#zawyah

  • Petrolio e migranti. Il « patto libico »

    Decine di navi e depositi per il contrabbando attraverso Malta e i clan siciliani. Business da oltre un miliardo. Ispettori Onu e Ue: a comandare sono i boss del traffico di esseri umani.

    «Oil for food» la chiamavano in Iraq. Export di petrolio in cambio di cibo. Era l’unica eccezione all’embargo. Le milizie libiche hanno cambiato i fattori: «#Oil_for_migrants ». Dovendo rallentare la frequenza dei barconi, hanno ottenuto cospicui “risarcimenti” mentre imbastivano un colossale contrabbando di petrolio. « Oil for migrants ». A tutto il resto pensano i faccendieri maltesi e la mafia siciliana.

    Le ultime tracce della “Libia connection” sono del 20 gennaio. In Sicilia, per questioni di oro nero, sono finiti indagati in 23, tutti vicini ai clan di mafia catanesi. Il 5 dicembre 2019 la Procura di Bologna aveva messo i sigilli a 163mila litri di carburante. Solo due giorni prima i magistrati di Roma avevano arrestato 16 persone e bloccato 4 milioni di litri di gasolio. Abbastanza per fare il pieno a 80mila utilitarie. Secondo la procura di Trento, che aveva chiuso un’analoga inchiesta, nel nostro Paese l’evasione delle imposte negli idrocarburi può arrivare a 10 miliardi di euro. L’equivalente di una legge finanziaria.

    Per venirne a capo bisogna ficcare il naso a Malta, che «rappresenta anche uno snodo per svariati traffici illeciti, come quello dei prodotti petroliferi provenienti dai Paesi interessati da una forte instabilità politica», si legge nell’ultima relazione al parlamento della Direzione investigativa antimafia. L’episodio chiave è del 2017, quando la procura di Catania porta a termine l’operazione “Dirty Oil”, che ha permesso «di scoprire – ricorda sempre la Dia – un traffico di petrolio importato clandestinamente dalla Libia e che, grazie ad una compagnia di trasporto maltese, veniva introdotto sul mercato italiano sfruttando il circuito delle cosiddette pompe bianche». In mezzo, però, c’è l’omicidio di Daphne Caruana Galizia. La reporter maltese era stata eliminata con una bomba il 16 ottobre 2017, due giorni prima della retata che da Catania a Malta avrebbe confermato tutte le sue rivelazioni sui traffici illeciti tra la Libia e l’Europa via La Valletta. Messo alle strette, il governo dell’isola aveva chiesto sanzioni internazionali contro i boss del contrabbando di petrolio. Ma è a questo punto che accade un imprevisto. Uno di quegli inciampi che da solo permette di comprendere quale sia la misura e l’estensione della partita. Ad agosto 2019 il Cremlino, a sorpresa, annuncia di voler porre il veto al provvedimento con cui il Consiglio di Sicurezza Onu si apprestava a disporre il blocco, ovunque nel mondo, dei patrimoni della gang di maltesi, libici e siciliani. Un intrigo internazionale in piena regola. Un anno prima il Dipartimento del Tesoro Usa aveva disposto l’interdizione di tutti gli indagati da ogni attività negli Stati Uniti.

    Tra le persone che Malta, dopo l’uccisione di Caruana Galizia, avrebbe voluto vedere con i sigilli ai conti corrente ci sono l’ex calciatore Darren Debono e i suoi associati, tra i quali l’uomo d’affari Gordon Debono e il libico Fahmi Bin Khalifa. Nomi che tornano spesso. I tre, con il catanese Nicola Orazio Romeo, sono sotto processo perché ritenuti responsabili di un ingente traffico di gasolio sottratto ai giacimenti libici sotto il controllo della milizia Al-Nasr, quella del trafficante-guardacoste Bija e dei fratelli Kachlav. Dallo stabilimento di Zawiyah, il più grande della Libia, praticamente a ridosso del più affollato centro di detenzione ufficiale per migranti affidato dalle autorità ai torturatori che rispondono sempre a Bija, l’oro nero viene sottratto con la complicità della “ Petroleum facility guard”, un corpo di polizia privato incaricato dal governo di proteggere il petrolchimico. Ma a capo delle guardie c’è proprio uno dei fratelli Kachlav. Il porto di Zawyah è assegnato alla “Guardia costiera” che, neanche a dirlo, è comandata sempre da al Milad, nome de guerre “Bija”, nel 2017 arrivato con discrezione in Italia durante il lungo negoziato per fermare le partenze dei migranti.

    A sostenere la connessione tra smercio illegale di idrocarburi, traffico di armi ed esseri umani sono gli esperti delle Nazioni Unite inviati in Libia per investigare. Il gasolio «proviene dalla raffineria di Zawiyah lungo un percorso parallelo alla strada costiera», si legge nell’ultima relazione degli ispettori Onu visionata da Avvenire. Molte foto ritraggono proprio Bija alla guida di gruppi combattenti o impegnato su navi cisterna. Le conclusioni confermano inoltre che l’area di Zuara, dove spadroneggia il clan Dabbashi – a seconda dei casi alleato o in rotta di collisione con i boss di Zawyah – «è stata la principale piattaforma per le esportazioni illecite via mare di prodotti petroliferi raffinati». Nei dintorni ci sono almeno 40 depositi illegali di petrolio. Da questi impianti «il carburante – si legge ancora – viene trasferito in autocisterne più piccole fino al porto di Zuara, dove viene caricato in piccole navi cisterna o pescherecci con serbatoi modificati». A disposizione dei contrabbandieri c’è una flotta ragguardevole: «Circa 70 imbarcazioni, piccole petroliere o pescherecci da traino, sono dedicate esclusivamente a questa attività». Dalle stazioni di pompaggio i trafficanti utilizzano condutture che trasportano il carburante alle navi che sostano «tra 1 e 2 miglia nautiche al largo».

    I nomi dei vascelli sono noti e riportati in diversi documenti confidenziali. Impossibile che in Libia nessuno veda. In totale «esistono circa 20 reti di contrabbando attive, che danno lavoro a circa 500 persone», spiegano gli esperti Onu. Manodopera da aggiungere alle migliaia di libici arruolati dagli stessi gruppi per controllare il territorio, gestire il traffico di esseri umani, combattere per le varie fazioni.

    Le inchieste, però, non fermano il business. Il catanese Romeo, indagato nel 2017 per l’indagine etnea “ Dirty Oil”, in passato era stato ritenuto dagli investigatori in contatto con esponenti della famiglia mafiosa Santapaola–Ercolano. Ipotesi, in attesa di un pronunciamento dei tribunali, sempre respinta dall’interessato. A confermare l’interesse di Cosa nostra siciliana per le petroliere sono arrivati i 23 arresti di gennaio. Tra gli indagati vi sono ancora una volta esponenti dei clan catanesi, stavolta della famiglia Mazzei, tornata ad allearsi proprio con i Santapaola– Ercolano. «Abbiamo riscontrato alcuni collegamenti con personaggi coinvolti nell’indagine Dirty Oil, dove era emersa proprio l’origine libica del petrolio raffinato», ha commentato dopo gli arresti il procuratore aggiunto di Catania, Francesco Puleio. Alcuni degli indagati hanno anche «cercato nuovi canali di fornitura e sono entrati in contatto con l’uomo d’affari maltese Gordon Debono, coinvolto nell’indagine Dirty Oil».

    Il collegamento tra mafia libica e mafia siciliana per il tramite di mediatori della Valletta è confermato da un’altra rivelazione contenuta nel dossier consegnato al Palazzo di Vetro a fine 2019. A proposito della nave “Ruta”, con bandiera dell’Ucraina, sorpresa a svolgere attività di contrabbando petrolifero, gli investigatori Onu scrivono: «Secondo le indagini condotte dal Procuratore di Catania», il vascello è stato coinvolto in operazioni illegali, compreso il trasferimento di carburante ad altre navi, «in particolare la Stella Basbosa e il Sea Master X, entrambi collegati alla rete di contrabbando di “Fahmi Slim” e, secondo quanto riferito, ha scaricato combustibile di contrabbando nei porti italiani in 13 occasioni ». Quello di “Fahmi Slim” altro non è che il nome di battaglia di Fahmi Musa Bin Khalifa, il boss del petrolio di Zuara, in affari con Mohammed Kachlav, il capo in persona della milizia al Nasr di Zawyah.

    A ostacolare il patto tra mafie dovrebbe essere l’operazione navale europea Irini «che ha già dimostrato l’utilità in termini di informazioni raccolte, e per l’effetto deterrenza anche sul contrabbando di petrolio», ha detto nei giorni scorsi il commissario agli affari Esteri Josep Borrel. E chissà se l’aumento del 150% delle partenze sui barconi sia solo una coincidenza o non sia uno degli effetti di «Oil for migrants».

    https://www.avvenire.it/attualita/pagine/petrolio-e-migranti-il-patto-libico
    #pétrole #migrations #Libye #pacte #extractivisme #accord #Malte #Italie #contrebande #mafia #Libia_connection #Dirty_Oil #Daphne_Caruana_Galizia #Darren_Debono #Gordon_Debono #Fahmi_Bin_Khalifa #Nicola_Orazio_Romeo #Al-Nasr #Bija #Kachlav #Zawiyah #Petroleum_facility_guard #gardes-côtes #Dabbashi #Zuara #Zawyah #Romeo #Santapaola–Ercolano #Cosa_nostra #Mazzei #Ruta #Stella_Basbosa #Sea_Master_X #Fahmi_Slim #Fahmi_Musa_Bin_Khalifa #Mohammed_Kachlav #Irini

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  • Guards accused of rape and #torture of migrants arrested in Italy

    Exploitation, extortion and murder allegedly took place in Libyan detention centre.

    Three men accused of torturing and raping refugees and migrants in Libya have been arrested in Italy. They include a 22-year-old Guinean man and two Egyptians, aged 24 and 26.

    A 37-page report, written by the prosecutor’s office in Palermo and seen by The Irish Times, documents allegations of sexual and labour exploitation, extortion and murder. It says the abuse took place inside Zawiya detention centre, in Libya’s northwest.

    The men were identified by dozens of refugees and migrants, who eventually crossed the Mediterranean to safety in Europe.

    The Irish Times is in contact with refugees still being held in detention in Zawiya, who welcomed the arrests but say torture and abuse is ongoing.

    “People are still tortured, beaten, [made into] slaves and sold like a goat,” one man messaged on Monday, using a hidden phone. “It’s clear how many prisoners are dead from secret torture and poor medication, even [a] lack of nutrients, food. We hear in the middle [of the] night noisy screaming sometimes in the locked hanger.”

    He said at least 20 detainees had recently been sold back to traffickers. “This place is the most dangerous,” he said.

    In one incident, when people tried to escape, the guards opened fire on them, he said. One man was shot dead while another was badly wounded.

    The refugee’s testimony has repeatedly been confirmed by other sources.

    In April, the UN Refugee Agency and the International Organisation for Migration moved 325 migrants and refugees from Qasr bin Ghashir detention centre in Tripoli to a detention centre in Zawiya, saying it had evacuated them to safety.
    Ineffectiveness

    UNHCR has repeatedly been criticised by other aid workers, who accuse the agency of downplaying the scale of abuse and its own ineffectiveness to secure funding from the European Union.

    For 2½ years, the EU has been supporting the Libyan coast guard to intercept boats on the Mediterranean and forcibly return refugees and migrants to Libya, where they are detained indefinitely in conditions that have been condemned by human rights groups.

    Refugees and migrants who arrived in Zawiya in April said they were immediately met with threats and aggression by management and armed guards, and told how they would only see sunlight again after they paid substantial amounts of money.

    Meanwhile, on Saturday, 82 refugees and migrants disembarked in Italy after they were saved off the Libyan coast by the Ocean Viking boat. This is the first time this year an NGO ship has been allowed disembark rescued people there, and marks a reversal of the country’s anti-immigration policies enforced by former far-right interior minister Matteo Salvini under its new ruling coalition.

    https://www.irishtimes.com/news/world/africa/guards-accused-of-rape-and-torture-of-migrants-arrested-in-italy-1.40201
    #Libye #arrestation #Italie #migrations #asile #réfugiés #viol #centres_de_détention #détention #prisons #assassinat #exploitation #Italie

    • Inchiesta. #Ossama_il_libico, ecco chi è «il più spietato di tutti con i migranti»

      Per la prima volta fotografato il boss dei trafficanti. I carcerieri prendono ordini da lui. Una scia di omicidi e prevaricazioni di ogni tipo ai danni dei profughi. Arrestati in Sicilia tre complici

      Dicono di lui: «Il più spietato». È Ossama, il libico. O almeno così dice di chiamarsi. Nessuno era mai riuscito a fotografare il capo torturatore del vasto campo di prigionia di #Zawyah, tranne un giovane subsahariano che ha tenuto con sé l’immagine del suo aguzzino.

      La foto è stata consegnata a un avvocato di Londra e potrebbe dare una spinta all’inchiesta sulle violenze subite nei lager libici. Il nome di Ossama ricorre per settanta volte nelle 37 pagine dell’ordinanza con cui i magistrati siciliani hanno fatto arrestare pochi giorni fa tre complici fuggiti in Italia.

      I racconti dei sopravvissuti sono voci scampate agli spettri che ogni notte si davano il cambio addosso alle ragazze. Libici, egiziani, migranti promossi kapò, come nei campi di concentramento quando a un deportato veniva affidata il comando sugli altri prigionieri.

      «Tutti hanno riferito di una struttura associativa organizzata, indicando il suo capo, Ossama, e spesso fornendo l’organigramma dell’associazione – si legge nell’ordinanza della procura di Palermo –, ovviamente nei limiti in cui gli stessi prigionieri potevano rendersi conto del numero di sodali addetti alla struttura di prigionia e dei loro rispettivi ruoli». Materiale buono anche per gli investigatori del Tribunale internazionale dell’Aia, che tra poco più di un mese diffonderanno un rapporto aggiornato sull’inferno libico.

      «Dalle nostre fonti in loco – spiega Giulia Tranchina, legale per Diritti Umani dello studio Wilson di Londra – sappiamo che le torture continuano ancora in questi giorni e che nessuna svolta c’è stata per questi profughi che continuano a subire abusi, tanto più che le organizzazioni internazionali non sono messe in grado neanche di registrare tempestivamente, dunque è più facile per «Ossama» rivenderle ad altri gruppi di trafficanti senza lasciare alcuna traccia».

      Uno dei testimoni ha parlato così di Ossama: «Picchiava, torturava chiunque, utilizzando anche una frusta. A causa delle torture praticate Ossama si è reso responsabile di due omicidi di due migranti del Camerun, i quali sono morti a causa delle ferite non curate. Anche io, inauditamente e senza alcun pretesto, sono stato più volte picchiato e torturato da Ossama con dei tubi di gomma. Tanti altri migranti subivano torture e sevizie di ogni tipo». C’è chi lo ricorda come «una persona adulta, muscolosa, con ampia stempiatura». Ai suoi diretti ordini «vi erano tanti carcerieri».

      La polizia di Agrigento ha interrogato separatamente i migranti transitati da Zawyah e salvati nello scorso luglio dalla barca a vela Alex, della piattaforma italiana “Mediterranea”. Tutte le testimonianze concordano sul ruolo e le responsabilità di Ossama e dei suoi scagnozzi.

      Quando i magistrati di Agrigento, che poi hanno trasmesso per competenza gli atti ai colleghi di Palermo, raccoglievano fonti di prova e testimonianze non sapevano che anche il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, aveva ricevuto e raccolto informazioni analoghe. A cominciare dalla vendita dei migranti da parte della polizia libica. «Un giorno, nel mese di luglio 2018, io e mia moglie – ha raccontato un uomo catturato e seviziato con la moglie – ci trovavamo a Zuara (non lontano da Zawyah, ndr). In quell’occasione venivamo avvistati e avvicinati da due libici, in uniforme, i quali ci hanno poi venduto al trafficante Ossama». Ad accordo fatto, «i due libici ci hanno condotto direttamente nella prigione gestita proprio da Ossama, a Zawyiah, in un’ex base militare».

      L’avvocato Tranchina, che nello studio di legali londinesi specializzati nella difesa dei Diritti umani ha vinto numerose battaglie nei tribunali del Regno, continua a ricevere filmati e immagini che tagliano il respiro.

      Alcuni sono recentissimi e documentano il fallimento di ogni accordo tra le autorità libiche e gli organismi internazionali. Diversi migranti raccontano di essere stati feriti durante le sessioni di tortura, non di rado a colpi di arma da fuoco, e poi nascosti lontano dalle prigioni durante le ispezioni concesse alla mmissione Onu in Libia.

      https://www.avvenire.it/attualita/pagine/libia-ossama-lo-spietato-coi-migranti