• Nouveautés
    http://anarlivres.free.fr/pages/nouveau.html#audio

    Alors que certains ne cessent de dépeindre Gaza comme un nid de terroristes assoiffés de sang qu’il faudrait noyer comme des rats (1) après les avoir scientifiquement bombardés (2), il est bon de rappeler que les gens qui sont sous les bombes sont des êtres humains, avec leurs peines et leurs joies, désirant pour la majorité une paix digne et respectueuse des intérêts de chacun. Le film de Roland Nurier, Yallah Gaza (2022, 101 min, bande-annonce), sorti avec quelques difficultés dans une trentaine de salles début novembre, nous le rappelle fort heureusement en cette période de certitudes partisanes. Spécialistes, Gazaouis et activistes israéliens se succèdent pour décrire les conditions de vie dans cette prison à ciel ouvert (3). Le réalisateur, invité de « Trou noir » sur Radio-Libertaire, évoque avec émotions les personnages de son film dont il est sans nouvelle pour la plupart. Ecoutons-le.

    (1) « Israël aurait achevé un système de pompage d’eau de mer pour inonder les tunnels du Hamas », Le Figaro, 5 décembre 2023.
    (2) « Comment l’armée israélienne utilise l’intelligence artificielle pour bombarder Gaza », Libération, 2 décembre 2023.
    (3) « L’infinie souffrance de Gaza, prison à ciel ouvert », Ouest-France, 28 novembre 2022.

    #anarchisme #libertaire #Palestine #Israël #cinéma #YallahGaza #RolandNurier

  • Ecco quello che hanno fatto davvero gli italiani “brava gente”

    In un libro denso di testimonianze e documenti, #Eric_Gobetti con “I carnefici del duce” ripercorre attraverso alcune biografie i crimini dei militari fascisti in Libia, Etiopia e nei Balcani, smascherando una narrazione pubblica che ha distorto i fatti in una mistificazione imperdonabile e vigliacca. E denuncia l’incapacità nazionale di assumersi le proprie responsabilità storiche, perpetuata con il rosario delle “giornate della memoria”. Ci fu però chi disse No.

    “I carnefici del duce” è un testo che attraverso alcune emblematiche biografie è capace di restituire in modo molto preciso e puntigliosamente documentato le caratteristiche di un’epoca e di un sistema di potere. Di esso si indagano le pratiche e le conseguenze nella penisola balcanica ma si dimostra come esso affondi le radici criminali nei territori coloniali di Libia ed Etiopia, attingendo linfa da una temperie culturale precedente, dove gerarchia, autoritarismo, nazionalismo, militarismo, razzismo, patriarcalismo informavano di sé lo Stato liberale e il primo anteguerra mondiale.

    Alla luce di tali paradigmi culturali che il Ventennio ha acuito con il culto e la pratica endemica dell’arbitrio e della violenza, le pagine che raccontano le presunte prodezze italiche demoliscono definitivamente l’immagine stereotipa degli “italiani brava gente”, una mistificazione imperdonabile e vigliacca che legittima la falsa coscienza del nostro Paese e delle sue classi dirigenti, tutte.

    Anche questo lavoro di Gobetti smaschera la scorciatoia autoassolutoria dell’Italia vittima dei propri feroci alleati, denuncia l’incapacità nazionale di assumere le proprie responsabilità storiche nella narrazione pubblica della memoria – anche attraverso il rosario delle “giornate della memoria” – e nell’ufficialità delle relazioni con i popoli violentati e avidamente occupati dall’Italia. Sì, perché l’imperialismo fascista, suggeriscono queste pagine, in modo diretto o indiretto, ha coinvolto tutta la popolazione del Paese, eccetto coloro che, nei modi più diversi, si sono consapevolmente opposti.

    Non si tratta di colpevolizzare le generazioni (soprattutto maschili) che ci hanno preceduto, afferma l’autore,­ ma di produrre verità: innanzitutto attraverso l’analisi storiografica, un’operazione ancora contestata, subissata da polemiche e a volte pure da minacce o punita con la preclusione da meritate carriere accademiche; poi assumendola come storia propria, riconoscendo responsabilità e chiedendo perdono, anche attraverso il ripudio netto di quel sistema di potere e dei suoi presunti valori. Diventando una democrazia matura.

    Invece, non solo persistono ambiguità, omissioni, false narrazioni ma l’ombra lunga di quella storia, attraverso tante biografie, si è proiettata nel secondo dopoguerra, decretandone non solo la radicale impunità ma l’affermarsi di carriere, attività e formazioni che hanno insanguinato le strade della penisola negli anni Settanta, minacciato e condizionato l’evolversi della nostra democrazia.

    Di un sistema di potere così organicamente strutturato – come quello che ha retto e alimentato l’imperialismo fascista – pervasivo nelle sue articolazioni sociali e culturali, il testo di Gobetti ­accanto alle voci dei criminali e a quelle delle loro vittime, fa emergere anche quelle di coloro che hanno detto no, scegliendo di opporsi e dimostra che, nonostante tutto, era comunque possibile fare una scelta, nelle forme e nelle modalità più diverse: dalla volontà di non congedarsi dal senso della pietà, al tentativo di rendere meno disumano il sopravvivere in un campo di concentramento; dalla denuncia degli abusi dei propri pari, alla scelta della Resistenza con gli internati di cui si era carcerieri, all’opzione netta per la lotta di Liberazione a fianco degli oppressi dal regime fascista, a qualunque latitudine si trovassero.

    È dunque possibile scegliere e fare la propria parte anche oggi, perché la comunità a cui apparteniamo si liberi dagli “elefanti nella stanza” – così li chiama Gobetti nell’introduzione al suo lavoro –­ cioè dai traumi irrisolti con cui ci si rifiuta di fare i conti, che impediscono di imparare dai propri sbagli e di diventare un popolo maturo, in grado di presentarsi con dignità di fronte alle altre nazioni, liberando dalla vergogna le generazioni che verranno e facendo in modo che esse non debbano più sperimentare le nefandezze e i crimini del fascismo, magari in abiti nuovi. È questo autentico amor di patria.

    “I carnefici del duce” – 192 pagine intense e scorrevolissime, nonostante il rigore della narrazione,­ è diviso in 6 capitoli, con un’introduzione che ben motiva questa nuova ricerca dell’autore, e un appassionato epilogo, che ne esprime l’alto significato civile.

    Le tappe che vengono scandite scoprono le radici storiche dell’ideologia e delle atrocità perpetrate nelle pratiche coloniali fasciste e pre-fasciste; illustrano la geopolitica italiana del Ventennio nei Balcani, l’occupazione fascista degli stessi fino a prospettarne le onde lunghe nelle guerre civili jugoslave degli anni Novanta del secolo scorso; descrivono la teoria e la pratica della repressione totale attuata durante l’occupazione, circostanziandone norme e regime d’impunità; evidenziano la stretta relazione tra la filosofia del regime e la mentalità delle alte gerarchie militari.


    Raccontano le forme e le ragioni dell’indebita appropriazione delle risorse locali e le terribili conseguenze che ne derivarono per le popolazioni, fino a indagare l’inferno, il fenomeno delle decine e decine di campi d’internamento italiani, di cui è emblematico quello di Arbe. Ciascun capitolo è arricchito da una testimonianza documentaria, significativa di quanto appena esposto. Impreziosiscono il testo, oltre ad un’infinità di note che giustificano quasi ogni passaggio – a riprova che nel lavoro storiografico rigore scientifico e passione civile possono e anzi debbono convivere – una bibliografia e una filmografia ragionata che offrono strumenti per l’approfondimento delle questioni trattate.

    https://www.patriaindipendente.it/terza-pagina/librarsi/ecco-quello-che-hanno-fatto-davvero-gli-italiani-brava-gente
    #Italiani_brava_gente #livre #Italie #colonialisme #fascisme #colonisation #Libye #Ethiopie #Balkans #contre-récit #mystification #responsabilité_historique #Italie_coloniale #colonialisme_italien #histoire #soldats #armée #nationalisme #racisme #autoritarisme #patriarcat #responsabilité_historique #mémoire #impérialisme #impérialisme_fasciste #vérité #résistance #choix #atrocités #idéologie #occupation #répression #impunité #camps_d'internement #Arbe

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    ajouté à la métaliste sur le colonialisme italien:
    https://seenthis.net/messages/871953

    • I carnefici del Duce

      Non tutti gli italiani sono stati ‘brava gente’. Anzi a migliaia – in Libia, in Etiopia, in Grecia, in Jugoslavia – furono artefici di atrocità e crimini di guerra orribili. Chi furono ‘i volenterosi carnefici di Mussolini’? Da dove venivano? E quali erano le loro motivazioni?
      In Italia i crimini di guerra commessi all’estero negli anni del fascismo costituiscono un trauma rimosso, mai affrontato. Non stiamo parlando di eventi isolati, ma di crimini diffusi e reiterati: rappresaglie, fucilazioni di ostaggi, impiccagioni, uso di armi chimiche, campi di concentramento, stragi di civili che hanno devastato intere regioni, in Africa e in Europa, per più di vent’anni. Questo libro ricostruisce la vita e le storie di alcuni degli uomini che hanno ordinato, condotto o partecipato fattivamente a quelle brutali violenze: giovani e meno giovani, generali e soldati, fascisti e non, in tanti hanno contribuito a quell’inferno. L’hanno fatto per convenienza o per scelta ideologica? Erano fascisti convinti o soldati che eseguivano gli ordini? O furono, come nel caso tedesco, uomini comuni, ‘buoni italiani’, che scelsero l’orrore per interesse o perché convinti di operare per il bene della patria?

      https://www.laterza.it/scheda-libro/?isbn=9788858151396
      #patrie #patriotisme #Grèce #Yougoslavie #crimes_de_guerre #camps_de_concentration #armes_chimiques #violence #brutalité

  • Léo Malet est né à #Montpellier. (C’est donc pour ça qu’on a un cinéma Nestor Burma qui appartient à la mairie.)
    https://fr.wikipedia.org/wiki/L%C3%A9o_Malet

    En 1923, à la suite du suicide de Philippe Daudet, il découvre le journal Le Libertaire où il trouve, comme il le précise plus tard dans son autobiographie, « un écho de [s]es préoccupations ». À la suite de cette lecture, il rejoint le groupe libertaire de Montpellier : « c’est ainsi que je me suis intégré au groupe libertaire de Montpellier et que j’ai participé à leurs actions, vente de journaux, distribution de tracts, collage d’affiches. À ce moment-là, on menait une grande campagne pour l’amnistie des mutins de la mer Noire... »3. En 1925, André Colomer qui vient de fonder L’Insurgé vient à Montpellier pour traiter du thème : « Deux monstres, Dieu et la Patrie, ravagent l’humanité ». Léo Malet le rencontre à cette occasion. Il s’ensuit une correspondance entre les deux hommes. « André Colomer m’envoyait chaque semaine un paquet de L’Insurgé, que je distribuais dans quelques kiosques, et que l’on vendait à la criée, le dimanche, sur la place de la Comédie et l’Esplanade. »

    #y’a_d’la_vedette

    • Affaire Philippe Daudet
      https://fr.wikipedia.org/wiki/Affaire_Philippe_Daudet

      L’affaire Philippe Daudet, du nom de Philippe Daudet (1909-1923), fils de l’écrivain, journaliste et importante figure politique du mouvement nationaliste et royaliste Action française Léon Daudet, eut lieu en novembre 1923. Après avoir fait une fugue, Philippe Daudet se suicide à l’âge de 14 ansa,1. Sa mort a suscité de vives polémiques lancées par l’Action française et la famille Daudet contre les anarchistes, la police et le gouvernement républicain (Troisième République), s’opposant aux conclusions de l’enquête.

  • Le Yoga, nouvel esprit du #capitalisme

    Le yoga est #politique.

    Pratiquante et professeure de yoga, #Zineb_Fahsi signe un essai critique sur sa discipline qui s’est fait une place dans la culture mainstream, au point d’être aujourd’hui enseignée en entreprise, dans les écoles et les hôpitaux. Car le yoga répond de façon commode aux #injonctions contemporaines de réalisation de soi : cultiver une pensée positive, libérer son «  moi  », mieux gérer ses #émotions, son sommeil, être plus efficace, plus concentré, plus résilient… Le yoga semble être la méthode miraculeuse pour résoudre les problèmes et réaliser les aspirations des individus modernes assujettis au #néolibéralisme.

    L’auteure débusque le non-dit politique véhiculé par ces discours. En valorisant le #travail_sur_soi au détriment du #changement_social, ils font porter aux individus la #responsabilité de composer avec les exigences du capitalisme, neutralisant toute remise en question du #système lui-même. Il ne s’agit pas pour Zineb Fahsi de défendre le retour à un yoga authentique mais de proposer un autre esprit du yoga, plus émancipateur.

    https://www.editionstextuel.com/livre/le_yoga_nouvel_esprit_du_capitalisme
    #yoga #développement_personnel #livre

    voir aussi :
    Comment le yoga façonne l’être néolibéral
    https://seenthis.net/messages/1013878
    via @marielle

  • Serco, quando la detenzione diventa un business mondiale

    Da decenni l’azienda è partner dei governi per l’esternalizzazione dei servizi pubblici in settori come sanità, difesa, trasporti, ma soprattutto nelle strutture detentive per le persone migranti. Nel 2022 ha acquisito Ors con l’idea di esportare il suo modello anche in Italia

    «Ho l’orribile abitudine di camminare verso gli spari». Si descrive così al Guardian il manager Rupert Soames. Nipote dell’ex primo ministro del Regno Unito Winston Churchill, figlio di Christopher, ambasciatore in Francia e ultimo governatore della Rhodesia – odierno Zimbabwe – e fratello dell’ex ministro della difesa conservatore Nicholas, Rupert Soames per anni è stato il numero uno della multinazionale britannica Serco, quella che il quotidiano britannico chiama «la più grande società di cui non avete mai sentito parlare».

    Serco (Service Company) è un’azienda business to government (B2G), specializzata in cinque settori: difesa, giustizia e immigrazione, trasporti, salute e servizi al cittadino. Opera in cinque continenti e tra i suoi valori principali dichiara: fiducia, cura, innovazione e orgoglio. Dai primi anni Novanta, è cresciuta prendendo in carico servizi esternalizzati dallo Stato a compagnie terze e aggiudicandosi in pochi anni un primato sulla gestione degli appalti privati. Sono arrivati poi indagini dell’antitrust inglese, accuse di frode in appalti pubblici e conseguenti anni di crisi dovuti alla perdita di diverse commesse, fino a quando il nipote di Churchill non è diventato Ceo di Serco, nel 2014. Da allora la società ha costruito un impero miliardario fornendo servizi molto diversi tra loro: dai semafori di Londra, al controllo del traffico aereo a Baghdad. La gestione dei centri di detenzione per persone migranti è di gran lunga il principale business di Serco nelle due macroaree “Europa e Regno Unito” e “Asia e Pacifico”. Ad oggi Serco ha all’attivo più di 500 contratti e impiega più di 50 mila persone in tutto il mondo. Nel 2022 ha totalizzato 4,7 miliardi di sterline in ricavi, un regalo ai suoi azionisti, tra cui i fondi d’investimento BlackRock e JP Morgan.

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    L’inchiesta in breve

    Serco (Service Company) è una multinazionale britannica che fornisce diversi servizi ai governi, soprattutto nei settori della difesa, sanità, giustizia, trasporti e immigrazione, dalla gestione dei semafori di Londra fino al traffico aereo di Baghdad
    Oggi la società ha all’attivo più di 500 contratti e impiega oltre 50 mila persone in tutto il mondo. Nel 2022 ha totalizzato 4,7 miliardi di sterline in ricavi e tra i suoi azionisti ci sono fondi d’investimento come BlackRock e JP Morgan
    Il suo Ceo fino a dicembre 2022 era Rupert Soames, nipote di Winston Churchill, che ha risollevato la società dopo un periodo di crisi economica legato ad alcuni scandali, come i presunti abusi sessuali nel centro di detenzione per donne migranti Yarl’s Wood, a Milton Ernest, nel Regno Unito
    Nelle macroregioni “Europa e Gran Bretagna” e “Asia e Pacifico” il settore dove l’azienda è più presente è l’immigrazione. Su dieci centri per l’espulsione presenti nel Regno Unito, Serco oggi ne gestisce quattro
    In Australia, la multinazionale gestisce tutti i sette centri di detenzione per persone migranti attualmente attivi ed è stata criticata più volte per la violenza dei suoi agenti di sicurezza, soprattutto nella struttura di Christmas Island
    L’obiettivo di Serco è esportare questo modello anche nel resto d’Europa. Per questo, a settembre 2022 ha acquisito la multinazionale svizzera Ors, entrando nel mercato della detenzione amministrativa anche in Italia, dove la sua filiale offre servizi nel settore spaziale

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    In otto anni, Soames ha portato il fatturato della società da circa 3,5 miliardi nel 2015 a 4,5 miliardi nel 2022, permettendo così all’azienda di uscire da una fase di crisi dovuta a vari scandali nel Regno Unito. Secondo il Guardian, dal 2015 al 2021 ha ricevuto uno stipendio di 23,5 milioni di sterline. «Sono molto ben pagato», ha ammesso in un’intervista. Ha lasciato l’incarico nel settembre 2022 sostenendo che fosse arrivato il momento di «esternalizzare» se stesso e andare in pensione. Ma a settembre 2023 è stato nominato presidente di Smith & Nephew, azienda che produce apparecchiature mediche. Al suo posto è arrivato Mark Irwin, ex capo della divisione Regno Unito ed Europa e di quella Asia Pacific di Serco.

    Poco prima di lasciare l’incarico, Soames ha acquisito la multinazionale svizzera Ors, leader nel settore dell’immigrazione in Europa. L’operazione vale 39 milioni di sterline, a cui Serco aggiunge 6,7 milioni di sterline per saldare il debito bancario accumulato da Ors. L’acquisizione, per Serco, avrebbe consentito «di collaborare e supportare i clienti governativi in tutta Europa, che hanno un bisogno continuo e crescente di servizi di assistenza all’immigrazione e ai richiedenti asilo». Con Ors, società appena giunta anche nel sistema di gestione dei centri di detenzione in Italia, Serco vuole «rafforzare la nostra attività europea, raddoppiandone all’incirca le dimensioni e aumentando la gamma di servizi offerti».

    In Europa i centri di detenzione per migranti sono infatti in aumento, soprattutto in Italia, dove, scrive in un report l’Agenzia dell’Unione europea per l’asilo (Euaa), i milioni previsti per queste strutture sono 5,5 nel 2023, 14,4 per il 2024 e 16,2 nel 2025. Degli scandali di Ors, abbiamo scritto in una precedente puntata: «Non accettiamo le accuse di “cattiva gestione” dei servizi offerti da Ors – scrive Serco via mail a IrpiMedia, rispondendo alla richiesta di commento per questa inchiesta -. I casi spesso ripetuti dai media e citati dalle ong risalgono a molto tempo fa e sono stati smentiti più volte». Serco tuttavia riconosce che «in un’azienda con più di 2.500 dipendenti, che opera in un settore così delicato come quello dell’immigrazione, di tanto in tanto si commettono degli errori. È importante riconoscerli rapidamente e correggerli immediatamente». A giudicare dalle inchieste giornalistiche e di commissioni parlamentari nel Regno Unito e in Australia, Paese dove gestisce tutte le strutture detentive per migranti, non è però quello che ha fatto Serco negli anni.

    Yarl’s Wood e le prime accuse di violenze sessuali

    Serco nel 2007 vince l’appalto dell’Home Office, il ministero dell’Interno britannico, per la gestione del centro di espulsione Yarl’s Wood, a Milton Ernest, della capienza di circa 400 persone, fino al 2020 in maggioranza donne. Nel 2013, le detenute iniziano a denunciare il personale per abusi e violenze sessuali. Continui sguardi da parte dello staff, che entrava nelle stanze e nei bagni durante la notte, rapporti non consensuali, palpeggiamenti e ricatti sessuali in cambio di aiuto nelle procedure per i documenti o della libertà, tentativi di rimpatrio delle testimoni, sono alcune delle segnalazioni delle donne del centro, raccolte in alcune inchieste del The Observer. Secondo l’ong Women for Refugee Women molte delle donne rinchiuse nel centro avevano già subito violenze e dovevano essere considerate soggetti vulnerabili.

    Alla richiesta di replica del giornale, la società aveva negato l’esistenza di «un problema diffuso o endemico» a Yarl’s Wood, o che fosse «in qualche modo tollerato o trascurato». «Ci impegniamo a occuparci delle persone nei centri di espulsione per immigrati con dignità e rispetto, in un periodo estremamente difficile della loro vita», ha detto l’azienda a IrpiMedia, riferendo che «ogni volta che vengono sollevate accuse vengono svolte indagini approfondite» (nel caso di Yarl’s Wood condotte dall’ispettorato per le carceri tra il 2016 e il 2017) e che «dal 2012 a Yarl’s Wood non ci sono state accuse di abusi sessuali». Nonostante le denunce, il licenziamento di alcuni dipendenti per condotte inappropriate, la morte sospetta di una donna, i numerosi casi di autolesionismo e i tentativi di suicidio, nel 2014 l’Home Office ha nuovamente aggiudicato l’appalto, del valore di 70 milioni di sterline e della durata di otto anni, a Serco.
    Il mondo avrà ancora bisogno di carceri

    «Il mondo – scriveva Soames nel report annuale del 2015, appena arrivato in Serco – avrà ancora bisogno di prigioni, di gestire l’immigrazione, di fornire sanità e trasporti». Il Ceo dispensava ottimismo nonostante gli scandali che avevano appena travolto la società. Ha avuto ragione: gli appalti si sono moltiplicati.

    Oltre la riconferma della gestione di Yarl’s Wood, nel 2020 Serco si è aggiudicata per 277 milioni di sterline il centro di detenzione Brook House, vicino all’aeroporto di Gatwick, e nel 2023 il centro di Derwentside con un contratto della durata di nove anni, rinnovabile di un anno, del valore di 70 milioni di sterline. Su dieci centri per l’espulsione presenti nel Regno Unito, dove la detenzione amministrativa non ha limiti temporali, Serco oggi ne gestisce quattro.
    Derwentside ha preso il posto di Yarl’s Wood come unico centro detentivo per donne senza documenti nel Regno Unito: con 84 posti, il centro si trova in un luogo isolato nel nord dell’Inghileterra, senza servizi, trasporti e con una scarsa connessione per il telefono. «Le donne vengono tagliate fuori dalle famiglie e dalle comunità, ci sono davvero poche visite da parte dei parenti», spiega a IrpiMedia Helen Groom, presidentessa della campagna che vuole l’abolizione del centro. Ma qualcosa sta per cambiare, dice: «All’inizio dell’anno prossimo dovrebbe diventare un centro di detenzione per uomini, e non più per donne. Probabilmente perché negli ultimi due anni sono stati occupati solo la metà dei posti». Il 18 novembre i movimenti solidali e antirazzisti britannici hanno organizzato una manifestazione per chiedere la chiusura del centro.

    https://twitter.com/No2Hassockfield/status/1727643160103301129

    Brook House è invece stato indagato da una commissione di esperti indipendenti costituita su richiesta dell’allora Home Secretary (ministra dell’Interno) Preti Patel a novembre 2019. Lo scopo era approfondire i casi di tortura denunciati da BBC Panorama, avvenuti tra il primo aprile e il 31 agosto 2017, quando a gestire la struttura era la multinazionale della sicurezza anglo-danese G4S. I risultati del lavoro della commissione sono stati resi pubblici sia con una serie di audizioni sia con un report del settembre 2023. Qui si legge che Brook House è un ambiente che non riesce a soddisfare i bisogni delle persone con problemi psichici, molto affollato, simile a un carcere. Si parla di un «cultura tossica» che crea un ambiente malsano dove esistono «prove credibili» di abusi sui diritti umani dei trattenuti. Accuse che non riguardano Serco, ma per la commissione d’inchiesta che monitora il centro ci sono «prove che suggeriscono che molti dei problemi presenti durante il periodo di riferimento persistono nella gestione di Brook House da parte di Serco».

    Secondo la commissione alcuni dipendenti che lavoravano nella gestione precedente ricoprono ora ruoli di grado più elevato: «[C]iò mette inevitabilmente in dubbio il grado di integrazione dei cambiamenti culturali descritti da Serco». I dati della società mostrano un aumento nell’uso della forza per prevenire l’autolesionismo, continua la presidente della commissione, e «mi preoccupa che si permetta l’uso della forza da parte di agenti non formati». Dall’inizio della gestione, «abbiamo apportato miglioramenti significativi alla gestione e alla cultura del centro», ha replicato Serco a IrpiMedia.

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    I principali appalti di Serco nel mondo

    Serco lavora con i ministeri della Difesa anche negli Stati Uniti e in Australia. La collaborazione con la marina americana è stata potenziata con un nuovo contratto da 200 milioni di dollari per potenziarne l’infrastruttura tecnologica anti-terrorismo. In Australia fornisce equipaggi commerciali per la gestione di navi di supporto della Marina a sostegno della Royal Australian Navy. Ha inoltre collaborato alla progettazione, costruzione, funzionamento e manutenzione della nave australiana RSV Nuyine, che si occupa della ricerca e dell’esplorazione in Antartide. Dal 2006 supporta i sistemi d’arma a corto raggio Typhoon, Mini Typhoon e Toplite e fornisce formazione accreditata alla Royal Australian Navy. Infine offre supporto logistico e diversi servizi non bellici all’esercito australiano in Medio Oriente, grazie a un contratto da 107 milioni di dollari che inizierà nel 2024.

    Serco negli Usa e Australia lavora anche nel settore sanitario. Negli Stati Uniti, la società si è aggiudicata un contratto da 690 milioni di dollari con il Dipartimento della Salute, portando avanti anche in questo caso una collaborazione che va avanti dal 2013, quando gestiva per 1,2 miliardi di dollari l’anno il sistema di assistenza sanitaria noto come Obamacare. In Australia Serco gestisce 21 servizi non sanitari del Fiona Stanley Hospital, un ospedale pubblico digitale, come il desk, l’infrastruttura di rete, i computer, l’accoglienza, il trasporto dei pazienti, le risorse umane, grazie a un contratto da 730 milioni di dollari australiani (435 milioni di euro) rinnovato nel 2021 per sei anni. Nel 2015, l’azienda era stata multata per un milione di dollari australiani (600 mila euro) per non aver raggiunto alcuni obiettivi, soprattutto nella pulizia e nella logistica.

    C’è poi il Medio Oriente, dove Serco lavora dal 1947. Impiega più di 4.500 persone in quattro Paesi: gli Emirati Arabi Uniti, l’Arabia Saudita, il Qatar e l’Iraq. Qui, Serco opera in diversi settori, tra cui i servizi antincendio e di soccorso, i servizi aeroportuali, il settore dei trasporti e il sistema ferroviario. In Arabia Saudita gestisce da tempo 11 ospedali, ma la società sta già individuando nuove opportunità nelle smart cities e nei giga-progetti del Regno Saudita. È del 10 maggio 2023 la notizia che Serco agirà come amministratore dei servizi di mobilità sostenibile nella nuova destinazione turistica visionaria del Regno, il Mar Rosso. La crescita di progetti sauditi porterà questo Paese a rappresentare oltre il 50% dei ricavi di Serco in Medio Oriente entro il 2026.

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    Australia, il limbo dei detenuti 501

    L’Australia è un Paese famoso per la sua tolleranza zero verso la migrazione irregolare. Questo però non ha impedito al sistema detentivo per migranti di crescere: un’interrogazione parlamentare del 2020 rivela che la detenzione dei richiedenti asilo costa ancora poco più di due miliardi e mezzo di dollari australiani, 1,2 miliardi di euro. Tra chi può finire in carcere, dalla riforma del Migration Act del 2014, ci sono anche i cosiddetti detenuti 501, persone a cui è stato revocato il permesso di soggiorno per una serie di motivazioni, come condanne a oltre dodici mesi, sospetta associazione con un gruppo coinvolto in crimini di rilevanza internazionale o reati sessuali su minori.

    «Potrebbero anche non aver commesso alcun crimine, ma si ritiene che abbiano problemi di carattere o frequentino persone losche», spiega l’avvocata Filipa Payne, fondatrice di Route 501, organizzazione che ha seguito i casi di molti “501”. Chi rientra in questa casistica si ritrova quindi a dover scontare una doppia reclusione: dopo il carcere finisce all’interno di un centro di detenzione, dove sono rinchiusi anche i richiedenti asilo, in attesa di ottenere una risposta definitiva sul visto. Queste persone, che oggi rappresentano circa l’80% dei trattenuti, spesso vivono in Australia da diversi anni, ma non hanno mai richiesto o ottenuto la cittadinanza.

    «È molto peggio della prigione perché almeno lì sai quando uscirai – racconta dal Melbourne Immigration Detention Centre James, nome di fantasia, un ragazzo di origine europea che vive in Australia da oltre 30 anni -. È tutto molto stressante e deprimente, passo la maggior parte del tempo nella mia stanza». Dopo aver passato poco più di un anno in carcere per furto, sta scontando una seconda reclusione nei centri gestiti da Serco come detenuto 501 perché, come i richiedenti asilo, non ha in mano un permesso di soggiorno per restare in Australia. Da quando è uscito dal carcere, James ha vissuto in quattro diversi centri di detenzione gestiti da Serco, dove si trova rinchiuso da quasi dieci anni. Fino a una storica sentenza della Corte Suprema australiana dell’8 novembre 2023, la detenzione indefinita non era illegale e ad oggi, secondo i dati del Refugee Council of Australia, i tempi di detenzione in media sono di oltre 700 giorni, quasi due anni.

    Chi come James si trova incastrato nel sistema, può solo sperare di ottenere un documento per soggiornare in Australia, che può essere concesso in ultima istanza dal ministero dell’Immigrazione. Altrimenti «non ci sarà altra soluzione per me che quella di tornare al mio Paese d’origine. Non parlo la lingua, tutta la mia famiglia è qui, la mia vita sarebbe semplicemente finita. Sarebbe molto difficile per me, forse non vorrei più vivere», dice James.

    https://www.youtube.com/watch?v=EN8mAkEBMgU&embeds_referring_euri=https%3A%2F%2Firpimedia.irpi.eu%2

    Christmas Island, «un posto orribile»

    Serco arriva in Australia nel 1989 e dopo vent’anni vince un contratto di cinque anni, rinnovato nel 2014, da 279 milioni di dollari australiani (169 milioni di euro) per la gestione di tutte le strutture di detenzione per migranti dell’Australia continentale e quella di Christmas Island, un’isola più vicina all’Indonesia che all’Australia, funzionale al trattamento delle richieste d’asilo fuori dal continente, in un territorio isolato. «È un posto orribile, dove ho visto molta violenza. Ho visto persone tagliarsi con le lamette, impiccarsi, rifiutarsi di mangiare per una settimana», ricorda James, che è passato anche da Christmas Island. Lo scorso 1 ottobre, la struttura è stata chiusa per la seconda volta dopo le raccomandazioni del Comitato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, ma potrebbe nuovamente essere riaperta.

    Tra il 2011 e il 2015, l’epoca di maggiore utilizzo del centro, ci sono state diverse proteste, rivolte, scioperi della fame. Tra il 2014 e il 2015, 128 minori detenuti hanno compiuto atti di autolesionismo, 105 bambini sono stati valutati da un programma di sostegno psicologico “ad alto rischio imminente” o “a rischio moderato” di suicidio. Dieci di loro avevano meno di 10 anni.

    Dopo una visita effettuata nel 2016, alcuni attivisti dell’Asylum Seeker Resource Centre hanno segnalato la mancanza di un’adeguata assistenza sanitaria mentale e una pesante somministrazione di psicofarmaci, che aiutano anche a sopportare l’estremo isolamento vissuto dai trattenuti. Anche James rientra in questa categoria: «Ho iniziato a prendere il mio farmaco circa sette anni fa. Mi aiuta con l’ansia e la depressione ed è molto importante per me».

    https://www.youtube.com/watch?v=uvLLcBSpigg

    Come si gestisce la sicurezza nei centri

    Marzo 2022: l’emittente neozelandese Maori Television mostra video di detenuti di un centro di Serco contusi e sanguinanti legati con una cerniera ai mobili di una sala da pranzo. «Se quelle guardie avessero fatto quello che hanno fatto ai detenuti fuori dal centro di detenzione, sarebbe stato considerato un crimine. Ma poiché si tratta di sicurezza nazionale, è considerato appropriato. E questo non va bene», spiega l’avvocata di migranti e detenuti “501” Filipa Payne a IrpiMedia. “Quelle guardie” sono agenti di sicurezza scelti da Serco su mandato dell’Australian Border Force.

    Anche gli addetti alla sicurezza, in Australia, sono gestiti dal privato e non dalle forze dell’ordine nazionali. Serco precisa che prima di iniziare a operare, seguono un corso di nove settimane che comprende «gestione dei detenuti, consapevolezza culturale, supporto psicologico, tecniche di allentamento dell’escalation, controllo e contenzione». Al team si aggiunge una squadra di risposta alle emergenze, l’Emergency Response Team (ERT), che agisce nei casi più complessi. Sono «agenti appositamente addestrati a gestire le situazioni il più rapidamente possibile per evitare l’escalation degli incidenti», afferma la società via mail. Secondo gli attivisti userebbero delle pratiche discutibili: «Le braccia vengono sollevate dietro la schiena, la persona viene gettata a terra, messa in ginocchio e ammanettata da dietro da diversi membri del personale».

    I Centri di permanenza per il rimpatrio (Cpr) in Australia e in Italia, un confronto

    Dal 2018 a marzo 2023 sono stati registrati quasi 800 episodi di autolesionismo, secondo Serco usati come «arma di negoziazione» nei vari centri gestiti dalla società, e 19 morti. Sarwan Aljhelie, un rifugiato iracheno di 22 anni, è deceduto al suo quarto tentativo di suicidio riaprendo il tema della sorveglianza e del supporto mentale alle persone trattenute. Circa tre settimane prima era stato trasferito senza preavviso dal centro di Villawood a quello di Yongah Hill, nei pressi di Perth, a più di tremila chilometri di distanza dalla sua famiglia e dai suoi tre figli. Mohammad Nasim Najafi, un rifugiato afghano, avrebbe invece lamentato problemi cardiaci per due settimane, secondo alcuni suoi compagni, prima di morire per un sospetto infarto.

    In Australia, Serco continua comunque a gestire tutti i sette centri di detenzione attivi e, nonostante il calo del fatturato del 5% – da 540 a 515 milioni di euro – segnalato nel rapporto di metà anno, la compagnia ha annunciato di essere «lieta di aver prorogato il contratto per la gestione delle strutture di detenzione per l’immigrazione e i servizi per i detenuti fino al dicembre 2024». «Siamo fortemente impegnati a garantire un ambiente sicuro e protetto per i detenuti, i dipendenti e i visitatori. I nostri dipendenti si impegnano a fondo per garantire questo obiettivo, spesso in circostanze difficili», scrive la società.

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    La storia di Joey

    Joey Tangaloa Taualii è arrivato in Australia dall’isola di Tonga nel 1975 con i suoi genitori. Oggi ha 49 anni, 12 figli e 5 nipoti, ma è rinchiuso dall’inizio del 2021 nel Melbourne Immigration Detention Centre (MIDC), uno dei sette centri di detenzione per persone migranti gestiti da Serco in Australia. Il suo profilo rientra nella categoria dei detenuti 501, come James.

    La riforma è arrivata quando Joey era appena entrato in carcere dopo una condanna a otto anni per aver aggredito, secondo quanto racconta, un membro di una banda di motociclisti nel 2009. Nonostante viva in Australia da 48 anni, non ha mai ottenuto la cittadinanza, credendo erroneamente che il suo visto permanente avesse lo stesso valore. Ora è in attesa di sapere se potrà tornare dalla sua famiglia ma non ha garanzie su quanto tempo potrà passare recluso.

    «È un posto costruito per distruggerti», dice. Dopo quasi tre anni nel MIDC è diventato difficile anche trovare un modo per passare il tempo. Le attività sono così scarne da sembrare concepite per «bambini» e non c’è «nulla di strutturato, che ti aiuti a stimolare la mente», racconta. Joey preferisce restare la maggior parte del tempo all’interno della sua stanza ed evitare qualsiasi situazione che possa essere usata contro di lui per influenzare il riottenimento del visto. «Ci sono persone deportate in altri continenti, che non hanno famiglia, e allora scelgono di tentare il suicidio», afferma, pensando alla possibilità di essere rimpatriato a Tonga. Parla dalla sua stanza con l’occhio sinistro bendato. La sua parziale cecità richiederebbe un intervento, che sostiene di stare aspettando da due anni.

    L’ultima speranza risiede nella bontà del governo, di solito più aperto verso le persone che vivono in Australia da diversi anni. Per quello, però, ci sarà da aspettare e non si sa per quanto tempo ancora: «Ho frequentato l’asilo, le scuole elementari e le scuole superiori in Australia, i miei genitori sono stati nella stessa casa per 45 anni a Ringwood, dove siamo cresciuti giocando a calcio e a cricket e abbiamo pagato le tasse. Questo è il motivo per cui i 501 si sono suicidati e sono stati deportati. Le nostre lacrime e le nostre preghiere non cadranno nel vuoto».
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    https://irpimedia.irpi.eu/cprspa-serco-ors-multiservizi-globale
    #Serco #ORS #asile #migrations #réfugiés #rétention #détention_administrative #business #privatisation #Italie #Rupert_Soames #Yarl’s_Wood #Australie #Christmas_island #UK #Angleterre #Brook_House #Derwentside

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    ajouté au fil de discussion sur la présence d’ORS en Italie :
    https://seenthis.net/messages/884112

    lui-même ajouté à la métaliste autour de #ORS, une #multinationale #suisse spécialisée dans l’ « #accueil » de demandeurs d’asile et #réfugiés :
    https://seenthis.net/messages/802341

  • #Gaza, les hantises du #génocide

    S’il faut être prudent sur la #qualification définitive de génocide, et qu’il faut être conscients que ce terme, malgré les détournements, est avant tout juridique et non pas politique, une question doit se poser aujourd’hui : « assistons-nous à un nouveau génocide ? »

    Le 16 novembre 2023, 33 experts onusiens ont signé une déclaration appelant à une réaction internationale urgente et évoquant que « les graves violations commises par Israël contre les Palestiniens au lendemain du 7 octobre, notamment à Gaza, laissent présager un génocide en devenir ». Cette position de l’#ONU sur la question d’un génocide n’est pas inédite.

    Le 2 novembre, le rapporteur spécial sur les territoires palestiniens occupés alertait déjà sur le risque de génocide. Si le mot n’est plus tabou pour qualifier ce que subit la population de Gaza, sa #définition_juridique internationale (fixée par la #Convention_sur_le_génocide et par le #Statut_de_Rome sur la CPI) commande une certaine prudence. Malgré cela, la question d’un génocide à Gaza se pose avec gravité et acuité eu égard aux circonstances de l’offensive militaire israélienne à Gaza.

    La notion de génocide est une #catégorie_juridique complexe qui a évolué au fil du temps pour devenir l’un des #crimes les plus graves de nos ordres juridiques. Il est imprescriptible et plusieurs États se reconnaissent une compétence universelle pour instruire et juger de tels agissements.

    Ce concept a, évidemment, des origines historiques importantes. En combinant les mots grec « genos » (peuple) et latin « cide » (tuer), le juriste polonais #Raphael_Lemkin en 1944 a voulu décrire et caractériser les atrocités commises pendant la Seconde guerre mondiale, en particulier l’Holocauste, qui a vu l’extermination systématique de millions de Juifs par le régime nazi. #Lemkin a plaidé pour la reconnaissance légale de ces crimes et a joué un rôle clé dans l’élaboration de la Convention pour la prévention et la répression du crime de génocide, adoptée par les Nations Unies en 1948.

    Cette Convention, communément appelée la « Convention sur le génocide », est l’instrument juridique principal qui définit le génocide dans le #droit ^_international en définissant en son article 2 le génocide comme : « Tout acte commis dans l’intention de détruire, en tout ou en partie, un groupe national, ethnique, racial ou religieux, en tant que tel. ».

    De cette définition ressortent plusieurs éléments clefs : la question des actes commis, du groupe spécifiquement visé et celui de l’#intention_génocidaire. Au regard des destructions, des bombardements nourris et aveugles notamment sur des camps de réfugiés, sur des écoles gérées par l’ONU servant d’abris aux civils, sur les routes censées être sûres pour permettre aux populations civiles de fuir, mais aussi de ce ratio calculé par des observateurs selon lesquels pour un membre du Hamas tué il y aurait 10 civils massacrés, il apparaît que les premiers critères de la définition sont potentiellement remplis.

    Reste la question décisive de l’intention génocidaire. Celle-ci suppose l’identification de textes, d’ordres, d’actes et de pratiques… En l’état, une série de déclarations d’officiels israéliens interpellent tant elles traduisent une déshumanisation des Palestiniens. Le 19 novembre, point d’orgue d’une fuite en avant en termes de déclarations, l’ancien général et dirigeant du Conseil de Sécurité National israélien, #Giora_Eiland, a publié une tribune dans laquelle il appelle à massacrer davantage les civils à Gaza pour faciliter la victoire d’Israël.

    Avant cela et suite à l’attaque du 7 octobre, le ministre israélien de la Défense, #Yoav_Galant, avait déclaré : « Nous imposons un siège complet à Gaza. Pas d’électricité, pas d’eau, pas de gaz, tout est fermé […] Nous combattons des #animaux_humains et nous agissons en conséquence ».

    Dans une logique similaire, le Premier ministre #Benjamin_Netanyahu a opposé « le peuple des lumières » à celui « des ténèbres », une dichotomie bien connue dans la rhétorique génocidaire. Récemment, le ministre israélien du patrimoine a déclaré : « Le nord de Gaza est plus beau que jamais. Nous bombardons et aplatissons tout (....) au lendemain de la guerre, nous devrions donner des terres de Gaza aux soldats et aux expulsés de Gush Katif ».

    Enfin, en direct à la radio, le même #Amichay_Eliyahu a déclaré qu’il n’était pas entièrement satisfait de l’ampleur des représailles israéliennes et que le largage d’une bombe nucléaire « sur toute la #bande_de_Gaza, la raser et tuer tout le monde » était « une option ». Depuis, il a été suspendu, mais sans être démis de ses fonctions …

    Au-delà de ces déclarations politiques, il faut apprécier la nature des actes commis. Si un « plan » génocidaire en tant que tel n’est pas exigé pour qualifier de génocidaire, une certaine #organisation et ‎une #préparation demeurent nécessaires. Une politique de #colonisation par exemple, le harcèlement criminel quotidien, la #détention_arbitraire de Palestiniens, y compris mineurs, peuvent laisser entendre la mise en place de ce mécanisme.

    La Cour pénale internationale a d’ailleurs déjà ouvert des enquêtes sur ces faits-là avec des investigations qui ne progressent cependant pas notamment car Israël conteste à la Cour – dont il n’est pas membre – toute compétence. Actuellement, les pénuries impactant notamment des hôpitaux, le refus ou la limitation de l’accès de l’aide humanitaire et évidemment les #bombardements_indiscriminés, sont autant d’éléments susceptibles de matérialiser une intention génocidaire.

    Un positionnement politique pour une caractérisation juridique

    Le silence de nombreux pays est assourdissant face à la situation à Gaza. Il suffit de lire le communiqué du Quai d’Orsay sur le bombardement du camp de réfugiés Jabaliya : « La France est profondément inquiète du très lourd bilan pour les populations civiles palestiniennes des frappes israéliennes contre le camp de Jabaliya et exprime sa compassion à l’égard des victimes ».

    Aucune condamnation et, évidemment, aucune mention de la notion de génocide ni même de #crimes_de_guerre ou de #crime_contre_l’Humanité. Cela s’explique en partie par le fait que la reconnaissance du génocide a d’importantes implications juridiques. Les États signataires de la Convention sur le génocide sont tenus de prévenir et de réprimer le génocide sur leur territoire, ainsi que de coopérer entre Etats ainsi qu’avec la Cour pénale internationale pour poursuivre et punir les auteurs présumés de génocide.

    Ainsi, si un État reconnaît la volonté génocidaire d’Israël, il serait de son devoir d’intervenir pour empêcher le massacre. À défaut d’appel à un #cessez-le-feu, le rappel au respect du droit international et l’exigence de « pauses humanitaires » voire un cessez-le-feu par les Etats-Unis ou la France peuvent aussi s’interpréter comme une prévention contre une éventuelle accusation de complicité…

    S’il faut être prudent sur la qualification définitive de génocide, et qu’il faut être conscients que ce terme, malgré les détournements, est avant tout juridique et non pas politique, une question doit se poser aujourd’hui, « assistons-nous à un nouveau génocide ? » et si la réponse est « peut-être », alors il est du devoir des États signataires de la Convention de prévention des génocides de tout faire pour empêcher que le pire advienne.

    https://blogs.mediapart.fr/collectif-chronik/blog/221123/gaza-les-hantises-du-genocide
    #mots #vocabulaire #terminologie #Israël #7_octobre_2023

  • ZORN
    https://www.lesfilmsdelatalante.fr/zorn
    #Youpi, Amalric présente l’ensemble au Mans le 27 nov

    Depuis 2010, Mathieu Amalric filme seul, avec sa caméra et ses micros, le musicien new-yorkais John Zorn.
    Saxophoniste, compositeur, improvisateur, explorateur indéfinissable, du jazz au quatuor à cordes, du noise au klezmer, de l’easy listening à l’orgue d’église, cartoon, oud électrique, soprano d’opéra ou chœur de femmes, Zorn nous embarque dans un voyage musical sans fin... (un Zorn IV est en route). Trois films, aux prismes volontairement différents, avec leurs constellations de musiciens, d’amitiés, de travail et d’énergies sonores. Mat

    C’est la première fois qu’ils sont projetés ensemble, au cinéma, en dehors des concerts de Zorn.

  • ★ Mon camp ? C’est celui des peuples contre tous les tyrans – Blog YY

    Non, les assassins, de part et d’autre, ne valent pas mieux les uns que les autres, en tenue kaki ou pas, peu importe.
    Non, les victimes civiles, de part et d’autre, ne valent pas moins les unes que les autres, quelle que soit leur origine, leur religion et leur couleur de peau.
    Un enfant est un enfant, de Gaza aux kibboutz voisins et de Marioupol à Khartoum.
    Depuis la nuit des temps, les humains se font la guerre parce que d’autres les poussent à cela : chefs politiques et religieux, ces mêmes qui décident de nos vies, qui écrivent les lois et qui nous divisent avec des frontières et nous poussent à la haine.
    Je n’ai pas plus de respect pour le Hamas que pour l’extrême-droite au pouvoir en Israël. Tous me donnent pareillement envie de vomir (...)

    #Palestine #Gaza #Israël...
    #anarchisme #émancipation
    #dominants #dominés #Paix #Liberté #Justice #YannisYoulountas

    http://blogyy.net/2023/11/11/mon-camp-cest-celui-des-peuples-contre-tous-les-tyrans

  • Pantouflages et conflits d’intérêts : à Lyon, la santé mentale dans tous ses états
    https://www.blast-info.fr/articles/2023/pantouflages-et-conflits-dinterets-a-lyon-la-sante-mentale-dans-tous-ses-

    En débauchant deux hauts fonctionnaires de l’ARS Auvergne-Rhône-Alpes, le réseau de cliniques psychiatriques privés Ykoe a-t-il bénéficié de la mansuétude du directeur de l’agence régionale de santé, puis de celle des autorités ? Blast pose les termes de l’équation et livre les dessous d’une affaire sur laquelle le Parquet national financier (#PNF) se penche depuis des mois. [en attendant de classer le dossier]

    [...]

    Le Graal des arrêtés d’ouverture

    Pour les entreprises de santé privées, la course à l’ouverture de nouveaux établissements est une idée fixe, et un business rentable quand celle-ci est validée. Par conséquent, décrocher un #arrêté_d’ouverture est une sorte de Graal, difficile à obtenir bien que gratuit, mais promesse d’une manne financière. C’est particulièrement vrai dans le domaine de la #psychiatrie.

    Selon les derniers rapports de la direction de la recherche, des études, de l’évaluation et des statistiques (la Drees), les #cliniques de soins psychiatriques affichent un taux de #rentabilité bien supérieur de celles spécialisées en chirurgie ou en obstétrique – deux domaines pourtant réputés rémunérateurs : il s’établit à 8%.

    Ce marché, très lucratif - la fédération hospitalière privée psy (FHP PSY) annonce un milliard d’euros de chiffre d’affaires pour 2022 -, promet de prospérer encore : l’Organisation mondiale de la santé (l’OMS) estime que 13 millions de Français souffrent de troubles psychiques.

    C’est donc dans ce contexte - celui d’intérêts financiers importants et d’appétits particulièrement aiguisés - que Jean-Yves Grall [directeur de l’#ARS Aura] signe en avril 2017 deux de ces précieux sésames, délivrés pour l’ouverture de deux établissements Psy Pro. Une marque et une filiale du groupe Clinipsy, fondé à Lyon en 2008 par le psychiatre Laurent Morasz. Mais, surprise, quelques mois plus tard, une fonctionnaire de l’ARS rejoint le groupe privé. En 2020, Céline Vigné en est même nommée directrice générale. Avant, deux ans plus tard, en 2022, de retourner dans le secteur public, cette fois aux Hospices civils de Lyon.

    Potentiellement, ce ping-pong, par sa seule nature, a déjà en soi de quoi allumer une petite lumière orange d’alerte. Mais celle-ci menace carrément de passer au rouge quand on découvre que la fonctionnaire était avant son passage chez Clinipsy directrice de l’offre de soins de l’ARS. Autrement dit c’est elle qui s’est chargée... de l’exécution des arrêtés d’ouvertures d’avril 2017.

    En 2019 rebelote, un schéma quasi similaire se reproduit : trois nouveaux arrêtés sont délivrés par l’ARS, à nouveau au bénéfice de #Clinipsy. Trois visas qui permettent notamment l’ouverture de l’Institut de l’enfant, de l’adolescent et du jeune adulte (IEAJA).

    Sur les trois arrêtés, l’un est directement signé par le directeur Jean-Yves Grall, les deux autres portent le paraphe de son adjoint. Un proche qui l’a suivi une bonne partie de sa carrière, de l’ARS Hauts-de-France jusqu’à Lyon : Serge Morais. Fin 2021 pourtant, le haut fonctionnaire choisit de suspendre ce long compagnonnage et de quitter la sphère publique pour rejoindre #Ykoe. Le nouveau... nom de Clinipsy (lire en encadré : Un Masson chez Clinipsy). Un choix dont il n’a en tout cas pas à se plaindre. En 2022, Serge Morais devient président du groupe nouvellement renommé, et actionnaire minoritaire.

    [...]

    [#Jean-Yves_Grall] L’homme qui a délivré sous sa signature une partie de ces Graal n’est pas le premier venu, en effet. Ancien directeur général de la santé, président du collège des directeurs d’ARS jusqu’à sa nomination à la Haute autorité de la santé (#HAS) en avril 2023, le cardiologue a tous les attributs du mandarin hospitalier, entregent politique inclus. Souvent présenté comme son fils spirituel, l’ancien ministre de la Santé Olivier Véran l’a élevé au grade d’officier de la légion d’honneur en 2021. Son successeur François Braun, connu du temps où Grall dirigeait l’ARS de Lorraine, l’a propulsé ensuite à la HAS. Et Raymond Le Moign, l’actuel directeur de cabinet d’Aurélien Rousseau, ministre en poste, a longtemps dirigé les Hospices civils de Lyon… après avoir cosigné plusieurs articles scientifiques avec le Dr Grall.

    de l’expertise publique à l’actionnariat privé, voilà un parcours de réussite

    #santé_publique #privatisation #pantouflage #entreprises_de_santé_privés

  • 📦𝗔𝗿𝗲 𝘆𝗼𝘂 𝗶𝗻 𝗻𝗲𝗲𝗱 𝗼𝗳 𝘁𝗼𝗽-𝗻𝗼𝘁𝗰𝗵 𝗽𝗮𝗰𝗸𝗮𝗴𝗶𝗻𝗴 𝗮𝗻𝗱 𝗹𝗮𝗯𝗲𝗹𝗶𝗻𝗴 𝘀𝗲𝗿𝘃𝗶𝗰𝗲𝘀 ? Look n...
    https://www.facebook.com/WellAliments/posts/pfbid0epxLMsaJQ193qoFEM6E9XDMtA7h5oe1GpMM81c5hUhDFSVkmZixdJTbudouj3si4l

    📦𝗔𝗿𝗲 𝘆𝗼𝘂 𝗶𝗻 𝗻𝗲𝗲𝗱 𝗼𝗳 𝘁𝗼𝗽-𝗻𝗼𝘁𝗰𝗵 𝗽𝗮𝗰𝗸𝗮𝗴𝗶𝗻𝗴 𝗮𝗻𝗱 𝗹𝗮𝗯𝗲𝗹𝗶𝗻𝗴 𝘀𝗲𝗿𝘃𝗶𝗰𝗲𝘀? Look no further! At #WellAliments LLC, we offer a wide range of packaging, labeling, and designing services, all in compliance with FDA and other regulatory authorities’ guidelines. Your product’s presentation is our priority, and we ensure it’s nothing short of exceptional. 🏷️ Visit our website to explore our private labeling services: https://wellaliments.com/private-labeling #Packaging #Labeling #Designing #FDACompliance #PackagingSolutions #ProfessionalLabeling #InnovativeDesigns #QualityPackaging #YourProductOurPriority

  • La résistance dans le ghetto de Minsk (1941-1943)

    Autour de la conférence de Masha Cerovic organisée le vendredi 17 novembre à 20h15 à l’UPJB

    Les troupes allemandes ont occupé Minsk, capitale de la Biélorussie, le 28 juin 1941. Un ghetto a été créé le 18 juillet. Il y a alors environ 100 000 Juifs à Minsk : une partie d’entre eux y vivaient déjà avant 1939, d’autres étaient des réfugiés venus après le partage de la Pologne entre Hitler et Staline en 1939. La collaboration entre « Occidentaux » et « Orientaux » sera un des facteurs qui expliquent l’extraordinaire résistance des Juifs de Minsk.

    Les « Occidentaux » ont l’expérience du travail politique clandestin en Pologne. Ils sont sans illusion sur Hitler. Les « Orientaux » ont été démoralisés par le pacte germano-soviétique. Ils sous-estiment complètement le danger mais ils apportent de précieuses relations avec la résistance soviétique à Minsk et dans les forêts.

    https://entreleslignesentrelesmots.wordpress.com/2023/11/08/la-resistance-dans-le-ghetto-de-minsk-1941-194

    #histoire #yiddishland

  • What Palestinians Really Think of Hamas – Foreign Affairs, 25/10/2023
    https://www.arabbarometer.org/wp-content/uploads/what-palestinians-really-think-of-hamas-2023-10-26-08-4941.pdf

    Before the War, Gaza’s Leaders Were Deeply Unpopular—but an Israeli Crackdown Could Change at

    The argument that the entire population of Gaza can be held responsible for Hamas’s actions is quickly discredited when one looks at the facts. Arab Barometer, a research network where we serve as co-principal investigators, conducted a survey in Gaza and the West Bank days before the Israel-Hamas war broke out. e ndings, published here for the rst time, reveal that rather than supporting Hamas, the vast majority of Gazans have been frustrated with the armed group’s ineective governance as they endure extreme economic hardship. Most Gazans do not align themselves with Hamas’s ideology, either. Unlike Hamas, whose goal is to destroy the Israeli state, the majority of survey respondents favored a two- state solution with an independent Palestine and Israel existing side by side.

    Continued violence will not bring the future most Gazans hope for any closer. Instead of stamping out sympathy for terrorism, past Israeli crackdowns that make life more dicult for ordinary Gazans have increased support for Hamas. If the current military campaign in Gaza has a similar eect on Palestinian public opinion, it will further set back the cause of long-term peace.

  • 29.10.2023 : #Briançon : un corps retrouvé dans la #Durance

    Alors que les CRS effectuaient un secours en paroi ce dimanche matin, dans le secteur du #pont_d’Asfeld, à Briançon, ils ont été contactés pour un corps retrouvé dans la Durance.

    Un corps a été repêché ce dimanche 29 octobre au matin, dans la Durance, à Briançon, selon nos confrères de BFM DICI. Une information confirmée par une source proche du dossier.

    Une première alerte a été donnée par un témoin qui entendait des cris provenant d’une barre rocheuse en rive droite, au fond du parc de la Schappe, vers 8 heures. Les sapeurs-pompiers de Briançon se sont rendus en premier sur les lieux. Un homme, une personne migrante, était embarré. L’accès était difficile. Les pompiers ont donc fait appel aux secouristes en montagne. Une équipe de CRS de Briançon a effectué le sauvetage en paroi à bord de l’hélicoptère de la section aérienne de gendarmerie. L’homme a vraisemblablement passé une partie de la nuit, bloqué ici. Il a été transporté au centre hospitalier des Escartons. Son pronostic vital n’était pas engagé.

    Les sapeurs-pompiers ont ensuite mené une reconnaissance le long de la berge afin de vérifier si d’autres personnes étaient en danger. Des passants ont alors alerté les secours après avoir découvert un corps dans la Durance, vers l’entrée du parc de la Schappe. Ce dernier a été fermé pendant plusieurs heures, le temps de l’intervention.

    Une enquête a été ouverte afin de connaître les circonstances du décès et identifier la victime. Elle est confiée au commissariat de police de Briançon. Les enquêteurs cherchent notamment à déterminer s’il existe un lien entre les deux personnes, si elles se connaissaient, si elles sont venues ensemble, ou non.

    https://www.ledauphine.com/faits-divers-justice/2023/10/29/briancon-un-corps-retrouve-dans-la-durance

    #frontière_sud-alpine #asile #migrations #réfugiés #morts_aux_frontières #Hautes-Alpes #mourir_aux_frontières #frontières #Italie #France #Briançonnais

    –—

    ajouté au fil de discussion sur les morts à la frontière des Hautes-Alpes :
    https://seenthis.net/messages/800822

    lui-même ajouté à la métaliste sur les morts aux frontières alpines :
    https://seenthis.net/messages/758646

    • Briançon : le corps sans vie d’un homme retrouvé dans la Durance

      Les secours étaient en train de porter secours à un migrant, quand ils ont aperçu ce corps en contrebas des lieux. Une enquête est en cours pour tenter d’identifier la victime.

      Le corps sans vie d’un homme a été retrouvé dans la matinée de ce dimanche 29 octobre dans la Durance à Briançon, à proximité du parc de la Schappe, a appris BFM DICI.

      La CRS des Alpes a d’abord été appelée pour secourir un homme en difficulté au-dessus du parc sur une barre rocheuse près du pont d’Asfeld. L’individu a été héliporté sans difficulté et immédiatement transporté vers le centre hospitalier de Briançon pour des soins. Selon les premières constations, il s’agit d’un migrant.

      Une enquête ouverte

      C’est lors de cette intervention qu’un corps a été aperçu en contrebas des lieux.

      « Impossible à cette heure de savoir si les deux personnes étaient ensemble et si la victime retrouvée décédée est un migrant », avance, prudente, une source qui suit ce dossier de près.

      Une enquête judiciaire est ouverte pour tenter d’identifier la victime et de préciser les circonstances de sa mort.

      Le mercredi 4 octobre dernier, un homme avait déjà été secouru par le peloton de gendarmerie de haute montagne (PGHM) de Briançon dans ce même secteur par hélitreuillage.

      Le samedi 14 octobre, c’est le corps sans vie d’un migrant qui avait été repêché cette fois-ci dans la Cerveyrette avant le pont Baldy. L’autopsie avait confirmé la noyade de la victime.

      https://www.bfmtv.com/bfm-dici/briancon-le-corps-sans-vie-d-un-homme-retrouve-dans-la-durance_AN-20231029025

    • Une traque meurtrière raciste de la police cette nuit, #rassemblement ce soir

      Dans la nuit du 28 au 29 octobre, la police a traqué un groupe de 4 personnes parti de Clavière vers 13h. Après une course poursuite, 2 d’entre eux ont été arrêtés en possession des deux seuls téléphones du groupe, tandis que les 2 autres se sont retrouvés seuls et perdus dans la montagne, traqués par la police.
      Après s’être cachés pendant des heures, ils ont fini par rejoindre le chemin près du pont d’Asfeld aux alentours de 1h du matin, où ils sont tombés de la falaise. L’un s’est noyé dans la rivière devant les yeux de son ami qui est resté accroché à un rocher jusqu’à l’intervention des secours vers 8h du matin.

      A Briançon, rassemblement ce soir lundi 30 octobre au Champ de mars à 17h.

      16h06. 🏔️ Personne ne doit mourir à la frontière ! Rassemblement ce soir à 19h30 place Guichard pour ne pas laisser tomber dans l’oubli tous ces meurtres racistes et dénoncer les politiques assassines de l’Europe forteresse

      🏔️Personne ne doit mourir à la frontière !
      ⚠️Rassemblement spontané- non déclaré ce soir 19h30 - place Guichard
      ❌ L’Etat néocolonial et raciste, armé de sa police aux frontières a encore traqué et poussé à la mort 1 jeune exilé, qui a été retrouvé noyé dans la Durance, comme Blessing Mathew avant lui.
      🏔️Le 14 octobre dernier, un autre exilé était retrouvé sans vie, comme des dizaines depuis 2018.
      ❌ Ni oubli Ni pardon !
      🕯️Retrouvons-nous avec pancartes/bougies/lampes frontales ce soir, pour ne pas laisser tomber dans l’oubli tous ces meurtres racistes et pour dénoncer les politiques assasines de l’Europe Forteresse.
      🔥Feu aux frontières !

      20h06. Ni oubli ni pardon. Pour cet homme, pour Blessing Mathew et tous les autres.

      20h20. Et mur par mur, et pierre par pierre, nous détruirons les centres de rétention. Feu aux frontières, feu à Frontex, feu à l’Europe forteresse.

      https://rebellyon.info/Briancon-Une-traque-meurtriere-raciste-de-25317
      #traque

    • Communiqué de Presse de Tous Migrants du 31 Octobre 2023

      Dans la nuit du 28 au 29 octobre, aux portes de Briançon, un homme a chuté d’une barre rocheuse dans la Durance où son corps sera retrouvé au matin. Une seconde personne qui l’accompagnait a été secourue, après avoir crié au secours pendant des heures.

      Comme nous le dénonçons inlassablement depuis 7 années, le passage de la frontière représente un risque mortel pour les personnes exilées en raison de la militarisation de la frontière au mépris de leur dignité et de leurs droits.
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      Malgré toutes nos alertes publiques, nos rapports documentant les atteintes aux droits, nos signalements au procureur, nos actions en justice, malgré également plusieurs victoires judiciaires dont la récente décision de la Cour de Justice de l’Union Européenne du 21 septembre confirmant l’illégalité des pratiques du gouvernement français en matière de contrôle et d’enfermement des personnes en migration aux frontières intérieures, la situation ne fait qu’empirer.

      Par exemple, la semaine dernière, une personne est tombée dans la Clarée, poursuivie par des policiers, après s’être cachée dans le col de l’Echelle, avoir vu ses compagnons de route arrêtés, dont une femme enceinte de 8 mois, et s’être perdue en haute-vallée vers les chalets de Laval. Cette personne a été repêché in extremis et emmené à l’hôpital par ces mêmes policiers.

      Après l’aide apportée aux régimes autoritaires des pays périphériques, et au rôle dévolu à l’agence européenne Frontex, militariser la frontière, utiliser la montagne en énième obstacle pour empêcher les personnes exilées d’arriver en France constituent une violence d’Etat. Ce ne sont pas des « migrants » sans âme ni existence, ce ne sont pas des individus « indésirables », ce ne sont pas des êtes « nuisibles » que notre pays rejette, mais des personnes, comme vous et nous, qui ont dû fuir leur pays. Ce sont des survivants.

      Le 28 octobre c’est Yusef qui perdait la vie. Depuis le 14 octobre il y a quelque part une famille qui attend avec anxiété des nouvelles de leur fils, frère, père, retrouvé noyé dans la Cerveyrette et toujours pas identifié. Le 7 août c’est Moussa qui est retrouvé mort à 2200 m d’altitude. Auparavant sept autres personnes ont péri dans nos montagnes : Blessing, Mamadi, Mohamed, Tamimou, Mohamed Ali, Fathallah, Ullah.

      Depuis la mise en place de cette politique illégale, illégitime, discriminatoire, démagogique, dangereuse et barbare, les souffrances et les morts s’additionnent, mais le gouvernement persiste et militarise toujours plus la frontière, pour un coût astronomique bien plus élevé que celui nécessaire à un accueil digne et respectueux du droit. La loi dite « Darmanin » en examen à partir du 6 novembre prévoit de durcir encore plus les conditions d’accueil, si ce mot a encore un sens au regard des conditions indignes infligées aux personnes exilées.

      Au nom de quoi ?

      Au nom de qui ?

      Nous ne sommes qu’en milieu d’automne, la neige est déjà présente en altitude et des températures négatives la nuit à Briançon sont annoncées.

      Nous appelons les autorités à respecter les droits fondamentaux, les forces de l’ordre à respecter la loi, et l’ensemble des citoyens à ne pas se laisser berner par les discours mensongers propagés au plus haut sommet de l’Etat.

      Nous appelons toutes les personnes révoltées comme nous, qui ne se résignent pas à considérer ces accidents comme une fatalité, à rejoindre les équipes de maraudes, à contacter les organisations solidaires de leur choix pour les renforcer, à dire haut et fort à nos côtés : Stop à la déshumanisation des personnes exilées, stop au racisme. Chaque vie compte. All lives matter.

      Un accueil digne est possible, une société plus équitable est nécessaire, et nous la construirons contre la haine, le racisme et la xénophobie.

    • Cronaca di un’altra morte annunciata. La frontiera continua ad uccidere.

      È una guerra contro ragazzi che hanno la colpa di cercare una terra in cui abitare e di aspirare a una vita dignitosa.

      Nella notte tra il 27 e 28 0ttobre 2023 un gruppo di 4 persone in cammino è stato intercettato dalla polizia, dopo che erano partiti nella notte da Claviere in direzione di Briançon. Dopo un primo tentativo di fuga, 2 sono stati fermati e gli altri 2 si sono ritrovati soli e privi di orientamento nella montagna, senza i telefoni. Dopo essersi nascosti hanno vagato per la montagna ritrovando la direzione solamente verso l’una del mattino del 29 ottobre 2023, costeggiando una falaise ormai prossima a Briançon. Youssef non ce l’ha fatta ed è precipitato per decine di metri e il suo corpo è stato ritrovato vicino al ponte Asfeld all’entrata della città. Il suo amico è rimasto tutta la notte aggrappato alla roccia, fino all’intervento del soccorso che lo ha riscattato verso le 11 del mattino.

      Il 14 ottobre un’altra persona in fuga era morta di frontiera, di cui però alla data attuale non conosciamo l’identità. Si è invisibili nella vita e poi anche nella morte. Il 7 di agosto altra vittima e in maggio 9 persone in cammino, salvate dal soccorso in quota, denunciano la presenza di un cadavere di cui descrivono nei particolari l’abito. Poi nessun riscontro se non la cortina di silenzio che accompagna queste morti

      Lo ripetiamo con rabbia e dolore: non è la montagna che uccide ma il sistema di frontiera; i morti nel Mediterraneo, a Cutro, a Pylos, nel Maghreb, in Libia e Tunisia, a Ventimiglia e sulle Alpi sono il risultato di una stessa pianificata politica dell’orrore.

      La militarizzazione della frontiera, la sospensione di Schengen, la caccia all’uomo di giorno e di notte da parte della Polizia di Frontiera, della Gendarmerie e dei militari di sentinella non fermano i flussi, ma producono morte. Le persone sono sempre più costrette a scegliere vie impervie e in quota mettendo a rischio la propria vita, oggi e ancor di più nei prossimi mesi con la neve e le temperature rigide.

      Denunciamo le responsabilità di questo disumano sistema sicuritario di frontiera, che semina morte in ogni dove.

      Denunciamo il trattamento sempre più violento della polizia in frontiera.

      Chiediamo che cessino le prassi illegali che non permettono alle persone di chiedere asilo e che cessino i respingimenti collettivi.

      Chiediamo che vengano rispettati i diritti e l’incolumità di uomini, donne e bambini.

      https://onborders.altervista.org/cronaca-di-unaltra-morte-annunciata-la-frontiera-continua-ad-u

    • Le corps découvert dans la Durance a été identifié comme étant celui d’un jeune Tchadien

      Son corps avait été découvert dans la Durance à Briançon le 29 octobre dernier. Le jeune homme, mort noyé dans la rivière après une chute depuis des falaises, a été formellement identifié comme étant #Yusef, un Tchadien âgé d’une trentaine d’années.

      https://www.ledauphine.com/societe/2023/11/28/le-corps-decouvert-dans-la-durance-a-ete-identifie-comme-etant-celui-d-u

  • من فمهم نُدينهم.. محللٌ إسرائيليٌّ : الأغلبية الساحقة حتى من (اليسار) تُريد تصعيد الحرب.. النزعة الفاشيّة سيطرت وباتت الموقف السائد الوحيد والرأي الآخر يُقمَع.. حماس ليست نازيّةً.. الإعلام العبريّ : دمِّروا غزّة نهائيًا | رأي اليوم
    https://www.raialyoum.com/%d9%85%d9%86-%d9%81%d9%85%d9%87%d9%85-%d9%86%d9%8f%d8%af%d9%8a%d9%86%d9%8

    A part le chapô, il s’agit pour l’essentiel de la reprise en arabe d’un article du Haaretz sur la gauche israélienne, l’opinion publique et Gaza.

    بات الإعلام العبريّ على مختلف مشاربه كاثوليكيًا أكثر من بابا روما وصهيونيًا أكثر من هرتسل، وأصبح رأس الحربة في عملية تحريض منهجيّة وشيطنة الفلسطينيين واستئساد على الأمّة العربيّة، دون كوابح أوْ جوامح، ورغم الرقابة العسكريّة الصارمة المفروضة، فإنّ الإعلام عينه يفرض على نفسه رقابةً لخدمة الرواية الإسرائيليّة الرسميّة.

    وعلى الرغم من ذلك، بقي المُحلِّل اليساريّ في صحيفة (هآرتس) العبريّة الصوت الوحيد، الذي ما زال يُغرِّد خارج السرب، فقد نشر مقالاً أشار فيه إلى أنّ “هجوم حماس المباغت قلب اليسار الإسرائيليّ رأسًا على عقب، ليصبح غير مبالٍ بالجرائم الوحشية التي تحدث في قطاع غزة، بل حتى إنّ الأغلبية تريد تصعيد الحرب“.

    وأضاف: “من الآن فصاعدًا، يسمح لإسرائيل بفعل أيّ شيءٍ لغزة، وسيعطي اليسار حتى مباركته، كما يمنع حتى التعاطف مع سكان غزة“.

    وأضاف أنّ “اليساريين، كانوا أوّل مَنْ فقدوا صوابهم وعادوا إلى رشدهم، وبات أولئك الذين قبل الحرب خرجوا بعزم للدفاع على الديمقراطية الآن يعرقلونها بأيديهم. ويتبنى أولئك الذين قبل الحرب اعتبروا أنفسهم ليبراليين، أشخاصًا محبين للسلام وحقوق الإنسان، الآن لا يبالون بالجرائم في غزة“.

    وتابع: “لماذا؟ لأنهم ارتكبوا فظائع ضدنا. إلى متى؟ حتى النهاية. بكم التكلفة؟ بأيّ ثمنٍ. وأضحى اليسار يفكر الآن في غزة تمامًا كما يفكر اليمين، ويعتقد أنّ الخيار الوحيد يتمثل في عدم التوقّف عن توجيه الضربات“.

    علاوة على ذلك أوضح أنّه “في الوقت الراهن، يعتقد الذين قللوا قبل الحرب من أهمية التعامل مع نظام الفصل العنصري ومصير الشعب الفلسطيني، أنّ اللعنة عليها أنْ تصيب الجميع، ويقولون فليخسأ الخاسئون، دعهم جميعًا يختنقون ويموتون ويُطردون، أولئك الذين قبل الحرب اعتبروا أنفسهم يتسِّمون بالوعي باتوا يدعمون توافق الآراء حول مصير غزة“.

    وقال إنّ “قلب اليسار ظل متحجرًا رغم مقتل أكثر من 2360 طفلا في غزة بحسب وزارة الصحة الفلسطينية، وقد كان اليسار مع بداية كلّ حربٍ مؤيدًا لها، قبل أنْ يصحو ويعود إلى رشده، ولكن يبدو ذلك غير مرجح هذه المرة“.

    وشدّدّ المُحلِّل على أنّ “الوضع الآن أسوأ خارج أروقة اليسار، فلقد انتشرت النزعة الفاشيّة على جميع المستويات وباتت هي الموقف السائد الوحيد. وساندت محطات التلفزيون المحلية أجندة القناة 14 التي تفيد أنّه عندما يتعلق الأمر بغزة، لا يوجد أي اختلاف، ويطلق المراسلون والمذيعون على حماس اسم النازيين في عرضٍ مقززٍ لتقليل أهمية الهولوكوست والإنكار، والجماهير تصفق على ذلك، ومن المحتمل أنّ حماس فعلت أشياء مشينة، ولكنها ليست نازيةً“.

    وذكر أنّ أيّ رأيٍ آخرٍ مخالفٍ الآن يُحكم بالقمع، ولقد تحدث الأمين العام للأمم المتحدة أنطونيو غوتيريش بصدق وشجاعة عن سياق الفظائع التي ارتكبت في 7 تشرين الأول (أكتوبر)، وسارع إلى التأكيد أنه لا يوجد شيء يمكن أن يبرر الهجمات المروعة التي ارتكبتها حماس، وردت إسرائيل بهجوم مسعور على غوتيريش، ضخمته وسائل الإعلام.

    وأوضح كاتب المقال أنّ “الشرطة احتجزت الممثلة ميساء عبد الهادي، من الناصرة، طوال الليل، بسبب منشورٍ على مواقع التواصل الاجتماعي لم ينتهك أيّ قانونٍ، وتقوم القنوات التلفزيونيّة الإسرائيليّة بإزالة أفلامها من أرشيف البث المباشر. عند مشاهدة كل هذه الإجراءات، يمكن للمرء أنْ يعتقد أنّ المكارثية بحدّ ذاتها كانت شعرت بالخزي ممّا يحدث في الوقت الحالي“.

    وأشار إلى أنّ “الأسيرة يوخيفيد ليفشيتس، التي أطلق سراحها، قدمت عرضًا مؤثرًا، واشتكى الصحفيون الرئيسيون لأنّها صرحت بالحقيقة. في السياق ذاته، كتب مستشار العلاقات العامة والشخصية المعروفة على شبكة الإنترنت راني رهاف وهو يشاهد فيديو الدمار في غزة: “هكذا يعجبني !!!” (مع كل علامات التعجب هذه)“.

    وأضاف أنّ “الصحفي تسفي يحزقيلي يحُثّ بدوره على تدمير غزة كلّ ليلة وقطاع غزة بأكمله، وترى زميلته في أخبار القناة 13، نتالي شيم طوف، أنّ الكثير من المباني لا تزال قائمة في غزة. وهذا هو الشرّ بعينه في مواجهة الكارثة في غزة، التي لا يكاد يطلع الإسرائيليون على فظائعها“.

    وخلُص المُحلِّل ليفي إلى القول “إسرائيل تمُرّ بفترةٍ عصيبةٍ تتميّز أبرز معالمها بهجمات حماس وفقدان الضمير والحكمة“.
    يُشار إلى أنّ وزير القضاء قدّم مشروع قانون بموجبه يتّم سحب الجنسيّة من فلسطينيي الداخل، الذين يؤيّدون حركة حماس، في ظلّ ارتفاع عدد المعتقلين من صفوفهم على هذه الخلفية.

  • #Rima_Hassan : « Nous subissons une #punition_collective »

    Pour Rima Hassan, juriste et fondatrice de l’Observatoire des camps de réfugiés, ce qui se passe à #Gaza est un « #carnage », qui relève d’une logique de « #génocide ». Elle dénonce le #cynisme de #Nétanyahou et la #récupération du #Hamas.

    Rima Hassan, 30 ans, est une Palestinienne dont toute la vie s’est déroulée en exil. Apatride jusqu’à ses 18 ans, aujourd’hui française, elle suit la guerre depuis la Jordanie, où elle séjourne actuellement pour une recherche à travers plusieurs pays sur les camps de réfugié·es palestinien·nes. Juriste autrice d’un mémoire de master en droit international sur la qualification du crime d’apartheid en Israël, dans une approche comparative avec l’Afrique du Sud, cette fondatrice de l’Observatoire des camps de réfugiés dénonce aujourd’hui un « génocide » et la #responsabilité d’#Israël dans la création du Hamas. Elle répond par téléphone à Mediapart samedi après-midi, alors que toutes les communications avec Gaza étaient coupées depuis la veille au soir.

    Mediapart : Qu’avez-vous comme informations sur ce qu’il se passe depuis vendredi soir à Gaza ?

    Rima Hassan : Les seules informations dont je dispose sont celles des journalistes d’Al Jazeera. C’est un carnage qui est en train de se passer. Jusqu’ici, l’#armée_israélienne prévenait tout de même avant de bombarder : #Tsahal larguait des centaines de petits coupons de papier sur la population gazaouie, pour avertir et donner quelques heures aux civils pour évacuer. Mais cette nuit-là, d’après Al Jazeera, il n’y a même pas eu d’annonce. Ce sont des #attaques_indiscriminées, par tous les moyens dont dispose l’armée israélienne. Il faudra mettre en perspective le nombre de responsables du Hamas tués par rapport au nombre de #victimes_civiles. D’après l’UNRWA, l’agence de l’ONU d’aide aux réfugiés palestiniens, 1,2 million de personnes de la bande Gaza ont par ailleurs déjà été déplacées.

    Ce qui se passe est inédit, paralysant, il est très compliqué de réfléchir. Depuis vendredi en fin de journée, on ne peut plus joindre personne dans la bande de Gaza.

    Comment qualifier les événements ?

    Cela relève du génocide. On n’a pas encore les chiffres précis, les Palestiniens ne sont plus en mesure de compter leurs morts. Ce vendredi 27 octobre était de toute façon une nuit sans précédent en termes d’intensification des #bombardements, dans l’un des territoires les plus densément peuplés au monde.

    Mais au-delà des morts, c’est tout ce qui entoure cette offensive qui caractérise le génocide : le fait de ne pas laisser de passages sûrs accessibles aux civils pour pouvoir fuir les combat, d’empêcher les humanitaires de passer, de ne pas prévenir les lieux qu’on cible, et le #blackout. En coupant toutes les communications, les autorités israéliennes veulent minimiser l’écho international de ce qui s’est passé dans la nuit de vendredi à samedi à Gaza. Je rappelle que 34 journalistes ont été tués dans le territoire depuis le 7 octobre.

    On fait tout pour concentrer une population sur un même espace, et précisément au moment où une résolution est adoptée à la majorité à l’ONU en faveur d’un cessez-le feu, on intensifie les bombardements, tout en bloquant tous les canaux de #communication : tout est mobilisé pour que les dégâts soient maximaux.

    Israël a tué bien plus à Gaza depuis le 7 octobre qu’au cours des vingt dernières années.

    Estimez-vous qu’il y a une intention génocidaire ?

    Il suffit d’écouter les déclarations des officiels israéliens. L’#animalisation du sujet palestinien est constante, de la même manière que les Juifs et les Tutsis étaient comparés à des animaux. Toutes les catégories des groupes ayant fait l’objet de #massacres ont été déshumanisées dans le but de justifier leur exclusion de la communauté humaine ; c’était un préalable à leur #extermination. « Nous combattons des #animaux_humains », a dit le ministre israélien de la défense #Yoav_Gallant le 9 octobre…

    Les médias israéliens répandent en outre l’idée qu’il n’y a pas d’innocents à Gaza : les civils tués sont assimilés au Hamas, à des terroristes – dans ces circonstances, un #dommage_collatéral n’est pas très grave. Les propos tenus sont sans ambiguïté : « #incinération_totale », « Gaza doit revenir à Dresde », « annihiler Gaza maintenant », etc. Voilà ce qu’a pu dire jeudi #Moshe_Feiglinun, ancien membre de la Knesset, sur un plateau télé.

    On a entendu dire également par #Benyamin_Nétanyahou que les Palestiniens pouvaient être accueillis dans le #Sinaï [territoire égyptien frontalier d’Israël et de la bande de Gaza – ndlr], ce qui renvoie, là aussi, à une logique de #disparition : c’est une population indésirable que l’on souhaite exclure.

    Toute cela s’inscrit dans une logique colonialiste de la part d’Israël, depuis sa création. Depuis longtemps on observe, chez les officiels israéliens, une constante à déshumaniser les Palestiniens, qui, bien avant le 7 octobre 2023, ont été comparés à des #cafards ou à des #sauterelles. « Les Palestiniens seront écrasés comme des sauterelles (…) leurs têtes éclatées contre les rochers et les murs », disait le premier ministre israélien #Yitzhak_Shamir en 1988. « Lorsque nous aurons colonisé le pays, il ne restera plus aux Arabes qu’à tourner en rond comme des cafards drogués dans une bouteille », avait déclaré le chef d’état-major #Raphael_Eitan en 1983 d’après le New York Times.

    Les massacres du 7 octobre ont été perçus comme quelque chose d’explosif. En termes de vies civiles perdues, c’est sans précédent. Mais il faut rappeler que cela s’inscrit dans un #conflit_colonial_asymétrique, où les #réfugiés_palestiniens ont vu l’abolition de leur #droit_au_retour, où les Palestiniens de #Cisjordanie vivent sous #colonisation et sous #occupation, où les Palestiniens citoyens d’Israël se sont vu octroyer un statut de seconde zone après un régime militaire jusqu’en 1967, et où les Palestiniens de Gaza vivent un #blocus illégal depuis dix-sept ans.

    Quelle est l’importance du facteur religieux ?

    Ce n’est pas un #conflit_religieux. Même si l’on a au pouvoir des gens liés à une #radicalité_religieuse, du côté du pouvoir israélien comme du Hamas. On observe une #dérive_religieuse dans les extrêmes des deux sociétés.

    La population palestinienne ne fait pas de reproche aux Israéliens pour ce qu’ils sont – des Juifs –, mais pour ce qu’ils font : la colonisation.

    Rappelons que les personnes à l’origine de la fondation de l’État d’Israël étaient des laïques, et non pas des religieux. L’identité palestinienne a par ailleurs toujours été multiconfessionnelle.

    Il est inconcevable de confisquer une souffrance palestinienne vieille de 75 ans avec la #récupération qui est faite aujourd’hui par le Hamas. Pour nous, c’est la #double_peine.

    Côté israélien, c’est d’un #cynisme sans nom : c’est Nétanyahou lui-même qui a soutenu le Hamas, car l’organisation islamiste était perçue comme rivale du #Fatah [parti nationaliste palestinien fondé par Yasser Arafat – ndlr]. Voilà ce qu’il déclarait par exemple en mars 2019, comme l’a rappelé récemment un article d’Haaretz : « Quiconque veut contrecarrer la création d’un État palestinien doit soutenir le renforcement du Hamas et transférer de l’argent au Hamas. » Israël a une responsabilité majeure dans la création de l’organisation islamiste. Ce sont les autorités israéliennes qui ont nourri le monstre.

    Nous subissons avec ce blocus une punition collective. Nous qui utilisons le droit international et la voie diplomatique, qui nous battons depuis des dizaines d’années pour un État laïque, nous nous trouvons face à des autorités qui ont soutenu le Hamas... et qui aujourd’hui nous bombardent.

    https://www.mediapart.fr/journal/international/291023/rima-hassan-nous-subissons-une-punition-collective
    #Palestine #7_octobre_2023 #déshumanisation #religion #à_lire

  • Oslo 30. L’illusione della pace

    Il 13 settembre 1993, sul prato della Casa Bianca, a Washington, viene scattata una storica fotografia: i due nemici, #Ytzhak_Rabin, primo ministro israeliano, e #Yasser_Arafat, leader dell’Olp, l’Organizzazione per la liberazione della Palestina, si stringono la mano, dopo aver firmato i cosiddetti Accordi di Oslo. Trent’anni dopo, che cosa resta del processo di pace che avrebbe dovuto cambiare il Medio Oriente e non solo? Come sarebbe dovuta andare e soprattutto come è andata a finire, invece, tra Israele e Palestina?

    https://altreconomia.it/oslo30
    #accord_d'Oslo #illusion #paix #Palestine #Israël #podcast #audio #Rabin #Arafat #accords_d'Oslo

  • Comment Israël a payé plusieurs millions de dollars pour inonder les internautes français de publicités anti-Hamas
    par Elsa de La Roche Saint-André | le 25 octobre 2023 – Libération
    https://www.liberation.fr/checknews/comment-israel-a-paye-plusieurs-millions-de-dollars-pour-inonder-les-inte
    https://www.liberation.fr/resizer/K2tcdaO1fDAF0r_88WJ4K7ZsiVI=/1200x630/filters:format(jpg):quality(70)/cloudfront-eu-central-1.images.arcpublishing.com/liberation/XG6QJZW2K5GZXO3GZNTKLLRWUQ.JPG

    Depuis le 7 octobre, en plus des combats qui opposent sur le terrain l’armée israélienne aux forces du Hamas, une autre bataille se joue entre l’Etat hébreu et le mouvement islamiste au pouvoir à Gaza, celle de la communication. Parmi les outils privilégiés par Israël pour rallier l’opinion mondiale à sa cause, l’un s’est particulièrement fait remarquer en France : des vidéos abondamment diffusées sous forme de spots publicitaires sur YouTube. Sur les réseaux sociaux, des internautes s’étonnent ainsi d’avoir vu apparaître, alors qu’ils visionnaient des vidéos sur la plateforme appartenant à Google, des publicités dénonçant les crimes perpétrés par le Hamas, parfois estampillées d’un logo « State of Israel ».

    Et à en croire les calculs d’un outil de marketing digital, de nombreux internautes français ont été exposés à ces contenus : plus de 4,6 millions de dollars (environ 4,3 millions d’euros) auraient été investis par le ministère des Affaires étrangères israélien en vue de distribuer ces campagnes publicitaires en France. Faisant de l’Hexagone le pays le plus ciblé par la diffusion de ces contenus. (...)

    #abonnés #7oct23

    • Dès le 8 octobre, au lendemain de l’attaque terroriste du Hamas en Israël, le journaliste Vincent Manilève rapportait sur X (anciennement Twitter) l’existence d’une vidéo diffusée avant les contenus de youtubeurs français connus, comme [l’antisémite, ndc] Squeezie ou Amixem. Pendant les vingt-neuf secondes de la vidéo, s’affiche en lettres rouges capitales un message, par ailleurs lu par une voix automatique sur fond de musique angoissante : « Le Hamas a déclaré la guerre à Israël. Les terroristes armés du Hamas se sont infiltrés en Israël par le biais d’une invasion terrestre et ont commencé à massacrer des Israéliens innocents. Des centaines de #civils israéliens, y compris des enfants et des femmes, ont été tués ou blessés. Des Israéliens ont été pris en otage. C’est une guerre et Israël prendra toutes les mesures nécessaires pour protéger ses citoyens contre ces terroristes barbares. »

      D’après les éléments disponibles dans le Centre de transparence publicitaire de Google, cette #vidéo importée sur le compte du ministère des Affaires étrangères d’#Israël, n’a été diffusée en France que sur la journée du 8 octobre. Pour cause : elle a rapidement été signalée par plusieurs internautes. La réponse adressée le 9 octobre par #You_Tube à l’un d’eux a été consultée par Arrêt sur images : la plateforme explique avoir « décidé de prendre des mesures à l’encontre de cette annonce », après avoir « déterminé que l’annonce ne respectait pas les règles de Google ». Après cette décision, il n’a plus été possible pour cette vidéo d’être distribuée comme publicité, sans pour autant être définitivement retirée de la chaîne YouTube de la diplomatie israélienne. Chaque jour, de nouvelles vidéos y sont importées. Et pour faire simple, celles qui comptabilisent le plus de vues sont celles qui ont, au moins un temps, été monétisées.

      Une quinzaine de campagnes publicitaires

      Car après sa vidéo du 8 octobre, cette chaîne a lancé de nouvelles #campagnes_publicitaires. Une semaine plus tard, l’humoriste Matthieu Longatte, plus connu sur les réseaux sociaux sous le pseudo Bonjour Tristesse, a par exemple été confronté à une autre annonce vidéo. « WTF les pubs de #propagande israélienne avant les vidéos YouTube », s’étonnait-il le 14 octobre. Cette vidéo, en effet, a été diffusée auprès des utilisateurs français de YouTube du 13 au 19 octobre. A l’écran, on lit : « Le Hamas, une organisation terroriste vicieuse, a assassiné plus de 1 300 Israéliens innocents […] des familles entières ont été massacrées dans leurs maisons. » Là aussi, des signalements ont été envoyés, mais différentes versions de la vidéo ayant été importées et monétisées par la chaîne, cette annonce a pu continuer à circuler.

      Dans la quinzaine de campagnes publicitaires du ministère israélien des Affaires étrangères qu’affiche le centre de transparence publicitaire de #Google, on trouve aussi une vidéo intitulée Ramenez nos enfants à la maison diffusée depuis le 19 octobre. Comptabilisant plus de 4,4 millions de vues sur YouTube, ce qui fait d’elle la plus visionnée sur la chaîne du ministère, elle se veut un avertissement adressé au reste du monde : « Plus de 200 bébés, enfants, personnes âgées, hommes et femmes innocents ont été enlevés par les terroristes du Hamas de Daech. Le Hamas a enlevé nos êtres chers. Demain, ce peut être les vôtres ! »

      Les mêmes publicités ont aussi été diffusées en dehors de YouTube, bien que toujours hébergées par la plateforme. Les vidéos sont ainsi apparues dans des #applications_de_jeu mobile – Candy Crush ou Angry Birds ont entre autres été citées par les internautes. « Je jouais tranquillement à un jeu mobile quand cette pub est tombée devant mes yeux », a tweeté la streameuse Twitch Artillerie lourde, qui ajoute plus tard : « deuxième vidéo sur le même jeu et les deux pubs redirigent sur le compte YouTube du ministère des Affaires étrangères israélien ».

      On peut également citer l’exemple d’une vidéo, déjà mentionnée par CheckNews, qui mettait en avant le chiffre de « 40 nourrissons » assassinés par le Hamas (qui n’a jamais été confirmé) dans une animation aux tons pastel. Selon le Centre de transparence publicitaire, cette vidéo a été diffusée comme annonce en France du 13 au 15 octobre. Malgré son apparence enfantine, elle n’a pas, comme toutes les annonces « à caractère politique » ou comportant des « références à la mort », pu « être diffusée auprès des enfants ou sur des contenus conçus pour les enfants, ou encore apparaître sur YouTube Kids », a expliqué un représentant de Google à CheckNews. Elle a en revanche continué à l’être auprès des adultes, les équipes du géant de la tech ayant considéré qu’elle était « en règle avec [ses] règlements publicitaires ».

      La Commission européenne a pris les devants

      De nouveau contacté, ce représentant de Google ne commente pas les autres vidéos sponsorisées par la diplomatie israélienne. Mais se contente de rappeler que les règles de YouTube interdisent aux annonceurs de monétiser « des vidéos contenant de la violence ou un contenu choquant ». Par ailleurs, Google a instauré une réglementation spécifique pour les « événements sensibles », « souvent mis en place à la suite de catastrophes naturelles ou d’autres événements tragiques », nous indique-t-on, sans accepter de préciser si le conflit entre Israël et le Hamas est concerné. Lorsque des événements ont été déclarés comme sensibles, « les annonces qui exploitent ou capitalisent sur ces tragédies ne sont pas autorisées, tout comme la monétisation des vidéos YouTube qui exploiteraient ou capitaliseraient sur ces tragédies, à moins qu’elles n’incluent un contexte crucial, tel qu’un rapport d’actualité faisant autorité ».

      Un mois après le début de la guerre en Ukraine, le 23 mars 2022, YouTube avait pour cette raison suspendu la « monétisation de tout contenu qui exploite, ignore ou cautionne la guerre ». Et c’est en appliquant ces règles qu’en 2021, YouTube avait déjà retiré une vidéo sponsorisée comme publicité par Israël. La plateforme avait alors estimé que cette séquence de quinze secondes alternant images de roquettes, d’explosions et de civils blessés ne respectait pas ses règles. « Nous avons une politique ferme à l’égard des publicités qui contiennent un contenu choquant », avait expliqué un porte-parole de Google à Vice.

      Dans le contexte du conflit actuel, la Commission européenne a pris les devants pour rappeler à #Alphabet, la maison mère de Google, ses obligations en matière de #modération sur YouTube. Dans un courrier adressé vendredi 13 octobre au patron d’Alphabet, le commissaire européen chargé du Numérique, #Thierry_Breton, soulignait que Google a une « obligation particulière de protéger les millions d’enfants et d’adolescents » utilisant sa plateforme « contre les contenus violents représentant des prises d’otages et autres vidéos choquantes ». Un appel qui semble avoir été entendu s’agissant de l’une des vidéos du ministère des Affaires étrangères israéliens. Après avoir été monétisée du 14 au 16 octobre, la séquence, qui montrait des murs et sols couverts de sang, des housses mortuaires ou encore des otages dénudés, a été définitivement supprimée de YouTube.

      France, Allemagne et Royaume-Uni

      Au total, les montants engagés par le ministère des Affaires étrangères pour diffuser ces publicités sont de l’ordre de 8,5 millions de dollars (8 millions d’euros), selon l’outil Semrush, un logiciel notamment utilisé pour estimer les performances des campagnes en ligne. La quasi-totalité de cette somme a été consacrée à trois pays européens : la France, l’Allemagne et le Royaume-Uni.

      Ces investissements ont permis au ministère israélien des Affaires étrangères de réaliser en tout plus d’1,1 milliard d’impressions sur ses vidéos, dont 535 millions auprès du public français, toujours selon Semrush. Le pic de ces impressions se situe sur le week-end des 14 et 15 octobre, soit une semaine après l’attaque terroriste menée par le Hamas en Israël.

      Interrogé par CheckNews sur les raisons pour lesquelles le public français a été particulièrement exposé à ces vidéos de propagande, le porte-parole de l’ambassade d’Israël en France, Hen Feder, indique qu’il n’a « pas connaissance d’un ciblage spécifique de la population française ». Et l’ambassade d’ajouter qu’Israël est « maintenant en guerre contre une organisation vicieuse semblable à Daech », qui conduit une « guerre de propagande ». L’Etat hébreu explique donc publier « sur des plateformes, dont YouTube, pour [diffuser] la vérité sur l’horrible attaque terroriste du Hamas. »

      en Europe, la France est le pays qui compte le plus de musulmans et de juifs

      #propagande_de_guerre #légitimation #internet

  • Israel-Palestine war: Israeli officials ’unhappy’ with released woman’s description of captivity
    By MEE staff | Published date: 24 October 2023 | Middle East Eye
    https://www.middleeasteye.net/news/israel-palestine-war-captive-description-officials-unhappy

    Israeli officials are reportedly unhappy with an interview given by an elderly former captive of Hamas in Gaza because she had not been well prepared for the statement.

    In a press meeting on Tuesday, 85-year-old Yocheved Lifshitz, an Israeli captive released from Gaza on Monday evening, said she was beaten on 7 October, the day Palestinian fighters stormed southern Israel, but later treated “gently”.

    Sources told Israel’s state-owned Kan News that the interview was a “mistake”, adding that a “preliminary meeting” may not have been held with Lifshitz prior to her press statement and that if one had been held, not “all questions” to do with the preparation were asked.

    Lifshitz is one of four Israelis who have been released after Hamas-led Palestinian fighters stormed Israeli communities near the Gaza Strip in an attack that killed around 1,400 Israelis, mostly civilians. Israel believes 220 captives are being held in Gaza.

    The former Israeli hostage was one of the oldest held by Hamas in Gaza, and spent more than two weeks in captivity.

    (...)
    When Lifshitz was asked why she shook hands with the Hamas fighter before her release, she replied: “They were gentle with us, our needs were supplied.”

    During the press statement, Lifshitz also condemned the Israeli army’s lack of preparedness for the attack on 7 October, saying that “two billion” shekels had been spent on security systems that did not work.(...)

    #7oct23

    • Libérée par le Hamas, Yocheved Lifshitz a milité toute sa vie pour les droits des Palestiniens
      https://www.lemonde.fr/international/article/2023/10/26/liberee-par-le-hamas-yocheved-lifshitz-a-milite-toute-sa-vie-pour-les-droits

      Yocheved a dit aussi à ses geôliers que, quelques semaines avant leur enlèvement, les Lifshitz conduisaient encore régulièrement les malades de #Gaza jusqu’aux hôpitaux israéliens afin qu’ils y soient soignés… Toute la famille Lifshitz, d’ailleurs, milite pour Shalom Akhshav (« la paix maintenant », en hébreu), ce mouvement qui plaide « pour un compromis raisonnable entre les peuples israélien et palestinien ». En somme, par une tragique ironie de l’histoire, les terroristes du Hamas ne pouvaient ignorer que leur prisonnière et son époux sont de ces Israéliens qui protestent inlassablement contre les conditions dans lesquelles vivent les Palestiniens dans cette prison à ciel ouvert qu’est Gaza.
      « Shalom »
      Si le Hamas a diffusé si complaisamment la vidéo de la libération de Yocheved Lifshitz, c’est d’ailleurs parce que, en un geste et en un mot, leur prisonnière a rappelé cet engagement. Juste avant qu’elle ne le quitte, on y voit en effet la vieille dame se retourner vers son ravisseur, encagoulé et armé, pour lui serrer la main en murmurant distinctement un « shalom », ce mot hébraïque qui veut dire « paix » en même temps qu’il est un salut. Depuis quarante-huit heures, ce geste et ce « shalom » bouleversent une société israélienne déjà profondément traumatisée par les 1 400 morts et quelque 200 enlèvements perpétrés par les terroristes lors de leur attaque surprise du 7 octobre.
      Même ses quelques mots pour dire qu’elle avait été « bien traitée », lors d’une conférence de presse organisée par sa fille et son petit-fils, sans que le gouvernement israélien ait eu son mot à dire, ont choqué jusqu’aux autres familles d’otage. « Au moment même où des efforts considérables sont déployés pour convaincre le monde que les otages doivent être libérés le plus rapidement possible, c’est étrange de l’entendre dire qu’ils sont bien traités », s’insurge Ronen Tzur, le directeur de la communication du Forum des familles d’otages et de disparus, qui reconnaît la rupture de tout contact avec les Lifshitz.

      Ce que raconte Yocheved Lifshitz, alors que son mari est toujours détenu, est pourtant le premier témoignage public sur la façon dont s’est déroulée l’une des prises d’otages perpétrées par le Hamas. Pour s’imaginer l’événement, il faut d’abord plonger à moins de 3 kilomètres du mur d’enceinte et de l’énorme grille électrifiée entourant Gaza, là où se trouve le kibboutz de Nir Oz, où vivent les Lifshitz.

      https://archive.ph/rfTaO

      #Israël #Hamas

    • Ali Abunimah is now on bluesky sur X :

      Elderly Israeli Yocheved Lifshitz turns around, shakes the hand of a Palestinian Qassam Brigades soldier and says “Shalom” as she is transferred to the Red Cross. The resistance are keeping their promise to safely return home all detained noncombtants, as conditions allow.

      https://twitter.com/AliAbunimah/status/1716573935943266606

      https://video.twimg.com/ext_tw_video/1716570755150872576/pu/vid/avc1/636x360/H0kHbrd9bNrMlycs.mp4?tag=12

    • Je vois passer beaucoup de ce genre de commentaires cette nuit, et franchement j’ai beaucoup de mal. Si on veut démontrer son humanité, il y a quand même mieux que de se pavaner en train de libérer une femme de 85 ans qu’on vient de prendre en otage pendant quinze jours. Par exemple en ne prenant pas en otage une femme de 85 ans.

    • cette militante du dialogue Israélo palestinien va subir un long débriefing. ses interventions média seront à surveiller

      edit

      Leurs époux sont toujours retenus dans la bande de Gaza .... Le porte-parole de la branche militaire du Hamas, Abou Obeida, a affirmé dans un communiqué que les deux femmes otages avaient été libérées « pour des raisons humanitaires pressantes » grâce à une médiation du #Qatar et de l’#Egypte. Le Comité international de la Croix-Rouge (CICR) a affirmé de son côté avoir facilité la libération de ces deux #otages. .... Les négociations sur une éventuelle libération d’un groupe de 50 otages ont échoué, le Hamas exigeant qu’Israël autorise les livraisons de carburant à Gaza, ce que rejette l’Etat hébreu tant que tous les otages n’auront pas été libérés, selon des responsables au fait des #pourparlers, rapporte le Wall Street Journal. .... D’après les estimations des responsables du kibboutz [Nir Oz] , environ un quart de ses 400 habitants ont été tués, kidnappés ou sont portés disparus.

      https://www.20minutes.fr/monde/israel/4059174-20231023-guerre-hamas-israel-mouvement-islamiste-palestinien-affir

      #Yocheved_Lifshitz #kibboutz_Nir_Oz #otages #Hamas #Israël

    • @arno
      J’ai bien conscience que c’est de la propaguande et que peut etre les Quassam mangent des mémés israeliennes hors caméra mais je comprend pas le pbl de sortir les civils non combattants via la croix-rouge quand c’est possible pour les éloigner des bombes. C’est quand même un geste qui montre un « humanisme » plus élévé que les bombardement de Gaza. J’ai pas vu écrit "otage"et a te lire j’ai l’impression que ton pbl c’est le sexe et l’age de la dame. Comment on fait a guerre proprement et « humainement » (tellement d’hommerie dans l’hypocrisie de ce mot) ? Quel types de civils non-combattants doit on éloigner du feu ? Quel est la différence entre un « civil non-combattant évacué à la croix-rouge » et un « otage libéré qui n’aurais jamais du être otagé » ?

    • Les terroristes ne doivent jamais paraître humains. Et à chaque fois que tu parles d’eux et de leurs actes, tu dois rappeler que ce sont des terroristes inhumains. Sinon tu es comme eux.

      Il n’en reste pas moins qu’il s’agit apparemment d’une survivante de la directive Hannibal... ainsi qu’une survivante des bombardements d’autodéfense... ainsi qu’une survivante des armées diaboliques du Hamas. J’ignore lequel des 3 est le plus prodigieux.

      (je n’adhère pas forcément à tout ce que j’écris ; je me laisse coupablement aller à un certain cynisme, et j’ai honte... au moins 30 secondes... mon cynisme est cependant à priori moins létal que les Quassam ou les JDAM)

    • J’avais pas vu l’article de 20mns mis par @colporteur - on parle bien d’otages et on apprend que les « époux » sont toujours retenus (si c’est des prostates non-combattantes ca passe de les otagé manifestement). Mais vu qu’il y a un échange je pense maintenant qu’on peu parler d’otages. Si j’ai compris ce que j’ai lu, les deux femmes libéres avaient des besoins de santé qui justifiaient leur évacuation. C’est quand même un peu plus sympa vu d’ici que de couper électricité et l’eau ou bombarder 55 hopitaux...

      Je sais pas ce qu’est la directive Hannibal, mais est-ce que ces otages ou civiles non-combattants sont sur des territoire qui devraient revenir à la Palestine selon les directives de l’ONU ? Si c’est le cas c’est pas exactement simplement ce que j’appellerait des « non-combattants » ou des « otages » ? Je veux pas dire que des colonialistes israeliennes mériteraient d’etre prises en otage, mais je voudrais comprendre du mieux possible ce que couvre tous ces mots qui sont pas claire, cad terroristes/resistants, otages/civiles-non-combattants/colons...

      (Il y a « campisme » aussi qui à popé hier dans cette guerre de vocabulaire et là aussi j’avoue ne pas trop comprendre quelle hommerie cache ce mot. Il doit y avoir des infos sur seenthis désolé pour ce hors sujet.)

    • " On peut définir le campisme comme la "science du camp". une affaire scout, "toujours prêts, ou vcegda gatov chez les pionniers.

      https://wikirouge.net/Campisme
      (peut mieux faire...)

      Le « campisme » : une vision binaire et idéologique des questions internationales, Bernard Dréano
      https://blogs.mediapart.fr/jean-marc-b/blog/160818/le-campisme-une-vision-binaire-et-ideologique-des-questions-internat

      en consultant les cartes successives de la présence juive puis de la création et de l’extension d’Israël, on constate que la bande de Gaza a dès la création d’Israël été un isolat bordé par Israël et l’Égypte.
      si on adopte une définition politique extensive de l’État colon, on considérera que les habitants israéliens et juifs du désert du Néguev sont des colons. si on en reste au droit international (impérialiste), il n’en est pas de même. nombre des morts suite aux massacre commis par le Hamas sont d’ailleurs nés dans le Neguev, et on a pu lire que certains tâchaient d’entrenir des relations avec des gazaouis, prenaient position contre le traitement infligé par Israël aux Bédouins du Néguev, faisaient partie de ceux qui lors de la récente contestation massive du régime avaient réintroduit la question d’une paix juste avec les palestiniens (outre le fait quelle doit escompter un traitement acceptable de son mari et des autres otages, Yocheved Lifshitz vient de fournir une image fort troublante à ce sujet)
      https://www.monde-diplomatique.fr/cartes/israel
      lorsque des otages sont en cause, il est classique (si on est pas en Russie avec le massacre de Beslan en 2004 https://fr.wikipedia.org/wiki/Prise_d%27otages_de_Beslan) que l’État supposé garant de leur sécurité soit traversé de contradictions quant à la manière de procéder, négocier, ou pas ? jusqu’ou ? (WP évoque un refus de laisser livre du carburant à Gaza, blocus, libération de prisonniers palestiniens par milliers, ouverture de négociations politiques sur le devenir des palestiniens ? un état palestinien ? mais où ?!?). l’article de 20mn cite la presse US qui parle de tractations s !ur le sort des otages. si cessez-le-feu il pouvait y avoir c’est aussi par là que ça passe. cependant, dans bien des cas, la libération d’otages revient en boomerang contre l’État des libérés.

      ainsi, par exemple, la Démocratie chrétienne italienne a-t-elle chose le refus de toute négociation préférant un Aldo Moro mort exécuté par les BR plutôt que libéré et apte à livrer publiquement une analyse politique de la putréfaction du compromis historique qui a continué à lier la DC au PCI.

      Ici les enjeux sont tout autres, le Gouvernement israélien d’unité nationale devra finir, quand ? comment ? c’est le jeu de parties israéliennes (dont celle, disons "pour une paix juste", passée de minoritaire à marginale, que l’on silence à coups de licenciements et de censure) y compris dans la manière de mener la guerre.
      #campisme #négociation

    • D’après certains témoignages, la directive Hannibal aurait débordé du cadre lors de la riposte à l’attaque (terroriste) du Hamas, au sens où apparemment, des tirs de mortiers auraient été employés pour déloger les combattants (terroristes) embusqués avec des civils israéliens (innocents).

    • כאן חדשות sur X : “גורמים שעוסקים בהסברה הישראלית בימים האחרונים: העובדה שאפשרו ליוכבד ליפשיץ לשאת הצהרה בשידור חי הייתה טעות. לא בטוח שהיה מישהו שערך דיון מקדים בנושא ושאל את עצמו את כל השאלות • בתמונה: כך סיקרו ב”סקיי ניוז" את הצהרתה AmichaiStein1
      https://twitter.com/kann_news/status/1716761417380950040

      “Each person had a guard watching him or her. They took care of all the needs. They talked about all kinds of things, they were very
      friendly.”
      sky Yocheved Lifshitz details what it was like while
      being held hostage by Hamas.

    • Les responsables israéliens seraient mécontents d’une interview donnée par une ancienne captive âgée du Hamas à Gaza parce qu’elle n’avait pas été bien préparée à cette déclaration.

      https://seenthis.net/messages/1022869

      le Sin beth patauge dans la semoule ou quoi ? je voyais Yocheved Lifshitz partie pour une semaine de débriefing avant éventuelle prise de parole (ou internement).

      edit : la trad automatique de la partie en hébreu du tweet cité : « Facteurs impliqués dans la propagande israélienne ces derniers jours : le fait que Yocheved Lifshitz ait été autorisé à faire une déclaration en direct était une erreur. Il n’est pas sûr que quelqu’un ait eu une discussion préliminaire sur le sujet et se soit posé toutes les questions. • Sur la photo : voici comment Sky News a couvert sa déclaration »

    • le Sin Beth, aux fraises, a fait comme si on ne savait pas qui était libéré, alors qu’il leur est loisible d’enfermer le temps qu’il faut dans un hôpital militaire qui est susceptible de revenir de captivité avec un discours et une attitude inapproprié

      Haaretz :

      Lifshitz is a peace activist who together with her husband helped sick Palestinians in Gaza get to hospital for years, her grandson told Reuters. Lifshitz and her 83-year-old husband, Oded, were kidnapped from their home at the Nir Oz kibbutz, close to the border with Gaza in southern Israel and Oded remains a captive, according to the Israeli government.
      “They are human rights activists, peace activists for all their life,” grandson Daniel Lifshitz told Reuters in Tel Aviv before the release was confirmed. “For more than a decade, they took... sick Palestinians from the Gaza Strip, not from the West Bank, from the Gaza Strip every week from the Erez border to the hospitals in Israel to get treatment for their disease, for cancer, for anything,” he added.

  • #Directive_Hannibal — Wikipédia
    https://fr.wikipedia.org/wiki/Directive_Hannibal

    Le but de la directive Hannibal est d’empêcher l’enlèvement de soldats israéliens par les forces ennemies, même si cela se fait au prix de la vie de ces soldats. Les soldats israéliens ont pour ordre d’empêcher toute tentative d’enlèvement par la force et d’utiliser tous les moyens disponibles à cette fin. La logique controversée derrière l’ordre semble être qu’un soldat mort est préférable à un captif.

  • L’anthropologue #Didier_Fassin sur #Gaza : « La non-reconnaissance de la qualité d’êtres humains à ceux qu’on veut éliminer est le prélude aux pires violences »

    Le sociologue s’alarme, dans une tribune au « Monde », que l’Union européenne n’invoque pas, dans le cadre du conflit israélo-palestinien, la « responsabilité de protéger » votée par l’Assemblée des Nations unies, et qu’elle pratique le deux poids deux mesures dans ses relations internationales.

    L’incursion sanglante du #Hamas en #Israël a produit dans le pays un #choc sans précédent et a suscité des réactions d’horreur dans les sociétés occidentales. Les #représailles en cours à Gaza, d’autant plus violentes que le gouvernement israélien est tenu responsable par la population pour avoir favorisé l’essor du Hamas afin d’affaiblir le #Fatah [le parti politique du président palestinien, Mahmoud Abbas] et pour avoir négligé les enjeux de sécurité au profit d’une impopulaire réforme visant à faire reculer la démocratie, ne génèrent pas de semblables sentiments de la part des chancelleries occidentales, comme si le droit de se défendre impliquait un droit illimité à se venger. Certaines #victimes méritent-elles plus que d’autres la #compassion ? Faut-il considérer comme une nouvelle norme le ratio des tués côté palestinien et côté israélien de la guerre de 2014 à Gaza : 32 fois plus de morts, 228 fois plus parmi les civils et 548 fois plus parmi les enfants ?

    Lorsque le président français, #Emmanuel_Macron, a prononcé son allocution télévisée, le 12 octobre, on comptait 1 400 victimes parmi les Gazaouis, dont 447 enfants. Il a justement déploré la mort « de nourrissons, d’enfants, de femmes, d’hommes » israéliens, et dit « partager le chagrin d’Israël », mais n’a pas eu un mot pour les nourrissons, les enfants, les femmes et les hommes palestiniens tués et pour le deuil de leurs proches. Il a déclaré apporter son « soutien à la réponse légitime » d’Israël, tout en ajoutant que ce devait être en « préservant les populations civiles », formule purement rhétorique alors que #Tsahal avait déversé en six jours 6 000 bombes, presque autant que ne l’avaient fait les Etats-Unis en une année au plus fort de l’intervention en Afghanistan.

    La directrice exécutive de Jewish Voice for Peace a lancé un vibrant « #plaidoyer_juif », appelant à « se dresser contre l’acte de #génocide d’Israël ». Couper l’#eau, l’#électricité et le #gaz, interrompre l’approvisionnement en #nourriture et envoyer des missiles sur les marchés où les habitants tentent de se ravitailler, bombarder des ambulances et des hôpitaux déjà privés de tout ce qui leur permet de fonctionner, tuer des médecins et leur famille : la conjonction du siège total, des frappes aériennes et bientôt des troupes au sol condamne à mort un très grand nombre de #civils – par les #armes, la #faim et la #soif, le défaut de #soins aux malades et aux blessés.

    Des #crimes commis, on ne saura rien

    L’ordre donné au million d’habitants de la ville de Gaza de partir vers le sud va, selon le porte-parole des Nations unies, « provoquer des conséquences humanitaires dévastatrices ». Ailleurs dans le monde, lorsque éclatent des conflits meurtriers, les populations menacées fuient vers un pays voisin. Pour les Gazaouis, il n’y a pas d’issue, et l’armée israélienne bombarde les écoles des Nations unies où certains trouvent refuge. Ailleurs dans le monde, dans de telles situations, les organisations non gouvernementales apportent une assistance aux victimes. A Gaza, elles ne le peuvent plus. Mais des crimes commis, on ne saura rien. En coupant Internet, Israël prévient la diffusion d’images et de témoignages.

    Le ministre israélien de la défense, #Yoav_Gallant, a déclaré, le 9 octobre, que son pays combattait « des #animaux_humains » et qu’il « allait tout éliminer à Gaza ». En mars, son collègue des finances a, lui, affirmé qu’« il n’y a pas de Palestiniens, car il n’y a pas de peuple palestinien ».
    Du premier génocide du XXe siècle, celui des Herero, en 1904, mené par l’armée allemande en Afrique australe, qui, selon les estimations, a provoqué 100 000 morts de déshydratation et de dénutrition, au génocide des juifs d’Europe et à celui des Tutsi, la non-reconnaissance de la qualité d’êtres humains à ceux qu’on veut éliminer et leur assimilation à des #animaux a été le prélude aux pires #violences.

    Rhétorique guerrière

    Comme le dit en Israël la présidente de l’organisation de défense des droits de l’homme, B’Tselem, « Gaza risque d’être rayée de la carte, si la communauté internationale, en particulier les Etats-Unis et l’Europe, ne fait pas stopper – au lieu de laisser faire, voire d’encourager – les crimes de guerre qu’induit l’intensité de la riposte israélienne ». Ce n’est pas la première fois qu’Israël mène une #guerre à Gaza, mais c’est la première fois qu’il le fait avec un gouvernement aussi fortement orienté à l’#extrême-droite qui nie aux Palestiniens leur humanité et leur existence.
    Il existe une « responsabilité de protéger », votée en 2005 par l’Assemblée des Nations unies, obligeant les Etats à agir pour protéger une population « contre les génocides, les crimes de guerre, les nettoyages ethniques et les crimes contre l’humanité ». Cet engagement a été utilisé dans une dizaine de situations, presque toujours en Afrique. Que l’Union européenne ne l’invoque pas aujourd’hui, mais qu’au contraire la présidente de la Commission, Ursula von der Leyen, se rende, sans mandat, en Israël, pour y reprendre la #rhétorique_guerrière du gouvernement, montre combien le deux poids deux mesures régit les relations internationales.
    Quant à la #France, alors que se fait pressante l’urgence à agir, non seulement le gouvernement apporte son appui sans failles à l’#opération_punitive en cours, mais il interdit les #manifestations en faveur du peuple palestinien et pour une #paix juste et durable en Palestine. « Rien ne peut justifier le #terrorisme », affirmait avec raison le chef de l’Etat. Mais faut-il justifier les crimes de guerre et les #massacres_de_masse commis en #rétorsion contre les populations civiles ? S’agit-il une fois de plus de rappeler au monde que toutes les vies n’ont pas la même valeur et que certaines peuvent être éliminées sans conséquence ?

    https://www.lemonde.fr/idees/article/2023/10/18/l-anthropologue-didier-fassin-sur-gaza-la-non-reconnaissance-de-la-qualite-d

    #à_lire #7_octobre_2023

    • Le spectre d’un génocide à Gaza

      L’annihilation du Hamas, que la plupart des experts jugent irréaliste, se traduit de fait par un massacre des civils gazaouis, ce que la Première ministre française appelle une « catastrophe humanitaire », mais dans lequel un nombre croissant d’organisations et d’analystes voient le spectre d’un génocide.

      Au début de l’année 1904, dans ce qui était alors le protectorat allemand du Sud-Ouest africain, les Hereros se rebellent contre les colons, tuant plus d’une centaine d’entre eux dans une attaque surprise.

      Au cours des deux décennies précédentes, ce peuple d’éleveurs a vu son territoire se réduire à mesure que de nouvelles colonies s’installent, s’emparant des meilleures terres et entravant la transhumance des troupeaux. Les colons traitent les Hereros comme des animaux, les réduisent à une forme d’esclavage et se saisissent de leurs biens. Le projet des autorités est de créer dans ce qui est aujourd’hui la Namibie une « Allemagne africaine » où les peuples autochtones seraient parqués dans des réserves.

      La révolte des Hereros est vécue comme un déshonneur à Berlin et l’empereur envoie un corps expéditionnaire avec pour objectif de les éradiquer. Son commandant annonce en effet qu’il va « annihiler » la nation herero, récompensant la capture des « chefs », mais n’épargnant « ni les femmes ni les enfants ». Si l’extermination n’est techniquement pas possible, ajoute-t-il, il faudra forcer les Hereros à quitter le pays, et « ce n’est qu’une fois ce nettoyage accompli que quelque chose de nouveau pourra émerger ».

      Dans les mois qui suivent, nombre de Hereros sans armes sont capturés et exécutés par les militaires, mais la plupart sont repoussés dans le désert où ils meurent de déshydratation et d’inanition, les puits ayant été empoisonnés. Selon l’état-major militaire, « le blocus impitoyable des zones désertiques paracheva l’œuvre d’élimination ». On estime que seuls 15 000 des 80 000 Hereros ont survécu. Ils sont mis au travail forcé dans des « camps de concentration » où beaucoup perdent la vie.

      Le massacre des Hereros, qualifié par les Allemands de « guerre raciale » est le premier génocide du XXe siècle, considéré par certains historiens comme la matrice de la Shoah quatre décennies plus tard. Dans Les Origines du totalitarisme, la philosophe Hannah Arendt elle-même a établi un lien entre l’entreprise coloniale et les pratiques génocidaires.

      Comparaison n’est pas raison, mais il y a de préoccupantes similitudes entre ce qui s’est joué dans le Sud-Ouest africain et ce qui se joue aujourd’hui à Gaza. Des décennies d’une colonisation qui réduit les territoires palestiniens à une multiplicité d’enclaves toujours plus petites où les habitants sont agressés, les champs d’olivier détruits, les déplacements restreints, les humiliations quotidiennes.

      Une déshumanisation qui conduisait il y a dix ans le futur ministre adjoint à la Défense à dire que les Palestiniens sont « comme des animaux ». Une négation de leur existence même par le ministre des Finances pour qui « il n’y a pas de Palestiniens car il n’y a pas de peuple palestinien », comme il l’affirmait au début de l’année. Un droit de tuer les Palestiniens qui, pour l’actuel ministre de la Sécurité nationale, fait du colon qui a assassiné vingt-neuf d’entre eux priant au tombeau des Patriarches à Hébron un héros. Le projet, pour certains, d’un « grand Israël », dont l’ancien président est lui-même partisan.

      Pendant les six premiers jours de l’intervention israélienne, 6 000 bombes ont été lâchées sur Gaza, presque autant que les États-Unis et ses alliés en ont utilisé en Afghanistan en une année entière

      Dans ce contexte, les attaques palestiniennes contre des Israéliens se sont produites au fil des ans, culminant dans l’incursion meurtrière du Hamas en territoire israélien le 7 octobre faisant 1 400 victimes civiles et militaires et aboutissant à la capture de plus de 200 otages, ce que le représentant permanent d’Israël aux Nations unies a qualifié de « crime de guerre ». La réponse du gouvernement, accusé de n’avoir pas su prévenir l’agression, s’est voulue à la mesure du traumatisme provoqué dans le pays. L’objectif est « l’annihilation du Hamas ».

      Pendant les trois premières semaines de la guerre à Gaza, les représailles ont pris deux formes. D’une part, infrastructures civiles et populations civiles ont fait l’objet d’un bombardement massif, causant 7 703 morts, dont 3 595 enfants, 1 863 femmes et 397 personnes âgées, et endommageant 183 000 unités résidentielles et 221 écoles, à la date du 28 octobre. Pendant les six premiers jours de l’intervention israélienne, 6 000 bombes ont été lâchées sur Gaza, presque autant que les États-Unis et ses alliés en ont utilisé en Afghanistan en une année entière, au plus fort de l’invasion du pays.

      Pour les plus de 20 000 blessés, dont un tiers d’enfants, ce sont des mutilations, des brûlures, des handicaps avec lesquels il leur faudra vivre. Et pour tous les survivants, ce sont les traumatismes d’avoir vécu sous les bombes, assisté aux destructions des maisons, vu des corps déchiquetés, perdu des proches, une étude britannique montrant que plus de la moitié des adolescents souffrent de stress post-traumatique.

      D’autre part, un siège total a été imposé, avec blocus de l’électricité, du carburant, de la nourriture et des médicaments, tandis que la plupart des stations de pompage ne fonctionnent plus, ne permettant plus l’accès à l’eau potable, politique que le ministre de la Défense justifie en déclarant : « Nous combattons des animaux et nous agissons comme tel ». Dans ces conditions, le tiers des hôpitaux ont dû interrompre leur activité, les chirurgiens opèrent parfois sans anesthésie, les habitants boivent une eau saumâtre, les pénuries alimentaires se font sentir, avec un risque important de décès des personnes les plus vulnérables, à commencer par les enfants.

      Dans le même temps, en Cisjordanie, plus d’une centaine de Palestiniens ont été tués par des colons et des militaires, tandis que plus de 500 éleveurs bédouins ont été chassés de leurs terres et de leur maison, « nettoyage ethnique » que dénoncent des associations de droits humains israéliennes. Croire que cette répression féroce permettra de garantir la sécurité à laquelle les Israéliens ont droit est une illusion dont les 75 dernières années ont fait la preuve.

      L’annihilation du Hamas, que la plupart des experts jugent irréaliste, se traduit de fait par un massacre des civils gazaouis, ce que la Première ministre française appelle une « catastrophe humanitaire », mais dans lequel un nombre croissant d’organisations et d’analystes voient le spectre d’un génocide.

      L’organisation états-unienne Jewish Voice for Peace implore « toutes les personnes de conscience d’arrêter le génocide imminent des Palestiniens ». Une déclaration signée par 880 universitaires du monde entier « alerte sur un potentiel génocide à Gaza ». Neuf Rapporteurs spéciaux des Nations unies en charge des droits humains, des personnes déplacées, de la lutte contre le racisme et les discriminations, l’accès à l’eau et à la nourriture parlent d’un « risque de génocide du peuple palestinien ». Pour la Directrice régionale de l’Unicef pour le Moyen Orient et l’Afrique du nord, « la situation dans la bande de Gaza entache de plus en plus notre conscience collective ». Quant au Secrétaire général des Nations unies, il affirme : « Nous sommes à un moment de vérité. L’histoire nous jugera ».

      Alors que la plupart des gouvernements occidentaux continuent de dire « le droit d’Israël à se défendre » sans y mettre de réserves autres que rhétoriques et sans même imaginer un droit semblable pour les Palestiniens, il y a en effet une responsabilité historique à prévenir ce qui pourrait devenir le premier génocide du XXIe siècle. Si celui des Hereros s’était produit dans le silence du désert du Kalahari, la tragédie de Gaza se déroule sous les yeux du monde entier.

      https://aoc.media/opinion/2023/10/31/le-spectre-dun-genocide-a-gaza

    • Cette réponse sur AOC est d’une mauvaise foi affligeante. Ils se piquent de faire du droit international, et ne se rendent pas compte que leurs conclusions vont à l’encontre de ce qui est déclamé par les instances multilatérales internationales depuis des dizaines d’années.

      Personnellement, les fachos qui s’ignorent et qui prennent leur plume pour te faire comprendre que tu n’es pas assez adulte pour comprendre la complexité du monde, ils commencent à me chauffer les oreilles. La tolérance c’est bien, mais le déni c’est pire. Et là, cette forme de déni, elle est factuelle. Elle n’est pas capillotractée comme lorsqu’on étudie les différentes formes d’un mot pour en déduire un supposé racisme pervers et masqué.

    • La réponse dans AOC mais fait vraiment penser à la sailli de Macron sur les violences policières : « dans un État de droit il est inadmissible de parler de violences policières » : autrement dit ce ne sont pas les violences elles-mêmes, concrète, prouvées, qui sont à condamner, mais c’est le fait d’en parler, de mettre des mots pour les décrire.

      Là c’est pareil, l’État israélien fait littéralement ces actions là : tuerie de masse par bombes sur civils, destruction des moyens de subsistance en brulant les champs (d’oliviers et autres), et en coupant tout accès à l’eau (base de la vie quand on est pas mort sous les bombes) ; ce qui correspond bien factuellement au même genre de stratégie militaire d’annihilation des Héréros par les allemands. Mais ce qui est à condamner c’est le fait de le décrire parce que ça serait antisémite, et non pas les actions elles-mêmes.

      Parce que l’accusation d’empoisonnement est un classique de l’antisémitisme depuis le moyen âge, alors si concrètement une armée et des colons de culture juive bloquent l’accès à la subsistance terre et eau, ça n’existe pas et il ne faut pas en parler.

      (Et c’est le même principe que de s’interdire de dire que le Hamas est un mouvement d’extrême droite, avec une politique autoritaire et ultra réactionnaire, et qu’ils promeuvent des crimes de guerre, parce qu’ils se battent contre l’État qui les colonise. Il fut un temps où beaucoup de mouvements de libération, de lutte contre le colonialisme et ou les impérialismes, faisaient attention aux vies civiles, comme le rappelait Joseph Andras il me semble.)

      #campisme clairement ("mon camp", « notre camp », ne peut pas faire ça, puisque c’est les méchants qui nous accusaient faussement de faire ça…)

  • #Gaza : le #droit_international comme seule boussole

    Le 7 octobre, le #Hamas a lancé une attaque sans précédent sur le sud d’Israël, semant la terreur et perpétrant de nombreux #crimes_de_guerre contre des #civils israéliens. En réponse à cette attaque, Israël a lancé une #opération_militaire d’une violence inédite sur la #bande_de_Gaza, alliant déplacements forcés de population et frappes indiscriminées, également constitutifs de crimes de guerre. Si rien ne peut justifier les crimes de guerre, quel que soit le camp, cette séquence s’inscrit cependant dans un contexte qu’il est indispensable de prendre en compte pour comprendre ce qu’elle représente et les conséquences dévastatrices qu’elle peut avoir.

    La bande de Gaza est, avec la Cisjordanie, l’une des deux composantes du #Territoire_palestinien_occupé. Après la Guerre des Six Jours, elle a, comme la Cisjordanie, fait l’objet d’une colonisation par Israël, avant que ce dernier ne l’évacue unilatéralement en 2005. L’année suivante, le Hamas gagnait les élections législatives à Gaza. L’UE exclut tout contact avec le Hamas compliquant la formation d’un gouvernement palestinien. S’en suit une guerre intra palestinienne entre Fatah et Hamas dans la bande de Gaza, qui se termine en 2007 par la prise de contrôle du territoire par le Hamas. Depuis cette date, un blocus est exercé par Israël sur Gaza, imposant ainsi une punition collective à 2,3 millions de Palestiniens et de Palestiniennes, à laquelle s’ajoutent depuis 2009 des bombardements réguliers et indiscriminés, qu’ils ne peuvent fuir. En conséquence de ces sévères restrictions à la liberté de mouvement des personnes et des biens, 97% de l’eau courante à Gaza est impropre à la consommation, le taux de chômage est de 47%, et 80% de la population dépend de l’aide internationale (données Oxfam).

    Ce #blocus est l’un des aspects du régime d’#apartheid qu’Israël impose à l’ensemble du peuple palestinien, c’est-à-dire un régime institutionnalisé d’#oppression et de #domination systématiques, établi dans l’intention de maintenir la #domination d’un groupe racial sur un autre, l’intention de le maintenir et qui comprend l’existence d’actes inhumains commis comme partie intégrante de ce régime, tels que l’ont récemment qualifiés de nombreux rapports Amnesty, Human Rights Watch et des Rapporteurs spéciaux de l’ONU.

    En décembre dernier, un gouvernement d’#extrême_droite a pris le pouvoir en Israël, renforçant ce régime d’apartheid et intensifiant la colonisation israélienne en Cisjordanie et à Jérusalem-Est. Au cours de l’année 2023, avant le 7 octobre, plus de 200 Palestiniens et Palestiniennes avaient déjà été tués par l’#armée_israélienne ou les colons, surtout en Cisjordanie mais aussi à Gaza. La #violence des colons a augmenté, autorisée et alimentée par le gouvernement israélien, menant à de nombreuses attaques sur des villages palestiniens. Sous les jougs conjugués d’ordres d’#expulsion et de la violence exercée par les colons, des communautés palestiniennes entières de la #zone_C ont été déplacées de force. Au sein de la société israélienne, mais aussi parmi les responsables politiques israéliens, les appels à la haine et au meurtre des Arabes palestiniens sont de plus en plus fréquents.

    Face à cette exacerbation de la violence, la communauté internationale, et l’UE en particulier, n’a réussi qu’à condamner, par des formules creuses et répétitives les multiples violations du droit international commises par Israël, sans jamais prendre de #sanctions.

    Tout cela, c’était avant le 7 octobre et l’attaque meurtrière du Hamas, qui tue plus de 1000 #victimes_civiles israéliennes et prend en #otages entre 120 et 200 personnes. Dans plusieurs lieux, des #meurtres_collectifs ont lieu, sans aucun doute constitutifs de crimes de guerre. Ces faits choquent l’opinion publique internationale et entraînent de nombreux messages de soutien à Israël de la part des responsables politiques, entre autres européens. Certains, tel le Secrétaire général de l’OTAN, Jens Stoltenberg, prennent la peine d’appeler à une réponse « proportionnée ». D’autres, comme la Présidente de la Commission européenne, se contentent d’apporter leur soutien sans faille à Israël, sans même rappeler les obligations qui lui incombent au regard du droit international.

    Depuis le début de la réponse militaire israélienne, les officiels israéliens multiplient les déclarations déshumanisant les Palestiniens, punissant collectivement la population de Gaza pour les crimes commis par le Hamas :

    Lundi 9 octobre, #Yoav_Gallant, le Ministre israélien de la Défense a déclaré : « J’ai ordonné un siège complet de la bande de Gaza. Il n’y aura pas d’électricité, pas de nourriture, pas de carburant, tout est fermé. Nous combattons des animaux humains et nous agissons en conséquence ».

    Mardi 10 octobre, le chef de la Coordination de l’administration civile dans les territoires (COGAT), le général #Ghassan_Alian a annoncé opérer un #blocus_complet sur la bande de Gaza, coupant le territoire en #électricité et en #eau, ne lui promettant que des dommages, et déclarant à l’adresse du Hamas : « Vous avez voulu l’enfer, vous aurez l’enfer ! ».

    Jeudi 12 octobre, le ministre israélien de l’Energie #Israël_Katz a déclaré : « Aucun interrupteur électrique ne sera allumé, aucune pompe à eau ne sera mise en route et aucun camion de carburant n’entrera tant que les Israéliens enlevés ne seront pas rentrés chez eux (…). Et personne ne peut nous faire la morale ».

    Vendredi 13 octobre, le gouvernement israélien a ordonné une #évacuation de toute la population du nord de la Bande de Gaza, soit 1,1 million de Palestiniens, vers le sud de la Bande de Gaza. Il s’agit d’un #déplacement_forcé de la moitié de la population de Gaza, déjà coupée d’électricité, d’eau et de carburant. Les organisations humanitaires ont tout de suite dénoncé l’impossibilité que cela puisse se passer sans conséquences catastrophiques. Depuis vendredi, plusieurs organes et responsables de l’ONU, l’UNRWA, l’OMS, le chef de l’aide humanitaire de l’ONU sont sortis de leur réserve habituelle et tirent la sonnette d’alarme. MSF multiplie également les déclarations pour dénoncer l’insoutenabilité de la situation sanitaire. Les témoignages qui nous viennent de Gaza sont glaçants : rationnement en eau des enfants, un boulanger qui ne peut plus faire de pain faute d’électricité, les cadavres qui ne trouvent plus de place dans les morgues, ou qui pourrissent sous les décombres.

    Depuis le début de l’attaque militaire israélienne contre Gaza, quelques 2778 Palestiniens sont morts, 9 938 personnes sont blessées, dans un système de santé qui s’est totalement effondré
    (données du 16 octobre).

    Pour rappel, 70% de la population de Gaza sont des #réfugiés, c’est-à-dire que leurs familles ont été chassées de leurs maisons par les Israéliens lors de la #Nakba (mot arabe qui signifie la « catastrophe » et qui désigne, pour les Palestiniens, l’exil forcé de 700 000 d’entre eux, lors de la proclamation de l’État d’Israël en 1948). Ils attendent depuis de pouvoir exercer leur #droit_au_retour, consacré par la Résolution 194 de l’Assemblée générale des Nations Unies. Même si un #corridor_humanitaire était mis en place, nombreux sont celles et ceux qui refuseraient de partir, estimant que quitter la Palestine signifierait ne jamais y revenir. C’est en effet le sort subi par tous les populations palestiniennes déplacées depuis la Nakba de 1948.
    Ce qui se risque de se passer à Gaza est qualifié par de nombreuses voix palestiniennes, dont PNGO, le réseau des ONG palestiniennes mais aussi la Rapporteuse spéciale des Nations Unies Francesca Albanese, comme du #nettoyage_ethnique, comme une nouvelle Nakba. Par ailleurs, pour les principales organisations palestiniennes de défense des droits humains (Al Haq, Al Mezan, PCHR), il devient évident « qu’Israël impose délibérément au peuple palestinien des conditions de vie susceptibles d’entraîner sa destruction physique totale ou partielle ». Ces organisations « appellent les États tiers à intervenir de toute urgence pour protéger le peuple palestinien contre le #génocide ». Ce constat rencontre celui de la Fédération internationale des droits humains (FIDH) qui qualifie l’#ordre_d’évacuation des 1,1 million de Palestiniens du nord de la bande de Gaza de « tentative de déplacement forcé et illégal de civil⋅es pouvant refléter une intention génocidaire ». Cette qualification est également appuyée par un historien spécialisé dans l’étude de l’Holocauste et du génocide, Raz Segal. Selon lui, « l’assaut contre Gaza peut également être compris en d’autres termes : comme un cas d’école de génocide se déroulant sous nos yeux ».

    Pendant ce temps, la situation en Cisjordanie et à #Jérusalem-Est se détériore aussi. Comme le fait remarquer Yehuda Shaul, le fondateur de l’ONG Breaking the Silence, et directeur du think tank israélien Ofek, « les crimes de guerre du Hamas sont l’occasion pour la droite israélienne de faire avancer son programme messianique au-delà de la réponse de l’armée israélienne à Gaza. De la reconstruction des colonies à Gaza à l’intensification de la prise de contrôle du Haram al Sharif [l’Esplanade des mosquées]-Montagne du Temple, en passant par les pogroms en Cisjordanie ». En Cisjordanie, 55 Palestiniens ont été tués par les colons et par l’armée en une semaine.

    En Israël même, la situation de la population palestinienne et de celles et ceux qui défendent leurs #droits devient très difficile. Suite à l’attaque du Hamas et les appels à la #revanche partout dans la société israélienne, les Palestiniens d’Israël (18% de la population) craignent de sortir de chez eux. Les Israéliens et Israéliennes du « camp de la paix » vivent aussi des moments compliqués, d’une part parce que de nombreuses victimes du Hamas étaient des militants et militantes pour la paix, d’autre part parce que la défense de la population civile palestinienne de Gaza et la nécessité d’une réponse israélienne mesurée n’est même plus audible dans l’opinion publique actuelle en Israël.

    "En refusant systématiquement d’obliger Israël à respecter le droit international et en laissant les violations impunies, la communauté internationale porte une responsabilité écrasante dans la situation désespérée que nous connaissons aujourd’hui."

    Face au drame qui se déroule sous nos yeux, la boussole de la Belgique et de l’Union européenne doit plus que jamais rester le droit international et la protection de la vie, de la dignité et des droits humains. Pour l’UE et la Belgique, la priorité doit aujourd’hui être de mettre tout en œuvre pour obtenir un cessez-le-feu, la protection de toutes les populations civiles, et un accès à l’aide internationale pour la population gazaouie actuellement en urgence humanitaire absolue. Elles doivent également appeler à la libération de tous celles et ceux qui ont été illégalement privés de leur liberté, les otages retenus par le Hamas, comme les prisonniers politiques palestiniens arrêtés dans le cadre de la répression de la résistance à l’occupation. L’UE et la Belgique doivent en outre exiger d’Israël la levée du siège de la bande de Gaza, et cela dans une perspective de levée du blocus et d’une reconnexion du territoire avec le reste du territoire palestinien occupé. Elles doivent également s’attaquer aux causes structurelles du présent conflit en adoptant des mesures contraignantes contre Israël afin qu’il mette fin à l’occupation, à la colonisation et à l’apartheid contre le peuple palestinien, à commencer par la fin du commerce avec les colonies israéliennes. Enfin, la Belgique, pionnière historique de la lutte contre l’impunité en matière de crimes de guerre, doit apporter un soutien politique et financier à l’enquête en cours à la Cour pénale internationale sur la situation en Palestine et encourager le procureur de la Cour pénale à en faire une priorité afin que tous les criminels de guerre soient rapidement tenus responsables.

    https://www.cncd.be/gaza-le-droit-international-comme-seule-boussole
    #à_lire #Israël #Palestine #7_octobre_2023 #histoire

  • Aux #origines de l’#histoire complexe du #Hamas

    Le Hamas replace violemment la question palestinienne sur le devant de la scène géopolitique. Retour aux origines du mouvement islamiste palestinien, fondé lors de la première Intifada et classé organisation terroriste par les États-Unis et l’Union européenne.

    L’arméeL’armée israélienne a indiqué, samedi 14 octobre, avoir tué deux figures du Hamas qui auraient joué un rôle majeur dans l’attaque terroriste qui a plongé il y a une semaine le peuple israélien dans « les jours les plus traumatiques jamais connus depuis la Shoah », pour reprendre l’expression de la sociologue franco-israélienne Eva Illouz (plus de 1 300 morts, 3 200 blessés ainsi qu’au moins 120 otages, parmi lesquels de nombreux civils).

    Le responsable des Nukhba, les unités d’élite du Hamas, Ali Qadi, aurait été tué, de même que Merad Abou Merad, chef des opérations aériennes dans la ville de Gaza. Dimanche, c’est la mort d’un commandant des Nukhba, Bilal el-Kadra, présenté par l’armée israélienne comme le responsable des massacres du 7 octobre dans les kibboutz de Nirim et de Nir Oz, qui a été annoncée.

    Depuis l’offensive surprise du Hamas, Israël assiège et pilonne en représailles la bande de Gaza. Ses bombardements ont fait en l’espace de quelques jours 2 750 morts, dont plus de 700 enfants, et 9 700 blessés, selon un bilan du ministère palestinien de la santé du Hamas établi lundi matin. « Ce n’est que le début », a prévenu le premier ministre israélien Benyamin Nétanyahou, qui a déclaré : « Le Hamas, c’est Daech et nous allons les écraser et les détruire comme le monde a détruit Daech. »

    S’il est difficile de ne pas convoquer la barbarie de Daech en Syrie, en Irak ou sur le sol européen devant les massacres commis le 7 octobre par le mouvement islamiste palestinien dans la rue, des maisons ou en pleine rave party, la comparaison entre les deux organisations a ses limites.

    « Oui, le Hamas a commis des crimes odieux, des crimes de guerre, des crimes contre l’humanité, mais c’est un mouvement nationaliste qui n’a rien à voir avec Daech ou Al-Qaïda, nuance Jean-Paul Chagnollaud, professeur des universités, directeur de l’Institut de recherche et d’études Méditerranée/Moyen-Orient (iReMMO). Il représente ou représentait largement un bon tiers du peuple palestinien. Si Mahmoud Abbas [chef de l’Autorité palestinienne – ndlr] a annulé les élections il y a deux ans, c’est parce que le Hamas avait des chances d’emporter les législatives. »

    « La comparaison avec Daech a une visée politique qui consiste à enfermer le Hamas dans un rôle de groupe djihadiste, abonde le chercheur Xavier Guignard, spécialiste de la Palestine au sein du centre de recherche indépendant Noria. Je comprends le besoin de caractériser ce qu’il s’est produit, mais cette comparaison nous prive de voir tout ce qu’est aussi le Hamas », un mouvement islamiste de libération nationale, protéiforme, politique et militaire, qui est l’acronyme de « Harakat al-muqawama al-islamiya », qui signifie « Mouvement de la résistance islamique ».

    Considéré comme terroriste par l’Union européenne, les États-Unis ainsi que de nombreux pays occidentaux, le Hamas, dont la branche politique dans la bande de Gaza est dirigée par Yahya Sinouar (qui fut libéré en 2011 après vingt-deux ans dans les geôles israéliennes lors de l’échange de 1 027 prisonniers palestiniens contre le soldat franco-israélien Gilad Shalit), est arrivé au pouvoir lors d’une élection démocratique. Il a remporté les législatives de 2006. L’année suivante, il prend par la force le contrôle de la bande de Gaza au terme d’affrontements sanglants et aux dépens de l’Autorité palestinienne (AP), reconnue par la communauté internationale et dominée par le Fatah (Mouvement national palestinien de libération, non religieux) de Mahmoud Abbas, qui contrôle la Cisjordanie.
    Guerre fratricide

    Cette prise de pouvoir constitue un moment charnière. Elle provoque une guerre fratricide entre les formations palestiniennes et offre à l’État hébreu une occasion de durcir encore, en riposte, le blocus dans la bande de Gaza, en limitant la circulation des personnes et des biens, avec le soutien de l’Égypte. Un blocus dévastateur par terre, air et mer qui asphyxie l’économie et la population depuis plus d’une décennie et a été aggravé par les guerres successives et les destructions sous l’effet des bombardements israéliens.

    Officiellement, pour Israël, qui a décolonisé le territoire en 2005, le blocus vise à empêcher que le Hamas, qui se caractérise par une lutte armée contre l’État hébreu, se fournisse en armes. Créé en décembre 1987 par les Frères musulmans palestiniens (dont la branche a été fondée à Jérusalem en 1946, deux ans avant la proclamation de l’État d’Israël), lors de la première intifada (soit le soulèvement palestinien contre l’occupation israélienne de la Cisjordanie et de la bande de Gaza), alors massive et populaire, le mouvement a épousé la lutte armée contre Israël à cette époque.

    « Un profond débat interne » avait alors agité ses fondateurs, comme le raconte sur la plateforme Cairn l’universitaire palestinien Khaled Hroub : « Deux points de vue s’opposent. Les uns poussent à un tournant politique dans le sens d’une résistance à l’occupation, contournant par là les idées anciennes et traditionnelles en fonction desquelles il convient de penser avant tout à l’islamisation de la société. Les autres relèvent de l’école classique des Frères musulmans : “préparer les générations” à une bataille dont la date précise n’est toutefois pas fixée. Avec l’éruption de l’intifada, les tenants de la ligne dure gagnent du terrain, arguant des répercussions très négatives sur le mouvement si les islamistes ne participent pas clairement au soulèvement, sur un même plan que les autres organisations palestiniennes qui y prennent part. »

    Acculé par son « rival plus petit et plus actif », le Jihad islamique, « une organisation de même type – et non pas nationaliste ou de gauche », poursuit Khaled Hroub, le Hamas a fini par accélérer sa transformation interne.

    La transformation de la branche palestinienne des Frères musulmans en Mouvement de la résistance islamique n’est pas allée de soi, et les discussions ont été vives avant que le sheikh Yassin, tout frêle qu’il soit dans son fauteuil roulant de paralytique, ne l’emporte. Une partie des membres tenaient en effet à rester sur la ligne frériste : transformer la société par le prêche, l’éducation et le social. Le nationalisme n’a pas droit de cité dans cette conception, c’est la communauté des croyants qui compte. Le Hamas, lui, rajoute à l’islam politique une dimension nationaliste.

    Sa charte, 36 articles en cinq chapitres, rédigée en 1988, violemment antisémite, est sans équivoque : le Hamas appelle au djihad (guerre sainte) contre les juifs, à la destruction d’Israël et à l’instauration d’un État islamique palestinien. Vingt-neuf ans plus tard, en 2017, une nouvelle charte est publiée sans annuler celle de 1988. Le Hamas accepte l’idée d’un État palestinien limité aux frontières de 1967, avec Jérusalem pour capitale et le droit au retour des réfugié·es, et dit mener un combat contre « les agresseurs sionistes occupants » et non contre les juifs.

    En 1991, la branche du Hamas consacrée au renseignement devient une branche armée, celle des Brigades Izz al-Din al-Qassam. À partir d’avril 1993, l’année des accords d’Oslo signés entre l’OLP (Organisation de libération de la Palestine) de Yasser Arafat et l’État hébreu, que le Hamas a rejetés estimant qu’il s’agissait d’une capitulation, les Brigades Izz al-Din al-Qassam mènent régulièrement des attaques terroristes contre les soldats et les civils israéliens pour faire échouer le processus de paix. Pendant des années, elles privilégient les attentats-suicides, avant d’opter à partir de 2006 pour les tirs de roquettes et de mortiers depuis Gaza.

    Ces dernières années, le Hamas, critiqué pour sa gestion autoritaire de la bande de Gaza, sa corruption, ses multiples violations des droits humains (il a réprimé en 2019 la colère de la population exténuée par le blocus israélien), était réputé en perte de vitesse, mis face à l’usure du pouvoir.
    Prise de pouvoir de la branche militaire

    Son offensive meurtrière par la terre, les airs et la mer du samedi 7 octobre – cinquante ans, quasiment jour pour jour, après le déclenchement de la guerre de Kippour et à l’heure des accords d’Abraham visant à normaliser les relations entre Israël et plusieurs pays arabes sur le dos des Palestiniens et sous pression des États-Unis – le replace en première ligne. Elle révèle sa nouvelle puissance ainsi qu’un savoir-faire jusque-là inédit dans sa capacité de terrasser l’une des armées les plus puissantes de la région et d’humilier le Mossad et le Shin Bet, les tout-puissants organes du renseignement extérieur et intérieur israélien.

    Elle révèle aussi le pouvoir pris par la branche militaire sur la branche politique d’un mouvement sunnite qui serait fort d’une mini-armée, dotée d’environ 40 000 combattants et de multiples spécialistes, notamment en cybersécurité, selon Reuters. Un mouvement qui peut compter sur ses alliés du « Front de la résistance » pour l’équiper : l’Iran, la Syrie et le groupe islamiste chiite Hezbollah au Liban, avec lesquels il partage le rejet d’Israël.

    Sur les plans militaire, diplomatique et financier, l’Iran chiite est l’un de ses principaux soutiens. Selon un rapport du Département d’État américain de 2020, cité par Reuters, l’Iran fournit environ 100 millions de dollars par an à des groupes palestiniens, notamment au Hamas. Cette aide aurait considérablement augmenté au cours de l’année écoulée, passant à environ 350 millions de dollars, selon Reuters.

    Le Hamas n’est pas seulement un mouvement politique et une organisation combattante, c’est aussi une administration. À ce titre, il lève des impôts et met en place des taxes sur tout ce qui rentre dans la bande de Gaza, soit légalement, par les points de passage avec Israël et avec l’Égypte, soit illégalement. Les revenus qu’il perçoit ainsi sont estimés à près de 12 millions d’euros par mois. Ce qui est peu, finalement, car cette administration doit payer ses fonctionnaires et assurer un minimum de protection sociale, sous forme d’écoles, d’institutions de santé, d’aides aux plus défavorisés. Il est en cela aidé par le Qatar sunnite, avec l’aval du gouvernement israélien. L’émirat a ainsi versé 228 millions d’euros en 2021 et cette somme devait être portée à 342 millions en 2021.

    Le Hamas figurant sur les listes américaine et européenne des mouvements soutenant le terrorisme, le système bancaire international lui est fermé. Aussi, quand cette aide est mise en place, en 2018, ce sont des valises de billets qui arrivent, en provenance du Qatar, à l’aéroport de Tel Aviv et prennent ensuite la route de Gaza où elles pénètrent le plus officiellement du monde. Par la suite, les opérations seront plus discrètes.

    Plus discrets, aussi, d’autres transferts à des fins moins avouables que le paiement du fuel pour la centrale électrique ou des médicaments pour les hôpitaux. Ceux-là arrivent jusqu’au Hamas par des cryptomonnaies. Même si les relations avec l’Iran sont moins bonnes depuis que le Hamas a soutenu la révolution syrienne de 2011, la république islamique reste encore le principal financier de son arsenal, de l’aveu même d’Ismail Hanniyeh. Le chef du bureau politique du Hamas, basé à Doha, a affirmé en mars 2023 que Téhéran avait versé 66 millions d’euros pour l’aider à développer son armement.

    Le Qatar accueille également plusieurs des dirigeants du Hamas. Quand ils ne s’abritent pas au Liban ou dans « le métro » de Gaza, ce dédale de tunnels creusés sous terre depuis l’aube des années 2000, qui servent tout à la fois de planques et d’usines où l’on fabrique ou importe des armes, bombes, mortiers, roquettes, missiles antichar et antiaériens, etc.

    Pour les uns, le Hamas a enterré la cause palestinienne à jamais le 7 octobre 2023 et est le meilleur ennemi des Palestinien·nes. Pour les autres, il a réalisé un acte de résistance, de libération nationale face à la permanence de l’occupation, la mise en danger des lieux saints à Jérusalem, l’occupation en Cisjordanie. « Quand il s’agit de la cause palestinienne, tout mouvement se dressant contre Israël est considéré comme un héraut, quelle que soit son idéologie », constate Mohamed al-Masri, chercheur au Centre arabe de recherches et d’études politiques de Doha, au Qatar, dans un entretien à Mediapart.

    Samedi 7 octobre, c’est Mohammed Deif qui a annoncé le lancement de l’opération « Déluge d’al-Aqsa » contre Israël pour « mettre fin à tous les crimes de l’occupation ». Le nom n’est pas choisi au hasard. Il fait référence à l’emblématique mosquée dans la vieille ville de Jérusalem, symbole de la résistance palestinienne et troisième lieu saint de l’islam après La Mecque et Médine, d’où le prophète Mahomet s’est élevé dans le ciel pour rencontrer les anciens prophètes, dont Moïse, et se rapprocher de Dieu.

    Mohammed Deif est l’ennemi numéro un de l’État hébreu, le cerveau de ce qui est devenu « le 11-Septembre israélien » : il est le commandant de la branche armée du Hamas. Surnommé le « chat à neuf vies » pour avoir survécu à de multiples tentatives d’assassinat, Mohammed Diab Ibrahim al-Masri, de son vrai nom, serait né en 1965 dans le camp de réfugié·es de Khan Younès, dans le sud de la bande de Gaza. Il doit son surnom de « Deif » – « invité » en arabe – au fait qu’il ne dort jamais au même endroit.

    Il a rejoint le Hamas dans les années 1990, connu la prison israélienne pour cela, avant d’aider ensuite à fonder la branche armée du Hamas dans les pas de son mentor qui lui a appris les rudiments des explosifs, Yahya Ayyash. Après l’assassinat de ce dernier, il a pris les rênes des Brigades Al-Qassam. Israël peut détruire l’appareil du Hamas, avec des assassinats ciblés. D’autres se tiennent prêts à prendre la relève dans l’ombre des maîtres. Deif en est un exemple emblématique.

    « Le Hamas a été promu en sous-main par Nétanyahou, rappelle dans un entretien à Mediapart l’écrivain palestinien et ancien ambassadeur de la Palestine auprès de l’Unesco, Elias Sanbar. J’ai le souvenir, tandis qu’Israël organisait un blocus financier à l’encontre du Fatah et de l’Autorité palestinienne, que les transferts d’argent au Hamas passaient alors par des banques israéliennes ! La créature d’Israël s’est retournée contre lui. Entre-temps, elle s’est nourrie des échecs de l’Autorité palestinienne, dont les représentants sont accusés d’être des naïfs, sinon des traîtres, partant depuis 1993 dans des négociations avec Israël pour en revenir toujours bredouilles. »

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    Sur la charte de 1988 et le document de 2017

    La charte du Hamas, publiée en 1988 (il existe une traduction du texte intégral réalisée par le chercheur Jean-François Legrain, spécialiste du Hamas), reprend les antiennes antisémites européennes. Elle définit le Hamas comme « un des épisodes du djihad mené contre l’invasion sioniste » et affirme notamment que le mouvement « considère que la terre de Palestine [dans cette acceptation Israël, Cisjordanie et bande de Gaza – ndlr] est une terre islamique de waqf [mot arabe signifiant legs pieux et désignant des biens inaliénables dont l’usufruit est consacré à une institution religieuse ou d’utilité publique – ndlr] pour toutes les générations de musulmans jusqu’au jour de la résurrection. Il est illicite d’y renoncer tout ou en partie, de s’en séparer tout ou en partie ».

    Dans son livre Le Grand aveuglement, sur les relations parfois en forme de pas-de-deux, entre les dirigeants israéliens successifs et le Hamas, Charles Enderlin cite de nombreux rapports du Shabak, service de renseignement intérieur de l’État hébreu. Dont celui-ci, dans la foulée de la diffusion de la charte de 1988 : « Le Hamas présente la libération de la Palestine comme liée à trois cercles : palestinien, arabe et islamique. Cela signifie le rejet absolu de toute initiative en faveur d’un accord de paix, car : “Renoncer à une partie de la Palestine équivaut à renoncer à une partie de la religion. La seule solution au problème palestinien c’est le djihad”. »

    Dans la lignée de ce texte, le Hamas, qui n’appartient pas à l’Organisation de Libération de la Palestine (OLP), dont fait partie le Fatah, parti de Yasser Arafat, rejette évidemment les Accords d’Oslo et toutes les phases de négociations.

    Au fil des années cependant se feront jour des déclarations plus pragmatiques. Le sheikh Yassin lui-même a, avant son assassinat par Israël en 2004, affirmé à plusieurs reprises que le Hamas était près à une hudna (trêve) avec l’État hébreu, laissant aux générations futures le soin de reprendre, ou non, le combat.

    La participation du Hamas aux élections législatives de 2006 est considérée comme une reconnaissance informelle et non dite de l’État d’Israël. Le Hamas accepte en effet un scrutin qui se déroule sur une partie, et une partie seulement, de la Palestine historique, celle des frontières de 1967, ceci en contradiction avec la charte de 1988.

    Dans une longue et savante analyse, l’historien Jean-François Legrain, reconnu comme un des meilleurs spécialistes français du Hamas, explique que la charte de 1988, écrit par un individu anonyme, n’a pas fait consensus dans les instances dirigeantes du Hamas. Elle était très peu citée par ses cadres. Ce qui ne signifie pas que des responsables du Hamas ne tenaient pas des discours antisémites. Lors d’une interview en 2009, Mahmoud al-Zahar, alors important responsable du Hamas dans la bande de Gaza, défendait la véracité du Protocole des sages de Sion, cité dans la charte de 1988.

    Au cours de la décennie qui suit sa victoire aux élections législatives puis sa guerre fratricide avec le Fatah, le Hamas, maître désormais de la bande de Gaza, montrera qu’il ne renonce pas à la lutte armée : s’il semble avoir renoncé aux attentats-suicides, si nombreux de 1993 à 1996 puis entre 2001 et 2005, il lance régulièrement des roquettes Qassam, du nom de sa branche militaire, en direction du territoire israélien.

    Ce sont les civils qui en paient le prix, avec des guerres lancées contre la bande de Gaza en 2008, 2012, 2014 et 2021. Le Hamas, sans abandonner la lutte armée, adopte en 2017 un Document de principes et de politique généraux qui semble aller contre les principes de la charte de 1988. Il ne s’agit plus de lutter contre les Juifs, mais contre les sionistes : « Le Hamas affirme que son conflit porte sur le projet sioniste et non sur les Juifs en raison de leur religion. Le Hamas ne mène pas une lutte contre les Juifs parce qu’ils sont juifs, mais contre les sionistes qui occupent la Palestine » (article 16). Plus remarqué encore, l’acceptation des frontières de 1967 : « Le Hamas rejette toute alternative à la libération pleine et entière de la Palestine, du fleuve à la mer. Cependant, sans compromettre son rejet de l’entité sioniste et sans renoncer à aucun droit palestinien, le Hamas considère que la création d’un État palestinien pleinement souverain et indépendant, avec Jérusalem comme capitale, selon les lignes du 4 juin 1967, avec le retour des réfugiés et des personnes déplacées dans leurs foyers d’où ils ont été expulsés, est une formule qui fait l’objet d’un consensus national » (article 20).

    La charte de 1988 n’est pour autant pas caduque, explique à la chercheuse Leila Seurat Khaled Mechaal, un des membres fondateurs du Hamas : « Le Hamas refuse de se soumettre aux désidératas des autres États. Sa pensée politique n’est jamais le résultat de pressions émanant de l’extérieur. Notre principe c’est : pas de changement de document. Le Hamas n’oublie pas son passé. Néanmoins la charte illustre la période des années 1980 et le document illustre notre politique en 2017. À chaque époque ses textes. Cette évolution ne doit pas être entendue comme un éloignement des principes originels, mais plutôt comme une dérivation (ichtiqaq) de la pensée et des outils pour servir au mieux la cause dans son étape actuelle. »

    Le nouveau document maintient, de toute façon, la lutte armée comme moyen de parvenir à ses fins.

    https://www.mediapart.fr/journal/international/161023/aux-origines-de-l-histoire-complexe-du-hamas
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