en cause profondément ce qui est enseigné.
A Grenoble, la licence « pionnière » de STAPS- Sciences et Techniques des Activités Physiques et Sportives
En 2014 et dans le cadre des politiques financières décrites précédemment, était lancée à Grenoble une licence « unique en son genre » de STAPS- Sciences et Techniques des Activités Physiques et Sportives dont voici le fonctionnement :
Les universités Grenoble-Alpes et Jean-Monnet-Saint-Étienne proposent une licence STAPS, parcours « entraînement sportif », unique en son genre : la scolarité est asynchrone, essentiellement à distance, et personnalisée.
Cette licence s’appuie sur un dispositif de formation hybride : les étudiant·e·s s’approprient les connaissances chez eux, à leur rythme avant de les manipuler lors de cours en présentiel massés.
Le travail personnel à distance s’appuie sur de nouvelles pédagogies dans l’enseignement numérique : les cours #vidéos, les #screencasts, #quizz et informations complémentaires s’articulent autour de #parcours_pédagogiques ; des sessions de #classe_virtuelle sont également organisées à distance [10].
Dès 2017, des enseignant·e·s de STAPS faisaient paraître un texte avec la section grenobloise du syndicat FSU - Fédération Syndicale Unitaire - intitulé « Les STAPS de Grenoble sont-ils un modèle à suivre ? ». Les auteur·trice·s expliquaient que, en 2014, la présidence de l’université avait instrumentalisé un « dilemme impossible : “la pédagogie numérique ou la limitation d’accueil” ». Il s’agit ici d’un exemple significatif de technique néolibérale de capture de l’intérêt liée à la rhétorique de l’#austérité. Ce même non-choix a été appliqué dans l’organisation de la #PACES à Grenoble, première année de préparation aux études de médecine : numérique ou limitation drastique des étudiant·e·s accueilli·e·s. La tierce voie, toujours écartée, est évidemment celle de recruter plus d’enseignant·e·s, de personnels administratifs, de réduire les groupes d’amphithéâtres, de construire des locaux qui permettent à des relations d’enseignement d’exister. En 2017, les enseignant·e·s de STAPS constataient, effectivement, que « l’enseignement numérique permet(tait) d’accueillir beaucoup de monde avec des moyens constants en locaux et personnels enseignants titulaires (postes) ; et même avec une diminution des #coûts_d’encadrement ». Elles et ils soulignaient dans le même temps que le niveau d’#épuisement et d’#isolement des enseignant·e·s et des étudiant·e·s était inédit, assorti d’inquiétudes qui résonnent fortement avec la situation que nous traversons aujourd’hui collectivement :
—Nous craignons que le système des cours numérisés s’accompagne d’une plus grande difficulté à faire évoluer les contenus d’enseignements compte tenu du temps pour les réaliser.
— Nous redoutons que progressivement les cours de L1 soient conçus par un seul groupe d’enseignants au niveau national et diffusé dans tous les UFR de France, l’enseignant local perdant ainsi la main sur les contenus et ceux-ci risquant de se rigidifier.
— Un certain nombre de travaux insistent sur le temps considérable des jeunes générations accrochées à leur smartphone, de 4 à 6 heures par jour et signalent le danger de cette pratique pour la #santé physique et psychique. Si s’ajoutent à ces 4 à 6 heures de passe-temps les 3 ou 4 heures par jour de travail des cours numériques sur écran, n’y a-t-il pas à s’inquiéter ?
— Si les étudiants de L1 ne sont plus qu’une douzaine d’heures par semaine à l’université pour leurs cours, qu’en est-il du rôle de #socialisation de l’université ?
(…)
Il est tout de même très fâcheux de faire croire qu’à Grenoble en STAPS en L1, avec moins de moyens humains nous faisons aussi bien, voire mieux, et que nous ayons trouvé la solution au problème du nombre. Il serait plus scrupuleux d’exposer que :
— nous sommes en difficulté pour défendre la qualité de nos apprentissages, que sans doute il y a une perte quant aux compétences formées en L1 et que nous devrons compenser en L2, L3, celles-ci. Ce qui semble très difficile, voire impossible ;
— le taux de réussite légèrement croissant en L1 se fait sans doute à ce prix et qu’il est toujours faible ;
— nous nous interrogeons sur la faible participation de nos étudiants au cours de soutien (7 % ) ;
— nous observons que les cours numériques n’ont pas fait croître sensiblement la motivation des étudiants [11].
Ces inquiétudes, exprimées en 2017, sont désormais transposables à large échelle. Les conditions actuelles, en période de #confinement et de passage au tout numérique sur fond de #crise_sanitaire, ne sont en effet ni « exceptionnelles », ni « dérogatoires ». Ladite « #exceptionnalité de crise » est bien plus l’exacerbation de ce qui existe déjà. Dans ce contexte, il semble tout à fait légitime de s’interroger sur le très probable maintien de l’imposition des fonctionnements généralisés par temps de pandémie, aux temps « d’après », en particulier dans le contexte d’une politique très claire de transformation massive de l’#enseignement_universitaire en enseignement numérique. Ici encore, l’analyse des collègues de STAPS publiée en 2017 sur les modalités d’imposition normative et obligatoire de mesures présentées initialement comme relevant du « volontariat » est éloquente :
Alors qu’initialement le passage au numérique devait se faire sur la base du #volontariat, celui-ci est devenu obligatoire. Il reste à l’enseignant ne souhaitant pas adopter le numérique la possibilité d’arrêter l’enseignement qui était le sien auparavant, de démissionner en quelque sorte. C’est sans doute la première fois, pour bon nombre d’entre nous, qu’il nous est imposé la manière d’enseigner [12].
Depuis 2020, l’utopie réalisée. Passage total à l’enseignement numérique dans les Universités
Depuis mars et surtout octobre 2020, comme toutes les travailleur·se·s et étudiant·e·s des universités en France, mes pratiques d’enseignement sont uniquement numériques. J’avais jusqu’alors résisté à leurs usages, depuis l’analyse des conditions contemporaines du capitalisme de plateforme lié aux connaissances : principalement (1) refuser l’enclosure et la #privatisation des connaissances par des plateformes privées ou publiques-privées, au service des politiques d’austérité néolibérale destructrices des usages liés à l’enseignement en présence, (2) refuser de participer aux techniques de surveillance autorisées par ces outils numériques. Je précise ici que ne pas vouloir déposer mes cours sur ces plateformes ne signifiait pas me replier sur mon droit de propriété intellectuelle en tant qu’enseignante-propriétaire exclusive des cours. Au contraire, un cours est toujours co-élaboré depuis les échanges singuliers entre enseignant·e·s et étudiant·e·s ; il n’est pas donc ma propriété exclusive, mais ressemble bien plus à un commun élaboré depuis les relations avec les étudiant·e·s, et pourrait devoir s’ouvrir à des usages et des usager·ère·s hors de l’université, sans aucune limite d’accès. Sans défendre donc une propriété exclusive, il s’agit dans le même temps de refuser que les cours deviennent des marchandises via des opérateurs privés ou publics-privés, déterminés par le marché mondial du capitalisme cognitif et cybernétique, et facilité par l’État néolibéral, comme nous l’avons vu avec l’exposé de la politique numérique du ministère de l’Enseignement supérieur.
Par ailleurs, les plateformes d’enseignement numérique, en particulier de dépôt et diffusion de documents, enregistrent les dates, heures et nombres de clics ou non-clics de toutes celles et ceux qui les utilisent. Pendant le printemps 2020, sous les lois du premier confinement, les débats ont été nombreux dans mon université pour savoir si l’ « #assiduité », comme facteur d’ « #évaluation » des étudiant·e·s, pouvait être déterminée par les statistiques individuelles et collectives générées par les plateformes : valoriser celles et ceux qui seraient les plus connectées, et pénaliser les autres, autrement dit « les déconnecté·e·s », les dilettantes. Les éléments relatifs à la #fracture_numérique, l’inégal accès matériel des étudiant·e·s à un ordinateur et à un réseau internet, ont permis de faire taire pendant un temps celles et ceux qui défendaient ces techniques de #surveillance (en oubliant au passage qu’elles et eux-mêmes, en tant qu’enseignant·e·s, étaient aussi possiblement surveillé·e·s par les hiérarchies depuis leurs fréquences de clics, tandis qu’elles et ils pouvaient s’entre-surveiller depuis les mêmes techniques).
Or depuis la fermeture des universités, ne pas enseigner numériquement signifie ne pas enseigner du tout. Refuser les plateformes est devenu synonyme de refuser de faire cours. L’épidémie a créé les conditions d’un apparent #consentement collectif, d’une #sidération aussi dont il est difficile de sortir. Tous les outils que je refusais d’utiliser sont devenus mon quotidien. Progressivement, ils sont même devenus des outils dont je me suis rendue compte dépendre affectivement, depuis un rapport destructeur de liens. Je me suis même mise à regarder les statistiques de fréquentation des sites de mes cours, les nombres de clics, pour me rassurer d’une présence, là où la distance commençait à creuser un vide. J’ai eu tendance à surcharger mes sites de cours de « ressources », pour tenter de me rassurer sur la possibilité de resserrer des liens, par ailleurs de plus en plus ténus, avec les étudiant·e·s, elles-mêmes et eux-mêmes confronté·e·s à un isolement et une #précarisation grandissantes. Là où la fonction transitionnelle d’objets intermédiaires, de « médias », permet de symboliser, élaborer l’absence, j’ai fait l’expérience du vide creusé par le numérique. Tout en étant convaincue que l’enseignement n’est jamais une affaire de « véhicule de communication », de « pédagogie », de « contenus » à « communiquer », mais bien une pratique relationnelle, réciproque, chargée d’affect, de transfert, de contre-transfert, que « les choses ne commencent à vivre qu’au milieu [13] », je n’avais jamais éprouvé combien la « communication de contenus » sans corps, sans adresse, créait de souffrance individuelle, collective et d’auto-exploitation. Nombreuses sont les analyses sur la difficulté de « #concentration », de captation d’une #attention réduite, derrière l’#écran. Avec Yves Citton et ses travaux sur l’#écologie_de_l’attention, il m’apparaît que la difficulté est moins celle d’un défaut de concentration et d’attention, que l’absence d’un milieu relationnel commun incarné :
Une autre réduction revient à dire que c’est bien de se concentrer et que c’est mal d’être distrait. Il s’agit d’une évidence qui est trompeuse car la concentration n’est pas un bien en soi. Le vrai problème se situe dans le fait qu’il existe toujours plusieurs niveaux attentionnels. (…) La distraction en soi n’existe pas. Un élève que l’on dit distrait est en fait attentif à autre chose qu’à ce à quoi l’autorité veut qu’il soit attentif [14].
La souffrance ressentie en tant que désormais « enseignante numérique » n’est pas relative à ce que serait un manque d’attention des étudiant·e·s généré par les écrans, mais bien à l’absence de #relation incarnée.
Beaucoup d’enseignant·e·s disent leur malaise de parler à des « cases noires » silencieuses, où figurent les noms des étudiant·e·s connecté·e·s au cours. Ici encore, il ne s’agit pas de blâmer des étudiant·e·s qui ne « joueraient pas le jeu », et n’ouvriraient pas leurs caméras pour mieux dissimuler leur distraction. Outre les questions matérielles et techniques d’accès à un matériel doté d’une caméra et d’un réseau internet suffisamment puissant pour pouvoir suivre un cours et être filmé·e en même temps, comment reprocher à des étudiant·e·s de ne pas allumer la caméra, qui leur fait éprouver une #intrusion dans l’#espace_intime de leur habitation. Dans l’amphithéâtre, dans la salle de classe, on peut rêver, regarder les autres, regarder par la fenêtre, regarder par-dessus le tableau, à côté, revenir à sa feuille ou son écran…pas de gros plan sur le visage, pas d’intrusion dans l’espace de sa chambre ou de son salon. Dans une salle de classe, la mise en lien est celle d’une #co-présence dans un milieu commun indéterminé, sans que celui-ci n’expose à une intrusion de l’espace intime. Sans compter que des pratiques d’enregistrement sont possibles : où voyagent les images, et donc les images des visages ?
Pour l’enseignant·e : parler à des cases noires, pour l’étudiant·e : entendre une voix, un visage en gros plan qui ne le·la regarde pas directement, qui invente une forme d’adresse désincarnée ; pour tou·te·s, faire l’expérience de l’#annihilation des #corps. Même en prenant des notes sur un ordinateur dans un amphithéâtre, avec un accès à internet et maintes possibilités de « s’évader » du cours, le corps pris dans le commun d’une salle engage des #liens. Quand la relation ne peut pas prendre corps, elle flotte dans le vide. Selon les termes de Gisèle Bastrenta, psychanalyste, l’écran, ici dans la relation d’enseignement, crée l’« aplatissement d’un ailleurs sans au-delà [15] ».
Le #vide de cet aplatissement est synonyme d’#angoisse et de symptômes, notamment, celui d’une #auto-exploitation accrue. Le récit de plusieurs étudiant.e.s fait écho à l’expérience d’auto-exploitation et angoisse que je vis, depuis l’autre côté de l’écran. Mes conditions matérielles sont par ailleurs très souvent nettement meilleures aux leurs, jouissant notamment de mon salaire. La précarisation sociale et économique des étudiant·e·s creuse encore le vide des cases noires. Plusieurs d’entre elles et eux, celles et ceux qui peuvent encore se connecter, expliquent qu’ils n’ont jamais autant passé d’heures à écrire pour leurs essais, leurs dissertations…, depuis leur espace intime, en face-à-face avec les plateformes numériques qui débordent de fichiers de cours, de documents… D’abord, ce temps très long de travail a souvent été entrecoupé de crises de #panique. Ensuite, ce temps a été particulièrement angoissant parce que, comme l’explique une étudiante, « tout étant soi-disant sur les plateformes et tout étant accessible, tous les cours, tous les “contenus”, on s’est dit qu’on n’avait pas le droit à l’erreur, qu’il fallait qu’on puisse tout dire, tout écrire, tout ressortir ». Plutôt qu’un « contenu » élaborable, digérable, limité, la plateforme est surtout un contenant sans fond qui empêche d’élaborer une #réflexion. Plusieurs étudiant·e·s, dans des échanges que nous avons eus hors numérique, lors de la manifestation du 26 janvier 2021 à l’appel de syndicats d’enseignant·e·s du secondaire, ont également exprimé cet apparent #paradoxe : -le besoin de plus de « #contenu », notamment entièrement rédigé à télécharger sur les plateformes pour « mieux suivre » le cours, -puis, quand ce « contenu » était disponible, l’impression de complètement s’y noyer et de ne pas savoir quoi en faire, sur fond de #culpabilisation d’« avoir accès à tout et donc de n’avoir pas le droit à l’erreur », sans pour autant parvenir à élaborer une réflexion qui puisse étancher cette soif sans fin.
Face à l’absence, la privatisation et l’interdiction de milieu commun, face à l’expression de la souffrance des étudiant·e·s en demande de présence, traduite par une demande sans fin de « contenu » jamais satisfaite, car annulée par un cadre désincarné, je me suis de plus en plus auto-exploitée en me rendant sur les plateformes d’abord tout le jour, puis à des heures où je n’aurais pas dû travailler. Rappelons que les plateformes sont constamment accessibles, 24h/24, 7j/7. Poster toujours plus de « contenu » sur les plateformes, multiplier les heures de cours via les écrans, devoir remplir d’eau un tonneau troué, supplice des Danaïdes. Jusqu’à l’#épuisement et la nécessité - politique, médicale aussi - d’arrêter. Alors que je n’utilisais pas les plateformes d’enseignement numérique, déjà très développées avant 2020, et tout en ayant connaissance de la politique très offensive du Ministère en matière de déshumanisation de l’enseignement, je suis devenue, en quelque mois, happée et écrasée par la fréquentation compulsive des plateformes. J’ai interiorisé très rapidement les conditions d’une auto-exploitation, ne sachant comment répondre, autrement que par une surenchère destructrice, à la souffrance généralisée, jusqu’à la décision d’un arrêt nécessaire.
L’enjeu ici n’est pas seulement d’essayer de traverser au moins pire la « crise » mais de lutter contre une politique structurelle de #destruction radicale de l’enseignement.
Créer les milieux communs de relations réciproques et indéterminées d’enseignement, depuis des corps présents, et donc des présences et des absences qui peuvent s’élaborer depuis la #parole, veut dire aujourd’hui en grande partie braconner : organiser des cours sur les pelouses des campus…L’hiver est encore là, le printemps est toujours déjà en germe.
▻https://lundi.am/L-enseignement-numerique-ou-le-supplice-des-Danaides
#numérique #distanciel #Grenoble #université #facs #France #enseignement_à_distance #enseignement_distanciel
]]>Manuel d’#autodéfense universitaire
Pour le télécharger en pdf :
▻https://sans-nuage.fr/file/s/8WWFDDG7No32ACi#pdfviewer
#manuel #auto-défense #guide #refus #dire_non #volontariat #volontariat_contraint #vacations #précarité #conditions_de_travail #souffrance #pouvoir #féminisme #harcèlement_sexuel #violence #violences #violences_sexistes #carrière #université #espace #thèse #doctorat #aide #soutien #limite #diplôme #monde_universitaire #ESR #fin
ping @_kg_
La député LREM #Frédérique_Meunier a déposé une proposition de #loi le 19 MAI 2020...
"PROPOSITION DE LOI VISANT À INSTAURER L’ENSEIGNEMENT NUMÉRIQUE DISTANCIEL DANS LES LYCÉES, COLLÈGES ET ÉCOLES ÉLÉMENTAIRES".
Cette proposition de loi a un seul article qui introduit le mot
« obligatoirement » au deuxième alinéa de l’article L 131-2 du code de
l’éducation."
Et regardez ce deuxième alinéa de l’article L 131-2 :
Article L131-2 (Modifié par Loi n°2005-380 du 23 avril 2005 - art. 11
JORF 24 avril 2005) - voir : ▻https://www.ac-amiens.fr/dsden02/sites/dsden02/IMG/pdf/code_de_l_education_1_.pdf
– L’instruction obligatoire peut être donnée soit dans les
établissements ou écoles publics ou privés, soit dans les familles par
les parents, ou l’un d’entre eux, ou toute personne de leur choix.
– Un service public de l’enseignement à
distance est « OBLIGATOIREMENT » organisé notamment pour assurer
l’instruction des enfants qui ne peuvent être scolarisés dans une
école ou dans un établissement scolaire.
Ce qui était concevable uniquement en volontariat deviendra probablement obligatoire pour les enseignants...
Or, avant cette loi :
le décret portant sur le télétravail dans la fonction publique a été modifié le 5 mai 2020. Comme le souligne l’analyse d’Académia, il faudrait une loi pour changer la nécessité du #volontariat pour mettre les #personnels de la #fonction_publique en #télétravail. Cela n’a donc pas été modifié dans le décret du 5 mai 2020 amendant celui du 11 février 2016. Mais ledit décret prévoit désormais que lorsque le travailleur demande à télétravailler, « l’administration peut autoriser l’utilisation de l’équipement informatique personnel de l’agent ». Et soudain, tout s’éclaire. Nous rendre la vie impossible sur note lieu de travail à l’aide de mesures sanitaires si drastique qu’elles sont intenables en présentiel, c’est nous pousser à demander à télétravailler et à faire du distanciel, sans que les universités n’aient à débourser le moindre rond pour les coûts (matériel, communication, etc.) découlant de l’exercice de nos fonctions…
#le_monde_d'après #ESR #école #enseignement #enseignement_à_distance #distanciel #France #obligatoire #travail
Copié-collé de messages reçus via la mailing-list Facs et Labos en lutte.
]]>Télétravail, #travail_à_distance dans l’#ESR : l’entourloupe
Depuis le #confinement, en pratique, les agents de l’#enseignement_supérieur et de la recherche font du télétravail, mais les administrations préfèrent dire que l’on fait du travail à distance, pour une bête raison juridique. Le télétravail dans la #fonction_publique est normalement une pratique encadrée – par le décret du 11 février 2016 (▻https://www.legifrance.gouv.fr/affichTexte.do?cidTexte=JORFTEXT000032036983), dont l’une des premières conditions réglementaires est le #volontariat. Il n’existe pas de télétravail imposé dans la fonction publique.
Le télétravail qui s’est accompli de facto1 ces dernières semaines n’avait, de ce point de vue, pas de #base_juridique formellement identifiable. Nous en avions déjà parlé au moment de la discussion de la continuité académique sur Academia. Pour la fonction publique, il n’existe pas l’équivalent de l’article L. 1222-11 du #code_du_travail (▻https://www.legifrance.gouv.fr/affichCodeArticle.do?idArticle=LEGIARTI000035643952&cidTexte=LEGITEX) :
« En cas de circonstances exceptionnelles, notamment de menace d’épidémie, ou en cas de force majeure, la mise en œuvre du télétravail peut être considérée comme un aménagement du poste de travail rendu nécessaire pour permettre la #continuité de l’activité de l’entreprise et garantir la protection des salariés ».
Ce qui ne signifie pas, pour autant, que cette mise au télétravail sans base légale ou réglementaire était illégale : il ne fait aucun doute qu’en cas de contentieux, le juge administratif soutiendra qu’en période d’épidémie, la mise en œuvre du télétravail doit être considérée comme un aménagement du poste de travail rendu nécessaire pour permettre la continuité du service public et garantir la protection des agents.
Mais cette absence de base légale ou réglementaire ne peut pas durer éternellement. Et c’est pourquoi le #décret du 11 février 2016 a été modifié il y a une semaine (décret du 5 mai 2020 : ►https://www.legifrance.gouv.fr/affichTexte.do?cidTexte=JORFTEXT000041849917&categorieLien=id), pour prévoir en particulier qu’il est possible, désormais, de déroger à la règle selon laquelle « La #quotité des fonctions pouvant être exercées sous la forme du télétravail ne peut être supérieure à trois jours par semaine » et selon laquelle « Le temps de #présence sur le lieu d’affectation ne peut être inférieur à deux jours par semaine ». Désormais, cette règle ne s’applique pas « Lorsqu’une #autorisation_temporaire de télétravail a été demandée et accordée en raison d’une #situation_exceptionnelle perturbant l’accès au service ou le #travail_sur_site », modification introduite dans le décret du 5 mai 2020 (►https://www.legifrance.gouv.fr/affichTexte.do?cidTexte=JORFTEXT000041849917&categorieLien=id) pour tirer les conséquences de l’#épidémie. Mais on n’a pas modifié un point, et c’est important : le télétravail doit dans tous les cas être demandé par l’agent. La nécessité du volontariat est maintenue : il faudrait une loi, et non un simple décret, pour revenir sur cette disposition.
En toute logique (sic), les administrations – les administrations universitaires, entre autres – devraient donc être en train d’engager les procédures pour régulariser le télétravail en cours, pour revenir dans les clous du droit tel qu’il a été modifié par le décret du 5 mai. On peut douter que beaucoup d’administrations soient en train de le faire de manière active, mais on peut toujours se tromper. Elles savent, en particulier, que si l’on revient dans le droit « normal » du télétravail dans la fonction publique, il va falloir respecter l’ensemble des règles du télétravail. Ce qui signifie en particulier respecter l’article 6 du décret de 2016 :
« Les agents exerçant leurs fonctions en télétravail bénéficient des mêmes droits et obligations que les agents exerçant sur leur lieu d’affectation. L’employeur prend en charge les coûts découlant directement de l’exercice des fonctions en télétravail, notamment le coût des matériels, logiciels, abonnements, communications et outils ainsi que de la maintenance de ceux-ci ».
En fait, c’est plus subtil que cela. Les lectrices et lecteurs d’Academia vont admirer le choix fourbe qui a été fait : le décret du 5 mai 2020 n’a pas exactement mis entre parenthèses cette obligation de prendre en charge les #coûts_de_l’exercice des fonctions en télétravail. Il a précisé avec une certaine roublardise que lorsque l’agent demande l’autorisation temporaire de télétravail mentionnée au 2° de l’article 4 — c’est-à-dire l’autorisation de télétravail « demandée et accordée en raison d’une situation exceptionnelle perturbant l’accès au service ou le travail sur site » — alors « l’administration peut autoriser l’utilisation de l’équipement informatique personnel de l’agent ».
Conclusion : si l’on en croit le décret, ce n’est pas l’administration qui impose le télétravail aux agents – il aurait fallu une loi pour ouvrir cette possibilité, qui n’a pas été prise sur ce point – mais les agents qui le demandent ; et ce n’est pas l’administration qui prend en charge les moyens, notamment informatiques, dont ont besoin les agents pour faire du télétravail, ce sont les agents qui demandent à être autorisés à utiliser leurs équipements informatiques personnels.
C’est amusant comme on peut tordre le réel avec le droit, non ?
▻https://academia.hypotheses.org/23799
#travail #mots #vocabulaire #terminologie #droits #université #facs #France #équipement
Germany to take in 50 refugee children from Greek islands
Germany will take in fifty unaccompanied minors from the Greek islands next week. Critics say this is too little, too late, given that tens of thousands of migrants and refugees remain in the overcrowded camps.
The German interior ministry announced on Tuesday that the federal cabinet was set to approve the transfer of 50 unaccompanied minors to Germany on Wednesday.
The children and teenagers will be brought to Germany “in the following week if possible,” the ministry said. After their arrival, they will be quarantined for two weeks and then send to different states across the country.
In an interview with German TV stations RTL and n-tv on Wednesday, German Foreign Minister Heiko Maas said that Germany would take in a total of 350 to 500 minors over the next few weeks. He also said that Germany and Luxembourg were currently the only countries within the European Union (EU) willing to take in refugees and migrants from Greece.
According to Maas, Germany and Luxembourg will try to carry out a charter flight together next week.
Plans to relocate refugees stalled by coronavirus
In early March, the three governing parties in Germany had agreed on taking in between 1,000 and 1,500 foreign minors that were particularly vulnerable (i.e. either seriously ill or under the age of 14 and without their families) from Greece.
Also in early March, several EU states had announced that they would take in a total of 1,600 vulnerable refugees from the Greek island camps. Eight other EU countries had agreed to take in underage refugees and migrants from the Greek islands, according to a recent statement by the German interior ministry. These countries were France, Portugal, Ireland, Finland, Croatia, Lithuania, Belgium and Bulgaria. But due to the ongoing coronavirus pandemic, these countries’ relocation plans seem to have been largely suspended.
Critics: government not doing enough
Several opposition politicians and activists in Germany criticized the German government’s handling of the situation in Greece, saying that taking in just 50 minors was far too little.
Claudia Roth, a prominent member of the Green Party, said the interior ministry’s plans were “long overdue” and only amounted to a drop in the ocean.
Günter Burkhardt, the head of the Pro Asyl NGO, said that the camps in Greece should be completely evacuated to prevent an outbreak of COVID-19 - the respiratory disease caused by the novel coronavirus.
Erik Marquardt, a migrants’ rights activist, Green Party politician and member of the European Parliament, tweeted: “Germany wants to evacuate 50 children. On Lesbos alone this will mean that the government coalition will sacrifice 19,950 people … They are bringing 80,000 workers to Germany to harvest asparagus but fail to (help) a few thousand people in mortal danger. What a sad embarrassment.”
▻https://twitter.com/ErikMarquardt/status/1247572330575994880?ref_src=twsrc%5Etfw%7Ctwcamp%5Etweetembed%7Ctwterm%5E12
Marquardt in his statement referred to the fact that an estimated 20,000 people live in the Moria camp on the Greek island of Lesbos. Germany recently announced it would bring in 80,000 foreign farmworkers for the harvest, in spite of various border closures across the EU.
Camps extremely overcrowded
Experts and migrant rights activists have long been worried about the situation on several Greek islands, where tens of thousands of migrants are sill living in overcrowded camps. The situation is particularly dire on Lesbos. The Moria camp there was built for no more than 3,000 people – yet around 20,000 migrants and refugees currently live in and around the camp.
The Greek government has put the migrants camps on partial lockdown to prevent a potential coronavirus outbreak, but many believe that these measures are insufficient to protect the residents.
In Greece, there have been 1,832 confirmed coronavirus cases and 269 deaths, according to John Hopkins University (as of midday on Wednesday, CEST). There have been no confirmed cases of COVID-19 in camps on the Greek islands thus far. But there has been at least one case on Lesbos among the island’s native population, and there have also been outbreaks at two camps on the Greek mainland.
►https://www.infomigrants.net/en/post/23949/germany-to-take-in-50-refugee-children-from-greek-islands
#Allemagne #asile #réfugiés #Grèce #relocalisation #transfert #îles #mineurs #enfants #coronavirus #covid-19
]]>Quali sono i numeri del volontariato in Europa?
I dati dell’indagine di #Eurostat sulla partecipazione sociale e sull’integrazione dei cittadini europei.
Lo studio di Eurostat si è concentrato innanzitutto sulla percentuale di popolazione coinvolta in attività di volontariato formale - cioè svolto presso organizzazioni di ispirazione sociale, religiosa, politica, ecc. - e informale. Come mostra la figura 1, la media europea per il volontariato informale si attesta al 22,2% e per quello formale al 19,3%. Quasi dappertutto - anche se con significative eccezioni - il volontariato organizzato tende ad essere meno diffuso; le differenze variano significativamente da Paese a Paese rispecchiando concezioni culturali e sociali differenti del volontariato.
#Pôle_Emploi se transforme pour mieux accueillir les usagers
▻https://www.ladepeche.fr/article/2018/12/31/2932887-pole-emploi-se-transforme-pour-mieux-accueillir-les-usagers.html
« Deux personnes effectuant un service civique sont également affectées à l’accueil des usagers, souligne Florence. Elles sont là pour orienter et conseiller. »
#service_civique, qui devient la norme dans le service public (également vu en préfecture, par exemple), après les associations...
Ce n’est pas un emploi mais du #volontariat :
6.2.6. Est-ce que le Service Civique ouvre droit au chômage ?
Non, le Service Civique n’étant pas un emploi salarié, il n’ouvre pas droit au chômage.
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7.1. Service Civique et emploi
7.1.1. Est-ce que le Service Civique est un emploi ?
Non, une mission de Service Civique n’est pas assimilable à un emploi salarié. Le Service Civique ne relève pas du code du travail, il obéit à des dispositions propres définies dans le code du service national. En particulier, vous n’êtes pas dans une relation de subordination avec votre organisme d’accueil mais dans une relation de collaboration. Par ailleurs, votre action en tant que volontaire ne doit pas se substituer à l’action des professionnels mais la compléter.
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3.1.1. Quel est le montant de l’indemnité de Service Civique ?
Le Service Civique ouvre droit à une indemnité financée par l’Etat de 472,97 euros net par mois quelle que soit la durée hebdomadaire du contrat.
En plus de ces 472,97 euros, vous pouvez percevoir une bourse de 107,66 euros si :
vous êtes bénéficiaire du revenu de solidarité active (RSA) au moment de la signature du contrat de Service Civique ou si vous appartenez à un foyer bénéficiaire du RSA ;
vous êtes titulaire d’une bourse de l’enseignement supérieur du 5ème, 6ème ou 7ème échelon au titre de l’année universitaire en cours. Ce critère ne vous concerne donc que si vous poursuivez vos études en même temps que votre mission.
Enfin, les organismes d’accueil doivent vous verser une prestation nécessaire à la subsistance, l’équipement, l’hébergement ou au transport. Elle peut être servie en nature, au travers notamment de l’allocation de titre-repas, ou en espèces. Le montant minimal mensuel de cette prestation est fixé à 107,58 euros.
La foire aux questions des volontaires
▻https://www.service-civique.gouv.fr/faq-volontaire
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Rajout
Je sais que ce n’est pas nouveau mais ça m’hallucine à chaque fois, déjà que y’ait pas eu plus de réaction que ça dans les assos.
En suivant #service_civique :
Un article de Mediapart (février 2018)
« #Pôle_Emploi fait toujours plus de place au #service_civique »
▻https://seenthis.net/messages/668765
Je rajoute le début visible de l’article :
Fin janvier, Julie a reçu un drôle de message de sa conseillère Pôle emploi. Cette Toulousaine de 25 ans, diplômée d’un master, cherche un travail. Pourtant, ce jour-là, ce n’est pas un contrat de travail que Pôle emploi lui propose, mais une « mission ». Un service civique, plus exactement, au sein même de son agence locale, qui cherche trois personnes « pour une #mission (service civique) d’accompagnateur dans l’utilisation des nouveaux outils numériques de Pôle emploi » , à partir du 1er mars. « Si la mission vous intéresse et que vous pensez avoir le profil, merci de m’envoyer votre C.V. par mail » , propose la conseillère. « Je reçois souvent des offres complètement à côté de la plaque, par exemple pour devenir chauffeur de poids lourd, mais cette proposition m’a fait bondir, raconte la jeune femme. En proposant à ses demandeurs d’emploi de postuler, Pôle emploi reconnaît qu’elle considère le service civique comme un emploi pas cher ! En plus, j’ai déjà effectué un service civique, dans la communication au service culturel d’une mairie. »
Un article de La Rotative (mars 2016)
« A Pôle Emploi, des services civiques sous-payés et non-formés pour accueillir les chômeurs »
▻https://seenthis.net/messages/474741
Et dès 2015, @colporteur relayait les infos.
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Ce début d’année, annonce de la préfecture de Creuse :
« Appui et soutien d’actions polyvalentes de prévention et sensibilisation du public »
▻https://www.service-civique.gouv.fr/missions/appui-et-soutien-dactions-polyvalentes-de-prevention-et-sensibi
Quoi ?
Le volontaire du service civique assiste les services de l’Etat dans les missions de la direction des services du cabinet et plus particulièrement au service départemental de la communication interministérielle. Dans ce cadre, il sera amené à :
- participer aux opérations de valorisation de l’action de l’Etat (plan départemental d’actions de sécurité routière, journée européenne du patrimoine, rencontres de la sécurité intérieure, campagnes des actions gouvernementales...),
- apporter un soutien aux actions de sensibilisation du public en lien avec le milieu associatif,
- rencontrer les partenaires (sécurité routière, sécurité civile et sécurité intérieure) afin de mettre en oeuvre des actions communes, grâce à la création notamment d’outils de mise en partage et de diffusion,
- participer à la communication à destination des élus en matière de prévention et d’information.
Le volontaire du service civique vient compléter le dispositif existant et apporte un point de vue et une expérience extérieure à l’institution. Le volontaire investira les champs partiellement ou non couverts par les services de l’Etat.
Cette mission exige des qualités d’écoute, un sens développé du contact et du service public, de la discrétion, une bonne présentation ainsi qu’une facilité pour communiquer ou s’exprimer en public. De même, seraient appréciées des connaissances de l’outil informatique (libre-office) et de rédactions.
Quand ?
À partir du 25 février 2019 (10 mois, 28 h/semaine)
China blacklists millions of people from booking flights as ’social credit’ system introduced
Officials say aim is to make it ‘difficult to move’ for those deemed ‘untrustworthy’.
Millions of Chinese nationals have been blocked from booking flights or trains as Beijing seeks to implement its controversial “#social_credit” system, which allows the government to closely monitor and judge each of its 1.3 billion citizens based on their behaviour and activity.
The system, to be rolled out by 2020, aims to make it “difficult to move” for those deemed “untrustworthy”, according to a detailed plan published by the government this week.
It will be used to reward or punish people and organisations for “trustworthiness” across a range of measures.
A key part of the plan not only involves blacklisting people with low social credibility scores, but also “publicly disclosing the records of enterprises and individuals’ untrustworthiness on a regular basis”.
The plan stated: “We will improve the credit blacklist system, publicly disclose the records of enterprises and individuals’ untrustworthiness on a regular basis, and form a pattern of distrust and punishment.”
For those deemed untrustworthy, “everywhere is limited, and it is difficult to move, so that those who violate the law and lose the trust will pay a heavy price”.
The credit system is already being rolled out in some areas and in recent months the Chinese state has blocked millions of people from booking flights and high-speed trains.
According to the state-run news outlet Global Times, as of May this year, the government had blocked 11.14 million people from flights and 4.25 million from taking high-speed train trips.
The state has also begun to clamp down on luxury options: 3 million people are barred from getting business class train tickets, according to Channel News Asia.
The aim, according to Hou Yunchun, former deputy director of the development research centre of the State Council, is to make “discredited people become bankrupt”, he said earlier this year.
The eastern state of Hangzou, southwest of Shanghai, is one area where a social credit system is already in place.
People are awarded credit points for activities such as undertaking volunteer work and giving blood donations while those who violate traffic laws and charge “under-the-table” fees are punished.
Other infractions reportedly include smoking in non-smoking zones, buying too many video games and posting fake news online.
Punishments are not clearly detailed in the government plan, but beyond making travel difficult, are also believed to include slowing internet speeds, reducing access to good schools for individuals or their children, banning people from certain jobs, preventing booking at certain hotels and losing the right to own pets.
When plans for the social credit scheme were first announced in 2014, the government said the aim was to “broadly shape a thick atmosphere in the entire society that keeping trust is glorious and breaking trust is disgraceful”.
As well as the introduction in Beijing, the government plans a rapid national rollout. “We will implement a unified system of credit rating codes nationwide,” the country’s latest five-year plan stated.
The move comes as Beijing also faces international scrutiny over its treatment of a Muslim minority group, who have been told to turn themselves in to authorities if they observe practices such as abstention from alcohol.
#Hami city government in the far-western #Xinjiang region said people “poisoned by extremism, terrorism and separatism” would be treated leniently if they surrendered within the next 30 days.
As many as a million Muslim Uighurs are believed to have been rounded up and placed in “re-education” centres, in what China claims is a clampdown on religious extremism.
►https://www.independent.co.uk/news/world/asia/china-social-credit-system-flight-booking-blacklisted-beijing-points-
#Chine #surveillance #contrôle #liberté_de_mouvement #liberté_de_circulation #mobilité #crédit_social #comportement #liste_noire #volontariat #points #don_de_sang #alcool #extrémisme #terrorisme #séparatisme #Ouïghours
via @isskein
Un rapport demande un « choc de recrutement » pour les pompiers volontaires
▻https://www.caissedesdepotsdesterritoires.fr/cs/ContentServer/?pagename=Territoires/Articles/Articles&cid=1250281121800&nl=1
La mission sur le #volontariat des #sapeurs-pompiers a remis son rapport au ministre de l’Intérieur, le 23 mai, après cinq mois de travaux. Au menu : 43 mesures pour enfin repasser la barre des 200.000 volontaires, avec des formations et des #recrutements mieux adaptés à l’évolution des missions aujourd’hui beaucoup plus tournées vers le #secours_aux_personnes que les #incendies. Et des mesures pour rendre le volontariat plus attractif.
Le rapport : ▻https://www.pompiers.fr/sites/default/files/content/download-file/rapport_mission_volontariat_vf.pdf
]]>Le tourisme des #orphelinats
Les jeunes Suisses sont de plus en plus nombreux à vouloir faire des séjours de bénévolat à l’étranger, particulièrement avec les orphelins. Pour alimenter ce qui est devenu un business, des enfants sont enlevés à leur famille pour être placé dans de faux orphelinats où les touristes défilent, reportage exclusif au #Cambodge.
▻http://www.rts.ch/play/tv/mise-au-point/video/le-tourisme-des-orphelinats?id=8347515
#tourisme #volontariat #volontourisme #tourisme_humanitaire #orphelinat #business #orphelins #vidéo #reportage
]]>Comparative analysis: Voluntary and citizens’ initiatives before and after 2015
In 2015, thousands of ordinary people in all EU Member States have spontaneously welcomed newcomers and provided emergency front-line humanitarian assistance, through food, clothing and emergency shelters. As newcomers get into asylum procedures and integration programmes, many volunteers are trying to support their long-term integration and open up the public to diversity.
▻https://ec.europa.eu/migrant-integration/index.cfm?action=furl.go&go=/images?uuid=756A7912-97D8-6B4F-58DA431724FFBC17&w=514&h=637
▻https://ec.europa.eu/migrant-integration/intdossier/comparative-analysis-voluntary-and-citizens-initiatives-before-and-after-2
#solidarité #volontariat #bénévolat #asile #migrations #réfugiés #Europe
Un décret organise la participation des personnes #SDF au fonctionnement des structures d’#hébergement - Localtis.info - Caisse des Dépôts
▻http://www.localtis.info/cs/ContentServer?pagename=Localtis/LOCActu/ArticleActualite&jid=1250271716871&cid=1250271708081
Peut-on parler de volontariat lorsque l’on parle de personnes tellement dominées que tous leurs besoins vitaux dépendent de la bonne volonté (et donc de l’#arbitraire) d’autrui ?
Elles réunissent, sur la base du #volontariat, les personnes souhaitant participer, après qu’elles aient été sollicitées par les associations chargées de l’accompagnement avec lesquelles l’Etat a conclu une convention pour la réalisation de ces missions. Les réunions du CNPA et des CRPA sont animées et organisées par ces associations, en étroite collaboration avec les personnes accueillies ou accompagnées.
]]>Air Sans Pap’ : quand l’Etat affrète un #jet_privé pour vider #Calais
Plusieurs fois par semaine, un jet privé loué par l’Etat quitte Calais. A son bord, une poignée de migrants sous escorte policière. Rennes, Nîmes, Metz : ils sont transférés et libérés quelques jours plus tard. 1,5 million d’euros par an s’envolent ainsi.
Dominique Tonin, qui habite en Haute-Vienne, veut être candidat à la présidence en 2017
Avec son mouvement Démocratie, Dominique Tonin veut une sixième République basée sur la démocratie directe et la fin du carriérisme politique.
« Je suis un citoyen lambda qui est inquiet pour le lendemain, tout simplement. Je me suis donné une mission : il faut redonner le pouvoir au peuple. » Demokratos en grec, d’où le nom de son mouvement Démocratie, fondé en 2011. Sosie de Sean Penn, Dominique Tonin vit et travaille près d’Ambazac. Il y a longtemps, il a déjà passé 20 ans en Haute-Vienne, à la CRS 20, avant de rejoindre le commissariat d’Ajaccio pendant… 20 ans. Devenu agent immobilier, il veut se présenter à l’élection présidentielle pour la deuxième fois.
Qu’est-ce qui vous amène à vous porter candidat à la Présidence de la République ? « Je voudrais qu’on sorte des ornières de la politique qu’on connaît aujourd’hui et redonner au peuple sa souveraineté. Une souveraineté volée et violée par les parlementaires et le système politique en général. En 2005, par exemple, on a méprisé l’avis du peuple français sur le traité européen de Maastricht. Il a été bafoué dans sa légitimité et il est grand temps de la restaurer. Selon moi, 2017 sera la dernière chance de pouvoir le faire… En 2017, si tout va mal, nous aurons les mêmes candidats : Sarkozy, Hollande, Le Pen,… Et le système perdurera. S’il n’y a pas un changement de cap radical, ce sera le chaos ?! Je suis convaincu que les gens attendent autre chose. Pour preuve, la #défiance pour le personnel politique et ces 50 à 60 % d’#abstention… La démobilisation du peuple français est selon moi principalement due au fait qu’on se fout de sa gueule ! »
Et que propose le mouvement “Démocratie” pour changer cela ? « Il s’agit de revenir aux principes de la démocratie athénienne, de la démocratie directe. Comme le dit #Étienne_Chouard, un de mes mentors, la #démocratie_représentative est un oxymore. Elle sert des élus serviles, qui obéissent à l’idéologie de leurs #partis et aux lobbies, notamment de la #finance. Et ce ne sont pas quelques élus contestataires qui changeront la donne… »
Et “vous, président”, comment comptez-vous procéder ? « Si je suis élu Président de la République, je remets immédiatement l’ensemble de mes #pouvoirs entre les mains du peuple. J’organiserai ensuite la constitution d’un groupe parlementaire par tirage au sort, car notre mouvement entend réduire le nombre d’élus en France. Il faut savoir que le pays en compte aujourd’hui 635.000 et qu’ils ne remplissent plus leur rôle ?! Ils seraient donc remplacés par des citoyens tirés au sort, sur la base du #volontariat. Le #carriérisme politique est un cancer généralisé, et on devrait commencer par interdire le cumul des mandats et fixer une limite d’âge. Tout cela implique de réécrire la #Constitution pour fonder une sixième République. Tous les choix politiques seraient définis après consultation du peuple, par référendum. Selon moi, on ne peut pas décider à la place du peuple. Ce n’est pas le rôle du Président de la République. »
En 2012, vous aviez dû renoncer à vous présenter, faute de parrainages. Comment comptez-vous vous y prendre pour 2017 ? « Le système électoral actuel est gênant pour moi, notamment l’obligation d’obtenir ces 500 parrainages. J’aurais préféré le principe des 150.000 signatures de citoyens proposé par Lionel Jospin, mais jamais adopté… Il va donc falloir quadriller la France avec tous ceux qui sont en concordance avec notre mouvement pour aller chasser les parrainages. C’est une des raisons qui m’ont amené à réhabiter en Limousin, pour être au centre de la France. »
Vous parlez de rétablissement de la souveraineté. Dans le contexte européen, que pensez-vous de la situation en Grèce ou en Espagne ? « Je pense toujours au peuple. Je trouve que ce qui se passe en Grèce est affligeant ?! On préfère se retourner contre le peuple grec, plutôt que contre les responsables de cette catastrophe… Même chose en Espagne. Les mouvements #Syriza et #Podemos ont des démarches purement démocratiques, et je cherche d’ailleurs à établir des contacts avec eux. Les peuples européens sont aujourd’hui opprimés et ils ont intérêt à se coaliser pour faire plier la finance internationale qui confisque la démocratie. »
Propos recueillis
par Sylvain Compère
▻http://www.lepopulaire.fr/limousin/actualite/2015/08/07/dominique-tonin-qui-habite-en-haute-vienne-veut-etre-candidat-a-la-presi
]]>Recalé au #bac ? Que pouvez-vous faire sans, en #France et en #Europe
▻http://fr.myeurop.info/2014/07/04/bac-faire-sans-france-europe-14119
Etienne Cabot
Si la plupart des terminales se réjouissent des résultats, pour certains c’est la douche froide. Pas de panique, il y a une vie sans le bac ! Petit guide à l’usage du candidat recalé.
C’est aujourd’hui qu’étaient affichés les résultats du BAC. lire la suite
#Étudiants #candidats #diplôme #élèves #étranger #étudiants #non-admis #recalé #travail #volontariat
]]>Jamais le dimanche ? *
▻http://www.ofce.sciences-po.fr/blog/?p=4549
(.....)
Il faut pourtant refroidir les illusions de ces commerçants. Ouvrir un jour de plus apporte plus d’activité uniquement si les concurrents sont fermés au même moment. Il en va pour les meubles, les livres, les CD ou les vêtements comme pour les baguettes. Si tous les magasins qui vendent des meubles ou de l’électroménager sont ouverts tous les jours de la semaine, ils vendront autant que s’ils sont ouverts 6 jours par semaine. Si un seul d’entre eux est ouvert le dimanche et ses concurrents sont fermés, alors il capte une part importante du marché. Les achats de machines à laver, téléviseurs ou meubles sont plus faciles à faire le dimanche que les jours de la semaine. Celui qui ouvre en solitaire en profite largement. Mais au bout du compte, les consommateurs achètent des chambres d’enfants en fonction du nombre de leurs enfants, de leur âge ou de la taille de leur logement. Ils n’achètent pas davantage parce qu’ils peuvent faire leurs emplettes le dimanche. Ce sera leur revenu qui aura le dernier mot.
http://www.ofce.sciences-po.fr/blog/wp-content/uploads/2013/10/graph-1.jpg http://www.ofce.sciences-po.fr/blog/wp-content/uploads/2013/10/graph-2.jpg A la marge, il est possible que l’on vende un peu plus de livres ou de meubles, achetés impulsivement le dimanche, si les grandes surfaces spécialisées dans ces articles sont ouvertes. Mais les budgets des consommateurs n’étant pas extensibles, les dépenses faites ici seront compensées par des dépenses réduites ailleurs. Année après année, de nouveaux produits, de nouveaux motifs de dépense, de nouvelles stimulations commerciales ou de nouvelles formes de distribution émergent. Ces bouleversements ne modifient pas les contraintes ou les choix des consommateurs.
#travail_domical
#Allemagne
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#commerce,
#législation_du_travail
#volontariat ( implicit )