• #Frank, l’algoritmo anti-sciopero. La #Cgil porta in tribunale #Deliveroo

    La Cgil fa una causa a Deliveroo per discriminazione collettiva. Per il sindacato la multinazionale del «food delivery» usa l’algoritmo «Frank» per assegnare le consegne e penalizza persone che hanno malattie, esigenze di cura o chi esercita il diritto di sciopero.

    Il prossimo due gennaio davanti a un giudice del lavoro di Bologna potrebbe tenersi la prima causa contro gli effetti discriminatori sul diritto di sciopero, sullo stato di malattia legata a un handicap o a condizioni familiari come la maternità prodotti da «Frank», l’algoritmo usato da Deliveroo, la principale multinazionale della consegna di cibo in moto e in bici (#Food_delivery) in Europa. Il nome è stato preso dal protagonista della serie Tv It’s Always Sunny in Philadelphia interpretato dall’attore americano Danny DeVito. Il ricorso è stato presentato dagli avvocati Maria Bidetti, Carlo De Marchis e Sergio Vacirca per conto delle categorie della Cgil Filt, Filcams e Nidil. L’udienza potrebbe essere rinviata perché i tempi di convocazione sono stati troppo stretti. Ieri, in una nota, la filiale italiana della multinazionale diceva di non essere stata informata «né direttamente né indirettamente» del ricorso. In ogni caso, quando inizierà il procedimento, sarà una nuova occasione per approfondire il sistema del lavoro digitale a cottimo elaborato dalle piattaforme e, se sarà il caso, uno dei modi per introdurre i diritti sindacali all’autotutela dei ciclofattorini («riders») e il rispetto delle norme sui diritti fondamentali presenti anche in un recente provvedimento licenziato dal parlamento.

    NELLA RICOSTRUZIONE del funzionamento di «Frank» (algoritmo «cieco» che, in più «ignora la diversità», si legge) emerge un dato politico importante. Nell’«antefatto processuale e capitolato probatorio», in pratica un racconto sviluppato in 44 punti, si sostiene che a seguito delle lotte organizzate dai riders tra il 2017 e il 2018 per rivendicare i loro diritti Deliveroo ha adottato un sistema di organizzazione del lavoro basato sulla prenotazione delle fasce orarie per priorità e basate sulla classificazione del loro rendimento («ranking»). Nella stessa occasione, ricordano gli avvocati, Deliveroo decise anche «di aumentare del 100% il numero dei riders iscritti nella propria piattaforma». Il «ranking» è una classifica che serve a misurare la «reputazione» del rider in base a due criteri: l’affidabilità e la partecipazione. La prima è misurata in base a una scala 100/100, la seconda è espressa in una scala 12/12. Il periodo della «valutazione» riguarda due settimane nelle quali i rider ha effettuato un’attività. Secondo la Cgil, a seguito delle prime forme autonome di organizzazione dei lavoratori, «Frank» sarebbe stato programmato per imporre il rispetto della sessione di lavoro prenotata e la connessione entro 15 minuti dall’inizio della sessione di lavoro. «Di fatto, si penalizza l’adesione del rider a forme di autotutela». In più, aggiunge il sindacato, l’astensione dell’attività determina una penalizzazione che «incide sulle future possibilità di accesso al lavoro».

    PER LA CGIL «Frank» sanziona i riders con la perdita di punteggio nel sistema definito «ranking reputazionale». È stato programmato per penalizzare «tutte le forme lecite di astensione dal lavoro» perché «determina la retrocessione nella fascia di prenotazione» e «limita le occasioni di lavoro». In un lavoro basato sulla concorrenza tra riders sui tempi di consegna e nella definizione della migliore «performance» il «valore» del profilo reputazione è la «chiave» per accedere alla fascia oraria e alla zona della città dove ci sono più ordini e, dunque, maggiori occasioni di guadagno. Ad esempio, Napoli è divisa in due zone, si legge; Roma in 13, Bologna in 5, Milano in 19, Bergamo in tre. Le fasce orarie («slots» o turni di lavoro) sono divise in tre blocchi: i riders con raking migliore vanno alle 11, seguono le 15 e le 17. A conferma si riportano alcune espressioni dell’azienda: «Se fai parte di un gruppo prioritario, avrai una possibilità maggiore di ricevere una notifica prima degli altri».

    Il sistema permette a chi ha un punteggio maggiore di scegliere fino a 50 sessioni di lavoro. Questo determina una diminuzione della scelta tra le sessioni disponibili per chi ha una valutazione inferiore. «Frank» «esaspera lo svolgimento della prestazione», impone «ritmi produttivi incompatibili con il diritto di sciopero», seleziona la forza lavoro «in una logica competitiva estranea alla disciplina antidiscriminatoria». Tra l’altro, il sindacato chiede di« inibire» il sistema di prenotazione per fasce di priorità fondato sul ranking.

    «I RIDER – ha risposto Deliveroo – non sono penalizzati se rifiutano le proposte di consegna. I nostri algoritmi sono creati dalle persone e l’algoritmo implementa delle regole che sono sviluppate dalle persone». Spiegazioni che non escludono la ricostruzione fornita dal sindacato e confermano il fatto che l’«apprendimento automatico» sul quale è fondato il suo «potere predittivo» (concetti ricorrenti sia sul sito dell’azienda che nelle dichiarazioni dell’a.d. Matteo Sarzana) apprende dalle persone, sia quando eseguono le performance e producono dati, sia quando protestano. In discussione è il modo in cui l’algoritmo è usato. La richiesta è di negoziarlo. «I rider sono lavoratori autonomi – ribadisce l’azienda – liberi di accettare o rifiutare una proposta di consegna».

    IL PROBLEMA è un altro: quando accettano la consegna devono eseguire un compito e sono eterodiretti da «Frank». Sono «dipendenti». È questo, al fondo, il conflitto del lavoro su queste piattaforme digitali.

    https://ilmanifesto.it/frank-lalgoritmo-anti-sciopero-la-cgil-porta-in-tribunale-deliveroo
    #travail #algorithme #discrimination #Italie #discrimination_collective #grève #justice #recours #maladie

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  • Les accidents du travail et les maladies professionnelles en hausse, Catherine Quignon
    https://www.lemonde.fr/emploi/article/2019/12/12/hausse-des-accidents-du-travail-et-des-maladies-professionnelles_6022568_169

    Selon les chiffres de l’Assurance-maladie, la sinistralité au travail est repartie à la hausse en 2018. L’Association des accidentés de la vie (Fnath) dénonce un système en état de « mort cérébrale ».

    En plein débat sur la réforme des retraites et la prise en compte de la pénibilité, l’Assurance-maladie jette un pavé dans la mare. Dévoilé le 3 décembre, son rapport annuel révèle une hausse globale de la sinistralité au travail. Les accidents du travail ont augmenté de 2,9 % en 2018 : au total, 651 103 cas ont été reconnus comme tels, dont 551 accidents mortels.

    Tous secteurs confondus, ils résultent essentiellement de manipulations manuelles (50 %) et de chutes (28 %). L’augmentation est particulièrement sensible dans le secteur des services, notamment l’aide à la personne et l’intérim (+ 5 %), suivis par les industries du bois, de l’ameublement et du papier carton (+ 4,5 %). Les secteurs les plus touchés sont le BTP, le transport et l’alimentation.
    Article réservé à nos abonnés Lire aussi Entre opacité des chiffres et indifférence des autorités, les morts au travail encore largement ignorés
    « La reprise économique explique en grande partie cette tendance », avance l’Assurance-maladie en guise d’explication, tout en rappelant que par rapport à la population active, la sinistralité demeure à un niveau historiquement bas : autour de 34 accidents pour 1 000 salariés depuis cinq ans, contre 45 pour 1 000 il y a vingt ans. Ce sont donc les créations d’emploi qui expliqueraient en partie ce bilan, bien que les effectifs intérimaires soient en baisse depuis le début de 2018.

    Conditions météorologiques difficiles
    L’Assurance-maladie souligne aussi que la mise en œuvre progressive de la déclaration sociale nominative (DSN) a pu mécaniquement augmenter le nombre d’accidents recensés. Il s’agit toutefois d’un retournement inexpliqué par rapport à l’année précédente, marquée par un recul des accidents du travail.

    Les accidents de trajet bondissent de 6,9 % en un an, poursuivant une hausse continue depuis 2015. L’Assurance-maladie met en cause les conditions météorologiques difficiles de l’hiver dernier.

    Après trois années de baisse, le nombre de maladies professionnelles reconnues est aussi à la hausse (+ 2,1 %) avec 49 538 cas supplémentaires en 2018, dont 88 % pour des troubles musculo-squelettiques (TMS). Le nombre d’affections psychiques liées au travail poursuit aussi sa progression (+ 23 %), avec 990 cas reconnus. Cette forte augmentation s’explique sans doute par la mise en lumière plus vive de ces pathologies (dépression, troubles anxieux…) ces dernières années. Le nombre de cancers professionnels reconnus, lui, reste stable depuis 2015.

    « Naïveté », « cynisme »
    L’Association des accidentés de la vie (Fnath) a vivement réagi à ces résultats. La principale association d’aide aux victimes d’accidents du travail a dénoncé dans un communiqué un système en état de « mort cérébrale », qualifiant l’argument de la reprise économique, utilisé par les auteurs pour expliquer l’augmentation des accidents du travail, de « naïveté », voire de « cynisme ».

    Dans son rapport, l’Assurance-maladie met aussi en avant les actions de terrain des caisses régionales, qui ont effectué en 2018 des visites dans près de 50 000 entreprises. Afin de développer les actions de prévention dans les entreprises, 32 millions d’euros d’aides financières ont été accordés en 2018. La convention d’objectifs 2018-2022 de l’Assurance-maladie-Risques professionnels prévoit une montée en charge de ces aides, qui passeront au minimum de 50 millions à 85 millions d’euros.

    Enfin, autre changement notable depuis le 1er décembre : la procédure de reconnaissance des accidents du travail et des maladies professionnelles a été refondue pour plus de lisibilité. Dans cette nouvelle mouture, l’employeur n’a plus que dix jours francs pour formuler des réserves, et les délais d’instruction du dossier ont été rallongés. Des modifications qui ne seront sans doute pas sans conséquences sur les taux d’accidents du travail et de maladies professionnelles reconnues.

    #accidents_du_travail #maladies_professionnelles #letravailtue

  • New Alzheimer’s Therapy Approved in China, Delivering a Surprise but Raising Questions - Scientific American
    https://www.statnews.com/2019/11/04/a-new-alzheimers-therapy-is-approved-in-china-delivering-a-surprise-for-th

    Chinese regulators have granted conditional approval to an Alzheimer’s drug that is derived from seaweed, potentially shaking up the field after years of clinical failures involving experimental therapies from major drug companies.

    The announcement over the weekend has been met with caution as well as an eagerness from clinicians and others to see full data from the drug maker, Shanghai Green Valley Pharmaceuticals. The company said its drug, #Oligomannate, improved cognitive function in patients with mild to moderate Alzheimer’s compared to placebo in a Phase 3 trial, with benefits seen in patients as early as week four and persisting throughout the 36 weeks of the trial.

    [...]

    Instead of being designed to sweep away protein buildups in the brain, as has been the case with dozens of other experimental Alzheimer’s treatments, Oligomannate was developed to modulate the connection between the brain and the bacterial communities in the gut known as the #microbiome.

    The connection between the microbiome and overall health is the subject of a relatively new and evolving field of research, with some scientists seeking to understand how bacteria can influence the emergence of disease, including Alzheimer’s.

    #maladie_d'Alzheimer #santé #Chine

  • Der fleißige Herr Spahn - Mit Vollgas gegen den Datenschutz | Telepolis
    https://www.heise.de/tp/features/Der-fleissige-Herr-Spahn-Mit-Vollgas-gegen-den-Datenschutz-4556149.html

    Wie man Datenschutzabbau im Gesundheitswesen als Sicherheitsmaßnahme framet

    Medienwirksam stellt sich der Bundesgesundheitsminister als Hüter des Datenschutzes dar. In Wirklichkeit hat er gerade unbemerkt von der Öffentlichkeit einen bedeutenden Eingriff in die Grundrechte des Bürgers durchs Parlament gebracht.

    Wie man Datenschutzabbau als Versorgungsinnovation framet | Telepolis
    https://www.heise.de/tp/features/Wie-man-Datenschutzabbau-als-Versorgungsinnovation-framet-4571885.html

    Der fleißige Herr Spahn: Mit Vollgas gegen den Datenschutz - Teil 2

    Unbemerkt von der Öffentlichkeit geht der Datenschutzabbau in die nächste Runde. Spahns Digitale-Versorgung-Gesetz, bekannt als „App auf Rezept“, plant digitale „Innovationen“ auf Kosten des informationellen Selbstbestimmungsrechts der Bürger

    „Terminservice- und Versorgungsgesetz“: Wie man Datenschutzabbau als Qualitätssicherung framet | Telepolis
    https://www.heise.de/tp/features/Terminservice-und-Versorgungsgesetz-Wie-man-Datenschutzabbau-als-Qualitaetssic

    Der fleißige Herr Spahn - Mit Vollgas gegen den Datenschutz: Teil 3

    Unbemerkt von der Öffentlichkeit hat Gesundheitsminister Spahn mit seinem „Terminservice- und Versorgungsgesetz“ einen weiteren Abbau von Datenschutzrechten der Bürger durchs Parlament gebracht.

    #Allemagne #vie_privée #santé #pilitique #maladie

  • #Pollution, #cancers, #maladies : voyage dans l’enfer industriel d’une vallée turque

    À la fin des années 1980, la région de #Dilovasi est devenue l’une des zones les plus polluées de Turquie, avec des taux alarmants de cancers et de #maladies_respiratoires. En cause : ses treize zones industrielles, qui comptent de grandes entreprises françaises comme #Saint-Gobain.


    https://www.mediapart.fr/journal/international/061019/pollution-cancers-maladies-voyage-dans-l-enfer-industriel-d-une-vallee-tur

    #Turquie #industries #industrie #santé

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  • Merkel et la pathologie des élites mondialistes
    https://www.dedefensa.org/article/merkel-et-la-pathologie-des-elites-mondialistes

    Merkel et la pathologie des élites mondialistes

    Zerohedge.com nous apprenait récemment qu’un général allemand trois étoiles, Joachim Wundrak, reprochait à Merkel de ne plus évoquer le peuple allemand. Elle est trop politiquement correcte pour cela, ajoutait ce provocant militaire, qui se lance dans la politique.

    Voyons Merkel : pour ce vieil hippopotame de la pensée inique,il n’y a en effet qu’une population destinée à être triquée, taxée et remplacée. Au nom du nouvel ordre et de ses paradigmes.

    Et pourtant elle est toujours là, en hystérésis, gardant son colossal pouvoir de nuisance, un peu comme les USA à l’échelle mondiale – ou occidentale. Rappelons ce que nous écrivions sur cette déconcertante brandebourgeoise il y a deux ans :

    « Qui veut comprendre Merkel doit lire sa lettre au très néocon Washington (...)

  • I dieci comandamenti - Pane nostro - 18/11/2018 - video - RaiPlay
    https://www.raiplay.it/video/2018/11/I-Dieci-Comandamenti-Pane-nostro-96445708-8e60-4c80-a309-c81b4f885f15.html

    "L’articolo 4 della Costituzione riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro. Fino a che punto però è lecito accettare ogni condizione pur di lavorare? Si può vivere se quello che ci viene offerto è avvelenato? «Pane nostro» è un viaggio nel lavoro che non lascia scelta. Augusta, Priolo, Melilli sono il simbolo del ricatto occupazionale. In questo tratto di costa a due passi da Siracusa patrimonio UNESCO, si trova il più grande insediamento petrolchimico d’Europa, promessa di benessere e progresso. La storia purtroppo è andata diversamente. Oggi questa lingua di terra è tra le più inquinate d’Europa. Mutazioni genetiche nei pesci, malformazioni neonatali e cancro sono lo scenario di morte di questo pezzo di Sicilia contaminato. Tra denunce inascoltate e assenza delle istituzioni, pochi sono quelli che riescono a far sentire la propria voce. Don Palmiro Prisutto è una di queste. In assenza di un registro tumori è lui che da anni aggiorna la triste lista dei morti di cancro."

    #italie #pollution #Méditerranée #Sicile #Mercure #Pétrochimie

  • Quand l’exploitation minière divise la Grèce

    Dans une vaste plaine au coeur des #montagnes du nord de la Grèce, quatre mines de charbon laissent un paysage dévasté. Alors que cet ensemble d’exploitations à ciel ouvert, principal pourvoyeur d’emplois de la région, s’étend toujours plus, les glissements de terrain se multiplient, ravageant les villages environnants.

    Entre relogements aléatoires, maladies liées à l’extraction du lignite et refus d’indemnisations, le combat des citoyens pour se faire entendre se heurte à un mur.


    https://www.arte.tv/fr/videos/084754-002-A/arte-regards-quand-l-exploitation-miniere-divise-la-grece
    #extractivisme #Grèce #charbon #mines #pollution #énergie #destruction #IDPs #déplacés_internes #travail #exploitation #centrales_thermiques #sanctions #privatisation #DEI #lignite #santé #expropriation #villes-fantôme #agriculture #Allemagne #KFW #Mavropigi #effondrement #indemnisation #justice #migrations #centrales_électriques #documentaire #terres #confiscation #conflits #contamination #pollution_de_l'air

    ping @albertocampiphoto @daphne

    • Athènes face au défi de la fin de la #houille

      La Grèce, longtemps troisième productrice de charbon d’Europe, veut fermer la plupart de ses centrales thermiques en 2023 et mettre fin à sa production d’ici à 2028. En Macédoine-Occidentale, les habitants s’inquiètent des conséquences socio-économiques.

      Kozani (Grèce).– Insatiables, elles ont absorbé en soixante-cinq ans plus de 170 kilomètres carrés, dans la région de Macédoine-Occidentale, dans le nord de la Grèce. Les mines de #lignite ont englouti des villages entiers. Les excavateurs ont méthodiquement déplacé la terre et creusé des cratères noirâtres. Les forêts se sont métamorphosées en d’immenses plaines lacérées de tapis roulants. Tentaculaires, ceux-ci acheminent les blocs noirs de lignite jusqu’aux imposantes #centrales_thermiques, au loin.

      Contraste saisissant avec les îles idylliques qui font la célébrité du pays, ce paysage lunaire est surnommé « le #cœur_énergétique » de la Grèce. Quatre #mines_à_ciel_ouvert s’étirent ainsi aujourd’hui des villes de #Kozani à #Florina.

      « Il fallait trouver toujours plus de lignite pour produire l’#électricité du pays », précise le contremaître Antonis Kyriakidis, attaché à ce territoire sans vie qui lui donne du travail depuis trente ans. La recherche de cet « #or_noir » a créé des milliers d’#emplois, mais a dangereusement pollué l’atmosphère, selon plusieurs études.

      L’ensemble de ce #bassin_minier, le plus important des Balkans, propriété de la compagnie électrique grecque #D.E.I – contrôlée par l’État – va cependant bientôt disparaître. Le gouvernement de droite Nouvelle Démocratie a programmé l’arrêt des dernières centrales thermiques dans deux ans et la fin de la production de lignite en 2028, suivant l’objectif de #neutralité_carbone de l’UE d’ici à 2050.

      La production annuelle d’électricité tirée de la combustion de lignite est passée de 32 GW à 5,7 GW entre 2008 et 2020. Trois centrales sont aujourd’hui en activité sur les six que compte la région. Il y a quinze ans, 80 % de l’électricité grecque provenait du charbon extrait de ces mines, ouvertes en 1955, contre 18 % aujourd’hui.

      Seule la nouvelle unité « #Ptolemaida_V » continuera ses activités de 2022 à 2028. Sa construction a commencé il y a six ans, alors que la #décarbonisation n’était pas officiellement annoncée. La Grèce veut désormais privilégier le #gaz_naturel en provenance de Russie ou de Norvège, grâce à différents #gazoducs. Ou celui tiré de ses propres ressources potentielles en Méditerranée. Elle souhaite aussi développer les #énergies_renouvelables, profitant de son climat ensoleillé et venteux.

      Selon le plan de sortie du lignite, dévoilé en septembre 2020 par le ministère de l’environnement et de l’énergie, la Macédoine-Occidentale deviendra une région « verte » : on y développera l’« agriculture intelligente »*, le photovoltaïque ou le tourisme. Une grande partie des mines de D.E.I seront réhabilitées par l’État, enfouies sous des lacs artificiels. La #transition sera assurée, détaille le plan, à hauteur de 5,05 milliards d’euros, par différents fonds nationaux et européens, dont 2,03 milliards issus du #mécanisme_européen_pour_une_transition_juste (#MJT). Le gouvernement espère aussi attirer les investisseurs étrangers.

      Dubitatif dans son bureau lumineux, Lazaros Maloutas, maire centriste de Kozani, la plus grande ville de cette région qui compte 285 000 habitants, peine à imaginer cette métamorphose dans l’immédiat. « Tout le monde est d’accord ici pour dire que la #transition_énergétique est nécessaire, mais l’agenda est beaucoup trop serré », explique-t-il.

      Il insiste poliment sur le fait que « les autorités doivent échanger davantage avec les acteurs locaux ». Il garde en mémoire cet épisode de septembre 2019, lorsqu’il a appris « avec surprise » le calendrier précis de la décarbonisation « à la télévision ». À des milliers de kilomètres, depuis le sommet Action Climat de l’ONU à New York, le premier ministre, Kyriakos Mitsotakis, annonçait que les mines et centrales thermiques du coin fermeraient d’ici à 2028.

      « Le ministre de l’énergie n’est ensuite venu ici qu’à deux reprises en 2020 », ajoute Lazaros Maloutas, qui a boycotté l’une de ses visites, comme d’autres élus locaux avec lesquels il a formé l’Association des communes énergétiques.

      Cette transition constitue pourtant un « enjeu majeur », martèle de son côté Anastasios Sidiropoulos, le responsable de l’#Agence_régionale_de-développement (#Anko), située à quelques bâtiments de la mairie de Kozani. « Plus qu’une transition écologique, c’est une #transition_économique totale qui se joue ici. »

      En dépit du déclin de la production ces dix dernières années, « les mines et centrales restent fondamentales pour l’#économie_locale ». « La compagnie D.E.I emploie 3 100 salariés, mais le secteur fait aussi vivre au moins 5 000 intermittents et travailleurs indépendants », détaille-t-il. Il s’alarme du contexte régional déjà déprimé dans lequel s’inscrit cette transition : une population vieillissante, un taux de chômage de 26 %, des jeunes qui fuient les communes, etc. « Selon nos études de terrain, il faudrait se donner jusqu’à 2040 pour réussir cette transition », affirme Anastasios Sidiropoulos.

      Il compare avec amertume l’échéance de sortie de lignite de la Grèce, troisième producteur de charbon de l’Union européenne (UE), à celle de l’Allemagne ou de la Pologne. Berlin se donne vingt-neuf ans pour fermer progressivement ses dix mines à ciel ouvert. Varsovie prévoit aussi la fermeture de ses treize mines de lignite d’ici à 2049.

      L’effondrement de la « montagne » D.E.I

      En Grèce, la compagnie d’électricité D.E.I veut toutefois aller vite. La crise de la dette a affaibli l’entreprise qui a privatisé une partie de ses activités depuis 2014. Ses cheminées vieillissantes et ses mines lui coûtent 300 millions d’euros par an, notamment en raison de la #taxe_carbone et du système d’échange de quotas d’émission.

      D.E.I assure qu’elle ne fuit pas ces terres qu’elle a totalement acquises en 1975. « Nous avons une #dette_morale envers les personnes qui ont soutenu D.E.I toutes ces années. Notre engagement est absolu », insiste d’un ton solennel Ioannis Kopanakis, le directeur général adjoint de la compagnie qui assure, dans un courriel, que les 3 100 employés « auront tous une alternative ». Le sort incertain des milliers de #travailleurs_indépendants inquiète toutefois les syndicats.

      D.E.I conservera certains terrains où elle érige déjà avec #RWE, le géant allemand de l’électricité, le plus grand #parc_photovoltaïque du pays, d’une puissance de 2 GW. Avec l’arrivée de nouvelles entreprises, les riverains craignent la chute des #salaires, autrefois fixes chez D.E.I. « Il existe un tel manque de transparence sur les plans des nouveaux investisseurs que les habitants ont l’impression que l’on donne le territoire aux étrangers », relève pour sa part Lefteris Ioannidis.

      L’ancien maire écologiste de Kozani (2014-2019) milite vivement en faveur d’une transition « très rapide, car il y a urgence ». Mais il reconnaît que la mentalité régionale d’« État charbonnier est difficile à changer », avec une relation de quasi-dépendance à un employeur. Les investisseurs étrangers étaient jusqu’ici absents de la #Macédoine-Occidentale, où D.E.I avait tout absorbé. « C’était une montagne ici, elle faisait partie du paysage », précise Lefteris Ioannidis.

      Son ombre plane sur les villages perdus, desservis par des routes vides aux panneaux rouillés et stations-essence abandonnées. À #Agios_Dimitrios, les six cents habitants ont vue sur l’imposante centrale thermique du même nom qui barre l’horizon. L’un d’eux, Lambros, dénonce le rôle de l’État, qui « n’a jamais préparé cette transition pourtant inéluctable. Elle arrive violemment ». Il a davantage de mal à en vouloir à D.E.I qu’il n’ose critiquer publiquement, comme d’autres ici qui entretiennent un sentiment ambivalent à son égard. « D.E.I, c’était Dieu ici. Elle est notre bénédiction comme une malédiction », dit cet homme charpenté, dont la fumée de cigarette s’échappe dans l’air chargé de poussière.

      « Il y avait un problème de #pollution, des #cancers ou #maladies_respiratoires, mais les ouvriers fermaient les yeux car ils mangeaient à leur faim. Ils avaient des tarifs réduits sur l’électricité, se remémore le villageois. C’était une fierté de produire l’électricité de tout le pays et maintenant on va importer du gaz d’Azerbaïdjan [grâce au #gazoduc_transadriatique – ndlr]. J’ai aussi peur qu’on déplace le problème pour des raisons économiques et non environnementales. » Il craint l’importation de lignite depuis les Balkans voisins qui, contrairement à la Grèce, taxent faiblement les émissions de carbone. Il sait que d’autres pays de l’UE l’on fait en 2019, « pourquoi pas la Grèce », interroge-t-il. Lambros redoute la montée des #prix de l’électricité ou du chauffage pour les habitants.

      L’un des défis pour la région est en effet de conserver ces bas #tarifs et l’indépendance énergétique obtenue avec ces centrales polluantes. La ville d’#Amynteo a tenté une initiative en ce sens, en inaugurant il y a six mois une nouvelle centrale #biomasse. Une cheminée fumante se dresse à côté d’une ancienne centrale thermique en friche où errent quelques chiens.

      Les deux fours ingurgitent des tonnes de résidus de tournesols, blé, copeaux de bois venu de Grèce, de Bulgarie et d’Ukraine, permettant de chauffer 8 000 foyers. « Notre but, à terme, est de brûler uniquement de la biomasse locale en provenance des champs alentour », assure le directeur, Kostas Kyriakopoulos. Il rappelle toutefois que si une centrale biomasse peut alimenter quelques milliers de foyers, « elle ne peut pas couvrir les besoins en chauffage à grande échelle ».

      https://www.mediapart.fr/journal/international/050621/athenes-face-au-defi-de-la-fin-de-la-houille
      #DEI

  • « On nous condamne à souffrir » : face à la #pénurie des #médicaments, la colère des patients
    https://www.francetvinfo.fr/sante/medicament/on-nous-condamne-a-souffrir-face-a-la-penurie-des-medicaments-la-colere

    Les tensions d’approvisionnement de médicaments se sont amplifiées ces dernières années, en raison de multiples facteurs. En plus de la hausse de la demande mondiale, il y a le prix de vente de certains traitements jugés peu attrayants par les laboratoires ou les intermédiaires, mais aussi une politique de « flux tendu » visant à limiter les stocks et des sites de production parfois localisés très loin de la France. "Avec cette actualité, nous, malades chroniques, on se rend compte que nous n’avons aucune sécurité dans l’approvisionnement de nos médicaments", déplore Laurence Carton.

    #business

  • À quel prix le Zolgensma®, le #médicament le plus cher du monde, sera-t-il vendu en France ? | Slate.fr
    http://www.slate.fr/story/178845/sante-medicaments-zolgensma-novartis-avexis-fixation-prix-transparence

    Record mondial battu : ce sera 2,125 millions de dollars l’injection unique, soit environ 1,9 million d’euros. La Food and Drug Administration (FDA) américaine venait à peine, le 24 mai 2019, de donner son autorisation de mise sur le #marché que la #multinationale_pharmaceutique suisse #Novartis annonçait sa revendication de prix pour sa dernière pépite de thérapie génique, le #Zolgensma®.

    Ce prix délirant est fondé sur une avancée biologique majeure réalisée pour partie par une équipe de recherche française dirigée par Martine Barkats chez #Généthon, une structure créée grâce à l’énergie et au fruit des opérations caritatives de l’#AFM-Téléthon.

    […] En France, ces discussions seront menées – dans le plus grand secret– au sein du Comité économique des produits de santé (#CEPS). Le fait que cette avancée thérapeutique majeure trouve son origine dans des travaux menés en France est-il de nature à peser sur les tractations à venir ? C’est fort peu vraisemblable.

    « Certes, les travaux fondamentaux financés depuis trente ans par l’AFM-Téléthon, suivis des recherches novatrices de Martine Barkats, ont été essentiels, mais ils ont aussi été complétés par les travaux d’AveXis et des accords ont été passés quant à l’utilisation des brevets français, souligne Christian Cottet, directeur général de l’AFM-Téléthon. Ces accords de #licence prévoient le versement de 4 millions d’euros à la signature puis des versements échelonnés d’un total de 11 millions d’euros, au fur et à mesure des étapes de développement, le tout associé à un pourcentage sur les ventes du médicament aux États-Unis et en Europe. Ce qui correspond à des sommes de l’ordre de plusieurs dizaines de millions d’euros sur la durée, que se partageront Généthon et la recherche publique français (#CNRS), co-propriétaires des brevets. Bien entendu, ces sommes seront entièrement réinvesties dans de nouveaux programmes de recherche, notamment pour des maladies rares, dans le respect de la vocation non lucrative de Généthon. »

    […] « Ainsi, le prix réellement perçu in fine par Biogen pour son Spinraza® est inférieur à celui officiellement affiché, confie Christian Cottet. Pour autant, c’est en se comparant aux chiffres officiels de son concurrent que Novartis a fixé le prix de son Zolgensma®, en arguant qu’il permettait, en une seule injection, d’obtenir de bien meilleurs résultats à moitié prix du traitement Spinraza® sur dix ans. Où l’on voit qu’à l’évidence, l’absence entretenue de transparence est une cause majeure d’inflation, même s’il faut cependant reconnaître que les coûts de production du Zolgensma® sont bien supérieurs à ceux du Spinraza®. »

    #industrie_pharmaceutique #sécurité_sociale #thérapie_génique #maladie_orpheline

  • Creutzfeldt-Jakob : l’inquiétante mort d’une laborantine de l’INRA
    https://www.mediapart.fr/journal/france/210619/creutzfeldt-jakob-linquietante-mort-dune-laborantine-de-linra

    Une plainte a été déposée contre l’Institut national de la recherche agronomique (Inra) pour « homicide involontaire » et « mise en danger de la vie d’autrui » après le décès d’une ancienne salariée, Émilie, 32 ans, contaminée au cours d’une manipulation dans un laboratoire. De nombreux manquements en matière de sécurité ont été commis par l’Inra. Le ministère lance une #Enquête à l’échelle nationale.

    #maladie_de_Creutzfeldt-Jakob,_INRA,_vache_folle,_A_la_Une

    • Contaminée à la suite d’un accident dans un laboratoire de l’Institut national de recherche agronomique (Inra), Émilie, 33 ans, est décédée lundi 17 juin du variant de la maladie de Creutzfeldt-Jakob. Selon nos informations, son époux et ses parents ont déposé plainte pour « homicide involontaire » et « mise en danger de la vie d’autrui ». Elle est en cours d’étude au parquet de Versailles.

      Interrogé par Mediapart, le ministère de l’enseignement supérieur et de la recherche explique qu’il vient de confier à l’inspection générale de l’administration, de l’éducation nationale et de la recherche ainsi qu’à l’Inspection santé et sécurité au travail une enquête nationale pour évaluer les mesures de sécurité des laboratoires de recherche sur les prions et vérifier, par ailleurs, dans quelles conditions est survenue la contamination d’Émilie à l’Inra.

      Le diagnostic de la maladie a été fait en avril et confirmé en mai par la Cellule nationale de référence de la maladie de Creutzfeldt-Jakob, basée à l’hôpital de la Pitié-Salpêtrière à Paris. Sans exclure l’éventualité d’une contamination liée à une consommation de viande durant la crise de la vache folle, l’équipe médicale conclut néanmoins que l’origine de la maladie est compatible avec « une contamination accidentelle en milieu professionnel », du fait notamment de « l’exposition professionnelle à un agent bovin et ou à l’agent de la maladie de Creutzfeldt-Jakob. Dans l’hypothèse d’une contamination en 2010, la période d’incubation serait de 8 ans ». 2010 est l’année où Émilie s’est coupée alors qu’elle manipulait des prions contaminés dans le laboratoire de l’Inra.

      Après un premier poste à l’Institut Curie, Émilie rentre à l’Inra en avril 2009 en tant qu’assistante ingénieure. Affectée à l’unité de recherche de virologie et d’immunologie, elle rejoint l’équipe chargée des recherches sur les prions.

      Sous sa forme infectieuse, la protéine du prion provoque des encéphalopathies spongiformes transmissibles (EST), comme la maladie dite de la « vache folle », de la tremblante du mouton chez les animaux d’élevage ou de la maladie de Creutzfeldt-Jakob chez l’homme.

      Incurable et mortelle, cette pathologie s’attaque au cerveau, entraînant une mort neuronale. En fonction de son origine et de ses variantes, la maladie peut se déclarer trois à cinquante ans après l’infection et avoir ensuite une évolution fatale en quelques mois.

      Difficile d’oublier les images de vaches tremblantes ou d’abattages massifs de troupeaux qui illustrent, dans les années 1980 et 1990, ce qu’on a communément appelé « la crise de la vache folle », touchant la filière bovine en Grande-Bretagne. Cette crise sanitaire avait entraîné le décès de 224 personnes et conduit les pays européens à décréter un embargo sur la viande de bœuf britannique.

      Une course s’engage alors entre les laboratoires européens, conscients du retard de la recherche scientifique sur les prions, et les programmes se multiplient, notamment sur les modes de transmission de la maladie. Aujourd’hui, le décès de la jeune ingénieure interroge sur les conditions dans lesquelles certains laboratoires se sont lancés dans ces recherches.

      En 2010, Émilie participe à l’un des programmes de l’Inra, à Jouy-en-Josas (Yvelines), l’un des principaux sites de recherche de l’institut. Elle travaille sur des cerveaux de souris transgéniques infectées par des souches de prions humains.

      Selon la réglementation sur la prévention des risques des travailleurs exposés à des agents biologiques pathogènes, les prions sont classés parmi les plus dangereux (de niveau 3 sur une échelle croissante de 1 à 4). Comme le signale le Centre national de la recherche scientifique (CNRS) dans ses Cahiers de prévention, « une formation doit être dispensée avant que le travailleur n’exerce une activité impliquant un contact avec les agents biologiques ». Prévue par le code du travail, elle concerne notamment les risques pour la santé, les précautions à prendre et la conduite à tenir en cas d’accident.

      Première infraction de l’Inra concernant les mesures de prévention : la jeune ingénieure n’a pas été suffisamment formée au danger des prions ni au protocole à suivre en cas de contamination.

      Le 10 mai 2010, quelques jours seulement avant son accident, l’Inra lance un appel d’offres concernant des formations afin de permettre aux équipes d’acquérir ou de renforcer leurs « connaissances sur le travail en milieu confiné », « le respect des bonnes pratiques de laboratoire, la sensibilisation aux risques biologiques ». Il est déjà trop tard pour Émilie.

      Comme le relève un chercheur français qui connaît bien la dangerosité de ces agents pathogènes, « l’institut de recherche a décidé de multiplier les souches de prions les plus dangereuses pour l’homme dans des souris transgéniques humanisées qui ne présentent justement plus de barrière d’espèce avec l’homme afin de faciliter la transmission des prions. Mais compte tenu de ce degré très élevé de dangerosité, avoir confié leur manipulation à une personne de 25 ans, en CDD, en milieu confiné, sans aucun contrôle d’un senior, c’est démultiplier les risques ». Effectivement, Émilie est seule, avec l’une de ses collègues, à manipuler ces agents mortels en laboratoire confiné.

      Ce lundi 31 mai 2010 à 11 h 30, alors qu’elle range le matériel utilisé pour découper un cerveau infectieux de souris transgénique, Émilie s’entaille le pouce avec une pince, « piqûre qui a provoqué une plaie saignante », ainsi que l’atteste la déclaration d’accident rédigée le jour même. Les deux paires de gants en latex prévus à cet usage n’ont pas suffi à assurer sa protection.

      Le dispositif de prise en charge de la jeune ingénieure témoigne également d’un faisceau de négligences frisant l’amateurisme de la part de l’institut, qui semble s’être affranchi des règles de sécurité.

      Alors qu’en cas de contamination par des prions, la victime doit être désinfectée immédiatement et sur place, Émilie est déplacée dans une autre pièce du bâtiment et ne reçoit les premiers soins que près de 15 minutes après l’incident. Pire, elle n’est examinée ni par un médecin, absent ce jour-là, comme le signale la déclaration d’accident, ni même par une infirmière, avec laquelle elle devra se contenter d’un échange téléphonique.

      En rentrant chez elle, Émilie fait part de l’accident à Mathieu*, son conjoint, lui aussi ingénieur dans la recherche scientifique. « Elle a toujours été rigoureuse et elle a tenu à déclarer cet accident. Mais lorsqu’elle l’a fait, ses chefs ont ri et se sont largement moqués de ses craintes. C’est terrible », déplore Mathieu.

      « Émilie avait 25 ans à l’époque, poursuit-il, et elle avait envie de faire confiance à ses responsables. Mais elle était quand même anxieuse et parfois, elle faisait des allusions en me disant, sur le ton de la plaisanterie pour cacher ses peurs : et si j’avais été contaminée ? Elle pensait alors à l’état des souris qu’elle manipulait. »

      Un mois plus tard, dans un courrier daté du 30 juin 2010, l’Inra informe Émilie que son « accident a été reconnu imputable au service de l’administration », confirmant de facto la responsabilité de l’institut. Alors même que la jeune ingénieure est susceptible d’être atteinte du variant de la maladie de Creutzfeldt-Jakob, l’Inra passe sous silence le risque de contamination et n’exige aucun suivi médical.

      Interrogé, un médecin explique « qu’à ce stade, vu le temps d’incubation de la maladie, aucun prélèvement sanguin n’aurait été utile. En revanche, informer la victime du risque de contamination et lui demander de réaliser des examens neurologiques, cela aurait été le minimum ».

      Une fois son contrat terminé à l’Inra, en 2012, Émilie est recrutée au Commissariat à l’énergie atomique pour travailler dans un laboratoire d’étude du métabolisme des médicaments. Depuis son départ de l’Inra, elle n’a plus jamais manipulé de prions.

      À partir de novembre 2017, progressivement, son état de santé se dégrade. En avril 2018, souffrant de façon persistante de douleurs à l’épaule, elle passe des examens radiographiques qui ne signalent rien d’anormal. En août 2018, elle ne peut plus marcher et sombre dans une dépression. Sa santé se dégrade inexorablement. Elle est régulièrement hospitalisée. Puis, elle perd l’usage du langage et ne parvient plus à se déplacer.

      C’est finalement en avril 2019, après de multiples examens et prélèvements sanguins, que les médecins de la Cellule nationale de référence des maladies de Creutzfeldt-Jakob de l’hôpital de la Pitié-Salpêtrière concluent qu’Émilie est atteinte du variant de la maladie de Creutzfeldt-Jakob. Mais Émilie n’en saura rien.

      « En accord avec ses parents et les médecins, je n’ai pas voulu lui dire de quoi elle était atteinte, confie Mathieu. Elle connaissait les effets de cette maladie et surtout qu’il n’y avait pas d’issue possible, c’est pourquoi nous avons préféré ne pas lui dire. C’est tellement difficile d’avoir fait ce choix, mais nous ne voulions pas l’effrayer. » Le 3 juin, le médecin qui la suit constate « une nette évolutivité de la maladie pouvant mettre à court terme son pronostic vital en jeu ». Émilie meurt le 17 juin.

      Mathieu a alerté l’Inra de la maladie de son épouse. « Je n’ai eu aucune réponse de leur part », précise-t-il. Souhaitant rester auprès d’elle pour les derniers mois de sa vie, il a demandé aux représentants du personnel et des syndicats de relancer l’institut.

      Confrontés au même silence, des délégués syndicaux ont confié à Mediapart : « Nous n’avons été informés de cet accident que neuf ans après. C’est inimaginable. Il n’y a pas eu, à notre connaissance, de CHS extraordinaire [Comité hygiène et sécurité, devenu en 2013 le Comité d’hygiène, de sécurité et des conditions de travail – ndlr] comme la législation et surtout la situation l’exigeaient. Le code du travail prévoit qu’il y ait une analyse et un suivi des incidents et des accidents. Nous attendons toujours la preuve que cela ait été fait. »

      Aujourd’hui, une cellule psychologique a été mise en place pour répondre aux inquiétudes de l’équipe travaillant sur les prions, mais « ce n’est pas cela qui permet de comprendre ce qui s’est passé lors de l’accident. L’Inra a aussi une obligation : celle de reconnaître ses responsabilités et le caractère professionnel de la maladie contractée par la défunte », conclut l’un des chercheurs syndiqués.

      « Cette affaire est un véritable scandale, estiment Marc et Julien Bensimhon, les avocats d’Émilie, de son époux et de ses parents. La maladie de Creutzfeldt-Jakob fait partie des pathologies les plus dangereuses. Or, aucune des règles de sécurité et de précaution n’a été respectée par l’Inra. Nous sommes manifestement dans l’incompétence la plus totale, alors que l’Inra est un institut national reconnu, devant être considéré comme tel. La justice sera chargée de déterminer les responsabilités. »

      Ils déplorent que l’Inra se soit « désintéressé de la situation et continue à faire le mort en refusant d’assumer sa responsabilité. Cette attitude est totalement inadmissible, surtout lorsqu’on connaît le calvaire qu’a vécu Émilie. Après huit ans d’incubation, elle a commencé à supporter pendant plus d’un an des symptômes de la maladie de Creutzfeldt-Jakob, des douleurs physiques puis des confusions mentales et des pertes de conscience. Jusqu’à ce qu’en avril 2019, la maladie soit diagnostiquée et confirmée par la Cellule nationale de référence basée à l’hôpital de la Salpêtrière ».

      Parallèlement à la plainte pénale, « nous avons saisi le président du tribunal administratif de Paris, le 6 juin, qui compte tenu de la gravité de la situation et de l’état de santé d’Émilie a, en urgence, désigné un neurologue, expliquent Marc et Julien Bensimhon. Il a pu réaliser une première expertise quelques jours avant le décès. Cette expertise permettra également de démontrer les responsabilités ».

      Philippe Mauguin, PDG de l’Inra depuis juillet 2016, a tenu à répondre lui-même à nos questions parce que « l’idée que l’Inra cacherait des choses doit se dissiper ». Sur ce point, l’absence d’informations délivrées aux salariés lors de la survenue de cet accident en 2010 infirme ses propos.

      Pour le reste, il tient à assurer que face à « un tel drame, toutes les pièces du dossier seront données à la justice et que s’il y a des responsabilités de l’Inra, elles seront assumées ». L’ancien directeur de cabinet du ministre de l’agriculture Stéphane Le Foll conteste l’absence de formation mais ne commente pas les irrégularités commises lors de la prise en charge d’Émilie après l’accident.

      « Si cette contamination est due à cette coupure, si c’est confirmé, nous prendrons les mesures de sécurité appropriées », conclut-il. Pourtant, en 2010, le protocole de sécurité existait déjà depuis un arrêté ministériel de 2007, et il n’a pas été respecté par l’Inra.

      Ce serait une première en France, et certainement dans le monde (des informations que nous avons pu avoir à ce jour), qu’une telle contamination se fasse par voie cutanée, à la suite d’une coupure au doigt.

      Le 19 juin, dans une déclaration commune, les syndicats CFDT, CGT, Sud, EPST et la CFTC ont rappelé à la direction de l’institut qu’il y a des procédures de suivi médical à suivre lors des déclarations d’accidents, particulièrement ceux liés aux risques biologiques, chimiques et radioactifs.

      « C’est effrayant de devoir rappeler ces règles de base à l’Inra. Aujourd’hui, à l’annonce de ce décès, la direction est paniquée parce que je pense qu’elle connaît l’entendue de ses responsabilités dans ce drame », précise un délégué syndical de l’Inra, avant de conclure : « C’est regrettable de devoir attendre des drames comme celui-ci pour découvrir qu’il y a eu un accident et apprendre dans quelles conditions désastreuses cette ingénieure a été prise en charge. Depuis l’annonce de ce décès, un vent de panique a saisi le milieu de la recherche française et plusieurs laboratoires, qui ne sont pas seulement à l’Inra, suivent de près cette affaire. »

  • Les États-Unis risquent de perdre leur statut de pays ayant éliminé la rougeole Afp à Washintown - 30 Mai 2019 - Le Devoir
    https://www.ledevoir.com/societe/sante/555680/les-etats-unis-risquent-de-perdre-leur-statut-de-pays-ayant-elimine-la-rou

    Le nombre de cas de rougeole aux États-Unis a atteint son plus haut niveau en 25 ans, et le pays pourrait « perdre son statut d’élimination de la rougeole » si l’épidémie se poursuivait au-delà de l’été, ont prévenu jeudi les autorités sanitaires américaines.

    Le nombre de malades depuis le début 2019 a atteint 971 jeudi, selon les Centres de contrôle et de prévention des maladies (CDC), un record depuis les 963 cas enregistrés sur toute l’année 1994.

    En 2000, la rougeole a été déclarée « éliminée » aux États-Unis, un but qui avait été fixé en 1963 avec le début de la vaccination. Ce terme correspond à l’absence de transmission continue pendant 12 mois dans une zone géographique particulière (le terme d’« éradication » correspond à une élimination sur toute la planète).


    Dans le cas présent, c’est l’épidémie persistante de la région new-yorkaise qui alarme les autorités. Elle a commencé officiellement à New York le 30 septembre 2018, et dans le comté voisin de Rockland le 1er octobre. Si elle continuait pendant encore quatre mois, selon cette convention, les États-Unis ne pourront plus dire qu’ils ont « éliminé » la maladie.

    Malgré la vaccination obligatoire décrétée par le maire de New York début avril dans les quartiers de la communauté juive les plus touchés, la ville a eu 173 cas en avril et 60 en mai.

    En pratique, les États-Unis ne sont jamais descendus à zéro cas. Depuis 2000, le nombre de cas oscillait entre quelques dizaines et quelques centaines par an, le maximum étant de 667 malades en 2014, une épidémie qui était alors concentrée pour plus de la moitié dans des communautés amish de l’Ohio (nord).

    La résurgence de foyers est principalement due à des voyageurs non-vaccinés ou sous-vaccinés contaminés à l’étranger et revenant aux États-Unis. C’est le cas depuis l’an dernier dans diverses régions des États-Unis, avec des souches importées notamment des Philippines, d’Israël et d’Ukraine.

    « Le seul moyen de mettre fin à l’épidémie est que tous les enfants et adultes qui peuvent être vaccinés le soient », a déclaré Robert Redfield, le directeur des CDC. « Je veux rassurer à nouveau les parents et leur dire que les vaccins sont sûrs, ils ne causent pas l’autisme. Le danger plus grave est la maladie que la vaccination prévient ».

    #santé #rougeole #vaccination #vaccins #vaccin #maladie #religion #ultra-orthodoxes #ultra-orthodoxe #israel #religieux #Philippines #Ukraine

  • Le #burn-out reconnu comme #maladie par l’#OMS
    https://www.lemonde.fr/sante/article/2019/05/27/le-burn-out-reconnu-comme-maladie-par-l-oms_5468255_1651302.html

    Que le travail puisse rendre malade n’est pas une idée nouvelle mais, pour la première fois, l’#épuisement_professionnel lié au #stress, le burn-out, est reconnu comme maladie par la classification internationale de l’Organisation mondiale de la santé (OMS).

    Les personnes #transgenres sont cependant toujours considérées comme malades, l’« incongruence de genre » passant de la catégorie des troubles mentaux à un nouveau chapitre consacré à la #santé sexuelle.

  • 25 mai 2019, reconnaissance du #burn_out par l’#OMS ! | Au temps pour toi
    https://www.autempspourtoi.eu/25-mai-2019-reconnaissance-du-burn-out-par-loms

    Le 13 mai dernier encore, sur France Inter la Ministre du #travail Muriel Pénicaud, interrogée sur les suicides à France Télécom et le syndrome d’épuisement professionnel (burn-out) a répondu que « ces sujets là sont des sujets internationaux. L’Organisation mondiale de la santé (OMS) a dit très fermement après étude que ce n’était pas une maladie professionnelle. »

    Même s’il ne rentre en application qu’en 2022, le vote d’aujourd’hui vient donc à présent changer la donne, et ouvrir la voie de la reconnaissance au niveau national, sur base de cette étape internationale. Il faut ici préciser que si le burn out peut donc désormais être nommé « maladie », il n’est pas certain qu’il soit rapidement répertorié comme « maladie professionnelle ».

  • Razzia gegen Pflegedienste Millionenfacher Abrechnungsbetrug bei Intensivbetreuung
    https://www.berliner-zeitung.de/berlin/polizei/razzia-gegen-pflegedienste--millionenfacher-abrechnungsbetrug-bei-i
    Voilà comment on peut faire des millions quand on n’a pas la moindre qualification formelle. En faisant travailler des immigrées de l’Est comme infirmières spécialisées dans des centres de soins intensifs pour personnes agées on participe à un secteur économique en plein expansion. Avec une petite opération de photocopieuse on transforme des fermières ukrainiennes en infirmières spécialisées et le tour est joué. Le chiffre d’affaires à prévoir tourne autour des 20.000 Euros par patient et mois.

    Depuis sa privatisation le secteur des soins intensifs gériatriques est particulièrement vulnérable aux abus car les patients ne parlent pas. Ce problème est assez répandu pour avoir déjà servi de contexte pour un film policier de la série Tatort . Malheureusement dans la réalité la brutalité et l’ampleur du phénomène dépassent largement la trame d’un film qui raconte une histoire particulière. Les soins industrialisés eencouragent le crime à une échelle industrielle.

    De nos jours l’exploitation industrielle jusqu’à la mort des prisonniers organisée par la SS sert d’exemple aux concepts et pratiques libérales dépourvus de toute morale humaine. L’arrestation d’une parraine du crime organisé ne met sous les projecteurs que la pointe de l’iceberg. Dans les institutions légales la situation est à peine meilleure.

    Berlin - Die Polizei hat während einer Razzia drei Frauen verhaftet, die sich eines groß angelegten Abrechnungsbetrugs in Pflegediensten schuldig gemacht haben sollen. Der finanzielle Schaden für die Pflegekassen beträgt nach Mitteilung der Berliner Staatsanwaltschaft mindestens 1,5 Millionen Euro. Es ist davon auszugehen, dass auch schwer kranke Patienten Schaden genommen haben, weil sie von nicht qualifizierten Pflegern betreut wurden. Hauptbeschuldigte ist Andrea K., eine verwitwete Freifrau, die in ihrer Berliner Wohnung verhaftet wurde. Die 63-Jährige mit spanischem Hauptwohnsitz soll seit 2013 Arbeitskräfte vorwiegend aus Osteuropa nach Deutschland gebracht und mit gefälschten Qualifikationsnachweisen ausgestattet haben.

    Damit sollen sie als vorgebliche Intensivpflegekräfte an mindestens neun Pflegedienste vermittelt oder direkt dort eingesetzt worden sein. Die mutmaßlichen Betrüger sollen sich einen besonders lukrativen Bereich der Pflege ausgewählt haben. Betreut wurden vorwiegend Patienten in Pflegeheimen, die beatmet und rund um die Uhr betreut werden müssen.

    Milliarden-Schaden Berlin ist die Hauptstadt krimineller Pflegedienste
    Pflegeberaterin Cornelia Neubert während eines Beratungsgesprächs.
    Beratungsstelle Zu Besuch in einem Berliner Pflegestützpunkt

    Dafür werden durchschnittlich 20.000 Euro im Monat abgerechnet. Die Hauptbeschuldigte soll vor der Betrugsserie mehrere Pflegedienste über Strohleute betrieben haben, die zahlungsunfähig wurden. Deshalb soll sie sich auf das neue kriminelle Betätigungsfeld konzentriert haben. Seit Monaten wurde deshalb gegen zwölf Personen ermittelt.

    Am Dienstag schwärmten dann 130 Polizisten in Berlin, Brandenburg und Schleswig-Holstein aus, durchsuchten 19 Orte, darunter sechs Pflegedienste. Drei von fünf Haftbefehlen konnten vollstreckt werden. Neben Andrea K. wurde in Berlin und Hamburg jeweils eine mutmaßliche Komplizin festgesetzt. Die Frauen, 44 beziehungsweise 61 Jahre alt, sollen seit Jahren für die Hauptbeschuldigte tätig gewesen sein. Beide waren selber als Pflegekräfte tätig und nicht dafür qualifiziert.

    #Allemagen Berlin #crime #viellesse #maladie #santé #soins

  • Une institutrice américaine, atteinte d’un cancer, contrainte de payer son remplaçant AFP - 10 Mai 2019 - RTBF
    https://www.rtbf.be/info/monde/detail_une-institutrice-americaine-atteinte-d-un-cancer-contrainte-de-payer-son

    Des parents d’élèves d’une école de San Francisco ont organisé une collecte de fonds destinée à financer une institutrice malade du cancer, tenue par la loi de rembourser le salaire de son remplaçant : près de 200 dollars par jour (environ 180 euros) .


    Illustration - Une institutrice américaine, atteinte d’un cancer, contrainte de payer son remplaçant - © PHILIPPE DESMAZES - AFP

    Cette situation « n’est pas propre au district ou à San Francisco » , a assuré à l’AFP une porte-parole du district scolaire, Laura Dudnick, expliquant que l’obligation de remboursement s’applique dans toutes les écoles de Californie, conformément au code de l’éducation en vigueur dans cet Etat depuis 1976.

    En vertu de l’accord conclu entre le district et les organisations syndicales à San Francisco, chaque enseignant a droit à dix jours de congés-maladie payés par an. Les jours non pris peuvent se cumuler d’année en année.

    Une fois épuisés ces jours, les enseignants malades peuvent encore bénéficier de 100 jours de congés prolongés, durant lesquels ils reçoivent « l’intégralité de leur salaire moins le coût de leur remplaçant », explique la porte-parole.

    Enseignante en deuxième année de maternelle, l’institutrice, qui exerce dans l’école depuis 17 ans, souffre d’un cancer du sein et a demandé aux nombreux médias s’intéressant à son cas de protéger son anonymat.

    La collecte de fonds organisée sur internet par les parents de l’école élémentaire Glen Park a permis de lever près de 14.000 dollars et est désormais close.

    #californie #école #maladie #pauvreté #assurance_maladie #paradis californien

  • Gelähmte Balletttänzerin Barbara Carus : ALS-Patientin kämpft um eine 24-Stunden-Betreuung | Berliner Zeitung
    https://www.berliner-zeitung.de/berlin/gelaehmte-balletttaenzerin-als-patientin-kaempft-fuer-ihre-selbstbe


    Le système médical privatisé allemand refuse les soins essentiels à une patiente incurable. Sa famille est obligée de payer pour les soins intensifs dont elle aura besoin jusqu’á sa mort. Dans un tel contexte le suicide s’impose aux malades qui veulent éviter à leur famille de perdre leur épargne.

    Gelähmte Balletttänzerin: ALS-Patientin kämpft für ihre Selbstbestimmung

    Von Kerstin Hense
    26.04.19, 17:26 Uhr

    Bild: Barbara Carus vor der Charité. Ihr wurde gerade eine Sonde eingesetzt, die sie künstlich ernährt. Foto: Thomas Uhlemann

    Treptow - Barbara Carus (64) kämpft 24 Stunden am Tag. Gegen den rasanten Verlauf ihrer schweren Erkrankung und für ein letztes Stück Selbstbestimmung und Würde. Ihr stärkster Gegner, die Zeit, fordert sie dabei gnadenlos heraus, denn sie weiß nicht, wie viel ihr noch davon bleibt. Der Berliner Zeitung erzählt sie, wie ihr die Mühlen der Bürokratie auch noch zusätzlich Lebenskraft stehlen.

    An ihrem Krankenbett steht ein bunter Strauß Frühlingsblumen. Die Sonnenstrahlen scheinen Barbara Carus ins Gesicht. Für ihr Alter und die unheilbare Krankheit ALS (amyotrophe Lateralsklerose), an der sie leidet und die ihre Nervenzellen nach und nach zerstört, sieht sie noch sehr gut aus. Doch das ist äußerlicher Schein.

    Die ehemalige Tänzerin, die früher zu DDR-Zeiten im staatlichen Tanzensemble und im Metropol-Theater auftrat und voll eiserner Disziplin und Ausdauer an ihrer Karriere arbeitete, geht langsam die Puste aus – und das liegt nicht nur an den Symptomen ihrer Krankheit.

    Streit um die Kostenübernahme einer 24-Stunden-Pflege

    Barbara Carus muss rund um die Uhr betreut werden, aber unklar ist, wer das bezahlt. Sie streitet mit den Behörden um die Kostenübernahme. „Die wollen Leute, die im Bett liegen und die Klappe halten und nicht solche, die wie ich noch Wünsche und Bedürfnisse haben“, so empfindet das Barbara

    Carus. Das Erzählen fällt ihr schwer. Laute bringt sie nur mit viel Anstrengung und stark lallend heraus. Die Krankheit wird ihr auch sehr bald die Stimme nehmen. Davor fürchtet sich Barbara Carus am meisten, wie sie sagt, weil sie dann noch weniger gehört wird.

    Niederschmetternde Diagnose: ALS

    Es begann mit einem Taubheitsgefühl im rechten Zeh Ende 2017 und später kribbelten mir auch die Beine, sagt Barbara Carus. Fast ein Dreivierteljahr rannte sie von Arzt zu Arzt, um herauszufinden, warum ihr Körper nicht mehr funktioniert. Sie geriet jetzt immer häufiger ins Stolpern. Erst in der ALS-Ambulanz der Charité überbrachten ihr Experten schließlich die Diagnose. Die Prognose ist niederschmetternd: Die mittlere zu erwartende Lebenszeit von Menschen mit ALS beträgt nach der Diagnosestellung 3 bis 5 Jahre.

    Barbara Carus muss nachts und auch tagsüber beatmet werden, weil ihre Atemmuskulatur stark beeinträchtigt ist. Sie droht sonst zu ersticken. Dafür hat ihre Krankenkasse 12 Stunden Betreuung bewilligt. Eine häusliche 24 Stunden-Betreuung wurde abgelehnt, obwohl der Krankheitsverlauf so dramatisch voran schreitet. Sie kann sich nicht allein ans Beatmungsgerät anschließen, kommt nicht allein aus dem Bett und braucht selbst beim Essen und Trinken jemanden an ihrer Seite, weil sie sich permanent verschluckt. Ihre einzige Tochter Claudia (33) musste aus Wien anreisen, um der Mutter tagsüber zu helfen.

    „Wir können nachvollziehen, dass Frau Carus eine Unterstützung benötigt, die über den Leistungsanspruch von Pflege- und Krankenkasse hinausgeht“, sagt Markus Heckmann, Sprecher der zuständigen Krankenkasse von Barbara Carus auf KURIER-Anfrage. Sie sei mehrfach darauf hingewiesen worden, sich für weitere Unterstützungsleistungen mit dem zuständigen Amt für Soziales vor Ort in Verbindung zu setzen.

    Kampf um Kostenübernahme gestaltet sich oft endlos

    Für den Verein ALS mobil ist dies kein Einzelfall. „Viele Patienten kämpfen bis zu drei Jahre um Kostenübernahme einer 24-Stunden-Betreuung. Die Verfahren werden endlos in die Länge gezogen, oft solange, bis der Patient kein Hilfsmittel mehr benötigt“, sagt Vorstandsmitarbeiterin Anja Troch.

    Barbara Carus kann nicht mehr zum Sozialamt gehen. Ihre Tochter hat sie inzwischen in einer privaten Intensivpflege untergebracht. „Ich muss wieder arbeiten und habe Angst, dass Mama erstickt, wenn sie allein ist“, sagt Claudia Carus. Doch das Problem bleibt: Wer zahlt das? Jetzt soll das Sozialgericht das in einem Eilverfahren entscheiden. Barbara Carus hofft auf eine schnelle Entscheidung. Sie sagt: „Die Kraft, die ich noch habe, möchte ich nicht sinnlos vergeuden.“ Die Zeit ist ihr stärkster Gegner.

    #Allemagne #maladie #santé #soins #social

  • #Endométriose, le #handicap invisible qui précarise les #femmes - Libération
    https://www.liberation.fr/france/2019/03/31/endometriose-le-handicap-invisible-qui-precarise-les-femmes_1718537

    Du côté de l’assurance #maladie, la prise en charge de l’endométriose n’a rien d’automatique. Cette maladie chronique et invalidante ne figure pas sur la liste des affections de longue durée (ALD). Il est toutefois possible de faire une « demande hors liste » avec son médecin traitant, sans garantie de succès. « Des femmes ont des atteintes de stade 4 et sont prises en charge ALD dans la région Paca par exemple, mais une patiente qui aura exactement la même atteinte dans les Hauts-de-France sera refusée, on ne sait pas pourquoi », explique Nathalie Clary.

    Autre possibilité pour les femmes qui souffrent d’endométriose : demander une reconnaissance de la qualité de travailleur handicapé (RQTH) à leur médecin du travail.

  • Spatialités des mémoires

    Ce numéro de Géographie et cultures consacré aux spatialités des mémoires propose de poursuivre les voies ouvertes par de nombreux chercheurs appartenant à différentes disciplines des sciences sociales, et d’examiner comment la géographie contemporaine se situe dans le champ des #Memory_Studies.
    Si la mémoire, abordée dans ses dimensions individuelles et collectives, exprime d’emblée un rapport au passé, elle articule et produit conjointement de nombreuses interactions, entre soi et les autres, entre le temps et l’espace. La mémoire, plus ou moins visible et lisible, d’un passé réactivé, remodelé, nié ou instrumentalisé n’est pas sans lien avec des stratégies d’acteurs diversifiés. Qu’il s’agisse de mémoires institutionnalisées dans des #sites, #musées ou #mémoriaux, ou d’espaces dans lesquels les mémoires sont échafaudées à partir de traces, la (re)production d’#espaces_mémoriels s’organise autour d’une subtile articulation #identités/#mémoires/#territoires, laquelle rend compte d’une dialectique de l’#ancrage et de la #mobilité, fût-elle éphémère.
    Les articles de ce numéro thématique explorent différentes formes de productions (ou d’empêchement de productions) spatiales mémorielles liées aux diverses recompositions politiques, sociales et économiques qui affectent les sociétés.


    https://journals.openedition.org/gc/6318
    #mémoire #géographie

    Les articles :

    Dominique Chevalier et Anne Hertzog
    Introduction [Texte intégral]

    Laurent Aucher
    Devant le mémorial, derrière le paradoxe [Texte intégral]
    Réflexions sur les pratiques de visite au monument berlinois de la #Shoah
    In front of the memorial, behind the paradox:
    thoughts about practices of visiting the Berliner memorial of Shoah

    Thomas Zanetti
    #Matérialité et spatialité d’une mémoire meurtrie [Texte intégral]
    La reconnaissance mémorielle des #maladies_professionnelles des anciens verriers de #Givors
    Materiality and spatiality of a bruised memory: the memorial recognition of the occupational diseases of the former glassmakers of Givors

    Cécile Tardy
    Les infra-espaces des mémoires du Nord [Texte intégral]
    The infra-spacies of memories of the “Nord” region of #France

    Noémie Beltramo
    Le #territoire_minier [Texte intégral]
    Vecteur ou support de la mémoire de l’#immigration_polonaise ?
    The territory: vector or support of the Polish immigration’s memory?
    #migrants_polonais #extractivisme #mines

    André-Marie Dendievel et Dominique Chevalier
    Topos et mémoires des deux rives de La Loire amont (XVIIIe–XXe siècles) [Texte intégral]
    L’exemple de Chassenard (Allier) et Digoin (Saône-et-Loire)
    Topos and memories on both sides of the upstream section of the Loire River (XVIIIth‑XXth centuries AD): the example of #Chassenard (Allier) and Digoin (Saône-et-Loire)

    Patrick Naef
    L’escombrera de #Medellin [Texte intégral]
    Une #fosse_commune entre #reconnaissance et #oubli

    Sophie Didier
    #Droit_de_mémoire, Droit à la Ville [Texte intégral]
    Essai sur le cas sud-africain
    Right to memory, Right to the City: an essay on the South African case
    #afrique_du_sud

    Florabelle Spielmann
    Combats de bâtons de #Trinidad [Texte intégral]
    Fabrique géographique, sociale et culturelle de la mémoire
    Trinidad stick-fight: shaping memorial places through geographic, social and cultural spaces

    ping @reka @albertocampiphoto

  • Comment une nouvelle « loi travail » pourrait bientôt s’attaquer à la santé et à la sécurité des salariés - Basta !
    https://www.bastamag.net/Comment-une-nouvelle-loi-travail-pourrait-bientot-s-attaquer-a-la-sante-et
    https://www.bastamag.net/IMG/arton7192.jpg?1552752844

    Remis au Premier ministre à la fin de l’été, le rapport « Lecocq », du nom de la députée LREM du Nord, Charlotte Lecocq, s’inscrit dans la droite ligne de la loi Travail de 2016 puis des ordonnances du même nom : les entreprises seraient trop contraintes et trop contrôlées. Des chefs d’entreprise y suggèrent de privilégier « une relation bienveillante » avec les employeurs, « dirigée vers le conseil et l’accompagnement avant contrôle et éventuelle sanction ». « Il suffirait en fait d’arrêter les contrôles et d’être bienveillant pour que les entreprises deviennent vertueuses », ironise Eric Beynel, porte-parole de l’Union syndicale Solidaires. Une vision du travail fascinante et qui n’a pas grand chose à voir avec la réalité. « Ce que nous constatons tous les jours dans le cadre de nos activités sur le sujet de la santé et de la sécurité au travail, c’est qu’il n’y a pas assez de contrôles ni de contraintes », poursuit le syndicaliste.

    https://www.nosdeputes.fr/charlotte-lecocq
    #travail

    • La fonction publique au menu du prochain rapport Lecocq
      par Rozen Le Saint 26/03/2019

      La députée LREM du Nord Charlotte Lecocq s’est vu confier par le Premier ministre la rédaction d’un nouveau rapport sur l’amélioration de la prévention des risques professionnels, cette fois dans la fonction publique. Conclusions attendues le 31 mai.

      Il y aura donc un tome 2 au rapport Lecocq. Et il portera sur l’amélioration du dispositif de prévention des risques professionnels dans la fonction publique. C’est ce qu’indique la lettre mission envoyé le 6 mars par le Premier ministre à Charlotte Lecocq, députée #LREM du Nord. Celle-ci avait déjà corédigé un premier rapport autour du même objectif mais portant sur le secteur privé, rendu en août 2018 et intitulé Santé au travail : vers un système simplifié pour une prévention renforcée. Pour sa nouvelle mission, dont les conclusions doivent être restituées le 31 mai, la députée sera épaulée par Pascale Coton, vice-présidente de la CFTC et membre du Conseil économique, social et environnemental, et Jean-Marie Verdier, inspecteur général des finances.

      La crainte d’un copier-coller
      Cette annonce est cohérente avec le souhait exprimé par l’élue parlementaire, dans son précédent rapport, d’étendre son diagnostic au secteur public. Elle témoigne aussi de la confiance que lui accorde le gouvernement. Mais elle ne ravit pas forcément les partenaires sociaux. « Compte tenu du peu de temps laissé à ces personnes pour réaliser ce rapport, nous ne pouvons qu’être méfiants : nous craignons qu’il soit un simple maquillage de mesures s’alignant sur le privé », signale Annick Fayard, secrétaire nationale de l’Unsa Fonction publique en charge des questions de santé au travail. La responsable syndicale rappelle que « la médecine de prévention est de nature différente et a une tout autre mission que la médecine du travail dans le privé ». « Il y a une différence entre l’aptitude au poste et à l’emploi, poursuit-elle. Contrairement aux salariés du privé, nous ne bénéficions pas non plus du compte professionnel de prévention. Nos réalités sont différentes, il aurait fallu les traiter différemment. »
      Dans sa lettre de mission, Edouard Philippe insiste en premier sur la nécessité de s’attaquer aux risques psychosociaux (RPS), pour lesquels « les plans d’action en prévention primaire s’avèrent insuffisants ». Il mentionne à ce titre un bilan dressé sur le sujet en juillet 2017 par l’Agence nationale pour l’amélioration des conditions de travail (Anact), dans le cadre d’une mission d’évaluation de la mise en application de l’accord de 2013 sur la prévention des RPS dans la fonction publique. La conclusion du rapport rédigé pour l’occasion n’était, en effet, pas très positive. « Des mesures comme des cellules d’écoute ont été mises en place, mais les organisations du travail ont été peu questionnées », résume son auteur, Philippe Douillet, chargé de mission à l’Anact.

      Des risques psychosociaux très présents
      Il y a pourtant beaucoup à faire. Annick Fayard insiste ainsi sur la violence des publics à laquelle sont particulièrement confrontés les fonctionnaires. « Les RPS, notamment dans les hôpitaux, ont explosé et le manque de médecins du travail est criant, souligne pour sa part Philippe Douillet. La préoccupation relative à la prévention en santé au travail s’est développée tard dans la fonction publique. Les grands accords sur le stress y ont été conclus cinq à dix ans après le privé. » Il note en revanche « un effort de rattrapage important depuis 2013, d’autant que les problèmes ne sont pas si différents que dans le privé ».
      Autre sujet important, la fusion annoncée des instances représentatives du personnel dans la fonction publique, et donc la suppression des #CHSCT, est présentée dans la lettre de mission du Premier ministre comme un « sujet indépendant » du chantier confié à Charlotte Lecocq. Un choix contesté par la représentante de l’Unsa Fonction publique, qui considère que « l’expertise du CHSCT fait partie des moyens d’identifier les risques et de mettre en place des actions correctrices ».

      http://www.sante-et-travail.fr/fonction-publique-menu-du-prochain-rapport-lecocq
      https://seenthis.net/messages/770295

    • Une critique du rapport Lecocq à la lumière de la catastrophe sanitaire de l’amiante

      Charlotte Lecocq, Bruno Dupuis et Henri Forest ont écrit un rapport de 174 pages sur la prévention, sans avoir rencontré aucun des acteurs essentiels de la prévention. Ils ont simplement écouté les récriminations des employeurs pour qui la santé au travail serait – à les en croire – devenue synonyme de « contraintes excessives », de « contrôles » et de « sanctions. » Ils s’en font les porte-parole.

      https://neplusperdresaviealagagner.org/une-critique-du-rapport-lecocq-a-la-lumiere-de-la-catastrophe-sanitaire-de-lamiante/#more-1827
      https://neplusperdresaviealagagner.org/category/ressources/tribune
      Je suis presque d’accord, pour moi le travail a toujours été synonyme de contraintes excessives, de contrôles, de sanctions, de #fatigue, d’ennui, de mauvais salaires (souvent), de précarité, de galères, de patrons ...

  • Nantes. La victime des essais nucléaires doit rembourser 54000€
    https://www.ouest-france.fr/pays-de-la-loire/nantes-44000/nantes-la-victime-des-essais-nucleaires-doit-rembourser-54-000-eu-62683

    C’est une histoire de fou ! Florence Bourel, une habitante de Sainte-Luce-sur-Loire (près de Nantes) vient de perdre un très long combat judiciaire contre la Sécurité sociale. Dix-sept années de recours et d’expertises médicales, jusqu’à la Cour de cassation, avec un dénouement douloureux

    #paywall, on n’en sait pas plus

    • Christophe JAUNET. Modifié le 18/03/2019 à 19h17
      https://www.ouest-france.fr/pays-de-la-loire/nantes-44000/nantes-la-victime-des-essais-nucleaires-doit-rembourser-54-000-eu-62683

      Florence Bourel travaillait à Mururoa. Après dix-sept ans de recours et d’expertises médicales, la justice a annulé la reconnaissance de son cancer comme maladie professionnelle. Elle perd sa rente.

      C’est une histoire de fou ! Florence Bourel, une habitante de Sainte-Luce-sur-Loire (près de Nantes) vient de perdre un très long combat judiciaire contre la Sécurité sociale. Dix-sept années de recours et d’expertises médicales, jusqu’à la Cour de cassation, avec un dénouement douloureux pour cette ancienne secrétaire au Commissariat à l’énergie atomique.

      Sa santé s’est vite dégradée, après sa mission sur l’atoll de Mururoa, dans les années 1980, où la France faisait ses essais nucléaires. Hypertension, fausses couches à répétition. Elle déclare un cancer de la thyroïde en 2002. « Là-bas, on avait quelques consignes de précaution, mais aucune interdiction. On se baignait dans le lagon. Personne n’avait conscience du danger à l’époque. Les autorités assuraient que nous n’avions rien à craindre », raconte Florence Bourel, 58 ans (1). Elle ne travaille plus depuis huit ans à cause de maladies radio-induites invalidantes, liées aux expositions à la radioactivité.
      La Sécu lui réclame les indemnités versées

      En 2003, son cancer est reconnu maladie professionnelle. Son taux d’Incapacité permanente partielle (IPP) évaluée à 80 %. En 2008, la justice lui accorde une indemnisation rétroactive de 14 000 €, plus une rente mensuelle de 306 €. « Mais la CPAM n’a jamais accepté le jugement et n’a cessé de redemander des expertises. À chaque fois, le taux d’incapacité a été abaissé. »

      Le dernier examen en 2016 fait l’effet d’une bombe : « Un médecin a réduit l’IPP à 15 %, au mieux 20 %. » La cour d’appel d’Angers, en fin d’année dernière, confirme cet avis médical. Un jugement définitif. Ce pourcentage entraîne des conséquences graves : « Sous le seuil de 25 %, la reconnaissance de maladie professionnelle n’existe plus, et la rente s’arrête. Comme si rien ne m’était arrivé, comme si mon cancer n’était pas lié à Mururoa. Et je n’ai plus de recours possibles. »

      Un récent courrier de la CPAM lui porte le coup de grâce. En plus de perdre sa rente, Florence Bourel doit rembourser, sous quinze jours, toutes les indemnités perçues, soit 54 000 €. Elle est dépitée : « La Sécu propose un prélèvement de 1 280 € par mois, à partir du 1er avril, sur ma pension d’invalidité, jusqu’à épuisement de la dette. » Elle se retrouve privée d’un suivi médical spécifique. Mais aussi ses enfants et petits-enfants. Car Florence Bourel a pu transmettre des maladies radio-induites.

      (1) Elle préside l’Association des vétérans des essais nucléaires (Aven 44, www.aven.org)

    • On dirait que c’est plus facile de suspendre les médecins qui luttent contre la #maladie_de_lyme que les #gynéco_délinquants qui prennent les #femmes en otage via l’#IVG pour une revendication corporatiste.

      J’ai été en arrêt pendant quatre mois, de septembre à décembre 2017, bien incapable de travailler. J’ai cru que j’allais devenir folle entre mes quatre murs, et j’ai pu reprendre mon travail à mi-temps thérapeutique en janvier 2018. Les périodes de trithérapie après trois mois en continu se sont succédé par périodes de dix jours, avec vingt jours de pause entre, puis trente, quarante et cinquante jours de pause. Et maintenant, dix-huit mois après le début du traitement de ma maladie, je n’ai plus d’intraveineuses, les trithérapies sont terminées depuis peu, je n’ai plus que des cures de deux antibiotiques par voie orale. Je n’ai plus aucune douleur physique, plus aucun trou de mémoire et le seul symptôme qui me reste est une fatigue très importante. Je ne peux travailler qu’à mi-temps mais j’espère que dans quelques semaines ou mois, je passerai à soixante jours de pause entre mes cures d’antibiotiques et que je pourrai retravailler à temps plein avec un salaire complet. J’ai la chance d’être fonctionnaire titulaire, je n’ai pas perdu mon travail – dans le privé, j’aurais été licenciée depuis longtemps. J’ai aussi la chance d’avoir un mari et un fils, et tout un entourage familial ainsi que deux ou trois ami(e)s proches qui m’ont aidée et soutenue pendant ces traitements interminables. Et aussi et surtout, je gagne assez bien ma vie pour avoir les moyens de me soigner. Les lymés smicards ne peuvent pas se soigner, il faut compter au moins deux ou trois cents euros par mois non remboursés. Les pauvres peuvent crever, tout le monde s’en moque, c’est cela la médecine à deux vitesses. Heureusement pour moi que j’ai fait des études de biologie et que j’ai fait mon propre diagnostic, sinon, comme beaucoup de lymés, mon errance médicale aurait pu durer des années, avec divers diagnostics parfaitement erronés de type polyarthrites rhumatoïdes, sclérose en plaques (d’après le professeur Perronne, le quart des diagnostics de ces maladies auto-immunes sont entachés d’erreurs, il s’agit souvent de borrélioses) ou encore dépression, psychose grave. Je pense que j’ai été soignée juste à temps, à la dernière limite avant d’avoir des séquelles irréversibles ou de ne même plus être là pour en témoigner… Je reviens de loin, j’ai eu de la chance, mais tous les autres lymés qui n’ont pas été soignés et diagnostiqués à temps, ils souffrent en permanence, physiquement et psychologiquement, ils en bavent, ce n’est pas une vie, c’est de la survie. Et le pire, c’est que les rares médecins qui acceptent de nous soigner sont pourchassés par l’Ordre des médecins (rappelons quand même qu’il a été créé par Pétain), souvent suspendus plusieurs mois, soi-disant parce qu’ils prescrivent trop d’antibiotiques. Il est possible de se soigner par homéopathie et phytothérapie sur le long terme, mais c’est insuffisant : sans antibiotiques, il est impossible de neutraliser ses borrélias. Suspendre les rares médecins qui prennent le risque de nous soigner, c’est nous condamner à mort ou à des handicaps lourds. La plupart des médecins qui acceptent de nous soigner ont été malades eux-mêmes – ou l’un de leurs proches – et connaissent l’enfer de notre maladie.