• Il Consiglio d’Europa chiede all’Italia di garantire più protezione alle vittime di tratta

    Nel rapporto del Gruppo di esperti sulla lotta alla tratta di esseri umani (Greta) si chiede alle autorità di aumentare le indagini e le condanne, assicurare strumenti efficaci di risarcimento per le vittime e concentrarsi maggiormente sullo sfruttamento lavorativo. Oltre allo stop del memorandum Italia-Libia. Su cui il governo tira dritto.

    Più attenzione alla tratta per sfruttamento lavorativo, maggiori risarcimenti e indennizzi per le vittime e la necessità di aumentare il numero di trafficanti di esseri umani assicurati alla giustizia. Ma anche lo stop del memorandum Italia-Libia e la fine della criminalizzazione dei cosiddetti “scafisti”.

    Sono queste le principali criticità su cui il Gruppo di esperti del Consiglio d’Europa sulla lotta alla tratta di esseri umani (Greta) a fine febbraio ha chiesto al governo italiano di intervenire per assicurare l’applicazione delle normative europee e una tutela efficace per le vittime di tratta degli esseri umani. “Ogni anno in Italia ne vengono individuate tra le 2.100 e le 3.800 -si legge nel report finale pubblicato il 23 febbraio-. Queste cifre non riflettono la reale portata del fenomeno a causa dei persistenti limiti nelle procedure per identificare le vittime, nonché di un basso tasso di autodenuncia da parte delle stesse che temono di essere punite o deportate verso i Paesi di origine”. Una scarsa individuazione dei casi di tratta che riguarderebbe soprattutto alcuni settori “ad alto rischio” come “l’agricoltura, il tessile, i servizi domestici, l’edilizia, il settore alberghiero e la ristorazione”.

    L’oggetto del terzo monitoraggio di attuazione obblighi degli Stati stabiliti dalla Convenzione del Consiglio d’Europa sulla lotta contro la tratta degli esseri umani era proprio l’accesso alla giustizia per le vittime. Dal 13 al 17 febbraio 2023, il gruppo di esperti si è recato in Italia incontrando decine di rappresentanti istituzionali e di organizzazioni della società civile. La prima bozza del report adottata nel giugno 2023 è stata poi condivisa con il governo italiano che a ottobre ha inviato le sue risposte prima della pubblicazione finale del rapporto. Quello in cui il Greta, pur sottolineando “alcuni sviluppi positivi” dall’ultima valutazione svolta in Italia nel 2019, esprime “preoccupazione su diverse questioni”.

    Il risarcimento per le vittime della tratta è una di queste. Spesso “reso impossibile dalla mancanza di beni o proprietà degli autori del reato in Italia” ma anche perché “i meccanismi di cooperazione internazionale sono raramente utilizzati per identificare e sequestrare i beni degli stessi all’estero”. Non solo. Il sistema di indennizzo per le vittime -nel caso in cui, appunto, chi ha commesso il reato non abbia disponibilità economica- non funziona. “Serve renderlo effettivamente accessibile e aumentare il suo importo massimo di 1.500 euro”. Come ricostruito anche da Altreconomia, da quando è stato istituito questo strumento solo in un caso la vittima ha avuto accesso al fondo.

    Il Greta rileva poi una “diminuzione del numero di indagini, azioni penali e di condanne” osservando in generale una applicazione ristretta di tratta di esseri umani collegandola “all’esistenza di un elemento transnazionale, al coinvolgimento di un’organizzazione criminale e all’assenza del consenso della vittima”. Tutti elementi non previsti dalla normativa europea e italiana. Così come “desta preoccupazione l’eccessiva durata dei procedimenti giudiziari, in particolare della fase investigativa”.

    Il gruppo di esperti sottolinea poi la persistenza di segnalazioni di presunte vittime di tratta “perseguite e condannate per attività illecite commesse durante la tratta, come il traffico di droga, il possesso di un documento d’identità falso o l’ingresso irregolare”. Un problema che spesso porta la persona in carcere e non nei progetti di accoglienza specializzati. Che in Italia aumentano. Il Greta accoglie infatti con favore “l’aumento dei fondi messi a disposizione per l’assistenza alle vittime e la disponibilità di un maggior numero di posti per le vittime di tratta, anche per uomini e transgender” sottolineando però la necessità di prevedere un “finanziamento più sostenibile”. In questo momento i bandi per i progetti pubblicati dal Dipartimento per le pari opportunità, hanno una durata tra i 17 e i 18 mesi.

    C’è poi la difficoltà nell’accesso all’assistenza legale gratuita che dovrebbe essere garantita alle vittime che invece, spesso, si trovano obbligate a dimostrare di non avere beni di proprietà non solo in Italia ma anche nei loro Paesi d’origine per poter accedere alle forme di consulenza legale gratuita. Problematico è anche l’accesso all’assistenza sanitaria. “I professionisti del Sistema sanitario nazionale -scrive il Greta- non sono formati per assistere le vittime di tratta con gravi traumi e mancano mediatori culturali formati per partecipare alla fornitura di assistenza psicologica”.

    Come detto, il focus degli esperti riguarda la tratta per sfruttamento lavorativo. Su cui l’Italia ha adottato diverse misure di protezione per le vittime ma che però restano insufficienti. “Lo sfruttamento del lavoro continua a essere profondamente radicato in alcuni settori che dipendono fortemente dalla manodopera migrante” ed è necessario “garantire risorse che risorse sufficienti siano messe a disposizione degli ispettori del lavoro, rafforzando il monitoraggio dei settori a rischio e garantendo che le condizioni di vita e di lavoro dei lavoratori migranti soddisfare i requisiti previsti dalla normativa al fine di prevenire abusi”.

    Infine il Greta bacchetta il governo italiano su diversi aspetti relativi alla nuova normativa sui richiedenti asilo. “Temiamo che le misure restrittive adottate dall’Italia favoriscano un clima di criminalizzazione dei migranti, con il risultato che molte potenziali vittime della tratta non denunciano i loro casi per paura di detenzione e deportazione”, scrivono gli esperti. Sottolineando la preoccupazione rispetto al “rischio di aumento del numero di richiedenti asilo nei centri di detenzione amministrativa” previsto dagli ultimi provvedimenti normativi che aumenterebbe la possibilità anche per le vittime di tratta non ancora identificate di essere recluse. Un rischio riscontrato anche per il Protocollo sottoscritto con l’Albania per gli impatti che avrà “sull’individuazione e la protezione delle persone vulnerabili salvate in mare”.

    Sul punto, nelle risposte inviate al Greta l’8 febbraio 2024, il governo italiano sottolinea che il protocollo siglato con la controparte albanese “non si applicherà alle persone vulnerabili, incluse le vittime di tratta”. Resta il punto della difficoltà di identificazione fatta subito dopo il soccorso, spesso in condizioni precarie dopo una lunga e faticosa traversata.

    Ma nelle dieci pagine di osservazioni inviate da parte dell’Italia, salta all’occhio la puntualizzazione rispetto alla richiesta del Greta di sospendere il memorandum d’intesa tra Italia e Libia che fa sì che “un numero crescente di migranti salvati o intercettati nel Mediterraneo vengano rimpatriati in Libia dove rischiano -scrivono gli esperti- di subire gravi violazioni dei diritti umani, tra cui la schiavitù, il lavoro forzato e lo sfruttamento sessuale”. Nella risposta, infatti, il governo sottolinea che ha scelto di cooperare con le autorità libiche “con l’obiettivo di ridurre i morti in mare, nel pieno rispetto dei diritti umani” e che la collaborazione “permette di combattere più efficacemente le reti di trafficanti di esseri umani e di coloro che contrabbandano i migranti”. Con il rispetto dei diritti umani, del diritti umanitario e internazionale che è “sempre stata una priorità”. Evidentemente non rispettata. Ma c’è un dettaglio in più.

    Quel contrasto al traffico di migranti alla base anche del memorandum con la Libia, sbandierato a più riprese dall’esecutivo italiano (“Andremo a cercare gli ‘scafisti’ lungo tutto il globo terracqueo”, disse la premier Giorgia Meloni a inizio marzo 2023) viene messo in discussione nel rapporto. Dopo aver sottolineato la diminuzione delle indagini sui trafficanti di esseri umani, il Greta scrive che i “capitani” delle navi che arrivano in Italia “potrebbero essere stati costretti tramite minacce, violenza fisica e abuso di una posizione di vulnerabilità nel partecipare all’attività criminali”. Indicatori che li farebbero ricadere nella “categoria” delle vittime di tratta. “Nessuno, però, è stato considerato come tale”, osservano gli esperti. Si scioglie come neve al sole la retorica sulla “guerra” ai trafficanti. I pezzi grossi restano, nel frattempo, impuniti.

    https://altreconomia.it/il-consiglio-deuropa-chiede-allitalia-di-garantire-piu-protezione-alle-

    #traite_d'êtres_humains #Italie #protection #Conseil_de_l'Europe #exploitation #Greta #rapport #agriculture #industrie_textile #hôtelerie #bâtiment #BTS #services_domestiques #restauration #indemnisation #accès_à_la_santé #criminalisation_de_la_migration #Albanie

  • #Agriculture : derrière les blablas macronistes, de nouveaux accords de libre échange en vue
    https://ricochets.cc/Agriculture-derriere-les-blablas-macronistes-de-nouveaux-accords-de-libre-

    Derrière les blablas, coup de com, rafistolages temporaires et cafouillages de la tyrannie macroniste, la France veut signer de nouveaux accords de libre échange de merde avec le Kenya et le Chili, tandis que les patrons de la FNSEA se gavent du pognon des cotisants du syndicat. Pour le pouvoir et son monde, les agriculteurs valent que dalle et sont voués à être remplacés par des robots et des travailleurs sous contraintes dans d’immenses exploitations gérées comme des firmes par des (...) #Les_Articles

    / Agriculture, #nucléaire, Autoritarisme, régime policier, démocrature...

    #Autoritarisme,_régime_policier,_démocrature...
    https://www.konbini.com/societe/macron-demission-macron-demission-le-president-hue-et-exfiltre-au-salon-de-
    https://reporterre.net/L-agro-industrie-compromet-le-renouvellement-des-generations
    https://reporterre.net/Macron-au-Salon-de-l-agriculture-le-chaos-et-toujours-pas-d-ecologie
    https://reporterre.net/Vendre-sa-ferme-un-rude-parcours-pour-les-agriculteurs
    https://reporterre.net/Agriculteurs-en-colere-Les-politiques-font-mourir-de-faim-ceux-qui-nourr
    https://reporterre.net/Pourquoi-les-agriculteurs-n-aiment-pas-trop-les-haies
    https://reporterre.net/En-pleine-crise-agricole-la-France-soutient-deux-nouveaux-accords-de-lib
    https://www.terrestres.org/2024/02/23/lere-de-la-monoculture-et-de-la-standardisation-conversation-sur-la-plan
    https://reporterre.net/Toujours-plus-industrielle-l-agriculture-francaise-coincee-dans-l-impass

  • Traverser la rue pour manger sainement
    https://blog.ecologie-politique.eu/post/Traverser-la-rue-pour-manger-sainement

    Le premier des obstacles pour choisir une alimentation saine est le prix. En 2017, le quart des ménages les plus pauvres (1) consacre 18 % de son revenu à l’alimentation. C’est le second poste seulement, avec un point de plus que la part qu’y consacre la moyenne des ménages. Ce n’est peut-être pas assez pour certain·es en valeur absolue mais c’est déjà beaucoup en proportion, d’autant que d’autres dépenses sont, elles, incompressibles. Comme le logement, une dépense qui n’est pas choisie et qui est le premier poste du budget des 25 % les plus pauvres d’entre nous, qui exige jusqu’à 45 % de leur justement nommé « taux d’effort » (2). (J’ajoute qu’avec 6 € d’un abonnement Netflix mensuel, on peut s’acheter entre huit et dix pommes bio, soit environ un quartier de pomme par jour. Merci pour le conseil.)

    D’autres barrières sont les conditions matérielles d’accès à une nourriture saine : habiter suffisamment près d’un magasin bio ou d’une offre alimentaire variée, avoir une cuisine suffisamment grande pour traiter des légumes (3), posséder des feux et un four. Ce qui est tenu pour acquis dans certaines classes sociales ne l’est pas dans d’autres, je parle d’expérience, ayant été mal logée. De plus, les associations qui travaillent sur ces questions nous disent le manque de temps pour cuisiner qu’ont les travailleuses et travailleurs pauvres, les plaisirs plus immédiats du sucré et du gras quand on a par ailleurs des vies difficiles et stressantes, sans filet de sécurité, ou bien le fait que personne ne sait si vous avez sauté un repas alors que l’incapacité à effectuer certaines dépenses vous met en marge de la société, symboliquement et parfois même matériellement quand l’accès aux droits passe par une connexion Internet et que le moyen le plus simple et le moins cher de vous connecter est un smartphone.

    Malgré tout, l’aspiration à bien se nourrir existe, les produits bio (et locaux), les fruits et les légumes sont identifiés dans toutes les classes sociales comme une alimentation désirable, bonne pour la santé et pour le milieu naturel.

    #Aude_Vidal #alimentation #agriculture #santé #Macron

  • Widespread contamination of soils and vegetation with current use pesticide residues along altitudinal gradients in a European Alpine valley

    Pesticides are transferred outside of cropland and can affect animals and plants. Here we investigated the distribution of 97 current use pesticides in soil and vegetation as central exposure matrices of insects. Sampling was conducted on 53 sites along eleven altitudinal transects in the Vinschgau valley (South Tyrol, Italy), in Europe’s largest apple growing area. A total of 27 pesticides (10 insecticides, 11 fungicides and 6 herbicides) were detected, originating mostly from apple orchards. Residue numbers and concentrations decreased with altitude and distance to orchards, but were even detected at the highest sites. Predictive, detection-based mapping indicates that pesticide mixtures can occur anywhere from the valley floor to mountain peaks. This study demonstrates widespread pesticide contamination of Alpine environments, creating contaminated landscapes. As residue mixtures have been detected in remote alpine ecosystems and conservation areas, we call for a reduction of pesticide use to prevent further contamination and loss of biodiversity.


    https://www.nature.com/articles/s43247-024-01220-1
    #montagne #Alpes #Tyrol_du_sud #contamination_du_sol #sols #sol #pollution #agriculture #pollution_du_sol #pommes #pesticides #Sud-Tyrol #Italie #cartographie #visualisation

  • How Russia is trying to build its own war drone industry
    https://irpimedia.irpi.eu/en-russia-war-drone-industry

    The Russian drone plants rely on Iran, foreign components and the technical knowledge of companies that have transitioned from the agricultural to the military sector L’articolo How Russia is trying to build its own war drone industry proviene da IrpiMedia.

    #Undefined
    https://irpimedia.irpi.eu/wp-content/uploads/2024/01/video-shahed-136.mp4


    https://irpimedia.irpi.eu/wp-content/uploads/2024/01/video-albatros-m5.mp4

  • Discussion avec Alessandro Pignocchi sur la colère du monde agricole - La Grappe
    https://lagrappe.info/?Discussion-avec-Alessandro-Pignocchi-sur-la-colere-du-monde-agricole-631

    Elle en est la base, car le capitalisme, pour fonctionner, a besoin d’un prolétariat abondant et docile, et donc d’une population massivement dépossédée de ses moyens de subsistance. Notre dépendance générale au marché pour subvenir à l’ensemble de nos besoins, en premier lieu alimentaires, est sans doute la principale raison de notre impuissance politique. Un article de Gaspard d’Allen paru dans Reporterre montre la corrélation, au cours du 20e siècle, entre la perte progressive des liens entre la classe ouvrière et les campagnes vivrières et la diminution du temps des grèves. L’agriculture industrielle est aussi la matrice de notre monde dans la mesure où elle contribue, directement ou par le système institutionnel qui s’organise autour d’elle, à façonner nos subjectivités et nos façons d’être. Nous tenons pour acquis, pour « naturel », notre dépendance vitale au marché. Nous nous habituons à traverser des paysages ou les forces naturelles et les dynamiques du vivant sont contraintes, amoindries, contrôlées et mises au travail. Bref, pour un gouvernement libéral autoritaire, le complexe agro-industriel, grâce auquel la production alimentaire est prise en charge par un nombre minimal de personne, est un pilier vital.

    #Alessandro_Pignocchi #capitalisme #subsistance #agriculture #prolétariat #rapport_de_force

  • Les pionniers du bio
    https://laviedesidees.fr/Martin-Des-paysans-ecologistes

    Tout au long du XXe siècle, des courants écologistes au sein du monde agricole ont milité pour la production bio et la défense des petits travailleurs. L’histoire de ces « paysans écologistes » raconte le contrat d’avenir qui s’est noué l’agriculture et la société. À propos de : Jean-Philippe Martin, Des paysans écologistes. Politique agricole, #environnement et société depuis les années 1960, Champ Vallon

    #Société #écologie #agriculture
    https://laviedesidees.fr/IMG/docx/20240219_paysans.docx
    https://laviedesidees.fr/IMG/pdf/20240219_paysans.pdf

  • Impact de la #guerre au #Sud_Liban sur la population, l’économie et l’#agriculture
    Olives, citrus, and bombs : Diana Salloum on South Lebanon’s agriculture
    https://throughtheclimatefog.substack.com/p/lebanon-israel-gaza-war-farmers-displacement

    As of early January, the UN was reporting more than 75,000 people displaced. This is especially painful because it’s happening during the olive harvest, which is economically critical for these communities. Some of those displaced are still trying to finish the harvest, despite the violence: In the village of Deir Mimas, I’ve heard of people going back and picking olives at night, in hopes that it will be safer from bombardment than in daylight.

    The stakes are especially high because, for many people, this will be the last season they can make money off of these orchards. People put a lot of money into their trees and properties. Many had to rebuild after the 2006 war–which, per UN estimates, cost some 280 million USD in agricultural losses.

    Now they see their land being damaged again, and many expect the destruction to keep coming. In areas that Israel has hit with white phosphorous, not everyone knows the technicalities of what it does to the soil–but they know it’s poison, so they stay away.
    [...]
    How do such people get by, while separated from their land and livelihood?

    Before 2019, the obvious choice would have been to drive a taxi as a second job. Today, though, you make very little money driving a taxi [due to the currency’s collapse and rising fuel prices]. So people look for other options. Families that have a second house elsewhere in Lebanon might try to set up a business selling things there. Those that have gone to stay with friends might find work helping in their shops.

    Some older farmers are thinking of emigrating: going to join their children who are already abroad. But this option is not accessible to everyone. I spoke, for example, to a farmer who had considered joining his son in Qatar. But his son barely earns enough money to support himself, and lives in shared housing, so is not in a position to receive his father.
    [...]
    Beyond those directly impacted by violence, what does all this mean for food prices across Lebanon?

    South Lebanon is an important producer of a few different crops, but until now the big impact is on olive oil. Government data suggests that Lebanon’s two southernmost governorates supply a little over a third of the local olive market. As a result, the conflict has had a major impact on prices.

    On October 7, you could buy a 20 liter tank of olive oil for around 100 dollars. Then the price went up to 130. A few weeks ago, I saw people in North Lebanon selling for 175. Traders say this is simply because there’s a lot of demand and not enough supply. But some wonder if sellers are taking advantage of the situation to increase their profits.

    This is the latest in a long string of crises for Lebanese farmers, piled onto economic collapse and the slow-motion impact of climate change. What other problems do people face, and how do they manage?

    The currency’s devaluation has made agricultural inputs much more expensive. Most farming here depends on chemical fertilizers and pesticides. These are imported in dollars, while produce is sold in Lebanese pounds.

    Some people have adapted by simply using less inputs, which means getting a smaller harvest. Others have switched to using very cheap Chinese inputs. This yields low quality fruits and vegetables, which often cannot be sold in Beirut: Consumers in the capital expect a certain level of quality, and traders at the wholesale markets will reject goods that don’t meet it. So this produce gets sold in places like Tripoli, which impose less control.

    Some people are trying to start farming organically, without chemical fertilizers or pesticides. But in order to switch to organic, land that has been chemically farmed must be left alone to recover. Most people here cannot afford that time. Some are trying creative ways to transition: I know a guy who has divided his land up into small plots and is gradually switching some areas to organic while using traditional methods on the rest.

    Another problem is the increase in extreme or unpredictable weather. Last April, many farmers suffered losses due to the combination of late rains followed by warm, sunny days, which ruined certain crops. Similarly, a lot of apple farmers had hail storms damage their apples. Many took a huge loss, selling damaged produce for one dollar a crate instead of three.

  • Gli utili record dei padroni del cibo a scapito della sicurezza alimentare

    I cinque principali #trader di prodotti agricoli a livello mondiale hanno fatto registrare utili e profitti record tra il 2021 e il 2023. Mentre il numero di persone che soffrono la fame ha toccato i 783 milioni. Il report “Hungry for profits” della Ong SOMO individua le cause principali di questa situazione. E propone una tassa sui loro extra-profitti

    Tra il 2021 e il 2022 -anni in cui il numero di persone che soffrono la fame nel mondo è tornato ad aumentare, così come i prezzi dei beni agricoli spinti verso l’alto da inflazione e speculazione finanziaria- i profitti dei primi cinque trader di materie prime agricole a livello globale sono schizzati verso l’alto.

    Nel 2022 le multinazionali riunite sotto l’acronimo Abccd (Archer-Daniels-Midland company, Cargill, Cofco e Louis Dreyfus Company) hanno comunicato ai propri stakeholder un aumento degli utili per il 2021 compreso tra il 75% e il 260% rispetto al 2016-2020. “Mentre nel 2022 i profitti netti sono raddoppiati o addirittura triplicati rispetto allo stesso periodo. In base ai rapporti finanziari trimestrali disponibili al pubblico, i profitti netti dei commercianti di materie prime agricole sono rimasti eccessivamente alti nei primi nove mesi del 2023”, si legge nel rapporto “Hungry for profits” curato dalla Ong olandese Somo. Dati che fanno comprendere meglio quali sono i fattori che influenzano l’andamento del costo dei prodotti agricoli e -soprattutto- chi sono i reali vincitori dell’attuale sistema agroindustriale.

    La statunitense Cargill è la prima tra i Big five in termini di ricavi (165 miliardi di dollari nel 2022) e utili (6,6 miliardi), seguita dalla cinese Cofco (che nello stesso anno ha superato i 108 miliardi di dollari e i 3,3 miliardi di utili) e da Archer-Daniels-Midland company (Adm, con 101 miliardi di ricavi e 4,3 miliardi di utili). Nello stesso anno il numero di persone che soffrono la fame ha raggiunto i 783 milioni (122 milioni in più rispetto al 2019) e i prezzi dei prodotti alimentari hanno continuato a crescere, spinti dall’inflazione.

    Complessivamente questi cinque colossi detengono una posizione di oligopolio sul mercato globale dei prodotti di base come i cereali (di cui controllano una quota che va dal 70-90%), soia e zucchero. “Questo alto grado di concentrazione e il conseguente controllo sulle più importanti materie prime agricole del mondo, conferisce loro un enorme potere contrattuale per plasmare il panorama alimentare globale”, spiega Vincent Kiezebrink, ricercatore di Somo e autore della ricerca.

    La posizione dominante che di fatto ricoprono sul mercato globale rappresenta uno dei fattori che ha permesso agli Abccd di registrare profitti e utili da record negli ultimi tre anni. “La sola Cargill è responsabile della movimentazione del 25% di tutti i cereali e i semi di soia prodotti dagli agricoltori statunitensi -si legge nel report-. Anche il principale mercato agricolo per l’approvvigionamento di soia, l’America Latina, è dominato dagli Abccd: oltre la metà di tutte le esportazioni di questo prodotto passano da loro”.

    La situazione non cambia se si guarda a quello che succede in Europa: l’olandese Bunge e la statunitense Cargill da sole sono responsabili di oltre il 30% delle esportazioni di soia dal Brasile verso l’Unione europea. Bunge, in particolare, è il principale fornitore di soia per l’industria della carne dell’Ue con una chiara posizione di monopolio in alcuni mercati come il Portogallo, dove controlla il 90-100% delle vendite di olio di soia grezzo.

    Questa concentrazione è stata costruita nel tempo attraverso fusioni e acquisizioni che non sono state limitate dalle autorità per la concorrenza: quelle europee, ad esempio, hanno valutato un totale di 60 fusioni relative alle società Abccd dal 1990 a oggi. “Tutte le operazioni, tranne una, sono state autorizzate incondizionatamente -si legge nel report-. La prossima grande fusione in arrivo è quella tra la canadese Viterra (specializzata nella produzione e nel commercio di cereali, ndr) e Bunge. Un’operazione senza precedenti nel settore agricolo globale e che avvicinerà la nuova società alle dimensioni di Adm e Cargill”.

    Un secondo elemento che ha permesso a queste Big five di accumulare ricavi senza precedenti in questi anni è poi la loro capacità di influenzare la disponibilità dei beni alimentari attraverso un’enorme potenzialità di stoccaggio. “Il rapporto speciale 2022 del Gruppo internazionale di esperti sui sistemi alimentari sostenibili (Ipes) ha evidenziato che i trader conservano notevoli riserve di cereali -si legge nel report-. E sono incentivati ‘a trattenere le scorte fino a quando i prezzi vengono percepiti come massimi’”. Per avere un’idea delle quantità di materie prime in ballo, basti pensare che la capacità di stoccaggio combinata di Adm, Bunge e Cofco, è pari a circa 68 milioni di tonnellate, è simile al consumo annuo di grano di Stati Uniti, Turchia e Regno Unito messi assieme.

    Terzo e ultimo elemento individuato nel report è il fatto che queste società sono integrate verticalmente e hanno il pieno controllo della filiera produttiva dal campo alla tavola: forniscono cioè agli agricoltori prestiti, sementi, fertilizzanti e pesticidi; immagazzinano, trasformano e trasportano i prodotti alimentari.

    A fronte di questa situazione, Somo ha invitato la Commissione europea a intervenire per porre un freno alla crescente monopolizzazione del comparto: “L’indagine dovrebbe concentrarsi sul potere che può essere esercitato nei confronti dei fornitori per comprimere i loro margini di profitto -concludono i ricercatori-. È preoccupante che alle multinazionali sia stato permesso di triplicare i loro profitti facendo salire i prezzi degli alimenti, mentre le persone in tutto il mondo soffrono di una crisi del costo della vita e i più poveri sono alla fame”. Per questo motivo l’organizzazione suggerisce di applicare un’imposta sugli extra-profitti delle società Abccd che, con un’ipotetica aliquota fiscale del 33%. A fronte di utili che hanno toccato i 5,7 miliardi di dollari nel 2021 e i 6,4 miliardi nel 2022, permetterebbe di generare un gettito fiscale pari rispettivamente a 1,8 e 2 miliardi di dollari.

    https://altreconomia.it/gli-utili-record-dei-padroni-del-cibo-a-scapito-della-sicurezza-aliment
    #agriculture #business #profits #industrie_agro-alimentaire #sécurité_alimentaire #inflation #Archer-Daniels-Midland_company #Cargill #Cofco #Louis_Dreyfus_Company (#Abccd) #oligopole #céréales #soja #sucre

  • Move to sustainable food systems could bring $10tn benefits a year, study finds

    Existing production destroys more value than it creates due to medical and environmental costs, researchers say

    A shift towards a more sustainable global food system could create up to $10tn (£7.9tn) of benefits a year, improve human health and ease the climate crisis, according to the most comprehensive economic study of its type.

    It found that existing food systems destroyed more value than they created due to hidden environmental and medical costs, in effect, borrowing from the future to take profits today.

    Food systems drive a third of global greenhouse gas emissions, putting the world on course for 2.7C of warming by the end of the century. This creates a vicious cycle, as higher temperatures bring more extreme weather and greater damage to harvests.

    Food insecurity also puts a burden on medical systems. The study predicted a business-as-usual approach would leave 640 million people underweight by 2050, while obesity would increase by 70%.

    Redirecting the food system would be politically challenging but bring huge economic and welfare benefits, said the international team of authors behind the study, which aims to be the food equivalent of the Stern review, the 2006 examination of the costs of climate change.

    Johan Rockström, of the Potsdam Institute for Climate Impact Research and one of the study’s authors, said: “The global food system holds the future of humanity on Earth in its hand.”

    The study proposes a shift of subsidies and tax incentives away from destructive large-scale monocultures that rely on fertilisers, pesticides and forest clearance. Instead, financial incentives should be directed towards smallholders who could turn farms into carbon sinks with more space for wildlife.

    A change of diet is another key element, along with investment in technologies to enhance efficiency and cut emissions.

    With less food insecurity, the report says, undernutrition could be eradicated by 2050, with 174 million fewer premature deaths, and 400 million farm workers able to earn a sufficient income. The proposed transition would help to limit global heating to 1.5C above pre-industrial levels and halve nitrogen run-offs from agriculture.

    Overall, they estimate the costs of the transformation at between 0.2% and 0.4% of global GDP per year.

    In early research, Rockström and his colleagues found food was the largest sector of the economy breaching planetary boundaries. As well at the climate impact, it is a major driver of land-use change and biodiversity decline, and is responsible for 70% of freshwater drawdown.

    The report was produced by the Food System Economics Commission, which has been formed by the Potsdam Institute, the Food and Land Use Coalition, and EAT, a holistic food-system coalition of the Stockholm Resilience Centre, the Wellcome Trust and the Strawberry Foundation. Academic partners include the University of Oxford and the London School of Economics.

    It estimated the hidden costs of food, including climate change, human health, nutrition and natural resources, at $15tn, and created a new model to project how these hidden costs could develop over time, depending on humanity’s ability to change. Their calculations were in line with a report last year by the United Nations Food and Agriculture Organization, which estimated off-books agrifood costs at more than $10trillion globally in 2020.

    Dr Steven Lord, of the University of Oxford’s Environmental Change Institute, said in a statement: “This analysis puts a first figure on the regional and global economic opportunity in transforming food systems. While not easy, the transformation is affordable on a global scale and the accumulating costs into the future of doing nothing pose a considerable economic risk.”

    Numerous other studies have demonstrated the health and climate benefits of a shift towards a plant-based diet. A report last year by the Climate Observatory notes that Brazil’s beef industry – and its related deforestation – now has a bigger carbon footprint than all the cars, factories, air conditioners, electric gadgets and other sources of emissions in Japan.

    The new study is not prescriptive about vegetarianism, but Rockström said demand for beef and most other meat would fall if hidden health and environmental costs were included in the price.

    Nicholas Stern, the chair of the Grantham Research Institute on Climate Change and the Environment at the London School of Economics, welcomed the study: “The economics of today’s food system are, sadly, broken beyond repair. Its so-called ‘hidden costs’ are harming our health and degrading our planet, while also worsening global inequalities. Changing the ways we produce and consume food will be critical to tackling climate change, protecting biodiversity, and building a better future. It is time for radical change.”

    The main challenge of the proposed food transition is that costs of food would rise. Rockström said this would have to be handled with political dexterity and support for poor sections of society otherwise the result could be protests, such as the gilets jaunes (yellow vests) demonstrations held in France over petrol price hikes.

    Christiana Figueres, the former executive secretary of the UN Framework Convention on Climate Change, emphasised the forward-looking nature of the report: “This research … proves that a different reality is possible, and shows us what it would take to turn the food system into a net carbon sink by 2040. This opportunity should capture the attention of any policymaker who wants to secure a healthier future for the planet and for people.”

    https://www.theguardian.com/environment/2024/jan/29/sustainable-food-production-economic-benefits-study?CMP=share_btn_tw

    #système_alimentaire #alimentation #agriculture #coût #bénéfices #économie #agriculture_biologique #

    • The Economics of the Food System Transformation

      The text emphasizes the urgent need for a transformation of food systems, highlighting the economic, environmental, and social benefits of such a transformation. It outlines the negative impacts of current food systems on health, the environment, and climate change, identifying unaccounted costs estimated at 15 trillion USD a year. The report also discusses the unsustainable trajectory of the global food system and the potential economic benefits of a transformation, estimating them to be worth 5 to 10 trillion USD a year.

      Proposed Solutions for Food System Transformation:

      1. Shifting consumption patterns towards healthy diets: The report suggests regulating the marketing of unhealthy foods to children, providing front-of-pack nutritional guidance, targeting public food procurement on healthy options, taxing sugar-sweetened beverages and unhealthy foods, and reformulating packaged food to encourage healthier dietary choices.

      2. Resetting incentives by repurposing government support for agriculture: It is recommended to repurpose subsidies to improve access to healthy diets and make them more affordable. This involves reforming agricultural support to incentivize choices in line with the goals of the food system transformation, with a focus on lowering the hidden costs of food systems.

      3. Targeting revenue from new taxes to support food system transformation: The report recommends taxing carbon and nitrogen pollution to help achieve positive outcomes and align with expert recommendations from bodies such as the IPCC and OECD. Designing new taxes to suit the local context and targeting resulting revenues towards direct and progressive benefits for poorer households is essential to ensure inclusive outcomes and garner political support for a food system transformation.

      4. Innovating to increase labor productivity and workers’ livelihood opportunities: Public institutions can accelerate the development and diffusion of innovations that meet the needs of poorer producers and remove barriers to their adoption. Priority areas for public research and innovation include improving plant breeding, supporting environmentally sustainable, biodiversity-friendly, and low-emission farming systems, and developing digital technologies useful to small farmers.

      5. Scaling-up safety nets to keep food affordable for the poorest: Developing and strengthening safety nets is crucial to making food system transformations inclusive and politically feasible. Countries should prioritize targeting limited transfer resources on children’s nutritional needs and mobilizing more resources to put in place comprehensive safety nets.

      Additionally, the report addresses various tensions and obstacles in transforming food systems, highlighting the need to manage concerns such as fears of food price rises, job losses, policy siloes, global inequalities, and entrenched vested interests. It emphasizes the importance of addressing these concerns to facilitate change and ensure that the benefits of food system transformation can be realized. The report also highlights the rising visibility of transforming food systems as a policy priority, as well as the new ambition to seize the opportunities offered by such transformation, as evidenced by the COP28 UAE declaration on Sustainable Agriculture, Resilient Food Systems, and Climate Action signed by over 150 countries.

      https://knowledge4policy.ec.europa.eu/publication/economics-food-system-transformation_en
      https://foodsystemeconomics.org/wp-content/uploads/FSEC-Global_Policy_Report.pdf
      #rapport #coûts_cachés #pauvreté

  • #Pesticides : « Le prochain #indicateur d’#Écophyto va endormir les gens »

    Le nouvel indicateur qui pourrait être utilisé dans le plan Écophyto est « trompeur », défend François Veillerette, de #Générations_futures, pour qui le gouvernement a cédé à une demande de la #FNSEA.

    À la suite des manifestations agricoles de ces dernières semaines, le gouvernement a déclaré le 1er février mettre « en pause » le #plan_Ecophyto de réduction de 50 % des pesticides. L’annonce a suscité l’indignation des associations écologistes ainsi que d’associations d’agriculteurs victimes de ces produits. Cette pause « n’est pas la marche arrière » et doit permettre de retravailler sur plusieurs points du plan, et en particulier sur l’indicateur de suivi, a néanmoins précisé Marc Fesneau sur LCI le 4 février.

    Le ministre de l’Agriculture envisage ainsi de remplacer l’indicateur actuel, le #Nodu (#nombre_de_doses_unités), par l’indicateur actuellement en construction au niveau européen, le #HRI1 (#indicateur_de_risque_harmonisé). Cette évolution, réclamée de longue date par le syndicat productiviste la FNSEA, inquiète les associations écologistes. Si elle paraît à première vue relever du détail technique, elle risque en réalité de ruiner pour longtemps toute efficacité du plan Écophyto, explique François Veillerette, porte-parole de l’association Générations futures.

    Reporterre — Le ministre de l’Agriculture, Marc Fesneau, a déclaré que la France allait changer d’indicateur d’utilisation des pesticides au profit, sans doute, de « l’indicateur européen ». Pourquoi le présentez-vous comme trompeur ?

    François Veillerette — L’indicateur HRI1 européen est censé figurer une sorte d’évolution de la dangerosité des pesticides. Le plan Écophyto, lui, a toujours eu comme objectif de réduire de 50 % l’usage des pesticides. Ce n’est pas du tout la même chose.

    En plus, l’utilisation de l’indicateur HRI1 introduit des biais. Le premier, c’est la fausse réduction des pesticides. Quand on regarde l’évolution du Nodu, l’indicateur utilisé actuellement en France dans Écophyto, et du HRI1 entre 2011 et 2019, le premier indique une baisse de 12 % de l’utilisation des pesticides et le second une baisse de 40 %. On voit bien que cette baisse de 40 % est trompeuse. On comprend mieux pourquoi la FNSEA et l’industrie des pesticides aiment bien cet indicateur, qui laisse à penser que l’objectif du plan Écophyto est quasiment atteint.

    Le second biais, c’est une évaluation trompeuse des risques. Pour venir à bout de la tavelure de la pomme, une affection fongique, vous pouvez utiliser au choix de la levure chimique, à faible risque et utilisable en agriculture biologique, ou du difénoconazole, classé plus dangereux. Seulement, il faut utiliser tellement plus de levure que de traitement chimique que le traitement bio obtiendra un moins bon score HRI1 que le produit dangereux. C’est complètement aberrant.

    Enfin, la mesure du risque n’est d’ailleurs pas toujours très précise. Aujourd’hui, on va croire qu’un produit n’est pas dangereux. Dans deux ans, on dira qu’on s’est trompés et qu’il l’était. Ça arrive tout le temps. On se met à retirer des produits du marché parce que la science progresse. Regardez les discussions sur le glyphosate : dangereux, pas dangereux ? Les agences ne sont pas d’accord.

    Il est très étrange que la France se mette à défendre le HRI1, alors que la présidente de la Commission européenne Ursula von der Leyen a proposé le 6 janvier d’enterrer le règlement SUR de réduction de 50 % de l’utilisation des pesticides d’ici 2030, déjà flingué par le Parlement européen sous la pression des conservateurs d’extrême droite et des syndicats agricoles. La France avait toujours défendu le Nodu au niveau européen. Cette conversion subite est évidemment liée au mouvement des agriculteurs, alors que cela fait quinze ans que la FNSEA refuse cet indicateur.

    En quoi le Nodu, utilisé jusqu’à présent en France, était-il plus satisfaisant ?

    Le Nodu français compte le nombre de doses standards par hectare. Il a été négocié au lancement du plan Écophyto en 2009, juste après le Grenelle de l’environnement. Il est impitoyable, très robuste. Même si les produits évoluent avec le temps, qu’ils sont actifs à des doses plus faibles, l’indicateur ne va pas baisser si le nombre de traitements reste le même. Il cherche clairement à évaluer l’évolution de l’usage, donc de la dépendance du système agricole aux pesticides. S’il n’y a pas de baisse du Nodu, il n’y a pas de baisse de la dépendance.

    Avec le HRI1, on ne voit rien de tout cela. Si l’on retourne sur l’évolution des courbes entre 2011 et 2019, on voit une augmentation de 25 % du Nodu entre 2017 et 2018. La courbe HRI1, elle, reste plate. On a l’impression que tout va bien. Cet indicateur sert à endormir les gens, à faire croire qu’on a déjà fait le boulot de réduction et qu’on n’a surtout rien à changer. C’est absolument inacceptable pour nous.

    Cet indicateur, c’était une demande dans la liste de courses de la FNSEA. Le gouvernement, qui ne voulait pas se fâcher avec le syndicat, lui a donné raison tout en faisant croire qu’il allait protéger l’environnement et continuer à travailler.

    Si l’utilisation des pesticides en France a légèrement augmenté depuis 2009, le gouvernement tend plutôt à communiquer sur une baisse en se basant sur la quantité des produits épandus…

    Le gouvernement a toujours montré qu’il préférait utiliser l’indicateur qui l’arrange. Il parle de quantités de substances actives, sépare dans les courbes les produits de synthèse et ceux utilisables en bio ou en biocontrôle... Dans les dernières notes de suivi, on a un mal de chien à trouver le Nodu. Il est sournoisement invisibilisé sous la pression de la FNSEA. Quand Stéphane Le Foll était ministre de l’Agriculture [de 2012 à 2017], le syndicat agricole avait tenté un putsch contre cet indicateur, en inventant un indicateur d’impact. Il ne tenait pas la route et n’est pas passé, mais les pressions avaient été énormes et elles continuent.

    Le Premier ministre a notamment annoncé aux agriculteurs la mise en pause du plan Écophyto, alors que des annonces devraient être faites à son sujet d’ici le Salon de l’agriculture, qui débute le 24 février...

    Ce qui nous inquiète, ce n’est pas la mise en pause du plan Écophyto pour trois semaines, mais ce qu’il va devenir ensuite. Un comité opérationnel de suivi est prévu. Je ne sais pas s’ils vont inviter la société civile ou s’ils vont se réunir entre eux. Car les annonces de Gabriel Attal sont également un scandale sur la forme : le Premier ministre a fermé le ban sans concertation avec les parties prenantes, sous la pression de la FNSEA. C’est assez dramatique.

    On attend maintenant que le gouvernement se reprenne en main. De toute manière, dans 20 ou 30 ans, les pesticides ne fonctionneront plus. Ce n’est pas moi qui le dis, mais Christian Huyghe, directeur scientifique agriculture de l’Inrae. On ne trouve plus de nouveaux modes d’action et le vivant s’habitue aux molécules existantes, de plus en plus de résistance apparait. On le voit déjà dans le Bordelais, où plein de fongicides ne fonctionnent plus très bien.

    https://reporterre.net/Pesticides-Le-prochain-indicateur-d-Ecophyto-va-endormir-les-gens
    #Ecophyto #agriculture #industrie_agro-alimentaire

  • « Le dispositif de récupération des biodéchets est un miroir aux alouettes », Sabine Barles, urbaniste

    Jusqu’au tournant du XXe siècle, le mot « déchet » n’est pas employé pour désigner les matières organiques, tout simplement parce que ces résidus – épluchures, os, excréments… – sont considérés comme très utiles, notamment pour l’agriculture, où ils servent d’engrais. On les appelle boues, ordures (du latin horridus, qui veut dire « horrible »), ou immondices (du latin immunditia, « saleté »), ce qui n’empêche pas de les valoriser.

    Le mot déchet (qui vient du verbe choir) désigne, au contraire, ce qu’on n’utilise pas dans la fabrication ou la transformation d’un objet, comme les chutes de tissu lors de la confection d’un vêtement.

    [...]

    Depuis le 1er janvier, les collectivités doivent organiser le tri à la source des déchets organiques. Cette mesure marque-t-elle une étape dans ce nouveau récit ?

    A première vue, récupérer les matières organiques semble être une mesure positive. Mais au-delà même des difficultés de faisabilité, le dispositif est un miroir aux alouettes, une façon de nous laisser croire qu’on agit sans aborder les problèmes de fond. Pour que cette collecte soit vraiment utile, il ne suffit pas de déposer un bac et d’organiser une tournée supplémentaire. Il faut un objectif.

    Les #villes concentrent un gisement d’#engrais qui, si on le mobilise, peut contribuer à la nécessaire transformation de l’#agriculture et à la sortie des engrais industriels, à la fois à l’échelle locale pour développer l’agriculture urbaine, mais aussi plus largement à l’échelle régionale. Car il n’existe pas de ville autarcique, c’est une illusion. Chacune entretient des liens avec des territoires qui l’approvisionnent et qu’elle peut approvisionner. Et il est logique et nécessaire que les villes rendent à la #campagne ce qu’elles lui prennent, comme elles l’ont fait jusqu’au début du XXe siècle.

    Malheureusement, la question de cette complémentarité entre la ville et la campagne n’est pas abordée aujourd’hui. Pourtant, l’agriculture n’est jamais très loin de la ville. L’objectif n’est pas que le compost fasse des milliers de kilomètres, mais il peut en parcourir dix à vingt.

    Pour une région comme l’Ile-de-France et le bassin de la Seine, où plus de 40 % de l’espace est agricole, la récupération des fertilisants urbains permettrait, avec la généralisation d’un système de #polyculture et d’élevage biologique, de sortir des engrais industriels. On sait que cela fonctionne, mais ce n’est pas à l’agenda politique.

    Quels sont les principaux freins à de tels changements ?

    La valorisation agricole des #biodéchets se heurte à plusieurs obstacles : la production d’#énergie continue d’avoir la faveur de nombreuses collectivités, qui sont aussi souvent dépendantes des filières existantes. Ces filières nécessitent des équipements lourds – la massification entraînant des économies d’échelle – qui doivent être nourris en permanence. C’est le cas de l’#incinération, qui s’est considérablement développée depuis les années 1970 et permet la production de chaleur. Les villes équipées n’ont aucun intérêt à priver leurs incinérateurs de #déchets.

    Dans d’autres cas, la #méthanisation, qui consiste à dégrader les matières organiques par l’action de bactéries pour produire du biogaz, vient directement concurrencer le compostage des biodéchets. Or, ce procédé ne produit qu’une quantité limitée d’énergie et conduit à la perte d’une matière organique qui serait bien plus utile à l’agriculture. La priorité de l’utilisation agricole par rapport à la valorisation énergétique est pourtant inscrite depuis 2008 dans la hiérarchie officielle des traitements des déchets.

    Que faudrait-il faire pour aller plus loin ?

    Outre la mise en place d’une filière structurée de valorisation agricole, le plus urgent est aujourd’hui de diminuer les quantités de biodéchets. De 20 % à 30 % des produits alimentaires sont perdus à différents niveaux de la chaîne : une partie non négligeable du gaspillage intervient dans la sphère domestique et les services de restauration collective, mais beaucoup de pertes ont lieu plus en amont. Il serait nécessaire d’engager une réflexion sur l’ensemble du système #agri-alimentaire, ce qui n’est pas du ressort des collectivités qui gèrent les déchets.

    Le #recyclage, présenté comme l’alpha et l’oméga de la croissance verte, est une mauvaise réponse s’il est pensé en bout de chaîne, comme c’est le cas aujourd’hui. Une vraie stratégie de sobriété énergétique et matérielle suppose des implications économiques et politiques autrement importantes et une transformation profonde de la société. On en est encore loin.
    https://www.lemonde.fr/idees/article/2024/01/04/sabine-barles-urbaniste-le-dispositif-de-recuperation-des-biodechets-est-un-

    https://justpaste.it/fthlb

    #histoire #écologie

  • Chacun sa place à l’ombre
    https://artifices.blog/2024/02/07/chacun-sa-place-a-lombre

    Le mouvement de révolte agricole qu’ont récemment connu la #France et l’#Europe augure les prémisses de luttes dans et contre la restructuration en germe du rapport entre le capital et le travail. Cette restructuration, au niveau de l’agro-industrie, se donnant comme traits principaux la décarbonisation, la généralisation du numérique et la fragmentation des échanges internationaux, est en train de bouleverser la dynamique à l’œuvre jusqu’ici. Ce que nous observons est une lutte à la fois entre fractions capitalistes cherchant à trouver une place au soleil dans un nouveau régime d’accumulation, et une partie de la classe moyenne rurale luttant contre sa prolétarisation définitive. Tant que ces deux classes luttent ensemble, sous l’égide de la vieille idéologie agrarienne et paysanne fascisante, aucune perspective émancipatrice ne pourra s’esquisser. Tout l’intérêt réside ainsi dans les perspectives d’explosion de ces intérêts contradictoires.

    #agriculture

  • Pesticides : « Nous, chercheurs et chercheuses, dénonçons une mise au placard des connaissances scientifiques »
    https://www.lemonde.fr/idees/article/2024/02/07/pesticides-nous-chercheurs-et-chercheuses-denoncons-une-mise-au-placard-des-

    En 2021 et en 2022, nous avons présenté les conclusions de trois synthèses des connaissances scientifiques sur les impacts des produits phytopharmaceutiques (« pesticides ») et les solutions alternatives. Conduits dans le cadre du plan Ecophyto à la demande du gouvernement pour éclairer sa prise de décision, ces travaux, coordonnés par l’Institut national de la santé et de la recherche médicale (Inserm), l’Institut national de recherche pour l’agriculture, l’alimentation et l’environnement (Inrae) et l’Institut français de recherche pour l’exploitation de la mer (Ifremer) sont inédits par la centaine d’experts mobilisés et les plus de 11 000 publications analysées.

    Nos expertises scientifiques collectives ont démontré l’ampleur des impacts des #pesticides sur la #santé humaine et l’#environnement, et mis en évidence des alternatives agroécologiques capables de répondre aux enjeux environnementaux tout en préservant la production agricole. Nos travaux ont aussi identifié les verrous socio-économiques et institutionnels qui limitent le déploiement des alternatives, et les leviers pour les dépasser. Nos conclusions ont alimenté des travaux parlementaires soulignant le besoin de renforcer le plan #Ecophyto, car il n’a pas permis de réduire l’usage des pesticides. Pourtant, le gouvernement a choisi de suspendre ce plan pour apaiser le conflit avec une partie du monde agricole.
    Nous, chercheurs et chercheuses, manifestons ici notre inquiétude face à cette décision, symptomatique du traitement disjoint des enjeux agricoles et environnementaux. Nous dénonçons une mise au placard des connaissances scientifiques et réaffirmons la nécessité d’une politique multisectorielle d’envergure et de long terme, en faveur d’une #agriculture économiquement viable et respectueuse de la santé et de l’environnement.

    Enjeux de santé publique et animale

    Tous les milieux (sols, #eau, #air), même éloignés des zones d’application, sont contaminés par des pesticides. Des liens existent entre pesticides et santé humaine chez les #agriculteurs, les autres professionnels manipulant ces produits, et les #enfants exposés pendant la grossesse : maladies respiratoires, troubles cognitifs, maladie de Parkinson, troubles du développement neuropsychologique et moteur, cancers. L’usage généralisé de pesticides favorise les résistances chez les organismes qu’ils sont censés éliminer – compromettant l’efficacité des produits à plus long terme – et chez des organismes responsables de maladies – soulevant de nouveaux enjeux de santé publique et animale.
    Les pesticides contribuent à l’effondrement de la #biodiversité : déclin des invertébrés terrestres (vers de terre, insectes…) et aquatiques, des oiseaux, etc. Ils altèrent certains processus naturels, tels que la #pollinisation, la régulation des ravageurs et des maladies des cultures. Or, ces services que la biodiversité rend gratuitement aux agriculteurs leur sont essentiels pour gagner en durabilité et en autonomie.

    Des solutions existent pour protéger les cultures autrement : semer des mélanges variétaux, cultiver plusieurs espèces dans un même champ, allonger les #rotations ou encore pratiquer l’#agroforesterie. Toutes ces pratiques concourent à contrôler les ravageurs et les maladies des cultures.

    Par exemple, les associations de cultures aident à contrôler les adventices, tandis que les #haies, bandes fleuries et #prairies abritent des oiseaux, des chauves-souris, des araignées et des insectes auxiliaires de culture qui se nourrissent des ravageurs et pollinisent les plantes cultivées. La littérature scientifique signale la baisse de l’usage des pesticides dans les systèmes qui mettent en œuvre ces pratiques.
    De plus, un paysage avec une diversité de cultures et au moins 20 % de végétation non cultivée (haies, prairies, bosquets…) offre des refuges à la biodiversité tout en limitant la dispersion des pesticides. Un autre levier d’action est l’amélioration de l’évaluation des risques liés aux pesticides, notamment en s’appuyant sur les connaissances scientifiques robustes les plus récentes, en renforçant la surveillance postautorisation et en continuant à se fonder sur l’expertise des agences de sécurité sanitaire.

    Les agriculteurs supportent une très grande part du poids des réglementations, alors que leurs choix de pratiques sont contraints par les filières en amont et en aval : #semenciers, conseil agricole, #industries_agroalimentaires, #grande_distribution… En dehors de la certification « Agriculture biologique », les initiatives pour produire de façon rentable sans pesticides de synthèse sont marginales.
    Pour opérer un changement à large échelle, l’ensemble des maillons des filières doit évoluer. Cette évolution doit s’accompagner d’une meilleure évaluation et d’une meilleure répartition des coûts et des bénéfices des pratiques agricoles. Alors que les coûts de l’usage des pesticides sont essentiellement supportés à bas bruit par les contribuables (dépenses de santé, coûts de dépollution…), les cobénéfices de pratiques respectueuses de l’environnement et de la santé restent insuffisamment rémunérés aux agriculteurs.

    Rôle-clé des politiques publiques

    Le succès de la politique agricole commune [PAC] pour moderniser l’agriculture au sortir de la seconde guerre mondiale témoigne du rôle-clé des politiques publiques dans une transition d’envergure. Garantir durablement la sécurité alimentaire en préservant les écosystèmes est possible à condition de se doter de politiques cohérentes qui gèrent simultanément les enjeux sanitaires, agricoles, environnementaux et alimentaires.
    Ces politiques doivent tenir compte des effets du #changement_climatique. Les rendements des systèmes intensifs sont d’ailleurs plus affectés par les épisodes de sécheresse ou d’inondations que ceux des systèmes diversifiés.

    Ces politiques doivent concerner l’ensemble des filières agricoles et alimentaires, de la réorientation de la sélection variétale à la création de débouchés rémunérateurs pour les systèmes vertueux. Elles doivent accompagner les agriculteurs dans la transition en favorisant les relations entre recherche, conseil et pratique. Enfin, elles doivent inciter à l’évolution des comportements alimentaires vers des régimes favorables à la santé et à l’environnement.
    L’objectif de réduction de l’usage de pesticides est atteignable sans opposer agriculture et environnement. Sans nier les imperfections du plan Ecophyto, nous estimons que sa mise en pause est un signal à l’encontre de cet objectif. Le moment n’est-il pas opportun pour construire des politiques publiques audacieuses appuyées sur les connaissances scientifiques ?

    Premiers signataires : Cécile Chevrier, épidémiologiste, Inserm ; Xavier Coumoul, toxicologue, université Paris Cité ; Clémentine Fritsch, écotoxicologue, CNRS ; Vincent Martinet, économiste, Inrae ; Wilfried Sanchez, écotoxicologue, Ifremer ; Aude Vialatte, agroécologue, Inrae.

    #alimentation #économie #science #maladies_respiratoires #troubles_cognitifs #maladie_de_Parkinson #troubles_du_développement_neuropsychologique_et_moteur #TDN #cancers #écologie #agroécologie

  • Mobilisations paysan.nes en Europe
    COMMUNIQUE DE PRESSE

    Genève, le 1er février 2024 – Les élites néolibérales veulent faire payer le coût de la crise et de la « transition énergétique » aux populations rurales.

    Le CETIM exprime sa solidarité avec les mobilisations des organisations paysannes de ces dernières semaines dans plusieurs pays européens (parties de l’Allemagne pour se propager à la France, l’Italie, la Belgique, la Grèce ou encore à la Roumanie et à la Pologne).

    La préoccupation principale des communautés rurales, des paysan.nes et des salarié.es agricoles, sans oublier les autres populations précarisées par des systèmes agroalimentaires au service de l’agrobusiness, est de pouvoir vivre dignement de son labeur. Des revendications qui s’opposent à celles de grandes fermes industrielles qui visent à produire toujours plus et à gagner des parts de marchés, aux dépens tant de la qualité des aliments que de la justice sociale et climatique.

    https://entreleslignesentrelesmots.wordpress.com/2024/02/06/agriculture-il-est-urgent-de-changer-de-modele/#comment-60094

    #agriculture

  • Agriculture : il est urgent de changer de modèle !

    Les récentes manifestations d’agriculteurs montrent le malaise profond du monde agricole que les pouvoirs publics et la société toute entière doivent entendre. Celui-ci est principalement lié aux difficultés qu’ont les agricultrices et agriculteurs à vivre décemment de leur travail.

    Cette situation est la conséquence directe du modèle de développement ultra-libéral mené par la France et l’Union Européenne, privilégiant l’industrie agro-alimentaire et la grande distribution qui dégagent de grosses marges et accentuent l’inflation. Et ce sont les paysan·nes, captifs et captives de ce système concurrentiel, qui doivent produire toujours plus et toujours moins cher pour survivre, en remboursant les emprunts de financement (matériel, terres, produits chimiques…), dans un cercle infernal qui mène de trop nombreuses fois au suicide. Après celle des Gilets jaunes, cette crise met une nouvelle fois en exergue un partage des richesses de plus en plus injuste qui précarise et appauvrit.

    https://entreleslignesentrelesmots.wordpress.com/2024/02/06/agriculture-il-est-urgent-de-changer-de-modele

    #agriculture

  • #Productivisme et destruction de l’#environnement : #FNSEA et #gouvernement marchent sur la tête

    Répondre à la #détresse des #agriculteurs et agricultrices est compatible avec le respect de l’environnement et de la #santé_publique, expliquent, dans cette tribune à « l’Obs », les Scientifiques en rébellion, à condition de rejeter les mesures productivistes et rétrogrades du duo FNSEA-gouvernement.

    La #crise de l’agriculture brasse croyances, savoirs, opinions, émotions. Elle ne peut laisser quiconque insensible tant elle renvoie à l’un de nos #besoins_fondamentaux – se nourrir – et témoigne du #désarroi profond d’une partie de nos concitoyen·nes qui travaillent pour satisfaire ce besoin. Reconnaître la #souffrance et le désarroi du #monde_agricole n’empêche pas d’examiner les faits et de tenter de démêler les #responsabilités dans la situation actuelle. Une partie de son #traitement_médiatique tend à faire croire que les agriculteurs et agricultrices parleraient d’une seule voix, celle du président agro-businessman de la FNSEA #Arnaud_Rousseau. Ce directeur de multinationale, administrateur de holding, partage-t-il vraiment la vie de celles et ceux qui ne parviennent plus à gagner la leur par le travail de la terre ? Est-ce que les agriculteur·ices formeraient un corps uniforme, qui valoriserait le productivisme au mépris des #enjeux_environnementaux qu’ils et elles ne comprendraient soi-disant pas ? Tout cela est difficile à croire.

    Ce que la science documente et analyse invariablement, en complément des savoirs et des observations de nombre d’agriculteur·ices, c’est que le #modèle_agricole industriel et productiviste conduit à une #catastrophe sociale et environnementale. Que ce modèle concurrence dangereusement les #alternatives écologiquement et socialement viables. Que cette agriculture ne s’adaptera pas indéfiniment à un environnement profondément dégradé. Qu’elle ne s’adaptera pas à un #réchauffement_climatique de +4 °C pour la France et une ressource en #eau fortement diminuée, pas plus qu’à une disparition des #insectes_pollinisateurs.

    Actuellement, comme le rappelle le Haut Conseil pour le Climat (HCC), l’agriculture représente le deuxième secteur d’émissions de #gaz_à_effet_de_serre, avec 18 % du total français, derrière les transports. La moitié de ces émissions agricoles (en équivalent CO2) provient de l’#élevage_bovin à cause du #méthane produit par leur digestion, 14 % des #engrais_minéraux qui libèrent du #protoxyde_d’azote et 13 % de l’ensemble des #moteurs, #engins et #chaudières_agricoles. Le HCC rappelle aussi que la France s’est engagée lors de la COP26 à baisser de 30 % ses émissions de méthane d’ici à 2030, pour limiter le réchauffement climatique. L’agriculture, bien que répondant à un besoin fondamental, doit aussi revoir son modèle dominant pour répondre aux enjeux climatiques. De ce point de vue, ce qu’indique la science, c’est que, si l’on souhaite faire notre part dans le respect de l’accord de Paris, la consommation de #viande et de #produits_laitiers doit diminuer en France. Mais la solidarité avec nos agriculteur.ices ainsi que l’objectif légitime de souveraineté et #résilience_alimentaire nous indiquent que ce sont les importations et les élevages intensifs de ruminants qui devraient diminuer en premier.

    Côté #biodiversité, la littérature scientifique montre que l’usage des #pesticides est la deuxième cause de l’effondrement des populations d’#insectes, qui atteint 80 % dans certaines régions françaises. Les #oiseaux sont en déclin global de 25 % en quarante ans, mais ce chiffre bondit à 60 % en milieux agricoles intensifs : le printemps est devenu particulièrement silencieux dans certains champs…

    D’autres voies sont possibles

    Le paradoxe est que ces bouleversements environnementaux menacent particulièrement les agriculteur·ices, pour au moins trois raisons bien identifiées. Tout d’abord environnementale, à cause du manque d’eau, de la dégradation des sols, des événements météorologiques extrêmes (incendies ou grêles), ou du déclin des insectes pollinisateurs, qui se traduisent par une baisse de production. Sanitaires, ensuite : par leur exposition aux #produits_phytosanitaires, ils et elles ont plus de risque de développer des #cancers (myélome multiple, lymphome) et des #maladies_dégénératives. Financière enfin, avec l’interminable fuite en avant du #surendettement, provoqué par la nécessité d’actualiser un équipement toujours plus performant et d’acheter des #intrants pour pallier les baisses de production engendrées par la dégradation environnementale.

    Depuis des décennies, les #traités_de_libre-échange et la compétition intra-européenne ont privé la grande majorité des agriculteur·ices de leur #autonomie, dans un cercle vicieux aux répercussions sociales tragiques pouvant mener au #suicide. Si la FNSEA, les #JA, ou la #Coordination_rurale réclament une forme de #protectionnisme_agricole, d’autres de leurs revendications portent en revanche sur une baisse des #contraintes_environnementales et sanitaires qui font porter le risque de la poursuite d’un modèle délétère sur le long terme. Ce sont justement ces revendications que le gouvernement a satisfaites avec, en particulier, la « suspension » du #plan_Ecophyto, accueilli par un satisfecit de ces trois organisations syndicales rappelant immédiatement « leurs » agriculteurs à la ferme. Seule la #Confédération_paysanne refuse ce compromis construit au détriment de l’#écologie.

    Pourtant, des pratiques et des modèles alternatifs existent, réduisant significativement les émissions de gaz à effet de serre et préservant la biodiversité ; ils sont déjà mis en œuvre par des agriculteur·ices qui prouvent chaque jour que d’autres voies sont possibles. Mais ces alternatives ont besoin d’une réorientation des #politiques_publiques (qui contribuent aujourd’hui pour 80 % au #revenu_agricole). Des propositions cohérentes de politiques publiques répondant à des enjeux clés (#rémunération digne des agriculteur·ices non soumis aux trusts’de la grande distribution, souveraineté alimentaire, considérations climatiques et protection de la biodiversité) existent, comme les propositions relevant de l’#agroécologie, qu’elles émanent du Haut Conseil pour le Climat, de la fédération associative Pour une autre PAC, de l’IDDRI, ou encore de la prospective INRAE de 2023 : baisse de l’#élevage_industriel et du cheptel notamment bovin avec soutien à l’#élevage_extensif à l’herbe, généralisation des pratiques agro-écologiques et biologiques basées sur la valorisation de la biodiversité (cultures associées, #agro-foresterie, restauration des #haies favorisant la maîtrise des bio-agresseurs) et arrêt des #pesticides_chimiques_de_synthèse. Ces changements de pratiques doivent être accompagnés de mesures économiques et politiques permettant d’assurer le #revenu des agriculteur·ices, leur #accès_à_la_terre et leur #formation, en cohérence avec ce que proposent des syndicats, des associations ou des réseaux (Confédération paysanne, Atelier paysan, Terre de liens, Fédérations nationale et régionales d’Agriculture biologique, Réseau salariat, …).

    Nous savons donc que les politiques qui maintiennent le #modèle_agro-industriel sous perfusion ne font qu’empirer les choses et qu’une réorientation complète est nécessaire et possible pour la #survie, la #dignité, la #santé et l’#emploi des agriculteur·ices. Nombre d’enquêtes sociologiques indiquent qu’une bonne partie d’entre elles et eux le savent très bien, et que leur détresse témoigne aussi de ce #conflit_interne entre le modèle productiviste qui les emprisonne et la nécessité de préserver l’environnement.

    Une #convention_citoyenne

    Si le gouvernement convient que « les premières victimes du dérèglement climatique sont les agriculteurs », les mesures prises démontrent que la priorité gouvernementale est de sanctuariser le modèle agro-industriel. La remise en cause du plan Ecophyto, et la reprise en main de l’#Anses notamment, sont en totale contradiction avec l’urgence de s’attaquer à la dégradation environnementale couplée à celle des #conditions_de_vie et de travail des agriculteur·ices. Nous appelons les citoyen·nes et les agriculteur·rices à soutenir les changements de politique qui iraient réellement dans l’intérêt général, du climat, de la biodiversité. Nous rappelons que le sujet de l’agriculture et de l’#alimentation est d’une redoutable complexité, et qu’identifier les mesures les plus pertinentes devrait être réalisé collectivement et démocratiquement. Ces mesures devraient privilégier l’intérêt général et à long-terme, par exemple dans le cadre de conventions citoyennes dont les conclusions seraient réellement traduites dans la législation, a contrario a contrario de la précédente convention citoyenne pour le climat.

    https://www.nouvelobs.com/opinions/20240203.OBS84041/tribune-productivisme-et-destruction-de-l-environnement-fnsea-et-gouverne
    #tribune #scientifiques_en_rébellion #agriculture #souveraineté_alimentaire #industrie_agro-alimentaire

  • #Pénuries : des grains de sable dans la machine

    Depuis le 17 janvier, on trouve dans toutes les bonnes librairies le dernier #livre de notre contributeur #Renaud_Duterme. #Mondialisation, réseaux d’#approvisionnement, goulots d’étranglement… Voici, en quelques paragraphes, un aperçu du contenu de « Pénuries. Quand tout vient à manquer » (éd. Payot).

    Pénurie. Un mot que l’on croyait appartenir au passé. Mais que plusieurs événements (pandémie de Covid-19, blocage du canal de Suez, guerre en Ukraine) ont fait revenir sur le devant de l’actualité. Énergie, matières premières, denrées alimentaires, médicaments, matériaux de construction, pièces automobiles, puces électroniques, main d’œuvre, aucun secteur ne semble épargné par cette tendance préoccupante.

    Un approvisionnement sous tension

    La quasi-totalité des biens que nous achetons et utilisons nous parviennent via des #chaînes_d’approvisionnement aussi longues que complexes. Elles sont composées de multiples maillons, allant de l’extraction de matières premières (minerais, produits agricoles, énergie) et leur transformation, jusqu’à l’acheminement vers les rayons des supermarchés, en passant par la fabrication, l’entreposage et, bien sûr, le transport. Le tout fonctionnant en #flux_tendu (la logique de stock ayant laissé la place à un acheminement quotidien), principalement grâce au développement de la #conteneurisation et du #transport routier. Le maître mot de cette #logistique est la #fluidité. Le moindre grain de sable peut gripper toute la machine, a fortiori s’il n’est pas résorbé rapidement.

    Car mondialisation capitaliste oblige, les différentes étapes de ces chaînes d’approvisionnement ont été de plus en plus éloignées les unes des autres, augmentant les risques de #perturbations par #effet_domino. Conflits, catastrophes naturelles, aléas climatiques, grèves, attentats, cyber-attaques, épidémies, autant d’événements pouvant « gripper » un maillon de la chaîne (voire plusieurs) et par là provoquer des goulots d’étranglement remettant en question le fonctionnement même de l’#économie. Ces #goulots semblent se multiplier depuis quelques années et il est fort probable que cela ne soit qu’un début, tant de nombreuses ruptures se dessinent, causées par des limites géophysiques (épuisement des ressources), des dérèglements climatiques (sécheresses et inondations), la chute des rendements agricoles, des tensions socio-économiques (mouvements sociaux, grèves, manque de main d’œuvre, vieillissement de la population, montée des replis identitaires) ou encore géopolitiques (guerres et conflits divers).

    Rien que ces derniers mois, on peut évoquer l’assèchement du canal de Panama engendrant une réduction du nombre de navires pouvant l’emprunter quotidiennement ; les attaques des Houthis en mer Rouge contre des navires commerciaux, ce qui a contraint de nombreux armateurs à faire contourner l’Afrique à leurs navires ; ou encore les grèves et les blocages émanant du monde agricole qui, s’ils accentuaient, pourraient priver certains territoires d’approvisionnement divers. Rappelons que les cent premières villes de France ont seulement trois jours d’autonomie alimentaire, avec 98% de leur nourriture importée[1].

    Jusqu’ici, les tensions ont été en partie surmontées et n’ont pas débouché sur des ruptures majeures, matérialisées par des pénuries durables. Mais leur multiplication est un phénomène inquiétant et l’analyse objective des risques laisse supposer une aggravation et surtout une interconnexion entre des phénomènes a priori distincts les uns des autres. C’est d’autant plus vrai qu’un couac peut engendrer des perturbations bien plus longues que le problème en tant que tel, les retards s’accumulant à chaque étape, le redémarrage de la machine pouvant mettre plusieurs mois, voire années, pour retrouver la fluidité qui fait sa raison d’être.

    Ironie du sort, ces tensions impactent de nombreux éléments sans lesquels la logistique elle-même serait impossible. Les palettes, conserves, conteneurs, véhicules, emballages et cartons sont aussi fabriqués de façon industrielle et nécessitent des composants ou des matières souvent issus de pays lointains et dont le transport et les procédés de fabrication impliquent de grandes quantités d’énergie et de ressources (métaux, bois, eau, etc.).

    Idem pour la main d’œuvre nécessaire au bon fonctionnement des infrastructures qui nous entourent. La colère des agriculteurs est là pour nous rappeler que ces dernières dépendent in fine de travailleurs agricoles, de chauffeurs (deux professions qui ont bien du mal à trouver une relève auprès des jeunes générations), mais aussi d’employés de supermarché, d’exploitants forestiers, d’ouvriers du bâtiment, de magasiniers d’entrepôts logistiques, etc.

    Le ver était dans le fruit

    Ces #vulnérabilités sont loin d’être une fatalité et découlent d’une vision de la mondialisation au sein de laquelle les forces du marché jouissent d’une liberté quasi-totale, ce qui a engendré une multinationalisation des entreprises, la création de zones de libre-échange de plus en plus grandes et la mainmise de la finance sur les grands processus productifs. Des principes se sont peu à peu imposés tels que la spécialisation des territoires dans une ou quelques productions (particulièrement visible en ce qui concerne l’agriculture) ; la standardisation à outrance permettant des économies d’échelles ; la liberté des mouvements de capitaux, engendrant des phénomènes spéculatifs à l’origine de la volatilité des prix de nombreuses matières premières ; la mise en concurrence de l’ensemble des territoires et des travailleurs ; et bien sûr l’interdépendance mutuelle.

    Ces principes entrainent des conséquences dramatiques chez un nombre croissant de personnes, entraînant une perte de légitimité du système en place, ce qui risque également d’alimenter des tensions sociales et géopolitiques déjà existantes, perturbant un peu plus ces chaînes logistiques. À titre d’exemple, les politiques de fermeture des frontières prônées par de plus en plus de gouvernements national-populistes priveraient les pays qui les appliquent de milliers de travailleurs, conduisant à des pénuries de main d’œuvre dans de nombreux secteurs.

    Démondialiser les risques

    En outre, avoir un regard global sur nos systèmes d’approvisionnement permet de (re)mettre certaines réalités au cœur des analyses. Il en est ainsi de cycles de production concernant les différents objets qui nous entourent. De l’origine des composants nécessaires à leur fabrication. Des impacts écologiques et sociaux présents à toutes les étapes de ces cycles. Des limites du recyclage. De la fable que constitue le découplage[2], cette idée selon laquelle il serait possible de croître économiquement tout en baissant les impacts environnementaux. Des limites physiques et sociales auxquelles va se heurter la poursuite de notre consommation.

    Pour ce faire, il importe de populariser de nombreux concepts tels que l’#empreinte_matière (qui tente de calculer l’ensemble des ressources nécessaires à la fabrication d’un bien), l’#énergie_grise et l’#eau_virtuelle (respectivement l’énergie et l’eau entrant dans les cycles d’extraction et de fabrication d’un produit), le #métabolisme (qui envisage toute activité humaine à travers le prisme d’un organisme nécessitant des ressources et rejetant des déchets), la #dette_écologique (qui inclut le pillage des autres pays dans notre développement économique) ou encore l’#extractivisme (qui conçoit l’exploitation de la nature d’une façon comptable).

    Et par là aller vers plus d’#autonomie_territoriale, en particulier dans les domaines les plus élémentaires tels que l’#agriculture, l’#énergie ou la #santé (rappelons qu’environ 80% des principes actifs indispensables à la plupart des médicaments sont produits en Chine et en Inde)[3].

    Dans le cas contraire, l’#anthropocène, avec ses promesses d’abondance, porte en lui les futures pénuries. Le monde ne vaut-il pas mieux qu’un horizon à la Mad Max ?

    https://blogs.mediapart.fr/geographies-en-mouvement/blog/300124/penuries-des-grains-de-sable-dans-la-machine

    #pénurie #mondialisation #globalisation

    • Pénuries. Quand tout vient à manquer

      Comment s’adapter aux ruptures qui nous attendent dans un monde en contraction

      Saviez-vous que la plupart des villes ne survivraient que deux à trois jours sans apport extérieur de nourriture ? Qu’un smartphone nécessite des métaux rares issus des quatre coins du monde ? Et que 80% des principes actifs nécessaires à la fabrication de nos médicaments sont produits en Chine et en Inde ? La quasi-totalité des biens que nous achetons parviennent jusqu’à nous via des chaînes d’approvisionnement aussi complexes que lointaines, de l’extraction et la transformation de matières premières (minerais, produits agricoles, énergie) à l’acheminement de produits finis vers nos supermarchés. Ce qui, mondialisation capitaliste oblige, augmente les risques de vulnérabilité de ces chaînes par effet domino.
      Nous expérimentons déjà ces pénuries que nous vivons mal, habitués à une société de flux ininterrompu. Or elles vont s’aggraver du fait de l’épuisement des ressources, des dérèglements climatiques, des tensions socio-économiques et géopolitiques. Demain, nous allons manquer de riz, de cuivre, de pétrole... Il est donc urgent de nous y préparer et d’envisager un autre système économique afin de rendre nos villes et nos vies plus autonomes et résilientes.

      https://www.payot-rivages.fr/payot/livre/p%C3%A9nuries-9782228934930

  • « Si “réarmement agricole” il y a, c’est surtout d’un “réarmement chimique” de l’agriculture qu’il est question »

    Le surgissement et la diffusion éclair de certains mots, qui sculptent tout à coup le débat public, a quelque chose de fascinant. Ainsi du vocabulaire martial subitement apparu le 31 décembre 2023 dans la parole présidentielle et, depuis, inlassablement commenté, répercuté, repris, répété, et surtout raccommodé jusqu’à l’indigestion par les membres du gouvernement : il faut se réarmer, il faut tout #réarmer.
    L’armement, les armes sont devenus en quelques semaines la métrique de toute chose. « Réarmement démographique », « réarmement civique », « réarmement moral », « réarmement des services publics »… C’est donc dans le contexte d’une propagation rapide – et assez inquiétante – de cette terminologie guerrière, que le premier ministre, Gabriel Attal, et le ministre de l’agriculture, Marc Fesneau, ont annoncé, jeudi 1er février, la mise en branle des grandes manœuvres du « #réarmement agricole ».
    Si « réarmement agricole » il y a, c’est surtout d’un « réarmement chimique » de l’agriculture qu’il est question. A l’heure où l’#infertilité et les #maladies_chroniques s’envolent dans la population générale, où environ un tiers des foyers français reçoivent au robinet une eau non conforme aux critères de qualité pour cause de métabolites de #pesticides, où sans doute plus de 80 % de la #biomasse d’insectes volants et 60 % des oiseaux des champs ont disparu en quarante ans, on se plaît à imaginer le fou rire nerveux d’hypothétiques historiens qui chercheraient, dans les prochaines décennies, à décrire et surtout comprendre la logique de ce qui se produit ces jours-ci.

    Le plan #Ecophyto est d’abord mis à l’arrêt, le temps, comme l’a dit M. Attal, de « mettre en place un nouvel indicateur ». Bénigne en apparence, cette annonce signe en réalité la mort du plan destiné à réduire l’usage des pesticides en France. Mais après tout qu’importe, peut-on objecter, puisque le plan Ecophyto a, depuis son lancement en 2008, complètement échoué à atteindre ses objectifs.
    Ce n’est pas si simple. D’abord, malgré sa relative inefficience, le plan était l’incarnation d’une volonté partagée de réduire la pression des pesticides sur l’environnement et la #santé. Ensuite et surtout, il reposait sur un indicateur stable – le NODU (nombre de doses unités) – reflétant la réalité des usages de « phytos » et de leur évolution dans le temps.

    C’est une question bien plus importante et subtile qu’il n’y paraît. Une expérience de pensée toute simple permet de comprendre pourquoi. Figurez-vous un indicateur principalement lié à la quantité des différents produits utilisés sur les parcelles. Si vous remplacez 10 kilogrammes de DDT (un insecticide organochloré) épandus sur un champ, par 1 kg d’imidaclopride (un insecticide #néonicotinoïde) utilisés sur ce même champ, votre indicateur vous dira que vous avez fait baisser le recours aux #insecticides de 90 %. Vous serez donc très satisfait et vous pourrez annoncer ce chiffre sans craindre de démenti. Mais cette diminution de 90 % correspondrait en réalité à une aggravation des dommages sur les pollinisateurs d’environ 80 000 %, puisque 1 gramme d’imidaclopride peut tuer autant d’abeilles que 8 kg de DDT.

    Il ne fait ainsi aucun doute que le démantèlement du NODU et la coconstruction d’un nouvel indicateur d’usage – avec l’aimable concours des syndicats agricoles productivistes –, signerait la mort du plan Ecophyto, donc la fin d’une ambition.

    Tutelle politique

    Dans ce plan de « réarmement chimique » de l’#agriculture française, il y a plus inquiétant que la destruction du thermomètre. Il y a les pressions sur ceux qui sont chargés, au sein des institutions publiques, de le lire et de l’interpréter. Gabriel Attal a ainsi mis en cause, sans la nommer, l’Agence nationale de sécurité sanitaire de l’alimentation, de l’environnement et du travail (#Anses), chargée d’évaluer les risques sanitaires et environnementaux des pesticides et de leur octroyer (ou leur retirer) leur autorisation de mise sur le marché. Le premier ministre annonce de facto vouloir placer l’agence – coupable selon lui d’interdire des molécules en France avant qu’elles ne soient interdites dans l’Union européenne –, sous une forme de tutelle politique.
    Pour Dominique Potier, agriculteur de métier et député (Parti socialiste) de Meurthe-et-Moselle, rapporteur de la commission d’enquête sur les pesticides tenue en 2023, il s’agit là « d’un recul de l’Etat de droit ». « Dans une démocratie, la remise en cause par le pouvoir politique d’une autorité scientifique constituée n’est pas un acte banal, dit au Monde cet élu peu coutumier des outrances et des vociférations d’Hémicycle. C’est un moment de bascule. »

    Bien sûr, l’expertise peut – et doit – être constamment interrogée dans sa rigueur, son indépendance, dans ses choix de tenir compte de tel ou tel élément plutôt que de tel autre. Mais elle doit l’être avec les instruments intellectuels de la disputatio savante, et il va sans dire que l’injonction politique n’en fait pas partie. La volonté de contrôle de la science et de l’expertise est un trope des régimes césaristes ou à tentation autoritaire. De fait, on se souvient que parmi les premières décisions de Donald Trump, à son arrivée à la présidence des Etats-Unis, figuraient la reprise en main de l’Agence fédérale américaine pour la protection de l’environnement (EPA) et sa mise sous tutelle par le pouvoir.
    Le « réarmement chimique » de l’agriculture française et ses modalités ne sont donc pas seulement une catastrophe environnementale et sanitaire dont les effets seront irréversibles à brève ou moyenne échéance. Ils s’inscrivent, comme pour la question migratoire, dans un mouvement de ratification culturelle de l’#extrême droite : est-ce vraiment une bonne idée ?

    https://www.lemonde.fr/planete/article/2024/02/03/si-rearmement-agricole-il-y-a-c-est-surtout-d-un-rearmement-chimique-de-l-ag

  • Nicolas Legendre : « La détestation viscérale d’une partie du monde paysan à l’égard des écologistes est entretenue par certains acteurs agro-industriels » - vert.eco
    https://vert.eco/articles/nicolas-legendre-la-detestation-viscerale-dune-partie-du-monde-paysan-a-legard

    Il y a tout un pan du monde agri­cole qui n’a pas été for­mé, ou très peu, aux ques­tions de bio­di­ver­sité, aux ser­vices écosys­témiques, au fonc­tion­nement des cor­ri­dors écologiques et pour qui tous ces aspects-là sont des freins plus que des atouts. Dans les années 70 à 90, ces ques­tions n’étaient pas du tout présentes. Les choses com­men­cent à évoluer depuis.

    « Les agricul­teurs auraient intérêt à adopter une logique écologique, ne serait-ce que pour con­tin­uer à pro­duire »

    Il y a un prob­lème de rap­port au vivant et de pra­tique du méti­er, très ori­en­tée sur la techno­science, la machine et la maîtrise des élé­ments, en con­sid­érant le sol comme un sup­port dans lequel on va amen­er des choses. Pour une part sub­stantielle du monde agri­cole, il y a une oppo­si­tion de fait entre leurs pra­tiques et une logique agroé­cologique de prise en compte réelle du vivant, qui vise à pro­téger, voire à régénér­er les milieux.