• Il cotone “sporco e insostenibile” di #Zara ed #H&M e la distruzione del #Cerrado

    La Ong inglese #Earthsight ha condotto un’inchiesta per un anno lungo la filiera di questa fibra tessile: i due marchi della fast fashion avrebbero immesso sul mercato 800mila tonnellate di cotone coltivato su terreni disboscati illegalmente nella savana tropicale che copre un terzo del Brasile. “Il sistema di filiera ‘etica’ su cui si basano questi colossi è fondamentalmente difettoso”

    Se negli ultimi anni avete acquistato vestiti di cotone, asciugamani o lenzuola di H&M o Zara “probabilmente sono macchiati del saccheggio del Cerrado”, un’area ricchissima di biodiversità che copre quasi un quarto della superficie del Brasile. Sam Lawson, direttore della Ong britannica Earthsight, non usa mezzi termini per commentare l’esito dell’inchiesta “Fashion crimes. The European retail giants linked to dirty Brazilian cotton”, pubblicata l’11 aprile, che analizza la lunga e insostenibile filiera di questa fibra dalla produzione (in Brasile) alla lavorazione (in Paesi come Indonesia e Bangladesh), fino alla commercializzazione in Europa (Italia compresa) dove, secondo le stime di Earthsight, i due brand avrebbero messo in commercio prodotti realizzati con 800mila tonnellate di cotone coltivato su terreni disboscati illegalmente nel Cerrado.

    Ma andiamo con ordine. L’inchiesta di Earthsigh prende le mosse proprio dal grande Paese latinoamericano che, negli ultimi dieci anni, ha guadagnato crescente importanza nel mercato globale del cotone, di cui oggi è il secondo esportatore mondiale “e si prevede che entro il 2030 supererà gli Stati Uniti”. Il cuore di questa produzione si concentra in uno degli ecosistemi più fragili e preziosi del mondo: il Cerrado, una grande savana tropicale che ospita una delle più importanti aree di biodiversità al mondo, dove vivono oltre seimila specie di alberi così come centinaia di rettili, mammiferi, anfibi e uccelli.

    La sopravvivenza di questo inestimabile patrimonio è minacciata dalla deforestazione illegale che nel 2023 ha raggiunto livelli record, con un aumento del 43% rispetto al 2022. “Circa la metà della vegetazione nativa del Cerrado è già andata perduta, soprattutto per far posto all’espansione dell’agrobusiness”, evidenzia il report. Milioni di litri d’acqua vengono prelevati regolarmente dai fiumi e dalle falde per irrigare i campi di cotone, la cui coltivazione richiede l’utilizzo di 600 milioni di litri di pesticidi ogni anno.

    L’inchiesta di Earthsight analizza in particolare il ruolo di due dei principali produttori di cotone brasiliani: il gruppo Horita e SLC Agrícola che controllano enormi aziende e centinaia di migliaia di ettari di terreno. “Nel 2014 l’agenzia ambientale dello Stato di Bahia ha rilevato 25mila ettari deforestati illegalmente nelle aziende agricole di Horita a Estrondo -si legge nel report-. Nel 2020 la stessa agenzia ha dichiarato di non essere riuscita a trovare i permessi per altri 11.700 ettari deforestati dall’azienda tra il 2010 e il 2018”. Tra il 2010 e il 2019 l’azienda è stata multata complessivamente più di venti volte, per un totale di 4,5 milioni di dollari, per violazioni ambientali.

    Altrettanto gravi, le denunce rivolte a SLC Agrícola: tre aziende, tutte coltivate a cotone, hanno cancellato per sempre 40mila ettari di Cerrado nativo negli ultimi 12 anni. E, sebbene l’azienda abbia adottato una politica “zero deforestazione” nel 2021, è accusata di aver distrutto altri 1.356 ettari di vegetazione nel 2022. Accuse che hanno spinto il fondo pensionistico pubblico della Norvegia a ritirare i propri investimenti nella società brasiliana.

    Al termine di un lavoro d’inchiesta di un anno -durante il quale hanno analizzato migliaia di registri di spedizione, relazioni aziendali, elenchi di fornitori e siti web– i ricercatori di Earthsight hanno ricostruito la filiera che porta il cotone coltivato illegalmente nel Cerrado nei negozi di Zara ed H&M e poi negli armadi di milioni di persone. I ricercatori hanno identificato otto produttori di abbigliamento asiatici che utilizzano il cotone Horita e SLC e che allo stesso tempo forniscono alle due società di fast fashion milioni di capi di cotone finiti. Tra questi figura l’indonesiana PT Kahatex “il più grande acquirente di cotone contaminato Horita e SLC che abbiamo trovato”. H&M è il secondo cliente dell’azienda indonesiana, da cui ha acquistato milioni di paia di calzini, pantaloncini e pantaloni che sono poi stati messi in vendita nei negozi del gruppo negli Stati Uniti, in Germania, nel Regno Unito, in Svezia, nei Paesi Bassi, in Belgio, in Spagna, in Francia, in Polonia, in Irlanda, in Italia.

    Il cotone sporco del Cerrado è finito anche negli stabilimenti di Jamuna Group, uno dei maggiori conglomerati industriali del Bangladesh: “Nei negozi Zara in Europa, fino ad agosto 2023, sono stati venduti per 235 milioni di euro jeans e altri capi in denim confezionati da Jamuna, circa 21.500 paia al giorno -si legge nel report-. Inditex importa i capi prodotti da Jamuna in Spagna e nei Paesi Bassi, da dove li distribuisce ai suoi negozi Zara, Bershka e Pull&Bear in tutta Europa”. Complessivamente, secondo le stime che i ricercatori hanno elaborato consultando i registri delle spedizioni il Gruppo Horita e SLC Agrícola hanno esportato direttamente almeno 816mila tonnellate di cotone da Bahia verso i mercati esteri tra il 2014 e il 2023. Una quantità di materia prima sufficiente a produrre dieci milioni di capi d’abbigliamento e prodotti per la casa tra lenzuola, tovaglie e tende.

    Ma come è stato possibile, si sono chiesti i ricercatori, che le catene di approvvigionamento dei due marchi di moda siano state “contaminate” da cotone brasiliano legato a deforestazione e land grabbing? “Parte della risposta sta nel fatto che le loro politiche etiche sono piene di falle. Ma soprattutto, il sistema di filiera etica su cui si basano è fondamentalmente difettoso”.

    Il riferimento è al fatto che, nel tentativo di presentarsi come sostenibili e responsabili, i due brand si sono affidati a un sistema di certificazione denominato Better Cotton (BC). “Il cotone che abbiamo collegato agli abusi ambientali a Bahia ne riportava il marchio di qualità. Questo non dovrebbe sorprendere dal momento che Better Cotton è stata ripetutamente accusata di greenwashing e criticata per non aver garantito la piena tracciabilità delle catene di approvvigionamento”, scrivono i ricercatori di Earthsight nel rapporto. Evidenziando come, sebbene dal primo marzo 2024 le regole di BC siano state aggiornate, rimangano comunque una serie di criticità e di punti deboli. A partire dal fatto che il cotone proveniente da terreni disboscati illegalmente prima del 2020 venga ancora certificato.

    “È ormai molto chiaro che i crimini legati ai beni che consumiamo devono essere affrontati attraverso la regolamentazione, non attraverso le scelte dei consumatori -conclude Sam Lawson, direttore di Earthsignt-. Ciò significa che i legislatori dei Paesi consumatori dovrebbero mettere in atto leggi forti con un’applicazione rigorosa. Nel frattempo, gli acquirenti dovrebbero pensarci due volte prima di acquistare il prossimo capo di abbigliamento in cotone”.

    https://altreconomia.it/il-cotone-sporco-e-insostenibile-di-zara-ed-hm-e-la-distruzione-del-cer
    #industrie_textile #coton #mode #déforestation #Brésil #rapport #chiffres #statistiques #SLC_Agrícola #Horita #SLC #fast-fashion #land_grabbing #accaparement_de_terres #Better_Cotton #greenwashing #green-washing

    • Fashion Crimes: The European Retail Giants Linked to Dirty Brazilian Cotton


      Key Findings:

      - The world’s largest fashion brands, H&M and Zara, use cotton linked to land grabbing, illegal deforestation, violence, human rights violations and corruption in Brazil.
      - The cotton is grown by two of Brazil’s largest agribusinesses – SLC Agrícola and the Horita Group – in western Bahia state, a part of the precious Cerrado biome, which has been heavily deforested in recent decades to make way for industrial-scale agriculture.
      - Unlike in the Amazon, deforestation in the Cerrado is getting worse. The biome is home to five per cent of the world’s species. Many face extinction due to habitat loss if current deforestation trends are not reversed.
      - For centuries, traditional communities have lived in harmony with nature. These communities have seen their lands stolen and suffered attacks by greedy agribusinesses serving global cotton markets.
      - The tainted cotton in H&M and Zara’s supply chains is certified as ethical by the world’s largest cotton certification scheme, Better Cotton, which has failed to detect the illegalities committed by SLC and Horita. Better Cotton’s deep flaws will not be addressed by a recent update to its standards.
      - Failure by the fashion sector to monitor and ensure sustainability and legality in its cotton supply chains means governments in wealthy consumer markets must regulate them. Once in place, rules must be strictly enforced.

      https://www.earthsight.org.uk/fashion-crimes

  • #Chine : le drame ouïghour

    La politique que mène la Chine au Xinjiang à l’égard de la population ouïghoure peut être considérée comme un #génocide : plus d’un million de personnes internées arbitrairement, travail forcé, tortures, stérilisations forcées, « rééducation » culturelle des enfants comme des adultes…
    Quel est le veritable objectif du parti communiste chinois ?

     
    http://www.film-documentaire.fr/4DACTION/w_fiche_film/64324

    #Ouïghours #Xinjiang #camps_d'internement #torture #stérilisation_forcée #camps_de_concentration #persécution #crimes_contre_l'humanité #silence #matières_premières #assimilation #islam #islamophobie #internement #gaz #coton #charbon #route_de_la_soie #pétrole #Xi_Jinping #séparatisme #extrémisme #terrorisme #Kunming #peur #état_policier #répression #rééducation #Radio_Free_Asia #disparition #emprisonnement_de_masse #images_satellites #droits_humains #zone_de_non-droit #propagande #torture_psychique #lavage_de_cerveau #faim #Xinjiang_papers #surveillance #surveillance_de_masse #biométrie #vidéo-surveillance #politique_de_prévention #surveillance_d'Etat #identité #nationalisme #minorités #destruction #génocide_culturel #Ilham_Tohti #manuels_d'école #langue #patriotisme #contrôle_démographique #contrôle_de_la_natalité #politique_de_l'enfant_unique #travail_forcé #multinationales #déplacements_forcés #économie #colonisation #Turkestan_oriental #autonomie #Mao_Zedong #révolution_culturelle #assimilation_forcée #Chen_Quanguo #cour_pénale_internationale (#CPI) #sanctions

    #film #film_documentaire #documentaire

  • Blue jeans: An iconic fashion item that’s costing the planet dearly
    https://news.mongabay.com/2022/11/blue-jeans-an-iconic-fashion-item-thats-costing-the-planet-dearly

    The production of blue jeans, one of the most popular apparel items ever, has for decades left behind a trail of heavy consumption, diminishing Earth’s water and energy resources, causing pollution, and contributing to climate change. The harm done by the fashion industry has intensified, not diminished, in recent years.
    The making of jeans is water intensive, yet much of the world’s cotton crop is grown in semiarid regions requiring irrigation and pesticide use. As climate change intensifies, irrigation-dependent cotton cultivation and ecological catastrophe are on a collision course, with the Aral Sea’s ecological death a prime example and warning.
    While some major fashion companies have made sustainability pledges, and taken some steps to produce greener blue jeans, the industry has yet to make significant strides toward sustainability, with organic cotton, for example, still only 1% of the business.
    A few fashion companies are changing their operations to be more sustainable and investing in technology to reduce the socioenvironmental impacts of jeans production. But much more remains to be done.

    #jean's #coton #industrie_textile

  • Au #Mali, des terres rendues incultivables par le “fléau chinois”

    Des populations rurales maliennes dénoncent l’#exploitation de #sites_aurifères par des sociétés chinoises qui dégradent leurs terres agricoles. Face au silence des autorités, ces populations s’organisent, rapporte le site “Sahélien”. Ce cas malien illustre un phénomène plus large en Afrique, celui de l’accaparement de #terres_arables par des entreprises internationales.

    Dans le champ de Bourama Konaté, c’est l’inquiétude qui se lit sur son visage. À peine après avoir mis en terre quelques semences de #coton, ce jeune cultivateur voit déjà une saison incertaine. “Nous avons commencé à semer le coton ici, mais cette année, nous ne sommes pas assez rassurés. Chaque année, nous travaillons dans la joie et la quiétude mais, cette fois-ci, c’est tout le contraire. Les Chinois sont venus et nos terres agricoles leur sont octroyées pour qu’ils les exploitent, et cela nous rend triste”, déplore-t-il.

    Dans cette commune située à plus de 80 kilomètres de Bamako, l’agriculture est la principale activité économique des habitants. Comme Bourama, Dramane Keita est au bout du désespoir.

    Même avec les premières pluies, il n’a rien semé dans le bas-fond en passe de devenir un site minier. “Nous les avons suppliés de ne pas creuser ces terres, car s’ils le font, […] nous ne pourrons même plus cultiver du #maïs sur ces parcelles parce que l’#eau va stagner et l’on ne pourra non plus cultiver du #riz ici. Déjà cette année, nous n’avons pas pu cultiver du riz. Jusqu’à présent, je n’ai rien fait dans mon champ, alors qu’on est bien dans l’hivernage. Regardez par ici, ce n’est pas encore labouré”, explique-t-il.

    Et de poursuivre : “C’est notre année qui est fichue comme ça. Que le gouvernement nous vienne en aide. Ça me fait tellement mal, je n’ai nulle part où me plaindre. Ils ont emprisonné mon grand frère et tout est gâché chez moi. […] On est trop fatigués.”

    Terres rendues incultivables

    Remontés contre les autorités communales, des jeunes venus des quatre villages touchés par ce qu’ils appellent le “#fléau_chinois” manifestent pour demander l’arrêt des activités minières sur leurs terres. “Nous, la jeunesse, sommes mobilisés et ne comptons plus nous arrêter. On veut qu’ils partent de notre commune, on n’aime pas leur travail. On ne veut pas de polémique ni rien. On ne souhaite pas faire de violences, mais s’ils poussent le bouchon un peu loin, on va rebondir”, affirme Bakary Keïta, un manifestant.

    Fatoumata Traoré, la représentante des femmes, abonde dans le même sens : “Que ce soit nos bas-fonds ou autres parcelles dédiées aux travaux des femmes, tout a été détruit. On n’a plus où cultiver. Ce qu’ils nous ont causé est invivable. Et nos âmes y resteront s’il le faut. Car le seul endroit qui nous reste est aussi dans leur viseur. Nos champs d’orangers, de manguiers ont tous été confisqués. Si tu veux tuer une famille, il faut lui retirer sa terre agricole.”

    Tout a commencé le 24 juillet 2021 lorsque la société [chinoise] #Yi_Yuan_Mines a signé un projet de convention avec le chef du village de #Naréna demandant l’autorisation d’exploiter certains sites en contrepartie de projets de développement dans la commune. “Je pense que c’est des oppositions gratuites. Les permis ont leur valeur. Ce sont des #permis qui sont en bonne et due forme. Il y a un modus vivendi entre les propriétaires terriens et les Chinois quand ils faisaient de la recherche. Ils étaient d’accord pour ça. […] J’ai les écrits des quatre propriétaires terriens et ceux du chef des conseils de Naréna, où tout le monde dit qu’il est d’accord. Alors, qu’est-ce que vous voulez que je fasse ?” répond Nambala Daouda Keita, maire de Naréna.

    À la tête de l’association #Sikida_Lakana, Broulaye Coulibaly indique avoir alerté les autorités locales face aux dangers de l’#exploitation_aurifère. “J’ai appris qu’ils ont commencé à creuser sur un site (#Djolibani) et je m’y suis rendu. Par la suite, j’ai informé le chef du village en lui disant d’y faire un tour pour constater les dégâts. Car, s’ils continuent cette activité, ils nous chasseront d’ici. Sans avoir une suite, j’ai entamé la même démarche chez le sous-préfet, à qui j’ai recommandé l’arrêt des activités pour qu’on discute entre nous d’abord. Ce dernier m’a fait savoir qu’il ne peut pas ordonner l’arrêt des travaux et que je pouvais également leur demander de l’argent s’il arrivait qu’ils aient besoin de mon champ.”

    Accords au sommet, désaccords à la base

    Pour la société Yi Yuan Mines, ce bras de fer ne devrait pas avoir lieu. “La réalité, c’est l’État malien qui a donné le permis à travers le #ministère_des_Mines. Il est dit que l’État est propriétaire de la terre. Alors que les villageois pensent tout à fait le contraire, ils estiment être les propriétaires de la terre. Il n’y a pas de paradoxe parce que ce n’est pas le #permis_de_recherche qu’on a mais un #permis_d’exploitation. Et ç’a été diffusé partout. Mais malgré tout, ils s’opposent”, affirme Boubacar Abdoulaye Diarra, représentant de l’entreprise chinoise.

    Pour ce qui concerne les dégâts causés sur la #biodiversité, Boubacar Abdoulaye Diarra répond : “Le plus souvent, les #orpailleurs traditionnels utilisent des ‘cracheurs’ sur le terrain. Ça, c’est pour broyer la matière. En le faisant, ils sont obligés d’apporter sur le terrain les produits qu’il faut, pour essayer de concentrer un peu l’or, et c’est là où il y a dégâts. Lorsqu’ils utilisent ces produits avec de l’eau, il y a toujours ruissellement, et puisque c’est un produit toxique, ça joue sur la nature. […] Mais les produits que nous utilisons ne vont pas dans la nature.”

    En août 2021, le procès-verbal de constat réalisé par un huissier ainsi qu’un autre rapport de la Direction nationale de l’assainissement et du contrôle des pollutions et des nuisances (DNACPN) indiquent que ces activités, sans études environnementales au préalable, nuisent à l’écosystème.

    Il a donc été recommandé à la sous-préfecture la suspension des travaux pour permettre à ces sociétés de se conformer aux normes requises à travers l’obtention d’un permis environnemental et social, d’un permis d’exploitation de l’or et le paiement des infractions commises.

    C’est le 7 avril 2022, soit un an après la signature du projet de convention d’exploitation, que la société Yi Yuan a obtenu le permis d’exploitation délivré par le ministère des Mines, de l’’Énergie et de l’Eau pour exploiter une superficie de 100 kilomètres. Un permis qui ravive les tensions et les craintes liées à l’#impact_environnemental.

    Sursaut de la société civile

    Face à la dégradation des terres et pour venir en aide aux habitants, une organisation non gouvernementale procède au remblai des fosses d’anciens sites miniers, au reboisement et au curage des rivières.

    Mais aujourd’hui la nouvelle situation n’arrange pas les choses. “Cela impacte également notre projet de #barrage prévu à Lankalen. Ce projet a été annulé à cause des travaux des Chinois. Car les lieux sont proches l’un de l’autre. Ce qui impacte les activités, précisément les cours d’eau. Lorsqu’on analyse, il était impossible de pêcher cette année dans ces rivières, ni d’entretenir les plantes à cause des eaux de ruissellement issues des sites”, souligne Moustapha Berthé, agent de l’ONG Azhar.

    Sur place, la tension était vive le mardi 14 juin 2022. Ce jour-là, une rencontre entre les autorités régionales, communales et coutumières a eu lieu à la mairie de Naréna pour un retour au calme. “Les autorités locales de Kangaba ne cessent de signaler une agitation sociale au niveau de Naréna, précisément dans le village de #Bayan, où une société chinoise du nom de #Yi_Yuan, en partenariat avec des Maliens, s’installe après l’obtention bien sûr d’un permis d’exploitation. Alors par suite de déficit communicationnel, les populations locales ont tenu à montrer leur mécontentement”, a déclaré le colonel Lamine Kapory Sanogo, gouverneur de la région de Koulikoro, à la fin de la rencontre.

    https://www.courrierinternational.com/article/enquete-au-mali-des-terres-rendues-incultivables-par-le-fleau

    #Chine #Chinafrique #accaparement_des_terres #terres #or #extractivisme #terres_agricoles #résistance #mine #mines #orpaillage

  • Exterminez toutes ces brutes (1/4). La troublante conviction de l’ignorance

    Dans une puissante méditation en images, Raoul Peck montre comment, du génocide des Indiens d’Amérique à la Shoah, l’impérialisme, le colonialisme et le suprémacisme blanc constituent un impensé toujours agissant dans l’histoire de l’Occident.

    « Civilisation, colonisation, extermination » : trois mots qui, selon Raoul Peck, « résument toute l’histoire de l’humanité ». Celui-ci revient sur l’origine coloniale des États-Unis d’Amérique pour montrer comment la notion inventée de race s’est institutionnalisée, puis incarnée dans la volonté nazie d’exterminer les Juifs d’Europe. Le même esprit prédateur et meurtrier a présidé au pillage de ce que l’on nommera un temps « tiers-monde ».

    Déshumanisation
    Avec ce voyage non chronologique dans le temps, raconté par sa propre voix, à laquelle il mêle celles des trois auteurs amis qui l’ont inspiré (l’Américaine Roxanne Dunbar-Ortiz, le Suédois Sven Lindqvist et Michel-Rolph Trouillot, haïtien comme lui), Raoul Peck revisite de manière radicale l’histoire de l’Occident à l’aune du suprémacisme blanc. Tissant avec une grande liberté de bouleversantes archives photo et vidéo avec ses propres images familiales, des extraits de sa filmographie mais aussi des séquences de fiction (incarnées notamment par l’acteur américain Josh Hartnett) ou encore d’animation, il fait apparaître un fil rouge occulté de prédation, de massacre et de racisme dont il analyse la récurrence, l’opposant aux valeurs humanistes et démocratiques dont l’Europe et les États-Unis se réclament. « Exterminez toutes ces brutes », phrase prononcée par un personnage du récit de Joseph Conrad Au cœur des ténèbres, et que Sven Lindqvist a choisie comme titre d’un essai, résume selon Raoul Peck ce qui relie dans un même mouvement historique l’esclavage, le génocide des Indiens d’Amérique, le colonialisme et la Shoah : déshumaniser l’autre pour le déposséder et l’anéantir. De l’Europe à l’Amérique, de l’Asie à l’Afrique, du XVIe siècle aux tribuns xénophobes de notre présent, il déconstruit ainsi la fabrication et les silences d’une histoire écrite par les vainqueurs pour confronter chacun de nous aux impensés de sa propre vision du passé.

    https://www.arte.tv/fr/videos/095727-001-A/exterminez-toutes-ces-brutes-1-4

    #film #documentaire #film_documentaire #peuples_autochtones #récit #contre-récit #récit_historique #histoire #Séminoles #extrême_droite #suprémacisme_blanc #racisme #Grand_Remplacement #invasion #colonialisme #puissance_coloniale #extermination #Tsenacommacah #confédération_Powhatan #Eglise #inquisition #pureté_du_sang #sang #esclavage #génocide #colonialisme_de_peuplement #violence #terre #caoutchouc #pillage

    –-> déjà signalé plusieurs fois sur seenthis (notamment ici : https://seenthis.net/messages/945988), je remets ici avec des mots-clé en plus

  • Sankara n’est pas mort

    Au Burkina Faso, après l’insurrection populaire d’octobre 2014, Bikontine, un jeune poète, décide de partir à la rencontre de ses concitoyens le long de l’unique voie ferrée du pays. Du Sud au Nord, de villes en villages, d’espoirs en désillusions, il met à l’épreuve son rôle de poète face aux réalités d’une société en pleine transformation et révèle en chemin l’héritage politique toujours vivace d’un ancien président : Thomas Sankara.

    http://www.film-documentaire.fr/4DACTION/w_fiche_film/55381_1

    #Bukina_Faso #canne_à_sucre #plantation #coton

    Bikotine, le protagoniste :

    « Maman ? Je m’en vais. Je m’en vais loin du village. Je tire sur le fil d’araignée qui me permet d’aller où je veux, mais attaché à ma racine. Mes frères s’éparpilleront visiblement, et nous tisserons la toile du monde, dont le centre de gravité restera notre cher pays »

  • ’Virtually entire’ fashion industry complicit in Uighur forced labour, say rights groups | Global development | The Guardian
    https://www.theguardian.com/global-development/2020/jul/23/virtually-entire-fashion-industry-complicit-in-uighur-forced-labour-say
    https://i.guim.co.uk/img/media/ea298b59f9b1257df104da8be7636c0425b97bd2/107_0_1543_926/master/1543.jpg?width=1200&height=630&quality=85&auto=format&fit=crop&overlay-ali

    China is the largest cotton producer in the world, with 84% of its cotton coming from the Xinjiang region. Cotton and yarn produced in Xinjiang are used extensively in other key garment-producing countries such as Bangladesh, Cambodia and Vietnam. Xinjiang cotton and yarn are also used in textiles and home furnishings. This week the New York Times reported that factories in the region were also supplying face masks and other PPE to countries around the world.

    The coalition has published an extensive list of brands it claims continue to source from the region, or from factories connected to the forced labour of Uighur people, including Gap, C&A, Adidas, Muji, Tommy Hilfiger and Calvin Klein.

    #Chine #Ouïghours #coton #travail_forcé

  • « Les arguments favorables aux “#OGM” sont soumis à très peu d’esprit critique »
    https://www.lemonde.fr/idees/article/2020/07/18/les-arguments-favorables-aux-ogm-sont-soumis-a-tres-peu-d-esprit-critique_60

    C’est une histoire qui a presque deux décennies, mais elle éclaire toujours, aujourd’hui, la nature des débats sur les #biotechnologies. En 2001, Ignacio Chapela et David Quist, deux chercheurs de l’université de Californie à Berkeley (Etats-Unis) publiaient dans la revue Nature des résultats incommodants : les deux scientifiques assuraient avoir détecté, dans certaines variétés de maïs traditionnels mexicains, des traces de contamination génétique dues aux cultures américaines de maïs transgénique, à plusieurs centaines de kilomètres au nord.

    Au moment même où l’article était publié — et alors que nul n’avait encore pu l’examiner —, un déluge d’indignation s’abattit sur les éditeurs de la revue : les auteurs étaient des militants écologistes déguisés, leur méthode était défectueuse, leurs résultats étaient pourris, etc.

    Quelques mois plus tard, Nature publiait une notice de désaveu, regrettant la publication de l’étude — sans toutefois avoir le moindre élément pour une #rétractation en bonne et due forme. Du jamais-vu. Ces travaux étaient certainement imparfaits, mais sans doute pas plus que la grande majorité de ceux qui sont publiés chaque jour. M. Chapela n’en a pas moins subi, des mois durant, une vindicte si hargneuse, de la part de scientifiques convaincus des bienfaits des biotechs, que son emploi à Berkeley fut un temps menacé.

    Cette bronca était-elle si spontanée ? En novembre 2002, dans une chronique au Guardian, George Monbiot a raconté, preuves irréfutables à l’appui, comment une campagne de dénigrement avait été lancée contre M. Chapela et M. Quist par une #officine dont l’un des clients était une firme agrochimique bien connue. Des années plus tard, le 12 novembre 2008, Nature revenait sur l’affaire dans un bref article d’information : les résultats qu’elle avait désavoués avaient été reproduits par d’autres chercheurs.

    Cet exemple — parmi de nombreux autres — montre l’extraordinaire capacité des industriels à influencer le débat sur « les #OGM » (même si ce terme ne recouvre rien de précis).

    #paywall

    • [...]

      Ce défaut d’esprit critique à l’endroit des biotechno­logies végétales – telles qu’elles sont actuellement utilisées – est général et n’épargne pas le person­nel scientifique au sens large, bien au contraire. Pas plus, d’ailleurs, que l’auteur de ces lignes.

      Dans l’espace de cette chroni­que, il a ainsi déjà été affirmé qu’en #Inde, le #coton #transgénique #Bt (sécrétant une toxine insecticide) avait eu des résultats posi­tifs en termes de baisse du re­cours aux pesticides et d’augmentation des rendements. Cette affirmation est probablement fausse et il n’est jamais trop tard pour manger son chapeau.

      En mars, en pleine crise due au Covid­19, la revue Nature Plants a publié l’étude la plus exhaustive sur les effets de deux décennies de culture du coton transgénique Bt à l’échelle d’un grand pays. Elle est passée complètement inaperçue. Pour ceux qui ont cru au miracle du coton Bt indien, ses conclu­sions sont cruelles.

      Certes, expliquent ses auteurs, Keshav Kranthi (International Cotton Advisory Committee, à Washington) et Glenn Davis Stone (université Washington, à Saint Louis), le coton Bt ne peut être rendu responsable d’une quelcon­que épidémie de #suicides parmi les #agriculteurs indiens – selon une idée répandue chez les détrac­teurs des #biotechs.

      Mais aucun des grands bénéfices que lui attribuent ses supporteurs n’est réel ou n’a tenu sur la durée. Après avoir décortiqué vingt ans de données, M. Kranthi et M. Stone indiquent que l’introduc­tion du coton Bt en Inde s’est bien accompagnée d’une réduction de l’utilisation des #pesticides, mais celle­ci n’a été qu’« éphémère ». Avec l’apparition de résistances à la toxine Bt chez certains #insectes et la prolifération de #ravageurs secondaires non ciblés, « les agri­culteurs dépensent aujourd’hui plus en pesticides qu’avant l’intro­duction du Bt », écrivent les deux auteurs. « Tout indique que la si­uation va continuer à se détério­rer », ajoutent-­ils.

      Ce n’est pas fini. Certaines cour­bes fièrement exhibées par les promoteurs des biotechs sem­blent montrer un lien entre l’arri­vée du coton transgénique Bt et l’augmentation des rendements. Vraiment ? Non seulement corré­lation n’est pas causalité, mais une fois examinée de plus près, à l’échelle de chaque région indienne, la corrélation apparaît el­le-même douteuse. « L’adoption du coton Bt s’avère être un mauvais indicateur de l’évolution des rendements », expliquent les deux chercheurs. « Les augmentations de rendement correspon­dent plutôt à des évolutions dans l’usage des engrais et d’autres intrants », précisent­-ils.

      Dans les années 1990, lors du lancement des premières cultu­res transgéniques, l’autorité de la parole scientifique a été large­ment convoquée, auprès de l’opinion, pour faire de la pédagogie : ces nouvelles plantes – tolérantes à des herbicides ou résistantes à certains ravageurs – allaient aug­menter les rendements, faire baisser le recours aux intrants et bénéficier à l’ensemble de la société.

      Avec deux à trois décennies de recul, tout cela s’est révélé au mieux indémontrable, au pire complètement faux. La transge­nèse ou l’édition du génome peu­vent apporter des innovations utiles dans de nombreux domai­nes, et peut­ être le feront­-elles. Mais il y a fort à parier que, dans leurs principaux usages agricoles, elles n’ont jusqu’à présent pas tenu leurs promesses.

  • Le passé nauséabond de l’industrie textile suisse

    Bien qu’elle n’ait pas eu de colonies, la Suisse a profité du colonialisme. C’est ce que montre l’histoire des #indiennes_de_coton imprimé. Le commerce de ces #tissus colorés avait des liens avec l’#exploitation_coloniale, le #prosélytisme_religieux et le #commerce_des_esclaves.

    Au 17e siècle, le #coton imprimé venait d’#Inde – la seule région possédant le savoir-faire nécessaire. Mais bientôt, cette technique de production d’étoffes imprimées de couleurs vives fut copiée par les Britanniques et les Néerlandais qui, grâce à la mécanisation, les produisaient à meilleur prix. Ils supplantèrent l’industrie textile indienne. Les « indiennes » claires et abordables produites en Europe connurent une telle vogue que, sous la pression des producteurs de laine, de soie et de lin, Louis XIV, le Roi-Soleil, dut interdire leur production et leur importation.

    Cette interdiction fut une aubaine pour la Suisse du 17e siècle. Des #huguenots français qui s’étaient réfugiés en Suisse pour fuir les persécutions religieuses dans leur pays fondèrent des #usines_textiles à #Genève et à #Neuchâtel, d’où ils pouvaient écouler les indiennes en France par #contrebande. La demande atteignait alors un sommet : en 1785, la #Fabrique-Neuve de #Cortaillod, près de Neuchâtel, devint la plus grande manufacture d’indiennes d’Europe, produisant cette année-là 160’000 pièces de #coton_imprimé.

    Le boom en Suisse et le commerce des esclaves

    Le commerce des indiennes a apporté une énorme prospérité en Suisse, mais il avait une face obscure : à l’époque, ces étoffes étaient utilisées en Afrique comme monnaie d’échange pour acheter les #esclaves qui étaient ensuite envoyés en Amérique. En 1789 par exemple, sur le #Necker, un navire en route pour l’Angola, les étoffes suisses représentaient les trois quarts de la valeur des marchandises destinées à être échangées contre des esclaves.

    Les entreprises textiles suisses investissaient aussi directement leurs fortunes dans la #traite des noirs. Des documents montrent qu’entre 1783 et 1792, la société textile bâloise #Christoph_Burckardt & Cie a participé au financement de 21 #expéditions_maritimes qui ont transporté au total 7350 Africains jusqu’en Amérique. Une grande partie de la prospérité des centres suisses du textile était liée au commerce des esclaves, que ce soit à Genève, Neuchâtel, #Aarau, #Zurich ou #Bâle.

    Un projet colonial

    Au milieu du 19e siècle, la Suisse était devenue un des plus importants centres du commerce des #matières_premières. Des marchands suisses achetaient et revendaient dans le monde entier des produits tels que le coton indien, la #soie japonaise ou le #cacao d’Afrique de l’Ouest. Bien que ces marchandises n’aient jamais touché le sol helvétique, les profits étaient réalisés en Suisse.

    L’abolition de l’esclavage aux États-Unis à la suite de la guerre de Sécession a conduit à une crise des matières premières, en particulier de la production du coton qui était largement basée sur une économie esclavagiste. Le marché indien prit encore plus d’importance. L’entreprise suisse #Volkart, active aux Indes depuis 1851, se spécialisa alors dans le commerce du #coton_brut. Afin d’étendre ses activités dans ce pays, elle collabora étroitement avec le régime colonial britannique.

    Les Britanniques dirigeaient la production et, sous leur joug, les paysans indiens étaient contraints de cultiver du coton plutôt que des plantes alimentaires et devaient payer un impôt foncier qui allait directement dans les caisses du gouvernement colonial. Combinée avec l’extension du réseau de chemins de fer à l’intérieur du sous-continent indien, cette politique oppressive permit bientôt à Volkart de prendre en charge un dixième de l’ensemble des exportations de coton vers les manufactures textiles d’Europe. Volkart avait son siège à #Winterthour et occupait ainsi une situation centrale sur le continent européen d’où elle pouvait approvisionner les #filatures installées en Italie, dans le nord de la France, en Belgique, dans la Ruhr allemande ou dans toute la Suisse.

    Les collaborateurs de Volkart devaient éviter les comportements racistes, mais cela ne les empêcha pas d’adopter en Inde certains usages de l’occupant colonial britannique : les Indiens n’avaient pas accès aux salles de détente des employés européens.

    Ardeur missionnaire

    Une autre entreprise prospère à l’époque coloniale fut la #Société_évangélique_des_missions_de_Bâle, ou #Mission_bâloise. Fondée en 1815 par des protestants suisses et des luthériens allemands, son but était de convertir les « païens » au #christianisme. Elle a connu un certain succès au sud de l’Inde dans les territoires des États actuels du #Kerala et du #Karnataka, en particulier auprès des Indiens des couches sociales inférieures qui accédaient ainsi pour la première fois à la formation et à la culture.

    Toutefois, en se convertissant à une autre religion, les autochtones prenaient le risque d’être exclus de leur communauté et de perdre ainsi leur gagne-pain. La Mission de Bâle a réagi en créant des filatures afin de donner des emplois aux réprouvés. Elle résolvait ainsi un problème qu’elle avait elle-même créé et en tirait encore des bénéfices : dans les années 1860, la Mission exploitait quatre filatures et exportait des textiles aux quatre coins de l’#Empire_britannique, de l’Afrique au Proche-Orient en passant par l’Australie.

    L’industrie textile a largement contribué à la prospérité de la Suisse mais de nombreux déshérités l’ont payé au prix fort dans les pays lointains. La Suisse n’était peut-être pas une puissance coloniale indépendante, mais elle a énormément profité du colonialisme.

    https://www.swissinfo.ch/fre/indiennes_le-pass%C3%A9-naus%C3%A9abond-de-l-industrie-textile-suisse/45862606

    #histoire #histoire_suisse #industrie_textile #textile #colonialisme #colonisation #Suisse

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  • La #Suisse et ses colonies

    La Suisse n’avait pas de colonies – et pourtant, des Suisses fonctionnaient en harmonie avec les puissances coloniales et bénéficiaient, en tant que resquilleurs économiques, de l’appropriation militaire des #terres et des #ressources.

    Vers 1800, les naturalistes européens décrivaient les Confédérés comme des « semi-sauvages » qui rappelaient les visites aux « peuples non éduqués sur des côtes pacifiques ». L’Europe intellectuelle voyait dans les Suisses des gens qui vivaient encore dans leur état naturel — une image déformée que les Suisses se sont appropriée. Aucune publicité pour des yaourts et aucun concept touristique ne peut se passer d’images exotiques où les Suisses apparaissent comme de « nobles sauvages ». Cette image de soi se retrouve encore dans la rhétorique politique qui s’embrase de temps en temps, selon laquelle la Suisse menace de devenir une colonie de l’Union européenne.

    Pourtant, dans leur histoire moderne, les Suisses se sont rarement rangés du côté des colonisés, mais plus souvent du côté des colonisateurs. Il est vrai que la Suisse, en tant qu’État-nation, n’a pas poursuivi de politique impérialiste et n’a soumis aucune colonie. Même des tentatives de création d’organisations économiques comme la Compagnie des Indes orientales ont échoué.

    Cependant, le colonialisme inclut la conviction que les habitants des zones colonisées étaient inférieurs aux Européens blancs. Cette idée faisait également partie de la compréhension générale du monde dans la Suisse du 19e siècle.

    Des générations de Suisses ont grandi avec des histoires pour enfants présentant des « négrillons stupides », des reportages sur des sauvages naïfs et enfantins et des images publicitaires dans lesquelles les colonisés apparaissaient au mieux comme des figurants pour les produits coloniaux. Cet #héritage continue de marquer le pays jusqu’à aujourd’hui.

    Des #soldats_suisses dans les colonies

    Mais le problème de l’enchevêtrement historique de la Suisse avec le colonialisme va bien au-delà de polémiques sur des noms ou du déboulonnage de statues. Cela semble particulièrement évident dans les colonies où des Suisses ont combattu comme soldats.

    Quand, en 1800, les esclaves noirs de l’île de #Saint-Domingue — dans l’actuelle Haïti — se sont soulevés contre leurs maîtres français, Napoléon a fait combattre 600 Suisses, qui avaient été mis contractuellement à la disposition de la France par le gouvernement helvétique contre rémunération. Mais ce ne fut pas un cas isolé. Même après la fondation de l’État fédéral en 1848, des Suisses ont continué à se battre pour les puissances coloniales — bien qu’illégalement.

    L’une des motivations était la solde des #mercenaires. Ils touchaient en effet une bonne rente s’ils ne mouraient pas d’une maladie tropicale dans leurs premiers mois de services ou s’ils ne mettaient pas prématurément fin à leur engagement.

    Commerce des esclaves

    Cependant, les grandes sommes d’argent des colonies n’allaient pas aux mercenaires, qui venaient souvent de familles démunies et voyaient le fait de servir les Pays-Bas ou la France comme une grande aventure, mais dans le #commerce des marchandises coloniales — et dans le commerce des habitants des colonies.

    L’une des imbrications les plus problématiques de la Suisse avec le colonialisme mondial est celle de la #traite_des_esclaves.

    Des Suisses et des entreprises suisses ont profité de l’#esclavage en tant qu’#investisseurs et #commerçants. Ils ont organisé des #expéditions_d’esclaves, acheté et vendu des personnes et cultivé des #plantations dans des colonies en tant que #propriétaires_d’esclaves.

    Le système de l’esclavage a fonctionné dans l’Atlantique jusqu’au XIXe siècle sous forme de commerce triangulaire : des navires chargés de marchandises de troc naviguaient vers les côtes africaines, où ils échangeaient leur cargaison contre des esclaves. Ces derniers étaient ensuite transportés à travers l’océan. Enfin, les navires revenaient d’Amérique vers l’Europe chargés de produits fabriqués par les esclaves : le sucre, le café et surtout le coton.

    Selon Hans Fässler, qui fait des recherches sur l’histoire des relations suisses et de l’esclavage depuis des décennies, la Suisse a importé plus de #coton que l’Angleterre au XVIIIe siècle. Il souligne également que la traite des esclaves était une industrie clef qui a rendu possible la production de nombreux biens. Pour dire les choses crûment : sans le coton cueilli par les esclaves, l’#industrialisation de la production #textile suisse aurait été impossible.

    Une branche de cette industrie a manifestement bénéficié directement de la traite des esclaves : les producteurs de ce que l’on appelle les #tissus_indiens. Ceux-ci ont été produits pour le marché européen, mais aussi spécifiquement comme moyen d’échange pour le #commerce_triangulaire. Souvent, même les modèles ont été conçus pour répondre au goût des trafiquants d’êtres humains qui échangeaient des personnes contre des produits de luxe sur les côtes africaines.

    Une famille suisse qui produisait ce genre de tissus faisait la publicité suivante dans une annonce de 1815 : « La société #Favre, #Petitpierre & Cie attire l’attention des armateurs de navires négriers et coloniaux sur le fait que leurs ateliers tournent à plein régime pour fabriquer et fournir tous les articles nécessaires au troc des noirs, tels que des indiennes et des mouchoirs ».

    Passage à un colonialisme sans esclaves

    Après l’interdiction de la traite des esclaves aux États-Unis, l’industrie textile mondiale a sombré dans une crise des #matières_premières : les marchés du coton en #Inde redevenaient plus attractifs. La société suisse #Volkart, qui opérait en Inde depuis 1851, en a profité et s’est spécialisée dans le commerce du coton brut en Inde. Ici, les Britanniques contrôlaient la production : les agriculteurs indiens étaient obligés de produire du coton au lieu de denrées alimentaires. Grâce à une étroite collaboration avec les Britanniques, Volkart a pu rapidement prendre en charge un dixième de toutes les exportations indiennes de coton vers les usines textiles de toute l’Europe.

    Une autre entreprise qui a bien survécu à la crise provoquée par la fin de l’esclavage est la #Mission_de_Bâle, la communauté missionnaire évangélique. Soutenue par les mêmes familles bâloises qui avaient auparavant investi dans la traite des esclaves, la mission a ouvert un nouveau modèle commercial : elle a converti les « païens » au christianisme en Inde. Les convertis étaient abandonnés par leurs communautés et la Mission de Bâle les laissait alors travailler dans ses usines de tissage.

    Un missionnaire faisait ainsi l’éloge de ce modèle vers 1860 : « Si des païens veulent se convertir au Christ (...) nous les aiderons à trouver un abri autour des #fermes_missionnaires et à trouver un emploi pour gagner leur vie, que ce soit dans l’agriculture ou dans tout autre commerce. C’est ce qu’on appelle la colonisation. »

    Le colonialisme comprend également l’exploitation de relations de pouvoir asymétriques au profit économique des colons. Cependant, l’État suisse a laissé la recherche de ce profit dans les colonies entièrement à l’initiative privée. Des demandes parlementaires appelant à un plus grand soutien à « l’émigration et au colonialisme » par l’État fédéral ont été rejetées. Le Conseil fédéral objectait notamment qu’un pays sans accès à la mer ne pouvait pas coloniser et que la Confédération n’était pas à même d’assumer une telle responsabilité.

    Il est intéressant de noter que ces demandes ont été faites dans les années 1860 par les démocrates radicaux, ceux-là mêmes qui préconisaient des réformes sociales et se battaient pour une plus grande influence de la démocratie directe face à la bourgeoisie au pouvoir. Les démocrates radicaux qui soutenaient le colonialisme se considéraient comme les représentants de ceux qui fuyaient la pauvreté et la faim en Suisse.

    La politique d’émigration de la Suisse a en effet changé au XIXe siècle : si, au début du siècle, les colonies étaient encore considérées comme des lieux d’accueil de personnes que l’on ne pouvait plus nourrir, elles sont devenues de plus en plus la base de réseaux mondiaux. Les colonies offraient un terrain d’essai à de nombreux jeunes commerçants.

    Les Suisses jouissaient des mêmes privilèges que les membres des régimes coloniaux européens — ils étaient des colons, mais sans patrie impérialiste. En 1861, l’économiste allemand #Arwed_Emminghaus admirait cette stratégie des « liens commerciaux étendus » de la Suisse et la considérait comme une variation de la politique expansionniste impériale des puissances coloniales : « Nul besoin de flottes coûteuses, ni d’administration coûteuse, ni de guerre ou d’oppression ; les #conquêtes se font par la voie la plus pacifique et la plus facile du monde. »

    Sources (en allemand)

    – Andreas Zangger: Koloniale Schweiz. Ein Stück Globalgeschichte zwischen Europa und Südostasien (1860-1930). Berlin 2011.
    - Lea Haller: Transithandel: Geld- und Warenströme im globalen Kapitalismus. Frankfurt am Main 2019.
    - Patricia Purtschert, Barbara Lüthi, Francesca (Hg.): Postkoloniale Schweiz: Formen und Folgen eines Kolonialismus ohne Kolonien
    - Thomas David, Bouda Etemad, Janick Marina Schaufelbuehl: Schwarze Geschäfte. Die Beteiligung von Schweizern an Sklaverei und Sklavenhandel im 18. und 19. Jahrhundert. Zürich 2005.
    - Hans Fässler: Reise in schwarz-weiss: Schweizer Ortstermine in Sachen Sklaverei. Zürich 2005.

    https://www.swissinfo.ch/fre/la-suisse-et-ses-colonies/45906046

    #colonialisme_suisse #Suisse_coloniale #colonialisme #colonisation #impérialisme

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  • #Pick_a_Bale_of_Cotton - #Lonnie_Donegan

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    https://www.youtube.com/watch?v=-ILbUduwBkg


    #esclavage #chanson #musique #travail #coton #plantation #plantations

    ping @reka @odilon

  • #OGM - Mensonges et vérités

    La #controverse entre pro-OGM (organismes génétiquement modifiés) et anti-OGM rend le débat passionnel et parfois incompréhensible. Ce tour d’horizon mondial démêle le vrai du faux, preuves scientifiques à l’appui.

    Depuis plus de vingt ans, les OGM (organismes génétiquement modifiés), en particulier les plantes, ne cessent de s’étendre sur la planète, dans le but d’améliorer les rendements de soja, maïs, coton, colza, riz, etc. Dix pays, sur les vingt-huit qui en cultivent, représentent, à eux seuls, 98 % de la superficie mondiale des cultures transgéniques – soit 11 % des terres cultivées –, essentiellement sur le continent américain, le sous-continent indien et en Chine. Aux États-Unis, où les premières plantations de soja transgénique ont été introduites en 1996, les OGM représentent environ 90 % des cultures de soja, de maïs et de coton. Selon leurs défenseurs, ils sont indispensables pour répondre aux besoins d’une population en forte croissance. C’est l’argument du géant du secteur, le semencier américain Monsanto, qui produit aussi le célèbre Roundup, un herbicide total dont la substance active, le glyphosate, épargne les plantes OGM.


    https://www.arte.tv/fr/videos/057483-000-A/ogm-mensonges-et-verites

    #film #documentaire #reportage #vidéo
    #BT #maïs_BT #rentabilité #TH #soja #Roundup #USA #Etats-Unis #monoculture #agriculture #élevage #Argentine #Monsanto #pommes_De_terre #risques #génie_génétique #toxine_BT #pesticides #industrie_agro-alimentaire #glyphosate #herbicide #super_mauvaises_herbes #darwinisme #soja_roundup_ready #atrazin #business #santé #cancer #Mexique #propriété_intellectuelle #brevets #Percy_Schmeiser #sécurité_alimentaire #Ghana #malformation_congénitale #justice #biodiversité

    #USAID (qui lie #aide_au_développement et utilisation de OGM dans le pays qui va recevoir l’aide)

    #Gates_Foundation (qui finance des tests de plantes OGM au Ghana)

    #biotechnologie_agricole #coton #Bukina_Faso #coton_BT #Sofitex #rendements #Geocoton #Roundup_Ready_Flex_Cotton #néo-colonialisme

    #MON810 #maïs_MON810 #riz_doré #riz #Philippines #golden_rice #Syngenta #technologie #dengue #oxitec #moustiques_transgéniques #AGM #animaux_génétiquement_modifiés

    • Une ONG présentée dans le film, au Ghana :
      #Food_sovereignty_ghana

      Food Sovereignty Ghana is a grass-roots movement of Ghanaians, home and abroad, dedicated to the promotion of food sovereignty in Ghana. Our group believes in the collective control over our collective resources, rather than the control of our resources by multinational corporations and other foreign entities. This movement is a product of Special Brainstorming Session meeting on the 21st of March, 2013, at the Accra Freedom Centre. The meeting was in response to several calls by individuals who have been discussing, writing, or tweeting, about the increasing phenomenon of land grabs, the right to water and sanitation as a fundamental human right, water privatization issues, deforestation, climate change, carbon trading and Africa’s atmospheric space, and in particular, the urgent issue of the introduction of GM food technology into our agriculture, particularly, its implications on food sovereignty, sustainable development, biodiversity, and the integrity of our food and water resources, human and animal health, and our very existence as a politically independent people. These calls insisted that these issues need to be comprehensively addressed in a systematic and an organized manner.

      Foremost in these calls was the need for a comprehensive agricultural policy that respects the multi-functional roles played by agriculture in our daily lives, and resists the avaricious calculations behind the proposition that food is just another commodity or component for international agribusiness. The trade in futures or speculation involving food have pushed food prices beyond the reach of almost a billion of people in the world who go to bed, each day, hungry. Even though we have have doubled the amount of food to feed everybody in the world today, people still don’t have access to food. The primary cause of this is the neo-liberal agenda of the imperialists, such as the SAP, EPA, AGOA, TRIPS, AoA, AFSNA, AGRA, which have the focus on marginalising the small family farm agriculture that continues to feed over 80% of Africa and replacing them with governance structures, agreements and practices that depend on and promote unsustainable and inequitable international trade and give power to remote and unaccountable corporations.

      We came together in order to help turn a new leaf. We see a concerted effort, over the years, to distort our agriculture to such an extent that today, our very survival as a free and independent people crucially depend on how fast we are able to apply the breaks, and to rather urgently promote policies that focus on food for people, and value our local food providers, the arduous role of the resilient small family farm for thousands of years. We need to resist imperialist policies such as the Structural Adjustment Programmes of the World Bank and the IMF which rolled away 30 years of gains towards food sovereignty in the 1970s and 80s. Those African countries that graduated from the SAP were subsequently slammed with HIPIC. In all these years, the imperialist countries fortified their agricultural production with heavy government subsidies, as Africa saw the imposition of stringent conditionality removing all government subsidies on our own agriculture. The effect has been a destruction of our local food production capacity and a dependence on corporations for our daily food needs. This has had a devastating effect on Africa’s agriculture, and our ability to feed ourselves.

      We believe that a proper analysis of the food crisis is a matter that cannot be left with trade negotiators, investment experts, or agricultural engineers. It is essentially a matter of political economy. As Jean Ziegler succinctly puts it, “Every child who dies of hunger in today’s world has been murdered.” Our Food Under Our Control! is determined to make sure that such a crime becomes impossible in Ghana. Our number one mission is to switch the language from food security to food sovereignty as the goal, to repeat the words food sovereignty at every opportunity and say we don’t want food security, that can still be dependence, we want food sovereignty, we need food sovereignty. This is not the same as “food security”. A country can have food security through food imports. Dependence on food imports is precarious and prone to multiple risks — from price risks, to supply risks, to conditionality risks (policy conditions that come with food imports). Food sovereignty, on the other hand, implies ensuring domestic production and supply of food. It means that the nationals of the country (or at the very least nationals within the region) must primarily be responsible for ensuring that the nation and the region are first and foremost dependent on their own efforts and resources to grow their basic foods.

      Aims and objectives:

      1. To help promote the people’s right to healthy and culturally appropriate food produced through ecologically sound and sustainable methods, and to generally ensure the priority of domestic food crops produced by small farms over export crops.

      2. To help create mass awareness about the political, economic, health and environmental impacts of genetically modified food technology and defend the right of the people to define their own food and agricultural systems.

      3. To help ensure small farms are sustained by state provision and facilitation of necessary infrastructure: Security of land tenure, Water, Financial credit, Energy, Fertilizers, Transport, Storage, Extension service, Marketing, Technology and Equipment for production, harvesting, storage and transport, and Insurance against crop failures due to climate changes, or other unforeseen circumstances.

      4. To help resist the theft, destruction, and loss of the Commons, our natural and indigenous resources, by means of laws, commercial contracts and intellectual property rights regimes, and to generally serve as the watch-dog over all aspects of agricultural sustainability in Ghana.

      5. To help protect and preserve public access to and ownership of the Commons: Water, Land, Air, Seeds, Energy, Plants, Animals, and work closely with like-minded local, national, and international organisations in the realization of the foregoing objectives.


      http://foodsovereigntyghana.org

    • Un chercheur, #Damián_Verzeñassi de l’#université_de_Rosario, mentionné il y a une année dans un article de Mediapart :

      Argentine : soja transgénique voisine avec maladies

      Avia Terai, ville de 10 000 habitants, est exposée aux pulvérisations incessantes sur ses champs de soja et de coton de glyphosate, le composant de base de l’herbicide de Monsanto. Un pesticide que l’Organisation mondiale pour la santé a étiqueté cancérogène en 2015. Ici, des enfants naissent avec des malformations, des troubles neurologiques sévères et le taux de cancer est trois fois plus élevé que la moyenne nationale, selon l’étude du docteur argentin Damián Verzeñassi de l’université de Rosario. De son côté, Monsanto nie catégoriquement l’authenticité de ces études et considère que la #toxicité de son produit phare Roundup n’a pas encore été prouvée.

      https://www.mediapart.fr/studio/portfolios/argentine-soja-transgenique-voisine-avec-maladies

      Le chercheur a fait une étude dans laquelle il montrait un lien entre le glyphosate et le développement de cancer :
      “Hay una incidencia del glifosato en los nuevos casos de cáncer”

      Desde 2010 se hicieron relevamientos en 32 localidades de la región pampeana y se relevaron más de 110 mil personas. Según Verzeñassi, si se encontró en estas localidades, donde se aplicó el modelo productivo con transgénicos a base de agrotóxicos, un pico muy importante de casos de cáncer, hipotiroidismo y abortos espontáneos.


      https://rosarionuestro.com/hemos-encontrado-un-incremento-en-la-incidencia-del-glifosato-en-los

    • #Red_de_Médicos_de_Pueblos_Fumigados (Argentine)

      La Red Universitaria de Ambiente y Salud (REDUAS) es una coordinación entre profesionales universitarios, académicos, científicos, miembros de equipos de salud humana en sus distintos niveles y demás estudiosos, preocupados por los efectos deletéreos de la salud humana que genera el ambiente degradado a consecuencias de la actividad productiva humana, especialmente cuando esta se da a gran escala y sustentada en una visión extractivista.

      La REDUAS surge como una de las decisiones tomadas en el 1º Encuentro de Médicos de Pueblos Fumigados, realizado en la Facultad de Ciencias Médicas de la Universidad Nacional de Córdoba y organizado por el Modulo de Determinantes Sociales de la Salud de la Cátedra de Pediatría y por la Cátedra de Medicina I de dicha Facultad; concretado el 26 y 27 de agosto de 2010

      La REDUAS se construye para unir, coordinar y potenciar el trabajo de investigación científica, asistencia sanitaria, análisis epidemiológico y divulgación ,difusión y defensa del derecho a la salud colectiva, que realizan equipos que desarrollan este tipo de actividades en 10 provincias distintas de la Republica Argentina y que se encuentran activados por el problema del daño a la salud que ocasiona la fumigación o aspersión, sistemática de más de 300 millones de litros de plaguicidas sobre casi 12 millones de personas que conviven con los sembradíos de cultivos agroindustriales.

      Para avanzar en ese sentido se propone aportar al debate público por la necesidad de construir prácticas productivas que permitan una supervivencia feliz de la especie humana en la superficie terrestre y de la responsabilidad publica, privada, colectiva e individual en el resguardo de esas condiciones ecológicas.

      Considerando al derecho a la salud, como uno de los valores sociales que debemos tratar de privilegiar en el análisis de las decisiones políticas y económicas que se toman en nuestra sociedad, creemos necesario ampliar la difusión del conocimiento de los datos científicos que se dispone, y que muchas veces se invisibilizan; aportar a la generación de nuevos datos e informaciones experimentales y observacionales – poblacionales; y potenciar la voz de los equipos de salud, investigadores y pobladores en general afectados en sus derechos por agresiones ambiéntales generadas por practicas productivas ecológicamente agresivas.


      http://reduas.com.ar
      #résistance

    • #Madres_de_Ituzaingo_Anexo-Cordoba
      http://madresdeituzaingoanexo.blogspot.fr

      Madres de #Ituzaingó: 15 años de pelea por el ambiente

      En marzo de 2002 salieron a la calle por primera vez para reclamar atención sanitaria ante la cantidad de enfermos en el barrio.Lograron mejorar la zona y alejar las fumigaciones, nuevas normas ambientales y un juicio inédito. Dicen que la lucha continúa. Un juicio histórico


      http://www.lavoz.com.ar/ciudadanos/madres-de-ituzaingo-15-anos-de-pelea-por-el-ambiente
      #Sofia_Gatica

    • Transgenic DNA introgressed into traditional maize landraces in #Oaxaca, Mexico

      Concerns have been raised about the potential effects of transgenic introductions on the genetic diversity of crop landraces and wild relatives in areas of crop origin and diversification, as this diversity is considered essential for global food security. Direct effects on non-target species1,2, and the possibility of unintentionally transferring traits of ecological relevance onto landraces and wild relatives have also been sources of concern3,4. The degree of genetic connectivity between industrial crops and their progenitors in landraces and wild relatives is a principal determinant of the evolutionary history of crops and agroecosystems throughout the world5,6. Recent introductions of transgenic DNA constructs into agricultural fields provide unique markers to measure such connectivity. For these reasons, the detection of transgenic DNA in crop landraces is of critical importance. Here we report the presence of introgressed transgenic DNA constructs in native maize landraces grown in remote mountains in Oaxaca, Mexico, part of the Mesoamerican centre of origin and diversification of this crop7,8,9.

      https://www.nature.com/articles/35107068

    • #Gilles-Éric_Séralini

      Gilles-Éric Séralini, né le 23 août 1960 à Bône en Algérie1, est un biologiste français, professeur de biologie moléculaire à l’université de Caen2. Il est cofondateur, administrateur et membre du conseil scientifique du CRIIGEN3, parrain de l’association Générations Cobayes4 et lanceur d’alerte5. Il est aussi membre du conseil scientifique de The Organic Center6, une association dépendant de l’Organic Trade Association (en)7, « le principal porte-parole du business bio aux États-Unis »8, et parrain de la Fondation d’entreprise Ekibio9.

      Il s’est fait notamment connaître du grand public pour ses études sur les OGM et les pesticides, et en particulier en septembre 2012 pour une étude toxicologique portée par le CRIIGEN mettant en doute l’innocuité du maïs génétiquement modifié NK 603 et du Roundup sur la santé de rats10,11. Cette étude, ainsi que les méthodes utilisées pour la médiatiser, ont été l’objet d’importantes controverses, les auteurs étant accusés d’instrumentaliser de la science, ou même suspectés de fraude scientifique12,13. En réalité, les agences de santé européennes et américaines réagissent sur le tard, indiquant les lacunes et faiblesses méthodologiques rédhibitoires de la publication (notamment un groupe de contrôle comportant un nombre d’individus ridiculement bas). Certains dénoncent aussi un manque de déontologie pour s’assurer d’un « coup de communication ». La revue Food and Chemical Toxicology retire l’étude en novembre 2013.


      https://fr.wikipedia.org/wiki/Gilles-%C3%89ric_S%C3%A9ralini

      Dans le documentaire on parle notamment d’un article qu’il a publié dans la revue « Food and chemical toxicology », que j’ai cherché sur internet... et... suprise suprise... je l’ai trouvé, mais le site de Elsevier dit... « RETRACTED »
      Long term toxicity of a Roundup herbicide and a Roundup-tolerant genetically modified maize
      https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0278691512005637

      Il est par contre dispo sur sci-hub !
      http://sci-hub.tw/https://doi.org/10.1016/j.fct.2012.08.005

      voici la conclusion :

      In conclusion, it was previously known that glyphosate con- sumption in water above authorized limits may provoke hepatic and kidney failures ( EPA ). The results of the study presented here clearly demonstrate that lower levels of complete agricultural gly- phosate herbicide formulations, at concentrations well below offi- cially set safety limits, induce severe hormone-dependent mammary, hepatic and kidney disturbances. Similarly, disruption of biosynthetic pathways that may result from overexpression of the EPSPS transgene in the GM NK603 maize can give rise to com- parable pathologies that may be linked to abnormal or unbalanced phenolic acids metabolites, or related compounds. Other muta- genic and metabolic effects of the edible GMO cannot be excluded. This will be the subject of future studies, including transgene and glyphosate presence in rat tissues. Reproductive and multigenera- tional studies will also provide novel insights into these problems. This study represents the first detailed documentation of long- term deleterious effects arising from the consumption of a GM R- tolerant maize and of R, the most used herbicide worldwide. Altogether, the significant biochemical disturbances and physi- ological failures documented in this work confirm the pathological effects of these GMO and R treatments in both sexes, with different amplitudes. We propose that agricultural edible GMOs and formu- lated pesticides must be evaluated very carefully by long term studies to measure their potential toxic effects.

    • #RiskOGM

      RiskOGM constitue depuis 2010 l’action de recherche du ministère en charge de l’Écologie, du Développement durable et de l’Énergie pour soutenir la structuration d’une communauté scientifique et le développement de connaissances, de méthodes et de pratiques scientifiques utiles à la définition et à la mise en œuvre des politiques publiques sur les OGM.

      Le programme s’appuie sur un Conseil Scientifique et sur un Comité d’Orientation qui réunit des parties prenantes.

      Les axes de recherche prioritaires identifiés portent sur les plans de surveillance générale des OGM, la coexistence des cultures, la gouvernance, les aspects économiques, éthiques et sociaux ou encore la démarche globale d’analyse de la sécurité des aliments contenant des produits transgéniques,

      3 projets en cours ont été soutenus après un 1er appel à proposition fin 2010. Fin 2013, suite à un deuxième appel, le projet (#PGM / #GMO90plus) a été sélectionné et soutenu à hauteur de 2,5 M€. Il vise à une meilleure connaissance des effets potentiels sur la santé de la consommation sur une longue durée de produits issus des plantes génétiquement modifiées.

      http://recherche-riskogm.fr/fr
      #programme_de_recherche

      Un projet dont fait partie #Bernard_Salles, rattaché à l’INRA, interviewé dans le documentaire.
      Lui, semble clean, contrairement au personnage que je vais un peu après, Pablo Steinberg

    • Projet #G-Twyst :

      G-TwYST is the acronym for Genetically modified plants Two Year Safety Testing. The project duration is from 21 April 2014 – 20 April 2018.

      The European Food Safety Authority (EFSA) has developed guidance for the risk assessment of food and feed containing, consisting or produced from genetically modified (GM) plants as well as guidance on conducting repeated-dose 90-day oral toxicity study in rodents on whole food/feed. Nonetheless, the long-term safety assessment of genetically modified (GM) food/feed is a long-standing controversial topic in the European Union. At the present time there are no standardized protocols to study the potential short-, medium- and/or long-term toxicity of GM plants and derived products. Against this backdrop the main objective of the G-TwYST project is to provide guidance on long-term animal feeding studies for GMO risk assessment while at the same time responding to uncertainties raised through the outcomes and reports from recent (long-term) rodent feeding studies with whole GM food/feed.

      In order to achieve this, G-TwYST:

      Performs rat feeding studies for up to two years with GM maize NK603. This includes 90 day studies for subchronic toxicity, 1 year studies for chronic toxicity as well as 2 year studies for carcinogenicity. The studies will be based on OECD Test Guidelines and executed according to EFSA considerations
      Reviews recent and ongoing research relevant to the scope of G-TwYST
      Engages with related research projects such as GRACE and GMO90plus
      Develops criteria to evaluate the scientific quality of long-term feeding studies
      Develops recommendations on the added value of long-term feeding trials in the context of the GMO risk assessment process.
      As a complementary activity - investigates into the broader societal issues linked to the controversy on animal studies in GMO risk assessment.
      Allows for stakeholder engagement in all key steps of the project in an inclusive and responsive manner.
      Provides for utmost transparency of what is done and by whom it is done.

      G-TwYST is a Collaborative Project of the Seventh Framework Programme of the European Community for Research, Technological Development and Demonstration Activities. The proposal for G-TwYST was established in reponse to a call for proposals on a two-year carcinogenicity rat feeding study with maize NK603 that was launched by he European Commission in June 2013 (KBBE.2013.3.5-03).

      https://www.g-twyst.eu

      Attention : ce projet semble être sous forte influence des lobbys de l’OGM...

      Fait partie de ce projet #Pablo_Steinberg, interviewé dans le documentaire.

      Pablo Steinberg est d’origine argentine, il est également le toxicologue du projet « #GRACE : GMO Risk Assessment and communication evidence », financé par l’UE :

      GRACE was a project funded under the EU Framework 7 programme and undertaken by a consortium of EU research institutes from June 2012 - November 2015. The project had two key objectives:

      I) To provide systematic reviews of the evidence on the health, environmental and socio-economic impacts of GM plants – considering both risks and possible benefits. The results are accessible to the public via an open access database and other channels.

      II) GRACE also reconsidered the design, execution and interpretation of results from various types of animal feeding trials and alternative in vitro methods for assessing the safety of GM food and feed.

      The Biosafety Group was involved in the construction of the central portal and database (CADIMA; Central Access Database for Impact Assessment of Crop Genetic Improvement Technologies) that managed the information gathered in the pursuit of the two objectives and in the dissemination of information.

      http://biosafety.icgeb.org/projects/grace

      La conférence finale de présentation du projet GRACE a été organisée à Potsdam... un 9 novembre... date-anniversaire de la chute du mur...
      Voici ce que #Joachim_Schiemann, coordinateur du projet, dit à cette occasion (je transcris les mots prononcés par Schiemann dans le reportage) :

      « Nous aussi, avec nos activités, nous essayons d’abattre certains murs et de faire bouger certaines positions qui sont bloquées. Je trouve que c’est très symbolique d’avoir organisé cette conférence à Potsdam, à proximité de Berlin et des vestiges du mur »

    • Prof. Potrykus on #Golden_Rice

      #Ingo_Potrykus, Professor emeritus at the Institute of Plant Sciences, ETH Zurich, is one of the world’s most renowned personalities in the fields of agricultural, environmental, and industrial biotechnology, and invented Golden Rice with Peter Beyer. In contrast to usual rice, this one has an increased nutritional value by providing provitamin A. According to WHO, 127 millions of pre-school children worldwide suffer from vitamine A deficiency, causing some 500,000 cases of irreversible blindness every year. This deficiency is responsible for 600,000 deaths among children under the age of 5.

      https://blog.psiram.com/2013/09/prof-potrykus-on-golden-rice
      Ce riz, enrichi de #bêtacarotène pour pallier aux carences de #provitamine_A, a valu, à Monsieur #Potrykus, la couverture du Time, une première pour un botaniste :

    • Golden Illusion. The broken promise of GE ’Golden’ rice

      GE ’Golden’ rice is a genetically engineered (GE, also called genetically modified, GM) rice variety developed by the biotech industry to produce pro-vitamin A (beta-carotene). Proponents portray GE ’Golden’ rice as a technical, quick-fix solution to Vitamin A deficiency (VAD), a health problem in many developing countries. However, not only is GE ’Golden’ rice an ineffective tool to combat VAD it is also environmentally irresponsible, poses risks to human health, and compromises food security.

      https://www.greenpeace.org/archive-international/en/publications/Campaign-reports/Genetic-engineering/Golden-Illusion
      #rapport

    • #MASIPAG (#Philippines)

      MASIPAG a constaté que les paysans qui pratiquent la production agricole biologique gagnent en moyenne environ 100 euros par an de plus que les autres paysans, parce qu’ils ne dépensent pas d’argent dans des fertilisants et pesticides chimiques. Dans le contexte local, cela représente une économie importante. En plus, l’agriculture biologique contribue à un milieu plus sain et à une réduction des émissions de gaz à effet de serre. Malgré cela, le gouvernement philippin poursuit une politique ambiguë. En 2010, il a adopté une loi sur la promotion de l’agriculture biologique, mais en même temps il continue à promouvoir les cultures génétiquement modifiées et hybrides nécessitant le recours aux intrants chimiques. La loi actuelle insiste également sur une certification couteuse des produits bio par les tiers, ce qui empêche les #petits_paysans de certifier leurs produits.

      http://astm.lu/projets-de-solidarite/asie/philipinnes/masipag
      #paysannerie #agriculture_biologique

    • #AquAdvantage

      Le saumon AquAdvantage (#AquAdvantage_salmon® pour les anglophones, parfois résumé en « #AA_Salmon » ou « #AAS ») est le nom commercial d’un saumon transgénique et triploïde1.

      Il s’agit d’un saumon atlantique modifié, créé par l’entreprise AquaBounty Technologies (en)2 qui est devenu en mai 2016 le premier poisson génétiquement modifié par transgenèse commercialisé pour des fins alimentaires. Il a obtenu à cette date une autorisation de commercialisation (après son évaluation3) au Canada. En juillet 2017, l’entreprise a annoncé avoir vendu 4,5 tonnes de saumon AquAdvantage à des clients Canadiens qui ont à ce jour gardés leur anonymat4. L’entreprise prévoit de demander des autorisations pour des truites5, des tilapias 5 et de l’omble arctique génétiquement modifiés6.

      Selon les dossiers produits par AquaBounty à la FDA, deux gènes de saumons Chinook et deux séquences provenant d’une autre espèce (loquette d’Amérique) ont été introduits7, (information reprise par un article du New-York Times8 et un article scientifique évoquent aussi un gène provenant d’un autre poisson (loquette d’Amérique9). En 2010, AquaBounty, produirait déjà au Canada sur l’Île-du-Prince-Édouard les œufs de poissons destinés à des élevages en bassins enclavés à terre au Panama10 pour des poissons à exporter (alors que l’étiquetage n’est toujours pas obligatoire aux États-Unis)10.

      Ce poisson est controversé. Des préoccupations scientifiques et environnementalistes portent sur les risques d’impacts environnementaux à moyen et long terme, plus que sur le risque alimentaire. La FDA a considéré que la modification était équivalente à l’utilisation d’un médicament vétérinaire (hormone de croissance et modification transgénique)11 et a donc utilisé son processus (dit « NADA12 ») d’évaluation vétérinaire. Dans ce cadre, la FDA a conclu que ce poisson ne présentait a priori pas de risques pour la santé, et pouvait être cultivé de manière sûre. Mais en 2013, l’opportunité d’élever un tel poisson reste très contestée13 notamment depuis au moins 1986 concernant les risques qu’il pourrait poser à l’égard de l’environnement14, l’autorisation de mise sur le marché pourrait être à nouveau repoussée15.


      https://fr.wikipedia.org/wiki/AquAdvantage
      #saumon #saumon_transgénique #AquaBounty_Technologies

      Aussi appelé...
      #FrankenFish

  • Cette image révèle une inquiétante réalité | National Geographic
    http://www.nationalgeographic.fr/environnement/cette-image-revele-une-inquietante-realite
    http://www.nationalgeographic.fr/sites/france/files/styles/desktop/public/hofman-seahorse-wpy.jpg?itok=_BB_w_MH

    Le photographe Justin Hofman a pris cette image d’un hippocampe doré transportant un coton-tige. Une preuve de plus de l’ampleur de la #pollution #plastique des #océans.

  • CASH INVESTIGATION - COTON D’OUZBÉKISTAN : MÉLENCHON AVAIT RAISON - Le Bon Sens
    https://www.youtube.com/watch?v=Q38l4pBkrX4

    Dans son édition du mardi 28 novembre 2017, l’émission Cash Investigation enquêtait sur le coton produit en Ouzbékistan dans des conditions humaines insupportables qui incluent notamment le travail forcé des adultes organisé par l’État. L’émission revenait également sur un accord européen de 2016 facilitant les importation de cette matière première de l’Ouzbékistan vers l’Union européenne. Or, déjà, à l’époque, tous les faits étaient connus. Et Jean-Luc Mélenchon les dénonçait. C’est donc en pleine conscience de la situation des travailleurs en Ouzbékistan que certains élus du Parlement européen ont décidé de valider quand même un partenariat économique avec ce pays.

    #coton_des_esclaves

  • « #Cash_Investigation ». #Coton : l’envers de nos tee-shirts - France 2 - 28 novembre 2017 - En replay
    https://www.francetvinfo.fr/replay-magazine/france-2/cash-investigation/cash-investigation-du-mardi-28-novembre-2017_2478912.html

    Le coton, c’est doux, chaleureux, naturel… Cette matière première présente partout dans notre quotidien est devenue l’un des produits les plus utilisés de la planète. Et son business affiche aujourd’hui un chiffre d’affaires mondial de 37 milliards d’euros par an. Pour ce nouveau numéro, le magazine « Cash Investigation » (Facebook, Twitter, #@cashinvestigati) est parti sur les routes du coton, en Asie centrale, au Bangladesh, en Inde… pour enquêter et mettre au jour la face sombre de cet or blanc.

    Travail décent : Comment le travail décent peut transformer la production de coton
    http://www.ilo.org/global/about-the-ilo/newsroom/news/WCMS_589133/lang--fr/index.htm

    Le projet Sud-Sud s’appuie sur les bonnes pratiques en vigueur au Brésil pour promouvoir le travail décent dans la production de coton dans les pays d’Afrique et d’Amérique latine.

  • #Film « Fin_de_la_pauvreté ? »

    Alors qu’il y a tant de richesse dans le monde, pourquoi y-a-t-il encore tant de pauvreté ? Ce film nous offre une contribution éclairée et intelligente à la compréhension des mécanismes qui pérennisent la pauvreté dans le monde.

    Alors qu’il y a tant de richesse dans le monde, pourquoi y-a-t-il encore tant de pauvreté ? C’est la question que pose La fin de la Pauvreté ?

    Des favelas d’Amérique latine aux bidonvilles d’Afrique, des économistes de renom, des personnalités politiques et des acteurs sociaux révèlent comment les pays développés pillent la planète ; un saccage qui menace ses capacités à soutenir la vie et accroît toujours plus la pauvreté.

    Ce film démontre comment, depuis cinq siècles, le Sud finance le Nord, d’abord à travers les conquêtes, puis ensuite par le truchement de certaines de nos institutions internationales, en imposant des modèles économiques et enfin, il souligne le rôle prédominant de Wall Street.

    La fin de la Pauvreté ? offre une contribution éclairée et intelligente à la compréhension des mécanismes qui pérennisent la pauvreté dans le monde.
    25% de la population mondiale consomment 85% des richesses et nous consommons 30% de plus que ce que la planète peut régénérer.
    Nous sommes 6 milliards d’humains sur terre, 1 milliard de personnes ont faim tous les jours... dont 300 millions d’enfants.
    En 2030 nous serons 9 milliards, peut-on ignorer encore la pauvreté ?

    Toutes les 3 secondes, une personne meurt de faim, en majorité les enfants de moins de 5 ans.

    https://www.youtube.com/watch?v=4nk0AamJSsk

    #colonialisme

    Ici une présentation du film :
    https://local.attac.org/13/aix/IMG/pdf/LaFinDeLaPauvreteDP_-_pdf_1_.pdf

    #documentaire #pauvreté #richesse

    Citations :

    #Joshua_FARLEY : « Il est intéressant de noter que les sociétés ayant la distribution de revenus la plus inéquitable ont tendance à être les sociétés plus violentes. Il n’y a qu’une toute petite corrélation entre extrême pauvreté et crime. Il y a une forte corrélation entre partage inégal du revenu et #crime ».

    Film de Philippe DIAZ, La fin de la pauvreté ?, 2010.
    → Joshua Farley, prof. University of Vermont : https://www.uvm.edu/envprog/people/joshua-farley
    #inégalités #criminalité #violence #partage_des_richesses

    #Clifford_COBB : « La pauvreté dans le monde ne peut être éliminée que si les pauvres eux-mêmes disent ’on veut la #justice, pas la #charité'. Un exemple de cette justice est l’effacement de la #dette_internationale. Un autre élément serait de changer le système d’#impôts partout dans le monde. Aujourd’hui, la plupart des impôts tombe sur les pauvres sous forme d’impôts à la consommation et impôts sur les salaires. Si on voulait être juste la plupart des impôts devrait porter sur les personnes. Un troisième élément que les pauvres devraient demander c’est une #réforme_agraire redonnant la terre à ceux qui la travaillent et non à quelques #propriétaires_terriens. Un quatrième élément est d’arrêter la #privatisation des #ressources_naturelles ».

    Film de Philippe DIAZ, La fin de la pauvreté ?, 2010.
    #dette #terres
    #ressources_pédagogiques

  • Inde. Des pesticides accusés de provoquer la #mort de dizaines d’agriculteurs

    Le gouvernement du Maharashtra, dans le centre de l’Inde, a attaqué en justice trois fabricants de pesticides pour avoir vendu des produits hautement toxiques et inadaptés à la région, rapporte en une le Hindustan Times, mardi 10 octobre. Plus de 50 agriculteurs sont morts depuis début octobre – dont au moins 32 dans le district de Vidarbha et 19 dans celui de Yavatmal –, tandis que 800 autres ont été hospitalisés pour des malaises. Un pesticide appelé “police”, destiné aux exploitations de #canne_à_sucre, est notamment mis en cause après avoir été pulvérisé dans les champs de #coton par des agriculteurs qui ne connaissaient pas son mode d’emploi. Des stocks ont été saisis pour une valeur de 120 millions de roupies (1,6 million d’euros).

    https://www.courrierinternational.com/une/inde-des-pesticides-accuses-de-provoquer-la-mort-de-dizaines-

    #Inde #agriculture #pesticides #décès

  • Bataille autour des semences transgéniques en Afrique
    https://www.grain.org/bulletin_board/entries/5791-bataille-autour-des-semences-transgeniques-en-afrique

    Inquiètes du développement des organismes génétiquement modifiés (OGM) dans le monde, plusieurs associations accusent les grands semenciers d’« écocide », ou crime écologique. En avril 2017, elles ont symboliquement fait condamner le géant américain Monsanto sur ce fondement par un « tribunal citoyen » organisé à La Haye. En #Afrique, l’affrontement entre les pro- et les anti-OGM ne fait que commencer.
    Ce fut une bonne surprise pour M. Paul Badoun, producteur de coton de la région de Bobo-Dioulasso, au #Burkina_Faso : voici à peine un an, un ami lui apprit qu’il n’aurait plus à cultiver le « satané #coton_Bt », que lui imposait depuis des années la Société burkinabé des fibres textiles (Sofitex). « Bt » signifie Bacillus thuringiensis : une bactérie qui permet de résister à certains insectes. Serrés sur un banc en haut du village de Konkolekan, M. Badoun et ses amis n’ont pas de mots assez durs contre ce coton génétiquement modifié : trop cher, il les contraignait à s’endetter ; il n’atteignait pas les rendements promis par la Sofitex ; il rendait malades les femmes qui le récoltaient et tuait les bêtes qui mangeaient ses feuilles. Le village, qui vit essentiellement du coton et de l’élevage, était pris à la gorge. Désormais, alors que le coton transgénique a — du moins pour le moment — disparu des champs burkinabés, « tout va mieux à Konkolekan, se réjouit M. Badoun. Le coton est plus lourd et le bétail est en bonne santé. On ne veut plus des #OGM [organismes génétiquement modifiés]. Plus jamais ! »

  • A Cotonou, l’agriculture urbaine perd du terrain face au béton
    http://www.lemonde.fr/afrique/article/2017/08/09/a-cotonou-l-agriculture-urbaine-perd-du-terrain-face-au-beton_5170638_3212.h

    Las, l’#agriculture_urbaine perd du terrain sur la ville. De 263 hectares en 1999, elle n’occupe plus que 50 hectares aujourd’hui. En une vingtaine d’années, les zones agricoles urbaines ont été rognées par une urbanisation galopante, au profit d’infrastructures immobilières. A titre d’exemple, les sites maraîchers situés à l’arrière du palais présidentiel de Cotonou ont été accaparés pour y construire des complexes hôteliers. Certains champs ont été repoussés en périphérie des villes et les superficies ont été réduites.

    « Les producteurs vont s’installer ailleurs, ils ont peur de l’#insécurité_foncière qui prévaut à #Cotonou », confirme Pascal Tchékoun, ancien spécialiste en production végétale au Centre régional pour la promotion agricole, l’un des organismes supprimés par les réformes agraires du gouvernement, en novembre 2016. Depuis, le fonctionnaire attend sa réaffectation.

    #maraichage #jardinage #Bénin #urbanisation

  • In Uzbekistan, the World Bank is masking labour abuses

    Uzbekistan has often used forced labour to bring in the cotton harvest. A new report shows that the World Bank’s continuing investment may only prolong the practice.


    https://www.opendemocracy.net/od-russia/jessica-evans/in-uzbekistan-world-bank-is-masking-labour-abuses
    #travail #exploitation #Banque_mondiale #Ouzbékistan #coton #agriculture

  • The true cost

    This is a story about clothing. It’s about the clothes we wear, the people who make them, and the impact the industry is having on our world. The price of clothing has been decreasing for decades, while the human and environmental costs have grown dramatically. The True Cost is a groundbreaking documentary film that pulls back the curtain on the untold story and asks us to consider, who really pays the price for our clothing?

    Filmed in countries all over the world, from the brightest runways to the darkest slums, and featuring interviews with the world’s leading influencers including Stella McCartney, Livia Firth and Vandana Shiva, The True Cost is an unprecedented project that invites us on an eye opening journey around the world and into the lives of the many people and places behind our clothes.


    https://truecostmovie.com
    #film #documentaire #industrie_textile #vitesse #mode #agriculture #coton #travail #exploitation #Rana_Plaza #cotton_Bt #mondialisation #globalisation #ressources_pédagogiques #Inde #Bangladesh #fast_fashion #fashion #santé #Monsanto #OGM #pesticides #fertilisants #suicides #Inde #déchets #Chine #vêtements #habits consumérisme #pollution #eau #cuir #terres

  • Ethiopia’s Oromo protests, land problems and human rights record could hurt its global apparel ambitions — Quartz
    https://qz.com/974863/ethiopias-land-problems-could-hamper-its-ambition-as-a-global-apparel-destinatio

    Ethiopia wants companies that make clothes to view it as one of the world’s most hospitable places to operate. Low employee wages and cheap power have led foreign companies to gravitate towards the Horn of Africa nation in recent years. The government recognizes the strategic importance of garment and textile making, and has continued to invest in the sector by constructing large industrial parks like the Hawassa Industrial Park.

    But its land and human rights problems could jeopardize that ambition, according to a new report from risk consultancy firm Verisk Maplecroft. Protests over land reform and political participation have rocked the country since 2015, leading to the reported death of hundreds of people and the detention of tens of thousands of others.

    https://qzprod.files.wordpress.com/2017/05/fig1.png?w=640

    puisque c’est ça

    #Éthiopie #textile #coton #droits_humains #exploitation