• Politiques migratoires : « Des dispositifs mortels, dont l’effet est de tuer pour dissuader »

    Les textes composant le Pacte migratoire européen devraient être votés à Bruxelles d’ici mercredi 10 avril. Ils pourraient réduire considérablement les droits des personnes en exil qui tenteraient de rejoindre l’Union européenne.

    Renforcer les contrôles aux frontières, procéder au tri des exilé·es aux portes de l’Union européenne, traiter les procédures d’asile en accéléré, expulser plus rapidement les « indésirables » ou encourager les logiques d’externalisation…

    Les textes qui composent le pacte migratoire européen sont actuellement débattus au Parlement européen et doivent être votés mercredi 10 avril. Censé répondre à la crise de l’accueil qu’a connue l’Europe en 2015, il est largement rejeté par la gauche et les ONG, mais a toutes les chances d’être adopté après plus de deux ans de tractations.

    Pourquoi a-t-il été aussi difficile d’aboutir sur un tel pacte ? Que va-t-il changer pour les personnes exilées ? Comment en contrer les potentiels effets négatifs ?

    Nos invitées pour en débattre :

    - #Rima_Hassan, candidate LFI aux élections européennes, juriste et fondatrice de l’Observatoire des camps de réfugiés ;
    - #Sophie-Anne_Bisiaux, membre du réseau Migreurop, spécialiste des questions liées à l’externalisation, notamment en Afrique du Nord ;
    - #Sophie_Djigo, philosophe, fondatrice du collectif Migraction59 dans le nord de la France, autrice de Penser avec la frontière (Éditions d’une rive à l’autre).

    https://www.mediapart.fr/journal/international/090424/politiques-migratoires-des-dispositifs-mortels-dont-l-effet-est-de-tuer-po
    #pacte_européen_sur_la_migration_et_l’asile #pacte #Europe #pacte_migratoire #asile #migrations #réfugiés
    #pression_migratoire #management_migratoire #triple_win #répression #administration_des_flux #exclusion #récupération #humanité #fermeté #enfermement #tri #militarisation_des_frontières #racisme #règlement_filtrage #filtrage #frontières #frontières_extérieures #détention #enfermement #fichage #empreintes_digitales #procédure_d'asile #procédure_à_la_frontière #procédure_accélérée #pays_sûrs #fiction_juridique_de_non-entrée #non-entrée #fiction_juridique #encampement #encampement_généralisé #répartition #répartition_de_solidarité #paternalisme_colonial #externalisation #externalisation_des_frontières #refoulements #push-backs
    #vidéo

  • Legal fiction of non-entry in EU asylum policy

    The fiction of ’#non-entry' is a claim that states use in border management to deny the legal arrival of third-country nationals on their territory, regardless of their physical presence, until granted entry by a border or immigration officer. It is usually applied in transit zones at international airports between arrival gates and passport control, signifying that the persons who have arrived have not yet entered the territory of the destination country. Although physically present, they are not considered to have legally entered the country’s official territory until they have undergone the necessary clearance. In the EU, all Member States make use of the fiction of non-entry in transit zones at ports of entry, but usually in a non-asylum context. In 2018, Germany was one of the first Member States to extend this concept to include land crossings. Since the mass arrival of asylum-seekers in 2015-2016, other Member States too have increasingly looked into ways of using this claim to inhibit asylum-seekers’ entry to their territory and thereby avoid the obligation under international law to provide them with certain protection and aid. This, however, may lead to a risk of refoulement, as the fiction of non-entry limits asylum-seekers’ movement and access to rights and procedures, including the asylum procedure. This is a revised edition of a briefing published in March 2024.

    #pacte #asile #migrations #réfugiés #droit_d'asile #fiction_juridique #fiction_légale #legal_fiction #non-entrée #aéroports #territoire #géographie #zones_frontalières #zones_de_transit #présence_physique

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  • The pact kills : l’istituzionalizzazione della fine del diritto d’asilo nell’UE

    Un documento dell’Associazione #Open_Your_Borders di Padova sul nuovo patto europeo sulla migrazione e l’asilo.

    Il 10 aprile il Parlamento europeo ha approvato il Nuovo Patto sulla Migrazione e l’Asilo, frutto di un lungo negoziato cominciato nel 2020 tra Parlamento, Consiglio e Commissione.

    Prima di entrare in vigore, dovrà essere votato anche dal Consiglio dell’UE, l’organo in cui risiedono i rappresentanti dei governi dei 27 stati membri, la cui votazione è attesa entro la fine di aprile.

    In sintesi, questo Nuovo Patto prevede una serie di riforme del sistema di gestione dei flussi migratori e della richiesta di protezione internazionale nel territorio dell’Unione Europea e, in particolare, raccoglie al suo interno dieci proposte di legge che vanno brutalmente a rafforzare l’approccio securitario della ormai consolidata “fortezza Europa”, costituita dalle 27 nazioni, sulle 43 + 7 dell’Europa geografica.

    È evidente che i tempi e i contenuti di questa mossa hanno chiare motivazioni elettoralistiche in vista delle elezioni Europee, con il riposizionamento dei vari partiti nazionali in funzione sia della propria affermazione locale che della futura riaggregazione in probabili inedite coalizioni. Infatti “il Patto” è stato approvato trasversalmente con 301 voti favorevoli, 269 contrari e 51 astensioni.

    La coalizione di centrodestra governativa guidata da Giorgia Meloni è risultata non omogenea, con lo spostamento di Fratelli d’Italia (attualmente all’opposizione in Europa) a favore e con la Lega che ha confermato il proprio voto contrario, probabilmente perché considera la linea adottata troppo moderata e poco sovranista.

    Con motivazioni opposte, si sono schierati contrari anche il PD (che è organico dell’attuale maggioranza in UE) e il Movimento 5 stelle.

    Si rincorrono i toni trionfalistici per la “decisione storica” presa, dipinta come “un enorme risultato per l’Europa”, “un solido quadro legislativo su come affrontare la migrazione e l’asilo nell’Unione europea” e per una fantomatica e propagandistica “vittoria italiana” sottolineata da Meloni, nonostante il tanto criticato Regolamento di Dublino (per cui è il paese di primo ingresso l’unico responsabile di esaminare le richieste di protezione internazionale e di gestire e trattenere al suo interno le persone migranti) sia stato di fatto rafforzato.

    Noi, in questa giornata buia per il diritto d’asilo europeo e per la libertà di movimento internazionale, vediamo solo un consolidamento di pratiche di violazione dei diritti umani, che sono già attuate e condivise da parecchio tempo, sia alle frontiere che nei territori degli Stati dell’Unione Europea, in vista di quello che si prospetta come un inasprimento e allargamento del conflitto mediorientale e di una sempre maggiore instabilità di tutta l’area del Sahel (testimoniato da 7 colpi di Stato in pochi anni e dalla guerra solo apparentemente interna in Sudan che continua nell’indifferenza generale) dove si stanno giocando gli interessi egemonici in Africa dei due blocchi politici ed economici contrapposti, con Stati Uniti e Francia su tutti da un lato, e paesi Brics (Russia, Cina, India, ecc.) dall’altro.

    Con l’Unione Europa dal peso politico inconsistente tra le due parti e i suoi Stati membri che si percepiscono (erroneamente) come meta di approdo per tutti i movimenti di fuga delle popolazioni, i confini esterni dell’Unione diventano in primis la rappresentazione materiale da blindare assolutamente a scopo preventivo.

    Di seguito, analizziamo nello specifico le nuove norme per noi più critiche e problematiche.
    1) Procedure accelerate e sommarie per la richiesta di protezione internazionale

    Il Nuovo Patto divide in maniera importante i percorsi di richiesta di protezione internazionale, con l’applicazione di una procedura accelerata e generalizzata basata soprattutto sulla provenienza geografica legata alla classificazione dei cosiddetti “Stati sicuri” e non sulla storia individuale delle persone.

    Il testo prevede che tali procedure accelerate – che dovrebbero durare al massimo 12 settimane – siano svoltedirettamente nelle zone di frontiera, con il trattenimento di migliaia di persone in centri di detenzione posizionati ai confini degli Stati dell’Unione Europea.

    Lo svolgimento dell’esame approssimativo delle richieste sulla base della nazionalità porterà quindi ad un aumento generalizzato delle espulsioni, limitando la possibilità di richiesta di asilo, in violazione del principio internazionale del non respingimento, ma anche, ad esempio, al diritto alle cure mediche e al ricongiungimento familiare.

    Il criterio basato sullo Stato di provenienza è già stato eccezionalmente usato per velocizzare l’ingresso e l’integrazione diffusa delle persone rifugiate ucraine – però limitato a donne, bambin* e anzian*. Tale applicazione, causata dal conflitto Russia-Ucraina, che evidentemente ci tocca da vicino sia per posizione geografica che etnica, ha però contestualmente escluso l’evacuazione di tutti gli altri “non bianchi” presenti in quel territorio per motivi di lavoro, di studio o in transito migratorio. Anche per questo motivo, utilizzare solamente il criterio di provenienza geografica di origine senza considerare le specificità delle persone nelle procedure accelerate è funzionale alla negazione dell’asilo, in quanto arbitraria e strumentale da parte degli Stati.
    2) Un nuovo regolamento di screening (ovvero l’esercizio della bio-politica)

    Le persone richiedenti asilo non possono scegliere se seguire una procedura tradizionale (che richiede molti mesi) o accelerata, ma vengono divisi e indirizzati in base al loro profilo, stilato attraverso un nuovo e uniforme regolamento di screening obbligatorio inserito nell’Eurodac, creando così una enorme banca dati comune: questa “procedura di frontiera” preliminare, da farsi entro 7 giorni dall’arrivo, comprende identificazione, raccolta dei dati biometrici, controlli sanitari e di sicurezza, controllo di eventuali trasferimenti e precedenti, il tutto a partire dai 6 anni di età. Questa procedura sarà adottata principalmente per le persone richiedenti asilo che per qualche motivo vengono considerati un “pericolo” per i paesi dell’Unione, per coloro che provengono dai paesi considerati “sicuri” e per chi proviene da paesi che, anche per altri motivi, hanno un tasso molto basso (sotto il 20 per cento) di domande d’asilo accolte.
    3) Introduzione del concetto di “finzione del non ingresso”

    Il patto introduce il concetto di “finzione giuridica di non ingresso”, secondo il quale le zone di frontiera sono considerate come non parte del territorio degli Stati membri. Questo interessa in particolare l’Italia, la Grecia e la Spagna per gli sbarchi della rotta mediterranea, mentre sono più articolati “i confini” per la rotta balcanica. Durante le 12 settimane di attesa per l’esito della richiesta di asilo, le persone sono considerate legalmente “non presenti nel territorio dell’UE”, nonostante esse fisicamente lo siano (in centri di detenzione ai confini), non avranno un patrocinio legale gratuito per la pratica amministrativa e tempi brevissimi per il ricorso in caso di un primo diniego (e in quel caso rischiano anche di essere espulse durante l’attesa della decisione che li riguarda). In assenza di accordi con i paesi di origine (come nella maggioranza dei casi), le espulsioni avverranno verso i paesi di partenza.

    Tale concetto creadelle pericolose “zone grigie” in cui le persone in movimento, trattenute per la procedura accelerata di frontiera, non potranno muoversi sul territorio né tantomeno accedere a un supporto esterno. Tutto questo in spregio del diritto internazionale e della tutela della persona che, sulla carta, l’UE si propone(va) di difendere.
    4) L’istituzione di un meccanismo di “solidarietà obbligatoria” e l’esternalizzazione dei confini

    All’interno di una narrazione in cui le persone in movimento sono un onere da cui gli Stati Europei cercano di sottrarsi, viene istituito un meccanismo di “accettazione obbligatoria” di ricollocamento e trasferimento delle persone migranti, ma solo in caso di non precisate impennate di arrivi. Gli Stati potranno però scegliere se “accettare” un certo numero di migranti o, in alternativa all’accoglienza, fornire supporto operativo al paese d’arrivo, inviando del personale o mezzi, oppure pagare una quota di 20mila euro per ogni richiedente che si rifiutano di accogliere, da versare in un fondo comune dell’Unione Europea.

    I soldi versati in questo fondo comune, oltre a poter essere redistribuiti tra i paesi di frontiera (come l’Italia), potranno essere utilizzati per sostenere e finanziare «azioni nei paesi terzi o in relazione ad essi che hanno un impatto diretto sui flussi migratori verso l’UE» ossia paesi, come Libia e Tunisia da cui le persone migranti partono per raggiungere l’Europa.

    Un meccanismo disumanizzante e che trasforma le persone e le garanzie dei diritti umani in merci barattabili con un compenso economico destinabile a rafforzare i confini ancora più esternamente.

    Un ulteriore sviluppo è dato dalla delocalizzazione della zona di frontiera, attraverso la creazione di hotspot al di fuori dei confini nazionali, come nel caso dei futuri centri italiani in Albania.

    L’adozione di questo Nuovo Patto – non ancora definitivo, si ricorda – dimostra come i valori di accoglienza e “integrazione” e il diritto alla libertà di movimento, previsto dall’art. 12 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, vengano sgretolati di fronte ad una sempre più marcata diffidenza, chiusura e difesa della sovranità nazionale.

    Con la recrudescenza dei nazionalismi negli Stati Europei e la loro incapacità di agire con una lungimiranza alternativa e una visione decolonializzata nello scacchiere geopolitico, la tutela degli individui e della dignità umana viene “semplicemente” sostituita da inquietanti concetti privi di senso legati alla purezza della nazione e dell’etnia e alla difesa, in modalità securitaria e repressiva, della patria e della tradizione, che si traducono in istituzionalizzazione e normalizzazione dell’agire violento ai confini della UE e in una crescente esternalizzazione della frontiera attraverso il respingimento delle persone razzializzate nell’ultimo Paese di partenza, con l’intento dichiarato di voler scoraggiare la mobilità verso l’Europa.

    https://www.meltingpot.org/2024/04/the-pact-kills-listituzionalizzazione-della-fine-del-diritto-dasilo-nell
    #pacte #asile #migrations #réfugiés #droit_d'asile #procédure_accélérée #pays_sûrs #rétention #frontières #rétention_aux_frontières #screening #Eurodac #procédure_de_frontière #biométrie #fiction_juridique #zones_frontalières #solidarité_obligatoire #externalisation #relocalisation #fiction_légale #legal_fiction

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  • Le Parlement européen valide le pacte sur la migration et l’asile
    https://www.lemonde.fr/international/article/2024/04/10/le-parlement-europeen-valide-le-pacte-sur-la-migration-et-l-asile_6227089_32

    Le Parlement européen valide le pacte sur la migration et l’asile
    Après neuf ans de négociations, les eurodéputés ont adopté définitivement, mercredi, un ensemble de textes qui doivent harmoniser les procédures d’accueil des migrants.
    Par Philippe Jacqué (Bruxelles, bureau européen)
    Certains convoquent l’histoire, d’autres espèrent enfin passer à autre chose. Mercredi 10 avril, le Parlement européen a validé, quatre mois après les Etats membres, la dizaine de règlements et directives qui composent le pacte sur la migration et l’asile. Le vote a été un peu moins serré qu’attendu sur les textes les plus controversés, passant avec une trentaine de voix de majorité. Des militants de défense des droits de l’homme ont interrompu le vote pendant quelques minutes, chantant « The pact kills, vote no ! » (« Le pacte tue, votez non »).
    Neuf ans après l’arrivée de deux millions de réfugiés syriens en Europe et après plusieurs tentatives de réforme afin d’harmoniser les politiques nationales d’accueil des migrants, les Vingt-Sept ont fini par trouver un compromis sur un sujet qui a alimenté les tensions entre eux depuis des années. Ils espèrent désormais que les nouvelles règles communes permettront de mieux traiter l’arrivée des migrants aux frontières de l’Europe. En 2023, quelque 380 000 personnes ont tenté d’entrer de manière irrégulière sur le territoire européen, en hausse de 17 % par rapport à 2022.
    « C’est un énorme pas en avant pour l’Europe », a salué Ursula von der Leyen, la présidente de la Commission européenne. « Ce pacte est équilibré, avec des règles plus strictes contre ceux qui abusent du système, et une attention aux plus vulnérables », a-t-elle ajouté après le vote.
    « C’est un moment de fierté, confie Ylva Johansson, la commissaire aux affaires intérieures, qui a porté le projet depuis quatre ans et demi. Ce texte fera une importante différence par rapport à la manière dont on gère aujourd’hui l’immigration irrégulière. Nous le ferons de manière ordonnée. D’un côté, nous protégerons nos frontières, tout en donnant de l’autre une protection aux personnes qui fuient la guerre et les persécutions. »
    Les Etats devront mettre en place l’enregistrement, le filtrage (y compris un examen de santé) et des procédures accélérées de demande d’asile aux frontières pour les demandeurs manifestement non éligibles à un statut de réfugié. Les pays auront six semaines pour analyser leur demande. Si celle-ci est refusée, les Etats pourront les renvoyer dans un délai de six à dix semaines. En cas de hausse soudaine de la pression migratoire, des mécanismes de solidarité entre Etats membres seront activés afin de soulager les pays en première ligne.
    Si cette série de textes a trouvé une majorité au Conseil et au Parlement – une partie de la gauche et l’extrême droite ont voté contre ou se sont abstenues, la première les jugeant trop fermes, la seconde trop laxistes –, elle est néanmoins perçue comme un durcissement sans précédent de la gestion migratoire en Europe.
    Alors qu’une grande partie des dirigeants européens saluent ce vote, d’autres acteurs la condamnent. Quelque 161 ONG de défense des droits humains ou d’aide aux réfugiés, ainsi que des spécialistes travaillant sur le sujet, appelaient au rejet du texte. Pour eux, « l’introduction de procédures frontalières obligatoires sera dangereuse, inhumaine, irréalisable et inefficace ».
    De manière générale, tous veulent néanmoins passer désormais à d’autres étapes. « La critique du pacte est légitime, mais il pose un certain nombre de règles communes. Ce n’est pas une fin en soi, mais un point de départ vers autre chose », juge Camille Le Coz, du Migration Policy Institute à Bruxelles. « Le seul côté positif de ce vote qui va rendre encore plus difficile l’accès à la protection européenne pour les réfugiés, note Catherine Woollard, du Conseil européen pour les réfugiés et les exilés, c’est que nous allons enfin pouvoir passer à autre chose. »
    Théoriquement, les Etats membres devront appliquer les nouvelles règles au plus tard en 2026. « Cela ira plus vite, pronostique Mme Johansson. La Commission va proposer en juin, trois mois avant le délai prévu, un plan d’application afin d’accélérer sa mise en œuvre. » Des Etats ont déjà mis en place certains éléments de la réforme, comme l’Espagne sur l’enregistrement des migrants arrivant aux îles Canaries, ou la Bulgarie et l’Italie sur les procédures organisées directement à la frontière.
    « Le pacte n’aura pas d’effet à court terme, estime Mme Le Coz. Cela ne va pas modifier la situation aux frontières de l’Europe. » Il est donc nécessaire de traiter de nouveaux sujets au niveau européen comme l’amélioration des retours, qui restent très faibles. Seules 21 % des personnes déboutées du droit d’asile rentrent dans leur pays. De même, l’harmonisation des voies légales d’entrée en Europe et des procédures d’asile est désormais sur la table.
    « La question des voies légales est, et doit rester, une compétence nationale, assure Mme Johansson. Nous devons mieux coopérer entre Etats, pour préparer et former en amont, dans leur pays, les personnes que nous souhaitons faire venir légalement en Europe. Je vois beaucoup de potentiel pour affiner les recrutements de cette manière, sans changer la législation européenne. » Une tâche qui est par définition extrêmement lourde.
    Sur l’asile, également du ressort exclusif de chaque Etat, l’Agence de l’Union européenne (UE) pour l’asile s’efforce d’harmoniser, par le biais de séminaires entre magistrats, la lecture du droit pour permettre une application si ce n’est uniforme, au moins cohérente dans l’ensemble de l’Europe. Par ailleurs, l’actuelle Commission a multiplié les accords avec les pays du pourtour méditerranéen et africains (Tunisie, Egypte, Mauritanie) afin que ces derniers bloquent les départs des migrants, en échange d’aides au développement économique.
    L’adoption de la réforme en pleine campagne pour les élections européennes, organisées du 6 au 9 juin, peut-elle réduire l’influence des partis d’extrême droite, qui surfent sur cette thématique ? « En adoptant le pacte, l’Europe démontre que ce sujet peut être géré de manière ordonnée, cela enlève des arguments aux partis extrémistes », juge Mme Johansson. Avant même l’adoption du pacte, des partis ont proposé pendant la campagne d’aller plus loin. Alors que le Parti populaire européen évoque dans son manifeste la possibilité d’externaliser dans des Etats tiers jugés « sûrs » toute la procédure d’asile, à l’image de ce que le Royaume-Uni tente de mettre en place avec le Rwanda, d’autres insistent davantage sur la création de voies de migration légales cohérentes et harmonisées au niveau européen.
    Les sociaux-démocrates veulent « travailler sur les voies légales, assure Nicolas Schmit, la tête de liste des socialistes européens. Je note que les pays qui sont les plus hostiles, qui essayent d’utiliser le plus ce thème de l’immigration, eux-mêmes organisent de l’immigration en provenance de pays tiers, que ce soit la Hongrie ou l’Italie ». L’Italie a décidé d’ouvrir ses portes à près de 500 000 travailleurs recrutés hors de l’UE, tandis que la Hongrie fait venir des travailleurs de l’autre bout du monde.

    #Covid-19#migrant#migration#UE#pacte#asile#immigration#paystiers#frontiere#droit#protection

  • Les #baleines_à_bosse victimes des #vagues_de_chaleur_marine dans le Pacifique Nord
    https://www.lemonde.fr/planete/article/2024/02/29/les-baleines-a-bosse-victimes-des-vagues-de-chaleur-marines-dans-le-pacifiqu

    Cette étude, bien que focalisée sur une espèce, donne des indices sur l’état de santé des #océans. « La #baleine est un bon indicateur de l’état de son #écosystème, explique Olivier Adam. Tout ce qui est en profondeur est difficile à observer, mais les cétacés sont faciles à comptabiliser, car ils sont obligés de remonter à la surface pour respirer. » Et si l’on en croit les résultats de l’étude, l’océan #Pacifique_Nord va mal. « Au rythme où ça va, il n’y a aucune raison qu’il reste des cétacés dans les océans d’ici quarante à cinquante ans, alerte le chercheur français. On assiste à l’#effondrement des océans en direct. »

    Pour les deux scientifiques, les conclusions à tirer sont claires : « Il est impératif de changer notre façon de gérer les océans. » Selon l’Australien, les mesures les plus efficaces seraient de « diminuer au maximum le réchauffement climatique, d’adapter le transport maritime là où les routes chevauchent l’habitat des baleines afin de réduire les collisions avec les navires, et de mieux réguler la pêche, en particulier la pêche au casier, pour éviter que les animaux ne s’empêtrent dans les lignes ». Pour le chercheur, il est impératif d’agir, car « notre survie dépend d’océans sains et productifs ».

  • « La vraie #souveraineté_alimentaire, c’est faire évoluer notre #modèle_agricole pour préparer l’avenir »

    Professeur à l’université Paris-Saclay AgroParisTech, l’économiste de l’environnement #Harold_Levrel estime que le concept de « souveraineté alimentaire » a été détourné de sa définition originelle pour justifier un modèle exportateur et productiviste.

    Hormis les denrées exotiques, dans la plupart des secteurs, la #production_agricole nationale pourrait suffire à répondre aux besoins des consommateurs français, sauf dans quelques domaines comme les fruits ou la volaille. Or, les #importations restent importantes, en raison d’un #modèle_intensif tourné vers l’#exportation, au risque d’appauvrir les #sols et de menacer l’avenir même de la production. D’où la nécessité de changer de modèle, plaide l’économiste.

    Comment définir la souveraineté alimentaire ?

    Selon la définition du mouvement altermondialiste Via Campesina lors du sommet mondial sur l’alimentation à Rome en 1996, c’est le droit des Etats et des populations à définir leur #politique_agricole pour garantir leur #sécurité_alimentaire, sans provoquer d’impact négatif sur les autres pays. Mais les concepts échappent souvent à ceux qui les ont construits. Mais aujourd’hui, cette idée de solidarité entre les différents pays est instrumentalisée pour justifier une stratégie exportatrice, supposée profiter aux pays du Sud en leur fournissant des denrées alimentaires. Le meilleur moyen de les aider serait en réalité de laisser prospérer une #agriculture_vivrière et de ne pas les obliger à avoir eux aussi des #cultures_d’exportation. Au lieu de ça, on maintient les rentes de pays exportateurs comme la France. Quand le gouvernement et d’autres parlent d’une perte de souveraineté alimentaire, ça renvoie en réalité à une baisse des exportations dans certains secteurs, avec un état d’esprit qu’on pourrait résumer ainsi : « Make French agriculture great again. » Depuis le Covid et la guerre en Ukraine, la souveraineté alimentaire est devenue l’argument d’autorité pour poursuivre des pratiques qui génèrent des catastrophes écologiques et humaines majeures.

    Nous n’avons donc pas en soi de problème d’#autonomie_alimentaire ?

    Ça dépend dans quel domaine. Les défenseurs d’un modèle d’exploitation intensif aiment à rappeler que notre « #dépendance aux importations » est de 70 % pour le #blé dur, 40 % pour le #sucre, et 29 % pour le #porc. Mais omettent de préciser que nos taux d’auto-approvisionnement, c’est-à-dire le rapport entre la production et la consommation françaises, sont de 123 % pour le blé dur, 165 % pour le sucre, et 99 % pour le porc. Ça signifie que dans ces secteurs, la production nationale suffit en théorie à notre consommation, mais que l’on doit importer pour compenser l’exportation. Il y a en réalité très peu de produits en France sur lesquels notre production n’est pas autosuffisante. Ce sont les fruits exotiques, l’huile de palme, le chocolat, et le café. On a aussi des vrais progrès à faire sur les fruits tempérés et la viande de #volaille, où l’on est respectivement à 82 et 74 % d’auto-approvisionnement. Là, on peut parler de déficit réel. Mais il ne serait pas très difficile d’infléchir la tendance, il suffirait de donner plus d’aides aux maraîchers et aux éleveurs, qu’on délaisse complètement, et dont les productions ne sont pas favorisées par les aides de la #Politique_agricole_commune (#PAC), qui privilégient les grands céréaliers. En plus, l’augmentation de la production de #fruits et #légumes ne nécessite pas d’utiliser plus de #pesticides.

    Que faire pour être davantage autonomes ?

    A court terme, on pourrait juste rebasculer l’argent que l’on donne aux #céréaliers pour soutenir financièrement les #éleveurs et les #maraîchers. A moyen terme, la question de la souveraineté, c’est : que va-t-on être capable de produire dans dix ans ? Le traitement de l’#eau polluée aux pesticides nous coûte déjà entre 500 millions et 1 milliard d’euros chaque année. Les pollinisateurs disparaissent. Le passage en #bio, c’est donc une nécessité. On doit remettre en état la #fertilité_des_sols, ce qui suppose d’arrêter la #monoculture_intensive de #céréales. Mais pour cela, il faut évidemment réduire certaines exportations et investir dans une vraie souveraineté alimentaire, qui nécessite de faire évoluer notre modèle agricole pour préparer l’avenir.

    https://www.liberation.fr/environnement/agriculture/la-vraie-souverainete-alimentaire-cest-faire-evoluer-notre-modele-agricol
    #agriculture_intensive #industrie_agroalimentaire

  • Immigration en Europe : la France à la manœuvre pour autoriser la rétention des enfants dès le plus jeune âge
    https://disclose.ngo/fr/article/immigration-en-europe-la-france-a-la-manoeuvre-pour-autoriser-la-retention

    La France a œuvré dans le plus grand secret, pour obtenir l’autorisation d’enfermer des mineurs, sans limite d’âge, dans des centres construits aux frontières de l’Europe. Cette disposition inscrite dans le Pacte sur la migration et l’asile, qui sera voté au printemps par le Parlement européen, pourrait violer la Convention internationale des droits de l’enfant. Lire l’article

  • Ecoutez Eugène Bizeau
    http://anarlivres.free.fr/pages/nouveau.html#bizeau

    En 1981, à 98 ans, dialoguant avec l’historien de la chanson révolutionnaire Robert Brécy, Eugène Bizeau (1883-1989), poète vigneron et anarchiste, se raconte devant la caméra de Bernard Baissat. Dans sa maison à Veretz (Indre-et-Loire), il se souvient de sa vie, du travail de la terre, des chansons sociales de l’époque, de sa rencontre avec les idées libertaires...

    #Bizeau #libertaire #chanson #antimilitarisme #pacifisme

  • Une vraie #souveraineté_alimentaire pour la #France

    Le mercredi 6 décembre 2023, la FNSEA sortait du bureau d’Elisabeth Borne en déclarant fièrement que l’État abandonnait son projet de taxer l’usage des pesticides et des retenues d’eau. Cela vient conclure une séquence historique. Le 16 novembre déjà, l’Europe reconduisait l’autorisation du glyphosate pour 10 ans. Et, six jours plus tard, abandonnait aussi l’objectif de réduction de 50 % de l’usage des pesticides à l’horizon 2030.

    Comment en est-on arrivé là ? La question a été récemment posée dans un rapport de l’Assemblée nationale. En plus du #lobbying habituel de la #FNSEA et de l’état de crise permanent dans laquelle vivent les agriculteurs et qui rend toute #réforme explosive, la question de la souveraineté alimentaire – qui correspond au droit d’un pays à développer ses capacités productives pour assurer la sécurité alimentaire des populations – a joué un rôle clé dans cette dynamique.

    La souveraineté alimentaire est ainsi devenue, depuis la crise du Covid et la guerre en Ukraine, l’argument d’autorité permettant de poursuivre des pratiques qui génèrent des catastrophes écologiques et humaines majeures. Il existe pourtant d’autres voies.

    Le mythe de la dépendance aux #importations

    De quelle souveraineté alimentaire parle-t-on ? Les derniers chiffres de FranceAgrimer montrent que notre « #dépendance aux importations » – comme aiment à le répéter les défenseurs d’un modèle intensif – est de 75 % pour le blé dur, 26 % pour les pommes de terre, 37 % pour les fruits tempérés ou 26 % pour les porcs.

    Mais ce que l’on passe sous silence, c’est que le taux d’#autoapprovisionnement – soit le rapport entre la production et la consommation françaises – est de 148 % pour le blé dur, 113 % pour les pommes de terre, 82 % pour les fruits tempérés et 103 % pour le porc. Le problème de souveraineté alimentaire n’en est pas un. Le vrai problème, c’est qu’on exporte ce que l’on produit, y compris ce dont on a besoin. Cherchez l’erreur.

    D’autres arguments viennent encore se greffer à celui de la souveraineté, dans un monde d’#interdépendances : la #France serait le « grenier à blé de l’Europe », il faudrait « nourrir les pays du Sud », la France serait « une puissance exportatrice », etc.

    Au-delà de l’hypocrisie de certaines de ces affirmations – en effet, les #exportations des surplus européens subventionnés ont détruit tout un tissu productif, en Afrique de l’Ouest notamment – il ne s’agit pas là d’enjeux liés à la souveraineté alimentaire, mais d’enjeux stratégiques et politiques liés à la #compétitivité de certains produits agricoles français sur les marchés internationaux.

    Comprendre : la France est la 6e puissance exportatrice de #produits_agricoles et agroalimentaires au monde et elle entend bien le rester.

    Voir la #productivité de façon multifonctionnelle

    S’il ne faut évidemment pas renoncer aux objectifs de #productivité_alimentaire nationaux, ces derniers gagneraient à être redéfinis. Car comment évoquer la souveraineté alimentaire sans parler des besoins en #eau pour produire les aliments, de la dépendance aux #énergies_fossiles générée par les #intrants de synthèse, de l’épuisement de la #fertilité des #sols lié à la #monoculture_intensive ou encore des effets du #réchauffement_climatique ?

    Comment évoquer la souveraineté alimentaire sans parler des enjeux fonciers, de l’évolution du #travail_agricole (25 % des #agriculteurs sont en passe de partir à la retraite), du #gaspillage_alimentaire – qui avoisine les 30 % tout de même – des #besoins_nutritionnels et des #habitudes_alimentaires de la population ?

    La #productivité_alimentaire doit dorénavant se conjuguer avec d’autres formes de productivité tout aussi essentielles à notre pays :

    – la capacité de #rétention_d’eau dans les sols,

    – le renouvellement des #pollinisateurs,

    – le maintien des capacités épuratoires des milieux pour conserver une #eau_potable,

    – le renouvellement de la #fertilité_des_sols,

    – la régulation des espèces nuisibles aux cultures,

    – ou encore la séquestration du carbone dans les sols.

    Or, il est scientifiquement reconnu que les indicateurs de productivité relatifs à ces services baissent depuis plusieurs décennies. Pourtant, ce sont bien ces services qui permettront de garantir une véritable souveraineté alimentaire future.

    La #diversification pour maintenir des rendements élevés

    Une revue de littérature scientifique parue en 2020, compilant plus de 5000 études menées partout dans le monde, montrait que seules des stratégies de diversification des #pratiques_agricoles permettent de répondre à ces objectifs de #performance_plurielle pour l’agriculture, tout en maintenant des #rendements élevés.

    Les ingrédients de cette diversification sont connus :

    – augmentation de la #rotation_des_cultures et des #amendements_organiques,

    – renoncement aux #pesticides_de_synthèse et promotion de l’#agriculture_biologique à grande échelle,

    - réduction du #labour,

    - diversification des #semences et recours aux #variétés_rustiques,

    - ou encore restauration des #haies et des #talus pour limiter le ruissellement de l’#eau_de_pluie.

    Dans 63 % des cas étudiés par ces chercheurs, ces stratégies de diversification ont permis non seulement d’augmenter les #services_écosystémiques qui garantissent la souveraineté alimentaire à long terme, mais aussi les #rendements_agricoles qui permettent de garantir la souveraineté alimentaire à court terme.

    Les sérieux atouts de l’agriculture biologique

    Parmi les pratiques de diversification qui ont fait leurs preuves à grande échelle en France, on retrouve l’agriculture biologique. Se convertir au bio, ce n’est pas simplement abandonner les intrants de synthèse.

    C’est aussi recourir à des rotations de cultures impliquant des #légumineuses fixatrices d’azote dans le sol, utiliser des semences rustiques plus résilientes face aux #parasites, des amendements organiques qui nécessitent des couplages culture-élevage, et enfin parier sur la restauration d’un #paysage qui devient un allié dans la lutte contre les #aléas_naturels. La diversification fait ainsi partie de l’ADN des agriculteurs #bio.

    C’est une question de #réalisme_économique. Les exploitations bio consomment en France deux fois moins de #fertilisant et de #carburant par hectare que les exploitants conventionnels, ce qui les rend moins vulnérables à l’évolution du #prix du #pétrole. En clair, l’agriculture biologique pourrait être la garante de la future souveraineté alimentaire française, alors qu’elle est justement souvent présentée comme une menace pour cette dernière du fait de rendements plus faibles à court terme.

    Au regard des éléments mentionnés plus haut, il s’agit évidemment d’un #faux_procès. Nous sommes autosuffisants et nous avons les réserves foncières qui permettraient de déployer le bio à grande échelle en France, puisque nous sommes passé de 72 % du territoire dédié aux activités agricoles en 1950 à 50 % en 2020. Une petite partie de ces surfaces a été artificialisée tandis que la majorité a tout simplement évolué en friche, à hauteur de 1000 km2 par an en moyenne.

    Par ailleurs, le différentiel de rendement entre le bio et le #conventionnel se réduit après quelques années seulement : de 25 % en moyenne (toutes cultures confondues) au moment de la conversion, il descend à 15 % ensuite. La raison en est l’apprentissage et l’innovation dont font preuve ces agriculteurs qui doivent en permanence s’adapter aux variabilités naturelles. Et des progrès sont encore à attendre, si l’on songe que l’agriculture bio n’a pas bénéficié des 50 dernières années de recherche en #agronomie dédiées aux pratiques conventionnelles.

    Relever le niveau de vie des agriculteurs sans éroder le #pouvoir_d’achat des consommateurs

    Mais a-t-on les moyens d’opérer une telle transition sans réduire le pouvoir d’achat des Français ? Pour répondre à cette question, il faut tout d’abord évoquer le #revenu des #agriculteurs. Il est notoirement faible. Les agriculteurs travaillent beaucoup et vivent mal de leur métier.

    Or, on oublie souvent de le mentionner, mais le surcoût des produits bio est aussi lié au fait que les consommateurs souhaitent mieux rémunérer les agriculteurs : hors subventions, les revenus des agriculteurs bio sont entre 22 % et 35 % plus élevés que pour les agriculteurs conventionnels.

    Ainsi, le consommateur bio consent à payer plus parce que le bio est meilleur pour l’environnement dans son ensemble (eau, air, sol, biodiversité), mais aussi pour que les paysans puissent mieux vivre de leur métier en France sans mettre en danger leur santé.

    Par ailleurs, si le consommateur paie plus cher les produits bio c’est aussi parce qu’il valorise le #travail_agricole en France. Ainsi la production d’aliments bio nécessite plus de #main-d’oeuvre (16 % du total du travail agricole pour 10 % des surfaces) et est très majoritairement localisée en France (71 % de ce qui est consommé en bio est produit en France).

    Cette question du #travail est centrale. Moins de chimie, c’est plus de travail des communautés humaines, animales et végétales. C’est aussi plus d’incertitudes, ce qui n’est évidemment pas simple à appréhender pour un exploitant.

    Mais il faut rappeler que le discours sur le pouvoir d’achat des français, soi-disant garanti par le modèle hyper-productiviste de l’agriculture française, vise surtout à conforter les rentes de situations des acteurs dominants du secteur agricole. Car les coûts sanitaires et environnementaux de ce modèle sont payés par le contribuable.

    Rien que le #traitement_de_l’eau, lié aux pollutions agricoles, pour la rendre potable, coûte entre 500 millions d’euros et 1 milliard d’euros par an à l’État. Or, ce que le consommateur ne paie pas au supermarché, le citoyen le paie avec ses #impôts. Le rapport parlementaire évoqué plus haut ne dit pas autre chose : la socialisation des coûts et la privatisation des bénéfices liés aux #pesticides ne sont plus tolérables.

    Le bio, impensé de la politique agricole française

    Une évidence s’impose alors : il semblerait logique que l’État appuie massivement cette filière en vue de réduire les coûts pour les exploitants bio et ainsi le prix pour les consommateurs de produits bio. En effet, cette filière offre des garanties en matière de souveraineté alimentaire à court et long terme, permet de protéger l’eau et la #santé des Français, est créatrice d’emplois en France. Il n’en est pourtant rien, bien au contraire.

    L’État a promu le label #Haute_valeur_environnementale (#HVE), dont l’intérêt est très limité, comme révélé par l’Office français de la biodiversité (OFB). L’enjeu semble surtout être de permettre aux agriculteurs conventionnels de toucher les aides associés au plan de relance et à la nouvelle #PAC, au risque de créer une #concurrence_déloyale vis-à-vis des agriculteurs bio, d’autant plus que les #aides_publiques au maintien de l’agriculture biologique ont été supprimées en 2023.

    La décision récente de l’État de retirer son projet de #taxe sur l’usage des pesticides créé aussi, de facto, un avantage comparatif pour le conventionnel vis-à-vis du bio. Enfin, rappelons que la Commission européenne a pointé à plusieurs reprises que la France était le seul pays européen à donner moins de subventions par unité de travail agricole aux céréaliers bio qu’aux conventionnels.

    Ainsi, un céréalier bio français reçoit un tiers de subventions en moins par unité de travail agricole qu’un céréalier conventionnel, alors qu’en Allemagne ou en Autriche, il recevrait 50 % de #subventions supplémentaires. En France, l’État renonce aux taxes sur les pesticides tout en maintenant des #charges_sociales élevées sur le travail agricole, alors que c’est évidemment l’inverse dont aurait besoin la #transition_agroécologique.

    Que peuvent faire les citoyens au regard de ce constat déprimant ? Consommer des produits bio malgré tout, et trouver des moyens de les payer moins cher, grâce par exemple à la #vente_directe et à des dispositifs tels que les #AMAP qui permettent de réduire le coût du transport, de la transformation et de la distribution tout autant que le gâchis alimentaire, les variabilités de la production étant amorties par la variabilité du contenu du panier.

    Les agriculteurs engagés pour la #transition_écologique, de leur côté, peuvent réduire les risques associés aux variabilités naturelles et économiques en créant de nouvelles formes d’exploitations coopératives combinant plusieurs activités complémentaires : élevage, culture, transformation, conditionnement et distribution peuvent être organisés collectivement pour mutualiser les coûts et les bénéfices, mais aussi se réapproprier une part significative de la #chaîne_de_valeur laissée aujourd’hui au monde de l’agro-industrie et de la grande distribution.

    Il ne s’agit pas d’une #utopie. De nombreux acteurs essaient de faire émerger, malgré les résistances institutionnelles, ces nouvelles pratiques permettant de garantir la souveraineté alimentaire de la France à long terme.

    https://theconversation.com/une-vraie-souverainete-alimentaire-pour-la-france-220560
    #foncier #industrie_agro-alimentaire #alimentation #collectivisation
    #à_lire #ressources_pédagogiques

  • Nuovo patto UE: schedare e rimpatriare
    https://www.meltingpot.org/2024/01/nuovo-patto-ue-schedare-e-rimpatriare

    A fine dicembre i ventisei Stati membri dell’Ue hanno concluso un accordo in cinque punti che stravolge la concezione e l’applicazione del diritto europeo: è il nuovo Patto UE sulla migrazione e l’asilo le cui ripercussioni saranno molte e già si potranno percepire gli effetti nel breve termine. Uno dei punti più dolenti è quello inerente i minori stranieri: le impronte digitali, precedentemente da rilevare solo ai minorenni non inferiori all’età di quattordici anni, verranno prese ai bambini a partire dai sei anni di età. Ci sono dei provvedimenti che sono la metafora del modus operandi del governante e questo è (...)

    #Approfondimenti #Liliya_Chorna

  • Aux racines de la mobilisation agricole, des années d’incohérence politique | Mediapart
    https://www.mediapart.fr/journal/politique/220124/aux-racines-de-la-mobilisation-agricole-des-annees-d-incoherence-politique

    La mobilisation continue dans le monde agricole, avec de nouvelles manifestations annoncées cette semaine. Derrière les revendications pour de la « simplification » et « moins de normes » se cache un problème de fond : une profession peu rémunérée et une politique confuse vis-à-vis de la nécessaire transition écologique.
    Amélie Poinssot
    22 janvier 2024 à 19h16


    L’explosion de colère couvait depuis des semaines. Initié à l’automne par le syndicat des Jeunes #agriculteurs, le mouvement « On marche sur la tête », avec le retournement des panneaux d’entrée dans les communes rurales, est parti des retards de paiement de certaines aides européennes de la #PAC (Politique agricole commune), et de l’opposition à une hausse des taxes sur les #pesticides et la consommation d’#eau. Le syndicat a obtenu gain de cause : les subventions ont été versées, et en décembre, le gouvernement a abandonné le projet d’augmentation des prélèvements.

    La vague de manifestations outre-Rhin, l’approche des élections européennes, l’offensive du RN et la perspective des élections professionnelles qui auront lieu dans le monde agricole l’an prochain ont cependant remobilisé les rangs syndicaux de la famille majoritaire – FNSEA et JA (55 % aux élections de 2019) – mais aussi, encore plus à droite, de la Coordination rurale (21 %).

    https://justpaste.it/f2t7n

    #blocage #manifestations #droite #extrême_droite

  • Decoding #Balkandac : Navigating the EU’s Biometric Blueprint

    This report, authored by the Border Violence Monitoring Network with support from Privacy International, investigates the development of interoperable biometric databases, akin to Eurodac, in the Western Balkans, referred to as the “Balkandac” system. It highlights a lack of transparency in current regional data-sharing systems and underscores the significant role of EU institutions in their creation.

    The report employs a comprehensive methodology, combining grassroots observations, open-source research, and Freedom of Information Requests (FOI) submissions to address human rights violations.

    This report aims to contextualise recent developments towards the digitalisation of biometric data collection in the Western Balkans into wider shifts in migration policy and data-sharing frameworks at the EU level. In order to achieve this, the report first unpacks the key regulations envisioned under the EU’s New Pact on Migration and Asylum and how these are envisioned to operate within EU Member States. Collectively, they establish a system whereby people on the move are prevented from entering the territory of Member States, subjected to expedited procedures, and returned directly to “safe third countries”. This manifests as a legalisation of the pushback process; individual claims will undergo insufficient scrutiny within compressed timeframes and procedural rights, such as access to free legal aid and the suspensive effect of appeals against inadmissabiliy decisions, are not yet guaranteed at the time of writing. These legal shifts unequivocally obstruct access to the right to asylum within the new regulatory framework.

    A key ongoing development in this line is the development of biometric data collection systems that are modelled off the EURODAC system, allowing for seamless interoperability in the future. Funding from the EU’s Instruments for Pre-Accession Assistance and bilateral agreements with Member States have supported these data systems in the Western Balkans, mirroring Eurodac. Critiques arise from increased interoperability of EU databases, which blur immigration and criminal law purposes, lack anti-discrimination safeguards, and bypass key data protection principles.

    The core issue lies in the balance between personal data protection and fundamental rights, contrasted with the use of biometric systems for mass surveillance and data analysis. The report emphasizes the merging of migration and security discourses, underscoring the potential for unjust criminalisation of migrants, making it harder for them to seek asylum and international protection.

    https://borderviolence.eu/reports/balkandac
    #biométrie #Balkans #rapport #Border_Violence_Monitoring_Network (#BVMN) #interopérabilité #données #base_de_données #Balkans_occidentaux #données_biométriques #pacte_européen_sur_la_migration_et_l’asile #migrations #asile #réfugiés #frontières #pays-tiers_sûrs #accès_à_l'asile #eurodac #Instruments_for_Pre-Accession_Assistance #droits_fondamentaux

  • Le fils de la ministre Oudéa-Castéra a bénéficié d’un système de contournement de Parcoursup à Stanislas | Mediapart
    https://www.mediapart.fr/journal/france/200124/le-fils-de-la-ministre-oudea-castera-beneficie-d-un-systeme-de-contourneme

    Les inspecteurs ont ainsi bondi devant des chiffres tirés de la base nationale 2023 de Pacoursup : au printemps dernier, sur les 41 lycéens en France qui ont pris le risque étonnant de formuler un vœu unique pour une prépa du lycée qu’ils fréquentaient déjà, 38 étaient en Terminale à « Stan »… Aux yeux des inspecteurs généraux, cette bizarrerie statistique atteste du caractère « très isolé » des pratiques ayant cours dans ce fleuron de l’enseignement catholique de la capitale.

    Le rapport ne livre aucun nom d’élève. Mais d’après nos informations, parmi ces 38 candidat·es de 2023, se trouvait le fils aîné d’Amélie Oudéa-Castéra, alors excellent élément de Terminale – il a entre-temps obtenu une mention très bien au Bac –, scolarisé dans la « maison » depuis sa moyenne section de maternelle. Sur Parcoursup, au printemps dernier, il a indiqué comme seul vœu d’être intégré dans une prépa HEC (aussi dite ECG) à « Stan ».

    Il a formulé précisément quatre « sous-voeux », avec ou sans internat, avec l’option éco (ESH) ou histoire (HGG). Rien d’autre, en dehors de Stanislas. Une stratégie risquée pour le commun des mortels, mais lui a bien été sélectionné, parmi plus de 2 000 candidatures enregistrées.

  • Royaume-Uni : le nouveau traité avec le Rwanda, de retour devant les députés, toujours illégal selon le HCR - InfoMigrants
    https://www.infomigrants.net/fr/post/54545/royaumeuni--le-nouveau-traite-avec-le-rwanda-de-retour-devant-les-depu

    Actualités : Royaume-Uni : le nouveau traité avec le Rwanda, de retour devant les députés, toujours illégal selon le HCR
    Par La rédaction Publié le : 16/01/2024
    Le nouveau traité, signé début décembre entre Londres et Kigali pour expulser au Rwanda les demandeurs d’asile arrivés de manière irrégulière au Royaume-Uni, revient mardi et mercredi en commission parlementaire, avec de vifs débats attendus. La veille, le Haut-commissariat des Nations unies aux réfugiés (HCR) avait affirmé que le texte ne répondait toujours pas au droit international.
    Le projet de loi britannique visant à expulser des migrants vers le Rwanda aborde mardi 16 janvier une étape délicate pour le Premier ministre Rishi Sunak. Son camp risque de se déchirer autour de ce texte controversé.
    Destiné à répondre aux objections de la Cour suprême qui a bloqué une précédente version du texte, le jugeant illégal, le projet a franchi en décembre un premier obstacle au Parlement. Il revient désormais en commission parlementaire, mardi 16 et mercredi 17 janvier, avec de vifs débats attendus sur de nombreux amendements.
    L’aile droite des Tories, le parti au gouvernement, est en embuscade pour tenter de durcir la loi, via des amendements soutenus par une soixantaine de députés selon la presse britannique. Ces conservateurs jugent le texte trop édulcoré à leurs yeux. Certains députés souhaitent par exemple supprimer totalement les possibilités de recours pour les migrants expulsés.
    Après avoir essuyé les critiques cinglantes de son ex-ministre de l’Intérieur Suella Braverman et la démission de son secrétaire d’État à l’Immigration Robert Jenrick, le Premier ministre britannique fait à présent face à la rébellion de deux vice-présidents du parti conservateur, Lee Anderson et Brendan Clarke-Smith. Ils ont annoncé lundi soir qu’ils soutiendront les amendements réclamés par l’aile droite du parti. Mais un texte trop radical ne sera pas voté par les conservateurs modérés.
    Rishi Sunak est donc dans une situation délicate, lui qui a placé l’expulsion des migrants vers le Rwanda au cœur de sa politique migratoire."Je sais que tout le monde est mécontent - je suis mécontent au sujet de la situation - et veut voir la fin du manège juridique", a plaidé Rishi Sunak lundi, affichant sa détermination à voir ce projet aboutir.Annoncé en avril 2022 par le gouvernement conservateur de Boris Johnson, le projet n’a jamais pu être mis en œuvre. En juin de la même année, un premier avion a été bloqué in extremis par une décision de la Cour européenne des droits de l’Homme. Puis, le texte a subi une saga judiciaire pour finalement être jugé illégal par la Cour suprême, la plus haute juridiction britannique, en novembre 2023.
    Pour tenter de sauver le texte, le gouvernement a signé un nouveau traité avec le Rwanda en décembre dernier. Le nouveau projet de loi définit le Rwanda comme un pays tiers sûr et empêche le renvoi des migrants vers leurs pays d’origine. Lors de sa signature à Kigali, en effet, le ministre de l’Intérieur avait assuré que le nouveau texte « répondra aux préoccupations de la Cour suprême en garantissant notamment que le Rwanda n’expulsera pas vers un autre pays les personnes transférées dans le cadre du partenariat ».
    Il propose également d’appliquer la loi britannique sur les droits humains en ce qui concerne les expulsions - afin de limiter les possibles recours en justice.
    Mais pour le Haut-commissariat des Nations unies aux réfugiés (HCR), le projet de loi n’est toujours « pas compatible » avec le droit international. Il « ne répond pas aux normes requises en matière de légalité pour le transfert des demandeurs d’asile », a tranché lundi l’agence onusienne après une évaluation juridique du projet.Le HCR accuse, une nouvelle fois, le Royaume-Uni, de violer l’esprit de la Convention de Genève, relative au statut de réfugié, en « déplaçant le fardeau » alors que la plupart des réfugiés sont hébergés dans les pays en développement. L’ONU rappelle également que les itinéraires sûrs et légaux vers la Grande-Bretagne sont « inaccessibles à l’écrasante majorité des réfugiés du monde ».

    #Covid-19#migrant#migration#grandebretagne#UNHCR#asile#rwanda#pactemigratoire#droit#refugie#legalite#sante

  • #Loi_immigration : l’accueil des étrangers n’est pas un fardeau mais une nécessité économique

    Contrairement aux discours répétés ad nauseam, le #coût des aides accordées aux immigrés, dont la jeunesse permet de compenser le vieillissement des Français, est extrêmement faible. Le #poids_financier de l’#immigration n’est qu’un #faux_problème brandi pour flatter les plus bas instincts.

    Quand les paroles ne sont plus audibles, écrasées par trop de contre-vérités et de mauvaise foi, il est bon parfois de se référer aux #chiffres. Alors que le débat sur la loi immigration va rebondir dans les semaines à venir, l’idée d’entendre à nouveau les sempiternels discours sur l’étranger qui coûte cher et prend nos emplois nous monte déjà au cerveau. Si l’on regarde concrètement ce qu’il en est, le coût de l’immigration en France, que certains présentent comme bien trop élevé, serait en réalité extrêmement faible selon les économistes. Pour l’OCDE, il est contenu entre -0,5% et +0,5% du PIB selon les pays d’Europe, soit un montant parfaitement supportable. Certes, les immigrés reçoivent davantage d’#aides que les autres (et encore, beaucoup d’entre elles ne sont pas réclamées) car ils sont pour la plupart dans une situation précaire, mais leur #jeunesse permet de compenser le vieillissement de la population française, et donc de booster l’économie.

    Eh oui, il est bien loin ce temps de l’après-guerre où les naissances explosaient : les bébés de cette période ont tous pris leur retraite ou sont en passe de le faire et, bientôt, il n’y aura plus assez de jeunes pour abonder les caisses de #retraite et d’#assurance_sociale. Sans compter que, vu l’allongement de la durée de vie, la question de la dépendance va requérir énormément de main-d’œuvre et, pour le coup, devenir un véritable poids financier. L’immigration, loin d’être un fardeau, est bien une #nécessité si l’on ne veut pas voir imploser notre modèle de société. Les Allemands, eux, l’assument haut et fort : ils ont besoin d’immigrés pour faire tourner le pays, comme l’a clamé le chancelier Olaf Scholz au dernier sommet économique de Davos. Le poids financier de l’immigration est donc un faux problème brandi par des politiques qui ne pensent qu’à flatter les plus bas instincts d’une population qui craint que l’avenir soit pire encore que le présent. On peut la comprendre, mais elle se trompe d’ennemi.

    https://www.liberation.fr/idees-et-debats/editorial/loi-immigration-laccueil-des-etrangers-nest-pas-un-fardeau-mais-une-neces
    #économie #démographie #France #migrations

    –-

    voir aussi cette métaliste sur le lien entre #économie (et surtout l’#Etat_providence) et la #migration... des arguments pour détruire l’#idée_reçue : « Les migrants profitent (voire : viennent POUR profiter) du système social des pays européens »...
    https://seenthis.net/messages/971875

    ping @karine4

    • Sur les #prestations_sociales aux étrangers, la #contradiction d’#Emmanuel_Macron

      Le pouvoir exécutif vante une loi « immigration » qui concourt à une meilleure intégration des « travailleurs » et soutient « ceux qui travaillent ». Mais la restriction des droits sociaux pour les non-Européens fragilise le système de #protection_sociale.

      Depuis son adoption au Parlement, la loi relative à l’immigration est présentée par Emmanuel Macron et par le gouvernement comme fidèle à la doctrine du « #en_même_temps ». D’un côté, le texte prétend lutter « contre les #passeurs » et l’entrée illicite d’étrangers dans l’Hexagone. De l’autre, il viserait à « mieux intégrer ceux qui ont vocation à demeurer sur notre sol » : les « réfugiés, étudiants, chercheurs, travailleurs ». En s’exprimant ainsi dans ses vœux à la nation, le 31 décembre 2023, le président de la République a cherché à montrer que la #réforme, fruit d’un compromis avec les élus Les Républicains, et inspirée par endroits du logiciel du Rassemblement national, conciliait #fermeté et #humanisme.

      Mais cette volonté d’#équilibre est contredite par les mesures concernant les prestations sociales. En réalité, le texte pose de nouvelles règles qui durcissent les conditions d’accès à plusieurs droits pour les étrangers non ressortissants de l’Union européenne, en situation régulière, ce qui risque de plonger ces personnes dans le dénuement.

      Un premier régime est créé, qui prévoit que l’étranger devra soit avoir résidé en France depuis au moins cinq ans, soit « justifier d’une durée d’affiliation d’au moins trente mois au titre d’une activité professionnelle » – sachant que cela peut aussi inclure des périodes non travaillées (chômage, arrêt-maladie). Ce « #délai_de_carence » est une nouveauté pour les aides visées : #allocations_familiales, prestation d’accueil du jeune enfant, allocation de rentrée scolaire, complément familial, allocation personnalisée d’autonomie, etc.

      « #Régression considérable »

      Un deuxième régime est mis en place pour les #aides_personnelles_au_logement (#APL) : pour les toucher, l’étranger devra soit être titulaire d’un visa étudiant, soit être établi sur le territoire depuis au moins cinq ans, soit justifier d’une « durée d’affiliation d’au moins trois mois au titre d’une activité professionnelle ». Là aussi, il s’agit d’une innovation. Ces critères plus stricts, précise la loi, ne jouent cependant pas pour ceux qui ont obtenu le statut de réfugié ou détiennent la carte de résident.

      Le 19 décembre 2023, Olivier Dussopt, le ministre du travail, a réfuté la logique d’une #discrimination entre nationaux et étrangers, et fait valoir que le texte établissait une « #différence » entre ceux qui travaillent et ceux qui ne travaillent pas, « qu’on soit français ou qu’on soit étranger ». « Nous voulons que celles et ceux qui travaillent soient mieux accompagnés », a-t-il ajouté, en faisant allusion au délai de carence moins long pour les étrangers en emploi que pour les autres. Une présentation qui omet que le nouveau régime ne s’applique qu’aux résidents non européens, et laisse penser que certains étrangers mériteraient plus que d’autres d’être couverts par notre #Etat-providence.

      Alors que la loi est censée faciliter – sous certaines conditions – l’#intégration de ressortissants d’autres pays, des spécialistes de la protection sociale considèrent que les mesures sur les prestations tournent le dos à cet objectif. « Les délais de carence vont totalement à l’encontre de l’intégration que l’on prétend viser », estime Michel Borgetto, professeur émérite de l’université Paris Panthéon-Assas. Ils risquent, d’une part, de « précipiter dans la #précarité des personnes confrontées déjà à des #conditions_de_vie difficiles, ce qui aura pour effet d’accroître le nombre de #travailleurs_pauvres et de #mal-logés, voire de #sans-abri, relève-t-il. Ils sont, d’autre part, susceptibles de se révéler largement contre-productifs et terriblement néfastes, poursuit le spécialiste du droit de la #sécurité_sociale, dans la mesure où les étrangers en situation régulière se voient privés des aides et accompagnements nécessaires à leur insertion durable dans la société, dans les premiers mois ou années de leur vie en France. C’est-à-dire, en fait, au moment même où ils en ont précisément le plus besoin… »

      Maîtresse de conférences en droit social à l’université Lyon-II, Laure Camaji tient à rappeler que les prestations visées constituent des « #droits_universels, attribués depuis des décennies en raison de la résidence sur le territoire ». « Cela fait bien longtemps – depuis une loi de 1975 – que le droit aux #prestations_familiales n’est plus lié à l’exercice d’une #activité_professionnelle, souligne-t-elle. C’est un principe fondamental de notre système de sécurité sociale, un #acquis majeur qui forme le socle de notre #pacte_social, tout comme l’est l’#universalité de la #couverture_maladie, de la prise en charge du #handicap et de la #dépendance, du droit au logement et à l’#hébergement_d’urgence. »

      A ses yeux, le texte entraîne une « régression considérable » en instaurant une « #dualité de régimes entre les Français et les Européens d’un côté, les personnes non ressortissantes de l’Union de l’autre ». L’intégralité du système de protection sociale est fragilisée, « pour tous, quelle que soit la nationalité, l’origine, la situation familiale, puisque l’universalité n’est plus le principe », analyse-t-elle.

      Motivation « idéologique »

      Francis Kessler, maître de conférences à l’université Paris-I Panthéon-Sorbonne, ne comprend pas « la logique à l’œuvre dans cette loi, sauf à considérer qu’il est illégitime de verser certaines prestations à une catégorie de la population, au motif qu’elle n’a pas la nationalité française, ou que les étrangers viennent en France pour toucher des aides – ce qu’aucune étude n’a démontré ». En réalité, complète-t-il, la seule motivation de cette loi est « idéologique » : « Elle repose très clairement sur une idée de “#préférence_nationale” et place notre pays sur une pente extrêmement dangereuse. »

      Toute la question, maintenant, est de savoir si les dispositions en cause seront validées par le #Conseil_constitutionnel. L’institution de la rue de Montpensier a été saisie par la présidente de l’Assemblée nationale, Yaël Braun-Pivet, ainsi que par des députés et sénateurs de gauche, notamment sur les restrictions des #aides_financières aux étrangers. Les parlementaires d’opposition ont mis en avant le fait que les délais de carence violaient – entre autres – le #principe_d’égalité. Plusieurs membres du gouvernement, dont la première ministre, Elisabeth Borne, ont reconnu que des articles du texte, comme celui sur les APL, pouvaient être jugés contraires à la Loi fondamentale. Le Conseil constitutionnel rendra sa décision avant la fin du mois de janvier.

      https://www.lemonde.fr/politique/article/2024/01/05/sur-les-prestations-sociales-aux-etrangers-la-contradiction-d-emmanuel-macro
      #Macron #loi_immigration #accès_aux_droits

  • Au niveau européen, un pacte migratoire « dangereux » et « déconnecté de la réalité »

    Sara Prestianni, du réseau EuroMed Droits, et Tania Racho, chercheuse spécialiste du droit européen et de l’asile, alertent, dans un entretien à deux voix, sur les #risques de l’accord trouvé au niveau européen et qui sera voté au printemps prochain.

    Après trois années de discussions, un accord a été trouvé par les États membres sur le #pacte_européen_sur_la_migration_et_l’asile la semaine dernière. En France, cet événement n’a trouvé que peu d’écho, émoussé par la loi immigration votée au même moment et dont les effets sur les étrangers pourraient être dramatiques.

    Pourtant, le pacte migratoire européen comporte lui aussi son lot de mesures dangereuses pour les migrant·es, entre renforcement des contrôles aux frontières, tri express des demandeurs d’asile, expulsions facilitées des « indésirables » et sous-traitance de la gestion des frontières à des pays tiers. Sara Prestianni, responsable du plaidoyer au sein du réseau EuroMed Droits, estime que des violations de #droits_humains seront inévitables et invite à la création de voies légales qui permettraient de protéger les demandeurs d’asile.

    La chercheuse Tania Racho, spécialiste du droit européen et de l’asile et membre du réseau Désinfox-Migrations, répond qu’à aucun moment les institutions européennes « ne prennent en compte les personnes exilées », préférant répondre à des « objectifs de gestion des migrations ». Dans un entretien croisé, elles alertent sur les risques d’une approche purement « sécuritaire », qui renforcera la vulnérabilité des concernés et les mettra « à l’écart ».

    Mediapart : Le pacte migratoire avait été annoncé par la Commission européenne en septembre 2020. Il aura fait l’objet de longues tergiversations et de blocages. Était-ce si difficile de se mettre d’accord à 27 ?

    Tania Racho : Dans l’état d’esprit de l’Union européenne (UE), il fallait impérativement démontrer qu’il y a une gestion des migrations aux #frontières_extérieures pour rassurer les États membres. Mais il a été difficile d’aboutir à un accord. Au départ, il y avait des mesures pour des voies sécurisées d’accès à l’Union avec plus de titres économiques : ils ont disparu au bénéfice d’une crispation autour des personnes en situation irrégulière.

    Sara Prestianni : La complexité pour aboutir à un accord n’est pas due à la réalité des migrations mais à l’#instrumentalisation du dossier par beaucoup d’États. On l’a bien vu durant ces trois années de négociations autour du pacte : bien que les chiffres ne le justifiaient pas, le sujet a été fortement instrumentalisé. Le résultat, qui à nos yeux est très négatif, est le reflet de ces stratégies : cette réforme ne donne pas de réponse au phénomène en soi, mais répond aux luttes intestines des différents États.

    La répartition des demandeurs d’asile sur le sol européen a beaucoup clivé lors des débats. Pourquoi ?

    Sara Prestianni : D’abord, parce qu’il y a la fameuse réforme du #règlement_Dublin [qui impose aux exilés de demander l’asile dans le pays par lequel ils sont entrés dans l’UE - ndlr]. Ursula von der Leyen [présidente de la Commission – ndlr] avait promis de « #dépasser_Dublin ». Il est aujourd’hui renforcé. Ensuite, il y a la question de la #solidarité. La #redistribution va finalement se faire à la carte, alors que le Parlement avait tenté de revenir là-dessus. On laisse le choix du paiement, du support des murs et des barbelés aux frontières internes, et du financement de la dimension externe. On est bien loin du concept même de solidarité.

    Tania Racho : L’idée de Dublin est à mettre à la poubelle. Pour les Ukrainiens, ce règlement n’a pas été appliqué et la répartition s’est faite naturellement. La logique de Dublin, c’est qu’une personne qui trouve refuge dans un État membre ne peut pas circuler dans l’UE (sans autorisation en tout cas). Et si elle n’obtient pas l’asile, elle n’est pas censée pouvoir le demander ailleurs. Mais dans les faits, quelqu’un qui voit sa demande d’asile rejetée dans un pays peut déposer une demande en France, et même obtenir une protection, parce que les considérations ne sont pas les mêmes selon les pays. On s’interroge donc sur l’utilité de faire subir des transferts, d’enfermer les gens et de les priver de leurs droits, de faire peser le coût de ces transferts sur les États… Financièrement, ce n’est pas intéressant pour les États, et ça n’a pas de sens pour les demandeurs d’asile.

    D’ailleurs, faut-il les répartir ou leur laisser le libre #choix dans leur installation ?

    Tania Racho : Cela n’a jamais été évoqué sous cet angle. Cela a du sens de pouvoir les laisser choisir, parce que quand il y a un pays de destination, des attaches, une communauté, l’#intégration se fait mieux. Du point de vue des États, c’est avant tout une question d’#efficacité. Mais là encore on ne la voit pas. La Cour européenne des droits de l’homme a constaté, de manière régulière, que l’Italie ou la Grèce étaient des États défaillants concernant les demandeurs d’asile, et c’est vers ces pays qu’on persiste à vouloir renvoyer les personnes dublinées.

    Sara Prestianni : Le règlement de Dublin ne fonctionne pas, il est très coûteux et produit une #errance continue. On a à nouveau un #échec total sur ce sujet, puisqu’on reproduit Dublin avec la responsabilité des pays de première entrée, qui dans certaines situations va se prolonger à vingt mois. Même les #liens_familiaux (un frère, une sœur), qui devaient permettre d’échapper à ce règlement, sont finalement tombés dans les négociations.

    En quoi consiste le pacte pour lequel un accord a été trouvé la semaine dernière ?

    Sara Prestianni : Il comporte plusieurs documents législatifs, c’est donc une #réforme importante. On peut évoquer l’approche renforcée des #hotspots aux #frontières, qui a pourtant déjà démontré toutes ses limites, l’#enfermement à ciel ouvert, l’ouverture de #centres_de_détention, la #procédure_d’asile_accélérée, le concept de #pays-tiers_sûr que nous rejetons (la Tunisie étant l’exemple cruel des conséquences que cela peut avoir), la solidarité à la carte ou encore la directive sur l’« instrumentalisation » des migrants et le concept de #force_majeure en cas d’« #arrivées_massives », qui permet de déroger au respect des droits. L’ensemble de cette logique, qui vise à l’utilisation massive de la #détention, à l’#expulsion et au #tri des êtres humains, va engendrer des violations de droits, l’#exclusion et la #mise_à_l’écart des personnes.

    Tania Racho : On met en place des #centres_de_tri des gens aux frontières. C’est d’une #violence sans nom, et cette violence est passée sous silence. La justification du tri se fait par ailleurs sur la nationalité, en fonction du taux de protection moyen de l’UE, ce qui est absurde car le taux moyen de protection varie d’un pays à l’autre sur ce critère. Cela porte aussi une idée fausse selon laquelle seule la nationalité prévaudrait pour obtenir l’asile, alors qu’il y a un paquet de motifs, comme l’orientation sexuelle, le mariage forcé ou les mutilations génitales féminines. Difficile de livrer son récit sur de tels aspects après un parcours migratoire long de plusieurs mois dans le cadre d’une #procédure_accélérée.

    Comment peut-on opérer un #tri_aux_frontières tout en garantissant le respect des droits des personnes, du droit international et de la Convention de Genève relative aux réfugiés ?

    Tania Racho : Aucune idée. La Commission européenne parle d’arrivées mixtes et veut pouvoir distinguer réfugiés et migrants économiques. Les premiers pourraient être accueillis dignement, les seconds devraient être expulsés. Le rush dans le traitement des demandes n’aidera pas à clarifier la situation des personnes.

    Sara Prestianni : Ils veulent accélérer les procédures, quitte à les appliquer en détention, avec l’argument de dire « Plus jamais Moria » [un camp de migrants en Grèce incendié – ndlr]. Mais, ce qui est reproduit ici, c’est du pur Moria. En septembre, quand Lampedusa a connu 12 000 arrivées en quelques jours, ce pacte a été vendu comme la solution. Or tel qu’il est proposé aujourd’hui, il ne présente aucune garantie quant au respect du droit européen et de la Convention de Genève.

    Quels sont les dangers de l’#externalisation, qui consiste à sous-traiter la gestion des frontières ?

    Sara Prestianni : Alors que se négociait le pacte, on a observé une accélération des accords signés avec la #Tunisie, l’#Égypte ou le #Maroc. Il y a donc un lien très fort avec l’externalisation, même si le concept n’apparaît pas toujours dans le pacte. Là où il est très présent, c’est dans la notion de pays tiers sûr, qui facilite l’expulsion vers des pays où les migrants pourraient avoir des liens.

    On a tout de même l’impression que ceux qui ont façonné ce pacte ne sont pas très proches du terrain. Prenons l’exemple des Ivoiriens qui, à la suite des discours de haine en Tunisie, ont fui pour l’Europe. Les États membres seront en mesure de les y renvoyer car ils auront a priori un lien avec ce pays, alors même qu’ils risquent d’y subir des violences. L’Italie négocie avec l’#Albanie, le Royaume-Uni tente coûte que coûte de maintenir son accord avec le #Rwanda… Le risque, c’est que l’externalisation soit un jour intégrée à la procédure l’asile.

    Tania Racho : J’ai appris récemment que le pacte avait été rédigé par des communicants, pas par des juristes. Cela explique combien il est déconnecté de la réalité. Sur l’externalisation, le #non-refoulement est prévu par le traité sur le fonctionnement de l’UE, noir sur blanc. La Commission peut poursuivre l’Italie, qui refoule des personnes en mer ou signe ce type d’accord, mais elle ne le fait pas.

    Quel a été le rôle de l’Italie dans les discussions ?

    Sara Prestianni : L’Italie a joué un rôle central, menaçant de faire blocage pour l’accord, et en faisant passer d’autres dossiers importants à ses yeux. Cette question permet de souligner combien le pacte n’est pas une solution aux enjeux migratoires, mais le fruit d’un #rapport_de_force entre les États membres. L’#Italie a su instrumentaliser le pacte, en faisant du #chantage.

    Le pacte n’est pas dans son intérêt, ni dans celui des pays de premier accueil, qui vont devoir multiplier les enfermements et continuer à composer avec le règlement Dublin. Mais d’une certaine manière, elle l’a accepté avec la condition que la Commission et le Conseil la suivent, ou en tout cas gardent le silence, sur l’accord formulé avec la Tunisie, et plus récemment avec l’Albanie, alors même que ce dernier viole le droit européen.

    Tania Racho : Tout cela va aussi avoir un #coût – les centres de tri, leur construction, leur fonctionnement –, y compris pour l’Italie. Il y a dans ce pays une forme de #double_discours, où on veut d’un côté dérouter des bateaux avec une centaine de personnes à bord, et de l’autre délivrer près de 450 000 visas pour des travailleurs d’ici à 2025. Il y a une forme illogique à mettre autant d’énergie et d’argent à combattre autant les migrations irrégulières tout en distribuant des visas parce qu’il y a besoin de #travailleurs_étrangers.

    Le texte avait été présenté, au départ, comme une réponse à la « crise migratoire » de 2015 et devait permettre aux États membres d’être prêts en cas de situation similaire à l’avenir. Pensez-vous qu’il tient cet objectif ?

    Tania Racho : Pas du tout. Et puisqu’on parle des Syriens, rappelons que le nombre de personnes accueillies est ridicule (un million depuis 2011 à l’échelle de l’UE), surtout lorsqu’on le compare aux Ukrainiens (10 millions accueillis à ce jour). Il est assez étonnant que la comparaison ne soit pas audible pour certains. Le pacte ne résoudra rien, si ce n’est dans le narratif de la Commission européenne, qui pense pouvoir faire face à des arrivées mixtes.

    On a les bons et mauvais exilés, on ne prend pas du tout en compte les personnes exilées, on s’arrête à des objectifs de #gestion alors que d’autres solutions existent, comme la délivrance de #visas_humanitaires. Elles sont totalement ignorées. On s’enfonce dans des situations dramatiques qui ne feront qu’augmenter le tarif des passeurs et le nombre de morts en mer.

    Sara Prestianni : Si une telle situation se présente de nouveau, le règlement « crise » sera appliqué et permettra aux États membres de tout passer en procédure accélérée. On sera donc dans un cas de figure bien pire, car les entraves à l’accès aux droits seront institutionnalisées. C’est en cela que le pacte est dangereux. Il légitime toute une série de violations, déjà commises par la Grèce ou l’Italie, et normalise des pratiques illégales. Il occulte les mesures harmonisées d’asile, d’accueil et d’intégration. Et au lieu de pousser les États à négocier avec les pays de la rive sud, non pas pour renvoyer des migrants ou financer des barbelés mais pour ouvrir des voies légales et sûres, il mise sur une logique sécuritaire et excluante.

    Cela résonne fortement avec la loi immigration votée en France, supposée concilier « #humanité » et « #fermeté » (le pacte européen, lui, prétend concilier « #responsabilité » et « #solidarité »), et qui mise finalement tout sur le répressif. Un accord a été trouvé sur les deux textes au même moment, peut-on lier les deux ?

    Tania Racho : Dans les deux cas, la seule satisfaction a été d’avoir un accord, dans la précipitation et dans une forme assez particulière, entre la commission mixte paritaire en France et le trilogue au niveau européen. Ce qui est intéressant, c’est que l’adoption du pacte va probablement nécessiter des adaptations françaises. On peut lier les deux sur le fond : l’idée est de devoir gérer les personnes, dans le cas français avec un accent particulier sur la #criminalisation_des_étrangers, qu’on retrouve aussi dans le pacte, où de nombreux outils visent à lutter contre le terrorisme et l’immigration irrégulière. Il y a donc une même direction, une même teinte criminalisant la migration et allant dans le sens d’une fermeture.

    Sara Prestianni : Les États membres ont présenté l’adoption du pacte comme une grande victoire, alors que dans le détail ce n’est pas tout à fait évident. Paradoxalement, il y a eu une forme d’unanimité pour dire que c’était la solution. La loi immigration en France a créé plus de clivages au sein de la classe politique. Le pacte pas tellement, parce qu’après tant d’années à la recherche d’un accord sur le sujet, le simple fait d’avoir trouvé un deal a été perçu comme une victoire, y compris par des groupes plus progressistes. Mais plus de cinquante ONG, toutes présentes sur le terrain depuis des années, sont unanimes pour en dénoncer le fond.

    Le vote du pacte aura lieu au printemps 2024, dans le contexte des élections européennes. Risque-t-il de déteindre sur les débats sur l’immigration ?

    Tania Racho : Il y aura sans doute des débats sur les migrations durant les élections. Tout risque d’être mélangé, entre la loi immigration en France, le pacte européen, et le fait de dire qu’il faut débattre des migrations parce que c’est un sujet important. En réalité, on n’en débat jamais correctement. Et à chaque élection européenne, on voit que le fonctionnement de l’UE n’est pas compris.

    Sara Prestianni : Le pacte sera voté avant les élections, mais il ne sera pas un sujet du débat. Il y aura en revanche une instrumentalisation des migrations et de l’asile, comme un outil de #propagande, loin de la réalité du terrain. Notre bataille, au sein de la société civile, est de continuer notre travail de veille et de dénoncer les violations des #droits_fondamentaux que cette réforme, comme d’autres par le passé, va engendrer.

    https://www.mediapart.fr/journal/international/281223/au-niveau-europeen-un-pacte-migratoire-dangereux-et-deconnecte-de-la-reali
    #pacte #Europe #pacte_migratoire #asile #migrations #réfugiés

  • L’Union européenne trouve un accord sur une vaste réforme de la politique migratoire
    https://www.rfi.fr/fr/europe/20231220-l-union-europ%C3%A9enne-trouve-un-accord-sur-une-vaste-r%C3%A9forme-de-

    L’Union européenne trouve un accord sur une vaste réforme de la politique migratoire
    Après des années de discussion et une nuit entière d’ultimes tractations, les eurodéputés et représentants des États membres ont trouvé ce mercredi 20 décembre un accord sur l’épineuse réforme du système migratoire européen.
    Publié le : 20/12/2023 - 13:00
    Le Pacte asile et migration va remplacer l’actuel système européen que les pays du sud de l’Europe demandent à cor et à cri de réformer depuis au moins deux décennies. Présenté par la Commission européenne en septembre 2020, c’est une nouvelle tentative de refonte des règles européennes après l’échec d’une précédente proposition en 2016 dans la foulée de la crise des réfugiés.
    Globalement, le pacte prévoit un contrôle renforcé des arrivées de migrants dans l’UE, des centres fermés près des frontières pour renvoyer plus rapidement ceux n’ayant pas droit à l’asile et un mécanisme de solidarité obligatoire entre pays membres au profit des États sous pression migratoire est également prévu.
    Contrôles renforcés et mécanisme de solidarité obligatoire
    Le règlement de Dublin confiait la totalité de la responsabilité de l’accueil des migrants au pays d’entrée, celui par lequel chaque migrant arrive dans l’UE, la plupart du temps par la Méditerranée, rappelle notre correspondant à Bruxelles, Pierre Bénazet. La réforme conserve cette règle, mais pour aider les pays méditerranéens, où arrivent de nombreux exilés, un système de solidarité obligatoire est organisé en cas de pression migratoire. Les autres États membres doivent contribuer en prenant en charge des demandeurs d’asile (relocalisations) ou en apportant un soutien financier.
    La réforme prévoit aussi un « filtrage » des migrants à leur arrivée et une « procédure à la frontière » pour ceux qui sont statistiquement les moins susceptibles d’obtenir l’asile, qui seront retenus dans des centres pour pouvoir être renvoyés plus rapidement vers leur pays d’origine ou de transit. Cette procédure s’appliquera aux ressortissants de pays pour lequel le taux de reconnaissance du statut de réfugié, en moyenne dans l’UE, est inférieur à 20%. Le Conseil a insisté pour que même les familles avec enfants de moins de 12 ans soient concernées par une telle procédure, qui implique une forme de détention, dans des centres situés près des frontières ou des aéroports par exemple.
    « Toutes les personnes qui rentreront sur le territoire européen de manière irrégulière seront enregistrées, précise la députée européenne Fabienne Keller. Nous devons savoir qui est sur notre territoire. Mais ces personnes auront aussi des droits : une aide juridique dans l’ensemble de la phase de l’asile et le monitoring des droits fondamentaux pour qu’ils soient réels. Gérer plus rapidement des personnes qui ont très peu de chance d’avoir l’asile, c’est aussi faire que nos systèmes d’asile soient moins encombrés par des personnes nombreuses qui attendent pendant des délais beaucoup trop longs. C’est faire en sorte qu’il y ait moins de personnes présentes dans les procédures, qu’elles soient mieux accueillies et mieux respectées. »

    #Covid-19#migrant#migration#UE#pactemigratoire#asile#droit#filtrage#refugié#demandeurdasile

  • Union européenne : accord décisif pour la réforme de la politique migratoire
    https://www.lemonde.fr/international/article/2023/12/20/union-europeenne-accord-decisif-pour-la-reforme-de-la-politique-migratoire_6

    Union européenne : accord décisif pour la réforme de la politique migratoire
    Par Philippe Jacqué (Bruxelles, bureau européen)
    A Bruxelles, le futur pacte migratoire n’aura entraîné ni psychodrame, ni crise politique. Mercredi 20 décembre, à 8 h 17, un accord a été trouvé au terme de quarante-huit heures de négociations acharnées entre les représentants des Etats membres et les eurodéputés pour réformer la politique migratoire européenne. Les négociateurs ont validé les cinq règlements les plus importants du pacte. « Nous avons fait une percée sur les cinq piliers-clés du pacte sur les migrations et l’asile, a clamé, mercredi matin sur le réseau social X, le vice-président de la Commission, Margaritis Schinas. L’Europe tient enfin ses promesses en matière de migration. »
    « Ce pacte permettra une meilleure protection des frontières extérieures de l’Union, mettra en place plus de solidarité entre Etats et protégera mieux les plus vulnérables et les demandeurs d’asile, le tout fondé sur les valeurs de l’Europe », a assuré dans une vidéo la commissaire européenne aux affaires intérieures, Ylva Johansson. Pour la présidente de la Commission, Ursula von der Leyen, « ce pacte garantira une réponse européenne efficace à ce défi européen ». « L’extrême droite rêvait d’un échec, l’extrême gauche s’est battue pour faire échouer les négociations, mais nous sommes parvenus à dépasser nos clivages pour construire une majorité au centre », assurait l’eurodéputée Fabienne Keller (Renew Europe).
    Après deux ans d’échanges stériles
    L’emphase des déclarations des responsables européens est à la mesure du soulagement de la Commission, qui a proposé dès 2020 aux Etats membres une vaste refonte de la politique migratoire, après l’échec de la réforme portée par la Commission Juncker. Après deux ans d’échanges stériles, les négociations autour de cette réforme se sont accélérées une fois que les sujets ont été séparés en plusieurs textes, facilitant les discussions.
    Avec l’augmentation, ces deux dernières années, des arrivées de migrants irréguliers, un consensus, toujours plus dur et ferme pour renforcer les frontières de l’UE, a progressivement émergé entre les Vingt-Sept. Paradoxalement, l’arrivée au pouvoir de la dirigeante italienne d’extrême droite Giorgia Meloni a facilité l’adoption de certains textes, l’Italie jouant nettement le jeu d’une approche européenne et plus seulement nationale. Cette refonte de la politique migratoire dans l’UE prévoit une harmonisation des règles d’accueil des migrants. Les Etats conservent la responsabilité des personnes arrivant chez eux et devront procéder à l’examen d’asile, mais des mesures ont été prévues pour soulager les pays en première ligne, qu’il s’agisse des pays du sud de l’Europe, où arrive l’essentiel des migrants venant d’Afrique ou d’Asie via différentes routes migratoires, ou des pays d’Europe orientale faisant face à une instrumentalisation géopolitique, à l’image des arrivées orchestrées en 2021 par la Biélorussie en Pologne et en Lituanie.
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    Concrètement, un système de « solidarité obligatoire » est prévu en cas de pression migratoire forte. Les Etats membres disposant de capacités d’accueil ou de moyens devront soit accueillir certains demandeurs d’asile, soit soutenir financièrement ou par des dons en nature les Etats en première ligne. La principale innovation de cette réforme est cependant le développement d’un filtrage aux frontières de l’Europe, doublée d’une procédure accélérée d’étude des demandes d’asile. Seuls les mineurs isolés seront exonérés de cette procédure à la frontière, au contraire des familles accompagnées de leurs enfants. Dans la dernière ligne droite des débats, les eurodéputés espéraient faire évoluer les Etats sur ce point et inclure les familles avec mineurs. Sans succès.
    Cette nouvelle procédure accélérée aux frontières concernera notamment les migrants des pays dont le taux d’acceptation de l’asile est inférieur à 20 %, ainsi que tous les demandeurs qualifiés de « risque pour la sécurité ». Selon un diplomate au fait des discussions, « un Afghan, dont l’asile est aujourd’hui accepté à 90 % dans l’UE, pourra faire sa demande d’asile dans le pays où il arrive. En revanche, les migrants ne venant pas d’une zone de guerre ou n’étant pas persécutés verront leur demande traitée à la frontière ». Au bout de cette période, les pays pourront organiser le retour de ces personnes dans leurs pays d’origine ou vers des Etats tiers dits « sûrs », étant donné que les chances d’obtenir l’asile sont très faibles, justifient les Etats.
    Quelque 30 000 places d’accueil devront au minimum être offertes selon le pacte pour recevoir les demandeurs d’asile et procéder à l’examen de leur demande. « Comme nous prévoyons des procédures de trois mois maximum, nous pourrons accueillir par ce biais quelque 120 000 personnes chaque année en Europe », calcule un diplomate. Cela reste néanmoins théorique, la complexité des textes du pacte, ainsi que les diverses dérogations prévues – un des dix règlements prévoit de larges dérogations en cas de crise migratoire avérée – vont rendre très difficile son application de manière homogène dans l’ensemble des pays.
    Cela va surtout entraîner la multiplication de centres de rétention fermés, qui risquent d’être rapidement saturés. A la fin de novembre, l’agence Frontex avait enregistré quelque 355 000 entrées irrégulières dans l’UE depuis le début de l’année, en hausse de 17 % par rapport à la même période de 2022. Les ONG critiquent d’ores et déjà ce pacte : « Il existe actuellement un risque majeur que le pacte aboutisse à un système mal rodé, coûteux et cruel qui s’effondre au moment de sa mise en œuvre et laisse des problèmes cruciaux sans réponse », jugeaient récemment une cinquantaine d’ONG, dont Amnesty International, la Cimade ou Save the Children, dans une lettre ouverte aux colégislateurs négociant le pacte.

    #Covid-19#migrant#migration#UE#FRONTEX#ONG#pactemigratoire#demandeurasile#MNA#filtrage#centrederetention

  • Mine games

    Rare earths are to the 21st century what coal was to the 19th and oil to the 20th. Our everyday electronics - and Europe’s climate goals - depend on them. But China controls almost all supply chains. Can Europe free itself from this dependence?

    Your mobile has them. Your laptop as well. They are likely in the toothbrush you used this morning. E-scooters are full of them. So are electric cars.

    Rare earths and other minerals are essential for wind and solar power installations, defence, and for the gadgets that we now rely upon in our daily lives. The demand for critical raw materials is going to skyrocket in the years ahead, far beyond current supply.

    There is no “climate neutrality” ahead without them. This implies more mining than ever before. “We, eight billion of us, will use more metal than the 108 billion people who lived before us,” according to Guillaume Pitrón, author of the book Rare Metals War.

    The political headache is that Europe depends heavily on imports of these critical raw materials, primarily from China.

    China controls EU supply of critical raw materials
    The trade in rare earths and other materials is controlled by the Chinese. Russia and Chile are significant suppliers as are some European nations.

    European dependency on Russian gas was a wake-up call last year, when Russia invaded Ukraine. Now the EU urgently wants to reduce the similar dependency on Chinese supplies of rare earth elements, lithium, bismuth, magnesium and a series of other critical minerals.

    European consumers have for decades not had to be much concerned with the environmental destruction and pollution that often comes with mining. Now, governments haste to revive mining across the continent – and to fast-track processes that otherwise may take a decade or more.

    https://www.youtube.com/watch?v=qzw9-1G9Sok

    Investigate Europe reporters have unearthed what lies beneath these “green mining” ambitions. We have broken into a mountain of dilemmas, challenges and questions that come with Europe’s pressing need for minerals.

    To what extent will Europe be practically able to revive a mining industry that it has long abandoned? How can governments secure social acceptance for new mines if they are to fast-track permit processes? What kind of autonomy can come in an industry dominated by global companies?

    https://www.investigate-europe.eu/themes/investigations/critical-raw-materials-mining-europe
    #minières #mines #extractivisme #Europe #Chine #dépendance #indépendance #terres_rares #neutralité_climatique #transition_énergétique #importation #lithium #bismuth #magnésium #green_mining #industrie_minière #autonomie

    disponible en plusieurs langues, français notamment :
    https://www.investigate-europe.eu/fr/themes/investigations/critical-raw-materials-mining-europe

    • Écocides et #paradis_fiscaux : révélations sur les dérives du soutien européen à l’industrie minière

      Pour développer l’industrie des #batteries_électriques ou des éoliennes, l’Union européenne finance des entreprises minières au travers du programme #Horizon. Une partie de ces fonds soutient des sociétés impliquées dans des catastrophes environnementales, voire, pour l’une d’entre elles, domiciliée dans un paradis fiscal.

      C’est une immense tâche blanche, un entrelacs de tuyaux et de cuves, au milieu d’un écrin vert-bleu, à l’embouchure du fleuve Amazone, au #Brésil. Ici, l’usine de la société minière française #Imerys a laissé un souvenir amer aux communautés autochtones. En 2007, plusieurs dizaines de familles ont été contraintes à l’exil lorsque le leader mondial de la production de minéraux industriels a déversé 200 000 m3 de #déchets_toxiques dans les rivières alentour. #Cadmium, #baryum et autres #métaux_lourds cancérigènes se sont déposés au fond des cours d’eau dans lesquels puisent les populations, aux confins de la plus grande forêt pluviale du monde.

      De l’autre côté du globe, dans le #désert_de_Gobi, en #Mongolie, #Orano, (ex-#Areva), exploite des gisements d’#uranium. Cette fois, le géant français du combustible nucléaire est suspecté d’avoir injecté dans le sol « d’énormes quantités d’#acide_sulfurique », contaminant les #eaux_souterraines au #strontium — mortel à très haute dose — et à l’#arsenic, selon une enquête judiciaire mongole. « Moutons, chèvres, chevaux qui naissent handicapés, eau souterraine polluée, femmes qui font des fausses couches… » : l’association locale #Eviin_huch_eh_nutgiin_toloo, interrogée récemment par Reporterre, énumère les conséquences sanitaires potentiellement désastreuses de l’exploitation d’Orano.

      Plus loin au sud, près de l’équateur, l’île d’#Halmahera, en #Indonésie, fait face aux effets dévastateurs de l’exploitation récente de #nickel, à #Weda_Bay, en partie détenue par le groupe métallurgique et minier français, #Eramet. Là aussi, les terres sont détruites, et les populations autochtones déplacées. Sa filiale calédonienne, la société #Le_Nickel, est à l’origine d’une importante #pollution au #fuel constatée en avril 2023. Environ 6 000 litres de combustible se seraient échappés d’une conduite percée.

      Ces trois sociétés françaises n’ont pas pour seul point commun d’être impliquées dans des scandales environnementaux : elles bénéficient des largesses du programme européen Horizon. D’après notre enquête, la société française Eramet a touché 1,9 million d’euros, entre 2019 et 2022. Quant à Orano et Imerys, elles ont reçu respectivement 2,3 millions d’euros et 312 637 euros du programme européen. Parmi les prérequis indispensables à l’obtention de ces #subventions, figurait celui de « ne pas nuire à l’un des six objectifs environnementaux » présent au cœur du “#green_deal” européen, le #pacte_vert, en français. À commencer par la prévention contre les #risques_de_pollution ou la protection des écosystèmes. Sollicitée, la Commission européenne se contente de déclarer qu’elle accorde « une attention approfondie » aux enjeux environnementaux.

      Quinze sociétés impliquées dans des crimes environnementaux

      Doté d’un budget de 95 milliards d’euros sur sept ans (2021-2027), le programme européen Horizon, initié en 2014, et financé en grande partie sur fonds publics, a pour mission de soutenir la #recherche et l’innovation au sein de l’Union européenne. Avec l’émergence des besoins en batteries électriques, en #éoliennes et autres industries liées au secteur de la #transition_énergétique, ce soutien se dirige en grande partie vers le secteur minier, d’après notre analyse des données mises en ligne par l’UE. Avec une nette accélération ces dernières années : sur les 667 millions d’euros réservés à ce type de projets, entre 2014 et 2023, près de la moitié ont été attribués à partir de 2020.

      Projets financés par le programme de l’UE Horizon, en lien avec la loi sur les #matières_premières_critiques

      Depuis 2014, Horizon a financé 95 projets de ce type. Ceux-ci ont reçu 667 millions d’euros distribués entre 1 043 organisations. Les 67 présentés dans le graphique ont reçu plus de 2 millions d’euros.

      En plus des trois entreprises françaises ayant bénéficié du fonds Horizon malgré leur lien avec des pollutions environnementales, Disclose et Investigate Europe ont identifié douze autres sociétés problématiques. À chaque fois, celles-ci ont été impliquées dans des catastrophes environnementales. Leurs liens avec lesdites catastrophes sont accessibles en quelques clics sur Internet.

      Un exemple : l’entreprise minière suédoise #Boliden. Elle a perçu près de 2,7 millions d’euros dans le cadre de huit appels à projets Horizon. La dernière fois, c’était en novembre 2019. Or, cette société spécialisée dans la production de #zinc et de #cuivre a un lourd passif en matière de dégradation des écosystèmes. En 1998, près de Séville, en Espagne, le barrage d’un bassin de décantation d’une mine de #pyrite lui appartenant s’est rompu, déversant des eaux polluées sur plus de 40 km de terres agricoles. Dans les années 1980, Boliden a également été épinglé pour avoir exporté des milliers de tonnes de #déchets_miniers depuis la Suède vers #Arica, au nord du #Chili. Les #boues_toxiques d’arsenic liées au stockage sont pointées par des locaux pour être vraisemblablement à l’origine de #cancers et #maladies chez des milliers de résidents, lui valant d’être un cas d’étude dans un document du Parlement européen.

      Défaillances en chaîne

      Les données analysées réservent d’autres surprises. Alors que l’Union européenne ne cesse de défendre la nécessité de réduire sa dépendance vis-à-vis de la Chine et de la Russie, surtout depuis la pandémie et le conflit russo-ukrainien, le #programme_Horizon semble souffrir de quelques défaillances. Et pour cause, selon l’examen détaillé des entreprises bénéficiaires, il est arrivé à au moins trois reprises que les fonds versés par l’UE terminent soit sur le compte en banque d’un acteur étatique chinois, soit sur celui d’oligarques russes.

      Dans le premier cas, il s’agit du dossier déposé par la #Soil_Machine_Dynamics, une entreprise britannique leader dans le domaine de la robotique sous-marine. Celle-ci a reçu 3,53 millions d’euros du budget d’Horizon pour un projet baptisé #Vamos. Il visait à développer une technique permettant d’extraire des minéraux à des profondeurs jusque-là inaccessibles. Le projet a démarré le 1er février 2015. Mais, cinq jours plus tard, le fonds d’investissement privé Inflexion a cédé l’entreprise à #Zhuzhou_CSR_Times_Electric, dont l’actionnaire majoritaire est l’État chinois. Le projet Vamos, passé sous pavillon chinois, est resté actif jusqu’au 31 janvier 2019.

      Le second cas fait référence à la société #Aughinish_Alumina. L’entreprise basée en Irlande raffine la #bauxite, la roche dont est extraite l’#alumine utilisée pour produire l’#aluminium. En 2018, elle a reçu 563 500 euros en provenance de l’Union européenne pour sa participation à un projet visant à étudier la réutilisation des résidus de bauxite. Or, cette entreprise minière appartient depuis 2007 à #Rusal, un groupe russe qui domine le secteur et dont l’un des principaux actionnaires n’est autre qu’#Oleg_Deripaska. Réputé proche de Vladimir Poutine, ce dernier figure sur la liste des oligarques russes sanctionnés par le Royaume-Uni et les États-Unis… et l’Europe.

      Des fonds publics européens atterrissent dans un paradis fiscal

      Un autre cas intrigue, celui de la société #Lancaster_Exploration_Limited, spécialisée dans l’exploration de terres rares. L’entreprise a participé à un projet Horizon qui promettait de développer de nouveaux « modèles d’exploration pour les provinces alcalines et de carbonatite » destinés à l’industrie européenne de haute technologie. Pour ce projet, elle a perçu plus de 168 000 euros de la part de l’Europe, alors que son siège social est situé dans les #îles_Vierges britanniques, paradis fiscal notoirement connu. Interrogé sur ce cas précis, un porte-parole de la Commission européenne explique que l’institution peut mettre fin à un contrat la liant avec une société qui se serait rendue coupable d’infractions avec ses « obligations fiscales » ou qui aurait été « créé sous une juridiction différente, avec l’intention de contourner les obligations fiscales, sociales ou autres obligations légales dans le pays d’origine. »

      Reste à savoir si l’Union européenne prendra des mesures contre des sociétés ne respectant manifestement pas leurs obligations. D’autant plus que l’acquisition d’une souveraineté dans le secteur des #matières_premières critiques et des terres rares est l’une des priorités affichées par l’exécutif européen. La Commission a d’ailleurs présenté, en mars dernier, le #Critical_Raw_Materials_Act, consistant à relancer l’activité minière sur le continent. Grâce, notamment, aux centaines de millions d’euros que le programme Horizon destine aux professionnels du secteur.

      https://www.investigate-europe.eu/fr/posts/eu-horizon-scheme-millions-funding-mining-companies-environmental
      #paradis_fiscal #fisc #évasion_fiscale #écocide

  • L’Inexploré - Pierre Legendre
    https://www.youtube.com/watch?v=8zkdFbCeRLU

    Pierre Legendre, à l’écart du brouhaha médiatique et des idéologies à la mode, a tracé patiemment, sur plus de soixante ans, le chemin de l’anthropologie dogmatique. Il est revenu, en la maison qui l’a accueilli dans ses premières années d’étude des manuscrits médiévaux, l’École des chartes, pour livrer « à la jeunesse désireuse des lois » le suc de son labeur.

    Dans le droit fil de « De la Société comme texte » (2001) et en résonance avec ses conférences données au Japon en 2004 « Ce que l’Occident ne voit pas de l’Occident », dans un style dépouillé, Pierre Legendre découvre ce qui fait tenir debout, enlacés, l’humain et la société. Quel meilleur guide que Piero della Francesca pour ouvrir nos yeux à l’invisible ?

    https://arsdogmatica.com

    #chrétienté #anthropologie_dogmatique #langue #institution #civilisation #montage #scène #individu #personne #fiction #Piero_della_Francesca #principe_de_réalité #religion #ritualité #pacte_dogmatique #faille_institutionnelle #modernité #droit_naturel #droit_romain #occident #papauté #activisme_juridique #contrat #protestantisme #universalisme_politique #impératif_libéral #révolution_protestante #révolutions #Europe #narration_totémique #chorégraphie #logiques_contraires #tiers-terme

  • L’Australie offre l’asile climatique aux citoyens de Tuvalu
    https://www.lemonde.fr/international/article/2023/11/10/l-australie-offre-l-asile-climatique-aux-citoyens-de-tuvalu_6199315_3210.htm

    L’Australie offre l’asile climatique aux citoyens de Tuvalu
    Le petit archipel, avec ses 11 000 habitants, fait partie des nations les plus menacées par le changement climatique et la montée des eaux.
    Canberra a annoncé offrir aux habitants de Tuvalu, un archipel du Pacifique particulièrement menacé par la montée des eaux, des droits « spéciaux » pour s’installer et travailler en Australie, dans un traité rendu public par les deux pays vendredi 10 novembre. « Nous croyons que le peuple de Tuvalu mérite d’avoir le choix de vivre, étudier et travailler ailleurs, alors que le changement climatique empire », ont déclaré, dans un communiqué conjoint, le premier ministre australien, Anthony Albanese, et son homologue de Tuvalu, Kausea Natano.
    Le traité prévoit des droits « spéciaux » pour les arrivants, mais aussi des volets consacrés à la défense, engageant l’Australie à venir en aide à Tuvalu en cas d’invasion ou de catastrophe naturelle. Les Tuvalais pourront bénéficier d’un « accès aux services australiens, qui leur permettront une mobilité dans la dignité », précise le texte.
    Le petit archipel, avec ses 11 000 habitants, fait partie des nations les plus menacées par le changement climatique et la montée des eaux. Deux de ses neuf atolls ont déjà été largement submergés et des spécialistes estiment que Tuvalu sera complètement inhabitable d’ici à quatre-vingts ans. En octobre, M. Natano a déclaré à l’Agence France-Presse (AFP) que l’archipel risquait de « disparaître de la surface de la Terre » si aucune mesure drastique n’était prise. Le traité dévoilé veut aussi permettre aux Tuvalais de « conserver les liens ancestraux profonds » qui les unissent à leur terre et à la mer. Toutefois, il reconnaît que le passage à l’action arrive tardivement.
    La dépendance commerciale de l’Australie au charbon et aux exportations de gaz, des postes économiques polluants, sont depuis longtemps une pierre d’achoppement avec ses voisins du Pacifique, qui subissent déjà de plein fouet les conséquences du changement climatique, dont la montée des eaux et une météo plus extrême.
    Ce traité peut être perçu comme une victoire stratégique pour Canberra, qui entend étendre son influence dans l’océan face à la présence grandissante de la Chine. Kiribati et les îles Salomon se sont, par exemple, tournés vers Pékin ces dernières années. Tuvalu y reste opposé en continuant de reconnaître diplomatiquement Taïwan. M. Natano a affirmé que le traité représentait un « espoir » et un « grand pas en avant » pour la stabilité régionale. Il doit cependant encore être ratifié par les deux pays pour devenir effectif.

    #Covid-19#migrant#migration#australie#tuvalu#asileclimatique#emigration#pacifique

  • EU-Tunisia like UK-Rwanda? Not quite. But would the New Pact asylum reforms change that?

    EU law only allows sending asylum applicants to third countries if they can be considered safe and have a reasonable connection with the applicant. However, if the New Pact reforms go ahead, the safe third-country concept may be used to further shift protection responsibilities outside the EU. While the EU would be unable to conclude a UK-Rwanda-style agreement, the pressure for reforms, as well as the recent Memorandum of Understanding with Tunisia, signal the threat of diminished human rights protections and safeguards.

    Following an agreement on the last piece of the reform package, the so-called crisis instrument, the European Council and European Parliament are currently negotiating all proposals included in the New Pact on Migration and Asylum. While the focus on preventing irregular arrivals and increasing returns has long been a priority for the European Council and has been widely debated in EU migration policy, the possible impact of Pact reforms on the Safe Third-Country (STC) has gone largely unnoticed, partly due to its technical nature.

    However, the use of this concept could be expanded, in line with the original Pact proposal by the Commission, unless the European Parliament’s approach prevails over the European Council’s position. Should the Parliament fail to stay the course, the reforms could make it easier to transfer asylum applicants back to countries of transit, where they could be exposed to human rights violations. Recent developments point in this direction.

    Faced with an increase in irregular arrivals, ahead of the February 2023 meeting of the European Council, eight member states called on the European Commission and European Council to “explore new solutions and innovative ways of tackling irregular migration” based on “safe third-country arrangements”. Reflecting an established trend of outsourcing to third countries migration management responsibilities, in July 2023, the Commission signed a Memorandum of Understanding (MoU) with Tunisia on border controls and returns in exchange, among others, for economic and trade benefits. This MoU, singled out as a blueprint for similar arrangements by von der Leyen in her 2023 State of the Union address, was concluded at the urging of the Italian government, as it wants to use the concept of STC to return those arriving by sea via Tunisia.

    However, some member states aim to go further, with some commentators arguing that their goal is cooperation with third countries based on the 2022 UK-Rwanda deal. In this controversial deal, Rwanda committed to readmit asylum seekers arriving irregularly in the UK in exchange for development aid, regardless of whether asylum seekers had ever lived in or even entered the country before. Explicit bilateral declarations of support for this policy came from Austria and Italy. Denmark even negotiated a similar deal with Rwanda in September 2022. However, the Danish plans were put on hold, with the government expecting an EU-wide approach.

    These developments raise several crucial questions regarding EU migration and asylum policies. Under EU law, are UK-Rwanda-like deals lawful? What difference, if any, could the Pact reforms bring in this respect? How should the MoU with Tunisia be seen in this context? And will the concept of STC be used to shift responsibility to third countries in the future, and with what potential consequences for human rights protections?

    Externalisation: A U-turn on the concept of safe third-country

    The concept of STC emerged at the end of the 1980s to ensure a fair burden sharing of responsibility for asylum applicants among members of the international community. Under its original conception, the states most impacted by refugee flows could send asylum applicants to another state on the condition that the receiving state could offer them adequate protection in line with international standards.

    In recent years, however, restrictive immigration policies aimed at deterring irregular arrivals have proliferated, including outsourcing responsibilities to third countries. These policies, commonly referred to as ‘externalisation’, seek to transfer migration management and international protection responsibilities to countries already impacted by refugee flows, mostly countries of transit, in a spirit of burden-shifting rather than burden-sharing. These also come with diminished safeguards.

    Notable examples from outside the EU include the controversial policy by Australia of setting up extraterritorial asylum processing in Papua New Guinea in 2001. In the European context, the idea of setting up extraterritorial processing centres was first suggested by the UK in 2003 and then by Germany in 2005. This idea regained attention in the aftermath of the so-called 2015 refugee crisis, with several heads of EU states calling for asylum external processing. However, legal hurdles and the lack of willing neighbouring countries prevented it from becoming an EU mainstream migration control mechanism. The use of the STC concept to declare an application for international protection inadmissible without an examination of its merits prevailed instead, with the purpose of transferring the person who filed it to a third-country which is considered safe. Under current EU rules, the safety of the country is assessed on the basis of protection from persecution, serious harm, and respect for the principle of non-refoulement. However, this concept can only be applied individually, when there is a sufficient connection between the asylum seeker and the third- country, defined under national law, which makes it reasonable to return to that country.

    The much-debated 2016 EU-Türkiye Statement is considered the blueprint of this approach. Under the statement, Türkiye agreed to readmit all asylum seekers who crossed into Greece from Türkiye. In line with EU law, asylum applicants can only be returned after considering the time of stay there, access to work or residence, existence of social or cultural relations, and knowledge of the language, among others.

    Unlike the EU-Türkiye Statement, the UK-Rwanda agreement does not foresee the need for any such connection. Under the deal, the UK would, in principle, be able to send to Rwanda Syrians, Albanians and Afghans without them having ever set foot there. However, as of October 2023, the deal remains on hold, as the Court of Appeal found that it overlooks serious deficiencies in the Rwandan asylum system, rendering it unsafe.

    The expansion of safe third-country under the New Pact on Migration and Asylum

    Considering the above, Denmark or other member states could not transfer asylum seekers to a third-country, regardless of their circumstances. As the European Commission and experts argued, this would only be possible if a reasonable connection with the applicant could be established.

    Things may nevertheless change if the Pact negotiations were to proceed in accordance with the compromise reached by member states in June 2023. The European Council’s compromise text keeps the reasonable connection requirement while also leaving to member states the exact definition of STC under national law, as in the current rules. However, two possible changes could broaden its applicability to facilitate returns.

    First, albeit non-legally binding, the recitals introducing the European Council’s agreed position explicitly mention that a mere ‘stay’ in a STC could be regarded as sufficient for the reasonable connection requirement to be met. If the changes were to pass in this form, it is not unforeseeable that some member states will push to return asylum seekers to countries of transit, even if they only have a tenuous link with them, although case-law of the EU Court of Justice points against this interpretation.

    Second, the position agreed by the European Council in June would allow member states to presume the safety of a third country when the EU and the said third-country have decided that migrants readmitted there will be protected in line with international standards. However, the mere existence of an agreement does not prove its safety in practice. For example, the recently agreed MoU with Tunisia was called into question for its human rights implications and overlooking abuses against migrants, arguably rendering it unsafe.

    Despite Italian wishes to the contrary, Tunisia has so far only expressly agreed to readmit its own nationals. However, considering the expectations of EU states, the European Council’s position, and an uncertain future, the possibility of more comprehensive arrangements with other countries, such as Egypt, cannot be ruled out. While UK-Rwanda-style deals are and will remain a no-go for member states, an expanded STC concept could enable the EU to pursue its priority of implementing returns to countries of transit, a notable shift compared to current practices. The push for cooperation with Tunisia shows that this would come at the expense of human rights.

    The negotiations with the European Parliament offer the opportunity to avoid this expansion and maintain stronger safeguards. However, considering the wider systemic weaknesses of the envisaged reforms – especially the loose solidarity obligations within member states – the EU will likely continue its burden-shifting efforts in the future regardless, whether through the STC concept or other types of arrangements with third countries.

    https://www.epc.eu/en/Publications/EU-Tunisia-like-UK-Rwanda-Not-quite-But-would-the-New-Pact-asylum-re~55422c
    #Pacte_européen_sur_la_migration_et_l’asile #migrations #asile #réfugiés #externalisation #new_pact #nouveau_pacte #EU #UE #Union_européenne #pays-tiers_sûrs #procédure_d'asile #droits_humains #Tunisie #Rwanda #pays_de_transit

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    ajouté à la métaliste sur le #Pacte_européen_sur_la_migration_et_l’asile:
    https://seenthis.net/messages/1019088