• Le atrocità di Mussolini. I crimini di guerra rimossi dell’Italia fascista

    Questo libro è stato già pubblicato nel 1992 (con il titolo L’Olocausto rimosso), ma nessuno ha mai potuto trovarlo in libreria. La casa editrice Rizzoli decise infatti, subito dopo averle stampate, di mandare al macero tutte le copie di questo testo, ritenuto evidentemente troppo scomodo. Il lavoro di ricerca di #Michael_Palumbo sulla storia dei crimini di guerra del fascismo era già presente nel documentario Fascist Legacy prodotto dalla Bbc nel 1989, anch’esso acquistato dalla Rai e mai mandato in onda nonostante L’Unità del 10 giugno 1990 lo definisse come l’opera che «ha posto fine per sempre alla leggenda degli “italiani brava gente”».

    Palumbo ha portato infatti alla luce la decisiva documentazione proveniente dagli archivi nazionali degli Stati Uniti a Washington DC e dalla Commissione delle Nazioni Unite per i Crimini di Guerra con cui, insieme a ulteriore materiale reperito in dieci lingue diverse, comprova le atrocità commesse in tutti i paesi in cui l’Italia entrò in guerra: dalla Libia all’Etiopia, dalla Grecia alla Jugoslavia. Crimini poi insabbiati dagli angloamericani per non disturbare gli equilibri del dopoguerra e mantenere a disposizione una classe dirigente utile alla crociata anticomunista della nuova Italia democratica. Successivamente, tra la fine degli anni Novanta e i primi anni Duemila, altri studiosi hanno pubblicato importanti ricerche sui crimini di guerra fascisti. Arrivando solo oggi nelle librerie italiane, Le atrocità di Mussolini completa il quadro.

    Lo stile di Palumbo e la drammaticità degli eventi offrono un affresco tragico e illuminante di cosa è stata l’Italia fascista, un volto che le forze politiche eredi di quella stagione provano costantemente a rimuovere dalla memoria nazionale.

    https://edizionialegre.it/product/le-atrocita-di-mussolini
    #livre
    #histoire #Italie #fascisme #crimes_de_guerre #italiani_brava_gente #Libye #Ethiopie #Grèce #Yougoslavie #Mussolini #colonialisme #colonisation #Italie_coloniale

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    ajouté à la métaliste sur l’Italie coloniale:
    https://seenthis.net/messages/871953

    • La storia strappata al macero

      Vede finalmente gli scaffali il libro scomparso che documenta i crimini rimossi dell’Italia fascista e le atrocità commesse dai soldati italiani in Africa e in Europa.

      Qualcuno l’ha avuto in mano, questo libro, prima che finisse (quasi) integralmente al macero. Qualcuno è riuscito a recuperarne una copia, e ora Le atrocità di Mussolini. I crimini di guerra rimossi dell’Italia fascista, fresco di stampa per le Edizioni Alegre, non solo è arrivato in magazzino, ma anche in libreria. Dopo oltre trent’anni. E a quarantaquattro anni da quando, il 28 marzo 1980, il suo autore, l’allora giovane ricercatore Michael Palumbo, annunciò al New York Times la scoperta dei documenti della Commissione delle Nazioni Unite sui Crimini di Guerra (Unwcc), che avrebbero scoperchiato un vaso di Pandora portando alla realizzazione del documentario Fascist Legacy di Ken Kirby (BBC, 1989), basato sulle ricerche di Palumbo, e alla stesura di questo saggio «fantasma» all’epoca ampiamente annunciato e atteso.

      La rassegna stampa sul lavoro del ricercatore italo-americano e sulle sue implicazioni sul piano della conoscenza storica e della memoria pubblica in quegli anni tra la fine degli Ottanta e l’inizio dei Novanta fu notevole. Tre articoli in particolare anticiparono l’uscita del libro in quella primavera editoriale di trentadue anni fa: Italiani bonaccioni? No, assassini di James Walston (L’Indipendente, 17 marzo 1992: «Un libro che si preannuncia come una vera e propria bomba editoriale», scriveva Walston); Come trucidavamo di Giorgio Fabre (Panorama, 12 aprile 1992) e Quel libro non si stampi! di Simonetta Fiori, pezzo apparso sulle pagine culturali de la Repubblica del 17 aprile 1992, che esordisce riferendosi all’articolo di cinque giorni precedente:

      Quel lunedì mattina, in casa editrice tirava una brutta aria. Il libro di Michael Palumbo sui crimini dei soldati italiani continuava a produrre grane. L’ultima – di quel lunedì – era l’intervista a Panorama di uno dei personaggi incriminati. […]
      Chi ce lo ha fatto fare?, devono aver pensato alla Rizzoli. D’altra parte, che la materia fosse incandescente non era notizia di quel lunedì. Già tre anni prima, un programma sullo stesso argomento curato da Palumbo per la Bbc – Fascist Legacy, coautore Ken Kirby – aveva scatenato a Londra un pandemonio. Con la protesta risentita dell’ambasciatore italiano Boris Biancheri. Il documentario denunciava per la prima volta, senza reticenze, le atrocità commesse dai soldati italiani in Grecia, Jugoslavia e nelle colonie d’Africa. E la copertura che nel dopoguerra il potere democristiano avrebbe garantito ai criminali di guerra. Tanto per non sbagliare, la rete Uno della Rai, che s’era assicurata i diritti, si guardò bene dal mandarlo in onda.
      Il documentario di Palumbo, giovane ricercatore di Brooklyn, incuriosì l’allora direttore editoriale della Rizzoli, Gian Andrea Piccioli, che sottoscrisse con lui un contratto. Dopo un anno il libro, ricco di rivelazioni sulle malversazioni degli italiani nel campo di Arbe, in Etiopia, in Cirenaica e in Grecia, era già pronto.

      «Che fare del libro tanto atteso, che in un primo tempo doveva chiamarsi L’Olocausto mancato, poi più morbidamente Italiani, brava gente? e infine – titolo definitivo – L’Olocausto rimosso?», si chiedeva Fiori. A fronte alle minacce di querela di uno degli innumerevoli personaggi coinvolti nella galleria di atrocità compiute dagli italiani, «secondo una prima notizia, la Rizzoli avrebbe deciso di mandare al macero le ottomila copie già stampate, una tiratura giustificata dalle attese», chiosava.

      «Caso alla Rizzoli: che fine ha fatto il lavoro di Palumbo sui criminali italiani?», recitava l’occhiello di quell’articolo de la Repubblica. Aveva fatto una brutta fine, allora. Ma ora eccolo qui, finalmente, con una prefazione di Eric Gobetti e una postfazione (Breve storia di un libro censurato e ritrovato) di Ivan Serra, metalmeccanico e animatore del sito diecifebbraio.info, che ha inseguito come un segugio questa pista fino a ritrovare una copia – una delle copie? – sopravvissuta alla distruzione.

      «Abbiamo distrutto ogni cosa da cima a fondo senza risparmiare gli innocenti. Uccidiamo intere famiglie ogni notte, picchiandoli a morte o con le armi. Basta che facciano un movimento, noi spariamo senza pietà. Se muoiono, muoiono. Stanotte ci sono stati cinque morti: due donne, un bambino piccolo e due uomini», scriveva una camicia nera alla famiglia il 1° luglio 1942 dal Montenegro.

      «Stanno arrivando gli italiani», è una frase testuale che rispetto allo scenario greco riporta l’autore riferendo delle scene di panico che seguono annunci come questo, nel genocidio in Cirenaica come in Etiopia, come nella Jugoslavia «a ferro e fuoco» – nella Slovenia della famigerata «Circolare 3C» del generale Mario Roatta che autorizzava a fucilare in maniera indiscriminata, in Croazia e in Montenegro – come in Grecia, lasciando non di rado attoniti anche gli alleati nazisti.

      L’angolatura prospettica che permette a Palumbo questa ricognizione, oltre all’accesso alle ricerche allora già disponibili – in particolare quelle solidissime e pionieristiche di Angelo Del Boca e Giorgio Rochat – è proprio la documentazione della Unwcc, e il suo lavoro pachidermico cominciato nel 1978 quando ha potuto attingere massicciamente a documenti etiopici, jugoslavi, britannici, statunitensi, tedeschi, oltre che italiani, producendo il dossier necessario a realizzare Fascist Legacy e documentando, oltre che i crimini, la lucida e strategica opera di insabbiamento degli stessi, quando la lista della Unwcc arrivò «a comprendere 700 persone, molte delle quali occupavano un posto chiave nel governo italiano», e «gli alleati continuarono la loro tattica di indugio». «Fra i criminali di guerra ancora in servizio c’erano i generali [Alessandro] Pirzio Biroli, [Mario] Robotti, [Carlo] Tucci, [Silvio] Bonini, [Domenico] Chinnici e [Alessandro] Maccario, tutti colpevoli delle più gravi atrocità commesse in Jugoslavia», scriveva Palumbo un decennio prima che l’istituzione del Giorno del Ricordo contribuisse a ribaltare completamente nel senso comune il giudizio storico su quegli anni. Il libro avrebbe potuto persino precedere la celebre querelle tra Del Boca e Indro Montanelli, che nel 1996, dopo aver negato l’uso dei gas iprite in Africa orientale, a fronte delle prove schiaccianti prodotte dallo storico novarese, avrebbe infine ammesso di essersi sbagliato e – almeno di questo – si sarebbe pubblicamente scusato.

      Centinaia di voci – da Pietro Badoglio e Rodolfo Graziani all’ultimo dei loro sottoposti, dai carnefici alle vittime, ai testimoni degli orrori africani ed europei – si avvicendano nelle quasi quattrocento pagine a stampa che ora chiunque può avere tra le mani. Il saggio di Palumbo è una cartografia d’epoca – in fondo è un pezzo da collezione di storia della ricerca storica – delle atrocità commesse dall’Italia fascista lungo tutto il ventennio, e in particolare all’estero e dal 1930 in Libia al termine del secondo conflitto mondiale, in un procedere per episodi dei quali gli studi più recenti avrebbero confermato la rilevanza storica: il massacro di Addis Abeba del febbraio 1937 («una visione da inferno dantesco» nelle parole del delegato della Croce Rossa Internazionale in Etiopia, Marcel Junod), finalmente ricostruito nel dettaglio da Ian L. Campbell in un libro edito nel 2018 dalla stessa Rizzoli; quello immediatamente successivo di Debre Libanos, oggetto di uno studio approfondito di Paolo Borruso edito da Laterza nel 2020; quello di Zeret dell’aprile del 1939, a cui Matteo Dominioni avrebbe dedicato uno studio nel 2006; quello di Domeniko/Domenikon del 16 febbraio 1943 in Grecia (definito ancora «l’eccidio dimenticato» dal Corriere della Sera tre anni fa), quando gli italiani massacrarono tutti gli uomini validi di un piccolo villaggio greco, in Tessaglia, ora portato alla luce da Vincenzo Sinapi (Domenikon 1943. Quando ad ammazzare sono gli italiani, Mursia 2021) e al quale Palumbo dedicava già diverse pagine, con tanto di interviste ai sopravvissuti.

      Si ha l’impressione di assistere a un what if? della memoria pubblica italiana, trovando episodi ora noti tra gli studiosi e non solo già descritti nel dettaglio, e tutti insieme, in un libro di un terzo di secolo fa, prima ancora della «scoperta» a Roma dell’«armadio della vergogna» nel 1994. Già, perché il testo è stato pubblicato così come sarebbe dovuto uscire, in un’operazione di repêchage più unica che rara nel panorama della saggistica italiana. Con un valore conoscitivo e civile davvero con pochi precedenti.

      Il libro edito oggi da Alegre è infatti un recupero integrale di quel testo stampato (prima edizione: aprile 1992) e «cancellato», con la sola correzione di alcuni refusi e imprecisioni, specie nei toponimi, opera della traduttrice Paola Tornaghi. Un esempio che può illuminare è appunto la lectio «Domenikos» che Palumbo aveva utilizzato al posto di «Domenikon» (dicitura in katharevousa) e «Domeniko» (come è chiamato oggi, in dimotiko), le uniche due occorrenze presenti nelle fonti: leggiamo questa precisazione in Camicie nere sull’Acropoli. L’occupazione italiana in Grecia (1941-1943), edito da Deriveapprodi nel 2013, in cui l’autore Marco Clementi raccontando questo evento «riscoperto in Italia» solo negli anni Duemila si stupiva di questa versione del toponimo rintracciata in altri studi, ignaro del fatto che verosimilmente provenisse dal libro di Palumbo. Qualche altra copia oltre a quella recuperata da Serra è dunque circolata tra gli studiosi?

      Certo, la ricerca sul «nuovo ordine mediterraneo» (così avrebbe titolato il saggio di Davide Rodogno del 2003, edito da Bollati Boringhieri) in questi tre decenni è andata avanti, e il progetto imperiale fascista che in Europa come in Africa condusse a incalcolabili atrocità è stato studiato e divulgato con serietà e passione proprio da storici come Del Boca – che nel decennio seguente avrebbe intitolato il suo libro di maggior successo proprio Italiani, brava gente? Un mito duro a morire (Neri Pozza 2005), scomparso nel 2021 – e come Rochat, scomparso due settimane fa, che furono maestri per molti. E dalle successive generazioni ricordate anche nella prefazione di Gobetti: si pensi a Nicola Labanca, il già citato Dominioni e Valeria Deplano e Alessandro Pes per il colonialismo; a Paolo Fonzi per la Grecia, allo stesso Gobetti per la Jugoslavia, a Filippo Focardi per gli studi sulla memoria pubblica.

      Ma la ricerca, e ancora di più la discussione pubblica, avrebbe potuto avanzare con maggiore rapidità e pregnanza se i risultati di questo lavoro «cancellato» di Palumbo fossero passati dai magazzini alle librerie, e non solo in qualche mano fortunata che ha potuto avere le poche copie scampate al macero; avrebbe forse potuto avere, a proposito di what if?, un impatto simile a quello che il controverso I volonterosi carnefici di Hitler. I tedeschi comuni e l’Olocasusto di Daniel J. Goldhagen (1996) ebbe nel dibattito tedesco e globale sulla partecipazione delle persone «ordinarie» alla Shoah.

      Dal momento che non esistono «caratteri nazionali» immutabili, gli italiani furono As Cruel as Anyone Else, come titola la traduzione inglese del pamphlet di Del Boca, fresca di stampa per i tipi della University of Chicago Press. Eppure avviandosi a concludere Le atrocità di Mussolini l’autore italo-americano lasciava spazio a un’immagine controfattuale che vale la pena riportare, dopo aver riflettuto a lungo anche sulle profonde radici nel nazionalismo e nelle «avventure» espansionistiche e coloniali che hanno preceduto il fascismo, utili da ricordare in questi giorni in cui la sbronza nazionalista e militarista del 4 novembre ci sovrasta:

      È difficile valutare il numero totale delle vittime dei crimini di guerra fascisti, sicuramente centinaia di migliaia di persone morirono nei campi di concentramento italiani, nelle tremende incursioni e nelle carestie artificialmente create nei Balcani.
      Si possono aggiungere poi i massacri compiuti dalle forze di [Rodolfo] Graziani durante la Repubblica di Salò, così come le migliaia di civili e prigionieri di guerra assassinati dalle legioni di Mussolini nella guerra civile spagnola e sul fronte russo durante la Seconda guerra mondiale. Benché non si possa più conoscere il numero reale delle vittime, è probabile che un milione di persone siano morte in conseguenza delle atrocità fasciste italiane […].
      Se il regime di Mussolini fosse stato più efficiente, se la sua caduta non fosse coincisa col momento culminante della Seconda guerra mondiale, il tributo delle vittime sarebbe stato molto più elevato. Infatti, dato che i fascisti avevano progettato di spopolare grandi aree della Libia, dell’Etiopia, della Grecia e della Jugoslavia, la conclusione inevitabile è che, se il regime di Mussolini fosse sopravvissuto, parecchi milioni di persone sarebbero morte nelle zone destinate al nuovo Impero Romano.

      «Stavo dicendo all’Italia che il mito dell’innocenza italiana era finito», scrive oggi, da Taipei, Michael Palumbo, ricordando l’effetto del documentario della Bbc e introducendo il suo libro che vede finalmente gli scaffali, sperando che ne sia in qualche modo una replica tardiva. Forse, allora, quando si ammaineranno i tricolori dopo l’ennesimo e imbarazzante tripudio di celebrazioni del diritto alla «Difesa» di questo paese, si potrà iniziare a fare i conti con le guerre d’aggressione che per vent’anni si sono mosse in ogni angolo del tanto agognato progetto imperiale. Trentadue anni dopo quel «Non si stampi!» (da leggersi: «Non si distribuisca!»), e ottant’anni dopo la Liberazione.

      https://jacobinitalia.it/la-storia-strappata-al-macero

  • Pour les jeunes anglophones : How to Destroy a State
    https://www.youtube.com/watch?v=bbH13sBHvDI

    C’est une excellente introduction dans le sujet même si le rôle de l’Allemagne et de l’OTAN et plein d’autres acteurs ne sont pas mentionnés. Les plus important c’est que l’auteur montre comment les conflits éthniques et religieux sont construits par des groupes d’intérêt.

    #Yougoslavie #guerre_civile #Serbie #Slovénie #Kososvo #Croatie #communisme #Tito #guérilla #antifascisme #histoire #OTAN

  • à propos Meili, du conseil municipal, il m’a demandé aujourd’hui si nous sommes tous des Yougos, et il a fallu que je lui explique que nous sommes hongrois, pourquoi Meili ne le sait-il pas ?, vous ne pourriez pas expliquer aux clients la différence entre les Slaves et les Hongrois ? Leur dire que la langue hongroise et la langue serbe ont à peu près autant en commun qu’une perdrix et un œil de perdrix, tout le monde devrait le savoir !
    #hongrois #yougoslavie #langue #voïvodine

    p. 171

  • (…) il fallait une fois pour toutes qu’on leur retire le pouvoir, à ces salauds de communistes (…), c’est eux les responsables de la guerre !, oui, parfaitement, les rouges ont toujours eu du sang sur les mains… j’entendais les phrases que les hommes lançaient fans l’air, surtout papa et Zoltán, ce n’étaient guerre qu’affirmations qui flottaient ensuite, curieusement étrangères et isolées, et j’étais moins surprise que d’ordinaire de voir combien les hommes étaient borgnes de l’œil droit, personne ne parlait des nationalistes, et en particulier de ces alliances secrètes entre nationalistes et communistes qui attisaient la haine dans l’ancienne Yougoslavie ; (…)
    #nationalisme #communisme #guerre #yougoslavie

    Pigeon vole p. 158

  • …mais réjouis-toi que votre ville ne soit pas encore coupée en deux, comme c’est le sort de tant d’autres, it is evident, dit Dalibor, partager des villes, un pays tout entier, en fonction des ethnies, ce n’est pas possible, quand ça arrive, on est confronté à la folie pure et simple de la guerre. Et les hommes politiques d’Europe de l’Ouest, les démocrates, qui laissent faire ces partages, qui s’asseyent à la table des nationalistes, fauteurs de guerre. Dis-moi pourquoi ils ne s’asseyent pas à celle des gens qui, dans l’opposition, sont en quête des valeurs démocratiques, tell me ?
    #Dalibor #yougoslavie #nationalisme #hguerre #yougonostalgie

    Pigeon vole, p. 143

  • « Et dans pas bien longtemps des têtes de cochon comme le type de Csilla vont dégager, tout le monde dit que la guerre approche, ils seront les premiers à être rappelés sous les drapeaux dans l’armée populaire yougoslave, un homme comme ça, à moitié bohémien, il y sera bienvenu, qu’il se batte donc et qu’il crève pour les Serbes ! (…) tante Icu, qui se signe, le suit du regard, et toi, dit-elle, toi aussi tu devais tout autant servir de chair à canon pendant la dernière guerre, toi, un Hongrois parmi les Partisans, toi à qui on n’avait mêm pas donné une arme dans ton régiment de Pétöfi, mais toi et ton épaule, vous l’avez oublié depuis belle lurette, toi, mon Piri, mais moi pas. »
    #guerre #hongrois #minorité #yougoslavie #mémoire #secondeguerremondiale #rrom #racisme #communisme

    Pigeon vole p. 99-100

  • "Papa qui passe vraiment à l’acte, qui lève son verre à la santé des jeunes mariés, Nándor et Valéria !, en l’honneur du 4 août 1980, et en l’honneur du moment Tito [sic] a passé l’arme à gauche, il y a trois mois jour pour jour ! Et je lui souhaite, et vous aussi, je l’espère, de rôtir dans un purgatoire puissance cent ! […]
    Tu veux tous nous envoyer dans la tombe, dit l’oncle Móric, qui est venu se camper à côté de papa dès que les musiciens se sont mis à jouer, il est si près qu’il le toucherait presque de son nez couperosé, tu veux nous envoyer la guerre, siffle l’oncle Móric, hein, réponds, ou bien est-ce que ça t’est seulement sorti de la bouche, comme ça ? Maman, toujours belle dans sa robe vert pré, semble désemparée, et personne ne l’écoute quand elle dit vous ne pourriez pas remettre cette discussion à un autre jour ? Papa et oncle Móric se crachent les mots à la figure, tu veux nous envoyer la guerre, n’arrête pas de répéter l’oncle Móric, papa crie arrête donc, voyons, arrête enfin, il souffle des volutes de fumée moqueuses vers le haut de la tente, t’as perdu ton humour, il s’est caché au fond de ton caleçon des dimanches ? Les guirlandes sont devenues des petites bouées colorées qui se balancent sur une mer de fumées et de jurons. Tito ne te plaisait pas, mais je m’en fiche complètement, hurle oncle Móric, et c’est la première fois que nous l’entendons dire des gros mots, je ne suis pas le seul à dire que maintenant le pays a perdu son gouvernail, et sa main tendue à l’air d’un être vivant. Qu’as-tu fait de ton sens du réel, demande papa qui doit s’y prendre à plusieurs fois pour l’expression “sens du réel”, tu ne crois tout de même pas sérieusement qu’un Tito mort peut déclencher une guerre ?"

    #Tito #répression #communisme #Yougoslavie #politique #mémoire #guerre #enfance

    Pigeon vole p. 33-34

  • « (…) maman croit qu’avec ses excès d’alcool, papa se libère de ses cauchemars, mais quels cauchemars ?, c’est la question que nous avions posée, Nomi et moi, un soir de Saint-Sylvestre où papa avait bu presque jusqu’à en perdre conscience. Mais quelle histoire ?, maman a hésité comme si nous avions posé une de ces questions embarrassantes que posent les enfants : Derrière le soleil, il y a quoi ? Pourquoi n’avons-nous pas de rivière dans notre jardin ? Les communistes ont détruit sa vie, a répondu maman avec une intonation que nous ne lui avions encore jamais entendues, mais votre père vous racontera lui-même un jour, quand vous serez grandes. Grandes, c’est quand ? Un jour, quand le moment sera venu, dans quelques années, quand vous pourrez mieux comprendre tout ça. »
    #communisme #tabou #traumatisme #silence #violence #mémoire #yougoslavie #répression #enfance #famille

    Pigeon vole p. 23

  • « C’est ainsi, ou quasiment, que les choses vont se passer, et maman, Nomi et moi, et nos tantes et cousines, nous nous tiendrons un peu en retrait, montrant les hommes du doigt, et, dans les limites de ce qui est permis, nous nous amuserons de la constance, du sérieux avec lesquels ils se consacrent à la technique, dans de tels instants, nous ne sommes vraiment rien que des oies stupides qui cancannent sans relâche pour détourner notre esprit de ce qui nous fait peur à toutes : voir cette rêverie unanime dégénérer en querelle soudaine parce que l’un des hommes aura affirmé que malgré tout le socialisme a aussi ses avantages, et les oies stupides que nous sommes savent qu’une phrase suffit pour rendre les cous des hommes sauvages et nus : Oui, oui, le communisme, une bonne idée, sur le papier...! Et le capitalisme, l’exploitation de l’homme par l’homme...! Nous autres, qui ne sommes bonnes qu’à cacanner, nous savons qu’il n’y a qu’un pas, un tout petit pas, de la technique à la politique, d’un poing à une mâchoire - et quand les hommes basculent dans la politique, c’est comme quand on commence à faire la cuisine et qu’on a sans savoir pourquoi la certitude qu’on va rater le repas, trop de sel, pas assez de paprika, ça a attaché, n’importe quoi, les sujets politiques, c’est du poison, voilà ce que dit Mamika. »
    #politique #socialisme #communisme #genre #sexisme #yougoslavie #capitalisme #nostalgie #mémoire #enfance

    Pigeon vole p. 19-20

  • « Papa ne va pas tarder à parler des différences fondamentales entre l’Est et l’Ouest, les différences les plus extrêmes qu’il puisse y avoir dans l’univers tout entier et, en disant cela, il s’enverra derrière la cravate un petit verre après l’autre, l’alcool de poire distillé par oncle Móric, maintenant, en cette année qui a vu mourir le camarade Josip Broz Tito et où va s’accomplir ce que tous, au moins les gens sensés, savent depuis belle lurette, et qu’il va falloir des générations entières avant que la déplorable économie socialiste se remette sur pied, si tant est qu’elle y parvienne jamais ! »
    #tito #socialisme #yougoslavie #critique #nostalgie #souvenir

    Pigeon vole p. 15

  • « Du Traubi ! Nomi et moi nous écrions en chœur, nos mains lavées, installées à la table de Mamika sur laquelle les bouteilles nous attendent sur un plateau en plastique, du Traubi ! C’est le nom de cette boisson magique de notre pays, mince flacon vert sans étiquette sur lequel resplendissent les lettres blanches, Mamika qui a acheté toute une réserve de limonade Traubi, c’est rien que pour vous ! dit-elle, et bien sûr, nous sommes Nomi et moi, des gosses de l’Ouest, pourries gâtées et nous moquons des gens de l’Est qui s’échinent à imiter le Coca-Cola sans réussir à concocter autre chose qu’une espèce de breuvage d’un vilain marron appelé Apa Cola (Apa Cola, quel nom débile ! ), mais le Traubi, nous aimons, nous l’aimons tant que nous aurions envie d’en rapporter quelques bouteilles à la maison, en Suisse, pour montrer à nos copines que chez nous, dans notre pays, il y a quelque chose qui est vraiment incroyablement bon – jusqu’à présent nous ne l’avons pas encore fait. »
    #traubi #nourriture #boisson #yougoslavie #voïvodine #souvenir #enfance #nostalgie

    Pigeon vole p. 133

  • « ’(...) j’espère que tout est resté comme avant parce que, quand je retourne sur les lieux de ma petite enfance, je ne redoute rien tant que le changement : retrouver toujours les mêmes objets, cela me protège contre la peur de me sentir étrangère dans ce monde, d’être exclue de la vie de Mamika, je dois regagner aussi vite que possible la cour intérieure pour poursuivre mon examen inquiet : tout est à sa place ? (...) »
    #exil #enfance #yougoslavie #voïvodine #nostalgie #souvenir #yougonostalgie

    Pigeon vole p. 10-11

  • « Le doux chantonnement de ma grand-mère, le coassement nocturne des grenouilles, les cochons qui écarquillent leurs petits yeux de cochons, le caquètement excité de la poule avant qu’on la tue, les giroflées mauves et les roses abricot, les jurons sonores, l’impitoyable soleil de l’été et par-dessus tout cela l’odeur des oignons grillés, mon grave oncle Móric qui soudain se lève et dans. L’atmosphère de mon enfance »
    #enfance #locuamoenus #nourriture #nostalgie #paysage #voïvodine #yougoslavie #yougonostagie #voïvodine

    Pigeon vole p.16

  • „Die erste Erzählungen schreibend, ging ich in Gedanken stets in den Garten meiner Kindheit, mümmelte in der Sonne, kühlte mic him Schatten des Maulbeerbaumes, den es längst nicht mehr gibt, und sah, dem Schreiben innewohnend, immerzu auf den Mandelbaum, der mir in meinen ersten Jahren ein treuer Begleiter war. (...)
    Beim Schreiben entdeckte ich dieses bereits vorhandene Zittern der Natur in mir wieder und kletterte in meiner Vorstellung auf den Baum, der mir so oft ein Tröster, ein Mitmensch an der Stelle der Menschen gewesen war, und schriev wie aus dem Bauch des Baumes heraus.“
    #nature #locusamoenus #yougoslavie #enfance #écriture #Tito ist tot #escapisme

    Sterne erben, p. 146-147

  • « Jetzt erst begreiff ich, dass ich offiziell eine Kroatin bin, die in europäischen Städten noch immer allen möglichen Jugoslawen hinterhergeht, um ihre Stimmen zu hören und ihre dazugehörigen Wörter wie weitgereiste Vögel zu erspähen, die mehr oder weniger unversehrt überlebt haben, ganz gleich, ob in Paris, Lissabon, Frankfurt oder Berlin. Und auch begriff ich, wie absurd es eigentlich ist, ein Passbesitzer zu sein, etwas so Ausseres sein zu müssen und es zu werden, weil man hier auf dieser Erde ein Jemand ist, wenn man sich irgendeiner ausgedachten Grenze als Einheit von Gesicht und Name ausweisen kann. »
    #porte-parole #diaspora #yougonostalgie #yougoslavie #communauté #nous #post-yougoslave #transnational #frontière #identité #national #diaspora

    Sterne erben p. 72

  • „Einer der Gründe, weshalb die sozialistische Gleichheitsidee in der Realität gescheitert ist, war mit der Vorstellung der Machthaber verknüpft, Menschen ein Sprache zu verordnen. Sie lassen sich dadurch kontrollieren, das ist gewiss, mit Brüderlichkeit hat das aber nichtz zu tun, will diese stets neu gelebt, neu empfunden sein. (...) Wir Kinder dachten aber überhaupt nicht so weit, verstanden auch nicht den Unterschied zwischen der katolischen und der sozialistischen Forderung nach ’Geschwisterschaft’ mit allen Menschen Wir litten an Dingen, an denen alle Kinder leiden: ich an der Abwesenheit meiner Eltern, an der Armut und meiner eigenen Ungeschicktheit, die mich immer von den anderen trennt und als einen typischen Verlier-Fall unserer Familie darstellte. Im Dorf trug man uns immer noch unser einstiges Keuschlerdasein nach. Soviel hatte ich als Kind schon verstanden, auch immer Kommunismus brauchte man Geld, um angesehen und jemand mit Bedeutung zu sein.“
    #nostalgie critique #yougonostalgie #enfance #yougoslavie #mémoire

    Sterne erben, p 63

  • Jugostalgija war das nicht, wie gemeinhin die Nostalgie, die Sehnsucht nach dem ehemaligen Jugoslawien gennant wird. Niemand wird mir weismachen können, dass es sich um eine Sehnsucht nach Vergangen gehandelt hat? Obwohl wir weinten, war es das reinste Gegenteil von Vergagenheit. Das Ankommen in diesem Moment hatte nichts zu tun mit nostos und nichtz zu tun mit algos.
    Es war gleichsam ein Erkennen, ein gemeinsames Sprachmensch-Sein; am ehesten noch zu beschreiben mit dem Wort Heimwehe (nach meinem Wissen erstmals 1688 in der Dissertation des Schweizer Arztes Johannes Hofer erwähnt). So etwas wie ein Angewehtsein von einem vertrauten Wesen war das, als habe in ihm, und zeitgleich auch in mir, ein Wind gewohnt, der eine tiefer gelegene Sprache kent, einen Urgrund, in dem die Geburt einer neuen Zeit so etwas Einfaches wie ein Lächel war; ein Wort; die unmittelbare Freude am Anderen; das unmittelbare Schwingen von Zelle zu Zelle.“
    #yougonostalgie #yougoslavie #communauté #nous #mémoire

    Sterne erben p. 48