• Vichy, Pétain et les juifs : l’historien Robert O. Paxton répond aux polémiques, dans un rare entretien au « Monde »
    https://www.lemonde.fr/societe/video/2021/12/02/vichy-et-les-juifs-l-historien-robert-o-paxton-repond-a-eric-zemmour-dans-un

    VIDÉO Eric #Zemmour [qui se dit gaulliste, ndc] répète depuis 2014 que le régime de Vichy aurait « protégé les #juifs_français et donné les #juifs_étrangers » [#préférence_nationale que c’est l’adn de la France, ndc]. Cible du polémiste, l’historien américain Robert O. Paxton répond, dans une interview vidéo accordée au « Monde » depuis New York. Par Karim El Hadj, Charles-Henry Groult, Elisa Bellanger et Isabel Bonnet, 02 décembre 2021

    Depuis plusieurs années, Eric Zemmour répète dans ses livres et sur les plateaux de télévision son point de vue sur le rôle du #régime_de_Vichy dans le génocide des juifs. Dans son essai Le Suicide français, il dénonçait la « thèse » d’une « malfaisance absolue du régime de Vichy » (page 88) [qui a aussi organisé des camps de vacances, et crée la police nationale]. « Vichy a protégé les juifs français et donné les juifs étrangers », insistait-il sur #Europe_1 le 26 septembre 2021, niant toutefois vouloir « réhabiliter #Pétain »-.

    Qu’en disent les historiens de la seconde guerre mondiale ? Le plus célèbre d’entre eux, l’Américain Robert O. Paxton, a publié en 1973 _La France de Vichy, dont les conclusions ont profondément renouvelé le regard sur la responsabilité de ce régime dans les #persécutions et les #déportations de juifs, français et étrangers. Un travail construit grâce à des #archives françaises et allemandes alors inédites, affiné depuis et complété par d’autres historiens.
    Régulièrement ciblé par Eric Zemmour comme chantre d’une « doxa » anti-Vichy, Robert O. Paxton ne donne plus que de rares interviews. Il a accepté de répondre aux questions du Monde, depuis New York.
    Quelques livres pour en savoir plus :
    La France à l’heure allemande (1940-1944), de Philippe Burrin (Seuil)
    La survie des Juifs en France 1940-1944, de Jacques Semelin et Serge Klarsfeld (CNRS Editions)
    L’Etat contre les juifs, de Laurent Joly (Grasset)

    #Robert_Paxton #lois_d'aryanisation #statut_des_juifs #déchéance_de_nationalité #rafles #étoile_jaune #antisémitisme #histoire

  • Libia. Il Consiglio di sicurezza Onu conferma le sanzioni ai guardacoste-trafficanti

    Approvato all’unanimità l’inasprimento delle sanzioni per i boss del traffico di esseri umani, petrolio e armi. Dal guardacoste «#Bija» ai capi della «polizia petrolifera» fino al direttore dei «#lager»

    La Libia non è un porto sicuro di sbarco, e le connessioni dirette tra guardia costiera libica e trafficanti di esseri umani, petrolio e armi, sono il motore della filiera dello sfruttamento e dell’arricchimento. All’unanimità il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha accolto le richieste degli investigatori Onu, che hanno proposto l’inasprimento delle sanzioni contro i principali boss di un sistema criminale che tiene insieme politica, milizie e clan.

    La decisione mette in difficoltà il governo italiano e le direttive Piantedosi, secondo cui le organizzazioni del soccorso umanitario dovrebbero prima coordinarsi con la cosiddetta guardia costiera libica, che invece l’Onu indica tra i principali ingranaggi del sistema criminale. Dopo una lunga discussione interna il Consiglio di sicurezza ha accolto le richieste degli investigatori Onu in Libia a cui è stato rinnovato il mandato fino al 2025. Gli esponenti per i quali è richiesto il blocco dei beni e il divieto assoluto di viaggio sono cinque, ma uno risulta deceduto il 16 marzo di quest’anno in Egitto. Gli altri componenti del «poker libico» sono nomi pesanti, a cominciare da #Saadi_Gheddafi, il figlio ex calciatore del colonnello Gheddafi, che sta tentando di vendere una proprietà in Canada aggirando le sanzioni anche attraverso il consolato libico in Turchia. Il cinquantenne Gheddafi avrebbe viaggiato indisturbato e il 27 giugno 2023, gli esperti Onu hanno scritto al governo turco «in merito all’attuazione delle misure di congelamento dei beni e di divieto di viaggio. Non è stata ricevuta alcuna risposta». Secondo gli investigatori la firma di Gheddafi su una procura depositata in Turchia, costituisce «una prova della mancata osservanza da parte della Turchia della misura di divieto di viaggio».

    Se i Gheddafi rappresentano il passato che continua a incombere sulla Libia, soprattutto per lo smisurato patrimonio lasciato dal patriarca dittatore e mai realmente quantificato, nella lista dei sanzionati ci sono i nuovi boss della Libia di oggi. Come #Mohammed_Al_Amin_Al-Arabi_Kashlaf. «Il Gruppo di esperti ha stabilito che la #Petroleum_Facilities_Guard di Zawiyah è un’entità che è nominalmente sotto il controllo del Governo di unità nazionale», dunque non una polizia privata in senso stretto ma un gruppo armato affiliato alle autorità centrali e incaricato di sorvegliare i principali stabilimenti petroliferi, da cui tuttavia viene fatta sparire illegalmente un certa quantità di idrocarburi che poi vengono immessi nel mercato europeo grazie a una fitta rete di contrabbandieri. «Il gruppo di esperti - si legge ancora - ha chiesto alle autorità libiche di fornire informazioni aggiornate sull’attuazione del congelamento dei beni e del divieto di viaggio nei confronti di questo individuo, compresi i dettagli sullo status attuale e sulla catena di comando della Petroleum Facilities Guard a Zawiyah, nonché sulle sue attività finanziarie e risorse economiche personali». Anche in questo caso le autorità libiche «non hanno ancora risposto».

    Collegato a Kashlaf è #Abd_al-Rahman_al-Milad, forse il più noto del clan. Noto anche come “Bija”, ha utilizzato «documenti delle Nazioni Unite contraffatti nel tentativo di revocare il divieto di viaggio - si legge - e il congelamento dei beni imposti nei suoi confronti». Bija si è però mosso trovando appoggi sia «nel governo libico che in interlocutori privati all’interno della Libia», con l’obiettivo di ottenere il sostegno «alla sua richiesta di cancellazione» delle sanzioni. In particolare, gli investigatori Onu sono in possesso «di un documento ufficiale libico, emesso il 28 settembre 2022 dall’Ufficio del Procuratore Generale, in cui si ordina alle autorità responsabili - denunciano gli esperti - di rimuovere il nome di #Al-Milad dal sistema nazionale di monitoraggio degli arrivi e delle partenze». Una copertura al massimo livello della magistratura, che lo aveva già assolto dalle accuse di traffico di petrolio, e che «consentirebbe ad Al-Milad di lasciare la Libia con i beni in suo possesso, in violazione della misura di congelamento dei beni». Il 25 gennaio 2023 «il Gruppo di esperti ha chiesto alle autorità libiche di fornire informazioni aggiornate sull’effettiva attuazione del congelamento dei beni e del divieto di viaggio nei confronti di Al-Milad. La richiesta è stata fatta a seguito della ripresa delle sue funzioni professionali nelle forze armate libiche, compresa la nomina a ufficiale presso l’Accademia navale di Janzour dopo il suo rilascio dalla custodia cautelare l’11 aprile 2021». A nove mesi di distanza, le autorità libiche «non hanno ancora risposto».

    La risoluzione approvata dal Consiglio di sicurezza si basa anche su un’altra accusa del «Panel of Expert» i quali hanno «hanno stabilito che il comandante della Petroleum Facilities Guard di Zawiyah, Mohamed Al Amin Al-Arabi Kashlaf , e il comandante della Guardia costiera libica di #Zawiyah, Abd al-Rahman al-Milad (Bija), insieme a #Osama_Al-Kuni_Ibrahim, continuano a gestire una vasta rete di traffico e contrabbando a Zawiyah». Le sanzioni non li hanno danneggiati. «Da quando i due comandanti sono stati inseriti nell’elenco nel 2018, hanno ulteriormente ampliato la rete includendo entità armate che operano nelle aree di Warshafanah, Sabratha e Zuara». Tutto ruota intorno alle prigioni per i profughi. «La rete di Zawiyah continua a essere centralizzata nella struttura di detenzione per migranti di Al-Nasr a Zawiyah, gestita da Osama Al-Kuni Ibrahim», il cugino di Bija identificato grazie ad alcune immagini pubblicate da Avvenire nel settembre del 2019. Il suo nome ricorre in diverse indagini. Sulla base «di ampie prove di un modello coerente di violazioni dei diritti umani, il Gruppo di esperti ha rilevato - rincara il “panel” - che Abd al-Rahman al-Milad e Osama al-Kuni Ibrahim, hanno continuano a essere responsabili di atti di tortura, lavori forzati e altri maltrattamenti nei confronti di persone illegalmente confinate nel centro di detenzione di Al-Nasr», allo scopo di estorcere «ingenti somme di denaro e come punizione».

    Il modello di #business criminale è proprio quello che Roma non vuole riconoscere, ma che gli investigatori Onu e il Consiglio di sicurezza ribadiscono: «La rete allargata di Zawiyah - si legge nel rapporto - comprende ora elementi della 55esima Brigata, il comando dell’Apparato di Supporto alla Stabilità a Zawiyah, in particolare le sue unità marittime, e singoli membri della Guardia Costiera libica, tutti operanti al fine di eseguire il piano comune della rete di ottenere ingenti risorse finanziarie e di altro tipo dalle attività di traffico di esseri umani e migranti».

    Al Consiglio di Sicurezza è stato mostrato lo schema che comprende «quattro fasi operative: (a) la ricerca e il ritorno a terra dei migranti in mare; (b) il trasferimento dai punti di sbarco ai centri di detenzione della Direzione per la lotta alla migrazione illegale; (c) l’abuso dei detenuti nei centri di detenzione; (d) il rilascio dei detenuti vittime di abusi». Una volta rimessi in libertà i migranti, rientrano nel ciclo dello sfruttamento: rimessi in mare, lasciando che una percentuale venga catturata dai guardacoste per giustificare il sostegno italiano ed europeo alla cosiddetta guardia costiera libica, e di nuovo «trasferimento dai punti di sbarco ai centri di detenzione della Direzione per la lotta alla migrazione illegale; l’abuso dei detenuti nei centri di detenzione; il rilascio dei detenuti vittime di abusi».

    Il rapporto Onu e il voto unanime dei 15 Paesi che siedono nel Consiglio di sicurezza sono uno schiaffo. «Per quanto riguarda il divieto di viaggio e il congelamento dei beni - si legge in una nota riassuntiva della seduta al Palazzo di Vetro -, gli Stati membri, in particolare quelli in cui hanno sede le persone e le entità designate, sono stati invitati a riferire» al Comitato delle sanzioni circa «le rispettive azioni per attuare efficacemente entrambe le misure in relazione a tutte le persone incluse nell’elenco delle sanzioni». Tutte gli esponenti indicati dal «Panel of expert» sono inclusi nell’elenco degli «alert» dell’Interpol. La risoluzione approvata ieri riguarda anche il contrabbando di petrolio e di armi. Il Consiglio di Sicurezza ha prorogato «l’autorizzazione delle misure per fermare l’esportazione illecita di prodotti petroliferi dalla Libia e il mandato del gruppo di esperti che aiuta a supervisionare questo processo».

    https://www.avvenire.it/attualita/pagine/libia-il-consiglio-di-sicurezza-conferma-le-sanzioni-ai-guardacoste-traffic
    #gardes-côtes_libyens #sanctions #migrations #asile #réfugiés #Libye #externalisation #sanctions #conseil_de_sécurité_de_l'ONU #conseil_de_sécurité #ONU #détention #prisons

  • [après la terrible leçon de Sainte Soline] Manifestation contre le projet d’autoroute A69 : le cortège principal défile dans le calme, plusieurs sites privés envahis par des manifestants
    https://www.lemonde.fr/planete/article/2023/10/21/manifestation-contre-l-a69-dans-le-tarn-les-opposants-au-projet-d-autoroute-

    La manifestation a mobilisé plus de 10 000 personnes, selon les organisateurs. La préfecture du Tarn a fait état de 2 400 personnes dans le cortège principal, et de 2 500 « individus radicaux et violents en dehors ».

    .... La manifestation s’est scindée en plusieurs cortèges au fil de l’après-midi.

    Les organisateurs (...) avaient pris soin de brouiller les pistes. Six cortèges sont partis du camp de base, non loin de Saïx, dont cinq sur des parcours qui n’avaient pas été déposés.

    L’objectif du cortège le plus « déterminé » était une #cimenterie de la société Carayon, un site qui n’était pas protégé par les forces de l’ordre. C’est le cortège « rouge », au nom de code « économie locale », composé de quelque 2 000 personnes – chaque cortège était différencié par des drapeaux de couleur et répondait à des appellations diverses comme « utilité publique », « décarbonation » ou encore « désenclavement » –, qui était chargé de pénétrer sur le site du cimentier. Après une marche sportive sur chemins et routes, les manifestants ont forcé le portail de la cimenterie pour y taguer des slogans hostiles à l’#A69, et déployer une grande banderole « No Macadam » sur une centrale à #béton, une grande cuve en métal.

    Trois camions toupies ont été incendiés. Selon les organisateurs, cela n’était pas prévu. La préfecture, dans son communiqué de fin de journée, explique que « des individus hostiles ont dégradé une cimenterie, y déclenchant un incendie ». « Après avoir été entravés par les manifestants, qui ont été repoussés par les forces de l’ordre, les sapeurs-pompiers sont intervenus sur le lieu de l’incendie », avancent ensuite les autorités. Selon le journaliste du Monde présent sur place, aucun contact n’a cependant eu lieu avec les forces de l’ordre ou avec les pompiers, les #manifestants ayant quitté les lieux bien avant que les véhicules de secours ou de gendarmes ne s’approchent du site.

    Bardou, une autre entreprise tarnaise du #BTP, à Cambounet-sur-le-Sor, qui intervient sur le #chantier de l’A69, a aussi été prise pour cible par des opposants, selon une porte-parole d’Atosca. Des individus se sont « introduits par effraction sur le site », a confirmé la préfecture, ajoutant qu’ils avaient « pris son vigile à partie, degradé le bâtiment et arraché ses clotûres, avant d’être repoussés par les forces de l’ordre ». Selon la préfecture, les gendarmes ont tiré soixante-quatorze grenades pour « repousser la menace, sans donner lieu à une confrontation directe ». Deux policiers ont par ailleurs été légèrement blessés, selon la préfecture, qui fait aussi état d’un manifestant pris en charge par les secours pour une entorse au genou.

    Dans le cortège principal, des milliers de personnes – 2 400 selon la préfecture du Tarn – ont défilé sur le parcours autorisé, une boucle d’environ 5 kilomètres, dans une atmosphère joyeuse et paisible, et devant des commerces au rideau baissé. Fanfares, batucada, perruques et déguisements multicolores, tracteurs qui klaxonnent et pancartes plus ou moins inventives (« Stop A69 », « Plus de moisson, moins de béton », « Aux arbres citoyens », « Le 69 oui, l’A69 non ») ont constitué le décor d’une marche à laquelle ont participé beaucoup d’enfants, comme la fille d’Elvia, 10 ans, ou celles de Sandrine, 7 et 10 ans.

    Les fillettes « voient qu’on abat des arbres tous les trois jours, et elles ont compris qu’une usine à bitume allait être implantée à 1 kilomètre de leur école, expliquent ces deux quadragénaires venues du village de Saint-Germain-des-Prés, que la future A69 doit couper en deux. Alors ce sont presque nos enfants qui veulent venir manifester et nous qui les suivons ». L’éventualité de débordements – finalement presque inexistants – ne les a jamais dissuadées de venir : « On sait qu’il y a des gens très en colère, et on est en colère nous aussi, mais on voulait que nos enfants voient ça, et on savait qu’il y aurait un cortège fait pour nous. » A 16 h 30, le cortège avait regagné le camp de base d’où il était parti en début d’après-midi, et où la mobilisation doit se poursuivre jusqu’à dimanche soir.

    Mille six cents policiers et gendarmes déployés

    « On est plus déterminés que jamais, on ne veut pas du futur auquel ils nous condamnent, notre mot d’ordre, c’est “Amour et rage, no macadam !” », déclarait plus tôt lors d’un point presse Amalia, d’Extinction Rébellion Toulouse, l’un des collectifs qui appelaient à la mobilisation contre l’A69 ce week-end. S’appuyant sur un sondage IFOP réalisé il y a quelques jours auprès de la population du Tarn et de la Haute-Garonne, Gilles Garric, du collectif La Voie est libre, soulignait que 61 % des sondés étaient favorables à l’abandon du projet d’autoroute et qu’ils étaient 82 % à se prononcer pour un référendum local.

    edit

    La préfecture fait état de 2 400 manifestants dans le cortège principal de la #manifestation et estime à 2 500 le « nombre d’individus radicaux et violents en dehors du cortège » principal. Le collectif La Voie est libre, qui organise la manifestation, affirme que « 9 500 personnes » ont participé à ce rassemblement.
    https://www.francetvinfo.fr/monde/environnement/crise-climatique/manifestation-contre-l-a69-entre-toulouse-et-castres-un-groupe-de-400-p

    #luttes #A69 #Atosca #Pierre_Fabre #écologie #articialisation_des_sols #autoroute #bitume #bagneule #police #gendarmerie

  • Ce que les #sols nous disent de l’urbanisme
    https://metropolitiques.eu/Ce-que-les-sols-nous-disent-de-l-urbanisme.html

    Dans son dernier ouvrage, l’architecte et urbaniste Patrick Henry livre un plaidoyer en faveur d’un nouveau rapport au sol, attentif à la diversité des connaissances disponibles. Le paysagiste Maxime Bardou évalue les apports de cet « #urbanisme des sols » pour la conception spatiale. Avec Des tracés aux traces, pour un urbanisme des sols, l’architecte et urbaniste Patrick Henry livre un plaidoyer en faveur d’un nouveau rapport au sol dans la manière de faire la ville. Il puise dans une histoire #Commentaires

    / urbanisme, #projet_urbain, #division_parcellaire, sols, #ZAN

    https://metropolitiques.eu/IMG/pdf/met-bardou2.pdf

  • #Gaza : le #droit_international comme seule boussole

    Le 7 octobre, le #Hamas a lancé une attaque sans précédent sur le sud d’Israël, semant la terreur et perpétrant de nombreux #crimes_de_guerre contre des #civils israéliens. En réponse à cette attaque, Israël a lancé une #opération_militaire d’une violence inédite sur la #bande_de_Gaza, alliant déplacements forcés de population et frappes indiscriminées, également constitutifs de crimes de guerre. Si rien ne peut justifier les crimes de guerre, quel que soit le camp, cette séquence s’inscrit cependant dans un contexte qu’il est indispensable de prendre en compte pour comprendre ce qu’elle représente et les conséquences dévastatrices qu’elle peut avoir.

    La bande de Gaza est, avec la Cisjordanie, l’une des deux composantes du #Territoire_palestinien_occupé. Après la Guerre des Six Jours, elle a, comme la Cisjordanie, fait l’objet d’une colonisation par Israël, avant que ce dernier ne l’évacue unilatéralement en 2005. L’année suivante, le Hamas gagnait les élections législatives à Gaza. L’UE exclut tout contact avec le Hamas compliquant la formation d’un gouvernement palestinien. S’en suit une guerre intra palestinienne entre Fatah et Hamas dans la bande de Gaza, qui se termine en 2007 par la prise de contrôle du territoire par le Hamas. Depuis cette date, un blocus est exercé par Israël sur Gaza, imposant ainsi une punition collective à 2,3 millions de Palestiniens et de Palestiniennes, à laquelle s’ajoutent depuis 2009 des bombardements réguliers et indiscriminés, qu’ils ne peuvent fuir. En conséquence de ces sévères restrictions à la liberté de mouvement des personnes et des biens, 97% de l’eau courante à Gaza est impropre à la consommation, le taux de chômage est de 47%, et 80% de la population dépend de l’aide internationale (données Oxfam).

    Ce #blocus est l’un des aspects du régime d’#apartheid qu’Israël impose à l’ensemble du peuple palestinien, c’est-à-dire un régime institutionnalisé d’#oppression et de #domination systématiques, établi dans l’intention de maintenir la #domination d’un groupe racial sur un autre, l’intention de le maintenir et qui comprend l’existence d’actes inhumains commis comme partie intégrante de ce régime, tels que l’ont récemment qualifiés de nombreux rapports Amnesty, Human Rights Watch et des Rapporteurs spéciaux de l’ONU.

    En décembre dernier, un gouvernement d’#extrême_droite a pris le pouvoir en Israël, renforçant ce régime d’apartheid et intensifiant la colonisation israélienne en Cisjordanie et à Jérusalem-Est. Au cours de l’année 2023, avant le 7 octobre, plus de 200 Palestiniens et Palestiniennes avaient déjà été tués par l’#armée_israélienne ou les colons, surtout en Cisjordanie mais aussi à Gaza. La #violence des colons a augmenté, autorisée et alimentée par le gouvernement israélien, menant à de nombreuses attaques sur des villages palestiniens. Sous les jougs conjugués d’ordres d’#expulsion et de la violence exercée par les colons, des communautés palestiniennes entières de la #zone_C ont été déplacées de force. Au sein de la société israélienne, mais aussi parmi les responsables politiques israéliens, les appels à la haine et au meurtre des Arabes palestiniens sont de plus en plus fréquents.

    Face à cette exacerbation de la violence, la communauté internationale, et l’UE en particulier, n’a réussi qu’à condamner, par des formules creuses et répétitives les multiples violations du droit international commises par Israël, sans jamais prendre de #sanctions.

    Tout cela, c’était avant le 7 octobre et l’attaque meurtrière du Hamas, qui tue plus de 1000 #victimes_civiles israéliennes et prend en #otages entre 120 et 200 personnes. Dans plusieurs lieux, des #meurtres_collectifs ont lieu, sans aucun doute constitutifs de crimes de guerre. Ces faits choquent l’opinion publique internationale et entraînent de nombreux messages de soutien à Israël de la part des responsables politiques, entre autres européens. Certains, tel le Secrétaire général de l’OTAN, Jens Stoltenberg, prennent la peine d’appeler à une réponse « proportionnée ». D’autres, comme la Présidente de la Commission européenne, se contentent d’apporter leur soutien sans faille à Israël, sans même rappeler les obligations qui lui incombent au regard du droit international.

    Depuis le début de la réponse militaire israélienne, les officiels israéliens multiplient les déclarations déshumanisant les Palestiniens, punissant collectivement la population de Gaza pour les crimes commis par le Hamas :

    Lundi 9 octobre, #Yoav_Gallant, le Ministre israélien de la Défense a déclaré : « J’ai ordonné un siège complet de la bande de Gaza. Il n’y aura pas d’électricité, pas de nourriture, pas de carburant, tout est fermé. Nous combattons des animaux humains et nous agissons en conséquence ».

    Mardi 10 octobre, le chef de la Coordination de l’administration civile dans les territoires (COGAT), le général #Ghassan_Alian a annoncé opérer un #blocus_complet sur la bande de Gaza, coupant le territoire en #électricité et en #eau, ne lui promettant que des dommages, et déclarant à l’adresse du Hamas : « Vous avez voulu l’enfer, vous aurez l’enfer ! ».

    Jeudi 12 octobre, le ministre israélien de l’Energie #Israël_Katz a déclaré : « Aucun interrupteur électrique ne sera allumé, aucune pompe à eau ne sera mise en route et aucun camion de carburant n’entrera tant que les Israéliens enlevés ne seront pas rentrés chez eux (…). Et personne ne peut nous faire la morale ».

    Vendredi 13 octobre, le gouvernement israélien a ordonné une #évacuation de toute la population du nord de la Bande de Gaza, soit 1,1 million de Palestiniens, vers le sud de la Bande de Gaza. Il s’agit d’un #déplacement_forcé de la moitié de la population de Gaza, déjà coupée d’électricité, d’eau et de carburant. Les organisations humanitaires ont tout de suite dénoncé l’impossibilité que cela puisse se passer sans conséquences catastrophiques. Depuis vendredi, plusieurs organes et responsables de l’ONU, l’UNRWA, l’OMS, le chef de l’aide humanitaire de l’ONU sont sortis de leur réserve habituelle et tirent la sonnette d’alarme. MSF multiplie également les déclarations pour dénoncer l’insoutenabilité de la situation sanitaire. Les témoignages qui nous viennent de Gaza sont glaçants : rationnement en eau des enfants, un boulanger qui ne peut plus faire de pain faute d’électricité, les cadavres qui ne trouvent plus de place dans les morgues, ou qui pourrissent sous les décombres.

    Depuis le début de l’attaque militaire israélienne contre Gaza, quelques 2778 Palestiniens sont morts, 9 938 personnes sont blessées, dans un système de santé qui s’est totalement effondré
    (données du 16 octobre).

    Pour rappel, 70% de la population de Gaza sont des #réfugiés, c’est-à-dire que leurs familles ont été chassées de leurs maisons par les Israéliens lors de la #Nakba (mot arabe qui signifie la « catastrophe » et qui désigne, pour les Palestiniens, l’exil forcé de 700 000 d’entre eux, lors de la proclamation de l’État d’Israël en 1948). Ils attendent depuis de pouvoir exercer leur #droit_au_retour, consacré par la Résolution 194 de l’Assemblée générale des Nations Unies. Même si un #corridor_humanitaire était mis en place, nombreux sont celles et ceux qui refuseraient de partir, estimant que quitter la Palestine signifierait ne jamais y revenir. C’est en effet le sort subi par tous les populations palestiniennes déplacées depuis la Nakba de 1948.
    Ce qui se risque de se passer à Gaza est qualifié par de nombreuses voix palestiniennes, dont PNGO, le réseau des ONG palestiniennes mais aussi la Rapporteuse spéciale des Nations Unies Francesca Albanese, comme du #nettoyage_ethnique, comme une nouvelle Nakba. Par ailleurs, pour les principales organisations palestiniennes de défense des droits humains (Al Haq, Al Mezan, PCHR), il devient évident « qu’Israël impose délibérément au peuple palestinien des conditions de vie susceptibles d’entraîner sa destruction physique totale ou partielle ». Ces organisations « appellent les États tiers à intervenir de toute urgence pour protéger le peuple palestinien contre le #génocide ». Ce constat rencontre celui de la Fédération internationale des droits humains (FIDH) qui qualifie l’#ordre_d’évacuation des 1,1 million de Palestiniens du nord de la bande de Gaza de « tentative de déplacement forcé et illégal de civil⋅es pouvant refléter une intention génocidaire ». Cette qualification est également appuyée par un historien spécialisé dans l’étude de l’Holocauste et du génocide, Raz Segal. Selon lui, « l’assaut contre Gaza peut également être compris en d’autres termes : comme un cas d’école de génocide se déroulant sous nos yeux ».

    Pendant ce temps, la situation en Cisjordanie et à #Jérusalem-Est se détériore aussi. Comme le fait remarquer Yehuda Shaul, le fondateur de l’ONG Breaking the Silence, et directeur du think tank israélien Ofek, « les crimes de guerre du Hamas sont l’occasion pour la droite israélienne de faire avancer son programme messianique au-delà de la réponse de l’armée israélienne à Gaza. De la reconstruction des colonies à Gaza à l’intensification de la prise de contrôle du Haram al Sharif [l’Esplanade des mosquées]-Montagne du Temple, en passant par les pogroms en Cisjordanie ». En Cisjordanie, 55 Palestiniens ont été tués par les colons et par l’armée en une semaine.

    En Israël même, la situation de la population palestinienne et de celles et ceux qui défendent leurs #droits devient très difficile. Suite à l’attaque du Hamas et les appels à la #revanche partout dans la société israélienne, les Palestiniens d’Israël (18% de la population) craignent de sortir de chez eux. Les Israéliens et Israéliennes du « camp de la paix » vivent aussi des moments compliqués, d’une part parce que de nombreuses victimes du Hamas étaient des militants et militantes pour la paix, d’autre part parce que la défense de la population civile palestinienne de Gaza et la nécessité d’une réponse israélienne mesurée n’est même plus audible dans l’opinion publique actuelle en Israël.

    "En refusant systématiquement d’obliger Israël à respecter le droit international et en laissant les violations impunies, la communauté internationale porte une responsabilité écrasante dans la situation désespérée que nous connaissons aujourd’hui."

    Face au drame qui se déroule sous nos yeux, la boussole de la Belgique et de l’Union européenne doit plus que jamais rester le droit international et la protection de la vie, de la dignité et des droits humains. Pour l’UE et la Belgique, la priorité doit aujourd’hui être de mettre tout en œuvre pour obtenir un cessez-le-feu, la protection de toutes les populations civiles, et un accès à l’aide internationale pour la population gazaouie actuellement en urgence humanitaire absolue. Elles doivent également appeler à la libération de tous celles et ceux qui ont été illégalement privés de leur liberté, les otages retenus par le Hamas, comme les prisonniers politiques palestiniens arrêtés dans le cadre de la répression de la résistance à l’occupation. L’UE et la Belgique doivent en outre exiger d’Israël la levée du siège de la bande de Gaza, et cela dans une perspective de levée du blocus et d’une reconnexion du territoire avec le reste du territoire palestinien occupé. Elles doivent également s’attaquer aux causes structurelles du présent conflit en adoptant des mesures contraignantes contre Israël afin qu’il mette fin à l’occupation, à la colonisation et à l’apartheid contre le peuple palestinien, à commencer par la fin du commerce avec les colonies israéliennes. Enfin, la Belgique, pionnière historique de la lutte contre l’impunité en matière de crimes de guerre, doit apporter un soutien politique et financier à l’enquête en cours à la Cour pénale internationale sur la situation en Palestine et encourager le procureur de la Cour pénale à en faire une priorité afin que tous les criminels de guerre soient rapidement tenus responsables.

    https://www.cncd.be/gaza-le-droit-international-comme-seule-boussole
    #à_lire #Israël #Palestine #7_octobre_2023 #histoire

  • Nord de #Montpellier : un millier de personnes rassemblées contre la fin de la #construction du #LIEN
    https://www.lagazettedemontpellier.fr/live/652bdcb7032a88002bbd6c39/un-millier-de-personnes-rassemblees-a-grabels-contre-la-fin-d

    Opération « Bloque ton périph » ce week-end pour les opposants au LIEN (Liaison Intercommunale d’Évitement Nord). Environ un millier de personnes, selon les organisateurs, se sont rassemblées sur la plaine du Mas de Gentil, entre Grabels et Saint-Gély-du-Fesc, avec au programme deux manifestations samedi et dimanche, une table ronde, une assemblée des luttes, mais aussi un concert le samedi soir. De nombreuses associations et collectifs écologistes ont participé à l’évènement sous l’impulsion du collectif SOS Oulala, dont Greenpeace, Extinction Rébellion, Alternatiba, la Ligue de protection des oiseaux, et le parti La France Insoumise. 

    Une mobilisation dans le cadre de la fin imminente du chantier routier. Les travaux de la dernière portion de 8 kilomètres sont sur le point de commencer dans le secteur de Bel-Air à Grabels. « Cette portion va créer un méga périphérique qui relie l’A750 et l’A9, et donc va augmenter le trafic notamment de camions, mais aussi l’artificialisation du Nord de Montpellier », explique Céline, de SOS Oulala. « C’est un projet irresponsable au vue de la situation climatique et économique dans laquelle on est », ajoute Anna du même collectif. Elles demandent l’arrêt des travaux : « l’échangeur est fait, ça doit s’arrêter là ». 

    Dans une ambiance bon enfant, les manifestants ont bloqué la route samedi, et investi le chantier du LIEN ce dimanche.

    https://france3-regions.francetvinfo.fr/occitanie/herault/montpellier/bloque-ton-periph-des-dizaines-de-manifestants-mobilise

    #deroute_des_routes
    #oulala
    #zad
    #bloque_ton_periph

  • Leur objectif atteint, les zadistes des Alpes lèvent le camp
    https://reporterre.net/Leur-objectif-atteint-les-zadistes-des-Alpes-levent-le-camp

    Les zadistes quittent le glacier de la Girose, avec le sentiment du devoir accompli. Vendredi 13 octobre, les Soulèvements de la terre ont annoncé dans un communiqué le départ des activistes qui avaient dressé un camp à 3 400 m d’altitude, pour occuper et bloquer un chantier de construction de téléphérique sur le glacier de la Girose, dans les Hautes-Alpes.

    « La neige arrive demain pour prendre le relai et bloquer après nous les travaux jusqu’au printemps », écrit le mouvement. L’interruption des travaux d’automne était, de fait, prévue le 14 octobre pour la pause hivernale. Depuis le 7 octobre, les militants occupaient le rognon rocheux où doit être érigé le pylône du projet controversé de troisième tronçon du téléphérique de La Grave-La Meije, empêchant le retour sur le site des ouvriers pendant toute la semaine.

  • Zackelschaf das letzte Schraubhorn
    https://schaetzeausoesterreich.at/magazin/gesunde-nutztiere/zackelschafe/index.html


    Pour changer d’ambiance voici un mouton rare. Enfin, il y en a cinq.

    Zackelschafe sind die letzte verbliebene Schafrasse mit Schraubenhörnern. Es gilt als „Sehr sehr seltene Rasse“, 2009 betrug der Herdebuchbestand nur mehr 288 Tiere.
    Geschichte des Zackelschafes

    Der stammesgeschichtliche Vorfahre des Zackelschafes ist der Urial, ein Wildschaf, dessen Domestizierung in Südwestasien erfolgte. Den archäologischen Forschungen von Sándor Bökönyi zufolge ist das Zackelschaf zur Zeit der Völkerwanderung im Karpatenbecken erschienen.
    Jahrhundertelang gab es zwischen Ungarn und den angrenzenden Ländern einen bedeutenden Handel mit Zackelschafen und Schafshäuten. Darüber gibt es bereits Aufzeichnungen aus dem Jahr 1255. Mit einer Anzahl von 124.129 Tieren wurden die meisten Schafe im Jahr 1737 exportiert. Seit der zweiten Hälfte des 19. Jahrhunderts wurden Rassen mit feinerer Wolle, in erster Linie das Merinoschaf, ins Land eingeführt.
    Bereits 1903 betrachtete man die Rasse als vom Aussterben bedroht. Nach dem Zweiten Weltkrieg ist nur eine geringe Zahl an Tieren im Hortobágy erhalten geblieben. Langsames Wachstum, zuwenig Fleisch und zu rauhe Wolle brachten es beinahe zum Aussterben.
    Mittlerweile gibt es in Österreich bereits einige passionierte Züchter die sich um das Schicksal der Zackelschafe angenommen haben und versuchen die Rasse wieder attraktiv zu machen.


    Numéro six.

    #Zackelschaf #Racka #animaux

  • [pub] Les extraits du « Côté obscur de la force » : « Pendant la crise des “gilets jaunes”, jamais une surveillance aussi massive n’avait été déployée »

    Dans un livre qui paraît chez Flammarion mercredi 11 octobre, le journaliste Vincent Nouzille propose une enquête très fouillée sur ce qu’il appelle les « dérives du ministère de l’intérieur et de sa #police ». « Le Monde » publie en avant-première des extraits concernant le mouvement social qu’a connu la France en 2018.
    Par Vincent Nouzille

    Bonnes feuilles. C’est un secret d’Etat jusque-là bien préservé que nous dévoilons ici : en pleine crise des « #gilets_jaunes », les services de renseignement français ont mis sur #écoute et géolocalisé des milliers de #manifestants. Jamais une #surveillance aussi massive n’avait été déployée. Jamais autant d’individus en même temps n’avaient été concernés. Jamais de tels moyens techniques n’avaient été combinés pour savoir où des citoyens allaient se rendre, et tenter d’interpeller en amont ceux qui étaient suspectés, à tort ou à raison, de s’apprêter à commettre des violences.

    Selon les témoignages de plusieurs responsables de la police et du #renseignement, si le cadre légal a été formellement respecté, certaines de ces surveillances ont été décidées et avalisées sur la base de critères flous et dans la précipitation. « C’était la panique au sommet du pouvoir et dans les services, explique une source au ministère de l’intérieur. Le mouvement des “gilets jaunes” se transformait chaque samedi en insurrection. Il fallait sauver la République. Nous avons donc ratissé large1. »
    Au lendemain de la journée du 1er décembre 2018, où la violence est montée d’un cran, notamment à Paris avec le saccage de l’Arc de triomphe et au Puy-en-Velay avec l’incendie de la préfecture, le ministre de l’intérieur, #Christophe_Castaner, et son secrétaire d’Etat, #Laurent_Nuñez, décident de changer de stratégie. Ils exigent que le dispositif de sécurité soit plus mobile et demandent davantage d’interpellations en amont. Ils souhaitent surtout une surveillance ciblée de toute personne présumée violente. (…)

    Les services de renseignement ont déjà dans leurs radars des individus classés à l’ultragauche et à l’ultradroite, beaucoup étant « #fichés_S » (pour « sûreté d’Etat »). En revanche, la plupart des « gilets jaunes » sont inconnus. Dans les premiers temps, les services peinent à repérer des « leaders » d’un mouvement aussi éruptif que peu organisé. (…) Le préfet de police de Paris, Michel Delpuech, s’inquiète des activistes provinciaux que ses équipes ne connaissent pas et qui risquent de « monter » à Paris pour y semer des troubles chaque samedi.
    Face aux risques de désordre qui se propagent, les « gilets jaunes » étant insaisissables et se déplaçant sans arrêt, la donne change. « Nous allons maintenant travailler sur cette nouvelle population », glisse, de manière elliptique, Laurent Nuñez à propos des « gilets jaunes », lors d’une audition au Sénat le 4 décembre. Durant la seule journée du 8 décembre 2018, 724 personnes sont placées en garde à vue dans toute la France, souvent avant même qu’elles ne commencent à manifester. Les samedi 15 et 22 décembre, le même dispositif se reproduit. Les différents services ont commencé leur surveillance de certains manifestants considérés comme potentiellement dangereux. Et cela avec l’aval des plus hautes instances, qui ont donné leur feu vert à l’emploi massif des « techniques de renseignement », les « TR » dans le jargon des initiés. (…)

    L’emploi des #techniques_de_renseignement ne peut être justifié que pour la défense nationale, la protection des intérêts majeurs du pays, la lutte contre l’espionnage économique et scientifique, la prévention du terrorisme, du crime organisé et de la prolifération d’armes de destruction massive. Mais elles sont aussi autorisées pour la prévention des « atteintes à la forme républicaine des institutions », de la « reconstitution de groupements dissous » ou des « violences collectives de nature à porter gravement atteinte à la paix publique ». C’est principalement ce dernier motif – appelé « 5-C » par les spécialistes, et déjà employé lors de l’évacuation de la #ZAD_de_Notre-Dame-des-Landes au printemps 2018 – qui va être utilisé à grande échelle lors de la crise des « gilets jaunes ».

    En décembre 2018, les requêtes de « TR » affluent brutalement (…). Même si les données publiées dans les rapports annuels de la CNCTR [Commission nationale de contrôle des techniques de renseignement] sont imparfaites, elles donnent un aperçu de cette montée. Les demandes motivées par la « prévention des violences collectives » passent de 6 % de l’ensemble des requêtes en 2017 à 14 % en 2019, ce qui représente une augmentation de 133 % et un cumul de plus de 20 000 demandes en trois ans2 ! Dans le détail, le compteur des « géoloc », déjà en forte croissance les années précédentes, s’affole, passant de 3 751 demandes en 2017 à 5 191 en 2018, puis à 7 601 en 2019, soit un doublement en deux ans et la plus forte progression des techniques de renseignement. Quant aux écoutes, elles se multiplient aussi sur la même période, passant de 8 758 en 2017 à 12 574 en 2019, soit une croissance de 43 % en deux ans. Globalement, cette surveillance a concerné au moins 2 000 personnes entre fin 2018 et fin 2019. (…)

    La pression est telle que le centre d’écoute, basé aux Invalides, doit faire appel à des renforts d’effectifs pour les week-ends. De plus, le nombre de lignes téléphoniques écoutées simultanément a rapidement atteint le maximum autorisé3, ce qui a conduit Matignon à rehausser ce contingent en juin 2019 pour atteindre 3 800 lignes, dont 3 050 réservées au ministère de l’intérieur. Les « grandes oreilles » sont employées à grande échelle.
    Au siège de la CNCTR, un bâtiment sécurisé caché au fond d’un jardin de la rue de Babylone, dans le 7e arrondissement, la tension est maximale chaque fin de semaine à partir de décembre 2018. (…) « C’était l’enfer. Tous les services voulaient un feu vert dans la soirée de vendredi. La Commission n’avait pas forcément le temps de vérifier les motivations indiquées dans les centaines de demandes », précise un de ses membres, qui n’a pas eu son mot à dire sur ces décisions.

    (…) Beaucoup de manifestants ciblés sont ainsi repérés en direct, dans leurs déplacements en voiture, en train, jusqu’à Paris, ou vers d’autres grandes métropoles où se déroulaient des rassemblements importants. Ignorant qu’ils sont géolocalisés grâce à leur téléphone, certains sont interpellés sur les routes, aux péages, dans les gares ou près des lieux de leur résidence. Seize personnes, présentées par la police comme des « black blocs » ou des « ultrajaunes », seront arrêtées à 12 h 30 le samedi 7 décembre 2019, dans une maison louée avenue du Général-Leclerc, au Bouscat, près de Bordeaux, et les locaux perquisitionnés.
    Leur localisation a été rendue possible, affirmeront les enquêteurs, grâce à la découverte faite dans la nuit de tags anti-police peints dans le quartier et sur la foi d’« investigations d’environnement » effectuées le matin même. Mais les détails de ces « investigations d’environnement » ne seront pas versés en procédure, car, selon l’officier de police judiciaire chargé de l’enquête, elles « provenaient d’informations classifiées ». Ce qui correspond à des renseignements de surveillance émanant des services.

    La #géolocalisation permet également de suivre le parcours des « cibles » durant les manifestations. Les trajets sont visualisés en direct sur des écrans. (…) Chaque cible est alors colorée selon son appartenance présumée : rouge pour des cibles de l’ultragauche, bleu pour l’ultradroite. (…)

    D’autres « gilets jaunes » font l’objet d’un traçage en direct hors des manifestations habituelles du samedi. Le dimanche 14 juillet 2019, juste avant le défilé traditionnel des armées sur les Champs-Elysées, les services reçoivent des alertes sur la présence de « gilets jaunes » dans les parages, alors que le périmètre a été interdit à toute manifestation sur ordre du préfet de police. Plus grave : ils soupçonnent une attaque contre le président de la République, Emmanuel Macron. Au vu du risque de « trouble grave à l’ordre public », des surveillances téléphoniques sont aussitôt autorisées, pour quelques jours, sur plusieurs cibles, avant d’être levées faute de menaces avérées. Coïncidence ? Ce jour-là, parmi les près de 200 personnes interpellées dans Paris en marge du défilé, trois leaders connus des « gilets jaunes », Eric Drouet, Maxime Nicolle et Jérôme Rodrigues, sont arrêtés dès le matin aux alentours des Champs-Elysées et placés en garde à vue, avant d’être relâchés dans l’après-midi, une fois les procédures lancées ou classées sans suite. Les techniques de surveillance sont également utilisées de manière intensive pour repérer les manifestants contre le sommet du G7 qui se tient à Biarritz du 24 au 26 août 2019. (…)

    La fin du mouvement des « gilets jaunes » en 2020, suivie de la longue crise sanitaire, n’a pas stoppé cette surveillance ciblée. Au contraire. Selon les données de la CNCTR, chargée de filtrer les requêtes des services, les demandes d’écoutes et de poses de balises pour tous types de motifs sont restées stables à un niveau élevé depuis 2020. Celles portant sur des intrusions dans des lieux privés ont fortement augmenté, tout comme celles sur la captation de données informatiques. Quant aux demandes de géolocalisation en temps réel , très prisées lors des manifestations, elles ont continué leur irrésistible ascension, de 7 601 en 2019, jusqu’à 10 901 en 2022 , un nouveau record.

    Notes de bas de page :
    1- Entretiens avec l’auteur. La plupart des sources de ce prologue ont requis l’anonymat, vu le caractère sensible des informations livrées ici. Les dates des entretiens ne sont pas précisées.
    2 - Nombre des requêtes de TR motivées par les motifs de prévention des violences collectives : 4 226 en 2017 (soit 6 % du total des 70 432 demandes) ; 6 596 en 2018 (soit 9 % des 73 298 demandes) ; 10 296 en 2019 (soit 14 % du total des 73 543 demandes). Source : rapports annuels de la #CNCTR.
    3 - Le contingent d’écoutes était de 3 040 depuis 2017, déjà passé à 3 600 en juin 2018.

    https://www.lemonde.fr/idees/article/2023/10/09/les-extraits-du-cote-obscur-de-la-force-pendant-la-crise-des-gilets-jaunes-j
    les (...) du texte sont du journal

    edit #police_politique #solutionnisme_technologique #écologie_radicale #SLT #extinction_rebellion ...

    #manifestations #livre

    • « Le Côté obscur de la force », enquête sur la part d’ombre des pratiques policières
      https://www.lemonde.fr/idees/article/2023/10/09/le-cote-obscur-de-la-force-enquete-sur-la-part-d-ombre-des-pratiques-policie

      L’enquête de Vincent Nouzille qui paraît le 11 octobre chez Flammarion fait la lumière sur deux tendances de fond aux lourdes conséquences sur les libertés publiques : la multiplication des entraves au droit de manifester et le développement de la surveillance de masse.

      Livre. Depuis P… comme police, d’Alain Hamon et Jean-Charles Marchand (Alain Moreau, 1983), les livres d’enquête sur une institution aussi décriée que propice aux fantasmes n’ont pas fait défaut. Il manquait toutefois, dans ce catalogue, un ouvrage consacré aux plus récentes années, un livre qui serait à la fois une mise en perspective de maux endémiques (comme la difficulté à admettre l’existence de violences policières, fussent-elles répétées et objectivées) et un exercice d’analyse prospective sur des pratiques policières renouvelées, bien souvent inquiétantes. Vincent Nouzille, journaliste rompu aux investigations documentées, comble cette lacune en explorant Le Côté obscur de la force (Flammarion, 512 pages, 23 euros).
      Si elle n’oublie pas les figures imposées et traite notamment de la persistance de réseaux d’influence souterrains au sein du ministère de l’intérieur, son enquête aide avant tout à mettre en lumière deux tendances de fond aux lourdes conséquences sur les #libertés_publiques. La première tient à la multiplication des entraves au #droit_de_manifester grâce à la mobilisation de toutes les ressources judiciaires possibles, parfois au moyen de procédés à la limite du dilatoire. La seconde tendance concerne la mise en œuvre de techniques de surveillance de masse.
      Noyés dans les rapports officiels et les interventions des autorités policières, les chiffres exhumés par l’auteur montrent que des milliers d’individus ont fait l’objet d’une surveillance étroite, une vaste entreprise de « renseignement » décidée au plus haut sommet de l’Etat lors de la crise des « gilets jaunes » et prolongée depuis. La pérennisation de ces techniques fait craindre une extension du domaine panoptique, rendue probable par le test grandeur nature des Jeux olympiques et paralympiques de Paris en 2024. « Il est assez vraisemblable, prévient Vincent Nouzille, que les enseignements qui en seront tirés inciteront ses promoteurs, notamment toute la filière de la sécurité qui piaffe d’impatience, à vouloir en tirer parti pour passer à la vitesse supérieure. » Et accélérer un mouvement, manifestement déjà bien engagé, de surveillance généralisée.

      "Ils ne peuvent plus s’en passer" : un livre révèle une "flambée" des écoutes depuis les "gilets jaunes"
      https://www.radiofrance.fr/franceinter/ils-ne-peuvent-plus-s-en-passer-un-livre-revele-une-flambee-des-ecoutes-

      (...) il y a eu au moins 2.000 personnes écoutées ou géolocalisées pendant la crise des « gilets jaunes ». Jamais on n’avait écouté autant de monde en même temps lors d’une crise sociale. Cela a permis aux services de renseignement et services de police, d’une part d’écouter, mais surtout de suivre les #mouvements de ces manifestants et d’en interpeller certains en amont des manifestations. Cela a été, selon eux, extrêmement efficace. Les [représentants] officiels me disent que tout a été fait dans les règles. Mais vu le nombre de demandes et vu, surtout, l’afflux soudain des demandes, nous pouvons nous poser des questions sur les contrôles qui ont pu être exercés en la matière."

      Vous montrez également que cette surveillance n’a pas pris fin après cet épisode des « gilets jaunes »...

      "On aurait pu croire qu’avec la fin de la crise des « gilets jaunes », début 2020, cette surveillance diminue. Or, ce n’est pas du tout ce qui s’est passé, au contraire. En fait, les responsables du service de renseignement m’ont confié qu’ils y avaient pris goût et ne pouvaient plus se passer des écoutes, et surtout des géolocalisations en temps réel, qui permettent de savoir où sont les personnes que l’on veut surveiller. Le nombre des personnes qui ont été surveillées "au titre des violences collectives", comme on dit dans le jargon, a atteint 3.500 en 2021, c’est à dire trois fois plus qu’en 2017. Nous avons donc bien eu une extension de la surveillance à un nombre beaucoup plus grand de personnes.

      Il y a ensuite eu un léger repli en 2022, mais, début 2023, je révèle qu’il y a eu un nouvel accord de la Commission nationale des techniques de renseignement pour élargir les critères de la surveillance et des possibilités d’écoutes à des personnes qui font partie des mouvements de l’écologie radicale. C’est le cas de certains membres des Soulèvements de la Terre, d’Extinction rébellion et d’autres, notamment toutes les personnes qui ont lutté contre les méga-bassines. Cette commission a décidé fin 2022, début 2023, de changer les critères et d’accepter un certain nombre de demandes des renseignements qu’elle avait jusqu’alors refusées. Par exemple, lorsqu’a eu lieu la première manifestation à Sainte-Soline, en octobre 2022, les services de renseignement avaient fait des demandes d’écoute d’un certain nombre de leaders des mouvements, et cela n’avait pas été accepté par cette commission. Mais vu la violence et les incidents qui ont eu lieu fin octobre, l’intrusion ensuite dans la cimenterie Lafarge, près de Marseille, qui a eu lieu en décembre, et d’autres incidents de ce type, cette Commission de contrôle des techniques de renseignement a décidé d’élargir les critères d’écoute en acceptant désormais des cas de demandes de personnes qui sont susceptibles de commettre des violences non pas physiques, mais des #violences_matérielles, de destruction, de #sabotage."

      #justice #enquêtes_judiciaires #JO #gendarmerie #Service_central_de_renseignement_territorial #RT

  • Des #pratiques_policières et préfectorales illégales et alarmantes en guise de réponse à la demande de places d’hébergement d’urgence.

    Briançon, le 2 octobre 2023 - La semaine dernière, la préfecture des Hautes-Alpes a annoncé l’arrivée, dès le jeudi 21 septembre, de 84 effectifs supplémentaires dédiés au renforcement des contrôles à la frontière franco-italienne. Depuis, des #interpellations se multiplient autour de la frontière, jusque dans la ville de #Briançon, et même au-delà, où la police traque les personnes exilées pour les chasser de l’espace public. Or, si la préfecture se targue de respecter la loi, il n’en est rien et ces pratiques policières et préfectorales sont illégales et dangereuses.

    Les pratiques en matière de contrôles des personnes exilées dans la ville de Briançon ont changé depuis jeudi dernier : chaque jour, plus d’une dizaine de personnes ont été retenues au poste de police, parfois une nuit entière, suite à des contrôles d’identité dans la ville même, fait plutôt rare jusqu’ici. Les exilé.e.s sont poursuivi.e.s au-delà même de Briançon, dans le train, les bus, et jusqu’à Paris, où vendredi matin (29 septembre) une armada de policiers les attendaient à la descente du train de nuit à la gare d’Austerlitz. La présence policière est également renforcée à Marseille, Gap ou Grenoble.

    Ces contrôles ciblent les personnes racisées, et sont suivies par des retenues au commissariat pouvant aller jusqu’à 24 heures, qui se soldent par des mesures d’éloignement : des OQTF (obligation de quitter le territoire français) sans délai, parfois suivies par des placements en CRA (centre de rétention) dans des villes éloignées, comme Toulouse.

    Dans la ville frontalière de Briançon, ces vagues d’interpellations dissuadent les personnes exilées de circuler, elles ne sont donc en sécurité que dans le seul lieu d’accueil actuellement ouvert, un bâtiment occupé en autogestion. La société publique locale Eau Service de la Haute Durance, dont le président n’est autre que le maire de Briançon, M. MURGIA, a coupé l’approvisionnement en eau courante de ce bâtiment le 17 août 2023. Aggravant la précarité des personnes accueillies, cette décision a de fortes répercussions pour la santé et le respect des droits fondamentaux des personnes. (Le lieu accueillant l’association Refuges solidaires a fermé fin août, ne pouvant assurer seul l’hébergement d’urgence à Briançon.)

    Des ordres ont été donné par le préfet pour augmenter la présence policière dans la ville de Briançon. L’augmentation des contrôles d’identité viserait à prévenir la recrudescence des « incivilités » liées au contexte de pression migratoire. Les forces de l’ordre répètent que les contrôles qu’ils opèrent dans la ville de Briançon sont des contrôles dits « Schengen »[1], possibles dans une bande de 20 km après la frontière, visant à rechercher et prévenir la criminalité transfrontalière.

    Or, le fait de franchir une frontière irrégulièrement, ou de se maintenir sur le territoire français irrégulièrement ne sont pas des infractions permettant de justifier un contrôle d’identité. En aucun cas, la police ne peut déduire que la personne est étrangère à cause d’un critère inhérent à la personne contrôlée (couleur de peau, d’yeux, de cheveux, vêtements, etc..). Ces contrôles sont restreints dans le temps : pas plus de douze heures consécutives. Or, ils sont permanents dans la zone frontalière briançonnaise. Dans les faits, ce sont bien des contrôles au faciès qui sont menés, car ce sont bien les personnes racisées qui sont la cible de ces contrôles, qui ne semblent justifiés par aucun motif précis. A moins que le simple fait de dormir dans la rue soit considéré cyniquement comme une infraction par l’État, ou une « incivilité » alors même que celui-ci se place dans l’illégalité en n’ouvrant pas de places d’hébergement d’urgence dans le département ? Ces contrôles au faciès font plutôt penser à une réelle volonté du préfet de supprimer la présence des personnes exilées de l’espace public.

    Par ailleurs, la CJUE (Cour de justice de l’Union européenne) a bien rappelé dans sa décision[2] du 21 septembre que la France met en place des pratiques illégales en termes de contrôles et d’enfermement aux frontières intérieures, et qu’elle est tenue de se conformer aux textes européens, ce qu’elle ne fait pas.

    Ces pratiques répondent à la même logique que celle dénoncée par nos associations depuis maintenant plusieurs années à la frontière : une volonté politique d’empêcher à tout prix les personnes exilées de circuler, en faisant fi des textes de loi qui encadrent à la fois les contrôles d’identité et les procédures de non-admissions sur le territoire. Aussi, la réponse de l’Etat est une fois de plus de faire croire qu’il est possible « d’étanchéifier » la frontière, en déployant pour cela des moyens dispendieux.

    Or, Médecins du Monde et Tous migrants ont mené une enquête sur une semaine à la fin du mois d’août, et les résultats de nos observations confirment ce que nous documentons depuis plusieurs années : ce dispositif de contrôle de la frontière met en danger les personnes. Il n’empêche absolument pas les personnes exilées d’entrer en France, mais accroît par contre leur vulnérabilité en rendant le passage plus difficile, plus dangereux.

    Les récits des personnes qui traversent la frontière sont édifiants : contrôles par surprise, courses-poursuites par les forces de l’ordre, qui provoquent des chutes, avec des fractures, des entorses ou encore des pertes de connaissance. Marchant en moyenne 10 heures depuis l’Italie pour atteindre Briançon, les personnes font état de leur extrême fatigue, de déshydratation, et du risque de se perdre en montagne. Certain.es ont passé plus de 48 heures en montagne, parfois sans boire ni manger. Cette énième traversée de frontières avec des tentatives de passage souvent multiples s’ajoute à un parcours migratoire extrêmement éprouvant et crée de plus des reviviscences traumatiques susceptibles ensuite de se traduire par des altérations de la santé mentale. Les récits recueillis ces dernières semaines et les observations de Médecins du Monde lors des permanences médicales confirment ces pratiques.

    La plupart des personnes qui traversent la frontière sont originaires des pays d’Afrique sub-saharienne, et plus récemment du Soudan, et relèvent du droit d’asile ou de la protection subsidiaire. Les refouler en Italie de manière systématique et collective ignore le droit d’asile européen. De même, prendre à leur encontre des mesures d’éloignement (OQTF) vers leurs pays d’origine, où elles risquent la mort ou la torture, est contraire au principe de non-refoulement (article 33 de la Convention de 1951 relative au statut des réfugiés).

    [1] Encadrés par le Code de procédure pénale, article 78-2 alinéa 5
    [2] Contrôle des frontières : le gouvernement contraint de sortir de l’illégalité - Alerte presse inter-associative- 21 septembre 2023. http://www.anafe.org/spip.php?article694

    communiqué de presse Tous Migrants (co-signée avec Médecins du Monde), reçu le 3 octobre 2023 via la newsletter de Tous Migrants

    #frontière_sud-alpine #frontières #asile #migrations #contrôles_frontaliers #Hautes-Alpes #traque #espace_public #contrôles_d'identité #ville #Paris #Marseille #Gap #Grenoble #gare #contrôles_au_faciès #OQTF #CRA #détention_administrative #squat #présence_policière #incivilités #zone_frontalière #SDF #hébergement #non-admission #vulnérabilisation #courses-poursuites #France #Italie #dangers #risques #montagne #refoulements #push-backs

    • Ritorno a #Oulx, sulla frontiera alpina. Aumentano i transiti, i respingimenti sono sistematici

      Sono già diecimila i passaggi monitorati quest’anno allo snodo Nord-occidentale, in forte aumento rispetto al 2022 quando furono in tutto 12mila. La stretta sorveglianza del confine da parte francese e il mancato accesso ai diritti sul territorio italiano, se non per iniziative volontarie, colpiscono duramente i migranti. Il reportage

      Per le strade di Briançon, primo Comune francese subito dopo il confine con l’Italia alla frontiera Nord-occidentale, non c’è quasi nessuno. È una notte fonda dei primi d’ottobre quando all’improvviso sbuca un gruppo di ragazzi che si dirige con passo svelto verso la stazione: cercano un luogo dove potersi riposare. Intorno è tutto chiuso e avrebbero bisogno almeno di bere un sorso d’acqua, ma la gioia di essere riusciti ad arrivare in Francia compensa la necessità di dormire e di mangiare.

      “Ce l’abbiamo fatta”, dice sorridendo uno di loro. Sono in cinque, tutti provenienti dal Niger e tra loro c’è anche un minorenne. “Abbiamo camminato per otto ore -racconta- ci siamo fermati solo per nasconderci dalla polizia in mezzo agli alberi. Oppure ci siamo sdraiati per terra quando sentivamo un rumore dal cielo”.

      A far paura in questi giorni non sono solo i gendarmi appostati con i binocoli ma anche i droni che il governo francese sta usando per bloccare quanti più transitanti possibile. Dotati di visori termici, sono in grado di stanare i ragazzi anche di notte ed è per questo che i “cacciati” tendono a salire sempre più in cima, oltre i duemila metri. In questo modo il loro tragitto, di per sé già complicato, diventa ancora più pericoloso, soprattutto con la neve e il ghiaccio. Il gruppo arrivato a Briançon saluta e si nasconde nel buio per trovare un posto dove riposare qualche ora. C’è da aspettare l’alba, quando con un treno o con un autobus si tenterà di proseguire il viaggio verso una delle principali città francesi.

      “C’è mio fratello che mi aspetta”, racconta un sedicenne mentre riempie la bottiglietta alla fontanella del centro di Claviere (TO), l’ultimo Comune italiano prima del confine. È pomeriggio e il sole è decisamente caldo per essere ottobre, ma lui indossa una giacca a vento e una sciarpa pronta a far da cappello se in nottata la temperatura dovesse scendere. Aspetta insieme a un gruppo di giovani che si faccia buio per salire in montagna. “Non ho paura della montagna. Ho paura di essere preso dalla polizia e di essere rimandato indietro -continua-. Ma tanto ci riprovo”. Un secondo ragazzo racconta di essere già stato respinto due volte: “Ma prima o poi ce la faccio. Sono stato picchiato tante volte lungo il viaggio, torturato e minacciato. Il buio e la montagna non potranno mai essere peggio”. Del freddo sì, qualcuno ha paura.

      La maggior parte delle persone che si apprestano ad attraversare le Alpi non ha idea di quanto le temperature possano scendere in montagna. In questi giorni di caldo decisamente anomalo, poi, non credono a chi li avverte che potrebbero soffrire il freddo e battere i denti. E così al rifugio “Fraternità Massi” di Oulx i volontari devono convincerli a prendere la felpa e a indossare i calzettoni prima di infilare gli scarponi da montagna.

      Questo luogo è diventato negli anni un punto di riferimento fondamentale per i migranti che vogliono lasciare l’Italia e raggiungere la Francia. Ma negli ultimi mesi il flusso di persone che ogni giorno arrivano è cresciuto fino a raggiungere livelli insostenibili. “All’anno scorso ne arrivavano tra le cinquanta e le cento al giorno. Ma i momenti di sovraffollamento erano poco frequenti -spiega una delle volontarie-. Arrivavano soprattutto dalla rotta balcanica: erano siriani, afghani, palestinesi, bengalesi. C’era anche qualche persona nordafricana. Oggi, invece, arrivano quasi esclusivamente migranti provenienti dai Paesi dell’Africa sub-sahariana sbarcati nelle scorse settimane a Lampedusa o in altre località del Sud”.

      In questi giorni al rifugio i volontari sono sotto pressione: arrivano fino a 250 persone a notte ma i posti a disposizione sono solo 80. “È chiaro che dover aiutare così tante persone ha messo a dura prova l’organizzazione -spiega don Luigi Chiampo, parroco di Bussoleno (TO) che gestisce la struttura-. Significa farli dormire per terra, faticare per offrire a tutti un piatto di pasta o per vestirli in maniera adeguata ad affrontare la montagna”. Il rifugio è un luogo sicuro, dove le persone in transito sanno di poter trovare le cure di cui hanno bisogno dal momento che è sempre presente il presidio di due associazioni che offrono assistenza medico-sanitaria: Rainbow for Africa e Medici per i diritti umani (Medu). Ma soprattutto sanno che possono cambiare le scarpe, spesso lacere e inadeguate. “La maggior parte di chi arriva qui lo fa con le infradito ai piedi -racconta Sofia, una delle volontarie- indossando magliette e pantaloncini. Non possono andare in montagna così”.

      Al mattino gli ospiti del rifugio si mettono in fila al guardaroba, una stanza al pian terreno dell’edificio dove si può trovare tutto il necessario per questa nuova tappa del viaggio: scarpe, pantaloni, maglie, giacconi, guanti, calzettoni, cappellini e zaini per uomini, donne e bambini. Tutto viene catalogato per taglia e tipologia.

      “Shoes, chaussures, scarpe. Non vanno bene quelle”, spiegano i volontari. Le persone si lasciano consigliare ma alcune, soprattutto i più giovani, sgranano gli occhi di fronte a felpe colorate e giacche morbide.

      E così, imbacuccati e attrezzati, aspettano l’autobus per Claviere. “Ho 18 anni -dice uno di loro- ma sono partito quando ne avevo 16. Sono due anni che cerco di salvarmi la vita e ora sono nelle mani di Dio”. La maggior parte dei migranti che in questi giorni stanno tentando di attraversare le Alpi è sbarcata nelle scorse settimane a Lampedusa e in poco tempo ha raggiunto il confine: “Non vogliamo rimanere in Italia, abbiamo tutti famiglia o amici che ci aspettano in Francia o in Belgio -spiega Hassan a nome dei suoi compagni di viaggio-. Abbiamo una casa e forse anche un lavoro ad aspettarci”.

      Tra i migranti al rifugio di Oulx ci sono anche molte donne con bambini piccoli. Per loro la traversata in montagna è ancora più difficile, ma non c’è alternativa. Ismael sta imparando a camminare proprio in questi giorni, aggrappandosi alle gambe delle sedie e appoggiandosi alle mani di tanti sconosciuti che gli sorridono. “Non ha paura di niente”, ammette la madre. Insieme a un piccolo gruppo, anche lei tenterà di raggiungere Briançon.

      Intanto è ora di lasciare il rifugio per andare alla stazione e salire sull’autobus. Biglietto alla mano le persone prendono posto e salutano i volontari, sperando davvero di non rivederli più. Se dovessero ripresentarsi a sera tarda o la mattina seguente vorrà dire che la polizia francese li avrà presi e respinti.

      A riportare i migranti al rifugio è un mezzo della Croce Rossa che fa la spola, anche più volte al giorno, tra Monginevro e Oulx. Seguiamo l’autobus per ritornare a Claviere: mentre un gruppo s’inerpica su per la montagna, un furgoncino torna giù con a bordo cinque persone bloccate la sera precedente. È un meccanismo perverso a regolare questo passaggio a Nord-Ovest, l’ennesimo che i migranti subiscono durante il loro viaggio. Mentre sulle montagne va in scena la caccia all’uomo e i bambini sono rimpallati come biglie, i governi europei giocano al braccio di ferro, senza pensare a canali legali che possano garantire sicurezza e rispetto dei diritti umani.

      https://www.youtube.com/watch?v=z_MO67A_-nQ&embeds_referring_euri=https%3A%2F%2Faltreconomia.it%2F&

      https://altreconomia.it/ritorno-sulla-frontiera-alpina-a-oulx-aumentano-i-transiti-i-respingime

    • La denuncia di MEDU: «Respinti anche se minorenni»

      È quel che sta accadendo al confine italo-francese

      Siamo al confine alpino tra Italia e Francia. Più precisamente a Oulx in Alta Val di Susa, al #Rifugio_Fraternità_Massi. Un edificio di solidarietà, assistenza e cura gestito in maniera coordinata da un pool di professionisti e volontari, in cui ognuno opera con compiti specifici assegnati in base all’esperienza, alle competenze alle finalità dell’organizzazione di appartenenza. Un “luogo sicuro” dove poter riposare per una notte, trovare abiti puliti, un pasto dignitoso e ricevere assistenza medica prima di riprendere il proprio viaggio verso la Francia.

      Qui MEDU (Medici per i diritti umani) da inizio del 2022 fornisce assistenza medica alle migliaia di persone migranti diretti in Francia presso l’ambulatorio allestito dall’associazione Rainbow for Africa (R4A) al Rifugio. L’associazione garantisce la presenza di un medico, di una coordinatrice e di un mediatore linguistico – culturale. In particolare, il medico si occupa sia di fornire assistenza sanitaria ai pazienti che di coordinare le attività sanitarie svolte dalle organizzazioni e dai medici volontari presenti presso il rifugio.

      Nell’ultimo web report pubblicato nel mese di maggio del 2023 le autrici descrivono Oulx come una delle ultime tappe di un lungo viaggio, che può durare dai 2 ai 6 anni e che può costare dai 2 agli 8 mila euro. «Un viaggio che collega l’Afghanistan, la Siria, l’Iran e molti paesi africani con i paesi del nord Europa e dell’Europa centrale, attraverso valichi alpini che superano i 1.800 metri di quota».

      Sono numerosi i minori non accompagnati che ogni giorno raggiungono il Rifugio Fraternità Massi.

      «Negli ultimi mesi, in concomitanza con l’aumento degli arrivi via mare», spiega l’organizzazione umanitaria, «il numero delle presenze è aumentato in modo significativo: a fronte di una capienza di 70 posti, si registrano anche 230 presenze in una sola notte presso il rifugio, tra cui donne e minori».

      Sono tantissime le testimonianze, raccolte da MEDU, di minori non accompagnati che sono stati respinti al controllo di frontiera perché al momento dell’ingresso in Italia sono stati registrati – per loro stessa dichiarazione o per errore – come maggiorenni. Nonostante il loro tentativo di dichiarare la vera età al confine, vengono comunque respinti in Italia, invece di accedere alla procedura di asilo in Francia.

      «Non riconoscere la minore età al confine vuol dire esporre i minori ai rischi derivanti dall’attraversamento della frontiera a piedi, di notte, lungo sentieri di montagna impervi e pericolosi, soprattutto nei mesi invernali. A questi, si aggiunge il rischio di consegnarli alle reti dell’illegalità e dello sfruttamento» denuncia MEDU.

      «Stiamo continuando a garantire ascolto e cure alle persone accolte presso il rifugio e a portare all’attenzione dell’opinione pubblica le loro storie» – conclude l’organizzazione – «che raccontano nella maggior parte dei casi di violazioni e abusi subìti lungo le rotte migratorie».

      https://www.meltingpot.org/2023/10/la-denuncia-di-medu-respinti-anche-se-minorenni
      #mineurs #MNA #val_de_suse

  • La chute du Heron blanc, ou la fuite en avant de l’agence #Frontex

    Sale temps pour Frontex, l’agence européenne de gardes-frontières : après le scandale des pushbacks dans les eaux grecques, qui a fait tomber son ex-directeur, l’un de ses drones longue portée de type Heron 1, au coût faramineux, s’est crashé fin août en mer ionienne. Un accident qui met en lumière la dérive militariste de l’Union européenne pour barricader ses frontières méridionales.

    Jeudi 24 août 2023, un grand oiseau blanc a fait un plongeon fatal dans la mer ionienne, à 70 miles nautiques au large de la Crète. On l’appelait « Heron 1 », et il était encore très jeune puisqu’il n’avait au compteur que 3 000 heures de vol. Son employeur ? Frontex, l’agence européenne de gardes-frontières et de gardes-côtes chargée depuis 2004 de réguler les frontières européennes, avec un budget sans cesse en hausse.

    Le Heron 1 est désigné dans la terminologie barbare du secteur de l’armement comme un drone MALE (Medium Altitude Long Endurance) de quatrième génération, c’est-à-dire un engin automatisé de grande taille capable de voler sur de longues distances. Frontex disposait jusqu’au crash de seulement deux drones Heron 1. Le premier a été commandé en octobre 2020, quand l’agence a signé un contrat de 50 millions d’euros par an avec Airbus pour faire voler cet appareil en « leasing » – Airbus passant ensuite des sous-contrats, notamment avec le constructeur israélien IAISystem
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    – pour un total de 2 400 heures de vol, et avec des dépassements qui ont fait monter la facture annuelle. En clair, le coût de fonctionnement de ce drôle d’oiseau est abyssal. Frontex rechigne d’ailleurs à entrer dans les détails, arguant de « données commerciales sensibles », ainsi que l’explique Matthias Monroy, journaliste allemand spécialisé dans l’aéronautique : « Ils ne veulent pas donner les éléments montrant que ces drones valent plus cher que des aéroplanes classiques, alors que cela semble évident. »
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    La nouvelle de la chute de l’onéreux volatile n’a pas suscité beaucoup de réactions publiques – il n’en est quasiment pas fait mention dans les médias autres que grecs, hormis sur des sites spécialisés. On en trouve cependant une trace sur le portail numérique du Parlement européen, en date du 29 août 2023. Ce jour-là, Özlem Demirel, députée allemande du parti de gauche Die Linke, pose la question « E-002469/2023 » (une interpellation enregistrée sous le titre : « Crash of a second long-range drone operated on Frontex’s behalf »), dans laquelle elle interroge la fiabilité de ces drones. Elle y rappelle que, déjà en 2020, un coûteux drone longue distance opéré par Frontex s’était crashé en mer – un modèle Hermes 900 cette fois-ci, tout aussi onéreux, bijou de l’israélien Elbit Systems. Et la députée de demander : « Qui est responsable ? »

    Une question complexe. « En charge des investigations, les autorités grecques détermineront qui sera jugé responsable, explique Matthias Monroy. S’il y a eu une défaillance technique, alors IAI System devra sans doute payer. Mais si c’est un problème de communication satellite, comme certains l’ont avancé, ou si c’est une erreur de pilotage, alors ce sera à Airbus, ou plutôt à son assureur, de payer la note. »
    VOL AU-DESSUS D’UN NID D’EMBROUILLES

    Le Heron 1 a la taille d’un grand avion de tourisme – presque un mini-jet. D’une envergure de 17 mètres, censé pouvoir voler en autonomie pendant 24 heures (contre 36 pour le Hermes 900), il est équipé de nombreuses caméras, de dispositifs de vision nocturne, de radars et, semble-t-il, de technologies capables de localiser des téléphones satellites
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    . Détail important : n’étant pas automatisé, il est manœuvré par un pilote d’Airbus à distance. S’il est aussi utilisé sur des théâtres de guerre, notamment par les armées allemande et israélienne, où il s’est également montré bien peu fiable
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    , sa mission dans le cadre de Frontex relève de la pure surveillance : il s’agit de fournir des informations sur les embarcations de personnes exilées en partance pour l’Europe.

    Frontex disposait de deux drones Heron 1 jusqu’au crash. Airbus était notamment chargé d’assurer le transfert des données recueillies vers le quartier général de Frontex, à Varsovie (Pologne). L’engin qui a fait un fatal plouf se concentrait sur la zone SAR(Search and Rescue
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    ) grecque et avait pour port d’attache la Crète. C’est dans cette même zone SAR que Frontex a supervisé plus ou moins directement de nombreux pushbacks (des refoulements maritimes), une pratique illégale pourtant maintes fois documentée, ce qui a provoqué un scandale qui a fini par contraindre le Français Fabrice Leggeri à démissionner de la tête de l’agence fin avril 2022. Il n’est pas interdit de penser que ce Heron 1 a joué en la matière un rôle crucial, fournissant des informations aux gardes-côtes grecs qui, ensuite, refoulaient les embarcations chargées d’exilés.

    Quant à son jumeau, le Heron positionné à Malte, son rôle est encore plus problématique. Il est pourtant similaire à celui qui s’est crashé. « C’est exactement le même type de drone », explique Tamino Bohm, « tactical coordinator » (coordinateur tactique) sur les avions de Sea-Watch, une ONG allemande de secours en mer opérant depuis l’île italienne de Lampedusa. Si ce Heron-là, numéro d’immatriculation AS2132, diffère de son jumeau, c’est au niveau du territoire qu’il couvre : lui survole les zones SAR libyennes, offrant les informations recueillies à ceux que la communauté du secours en mer s’accorde à désigner comme les « soi-disant gardes-côtes libyens »
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    – en réalité, des éléments des diverses milices prospérant sur le sol libyen qui se comportent en pirates des mers. Financés en partie par l’Union européenne, ils sont avant tout chargés d’empêcher les embarcations de continuer leur route et de ramener leurs passagers en Libye, où les attendent bien souvent des prisons plus ou moins clandestines, aux conditions de détention infernales
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    .

    C’est ainsi qu’au large de Lampedusa se joue une sorte de guerre aérienne informelle. Les drones et les avions de Frontex croisent régulièrement ceux d’ONG telles que Sea-Watch, dans un ballet surréaliste : les premiers cherchant à renseigner les Libyens pour qu’ils arraisonnent les personnes exilées repérées au large ; les seconds s’acharnant avec leurs maigres moyens à documenter et à dénoncer naufrages et refoulements en Libye. Et Tamino d’asséner avec malice : « J’aurais préféré que le drone crashé soit celui opérant depuis Malte. Mais c’est déjà mieux que rien. »
    BUDGET GONFLÉ, MANDAT ÉLARGI

    Tant que l’enquête sur le crash n’aura pas abouti, le vol de drones Heron 1 est suspendu sur le territoire terrestre et maritime relevant des autorités grecques, assure Matthias Monroy (qui ajoute que cette interdiction s’applique également aux deux drones du même modèle que possède l’armée grecque). Le crash de l’un de ses deux Heron 1 est donc une mauvaise nouvelle pour Frontex et les adeptes de la forteresse Europe, déjà bien éprouvés par les arrivées massives à Lampedusa à la mi-septembre et l’hospitalité affichée sur place par les habitants. À l’image de ces murs frontaliers bâtis aux frontières de l’Europe et dans l’espace Schengen – un rapport du Parlement européen, publié en octobre 2022 « Walls and fences at EU borders » (https://www.europarl.europa.eu/thinktank/en/document/EPRS_BRI(2022)733692), précise que l’on en est à 2 035 kilomètres de barrières frontalières, contre 315 en 2014 –, matérialisation d’un coûteux repli identitaire clamant une submersion fantasmée, il est évident que la démesure sécuritaire ne freine en rien les volontés de rejoindre l’Europe.

    Ce ne sont pourtant pas les moyens qui manquent. Lors de sa première année d’opérations, en 2005, Frontex disposait d’un budget de 6 millions d’euros. Depuis, celui-ci n’a cessé d’enfler, pour atteindre la somme de 845,4 millions d’euros en 2023, et un effectif de plus de 2 100 personnels – avec un budget prévisionnel 2021-2027 de 11 milliards d’euros et un objectif de 10 000 gardes d’ici à 2027 (dont 7 000 détachés par les États membres).

    Depuis 2019, Frontex dispose d’un mandat élargi qui autorise l’acquisition et la possession d’avions, de drones et d’armes à feu. L’agence s’est aussi géographiquement démultipliée au fil de temps. Ses effectifs peuvent aussi bien patrouiller dans les eaux de Lampedusa que participer à des missions de surveillance de la frontière serbo-hongroise, alors que son rôle initial était simplement d’assister les pays européens dans la gestion de leurs frontières. L’agence européenne joue aussi un rôle dans la démesure technologique qui se développe aux frontières. Rien que dans les airs, l’agence se veut novatrice : elle a déjà investi plusieurs millions d’euros dans un projet de #zeppelin automatisé relié à un câble de 1 000 mètres, ainsi que dans le développement de drones « #quadcopter » pesant une dizaine de kilos. Enfin, Frontex participe aussi à la collecte généralisée de #données migratoires dans le but d’anticiper les refoulements. Elle soutient même des projets visant à gérer les flux humains par #algorithmes.

    Traversée comme les armées par une culture du secret, l’agence s’est fait une spécialité des zones grises et des partenariats opaques, tout en prenant une place toujours plus importante dans la hausse de la létalité des frontières. « Frontex est devenue l’agent de la #militarisation_des_frontières européennes depuis sa création, résume un rapport de la Fondation Jean-Jaurès sorti en juillet 2023. Fondant son fonctionnement sur l’#analyse_des_risques, Frontex a contribué à la perception des frontières européennes comme d’une forteresse assiégée, liant le trafic de drogue et d’êtres humains à des mouvements migratoires plus larges. »

    « VOUS SURVEILLEZ LES FRONTIÈRES, NOUS VOUS SURVEILLONS »

    Dans sa volonté d’expansion tous azimuts, l’agence se tourne désormais vers l’Afrique, où elle œuvre de manière plus ou moins informelle à la mise en place de politiques d’#externalisation des frontières européennes. Elle pèse notamment de tout son poids pour s’implanter durablement au #Sénégal et en #Mauritanie. « Grâce à l’argent des contribuables européens, le Sénégal a construit depuis 2018 au moins neuf postes-frontières et quatre antennes régionales de la Direction nationale de lutte contre le trafic de migrants. Ces sites sont équipés d’un luxe de #technologies de #surveillance_intrusive : outre la petite mallette noire [contenant un outil d’extraction des données], ce sont des #logiciels d’#identification_biométrique des #empreintes_digitales et de #reconnaissance_faciale, des drones, des #serveurs_numériques, des lunettes de vision nocturne et bien d’autres choses encore », révèle une enquête du journal étatsunien In These Times. Très impopulaire sur le continent, ce type de #néocolonialisme obsidional se déploie de manière informelle. Mais il porte bien la marque de Frontex, agence agrippée à l’obsession de multiplier les murs physiques et virtuels.

    Au Sénégal, pour beaucoup, ça ne passe pas. En août 2022, l’association #Boza_Fii a organisé plusieurs journées de débat intitulées « #Pushback_Frontex », avec pour slogan : « Vous surveillez les frontières, nous vous surveillons ». Une manifestation reconduite en août 2023 avec la mobilisation « 72h Push Back Frontex ». Objectif : contrer les négociations en cours entre l’Union européenne et le Sénégal, tout en appelant « à la dissolution définitive de l’agence européenne de gardes-frontières ». Sur RFI, son porte-parole #Saliou_Diouf expliquait récemment son point de vue : « Nous, on lutte pour la #liberté_de_circulation de tout un chacun. […] Depuis longtemps, il y a beaucoup d’argent qui rentre et est-ce que ça a arrêté les départs ? »

    Cette politique « argent contre muraille » est déployée dans d’autres États africains, comme le #Niger ou le #Soudan. Frontex n’y est pas directement impliquée, mais l’Europe verse des centaines de millions d’euros à 26 pays africains pour que des politiques locales visant à bloquer les migrations soient mises en place.

    « Nous avons besoin d’aide humanitaire, pas d’outils sécuritaires », assure Mbaye Diop, travailleur humanitaire dans un camp de la Croix-Rouge situé à la frontière entre le Sénégal et la Mauritanie, dans l’enquête de In These Times. Un constat qui vaut de l’autre côté de la Méditerranée : dans un tweet publié après le crash du Heron 1, l’ONG Sea-Watch observait qu’avec les 50 millions alloués à Airbus et à ses sous-traitants pour planter son Heron dans les flots, « on pourrait faire voler pendant 25 ans nos avions de secours Seabird 1 et Seabird 2 ».

    https://afriquexxi.info/La-chute-du-Heron-blanc-ou-la-fuite-en-avant-de-l-agence-Frontex

    #drones #Heron_1 #frontières #surveillances_des_frontières #contrôles_frontaliers #migrations #asile #réfugiés #drone_MALE (#Medium_Altitude_Long_Endurance) #crash #Airbus #complexe_militaro-industriel #IAI_System #coût #prix #budget #chute #fiabilité #Hermes_900 #Elbit_Systems #données #push-backs #refoulements #AS2132 #Libye #guerre_aérienne_informelle #biométrie

  • Pièges et principes de l’horizontalité
    https://lundi.am/Pieges-et-principes-de-l-horizontalite

    Chez les partisans de l’autonomie, les deux expériences contemporaines qui font office de référence sont le mouvement Zapatiste au Chiapas et le mouvement Kurde, notamment au nord-est de la Syrie, dit Rojava. Pour les milieux libertaires, les dynamiques de démocratie directe et l’organisation horizontale de la vie quotidienne de ces deux territoires sont des sources majeures d’inspiration.

    Pourtant, dans les deux cas, un des ingrédients qui leurs a permis d’occuper des territoires considérables et de survivre pendant toutes ces années, est sans doute la coexistence de structures militaires et politiques, horizontales et verticales : l’EZLN (armée zapatiste de libération nationale) et les conseils de bon gouvernement au Chiapas, le PYD-PKK (le parti des travailleurs du kurdistan) avec ses branches armés d’une part, et les communes de l’autre, au Rojava.

    Paradoxalement, beaucoup de personnes qui soutiennent ces processus révolutionnaires contestent et refusent, chez elle, toute forme de verticalité dans les expériences d’organisation politique. Il faut dire que dans les innombrables récits, analyses et brochures sur le Chiapas ou le Rojava, le rôle des instances centralisatrices et verticales y est souvent absent laissant penser que les assemblées des habitant.e.s décident de tout, sans délégation ni médiation [1].

    #autogestion #organisation #hiérarchie #horizontalité

  • Slovenci objavili gdje je na granici najgore stanje. “Koristimo konjicu, helikoptere”

    SLOVENIJA uvodi pojačane kontrole granice s Hrvatskom. Slovenska policija, odmah nakon graničnih prijelaza, postavlja punktove na kojima može zaustavljati vozila.

    Portal 24ur navodi da se radi o sljedećim mjestima: kod željezničkog nadvožnjaka u mjestu Rigonce u blizini prijelaza Harmica, na punktu Trnovec kod Metlike, Obrežje kod Kalina, ali i na granici prema Italiji - u mjestima Rakitovec, Podgorje i Sočerga na području PU Koper. Iza graničnog prijelaza Obrežje, najvećeg cestovnog prijelaza Hrvatske i Slovenije, policija je organizirala motrenje.

    Kako pišu slovenski mediji, nakon ulaska Hrvatske u Schengen početkom godine, broj migranata koji zapadnobalkanskom rutom ilegalno dolaze u Sloveniju, pa tako i preko Bosne i Hercegovine, znatno je porastao. Slovenska policija je od početka godine do kraja kolovoza obradila 36.137 ilegalnih prelazaka državne granice između Slovenije i Hrvatske. U istom razdoblju prošle godine obrađen je 13.601 neovlašteni ulazak.

    Policija primjećuje da je i prije ulaska Hrvatske u šengenski prostor došlo do preusmjeravanja migracijskih tokova s ​​područja Bele krajine na područje Posavja. Jedan od razloga je i to što sve više migranata u Hrvatskoj iskazuje namjeru traženja azila, pa ih se dovozi u azilantske centre na zagrebačkom području, koje je geografski vrlo blizu Posavja, rekao je Bojan Tomc, načelnik Odjela za državnu granicu i strance, pojasnili su prije nekoliko dana iz Policijske uprave (PU) Novo mesto.

    I dok slovenska vlada Roberta Goloba inzistira na koalicijskoj obvezi oko uklanjanja ograde na granici, iz pograničnih općina kažu da šengenski sustav u Hrvatskoj očito ne funkcionira. Od mještana se čuju pozivi da se pojača policijski nadzor i da se prestane s uklanjanjem ograde na granici.
    Slovenci objavili gdje je najgore stanje

    Kako pišu slovenski mediji, trenutno je najgore na području zapadno od Samobora (Bregana-Obrežje) i posebno Zaprešića. S hrvatske strane granice zapadno od Zaprešića nalazi se Šenkovec, a sa slovenske mjesto Rigonce za koje Slovenci kažu da je najpogođenije migracijama.

    Cijelo to područje od Obrežja do Rigonce spada u slovensku regiju Posavje, gdje su najviše pogođena naselja Rigonce, Dobova (nalazi se u nastavku na Rigonce) i Obrežje. Prema riječima ravnatelja PU Novo mesto Igora Juršiča, policija je u Rigoncama, gdje je najkritičnije - trenutno bilježe od 120 do 200 migranata dnevno - pojačala kontrolu i ophodnjama i tehničkim sredstvima. Između ostalog, migrante nastoje presresti što bliže granici kako ne bi ulazili u naselja i izazivali nelagodu kod mještana. Svakodnevno koriste konjicu, vodiče službenih pasa i helikopter. Surađuju s hrvatskom policijom s kojom imaju redovite sastanke, a u mješovitim patrolama zajednički nadziru područje s obje strane granice.

    Ove godine na području PU Novo mesto obrađeno je 32.500 stranaca koji su ilegalno prešli državnu granicu. U istom razdoblju prošle godine takvih je prelazaka bilo oko 5000. Samo u Rigoncama ove je godine granicu ilegalno prešlo 25 tisuća stranaca. Također je uhićeno 177 stranaca, krijumčara, koji su počinili kazneno djelo nedopuštenog prelaska državne granice. Lani je u istom razdoblju uhićen 31.
    “Mještani su vrlo tolerantni”

    Kako javlja STA, zamjenik glavnog ravnatelja policije Robert Ferenc objasnio je na hitnoj sjednici Odbora za unutarnje poslove, državnu upravu i lokalnu samoupravu da se nakon ulaska Hrvatske u šengenski prostor migracije više odvijaju kroz tzv. zelenu granicu nego raznim cestovnim i željezničkim pravcima.

    Zbog toga je policija pojačala prisutnost i počela provoditi mješovite ophodnje sa svim policijama država s kojima Slovenija graniči. Glavni ravnatelj policije Senad Jušić pozvao je hrvatskog kolegu da pojača mješovite ophodnje na području Policijske postaje Brežice.

    Načelnik Općine Brežice Ivan Molan rekao je da je ministar unutarnjih poslova Boštjan Poklukar tijekom posjeta Rigoncama obećao da će ovaj dio ograde biti posljednji koji će biti uklonjen.

    Mještane Rigonca, koji osjećaju izrazito pojačan pritisak ilegalnih prelazaka granice, opisao je kao vrlo tolerantne prema izbjeglicama te, prema njegovim riječima, zbog toga nije bilo sukoba između te dvije skupine. Prema riječima Anje Bah Žibert (SDS), u rujnu je granicu prešlo 6200 migranata u naselju s oko 180 stanovnika.

    https://www.index.hr/vijesti/clanak/slovenci-objavili-na-kojem-granicnom-prijelazu-s-hrvatskom-ulazi-najvise-migranata/2498944.aspx

    Google translation:
    Slovenians announced where the worst situation is on the border. “We use cavalry, helicopters”

    SLOVENIA introduces increased border controls with Croatia. Immediately after the border crossings, the Slovenian police set up checkpoints where they can stop vehicles.

    The 24ur portal states that the following places are involved: near the railway overpass in the town of Rigonce near the Harmica crossing, at the Trnovec point near Metlika, Obrežje near Kalin, but also on the border with Italy - in the towns of Rakitovec, Podgorje and Sočerga in the area of ​​PU Koper. Behind the Obrežje border crossing, the largest road crossing between Croatia and Slovenia, the police organized surveillance.

    According to the Slovenian media, after Croatia’s entry into Schengen at the beginning of the year, the number of migrants who illegally come to Slovenia via the Western Balkans route, including via Bosnia and Herzegovina, has increased significantly. From the beginning of the year to the end of August, the Slovenian police processed 36,137 illegal border crossings between Slovenia and Croatia. In the same period last year, 13,601 unauthorized entries were processed.

    The police note that even before Croatia’s entry into the Schengen area, there was a redirection of migration flows from the area of ​​Bela Krajina to the area of ​​Posavija. One of the reasons is that more and more migrants in Croatia express their intention to seek asylum, so they are brought to asylum centers in the Zagreb area, which is geographically very close to Posavije, said Bojan Tomc, head of the Department for State Borders and Foreigners, explained a few days ago from the Police Administration (PU) Novo mesto.

    And while the Slovenian government of Robert Golob insists on a coalition commitment to remove the fence on the border, the border municipalities say that the Schengen system in Croatia is clearly not working. There are calls from the locals to increase police surveillance and to stop removing the border fence.
    Slovenians announced where the worst situation is

    According to the Slovenian media, it is currently worst in the area west of Samobor (Bregan-Obrežje) and especially Zaprešić. On the Croatian side of the border, west of Zaprešić, is Šenkovec, and on the Slovenian side is Rigonce, which Slovenians say is the most affected by migration.

    The entire area from Obrežje to Rigonce belongs to the Slovenian region of Posavje, where the settlements of Rigonce, Dobova (it is located below Rigonce) and Obrežje are the most affected. According to the director of PU Novo mesto Igor Juršič, the police in Rigonci, where it is most critical - currently recording 120 to 200 migrants per day - has strengthened control with patrols and technical means. Among other things, they try to intercept migrants as close to the border as possible so that they do not enter settlements and cause discomfort among the locals. They use cavalry, service dog handlers and a helicopter on a daily basis. They cooperate with the Croatian police, with whom they have regular meetings, and jointly monitor the area on both sides of the border in mixed patrols.

    This year, 32,500 foreigners who illegally crossed the state border were processed in the territory of the Novo mesto PU. In the same period last year, there were about 5,000 such crossings. Only in Rigonci this year, 25,000 foreigners crossed the border illegally. Also, 177 foreigners, smugglers, who committed the crime of illegally crossing the state border were arrested. Last year, 31 were arrested in the same period.
    “The locals are very tolerant”

    As reported by STA, Deputy Director General of Police Robert Ferenc explained at the emergency meeting of the Committee for Internal Affairs, State Administration and Local Self-Government that after Croatia’s entry into the Schengen area, migration is taking place more through the so-called the green border but by various road and rail routes.

    Because of this, the police increased their presence and began conducting joint patrols with all the police of the countries with which Slovenia borders. Chief Police Director Senad Jušić called on his Croatian colleague to step up mixed patrols in the area of ​​the Brežice Police Station.

    The head of the municipality of Brežice, Ivan Molan, said that the Minister of the Interior, Boštjan Poklukar, promised during his visit to Rigonci that this part of the fence would be the last to be removed.

    He described the locals of Rigonc, who feel the extremely increased pressure of illegal border crossings, as very tolerant towards refugees and, according to him, because of this, there were no conflicts between the two groups. According to Anja Bah Žibert (SDS), in September, 6,200 migrants crossed the border in a settlement with about 180 inhabitants.

    #migrations #asile #réfugiés #frontières #contrôles_frontaliers #Slovénie #Croatie #militarisation_des_frontières #Rigonice #Harmica
    #Trnovec #Metlika #Obrežje #Kalin #Rakitovec #Podgorje #Sočerga
    #Italie #Schengen #Posavja #Zaprešić #Šenkovec

    via @erim

  • Oltre le sigle, la detenzione amministrativa si diffonde nelle procedure in frontiera e cancella il diritto di asilo ed i diritti di difesa

    1.Malgrado le pause indotte dal maltempo, continuano, e continueranno, gli arrivi dalla Tunisia e dalla Libia, e si avvicina il collasso del sistema di accoglienza già minato dai decreti sicurezza di Salvini e dal Decreto “Cutro” (legge n.50/2023). Il governo Meloni con un ennesimo decreto sicurezza, ma se ne attende un’altro per colpire i minori stranieri non accompagnati,” al fine di rendere più veloci i rimpatri”, cerca di raddoppiare i CPR e di creare di nuovi centri di detenzione amministrativa vicino ai luoghi di frontiera, meglio in località isolate, per le procedure accelerate destinate ai richiedenti asilo provenienti da paesi di origine “sicuri”. La legge 50 del 2023 (già definita impropriamente “Decreto Cutro”) prevede che il richiedente asilo, qualora sia proveniente da un Paese di origine sicuro, e sia entrato irregolarmente, possa essere trattenuto per 30 giorni, durante la procedura accelerata di esame della domanda di asilo presentata alla frontiera, al solo scopo di accertare il diritto ad entrare nel territorio dello Stato.

    Sul concetto di paese terzo “sicuro” non c’è ancora un accordo a livello europeo. Le conclusioni del Consiglio dei ministri dell’interno dell’Unione Europea riuniti a Lussembugo lo scorso 8 giugno sono state propagandate come una vittoria della linea tenuta dal governo Meloni proprio su questo punto, ma le previsioni della legge 50/2023, in materia di trattenimento ed espulsioni, non hanno ottenuto quella “copertura europea” che il governo italiano sperava. Per questo motivo sulle “scelte detentive” più recenti del governo Meloni con riferimento ai richiedenti asilo potrebbe intervenire prima la Commissione europea e poi la Corte di giustizia dell’Unione europea. Come sta già avvenendo per la previsione “manifesto”, di dubbia applicabilità, della garanzia finanziaria introdotta dalla legge 50 del 2023 e specificata dal Decreto legge 19 settembre 2023, n. 124, contenente Disposizioni urgenti in materia di politiche di coesione, per il rilancio dell’economia nelle aree del Mezzogiorno del Paese, nonche’ in materia di immigrazione. Una garanzia finanziaria che assieme ad altri requisiti, come la disponibilità di alloggio e documenti validi, potrebbe evitare il trattenimento amministrativo dei richiedenti asilo provenienti da paesi di origine sicuri. Secondo Amnesty International,“Si tratta di un provvedimento illegale. Non è pensabile che persone in fuga dal proprio paese possano disporre in Italia di un alloggio o di un conto in banca e quindi attivare una polizza fideiussoria. Subordinare la libertà delle persone richiedenti asilo a condizioni di fatto impraticabili configura una misura per porre coloro che arrivano in Italia automaticamente in detenzione. La detenzione automatica è arbitraria e vietata dal diritto internazionale”.

    Dunque, ciascun caso dovrà essere esaminato singolarmente, come adesso precisa la Commissione europea sull’ultimo “escamotage propagandistico” inventato dal Governo Meloni, la garanzia finanziaria che dovrebbero prestare (attraverso fideiussione) i richiedenti asilo provenienti da paesi di origine sicuri., Come se riuscissero ad avere immediatamente, subito dopo lo sbarco, la disponibilità finanziaria e i documenti di identità necessari per stipulare il contratto di fideiussione, Una norma manifesto, odiosa ma inapplicabile, dietro la quale si nascondono procedure accelerate che abbattono il diritto di asilo e rendono solo cartacee le garanzie di difesa, anche per il ricorso generalizzato alle videoconferenze, e per le difficoltà per i difensori, che vogliano davvero assolvere al loro ruolo, di ottenere tempestivamente la documentazione relativa al richiedente asilo che devono assistere in sede di convalida o per un ricorso contro la decisione di rigetto della domanda.

    2. Di fronte al fallimento delle politiche migratorie del governo Meloni, dopo l’annuncio, da parte dell’ennesimo Commissario all’emergenza, di un piano nazionale per la detenzione amministrativa, al fine di applicare “procedure accelerate in frontiera” in centri chiusi, dei richiedenti asilo, se provengono da paesi di origine definiti “sicuri”. si richiamano una serie di decreti ministeriali che hanno formato una apposita lista che non tiene conto della situazione attuale in gran parte dell’Africa, soprattutto nella fascia subsahariana, dopo lo scoppio della guerra civile in Sudan e il rovesciamento in Niger del governo sostenuto dai paesi occidentali. Non si hanno ancora notizie certe, invece, dei nuovi centri per i rimpatri (CPR) che si era annunciato sarebbero stati attivati in ogni regione italiana. Le resistenze delle amministrazioni locali, anche di destra, hanno evidentemente rallentato questo progetto dai costi enormi, per l’impianto e la gestione.

    I rimpatri con accompagnamento forzato nei primi sette mesi dell’anno sono stati soltanto 2.561 (+28,05%) rispetto ai 2.000 dello scorso anno. Nulla rispetto ad oltre 100.000 arrivi ed a oltre 70.000 richieste di asilo, conteggiati proprio il 15 agosto, quando il Viminale dà i suoi numeri, esibendo quando conviene le percentuali e lasciando nell’ombra i dati assoluti. Ed oggi i numeri sono ancora più elevati, si tratta non solo di numeri ma di persone, uomini, donne e bambini lasciati allo sbando dopo lo sbarco, che cercano soltanto di lasciare il nostro paese prima possibile. Per questo il primo CPR targato Piantedosi che si aprirà a breve potrebbe essere ubicato a Ventimiglia, vicino al confine tra Italia e Francia, mentre Svizzera ed Austria hanno già annunciato un inasprimento dei controlli di frontiera.

    La prima struttura detentiva entrata in attività lo scorso primo settembre, per dare applicazione, ancora chiamata “sperimentazione”, alle procedure accelerate in frontiera previste dal Decreto “Cutro”, è ubicata nell’area industriale tra i comuni confinanti di Pozzallo e Modica. dove da anni esiste un centro Hotspot, nella zona portuale, che opera spesso in modalità di “centro chiuso”, nel quale già da tempo è stata periodicamente limitata la libertà personale degli “ospiti”. Si tratta di una nuova struttura da 84 posti nella quale vengono rinchiusi per un mese coloro che provengono da paesi di origine definiti “sicuri”, prima del diniego sulla richiesta di protezione che si dà come scontato e del successivo tentativo di rimpatrio con accompagnamento forzato, sempre che i paesi di origine accettino la riammissione dei loro cittadini giunti irregolarmente in Italia. Le informazioni provenienti da fonti ufficiali non dicono molto, ma la natura detentiva della struttura e i suoi costi sono facilmente reperibili on line.

    In Sicilia si prevede anche l’apertura di “strutture di transito”, già appaltate, come quella che dovrebbe sorgere a Porto Empedocle, dove l’area di transito, che verrà ulteriormente potenziata, resta provvisoria, fino a quando non verrà realizzato l’hotspot a valle di contrada Caos a Porto Empedocle che sarà, come quello di Lampedusa, gestito dalla Croce Rossa. Altre “sezioni chiuse” per richiedenti asilo provenienti da paesi ritenuti “sicuri”, per cui si prevede un rimpatrio “veloce” potrebbero essere attivate nei centri Hotspot di Pozzallo e Lampedusa. Mentre i richiedenti asilo provenienti da paesi di origine “sicuri,” in caso di arrivi massicci e di indisponibilità di posti negli Hotspot, potrebbero finire anche nei centri di permanenza per i rimpatri, come i famigerati lager di Pian del Lago (Caltanissetta) e di Trapani (MIlo), da anni spazi di trattamenti disumani, di tentativi di fuga e di abusi sulle persone trattenute. Se non si tratta di annientamento fisico (Vernichtung), ma ci sono stati anche i morti, si può documentare in molti casi l’annientamento psichico degli “ospiti”, che dopo il diniego, in caso di mancato rimpatrio, potrebbero passare mesi su mesi rinchiusi in queste strutture, magari sotto psicofarmaci, come coloro che sono sottoposti al rimpatrio con accompagnamento forzato, tra i richiedenti asilo denegati che non abbiano fatto ricorso con effetto sospensivo o lo abbiano visto respingere.

    La normativa europea impone invece il rilascio delle persone trattenute nei centri di detenzione quando è evidente che non ci sono più prospettive di rimpatrio forzato nel paese di origine (Direttiva rimpatri 2008/115/CE, art.15.4), per la mancata collaborazione degli Stati di origine che non effettuano i riconoscimenti e non forniscono i documenti di viaggio.

    Altri “centri chiusi” potrebbero essere attivati a Messina (probabilmente nei locali del Centro di accoglienza ubicato all’interno della vecchia e fatiscente Caserma Gasparro) fantasiosamente denominato “CIPSI”, Centro di primo soccorso ed identificazione, ed a Catania, dove si sono recentemente sperimentate diverse strutture provvisorie, “tensostrutture”, nelle quali i potenziali richiedenti asilo, che diventano tali con la semplice manifestazione di volontà, anche prima della formalizzazione della domanda da parte delle autorità di polizia, sono stati trattenuti per giorni in condizioni di totale privazione della libertà personale, in assenza di convalida giurisdizionale.

    3. Il fallimento del sistema italiano dei centri di detenzione amministrativa è ormai documentato da anni, e sarà ancora più evidente con l’aumento dei termini di trattenimento fino a 18 mesi (12 per i richiedenti asilo).

    Con riguardo ai nuovi centri di detenzione per richiedenti asilo provenienti da paesi di origine “sicuri” non sembra eludibile una rigorosa verifica della legittimità del trattenimento in sede di convalida del giudice ordinario, e non del giudice di pace, come invece sembrerebbe prevedere la legge 50/2023 (ingiustamente definita ancora oggi “Decreto Cutro), trattandosi di richiedenti asilo che chiedono di fare valere un loro diritto fondamentale, e deve essere prevista una completa base legale con la indicazione precisa delle modalità di trattenimento -che ancora manca- conformi alla normativa europea (Direttiva procedure 2013/32/UE e Direttiva Accoglienza 2013/33/UE). Rimane a tale riguardo una grave violazione del principio di legalità in materia di misure detentive, che la Corte Costituzionale non ha ancora rilevato.

    In ogni caso il trattenimento amministrativo non può essere finalizzato esclusivamente al’esame della domanda di protezione, o per accertare il diritto all’ingresso nel territorio, come sembrerebbe affermare la legge 50/2023, perchè proprio nelle circostanze di limitazione della libertà personale che si riscontrano nei centri “chiusi” risulta più difficile avere contatti con organizzazioni che difendono i diritti umani e raccogliere prove per dimostrare la fondatezza della propria richiesta. Dal tenore della legge sembrerebbe che le strutture detentive riservate ai richiedenti asilo provenienti da paesi di origine ritenuti “sicuri” siano strutture extra-territoriali, come se le persone trattenute non avessero ancora fatto ingresso nel territorio nazionale, circostanza che legittimerebbe l’aggiramento dei principi costituzionali e delle Convenzioni internazionali. Si tratta invece di luoghi che non possono sottrarsi alla giurisdizione italiana, unionale e internazionale dove i diritti e le garanzie non possono essere riconosciuti solo sul piano formale per venire poi negati nelle prassi applicate dalle autorità di polizia. Dunque è il tempo delle denunce e dei ricorsi, mentre l’opinione pubblica sembra ancora rimanere ostaggio delle politiche della paura e dell’odio. Fondamentale l’accesso civico agli atti e la possibilità di ingresso di giornalisti ed operatori umanitari indipendenti, se occorre con gruppi di parlamentari, in tutti i centri in cui si pratica la detenzione amministrativa.

    4. Vanno comunque garantiti diritti di informazione ed accesso alle procedure ordinarie, e quindi nel sistema di centri aperti di accoglienza (CAS, SAI, CPSA) per tutti i richiedenti asilo che adducano a supporto della domanda gravi motivi di carattere personale, pure se provengono da paesi terzi ritenuti sicuri.

    L’ACNUR dopo una generale considerazione positiva delle procedure accelerate in frontiera, soprattuto nei casi in cui appare maggiormente probabile l’esito positivo della domanda di protezione, “Raccomanda, tuttavia, di incanalare in procedura di frontiera (con trattenimento) solo le domande di protezione internazionale che, in una fase iniziale di raccolta delle informazioni e registrazione, appaiano manifestamente infondate.
    In particolare, la domanda proposta dal richiedente proveniente da un Paese di origine sicuro non deve essere incanalata in tale iter quando lo stesso abbia invocato gravi motivi per ritenere che, nelle sue specifiche circostanze, il Paese non sia sicuro. Si sottolinea, a tal fine, la centralità di una fase iniziale di screening, volta a far emergere elementi utili alla categorizzazione delle domande (triaging) e alla conseguente individuazione della procedura più appropriata per ciascun caso”.

    I piani sui rimpatri “veloci” del governo Meloni non sono dunque applicabili su vasta scala, presentano caratteri fortemente discriminatori, ed avranno costi umani ed economici insostenibili. Se si spera negli accordi bilaterali e nel sostegno di Frontex, si dovrà comunque fare i conti con i ricorsi ai Tribunali in Italia ed in Europa, e con un ulteriore aggravamento delle crisi di legittimazione dei governi africani che accettano lo scambio della propria gente con una manciata di denaro.

    Una particolare attenzione dovrà rivolgersi alle persone vulnerabili per età, salute, genere e orientamento sessuale, ma anche per le ferite o per le torture subite durante il transito in Libia o in Tunisia. Una serie di condizioni che potrebbero di per sè legittimare il riconoscimento di uno status di protezione, a prescindere del paese di origine dal quale si è partiti.

    In ogni caso, dopo le decisioni di diniego da parte delle Commissioni territoriali, che potrebbero essere orientate da indirizzi politici, dovranno garantirsi tempi di esecuzione delle misure di allontanamento forzato che non cancellino la portata sostanziale del diritto al ricorso.

    Gli accordi bilaterali, come quelli con l’Egitto e la Tunisia, che prevedono procedure “semplificate”di rimpatrio, magari in aeroporto, senza la compiuta identificazione individuale,e senza un diritto effettivo di ricorso, vanno sospesi.

    Il provvedimento giudiziale che convalida la proroga del trattenimento deve contenere l’accertamento della sussistenza delle ragioni addotte a sostegno della richiesta (Cass. n. 5200/2023). Non si può continuare oltre con le decisioni di rigetto”fotocopia” o con le espulsioni ed i respingimenti con accompagnamento forzato adottati prima della convalida giurisdizionale. I termini di trattenimento amministrativo in assenza di una convalida giurisdizionale sono inderogabili. Come si rilevava al tempo dei centri di prima accoglienza e soccorso (CPSA) e dei Centri Hotspot, lo stesso vale oggi per i “centri di transito” e per i centri per richiedenti asilo provenienti da paesi di origine ritenuti “sicuri”, nelle more delle procedure accelerate in frontiera.

    Occorre ricordare che la Corte Europea dei diritti dell’Uomo, proprio con riferimento a cittadini tunisini, nel dicembre 2016, nel caso Khlaifia e altri c. Italia, e poi ancora quest’anno, nel caso J.A. c.Italia, ha condannato il nostro Paese per violazione, tra gli altri motivi, dell’articolo 5 della Convenzione per aver trattenuto per un periodo prolungato persone appena arrivate in Italia, senza una base legale e senza la possibilità di ricorso. Con riferimento alle nuove strutture detentive che il governo Meloni si accinge ad aprire, resta da verificare il rispetto dei principi affermati dalla Corte di Strasburgo e dei diritti fondamentali, a partire dal diritto di asilo costituzionale, sanciti dalla Costituzione italiana. Sarà anche l’occasione per verificare la legittimità costituzionale di molte disposizioni del decreto “Cutro” che, fin dalla entrata in vigore del provvedimento, hanno evidenziato sotto questo profilo gravi criticità, prima ancora che riuscissero ad avere concreta applicazione.

    https://www.a-dif.org/2023/09/26/oltre-le-sigle-la-detenzione-amministrativa-si-diffonde-nelle-procedure-in-fr

    #rétention #détention_administrative #frontières #migrations #asile #réfugiés #CPR #Italie #procédures_accélérées #pays_sûrs #pays_d'origine_sûrs #decret_Cutro #decreto_Cutro #garantie_financière #5000_EUR #5000_euros #decreto_Sud #Modica #Sicile #Porto_Empedocle #Messina #centres_fermés

    • Turning the Exception into the Rule

      Assessing Italy’s New Border Procedure

      Having promised its electorate a strong stance towards immigration, in January 2023 Italy’s new government adopted a reform that heavily curtailed immigrant rights to speed up return procedures. However, between September and October, several judgments issued by the Catania Tribunal declared it in violation of EU law (https://www.asgi.it/wp-content/uploads/2023/09/NON-CONVALIDA1.pdf). In particular, when requested to review the detention of asylum applicants, the judges found the new Italian asylum border procedure contrary to the Procedures Directive 2013/32 (https://eur-lex.europa.eu/legal-content/en/TXT/?uri=celex%3A32013L0032) and the Reception Conditions Directive 2013/33 (https://eur-lex.europa.eu/legal-content/EN/TXT/?uri=celex%3A32013L0033).

      The judgments led to a backlash, with PM Meloni and other members of the government accusing them of being politically motivated. One minister even published a video on social media showing a judge of the Catania Tribunal taking part in a pro-migrant rights demonstration in 2018, thus accusing her of partiality.

      Such political attacks (https://www.associazionemagistrati.it/doc/4037/lanm-sul-caso-catania.htm) must always be condemned, for they pose a significant threat to judicial independence and thus Italian democracy. Yet, they are particularly unwarranted given that the Catania Tribunal’s judges were correct in finding the new Italian border procedures incompatible with EU law.

      Detention as the Rule for Asylum Seekers

      The 2023 reform (https://www.normattiva.it/atto/caricaDettaglioAtto?atto.dataPubblicazioneGazzetta=2023-03-10&atto.codice) of Italy’s asylum system included the introduction of an accelerated border procedure which allows for the detention (https://www.questionegiustizia.it/articolo/la-bestia-tentacolare) of asylum seekers „exclusively to determine the applicant’s right to enter the territory“ (Art. 6 bis, Law Decree 142/2015).

      This new procedure is applied when an asylum application is made „at the border or in a transit zone“ by a person who either a) evaded or attempted to evade border controls, or b) hails from a safe country of origin, which were determined by a Ministerial Decree in 2019 (https://www.esteri.it/mae/resource/doc/2019/10/decreto_paesi_sicuri.pdf), later updated in 2023 (https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2023/03/25/23A01952/sg).

      Another Ministerial Decree (https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2019/09/07/19A05525/sg) identified the „border and transit zones“ where the border procedure can be used, without providing a clear definition of these concepts nor explaining the distinction between them. Instead, it lists 16 provinces where the procedure applies (Trieste, Gorizia, Cosenza, Matera, Taranto, Lecce, Brindisi, Caltanissetta, Ragusa, Syracuse, Catania, Messina, Trapani, Agrigento, Cagliari, and South Sardinia).

      Finally, the law specifies that asylum seekers are to be detained unless they submit a passport (or equivalent document) or provide a financial guarantee of € 4,938.00 (https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2023/09/21/23A05308/sg). This amount was allegedly calculated with reference to the cost of suitable accommodation, repatriation, and minimum means of subsistence. The sum can be provided through a bank guarantee or an insurance policy, but solely by the asylum seekers themselves, not by third parties.

      [voir aussi: https://seenthis.net/messages/1018093]

      Following a recent increase in migrant flows from Tunisia, the Italian authorities extensively relied on the new border procedure to detain several Tunisian citizens on the ground that they come from a “safe country of origin” (https://www.questionegiustizia.it/rivista/articolo/la-protezione-dei-cittadini-stranieri-provenienti-da-cd-paesi-sic). However, on September 29 (https://www.asgi.it/wp-content/uploads/2023/09/NON-CONVALIDA1.pdf) and October 8 (https://www.questionegiustizia.it/data/doc/3650/2023-tribunale-catania-8-10-2023-non-convalida-oscurato.pdf), the Catania Tribunal issued a series of similar rulings in which it annulled the detention orders because they were in conflict with EU law. In the following sections, we analyze and expand the three main arguments advanced by the Tribunal, showing that they were largely correct in their findings that the new Italian border procedure exceeds what is permissible under EU law.

      The ‘Border’ under EU Law

      The first argument made by the Catania Tribunal regards the correct initiation of a border procedure. According to the judge, the procedure was not applied „at the border“, as understood by EU law (Art. 43 Directive 2013/32). Indeed, the applicants arrived and made their asylum application in Lampedusa (province of Agrigento) but the detention was ordered several days later in Pozzallo (Ragusa province) when the applicants were no longer „at the border.“ Because the border procedure (involving detention) was utilized at a later stage and in a different place, it was not appropriately initiated.

      In support of the Catania Tribunal’s conclusion, we should recall that Article 43 the Procedures Directive requires a spatial and temporal link between the border crossing and the activation of the border procedure (https://eur-lex.europa.eu/legal-content/en/TXT/?uri=celex%3A32013L0032). Although the Directive does not define the terms „border“ or „transit zone“, it clearly distinguishes these areas from other „locations in the proximity of the border or transit zone“ (Article 43(3)), where applicants can be exceptionally accommodated but never detained. The distinction between the border and other places in its vicinity suggests that the procedure provided for in Art. 43 can only be applied in narrow and well-defined areas or in pre-identified transit zones (such as the Hungarian transit zones examined by the Court in FMS and Commission v Hungary).

      Other EU law instruments support this narrow interpretation of the “border” concept. Regulation 1931/2006 defines a „border area“ as a delimited space within 30 km from the Member State’s border. In the Affum case, the Court also called for a narrow interpretation of the spatial concept of „border.“ There, the Court clarified that the Return Directive allows Member States to apply a simplified return procedure at their external borders in order to „ensure that third-country nationals do not enter [their] territory“ (a purpose which resonates with that of Art. 8(3)(c) Reception Directive). However, such a procedure can only be applied if there is a „direct temporal and spatial link with the crossing of the border“, i.e. „at the time of the irregular crossing of the border or near that border after it has been crossed“ (par. 72).

      By contrast, under the Italian accelerated procedure, the border has blurred contours. The new procedure, relying on the “#fiction_of_non-entry” (https://www.europarl.europa.eu/RegData/etudes/STUD/2020/654201/EPRS_STU(2020)654201_EN.pdf), can be carried out not only „at“ the border and in transit zones or in areas territorially „close“ to the border, but in entire provinces in southern and northern Italy. This far exceeds the narrow definition of border or border area derived from EU law.

      The Regulation of Detention under EU Law

      The second argument of the Catania Tribunal turned on the lack of motivation for the detention orders. The applicants were detained solely because they were from Tunisia, did not submit a valid passport nor pay the bail. As such, the orders lacked any case-by-case assessment of the applicant’s individual circumstances, and they did not apply the proportionality and necessity principles, as prescribed by EU law under art. 8(2) Directive 2013/33 and art. 52 and 6 of the Charter.

      Indeed, even if a border procedure is correctly initiated, Italy’s new provisions on the detention of asylum seekers do not meet the requirements of Article 8(2) of the Reception Directive. According to the CJEU, this authorizes asylum seekers‘ detention “only where, following an assessment carried out on a case-by-case basis, that is necessary” and where other less coercive measures cannot be applied effectively. (ex multis, FMS, par. 258; VL, par. 102; M.A., par. 82).

      Italy’s norms contain no reference to the principles of necessity and proportionality nor to the need for a case-by-case assessment (Art. 6 bis D. Lgs. 142/2015). In so far as the Italian provisions allow for an automatic application of detention whenever the border procedure is activated, they are incompatible with Art. 8(2) of the Reception Directive. In light of the primacy and direct effect of EU law, Italian public authorities are required to give direct application to the principles of proportionality and necessity and to carry out an individual assessment, even if not directly foreseen by Italian law.
      The Possibility of Bail

      Finally, the Catania Tribunal argued that the financial guarantee to avoid detention is contrary to EU law. The Tribunal observed that the guarantee is not used as an alternative measure to detention, but rather as an ‚administrative requirement‘ that, if not complied with, leads to detention. According to the judge, this renders it incompatible with Articles 8 and 9 of the Reception Directive 2013/33 which “preclude[s] an applicant for international protection being placed in detention on the sole ground that he or she is unable to provide for his or her needs.”(at 256).

      As rightly noted by Savino, EU law does not prohibit the use of financial guarantees; to the contrary, Article 8(4) mentions it as a legitimate alternative to detention. However, both scholars and the European Asylum Agency maintain that the guarantee shall be proportionate to the means of the applicant in order to avoid discriminatory effects. The EUAA Guidelines on asylum seeker detention further specify that:

      “the amount should be tailored to individual circumstances, and therefore be reasonable given the particular situation of asylum seekers, and not so high as to lead to discrimination against persons with limited funds. Any failure to be able to do so resulting in detention (or its continuation), would suggest that the system is arbitrary.”

      It is doubtful whether the financial guarantee in its current legal design can be considered an “effective” alternative to detention (Art.8(4)). Its high amount (€4,938.00) and procedural requirements make it practically impossible for asylum applicants to rely upon it. In particular, they are required to deposit the sum upon arrival, through a bank guarantee or an insurance policy, which are concretely impossible for them to obtain. Moreover, the financial guarantee is the only alternative to detention provided by the new Italian law, while migrants detained under other circumstances can rely upon more alternative measures.

      Taken together, it means that the measure is designed in a discriminatory way and is neither effective nor proportionate.

      Concluding Thoughts

      Several aspects of the new law foresee a system in which the border procedure is systematically applied, rendering detention the rule, instead of the exception. This follows from the geographic expansion of the “borders areas and transit zones”, the automatic (indiscriminate) application of the safe country of origin concept, the lack of a proportionality assessment, and the practical impossibility of applying the only alternative measure foreseen.

      More and more Italian courts are annulling detention orders, on the grounds that the Italian border procedure is in conflict with EU law. While the Italian government considers this an unacceptable form of judicial activism, this blog has shown that the judges’ concerns are well-founded.

      Member States’ courts are “EU law judges”, they must give precedence to EU law and general principles and set aside any incompatible national law. The recent personal attacks against some of the judges show that the government struggles to come to terms with this thick form of judicial review which takes seriously European and human rights standards.

      https://verfassungsblog.de/turning-the-exception-into-the-rule
      #exception #justice #détention #rétention #détention_administrative #décret #procédure_accélérée #garantie_financière #5000_EUR #chantage #caution #decreto_Cutro #décret_Cutro #5000_euros #tribunal_de_Catane #procédure_frontière #directive_procédures #zone_de_transit #proximité #distance #zone_frontalière #directive_retour #frontière_extérieure #fiction_de_non-entrée

      –-

      La partie sur les frontières ajouté à cette métaliste autour de la Création de zones frontalières (au lieu de lignes de frontière) en vue de refoulements :
      https://seenthis.net/messages/795053

  • Ah ! Ça INRA, ça INRA … !
    https://infokiosques.net/spip.php?article2031

    De la création du maïs hybride au décollage des premiers drones de surveillance des cultures, l’Institut national de recherche agronomique est au cœur de l’uniformisation du vivant et de l’industrialisation de l’agriculture. Histoire d’une institution qui #A sacrifié les paysans à l’agronomie moderne. Texte publié en 2015 dans le n°9 de la revue Z « Toulouse, San Francisco, Bangalore » A

    / #Environnement, Luttes paysannes, ruralité, #Sciences_et_technologies, Z (France)

    #Luttes_paysannes,_ruralité #Z_France_
    https://infokiosques.net/IMG/pdf/inra-20p-a5-page-par-page_cleaned.pdf
    https://infokiosques.net/IMG/pdf/inra-20p-a5-cahier_cleaned.pdf

  • En occasion de la journée mondiale de la paix, une #commémoration a eu lieu à #Zagreb, le 23.09.2023. J’y étais et ai pris quelques photos...

    La commémoration a eu lieu dans le parc mémoriel de #Dotrščina

    L’installation artistique qui a été conçue par l’occasion :


    #crayon #papier #gomme

    –-

    –—
    Des images du parc mémoriel, qui n’a jamais été terminé, car avant la fin c’était aussi la fin de la Yougoslavie...


    –-> cette pierre mémorielle est une réplique de l’originale, inaugurée il y a peu après qu’elle ait été détruite dans les années 1990

    Mais des images du projets dans le spomenik database :


    https://www.spomenikdatabase.org/dotrscina

    #Dotrscina #spomenik #mémoriel #mémoire #Croatie
    ping @reka

  • Marion Maréchal en (publi)reportage à Lampedusa pour BFMTV - Par Pauline Bock | Arrêt sur images
    https://www.arretsurimages.net/chroniques/sur-le-grill/marion-marechal-en-publi-reportage-a-lampedusa-pour-bfmtv
    https://api.arretsurimages.net/api/public/media/marion-marechal-en-tenue-de-tintin-reporter-a-lampedusa/action/show?format=public&t=2023-09-15T18:03:39+02:00

    « Rendez-vous sur BFMTV où je suis en duplex depuis Lampedusa. » Ce n’est pas une reporter de la chaîne d’info qui tweete ce message (supprimé quelques heures plus tard sans explication, ndlr). Mais Marion Maréchal, personnalité politique d’extrême droite, vice-présidente du parti Reconquête d’Éric Zemmour, dont elle est tête de liste pour les élections européennes. La nièce de Marine Le Pen pose en photo : on la voit se tenir debout, face à une caméra, dans le port de #Lampedusa, habillée d’un pantalon beige et d’une chemise blanche. Si l’on ne connaît pas son visage, on la croirait journaliste en reportage, envoyée spéciale sur place par la chaîne de télévision : elle tient un micro à la bonnette bleue estampillée BFMTV et regarde droit vers l’objectif.

    #BFNTV #sans_vergogne

  • qcq Zinothèque 14
    https://infokiosques.net/spip.php?article2037

    La #Zinothèque_14 (Z14, Zino14) est une zinothèque itinérante qui se déplace d’évènements militants en lieux co au gré de nos périgrinations, nos contacts et les propositions que l’on reçoit de l’accueillir. Elle est basée sur Toulouse, France actuellement. La zinothèque 14, c’est un large panel de brochure A5 à consulter sur place et à emporter, sur des thématiques principalement liées aux oppressions systémiques (racisme, spécisme, validisme, queerphobie, sexisme, toxicophobie, grossophobie, psychophobie, (...) Zinothèque 14

  • [The Locomotion] #edi_pou (Za!, #los_sara_fontan)
    https://www.radiopanik.org/emissions/the-locomotion/edi-pou-za-los-sara-fontan

    Pour le premier épisode de cette deuxième saison de The Locomotion, on sort une #interview très spéciale enregistrée il y a plusieurs mois à #barcelone, pendant qu’on était en train de crapahuter au festival Primavera Sound. Dans une troquet de quartier, autour d’une cerveza fraiche et un ramequin d’olives, non loin de son studio de répétition, on avait rencontré Edi Pou, moitié des duos Za ! et los Sara Fontan.

    Za ! est un groupe de rock psychédélique qui a vite évolué dans quelque chose de plus improvisationel. Los Sara Fontan est un duo expérimental batterie-violon, qui tourne également en version plus étendue avec Cocanha et #tarta_relena, qu’on avait déjà interviewées pour le tout premier épisode de The Locomotion.

    Au moment de l’interview, Edi nous a surtout parlé d’un de ses derniers projets en date : (...)

    #za! #interview,barcelone,tarta_relena,za!,edi_pou,los_sara_fontan
    https://www.radiopanik.org/media/sounds/the-locomotion/edi-pou-za-los-sara-fontan_16447__1.mp3

  • [The Locomotion] Agenda du 14 septembre - #edi_pou (Za !, #los_sara_fontan)
    https://www.radiopanik.org/emissions/the-locomotion/edi-pou-za-los-sara-fontan/#16448

    Agenda du 14 septembre

    Pour le premier épisode de cette deuxième saison de The Locomotion, on sort une #interview très spéciale enregistrée il y a plusieurs mois à #barcelone, pendant qu’on était en train de crapahuter au festival Primavera Sound. Dans une troquet de quartier, autour d’une cerveza fraiche et un ramequin d’olives, non loin de son studio de répétition, on avait rencontré Edi Pou, moitié des duos Za ! et los Sara Fontan.

    Za ! est un groupe de rock psychédélique qui a vite évolué dans quelque chose de plus improvisationel. Los Sara Fontan est un duo expérimental batterie-violon, qui tourne également en version plus étendue avec Cocanha et #tarta_relena, qu’on avait déjà interviewées pour le tout premier épisode de The Locomotion.

    Au moment de l’interview, Edi nous a surtout parlé (...)

    #za ! #interview,barcelone,tarta_relena,za !,edi_pou,los_sara_fontan
    https://www.radiopanik.org/media/sounds/the-locomotion/edi-pou-za-los-sara-fontan_16448__0.mp3

  • [The Locomotion] #edi_pou parle de la langue phénicienne - Edi Pou (Za !, #los_sara_fontan)
    https://www.radiopanik.org/emissions/the-locomotion/edi-pou-za-los-sara-fontan/#16449

    Edi Pou parle de la langue phénicienne

    Pour le premier épisode de cette deuxième saison de The Locomotion, on sort une #interview très spéciale enregistrée il y a plusieurs mois à #barcelone, pendant qu’on était en train de crapahuter au festival Primavera Sound. Dans une troquet de quartier, autour d’une cerveza fraiche et un ramequin d’olives, non loin de son studio de répétition, on avait rencontré Edi Pou, moitié des duos Za ! et los Sara Fontan.

    Za ! est un groupe de rock psychédélique qui a vite évolué dans quelque chose de plus improvisationel. Los Sara Fontan est un duo expérimental batterie-violon, qui tourne également en version plus étendue avec Cocanha et #tarta_relena, qu’on avait déjà interviewées pour le tout premier épisode de The Locomotion.

    Au moment de l’interview, Edi nous (...)

    #za ! #interview,barcelone,tarta_relena,za !,edi_pou,los_sara_fontan
    https://www.radiopanik.org/media/sounds/the-locomotion/edi-pou-za-los-sara-fontan_16449__0.mp3

  • Uber ist die Plattform für organisierte Schwarzarbeit
    https://www.taxi-times.com/uber-ist-die-plattform-fuer-organisierte-schwarzarbeit

    Die Beiträge aus ARD und RBB Fernsehen, über die Axel Rühle berichtet, sind bald einen Monat alt. Sie beschreiben den Teil der organisierten Kriminalität, der alle Berlinerinnen und Berliner direkt angeht. Tut sich was seitdem?

    Von Seiten der verantwortlichen Behörden passiert, was immer passiert, wenn unserer Freunde aus Übersee (Sie erinnern sich, Merkels Telefon ... Ausspähen unter Freunden geht gar nicht ) ins Spiel kommen.
    https://www.dw.com/de/merkel-aussp%C3%A4hen-unter-freunden-das-geht-gar-nicht/a-37580819

    Es passiert genau nullkommanix.
    So it goes.

    20.000 Berliner Uber- und Taxifahrer erhalten weiterhin keinen Mindestlohn und alle Fahrer, die es können, machen aus der Not eine Untugend und zocken gemeinsam mit ihren Bossen das Jobcenter ab. Sie bleiben arm, die Bosse machen sich weiter die Taschen voll.

    Same procedure as last year, Mylady ?
    Same procedure as every year, James !

    Kriegt endlich den Arsch hoch, möchte man schreien, organisiert Euch, nehmt Eure Bosse in Beugehaft, macht irgendwas, aber lasst Euch nicht weiter wie dummes Vieh behandeln. Aber was rede ich. Das Prinzip Shock and Awe funktioniert, wo kaum einer sich entschließen kann, keine Angst zu haben und einfach das Richtige zu tun.

    Wo jeder an sich denkt, ist an alle gedacht. Den Blödsinn glauben alle. Und schon haben wir ein System : Jeder für sich und Gotte gegen alle. Da sieht dann der Mafiaboss auf einmal nur noch erfolgreich aus. Seine Gaunereien und Morde sind Details auf dem Weg zu Ruhm und Wohlstand, vernachlässigbar. Er selbst ein Idol. Seine Opfer schwächliche Looser. Die noch an Wettbewerb glauben. Zum Schießen.
    Geht sterben, empfiehlt man diesen Muselmännern in Wien. Berlin muckt auch nicht mehr auf. Licht aus, Messer raus war mal.

    Wollt ihr das wirklich ?

    https://www.youtube.com/watch?v=g-YUaszw4gs

    Nachsatz : Für alle, die den Witz nicht kapiert haben, bitte hier nachlesen : https://de.wikipedia.org/wiki/Muselmann_(KZ)

    17.8.2023 von Axel Rühle - „Das Uber-System: Mit der App in die Armut“. Unter diesem Titel hat das ARD-Politmagazin „Kontraste“ die kriminellen Machenschaften der Uber-Partner aufgedeckt.

    Für die einen sind sie Täter, die das Taxigewerbe täglich schädigen, indem sie illegal Taxi-ähnlichen Verkehr durchführen, was jedem von ihnen nur durch Hunderte von Rechtsverstößen jede Woche möglich ist. Nach Ansicht anderer sind sie „Opfer organisierter Schwarzarbeit“, denn „das Geschäft mit Uber-Fahrten rechnet sich nicht. Zumindest nicht für die Fahrer“. Letztere Sichtweise war der Blickwinkel der rbb-Reportage „Das Uber-System: Mit der App in die Armut“, die in der heutigen „Kontraste“-Sendung der ARD ausgestrahlt wurde und in der ARD-Mediathek nachgesehen werden kann.

    Nach Ansicht der Autorinnen sind Schwarzarbeit und Sozialleistungsbetrug die Folgen der schlechten Bezahlung der Uber-Fahrer.

    In der Reportage kommt ein Berliner Behördenmitarbeiter zu Wort, der das Kind beim Namen nennt: Oftmals sei „Organisierte Schwarzarbeit“ das Geschäfts-Modell von Mietwagenfirmen, die Fahrdienstleistungen mit Hilfe von Uber und anderen Plattformen anbieten, so Axel Osmenda. Er ist Fachgebietsleiter der Finanzkontrolle Schwarzarbeit beim Hauptzollamt Berlin. Seine Teams seien regelmäßig auf den Berliner Straßen unterwegs, um Mietwagen, die mit dem Etikett von Uber und Bolt fahren, zu kontrollieren. Im Nachgang vergleichen und überprüfen sie auch die Geschäftsunterlagen der betreffenden Mietwagen-Unternehmen.

    „Ich würde schon sagen“, so Osmendas Sichtweise, „dass man versucht, in großem Umfang Arbeitnehmer zu beschäftigen, und meldet die dann nicht zur Sozialversicherung an – teilweise organisiert, indem man bestimmte Firmen gründet, nur zu dem Zweck.“ Seine Behörde würde immer wieder auf dieselben Firmen und Personen stoßen. Wenn die Finanzkontrolleure des Zolls Indizien für Gesetzesverstöße sehen, schalten sie auch die Staatsanwaltschaft ein.

    Einer der „Betroffenen“, wie die Reportage ihn darstellt, wird Ahmed genannt. Der Fahrer ist wütend darüber, viele Jahre zu viel gearbeitet und zu wenig verdient zu haben. Sechs Tage pro Woche bis zu 10 Stunden am Tag sei er unterwegs. Trotzdem erhalte er nicht einmal den Mindestlohn. Wenn er krank sei, bekomme er kein Geld: „Mein Chef kündigt mir dann. Dann bin ich raus. Das gleiche gilt, wenn ich Urlaub mache.“ Er müsse außerdem einen Anteil seines Lohns zurückzahlen, wenn er nicht genug Einnahmen durch die Fahrten erziele, berichtet er. Sein Chef verlange darüber hinaus jeden Monat 300 Euro in bar von ihm. Die Summe werde angeblich für seine Sozialabgaben fällig, habe sein Chef ihm erzählt.

    Ein anderer Fahrer, der ebenfalls inkognito bleiben möchte und deshalb Yasin genannt wird, erzählt Ähnliches. Die Einnahmen wären so gering, sie würden nicht reichen, um davon leben zu können.
    Realität und Fiktion: Während Uber von einem Tagesverdienst von 340 € ausgeht, sieht die Realität der Fahrer anders aus: 200 € Tageseinnahmen reichen nicht aus, um den Fahrern Mindestlohn zahlen zu können.

    Seit Jahren steigt die Anzahl der Fahrzeuge von Mietwagenfirmen, die sich Fahrten von Uber oder Bolt vermitteln lassen, vor allem in großen Städten. Aus den Zahlen, die die Berliner Verwaltung monatlich veröffentlicht, geht hervor, dass Ende Juli 4.445 Mietwagen auf Berlins Straßen unterwegs waren. Auch den Autorinnen ist bekannt, dass der größte Teil davon über Apps wie Uber, Bolt oder Free Now gebucht werden kann.

    Die Konkurrenz werde also immer größer, wodurch die Preise sinken. Für Kundinnen und Kunden ist der Preiskampf, wie das rbb-Team zutreffend feststellt, scheinbar attraktive Bedingungen, doch langfristig können solche Unternehmen, deren Fahrten von Uber, Bolt und anderen vermittelt werden, wirtschaftlich wohl nicht überleben, sofern sie Löhne, Steuern und Sozialabgaben korrekt zahlen – ebenfalls eine seit Langem bekannte und durch Studien belegte Erkenntnis.

    Den „Kontraste“-Redakteuren und „rbb24-Recherche“ liegt ein Konzeptpapier für ein Gutachten vor. Die Auswertung von mehreren zehntausend Uber-Touren in Nordrhein-Westfalen legt dar, dass das Geschäft mit solchen Apps nicht dauerhaft wirtschaftlich betrieben werden könne – der x-te Beleg dafür, dass das Geschäftsmodell dieser Anbieter auf Rechtsverstößen basiert.

    Vertreter von Uber Deutschland widersprechen wieder einmal und legen eine „Beispielrechnung“ vor, nach der das Geschäft rund läuft, wenn 42,50 Euro je Stunde und 340 Euro am Tag eingenommen werden.

    Auch von Bolt wird die Tatsache, das Geschäft sei nicht kostendeckend zu betreiben, in der Reportage vorsichtig als „These“ bezeichnet, zurückgewiesen. Bei Bolt gehe man von durchschnittlichen Tageseinnahmen von 330 Euro aus. Beide Unternehmen kalkulieren dabei mit einer regelmäßigen Auslastung der Fahrzeuge von 50 Prozent und mehr, die Auslastung sei oft doppelt so hoch wie die konkurrierender Taxi-Unternehmen, argumentiert man bei Uber.

    Zu den berichteten Missständen behauptet Uber: „Die genannten Fälle sind uns nicht bekannt. (…) Für Uber hat gesetzeskonformes Handeln oberste Priorität.“ Die Partner seien auch vertraglich dazu verpflichtet worden, alle arbeitsrechtlichen Vorgaben einzuhalten. „Wenn sie sich nicht an die Regeln halten“, heißt es dazu weiter, „und wir davon Kenntnis erlangen, ziehen wir entsprechende Konsequenzen, bis hin zu einer Sperrung auf unserer Plattform.“

    Auch Thomas Mohnke, Generalunternehmer Deutschland für Uber, erzählt von einem funktionierenden Geschäft. Er erklärt, man könne bei der Schichtplanung flexibel auf Angebot und Nachfrage eingehen und wisse, an welchen Tagen besonders viele Fahrgäste unterwegs sein werden. Dementsprechend könnten die Mietwagenfirmen an diesen Tagen mehr Autos und Fahrer einsetzen. Deswegen seien die Fahrzeuge seiner eigenen Flotte zu 80 bis 90 Prozent der Zeit ausgelastet. Im Beitrag räumt er ein, dass manche Unternehmer, mit denen er abrechnet, schwarzer Schafe seien. Zur Anzeige bringe er diese aber nicht, das sei seiner Meinung nach Aufgabe des Staates.
    Uber-Generalunternehmer Thomas Mohnke weiß, dass es in seinem System Schware Schafe gibt, unternimmt aber nichts.

    Allerdings fallen auch die ertragslosen Anfahr- und Wartezeiten in seine Auslastungsbilanz. Mohnke betont, dieses Geschäftsmodell erziele durchaus Gewinne, auch wenn sie nicht riesig seien: „Wenn Sie eine Umsatzrendite erreichen, die im Bereich von drei, vier, fünf Prozent liegen, dann ist das in unserer Branche durchaus üblich.“

    Ahmed, dessen Fahrten vor allem per Uber-App vermittelt werden, aber auch von Bolt, hat für die Recherche die Daten eines Arbeitsmonats zur Verfügung gestellt. Hier ergibt sich ein Bild, das die Behauptungen der Uber-Manager als plumpe Lügen entlarvt: Insgesamt 5.127 Euro haben die Fahrgäste in diesem Beispielmonat für die Fahrten mit ihm gezahlt. Davon ziehen die App-Vermittler jeweils 25 Prozent für ihre Servicepauschale ab. Auch 19 Prozent Umsatzsteuer fallen an.

    Übrig bleiben 3.026 Euro für den Mietwagenunternehmer, der durchschnittlich 116 Euro für jeden der 26 Arbeitstage von Ahmed eingenommen hat. Doch dieser Betrag reicht nicht, um ihm den Mindestlohn und die Lohnnebenkosten von insgesamt 120 Euro zu bezahlen. Eine Verlustrechnung – dabei sind die Kosten des Mietwagenunternehmers für das Auto, die Versicherung und den Betriebssitz noch nicht eingerechnet.

    Im Unterschied zum ÖPNV einschließlich Taxis können Plattform-Anbieter wie Uber und Bolt ihre Fahrpreise selbst festlegen und damit die Taxitarife unterbieten. Doch von den niedrigen Erträgen müssen Mietwagenunternehmer die genannten hohen Abgaben zahlen.

    Herwig Kollar, Präsident des Bundesverbandes Taxi und Mietwagen e. V (BVTM) bringt in zwei Sätzen auf den Punkt, was von den Uber-Aussagen zu halten ist: Gewinne gebe es für die Mietwagenfirmen nur, wenn an Lohn und Sozialabgaben unzulässig gespart würde. Zu den Konditionen sei das Geschäft nicht wirtschaftlich zu betreiben, erklärt er. Ahmeds Angaben zu seinen durchschnittlichen Einnahmen hält er für realistisch.

    Doch wer ist zuständig, wenn es um die Bekämpfung solcher Missstände geht? Sowohl der Generalunternehmer Thomas Mohnke als auch die Sprecher von Uber Deutschland sehen vor allem die Behörden in der Pflicht: „Deutschland hat ein gut funktionierendes Kontrollwesen der zuständigen Organe“, schreibt das Unternehmen – was gerade in Bezug auf Städte wie Berlin oder Köln reines Wunschdenken ist. Auch die Autorinnen der Fernsehreportage stellen fest, dass das Geschäftsgebaren in Berlin „bisher nicht ausreichend“ kontrolliert wird. Aus den Antworten auf zahlreiche parlamentarische Anfragen des SPD-Abgeordneten Tino Schopf gehe hervor, dass derzeit in der Gewerbeaufsicht im Rahmen der gewerblichen Personenbeförderung nur 16 von 19 Stellen besetzt sind.

    Anfang des Jahres sei in der Berliner Verwaltung ein neues Sachgebiet für „Kontrollen und Ermittlungen“ eingerichtet worden. Von sieben Stellen sei dort bisher nur eine besetzt. Dieses Kontrollpersonal solle nun 9.960 Mietwagen, Taxen und Krankenwagen beaufsichtigen (Stand 1. August 2023).

    Die Redakteure haben sich auch die Situation in Hamburg angesehen und festgestellt, dass es dort völlig anders läuft. Dort seien nur 15 Mietwagen konzessioniert, die Fahrten über die Uber-App vermittelt bekommen. „In der Regel werden die Genehmigungen in der Hansestadt verweigert. Unter anderem findet hier eine konsequente Prüfung der finanziellen Leistungsfähigkeit statt.“

    Die Unternehmen sind in Hamburg unter anderem dazu verpflichtet, einen Businessplan vorzulegen, um eine Zulassung zu bekommen. Dieser ist für die Hamburger Behörde für Verkehr und Mobilitätswende oft ein Ablehnungsgrund. Von dort heißt es auf rbb-Anfrage: „Bei Ausübung der taxenähnlichen App-vermittelten Mietwagenverkehre liegen erhebliche Zweifel an einer zumindest kostendeckenden Betriebsführung vor, wenn alle abgabenrechtlichen (auch Mindestlohnvorschriften) und personenbeförderungsrechtlichen Vorschriften eingehalten werden.“

    Der ehemalige Uber-Lobbyist und Ex-Mitarbeiter des US-Unternehmens, Mark MacGann, sprach mit den Redakteuren über den Stellenwert der Fahrer im Unternehmen. MacGann wurde im vergangenen Jahr als Uber-Whistleblower bekannt, als er Medien Zugang zu über 120.000 internen Dokumenten des Unternehmens gab.

    Sein Urteil über das Uber-System: „Die Fahrer haben nicht die gleichen Rechte und Privilegien wie die anderen Mitglieder der Nahrungskette. Uber wurde nicht auf den Schultern der Fahrer aufgebaut, sondern auf deren Rücken. Und heute sehen diese Fahrer keine faire Gegenleistung für ihre Arbeit, die sie leisten.“ ar, wf

    Anmerkung der Redaktion: Nicht nur im Taxigewerbe kennt man die leicht widerlegbaren Uber-Lügen zur Genüge und will eigentlich nur noch gelangweilt gähnen. Aber nicht zuletzt, weil es viel zu wenig solcher Reportagen wie die in „Kontraste“ vom rbb gibt, fällt Otto-Normalverbraucher immer noch darauf herein.

    Man kann Fehler in der Politik und die Bereitschaft bei Unternehmern und auch Fahrern, solche Ausbeutung mitzumachen, auch nicht als Folge, sondern als Voraussetzung und damit als Ursache dafür sehen, dass Heuschrecken wie Uber & Co. ihr windiges Geschäft überhaupt betreiben können.

    Jeder Taxigewerbevertreter oder Ökonom hätte den Fahrern vorher sagen können, dass man als Uber-Fahrer ausgebeutet wird. Woher sonst, wenn nicht von profitgierigen Investoren und ausgebeuteten Fahrern, sollte das Geld kommen, mit dem das Zuschussgeschäft Uber finanziert wird, und bei dem sich hauptsächlich Uber-Manager, Generalunternehmer und Straftäter goldene Nasen verdienen? Durch eine solche Reportage erfährt eine breitere Öffentlichkeit von Missständen, die vom Taxigewerbe seit Jahren beklagt, aber permanent ignoriert werden.

    Dabei hat, was in der Reportage nicht thematisiert wird, die Zahl der Mietwagenkonzessionen in Berlin im Januar 2021 aufgehört zu explodieren: Seit das Landesamt für Bürger- und Ordnungsangelegenheiten (LABO) sich bemüht, jede GmbH bereits nach sechs Monaten zu kontrollieren, um Straftätern mit den berüchtigten 20-Monats-GmbHs ihr Geschäft zu erschweren, steigt die Zahl der Konzessionen nur noch langsam. Allerdings weichen immer mehr Unternehmer in die Illegalität aus und legen Uber & Co. gefälschte Konzessionen vor, um an der Auftragsvermittlung teilnehmen zu können.

    Vielleicht konnte die Fernsehreportage erneut einige Unwissende aufwecken und dazu ermuntern, ihre Haltung zu Uber, Free Now und Bolt zu überdenken. Doch solange die Behörden kaum etwas tun, um das Problem an der Wurzel zu packen, wird es für die ehrlichen Personenbeförderer schwer bleiben.

    Das Beitragsbild und alle im Beitrag verwendeten Bilder sind Screenshots aus der ARD-Sendung „Kontraste“ vom 17.8.2023

    #Berlin #Uber#FKS #Zoll #Schwarzarbeit

  • Liverpool owner of asylum barge #Bibby_Stockholm awarded £20m to build new vessel

    The vessel will be the first for #Bibby_Marine in five years

    he Government has awarded £20m to the Liverpool company that owns the controversial asylum barge Bibby Stockholm to build a new vessel.

    A consortium led by Bibby Marine has secured the money alongside Port of #Aberdeen, #Offshore_Renewable_Energy (#ORE) Catapult, #Kongsberg, #DNV, #Shell and #Liverpool_John_Moores_University.

    The funding from the #Zero_Emission_Vessel_Infrastructure (#ZEVI) competition will be put towards the construction of the world’s first zero-emission #electric_Service_Operation_Vessel (#eSOV).

    Bibby Marine said the eSOV will have a “powerful” battery system and dual fuel methanol engines for back up, along with associated shore-charging facilities.

    The company received £19.4m while Liverpool John Moores University has awarded almost £100,000, DNV (£27,138), Shell (£120,320), #Aberdeen_Harbour_Board (£224,828) and #Offshore_Renewable_Energy_Catapult (£197,752).

    The project is expected to cost more than £30m in total.

    Bibby Marine CEO #Nigel_Quinn said: "We are excited to receive this funding and to work with our partners to launch the world’s first eSOV - the first new vessel for Bibby Marine in five years.

    "This project is the natural progression of our decarbonisation journey, which began in 2019, to find the right solution to achieve our net-zero goals.

    "Designed in the UK, the vessel will be a game changer for our industry – supporting its ambitions to turn the UK into the world’s number one centre for green technology, create jobs and accelerate our path to net zero, by harnessing the best of British technologies. The vessel also offers the opportunity for customers to increase local content and will shine a light on UK innovation.

    "We strive to be the UK’s clean and most committed SOV operator, and our commitment to innovation and sustainability drives us towards these zero-emission solutions.

    “This project is a crucial part of this vision and is in keeping with our own Environmental and Social Governance framework and net zero targets. The project will catapult our efforts for our own green future, resulting in Bibby Marine having one of the most advanced, efficient, and environmentally friendly SOVs on the market.”

    Andrew Macdonald, director of development and operations at ORE Catapult, added: "We are delighted to be supporting Bibby and partners in a project to create the world’s first zero-emission e-SOV - delivering a vessel capable of operating solely on 20MWh of batteries.

    "ORE Catapult will play an important role in understanding the lifecycle fuel savings of a zero-emission vessel, and what can be done to maximise UK content within this market.

    “This project will strengthen and demonstrate the ability of UK industry as a partner in design, manufacture and certification of the 300 vessels of this kind needed in Europe by 2050.”

    Lucas Ribeiro, regional manager, region West Europe at DNV, said: "At DNV we are very pleased to have been chosen as the preferred classification partner for the first zero-emission UK e-SOV. We look forward to working closely with Bibby Marine and the consortium partners on this innovative design.

    "The number of fully electric and hybrid vessels will surge over the next few years and continuing development on these technologies will be a key part of the maritime industry’s transition to a zero-carbon future.

    “DNV is looking forward to combining our extensive technical, offshore, renewable and battery experience, working in ensuring a successful fully compliant and future proof vessel delivery.”

    Alexandra Ebbinghaus, GM Marine Decarbonisation at Shell,, added: "Shell is delighted to be part of this consortium, verifying the framework to manage maritime risk for the world’s first zero-emission e-SOV.

    "This is an exciting project that will push the industry forward and help decarbonise short-sea shipping, whilst continuing to prioritise safe and efficient operations.

    “We look forward to supporting our long-term customer, Bibby Marine, as well as strengthening our collaboration with Kongsberg Maritime, DNV, the Port of Aberdeen and other consortium members.”

    https://www.liverpoolecho.co.uk/news/liverpool-news/liverpool-owner-asylum-barge-bibby-27693406

    –—

    ajouté à la métaliste sur la Bibby Stockholm :
    https://seenthis.net/messages/1016683