• I processi farsa che in Marocco trasformano i migranti in trafficanti

    Quasi 70 persone in transito sono state accusate di reati legati all’immigrazione irregolare in seguito al “massacro di Melilla” del 24 giugno 2022. Una strategia, con il benestare dell’Ue, per scoraggiare le partenze e gli arrivi nel Paese.

    Ange Dajbo si trova a oltre quattromila chilometri da casa sua ma a meno di dieci minuti di strada in auto dalla destinazione finale del suo viaggio. Nonostante non sia mai stata così vicina all’enclave spagnola di Melilla (assieme a Ceuta le uniche frontiere terrestri dell’Unione europea con l’Africa) la donna ivoriana di 31 anni è più lontana che mai dalla Spagna. Non ci sono soltanto decine di chilometri di filo spinato, rilevatori di movimento, droni, e numerose squadre della polizia marocchina e spagnola a separarla dall’Europa. A fine settembre scorso, Ange Dajbo e suo marito Alphonse, genitori di un bambino di un anno, sono stati processati dal giudice di Nador, città nel Nord del Paese, entrambi accusati di reati legati all’immigrazione irregolare.

    Le autorità marocchine accusano i Dajbo di essere la catena di trasmissione tra la comunità subsahariana e una rete di trafficanti, sulla base di una deposizione alla polizia giudiziaria che la famiglia racconta essergli stata estorta con la violenza. “Ero venuto in Marocco per emigrare irregolarmente -si legge nel documento- ma poi ho iniziato questo business e con i 500 dirham (46 euro, ndr) a persona che guadagnavo mantenevo me e mia moglie”. Questo impianto accusatorio è valso ad Alphonse Dajbo la condanna a un anno di carcere, una pena che potrebbe salire in appello. Sua moglie è stata assolta. “Noi non parliamo neanche arabo -ricorda Ange Dajbo- non capivamo di cosa ci accusavano e non sappiamo cosa ci hanno fatto firmare”.

    Il 18 ottobre 2022, pochi giorni dopo la nascita di suo figlio, 470 migranti tentano in massa l’attraversamento della frontiera di Melilla. Una settimana dopo la polizia marocchina, di notte, sfonda la porta del loro appartamento e li arresta. “Abbiamo vissuto mesi nascosti in una foresta. Quando ho scoperto di essere incinta abbiamo trovato una camera in affitto per accudire il bambino, mentre mio marito faceva qualche lavoretto come carrozziere o garzone al mercato”, racconta la donna mentre discute la strategia difensiva con l’avvocato Mbarek Bouirig, che si è fatto carico probono della difesa della famiglia.

    Città del Nord del Marocco come Nador, Tangeri e Fnidaq sono diventate magneti per i candidati all’emigrazione. A migliaia si nascondono nelle foreste in periferia nel timore di essere arrestati, processati o deportati verso il Sud del Regno dove c’è richiesta di manodopera agricola a basso costo.

    L’avvocato, che assiste altri dieci migranti coinvolti in processi simili a Nador, ritiene che l’impianto accusatorio dei pubblici ministeri “risenta dell’influenza della politica migratoria dello Stato”. In altre parole, secondo Bouirig, il processo alla famiglia Dajbo è soltanto uno dei tasselli della strategia del governo, volta scoraggiare i migranti subsahariani non solo dal tentare il passaggio, ma anche dal sostare nelle città frontaliere in attesa della notte giusta per partire in gommone per la Spagna o tentare di oltrepassare il confine terrestre con Melilla. Nel 2023 circa 15mila migranti sono arrivati in Spagna dal Nord del Marocco e altri 35mila si sono diretti alle Canarie partendo dal Sud del Regno: numeri che si avvicinano a quelli degli arrivi in Grecia (43mila) e non erano così cospicui dal 2018, su una rotta che ha fatto più di 950 vittime secondo l’Ong Caminando Fronteras.

    Il 24 giugno 2022, Ange e Alphonse Dajbo si trovavano a Casablanca quando circa duemila migranti, principalmente sudanesi, attaccarono in massa la barriera dell’enclave in quello che è passato alle cronache come “il massacro di Melilla”. La reazione violenta della Guardia Civil spagnola e della Gendarmerie marocchina ha causato la morte di almeno 37 persone, mentre 77 risultano tutt’oggi scomparse.

    Nonostante entrambi i Paesi abbiano aperto dei fascicoli per indagare sulle responsabilità delle autorità, i soli colpevoli a essere individuati dai giudici marocchini sono stati 33 migranti, di cui 18 hanno visto triplicare la pena in appello arrivando a condanne anche di tre anni in carcere. Altri 32 sono tutt’ora in giudizio con l’accusa di appartenere a reti criminali. “A partire da quella data abbiamo riscontrato un aumento dei procedimenti giudiziari a carico dei migranti subsahariani”, spiega Omar Naji, responsabile dell’Association marocaine des droits de l’homme (Amdh).

    Da allora analizza l’attività dei tribunali della regione per la controversa pratica di perseguire le persone in transito come trafficanti, una strategia apparentemente progettata per scoraggiare ulteriori flussi migratori. Benché non sia disponibile nessun dato statistico sui procedimenti aperti nei confronti dei migranti subsahariani, Omar Naji è convinto che i numeri di quella che definisce “repressione giudiziaria delle migrazioni” siano in costante aumento.

    Sono 1.221 i morti registrati nel 2022 lungo la rotta, sia di terra sia di mare, tra il Marocco e l’Unione europea a fronte di 30mila arrivi. Nel 2015 erano decedute 67 persone su 17mila che erano riuscite a raggiungere il territorio europeo. È il tragico costo della “gestione dei flussi” dell’Ue

    “Un processo non lascia cicatrici sul corpo -osserva nel suo ufficio a Nador- ma allarma l’intera comunità con la minaccia della privazione della libertà, una delle poche gioie della vita che resta ai migranti”. Il Marocco è considerato un partner strategico per il controllo dell’immigrazione e la sua collaborazione con l’Ue illustra ciò che potrebbe accadere anche in Tunisia, da dove sono già partiti più di 95mila migranti nel 2023. Anche se i numeri dell’Alto commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr) non distinguono tra i morti via mare lungo la rotta delle Isole Canarie e quelli lungo la frontiera terrestre con Ceuta e Melilla, secondo l’Amdh i dati restano indicativi del fatto che ci sia una correlazione tra l’aumento dei fondi europei e l’aumento delle persone che muoiono.

    “Addobbato con la retorica del voler salvare vite umane e del combattere le reti criminali, il denaro europeo ha reso il passaggio più remunerativo per i trafficanti e più rischioso per i migranti”, spiega Omar Naji, che sottolinea anche come il Marocco renda più o meno porose le sue frontiere per rinforzare la propria posizione nello scacchiere diplomatico. A fronte di 234 milioni di euro stanziati dal 2015, di cui quasi quattro quinti spesi per la gestione dei confini, e di ulteriori 500 milioni fino al 2027, il numero dei migranti che hanno perso la vita nel tragitto dal Marocco all’Europa è salito vertiginosamente: da 67 morti su circa 17mila arrivi nel 2015, a 1.221 su 30mila nel 2022.

    L’Europa riconosce il Marocco come un “Paese sicuro”, ma poche persone più di Aboubacar Wann Diallo sanno che la realtà è più ombreggiata delle categorie del diritto. Esce dalla prigione di Nador dopo aver visitato uno dei sopravvissuti alla strage del 24 giugno, oggi in galera. “Come sta?”, crepita una voce all’altro capo del telefono, in Sudan. “Abdallah è triste, ma sta bene. Vi manda un abbraccio”, risponde Aboubacar alla madre del condannato.

    Dopo esser fuggito dalle persecuzioni politiche nel suo Paese, il guineano laureato in giurisprudenza è arrivato in Marocco nel 2013 dove oggi lavora per un’associazione locale: accompagna i migranti di passaggio nella regione, ma soprattutto trascorre le sue giornate tra l’obitorio, il tribunale e il carcere, occupato nel reperire informazioni sui migranti arrestati e nel riconoscimento dei morti in mare o alla frontiera terrestre. “Cerco di restare professionale -spiega-. Ma vacillo quando ascolto la voce in pena della madre di un fratello condannato ingiustamente o deceduto”.

    Racconta che i pubblici ministeri richiedono condanne dure per i migranti, a volte senza conoscere il dossier: “Sembra che ci sia una volontà politica di mandare un messaggio alla comunità nera: se attraversate, andate in prigione”. Aboubacar è diventato una figura rispettata in città e ha saputo costruire stretti legami con le autorità politiche, giudiziarie e di pubblica sicurezza di Nador, superando le discriminazioni quotidiane contro i neri subsahariani. Ma non tutti hanno la stessa fortuna.

    A Oujda, città frontaliera con l’Algeria a circa due ore di macchina da Nador, due famiglie di quattro persone della Costa d’Avorio vivono in un appartamento di trenta metri quadrati in un quartiere periferico. Ritenendo la rotta marocchina troppo rischiosa, stanno preparando le valige per attraversare l’Algeria e raggiungere l’Europa dalla Tunisia. “Preferiamo attraversare il deserto piuttosto che essere obbligati a vivere nascosti per paura di finire in galera”, afferma Karen Jospeh, trentacinquenne camerunense. Come loro, secondo un volontario locale di Alarm Phone, circa 200 persone al giorno stanno facendo la stessa scelta.

    https://altreconomia.it/i-processi-farsa-che-in-marocco-trasformano-i-migranti-in-trafficanti

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  • Rotta balcanica, Piantedosi lancia le brigate antimigranti

    A margine del trilaterale a Trieste il 2 novembre scorso, il ministro snocciola i numeri dei respingimenti dopo la sospensione di Schengen. E annuncia: quando i controlli alle frontiere finiranno, il governo vuole istituire “brigate miste” (di polizia). Dove? Con chi? E con quale mandato?

    Nell’edizione del 20 ottobre dell’Unità avevo esaminato la misura di ripristino dei controlli alle frontiere interne deciso dall’Italia al confine italo-sloveno mettendo in rilievo come tale decisione fosse in contrasto con quanto disposto dal Codice Schengen. Su questo il Codice prevede la possibilità di un temporaneo ripristino dei controlli alle frontiere interne solo come extrema ratio in caso di minaccia all’ordine pubblico e che “la migrazione e l’attraversamento delle frontiere esterne di un gran numero di cittadini di paesi terzi non dovrebbero in sé essere considerate una minaccia per l’ordine pubblico o la sicurezza interna” (Codice Schengen, considerando 26). Ben presto le dichiarazioni del Governo italiano hanno reso evidente come dietro questo ripristino, inutile e quanto mai problematico per la vita sociale ed economica del Friuli Venezia Giulia, ci sia una sola finalità ovvero quella di ostacolare l’ingresso nell’Unione Europea, ad iniziare dal confine esterno tra la Croazia e la Bosnia, a coloro che sono in cerca di protezione e che, per il diritto dell’Unione, hanno invece diritto, alle frontiere e nel territorio degli Stati dell’Unione, di chiedere asilo (Direttiva 2013/32/UE art. 3) e gli Stati hanno il dovere assoluto di non respingerli.

    Le affermazioni rese dal ministro Piantedosi nella conferenza stampa tenutasi a Trieste il 2 novembre 2023, a conclusione dell’incontro trilaterale con gli omologhi sloveno e croato, sono state tanto esplicite quanto sconcertanti. Il ministro ha reso noto che nei primi dieci giorni di vigenza dei controlli alla frontiera sono stati effettuati 220 respingimenti. Non sono state fornite ulteriori informazioni, né il ministro, come ha fatto invece in passato, ha rivendicato la possibilità che vengano respinti o riammessi informalmente anche coloro che al confine italiano chiedono asilo. Sulla radicale illegittimità delle riammissioni informali attuate dall’Italia verso la Slovenia nei confronti di richiedenti asilo si era già espresso con estrema chiarezza il Tribunale ordinario di Roma con due distinte ordinanze, nel gennaio 2021 e nel maggio 2023. Non sappiamo se i dati forniti da Piantedosi riguardino cittadini stranieri che sono stati illegittimamente respinti dopo che è stato loro impedito di chiedere asilo in Italia e se, come impone la normativa a tutti coloro che sono fermati venga “assicurata l’informazione sulla procedura di protezione internazionale” (T.U. Immigrazione art. 10.3).

    Infine non sappiamo se nei confronti degli stranieri respinti sia stato emesso un provvedimento amministrativo scritto e motivato in fatto e in diritto, notificato al soggetto interessato e impugnabile innanzi all’autorità giudiziaria, o se di tali provvedimenti non c’è traccia. Neppure sappiamo se tali respingimenti sono stati realmente tali o se si è trattato di operazioni di impedimento all’ingresso in Italia attuati in territorio sloveno con la collaborazione della polizia italiana. Sono questioni dirimenti sulle quali il ministro dovrà fornire al più presto le necessarie informazioni. Lo stesso Piantedosi ha altresì annunciato che, non appena i controlli alle frontiere cesseranno (al momento sono prorogati fino al 20 novembre), è intenzione del Governo prevedere l’istituzione di “brigate miste” (di polizia) da “rendere stabili nel tempo”. Il termine utilizzato – brigate – è già piuttosto militaresco, ma, soprattutto, tali brigate miste come sarebbero composte, con quale mandato e con quali garanzie opererebbero al di fuori del territorio italiano? Anche sul confine sloveno-croato e su quello croato-bosniaco?

    Un’espressione in particolare, tra quelle usate da Piantedosi, risulta inquietante: il ministro ha affermato che le operazioni di respingimento finora attuate vanno considerate solo come i “primi segnali di una filiera della deterrenza da proseguire con i colleghi”. Il termine deterrenza è sempre associato a una funzione intimidatrice (nel diritto penale ci si è sempre interrogati se la minaccia della sanzione funga o meno da deterrenza). Nel linguaggio politico la deterrenza è rivolta verso un nemico ovvero verso colui che rappresenta un grave pericolo e nei cui confronti, all’occorrenza, si può usare violenza. A chi è diretta la funzione di deterrenza cui si riferisce Piantedosi? Agli stranieri che sono in fuga dai loro paesi affinché non lo facciano? A chi intende chiedere asilo affinché comprenda con metodi convincenti che ciò è inutile? Le parole usate dal ministro sono gravi perché le normative internazionali ed europee e il diritto interno dispongono che l’operato della polizia di frontiera non sia finalizzato ad attuare alcuna deterrenza bensì sia esclusivamente rivolto all’esecuzione di legittimi compiti di controllo dell’attraversamento dei confini; le guardie di frontiera sono tenute infatti ad operare nello stretto ambito delle funzioni attribuite loro dalla legge, e nei confronti di chi viene controllato “devono essere garantiti i diritti fondamentali sanciti nella Convenzione europea sui diritti dell’uomo e nella Carta sui diritti fondamentali dell’Unione europea. I controlli di frontiera devono rispettare pienamente i divieti di infliggere trattamenti inumani o degradanti e di agire in maniera discriminatoria” (Manuale per le guardie di frontiera a cura della Commissione Europea 6.11.2006 punto 1.2).

    Inoltre “a tutti i cittadini di paese terzo che lo desiderano deve essere data la possibilità di chiedere asilo/protezione internazionale alla frontiera (anche nelle zone di transito aeroportuali e portuali). A tal fine, le autorità di frontiera devono informare i richiedenti, in una lingua che possa essere da loro sufficientemente compresa, delle procedure da seguire” (Manuale punto 10.2). La rotta balcanica e i confini tra i diversi Stati, da sempre, ma in particolare dal 2018, sono segnati da inenarrabili violenze, illegalità e soprusi condotti dalle polizie dei diversi Stati coinvolti (a volte si tratta di uomini in divisa, altre volte mascherati, ma comunque operanti sempre all’interno di un preciso mandato). I rapporti su queste violenze sono scioccanti e sono così numerosi da riempire un’intera biblioteca; si tratta di violenze ed illegalità avvenute sia ai confini interni dell’Unione Europea che ai confini esterni della stessa. Una situazione che rappresenta, insieme alle violenze attuate sul confine polacco-bielorusso, una delle pagine più oscure dell’Europa. Uno dei luoghi caratterizzati da maggiori violenze è il confine della Croazia con la Bosnia dove i respingimenti arbitrari, uniti ad efferate violenze non sono mai cessati. Secondo il rapporto Trattati come animali – Respingimenti di persone in cerca di protezione dalla Croazia in Bosnia Erzegovina, edito nel maggio 2023 a cura di Human Rights Watch (H.C.R.) una delle più autorevoli organizzazioni di tutela dei diritti umani a livello internazionale, i respingimenti illegittimi e le violenze, anche efferate, da parte della polizia croata, solo nel 2022, hanno riguardato quasi 30.000 persone, e sono proseguiti nel 2023.

    Il Rapporto evidenzia che “Le forze di polizia conducono spesso i respingimenti in modo violento, rendendosi responsabili di lesioni fisiche e umiliazioni deliberate”. Inoltre “secondo la maggior parte delle testimonianze raccolte da HRW, i poliziotti croati indossano le uniformi, guidano mezzi della polizia e si identificano come agenti per non lasciare alcun dubbio sull’ufficialità del loro ruolo”. Si tratta dunque di una pratica di esplicita deterrenza condotta verso persone inermi che stanno esclusivamente tentando di esercitare il loro diritto a chiedere asilo. “Molti bambini hanno dovuto assistere mentre i loro padri, fratelli maggiori o parenti venivano picchiati, o manganellati o presi a spintoni”, prosegue il Rapporto. La Slovenia non sfugge alla censura operata dalla citata organizzazione internazionale giacché il Rapporto osserva come “in base all’accordo di riammissione tra Slovenia e Croazia, la polizia slovena invia sommariamente i migranti irregolari che sono entrati nel paese passando dalla Croazia, indipendentemente dal fatto che abbiano chiesto asilo in Slovenia. A loro volta le autorità croate generalmente si affrettano a trasferirli in Bosnia o Serbia”.

    Al drammatico Rapporto di H.R.W. si aggiungono i dati diffusi dal Centro per la Pace di Zagabria che da anni svolge un attento lavoro di monitoraggio della situazione del rispetto della legalità in Croazia, secondo cui nel solo mese di luglio 2023 sono stati respinti illegalmente dalla Croazia alla Bosnia 673 persone, tra cui 43 bambini. 369 di essi erano afgani, con tutta evidenza rifugiati. Il 95% delle persone respinte ha subito trattamenti inumani e degradanti tassativamente proibiti dall’art. 3 della CEDU (Convenzione Europea dei diritti dell’Uomo) mentre l’81% ha subito il furto dei propri averi e la distruzione delle proprie cose. E’ in questi cupi contesti che il ministro Piantedosi vorrebbe organizzare le “brigate”? Vuole forse trascinare la polizia italiana in inaccettabili contesti di violenza di cui essere spettatore inerme oppure complice? Confida nella collaborazione della piccola Slovenia, paese cuscinetto, nel realizzare una più respingimenti a catena? Un monitoraggio su quanto rischia di accadere al nostro tormentato confine orientale, da parte di enti di tutela ed organizzazioni internazionali, nonché da parte del Parlamento, è divenuto indispensabile ed urgente.

    https://www.unita.it/2023/11/07/rotta-balcanica-piantedosi-lancia-le-brigate-antimigranti
    #Balkans #route_des_Balkans #asile #migrations #réfugiés #Piantedosi #brigades_mixtes #contrôles_frontaliers #refoulements #push-backs #Slovénie #frontière_sud-alpine #contrôles_systématiques_aux_frontières #chiffres #statistiques #patrouilles_mixtes #dissuasion

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    ajouté au fil de discussion sur la réintroduction des contrôles systématiques à la frontière entre Italie et Slovénie :
    https://seenthis.net/messages/1021994

    et à la métaliste sur les patrouilles mixtes :
    https://seenthis.net/messages/910352

  • Des #fouilles_corporelles « sexualisées » frappent les migrants aux frontières de l’Europe

    Déshabillés, humiliés, maltraités. Des femmes et des hommes venus demander asile racontent avoir subi des fouilles corporelles et génitales brutales, effectuées par des personnes censées garder les frontières de l’UE en Grèce.

    Corfou (Grèce).– Clémentine Ngono* n’a jamais voulu venir en Europe. Cependant, des expériences répétées de violence et d’agression l’ont forcée à fuir. D’abord son pays d’origine, le Cameroun, puis la Turquie. Aux premières heures du 15 septembre 2021, elle est montée à bord d’un canot pneumatique gris, en compagnie de son mari, de son fils de six mois et de 33 autres personnes. Qui savaient que le voyage serait dangereux. Conscientes que les autorités grecques pourraient les refouler, elles ont tout de même tenté leur chance.

    Juste après le lever du soleil, le groupe a atteint l’île grecque de Samos. Très vite, un navire des gardes-côtes les a arrêtées. Un groupe d’hommes encagoulés les a embarquées. Une fois sur le bateau de la patrouille grecque, les personnes ont été mises à genoux puis, une par une, ont reçu l’ordre de se lever et de se déshabiller devant tout le monde. Celles et ceux qui osaient résister ont été menacé·es et battu·es, leurs vêtements arrachés et déchirés. Une fois toutes les personnes nues, l’un des hommes masqués a commencé la fouille au corps, n’hésitant pas à toucher les seins et les parties génitales des femmes.

    « Il nous fouillait partout », se souvient Clémentine Ngono, horrifiée, en pressant deux doigts l’un contre l’autre et en les pointant sur son abdomen. « C’est ainsi qu’il a mis sa main dans mon vagin », dit-elle en faisant une pause avant d’ajouter : « Et dans mon anus. » Les hommes, qui ont utilisé les mêmes gants en plastique pour fouiller tout le groupe, ont pris son téléphone et les 500 euros qu’elle avait sur elle.

    Plus tard, le groupe a été abandonné sur des radeaux de sauvetage en Méditerranée. Aujourd’hui encore, Clémentine Ngono ne peut oublier la honte qu’elle a ressentie. « C’était une telle humiliation », dit-elle lors d’un entretien en juillet 2023 à Corfou, où elle travaille pendant l’été comme femme de chambre. Clémentine Ngono a intenté une action en justice, déclarant que la fouille corporelle et génitale forcée était « extrêmement invasive et offensante ». Son cas pourrait toutefois s’inscrire dans une tendance plus large.

    Début 2023, le Comité contre la torture (CPT) du Conseil de l’Europe a critiqué les nombreux cas de mauvais traitements lors des « refoulements » aux frontières de l’Union européenne (UE). Selon son rapport, les autorités frontalières obligent parfois les demandeurs et demandeuses d’asile à repasser la frontière « entièrement nus ». Le Border Violence Monitoring Network, une coalition d’organisations non gouvernementales, fait état de pratiques similaires.

    De même, dans un rapport publié jeudi 2 novembre, Médecins sans frontières (MSF) a recueilli plusieurs témoignages de réfugié·es racontant des fouilles corporelles et génitales sexualisées par de supposés gardes-frontières. Ces derniers obligeraient les demandeurs et demandeuses d’asile à se déshabiller avant de procéder à des fouilles vaginales et anales en public, parfois sans changer de gants. Les fouilles des femmes seraient effectuées par des hommes, comme dans le cas de Clémentine Ngono.
    « Le but était de nous humilier »

    Mediapart s’est entretenu avec plusieurs victimes, des avocats, des ONG, et a examiné des documents internes de l’agence européenne de gardes-côtes Frontex. L’image qui en ressort est celle d’une pratique normalisée : celle de mises à nu et de fouilles génitales forcées lors des refoulements par les autorités frontalières grecques. Ces pratiques semblent avoir un objectif central : dissuader les personnes de réessayer tout en volant leurs objets de valeur et leur argent.

    Meral Şimşek jette sa cigarette à moitié consumée et acquiesce. Cela fait un an que la poétesse kurde est arrivée à Berlin (Allemagne). Meral Şimşek, critique véhémente du régime d’Erdoğan, a été confrontée toute sa vie à la violence et à la persécution des autorités turques. En 2021, les choses ont empiré, elle a alors décidé de quitter son pays.

    Le 29 juin 2021, elle a traversé le fleuve Évros en compagnie d’une femme syrienne, Dicle. « Nous sommes arrivées sur le sol grec », dit-elle dans une vidéo qu’elle a enregistrée au crépuscule. Après plusieurs heures, les deux femmes ont atteint Feres, une petite ville frontalière grecque. Meral Şimşek voulait demander l’asile, mais la police grecque les a interpellées à l’entrée de la ville.

    Après les avoir détenues et battues, les policiers ont emmené les deux femmes dans la rue. Là, ils ont forcé Meral Şimşek à se déshabiller. Ensuite, une policière a fouillé ses parties génitales, en pleine rue. « Ils ont regardé directement dans mon vagin », raconte-t-elle. Pendant ce temps, les autres policiers regardaient. Şimşek se souvient que certains ont fait des commentaires en grec en regardant son corps. Ils ont ensuite fouillé Dicle avec les mêmes gants en plastique. Puis les deux femmes ont été livrées à un groupe d’hommes masqués et reconduites de force en Turquie. « Le but était de nous humilier », dit-elle.

    Du côté des autorités grecques, ni le ministère de l’intérieur ni le ministère des migrations et de l’asile n’ont commenté ces allégations. Les gardes-côtes grecs ont déclaré que « les pratiques opérationnelles des autorités grecques n’incluent pas de telles méthodes », car elles seraient contraires à l’article 257 du Code de procédure pénale grec.

    Interrogée sur les allégations de fouilles corporelles et génitales forcées, Frontex a déclaré à Mediapart qu’elle « avait connaissance d’une poignée de cas de ce type en Grèce et en Bulgarie ».
    Des témoignages connus de Frontex

    Mediapart a pu avoir accès à plusieurs rapports internes du responsable des droits fondamentaux de Frontex, qui contiennent des allégations et des descriptions de mises à nu forcées, principalement à la frontière de l’Évros. Dans un « rapport d’incident grave » (SIR) portant le numéro 10142/2018, daté du 18 novembre 2018, Frontex indique qu’un groupe de réfugiés aurait été repoussé par les autorités grecques après avoir été agressé physiquement et « obligé à se déshabiller ».

    Le rapport SIR 13400/2022, qui concerne une série de refoulements par les autorités grecques en juillet et août 2022, rapporte que des migrants ont été « forcés de repasser par la rivière après que leurs effets personnels leur ont été confisqués, après avoir été déshabillés et battus ».

    Le rapport SIR 15314/2022 du 30 mai 2023 décrit plusieurs refoulements sur le fleuve Évros. Selon ce rapport, un migrant a été « soumis à des violences physiques, mis à nu de force, ses biens ont été volés ou détruits, avant qu’il reçoive l’ordre de retourner irrégulièrement en Turquie » par les autorités grecques.

    Frontex considère elle-même que les déclarations contenues dans le rapport sont « relativement crédibles ». Si les témoignages sont confirmés, l’agence européenne affirme que cela constituerait « probablement une expulsion collective interdite et un traitement inhumain et dégradant ».

    À Samos, l’avocate Ioanna Begiazi ouvre la porte de son cabinet, dans la vieille ville de Vathi. Elle se souvient du cas de Clémentine Ngono. « Elle est venue nous voir parce qu’elle voulait agir », dit-elle. Et le cas de Clémentine Ngono n’est pas isolé.

    Ioanna Begiazi représente régulièrement des victimes de refoulements illégaux. « Les femmes, en particulier, nous disent que les fouilles génitales sont très fréquentes », explique-t-elle. Mais les hommes sont également concernés, ajoute-t-elle. « Il s’agit d’une forme d’humiliation et de dissuasion », explique Ioanna Begiazi. Une humiliation qualifiée par l’avocate de « sexualisée », et qui aurait pour but de décourager les migrant·es de franchir à nouveau la frontière.

    Ioanna Begiazi explique que les fouilles à nu ne sont en soi pas interdites en Grèce. Mais il faudrait qu’il y ait une raison sérieuse pour une telle intervention, comme des preuves concrètes qu’un acte criminel a été commis. Et même si c’était le cas, il existe de nombreuses réglementations. Les fouilles corporelles doivent notamment être conformes aux règles d’hygiène, les agents qui les pratiquent doivent donc changer de gants pour chaque personne qu’ils fouillent.

    Elles doivent aussi être effectuées dans le respect des droits personnels et de la dignité humaine de l’individu. De plus, les fouilles sont censées se dérouler dans un environnement protégé, en aucun cas devant d’autres personnes, afin de garantir le respect de la vie privée. Enfin, elles doivent être réalisées par des personnes du même sexe sans usage ou menace de violence physique.

    La Cour européenne des droits de l’homme (CEDH) a statué en 2001 que les fouilles corporelles effectuées par les forces de l’ordre peuvent être justifiées dans certains cas. Par exemple, si elles permettent d’empêcher des infractions pénales. Cependant, les déshabillages forcés et les fouilles génitales, qui laissent aux victimes « des sentiments d’angoisse et d’infériorité propres à les humilier et à les avilir », violent l’article 3 de la Convention européenne des droits de l’homme.

    Les témoignages des demandeurs et demandeuses d’asile qui dénoncent des mises à nu et des fouilles génitales forcées conduisent les expert·es des droits humains à penser qu’il pourrait s’agir d’une violation de la Convention européenne des droits de l’homme.

    « C’est l’un des moyens de faire passer le message et de les dissuader », explique l’avocat spécialiste des droits humains Nikola Kovačević. Expert dans le domaine de la migration, le Serbe rapporte avoir également connaissance de cas de déshabillage forcé et de fouilles génitales par les autorités frontalières. Selon lui, elles sont destinées à envoyer un message : « Si vous revenez, cela se reproduira. »

    Kovačević estime que les fouilles corporelles et génitales sexualisées violent l’interdiction de la « torture, des traitements dégradants ou inhumains » ancrée dans la Convention de l’UE sur les droits de l’homme et la Convention des Nations unies contre la torture.

    « Les traitements inhumains et dégradants sont dirigés contre la dignité humaine, explique-t-il. Vous privez une personne de sa dignité, vous la forcez à s’agenouiller, vous lui crachez dessus, vous la déshabillez, vous créez une situation dans laquelle cette personne se sent inférieure. »

    Selon Nikola Kovačević, la frontière entre la torture et les traitements inhumains ou dégradants est parfois floue. Cependant, ces deux délits ont une caractéristique centrale en commun : juridiquement, ils ne permettent aucune exception. « Il n’existe aucune circonstance imaginable qui justifie d’infliger de la douleur et de la souffrance à une personne sans défense », explique l’avocat.

    À Corfou, Clémentine Ngono se lève, essuie la sueur de son front et regarde sa montre. Elle dit être épuisée. Fatiguée par les longues heures de travail à l’hôtel, les factures impayées, le sentiment de culpabilité, par la séparation physique avec son mari, dont la demande d’asile a été rejetée.

    Clémentine Ngono dit qu’elle n’aime pas vraiment parler de ce qu’elle a vécu. Cependant, il est important pour elle que des choses similaires n’arrivent pas à d’autres. « Nous avons besoin de gens qui ont le courage de parler », dit-elle. Sinon, rien ne changera. Pour elle, c’est pénible de parler de ce qui s’est passé mais, dit-elle, « si je peux aider les autres, je le ferai ».

    https://www.mediapart.fr/journal/international/031123/des-fouilles-corporelles-sexualisees-frappent-les-migrants-aux-frontieres-

    #migrations #asile #réfugiés #violence #Grèce #humiliation #mauvais_traitements #organes_génitaux #nudité #fouille_au_corps #honte #fouilles_génitales #gardes-frontières #refoulements #push-backs #vol #Evros #Samos #dissuasion #femmes #humiliation_sexualisée #dignité #déshabillage #dignité_humaine

  • « Contrôler » les migrations : entre laisser-mourir et permis de tuer

    À l’heure où le Conseil européen se réunit à Bruxelles, les 26 et 27 octobre 2023, pour évoquer, dans un monde en plein bouleversement, le renforcement des frontières européennes, le réseau Migreurop rappelle le prix exorbitant de cette #surenchère_sécuritaire et la #responsabilité accablante des États européens dans la #mise_en_danger constante des personnes en migration, qui tentent d’exercer leur #droit_à_la_mobilité au prix de leur vie.

    Depuis plus de 30 ans, la lutte contre l’immigration dite « clandestine » est la priorité des États européens, qui ont adopté diverses stratégies visant au fil des années à renforcer les #contrôles_migratoires et la sécuritisation des frontières des pays de destination, de transit et de départ. Quoi qu’il en coûte. Y compris au prix de vies humaines, les #morts_en_migration étant perçues par les autorités comme une conséquence dommageable de cette même « lutte ».

    Comme le dénonçait déjà Migreurop en 2009, « nombreuses sont les #frontières où tombent des dizaines de migrants, parfois tués par les #forces_de_l’ordre : des soldats égyptiens tirant à vue sur des Soudanais et des Érythréens à la frontière israélienne ; des soldats turcs abattant des Iraniens et des Afghans ; la marine marocaine provoquant sur les côtes d’Al Hoceima le naufrage de 36 personnes en partance pour l’Espagne (…) en perforant leur zodiac à coups de couteaux ; des policiers français à Mayotte faisant échouer volontairement des embarcations (Kwassa-kwassa) pour arrêter des migrants, engendrant ainsi la noyade de plusieurs d’entre eux. En Algérie, au Maroc, des migrants africains sont refoulés et abandonnés dans le désert, parfois miné, sans aucun moyen de subsistance » [1].

    Si l’objectif sécuritaire de #surveillance et #militarisation_des_frontières européennes reste le même, la stratégie mise en œuvre par les États européens pour ne pas répondre à l’impératif d’accueil des populations exilées a évolué au fil des années. Depuis des décennies, les « drames » se répètent sur le parcours migratoire. Ils ne relèvent en aucun cas de la #fatalité, de l’#irresponsabilité des exilé·e·s (ou de leurs proches [2]), du climat ou de l’environnement, de l’état de la mer, ou même d’abus de faiblesse de quelconques trafiquants, mais bien d’une politique étatique hostile aux personnes exilées, développée en toute conscience à l’échelle européenne, se traduisant par des législations et des pratiques attentatoires aux droits et mortifères : systématisation à l’échelle européenne des #refoulements aux portes de l’Europe [3], déploiement de dispositifs « anti-migrants » le long des frontières et littoraux (murs et clôtures [4], canons sonores [5], barrages flottants [6], barbelés à lames de rasoir [7], …), conditionnement de l’aide au développement à la lutte contre les migrations [8], #criminalisation du sauvetage civil [9]... Une stratégie qualifiée, en référence au concept créé par Achille Mbembe [10], de « #nécro-politique » lors de la sentence rendue par le Tribunal Permanent des Peuples en France, en 2018 [11].

    Déjà en août 2017, le rapport relatif à « la mort illégale de réfugiés et de migrants » de la rapporteuse spéciale du Conseil des droits de l’Homme onusien sur les exécutions extrajudiciaires, sommaires ou arbitraires, mettait en évidence « de multiples manquements des États en matière de respect et de protection du #droit_à_la_vie des réfugiés et des migrants, tels que des homicides illégaux, y compris par l’emploi excessif de la force et du fait de politiques et pratiques de #dissuasion aggravant le #danger_de_mort » [12].

    Mettant en place une véritable stratégie du #laisser-mourir, les États européens ont favorisé l’errance en mer en interdisant les débarquements des bateaux en détresse (Italie 2018 [13]), ont retiré de la mer Méditerranée les patrouilles navales au bénéfice d’une surveillance aérienne (2019 [14]), signe du renoncement au secours et au sauvetage en mer, ou en se considérant subitement « ports non-sûrs » (Italie et Malte 2020 [15]). Migreurop a également pointé du doigt la responsabilité directe des autorités et/ou des forces de l’ordre coupables d’exactions à l’égard des exilé·e·s (Balkans 2021 [16]), ou encore leur franche complicité (UE/Libye 2019 [17]).

    Le naufrage d’au moins 27 personnes dans la Manche le 24 novembre 2021 [18], fruit de la non-assistance à personnes en danger des deux côtés de la frontière franco-britannique, est une illustration de cette politique de dissuasion et du laisser-mourir. Le #naufrage de #Pylos, le 14 juin 2023, en mer Ionienne [19], est quant à lui un exemple d’action directe ayant provoqué la mort de personnes exilées. La manœuvre tardive (accrocher une corde puis tirer le bateau à grande vitesse) des garde-côtes grecs pour « remorquer » le chalutier sur lequel se trouvaient environ 700 exilé·e·s parti·e·s de Libye pour atteindre les côtes européennes, a probablement causé les remous qui ont fait chavirer le bateau en détresse et provoqué la noyade d’au moins 80 personnes, la mer ayant englouti les centaines de passager·e·s disparu·e·s.

    Le rapport des Nations unies de 2017 [20] pointe également les conséquences de l’#externalisation des politiques migratoires européennes et indique que « les autres violations du droit à la vie résultent de politiques d’extraterritorialité revenant à fournir aide et assistance à la privation arbitraire de la vie, de l’incapacité à empêcher les morts évitables et prévisibles et du faible nombre d’enquêtes sur ces morts illégales ». Le massacre du 24 juin 2022 aux frontières de Nador/Melilla [21], ayant coûté la vie à au moins 23 exilés en partance pour l’Espagne depuis le Maroc, désignés comme des « assaillants », 17 ans après le premier massacre documenté aux portes de Ceuta et Melilla [22], est un clair exemple de cette externalisation pernicieuse ayant entraîné la mort de civils. Tout comme les exactions subies en toute impunité ces derniers mois par les exilé·e·s Noir·e·s en Tunisie, en pleine dérive autoritaire, fruits du #racisme_structurel et du #marchandage européen pour le #contrôle_des_frontières [23].

    Nous assistons ainsi ces dernières années à un processus social et juridique de légitimation de législations et pratiques étatiques illégales visant à bloquer les mouvements migratoires, coûte que coûte, ayant pour conséquence l’abaissement des standards en matière de respect des droits. Un effritement considérable du droit d’asile, une légitimation confondante des refoulements – « légalisés » par l’Espagne (2015 [24]), la Pologne (2021 [25]) et la Lituanie (2023 [26]) –, une violation constante de l’obligation de secours en mer, et enfin, un permis de tuer rendu possible par la progressive #déshumanisation des personne exilées racisées, criminalisées pour ce qu’elles sont et représentent [27].

    Les frontières sont assassines [28] mais les États tuent également, en toute #impunité. Ces dernières années, il est manifeste que les acteurs du contrôle migratoire oscillent entre #inaction et action coupables, entre laisser-mourir (« let them drown, this is a good deterrence » [29]) et permis de tuer donné aux acteurs du contrôle frontalier, au nom de la guerre aux migrant·e·s, ces dernier·e·s étant érigé·e·s en menace(s) dont il faudrait se protéger.

    Les arguments avancés de longue date par les autorités nationales et européennes pour se dédouaner de ces si nombreux décès en migration sont toujours les mêmes : la défense d’une frontière, d’un territoire ou de l’ordre public. Les #décès survenus sur le parcours migratoire ne seraient ainsi que des « dommages collatéraux » d’une #stratégie_de_dissuasion dans laquelle la #violence, en tant que moyen corrélé à l’objectif de non-accueil et de mise à distance, est érigée en norme. L’agence européenne #Frontex contribue par sa mission de surveillance des frontières européennes à la mise en danger des personnes exilées [30]. Elle est une composante sécuritaire essentielle de cette #politique_migratoire violente et impunie [31], et de cette stratégie d’« irresponsabilité organisée » de l’Europe [32].

    Dans cet #apartheid_des_mobilités [33], où la hiérarchisation des droits au nom de la protection des frontières européennes est la règle, les décès des personnes exilées constituent des #risques assumés de part et d’autre, la responsabilité de ces morts étant transférée aux premier·e·s concerné·e·s et leurs proches, coupables d’avoir voulu braver l’interdiction de se déplacer, d’avoir exercé leur droit à la mobilité… A leurs risques et périls.

    Au fond, le recul que nous donne ces dernières décennies permet de mettre en lumière que ces décès en migration, passés de « évitables » à « tolérables », puis à « nécessaires » au nom de la protection des frontières européennes, ne sont pas des #cas_isolés, mais bien la conséquence logique de l’extraordinaire latitude donnée aux acteurs du contrôle frontalier au nom de la guerre aux migrant·e·s 2.0. Une dérive qui se banalise dans une #indifférence sidérante, et qui reste impunie à ce jour...

    Le réseau Migreurop continuera d’œuvrer en faveur de la liberté de circulation et d’installation [34] de toutes et tous, seule alternative permettant d’échapper à cette logique criminelle, documentée par nos organisations depuis bien trop longtemps.

    https://migreurop.org/article3211.html
    #nécropolitique #mourir_aux_frontières #morts_aux_frontières #guerre_aux_migrants

  • Les départs du #Sénégal vers les #Canaries : une société en proie au #désespoir économique, à la #répression politique et à l’ingérence européenne

    La #route_Atlantique fait encore la une, avec une forte augmentation des passages dans les dernières semaines : à peu près 4000 personnes sont arrivées aux Canaries en septembre et plus 6 000 dans les deux premières semaines d’octobre. Mais le phénomène sous-jacent se dessine déjà depuis juin : la plupart des embarcations sur la route Atlantique font leur départ au Sénégal. Ainsi cet été 2023 les deux tiers des voyages se sont faits dans des #pirogues venant du Sénégal, et un tiers seulement en provenance du Maroc et du Sahara Occidental.

    „Ces derniers temps nous revivons une situation des départs du Sénégal qui nous rappelle le phénomène “#Barça_ou_Barsakh” en 2006 – 2008 et en 2020/2021. Ce slogan “Barça ou Barsakh” qui signifie „soit on arrive à Barcelone, soit on meurt“ est le reflet du plus grand désespoir“ explique Saliou Diouf de Boza Fii, une organisation sénégalaise qui lutte pour la liberté de circulation.

    La population sénégalaise et surtout la #jeunesse fait face à un dilemme impossible : rester et mourir à petit feu dans la galère, ou partir dans l’espoir d’avoir des probabilités de vivre dignement en Europe. À la profonde #crise_économique (effondrement des moyens de subsistance en raison de la #surpêche des eaux sénégalaises et des conséquences du #changement_climatique) s’ajoute l’#injustice de la politique européenne des #visas qui sont quasi impossibles à obtenir. La crise politique au Sénégal rend la situation catastrophique : de nombreux-euses manifestant-es sont abusé-es et arbitrairements emprisonné-es, il y a même des morts. Cela pousse les jeunes à quitter le pays, en empruntant les moyens les plus risqués.

    Nous exprimons notre colère face à cette situation est nous sommes en deuil pour les centaines de personnes mortes en mer cet été.

    Pourtant, les autorités sénégalaises ne se mobilisient pas en soutien à la popluation mais reproduisent à l’identique le discours européen contre la migration qui vise à criminaliser et réprimer la #liberté_de_circulation. Le gouvernment sénégalais a créé une entité dénommée #CILEC (#Comité_interministériel_de_lutte_contre_l’émigration_clandestine). Ce dernier est constitué en grande partie de personnes gradées de l’armée Sénégalaise. Le 27 juillet, le gouvernment a adopté le plan d’action #SNLMI (#Stratégie_nationale_de_lutte_contre_la_migration_irrégulière_au_Sénégal) qui consiste à traquer des soit-disant 3passeurs que l’on traite de #trafiquants_d’êtres_humains. Le 4 août 2023 des répresentants de l’Union Européene et du gouvernement du Sénégal ont inauguré un grand bâtiment pour abriter la DPAF (Division de la police de l’air et des frontières). Toutes ces mesures sont prises en pleine #crise_politique dans le pays : une honte et un manque de respect envers la population.

    Ces derniers mois, il y a une série d’actes de répression qui montre comment le gouvernment sénégalais cherche à intimider la population entière, et surtout la population migrante. Les autorités utilisent l’armée,la gendarmerie et la police pour étouffer toute situation qui pourrait amener des polémiques dans le pays, ce qui est illustré par la liste suivante :

    - Le 10 juillet, 101 personnes ont prit départ de Fass Boye, à Thies. Plus d’un mois après, 38 survivants ont ête retrouvé à 275km du Cap-Vert, seuls 7 corps ont été retrouvés. Quand le gouvernement sénégalais a décidé de rapatrier seulements les survivants et de laisser les morts au Cap-Vert, les populations de Fass Boye ont manifesté contre cette décision. Après les manifestations, la gendarmerie est revenue à 3h du matin pour rentrer dans les maisons pour attraper des manifestant-es, les frapper, puis les amener au poste de police.
    – Dans la nuit du 9 au 10 août sur la plage de Diokoul Kaw dans la commune Rufisque à Dakar, une centaine de jeunes Sénégalais se préparaient pour un départ vers les îles Canaries. Le groupe attendait la pirogue au bord de la mer, à environ 2h du matin. La police sénégalaise a repéré le groupe et après des tirs en l’air pour disperser la foule, un agent de la gendarmerie a ouvert le feu sur la foule qui remontait vers les maisons. Malheureusementune balle a atteint par derrière un jeune garçon qui est finalement mort sur le coup. Jusqu’à présent, ce dossier est sans suite.
    – Un groupe de 184 personnes a quitté le Sénégal le 20 août et a été intercepté par la Guardia Civil espagnole dans les eaux mauritaniennes, qui a ensuite effectué un refoulement. Le groupe a été mis dans les mains de la marine sénégalaise le 30 août et a subi de nombreuses maltraitances de la part des agents espagnols et sénégalais. En plus, 8 personnes sont sous enquête de la Division nationale de lutte contre le trafic (DNLT) et on les poursuit pour association de malfaiteurs, complicité de trafic de migrants par la voie maritime et mise en danger de la vie d’autrui.
    - Le 18 septembre à Cayar dans la région de Thiès, un groupe de personnes qui embarquait pour partir aux Canaries a été interpellé par la gendarmerie lors du départ. Mais l’arrestation a fini par des affrontements entre les gendarmes et la population. Comme d’habitude, les gendarmes sont arrivés encore plus tard dans la nuit pour rentrer dans les maisons pour attraper, frapper et puis encore amener les gens au poste de police.

    Ces exemples démontrent que la stratégie du gouvernment est de semer la peur avec la #violence pour intimider et dissuader la popluation de partir. Nous dénonçons cette politique que nous jugeons injuste, violante, barbare et autoritaire.

    Dans l’indignation devant la médiocrité de nos gouvernants, nous continuons à voir nos frères et sœurs mourir sur les routes migratoires. Aujourd’hui les départs du Sénégal font l’actualité des médias internationaux, mais les problèmes datent depuis des décennies, voir des siècles et prennent racine dans l’#exploitation_capitaliste des nos resources, la politique néo-coloniale et meurtrière de l’Union Européenne et l’incompétence de nos gouvernments.

    https://alarmphone.org/fr/2023/10/20/les-departs-du-senegal-vers-les-canaries

    #émigration #facteurs-push #push-factors #migrations #asile #réfugiés #intimidation #dissuasion #mourir_aux_frontières #décès #morts_aux_frontières #capitalisme

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  • #Lampedusa : ’Operational emergency,’ not ’migration crisis’

    Thousands of migrants have arrived on Lampedusa from Africa this week, with the EU at odds over what to do with them. DW reports from the Italian island, where locals are showing compassion as conditions worsen.

    Long lines of migrants and refugees, wearing caps and towels to protect themselves from the blistering September sun, sit flanked on either side of a narrow, rocky lane leading to Contrada Imbriacola, the main migrant reception center on the Italian island of Lampedusa.

    Among them are 16-year-old Abubakar Sheriff and his 10-year old brother, Farde, who fled their home in Sierra Leone and reached Lampedusa by boat from Tunisia.

    “We’ve been on this island for four days, have been sleeping outside and not consumed much food or water. We’ve been living on a couple of biscuits,” Abubakar told DW. “There were 48 people on the boat we arrived in from Tunisia on September 13. It was a scary journey and I saw some other boats capsizing. But we got lucky.”

    Together with thousands of other migrants outside the reception center, they’re waiting to be put into police vans headed to the Italian island’s port. They will then be transferred to Sicily and other parts of Italy for their asylum claims to be processed, as authorities in Lampedusa say they have reached “a tipping point” in migration management.
    Not a ’migration crisis for Italy,’ but an ’operational emergency’

    More than 7,000 migrants arrived in Lampedusa on flimsy boats from Tunisia earlier this week, leading the island’s mayor, Filippo Mannino, to declare a state of emergency and tell local media that while migrants have always been welcomed, this time Lampedusa “is in crisis.”

    In a statement released on Friday, Italian Prime Minister Giorgia Meloni said her government intends to take “immediate extraordinary measures” to deal with the landings. She said this could include a European mission to stop arrivals, “a naval mission if necessary.” But Lampedusa, with a population of just 6,000 and a reception center that has a capacity for only 400 migrants, has more immediate problems.

    Flavio Di Giacomo, spokesperson for the UN’s International Organization for Migration (IOM), told DW that while the new arrivals have been overwhelming for the island, this is not a “migration crisis for Italy.”

    “This is mainly an operational emergency for Lampedusa, because in 2015-2016, at the height of Europe’s migration crisis, only 8% of migrants arrived in Lampedusa. The others were rescued at sea and transported to Sicily to many ports there,” he said. “This year, over 70% of arrivals have been in Lampedusa, with people departing from Tunisia, which is very close to the island.”

    Di Giacomo said the Italian government had failed to prepare Lampedusa over the past few years. “The Italian government had time to increase the reception center’s capacity after it was set up in 2008,” he said. “Migration is nothing new for the country.”
    Why the sudden increase?

    One of Italy’s Pelagie Islands in the Mediterranean, Lampedusa has been the first point of entry to Europe for people fleeing conflict, poverty and war in North Africa and the Middle East for years, due to its geographical proximity to those regions. But the past week’s mass arrival of migrants caught local authorities off guard.

    “We have never seen anything like what we saw on Wednesday,” said a local police officer near the asylum reception center.

    Showing a cellphone video of several small boats crammed with people arriving at the Lampedusa port, he added, “2011 was the last time Lampedusa saw something like this.” When the civil war in Libya broke out in 2011, many people fled to Europe through Italy. At the time, Rome declared a “North Africa emergency.”

    Roberto Forin, regional coordinator for Europe at the Mixed Migration Centre, a research center, said the recent spike in arrivals likely had one main driving factor. “According to our research with refugees and migrants in Tunisia, the interceptions by Tunisian coast guards of boats leaving toward Italy seems to have decreased since the signing of the Memorandum of Understanding in mid-July between the European Union and Tunisia,” he said. “But the commission has not yet disbursed the €100 million ($106.6 million) included in the deal.”

    The EU-Tunisia deal is meant to prevent irregular migration from North Africa and has been welcomed by EU politicians, including Meloni. But rights groups have questioned whether it will protect migrants. Responding to reporters about the delayed disbursement of funds, the European Commission said on Friday that the disbursement was still a “work in progress.”

    IOM’s Giacomo said deals between the EU and North African countries aren’t the answer. “It is a humanitarian emergency right now because migrants are leaving from Tunisia, because many are victims of racial discrimination, assault, and in Libya as well, their rights are being abused,” he said. "Some coming from Tunisia are also saying they are coming to Italy to get medical care because of the economic crisis there.

    “The solution should be to organize more search-and-rescue at sea, to save people and bring them to safety,” he added. “The focus should be on helping Lampedusa save the migrants.”

    A group of young migrants from Mali who were sitting near the migrant reception center, with pink tags on their hands indicating the date of their arrival, had a similar view.

    “We didn’t feel safe in Tunisia,” they told DW. “So we paid around €750 to a smuggler in Sfax, Tunisia, who then gave us a dinghy and told us to control it and cross the sea toward Europe. We got to Italy but we don’t want to stay here. We want to go to France and play football for that country.”
    Are other EU nations helping?

    At a press briefing in Brussels on Wednesday, the European Commission said that 450 staff from Europol, Frontex and the European Union Agency for Asylum have been deployed to the island to assist Italian authorities, and €40 million ($42.6 million) has been provided for transport and other infrastructure needed for to handle the increase in migrant arrivals.

    But Italian authorities have said they’re alone in dealing with the migrants, with Germany restricting Italy from transferring migrants and France tightening its borders with the country.

    Lampedusa Deputy Mayor Attilio Lucia was uncompromising: “The message that has to get through is that Europe has to wake up because the European Union has been absent for 20 years. Today we give this signal: Lampedusa says ’Enough’, the Lampedusians have been suffering for 20 years and we are psychologically destroyed,” he told DW.

    “I understand that this was done mostly for internal politics, whereby governments in France and Germany are afraid of being attacked by far-right parties and therefore preemptively take restrictive measures,” said Forin. “On the other hand, it is a measure of the failure of the EU to mediate a permanent and sustainable mechanism. When solidarity is left to voluntary mechanisms between states there is always a risk that, when the stakes are high, solidarity vanishes.”

    Local help

    As politicians and rights groups argue over the right response, Lampedusa locals like Antonello di Malta and his mother feel helping people should be the heart of any deal.

    On the night more than 7,000 people arrived on the island, di Malta said his mother called him saying some migrants had come to their house begging for food. “I had to go out but I didn’t feel comfortable hearing about them from my mother. So I came home and we started cooking spaghetti for them. There were 10 of them,” he told DW, adding that he was disappointed with how the government was handling the situation.

    “When I saw them I thought about how I would have felt if they were my sons crying and asking for food,” said Antonello’s mother. “So I started cooking for them. We Italians were migrants too. We used to also travel from north to south. So we can’t get scared of people and we need to help.”

    Mohammad still has faith in the Italian locals helping people like him. “I left horrible conditions in Gambia. It is my first time in Europe and local people here have been nice to me, giving me a cracker or sometimes even spaghetti. I don’t know where I will be taken next, but I have not lost hope,” he told DW.

    “I stay strong thinking that one day I will play football for Italy and eventually, my home country Gambia,” he said. “That sport gives me joy through all this hardship.”

    https://www.dw.com/en/lampedusa-operational-emergency-not-migration-crisis/a-66830589

    #débarquements #asile #migrations #réfugiés #Italie #crise #compassion #transferts #urgence_opérationnelle #crise_migratoire #Europol #Frontex #Agence_de_l'Union_européenne_pour_l'asile (#EUEA #EUAA) #solidarité

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    • The dance that give life’
      Upon Lampedusa’s rocky shore they came,
      From Sub-Saharan lands, hearts aflame,
      Chasing dreams, fleeing despair,
      In search of a life that’s fair.

      Hunger gnawed, thirst clawed, bodies beat,
      Brutality’s rhythm, a policeman’s merciless feat,
      Yet within their spirits, a melody stirred,
      A refuge in humour where hope’s not deferred.

      Their laughter echoed ’cross the tiny island,
      In music and dance, they made a home,
      In the face of adversity, they sang their songs,
      In unity and rhythm, they proved their wrongs.

      A flood of souls, on Lampedusa’s strand,
      Ignited debates across the land,
      Politicians’ tongues twisted in spite,
      Racist rhetoric veiled as right.

      Yet, the common people, with curious gaze,
      Snared in the web of fear’s daze,
      Chose not to see the human plight,
      But the brainwash of bigotry’s might.

      Yet still, the survivor’s spirit shines bright,
      In the face of inhumanity, they recite,
      Their music, their dance, their undying humour,
      A testament to resilience, amid the rumour and hate.

      For they are not just numbers on a page,
      But humans, life stories, not a stage,
      Their journey not over, their tale still unspun,
      On the horizon, a new day begun.

      Written by @Yambiodavid

      https://twitter.com/RefugeesinLibya/status/1702595772603138331
      #danse #fête

    • L’imbroglio del governo oltre la propaganda

      Le politiche europee e italiane di esternalizzazione dei controlli di frontiera con il coinvolgimento di paesi terzi, ritenuti a torto “sicuri”, sono definitivamente fallite.

      La tragedia umanitaria in corso a Lampedusa, l’ennesima dalle “primavere arabe” del 2011 ad oggi, dimostra che dopo gli accordi di esternalizzazione, con la cessione di motovedette e con il supporto alle attività di intercettazione in mare, in collaborazione con Frontex, come si è fatto con la Tunisia e con la Libia (o con quello che ne rimane come governo di Tripoli), le partenze non diminuiscono affatto, ed anzi, fino a quando il meteo lo permette, sono in continuo aumento.

      Si sono bloccate con i fermi amministrativi le navi umanitarie più grandi, ma questo ha comportato un aumento degli “arrivi autonomi” e l’impossibilità di assegnare porti di sbarco distribuiti nelle città più grandi della Sicilia e della Calabria, come avveniva fino al 2017, prima del Codice di condotta Minniti e dell’attacco politico-giudiziario contro il soccorso civile.

      La caccia “su scala globale” a trafficanti e scafisti si è rivelata l’ennesimo annuncio propagandistico, anche se si dà molta enfasi alla intensificazione dei controlli di polizia e agli arresti di presunti trafficanti ad opera delle autorità di polizia e di guardia costiera degli Stati con i quali l’Italia ha stipulato accordi bilaterali finalizzati al contrasto dell’immigrazione “clandestina”. Se Salvini ha le prove di una guerra contro l’Italia, deve esibirle, altrimenti pensi al processo di Palermo sul caso Open Arms, per difendersi sui fatti contestati, senza sfruttare il momento per ulteriori sparate propagandistiche.

      Mentre si riaccende lo scontro nella maggioranza, è inutile incolpare l’Unione europea, dopo che la Meloni e Piantedosi hanno vantato di avere imposto un “cambio di passo” nelle politiche migratorie dell’Unione, mente invece hanno solo rafforzato accordi bilaterali già esistenti.

      Le politiche europee e italiane di esternalizzazione dei controlli di frontiera con il coinvolgimento di paesi terzi, ritenuti a torto “sicuri”, sono definitivamente fallite, gli arrivi delle persone che fuggono da aree geografiche sempre più instabili, per non parlare delle devastazioni ambientali, non sono diminuiti per effetto degli accordi bilaterali o multilaterali con i quali si è cercato di offrire aiuti economici in cambio di una maggiore collaborazione sulle attività di polizia per la sorveglianza delle frontiere. Dove peraltro la corruzione, i controlli mortali, se non gli abusi sulle persone migranti, si sono diffusi in maniera esponenziale, senza che alcuna autorità statale si dimostrasse in grado di fare rispettare i diritti fondamentali e le garanzie che dovrebbe assicurare a qualsiasi persona uno Stato democratico quando negozia con un paese terzo. Ed è per questa ragione che gli aiuti previsti dal Memorandum Tunisia-Ue non sono ancora arrivati e il Piano Mattei per l’Africa, sul quale Meloni e Piantedosi hanno investito tutte le loro energie, appare già fallito.

      Di fronte al fallimento sul piano internazionale è prevedibile una ulteriore stretta repressiva. Si attende un nuovo pacchetto sicurezza, contro i richiedenti asilo provenienti da paesi terzi “sicuri” per i quali, al termine di un sommario esame delle domande di protezione durante le “procedure accelerate in frontiera”, dovrebbero essere previsti “rimpatri veloci”. Come se non fossero certi i dati sul fallimento delle operazioni di espulsione e di rimpatrio di massa.

      Se si vogliono aiutare i paesi colpiti da terremoti e alluvioni, ma anche quelli dilaniati da guerre civili alimentate dalla caccia alle risorse naturali di cui è ricca l’Africa, occorrono visti umanitari, evacuazione dei richiedenti asilo presenti in Libia e Tunisia, ma anche in Niger, e sospensione immediata di tutti gli accordi stipulati per bloccare i migranti in paesi dove non si garantisce il rispetto dei diritti umani. Occorre una politica estera capace di mediare i conflitti e non di aggravarne gli esiti. Vanno aperti canali legali di ingresso senza delegare a paesi terzi improbabili blocchi navali. Per salvare vite, basta con la propaganda elettorale.

      https://ilmanifesto.it/limbroglio-del-governo-oltre-la-propaganda/r/2aUycOowSerL2VxgLCD9N

    • The fall of the Lampedusa Hotspot, people’s freedom and locals’ solidarity

      https://2196af27df.clvaw-cdnwnd.com/1b76f9dfff36cde79df962be70636288/200000912-464e9464ec/DSC09012.webp?ph=2196af27df

      A few weeks ago, the owner of one of the bars in the old port, was talking about human trafficking and money laundering between institutions and NGOs in relation to what had happened during that day. It was the evening of Thursday 24 August and Lampedusa had been touched by yet another ’exceptional’ event: 64 arrivals in one day. Tonight, in that same bar in the old port, a young Tunisian boy was sitting at a table and together with that same owner, albeit in different languages, exchanging life stories.

      What had been shaken in Lampedusa, in addition to the collapse of the Hotspot , is the collapse of the years long segregation system, which had undermined anypotential encounter with newly arrived people. A segregation that also provided fertile ground for conspiracy theories about migration, reducing people on the move to either victims or perpetrators of an alleged ’migration crisis’.

      Over the past two days, however, without police teams in manhunt mode, Lampedusa streets, public spaces, benches and bars, have been filled with encounters, conversations, pizzas and coffees offered by local inhabitants. Without hotspots and segregation mechanisms, Lampedusa becomes a space for enriching encounters and spontaneus acts of solidarity between locals and newly arrived people. Trays of fish ravioli, arancini, pasta, rice and couscous enter the small room next to the church, where volunteers try to guarantee as many meals as possible to people who, taken to the hotspot after disembarkation, had been unable to access food and water for three days. These scenes were unthinkable only a few days before. Since the beginning of the pandemic, which led to the end of the era of the ’hotspot with a hole’, newly-arrived people could not leave the detention centre, and it became almost impossible to imagine an open hotspot, with people walking freely through the city. Last night, 14 September, on Via Roma, groups of people who would never have met last week danced together with joy and complicity.

      These days, practice precedes all rhetoric, and what is happening shows that Lampedusa can be a beautiful island in the Mediterranean Sea rather than a border, that its streets can be a place of welcoming and encounter without a closed centre that stifles any space for self-managed solidarity.

      The problem is not migration but the mechanism used to manage it.

      The situation for the thousands of people who have arrived in recent days remains worrying and precarious. In Contrada Imbriacola, even tonight, people are sleeping on the ground or on cots next to the buses that will take them to the ships for transfers in the morning. Among the people, besides confusion and misinformation, there is a lot of tiredness and fatigue. There are many teenagers and adolescents and many children and pregnant women. There are no showers or sanitary facilities, and people still complain about the inaccessibility of food and water; the competitiveness during food distributions disheartens many because of the tension involved in queuing. The fights that broke out two days ago are an example of this, and since that event most of the workers of all the associations present in the centre have been prevented from entering for reasons of security and guaranteeing their safety.

      If the Red Cross and the Prefecture do not want to admit their responsibilities, these are blatant before our eyes and it is not only the images of 7000 people that prove this, but the way situations are handled due to an absolute lack of personnel and, above all, confusion at organisational moments.

      https://2196af27df.clvaw-cdnwnd.com/1b76f9dfff36cde79df962be70636288/200000932-250b0250b2/DSC08952-8.webp?ph=2196af27df

      A police commissioner tried unsuccessfully to get only a few people into the bus. The number and determination to leave of the newly arrived people is reformulating the very functioning of the transfers.

      A police commissioner tried unsuccessfully to get only a few people into the bus. The number and determination to leave of the newly arrived people is reformulating the very functioning of the transfers.

      During transfers yesterday morning, the carabinieri charged to move people crowded around a departing bus. The latter, at the cost of moving, performed a manoeuvre that squeezed the crowd against a low wall, creating an extremely dangerous situation ( video). All the people who had been standing in line for hours had to move chaotically, creating a commotion from which a brawl began in which at least one person split his eyebrow. Shortly before, one of the police commissioners had tried something different by creating a human caterpillar - people standing in line with their hands on their shoulders - in order to lead them into a bus, but once the doors were opened, other people pounced into it literally jamming it (photo). In other words, people are trudging along at the cost of others’ psycho-physical health.

      In yesterday evening’s transfer on 14 September (photo series with explanation), 300 people remained at the commercial dock from the morning to enter the Galaxy ship at nine o’clock in the evening. Against these 300 people, just as many arrived from the hotspot to board the ship or at least to try to do so.

      The tension, especially among those in control, was palpable; the marshals who remained on the island - the four patrols of the police force were all engaged for the day’s transfers - ’lined up’ between one group and another with the aim of avoiding any attempt to jump on the ship. In reality, people, including teenagers and families with children, hoped until the end to board the ship. No one told them otherwise until all 300 people passed through the only door left open to access the commercial pier. These people were promised that they would leave the next day. Meanwhile, other people from the hotspot have moved to the commercial pier and are spending the night there.

      People are demanding to leave and move freely. Obstructing rather than supporting this freedom of movement will lead people and territories back to the same impasses they have regularly experienced in recent years. The hotspot has collapsed, but other forms of borders remain that obstruct something as simple as personal self-determination. Forcing is the source of all problems, not freedom.

      Against all forms of borders, for freedom of movement for all.

      https://www.maldusa.org/l/the-fall-of-the-lampedusa-hotspot-people-s-freedom-and-locals-solidarity

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      #Video: Lampedusa on the 14th September

      –-> https://vimeo.com/864806349

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      #Lampedusa #hotspot #soilidarity #Maldusa

    • Lampedusa’s Hotspot System: From Failure to Nonexistence

      After a few days of bad weather, with the return of calm seas, people on the move again started to leave and cross the Mediterranean from Tunisia and Libya.

      During the day of 12 September alone, 110 iron, wooden and rubber boats arrived. 110 small boats, for about 5000 people in twenty-four hours. Well over the ’record’ of 60 that had astonished many a few weeks ago. Numbers not seen for years, and which add up to the approximately 120,000 people who have reached Italy since January 2023 alone: already 15,000 more than the entire year 2022.

      It has been a tense few days at the Favaloro pier, where people have been crowded for dozens of hours under the scorching sun.

      Some, having passed the gates and some rocks, jumped into the water in an attempt to find some coolness, reaching some boats at anchor and asking for water to drink.

      It pains and angers us that the police in riot gear are the only real response that seems to have been given.

      On the other hand, hundreds of people, who have arrived in the last two days on the Lampedusa coast, are walking through the streets of the town, crossing and finally reclaiming public space. The hotspot, which could accommodate 389, in front of 7000 people, has simply blown up. That is, it has opened.

      The square in front of the church was transformed, as it was years ago, into a meeting place where locals organised the distribution of food they had prepared, thanks also to the solidarity of bakers and restaurateurs who provided what they could.

      A strong and fast wave of solidarity: it seems incredible to see people on the move again, sharing space, moments and words with Lampedusians, activists from various organisations and tourists. Of course, there is also no shortage of sad and embarrassing situations, in which some tourists - perhaps secretly eager to meet ’the illegal immigrants’ - took pictures of themselves capturing these normally invisible and segregated chimeras.

      In fact, all these people would normally never meet, kept separate and segregated by the hotspot system.

      But these days a hotspot system seems to no longer exist, or to have completely broken down, in Lampedusa. It has literally been occupied by people on the move, sleeping inside and outside the centre, on the road leading from the entrance gate to the large car park, and in the abandoned huts around, and in every nook and cranny.

      Basic goods, such as water and food, are not enough. Due to the high number of people, there is a structural lack of distribution even of the goods that are present, and tensions seem to mount slowly but steadily.

      The Red Cross and workers from other organisations have been prevented from entering the hotspot centre for ’security reasons’ since yesterday morning. This seems an overwhelming situation for everyone. The pre-identification procedures, of course, are completely blown.

      Breaking out of this stalemate it’s very complex due to the continuous flow of arrivals : for today, as many as 2000 people are expected to be transferred between regular ships and military assets. For tomorrow another 2300 or so. Of course, it remains unpredictable how many people will continue to reach the island at the same time.

      In reaction to all this, we are not surprised, but again disappointed, that the city council is declaring a state of emergency still based on the rhetoric of ’invasion’.

      A day of city mourning has also been declared for the death of a 5-month-old baby, who did not survive the crossing and was found two days ago during a rescue.

      We are comforted, however, that a torchlight procession has been called by Lampedusians for tonight at 8pm. Banners read: ’STOP DEAD AT SEA’, ’LEGAL ENTRANCE CHANNELS NOW’.

      The Red Cross, Questura and Prefecture, on the other hand, oscillate between denying the problem - ’we are handling everything pretty well’ - to shouting at the invasion.

      It is not surprising either, but remains a disgrace, that the French government responds by announcing tighter border controls and that the German government announces in these very days - even though the decision stems from agreements already discussed in August regarding the Dublin Convention - that it will suspend the taking in of any refugee who falls under the so-called ’European solidarity mechanism’.

      We are facing a new level of breaking down the European borders and border regime by people on the move in the central Mediterranean area.

      We stand in full solidarity with them and wish them safe arrival in their destination cities.

      But let us remember: every day they continue to die at sea, which proves to be the deadliest border in the world. And this stems from a political choice, which remains intolerable and unacceptable.

      Freedom of movement must be a right for all!

      https://www.maldusa.org/l/lampedusas-hotspot-system-from-failure-to-nonexistence

    • « L’effet Lampedusa », ou comment se fabriquent des politiques migratoires répressives

      En concentrant les migrants dans des hotspots souvent situés sur de petites îles, les Etats européens installent une gestion inhumaine et inefficace des migrations, contradictoire avec certains de leurs objectifs, soulignent les chercheuses #Marie_Bassi et #Camille_Schmoll.

      Depuis quelques jours, la petite île de Lampedusa en Sicile a vu débarquer sur son territoire plus de migrants que son nombre d’habitants. Et comme à chacun de ces épisodes d’urgence migratoire en Europe, des représentants politiques partent en #croisade : pour accroître leur capital électoral, ils utilisent une #rhétorique_guerrière tandis que les annonces de #fermeture_des_frontières se succèdent. Les #élections_européennes approchent, c’est pour eux l’occasion de doubler par la droite de potentiels concurrents.

      Au-delà du cynisme des #opportunismes_politiques, que nous dit l’épisode Lampedusa ? Une fois de plus, que les #politiques_migratoires mises en place par les Etats européens depuis une trentaine d’années, et de manière accélérée depuis 2015, ont contribué à créer les conditions d’une #tragédie_humanitaire. Nous avons fermé les #voies_légales d’accès au territoire européen, contraignant des millions d’exilés à emprunter la périlleuse route maritime. Nous avons laissé les divers gouvernements italiens criminaliser les ONG qui portent secours aux bateaux en détresse, augmentant le degré de létalité de la traversée maritime. Nous avons collaboré avec des gouvernements irrespectueux des droits des migrants : en premier lieu la Libye, que nous avons armée et financée pour enfermer et violenter les populations migrantes afin de les empêcher de rejoindre l’Europe.

      L’épisode Lampedusa n’est donc pas simplement un drame humain : c’est aussi le symptôme d’une politique migratoire de courte vue, qui ne comprend pas qu’elle contribue à créer les conditions de ce qu’elle souhaite éviter, en renforçant l’instabilité et la violence dans les régions de départ ou de transit, et en enrichissant les réseaux criminels de trafic d’êtres humains qu’elle prétend combattre.

      Crise de l’accueil, et non crise migratoire

      Revenons d’abord sur ce que l’on peut appeler l’effet hotspot. On a assisté ces derniers mois à une augmentation importante des traversées de la Méditerranée centrale vers l’Italie, si bien que l’année 2023 pourrait, si la tendance se confirme, se hisser au niveau des années 2016 et 2017 qui avaient battu des records en termes de traversées dans cette zone. C’est bien entendu cette augmentation des départs qui a provoqué la surcharge actuelle de Lampedusa, et la situation de crise que l’on observe.

      Mais en réalité, les épisodes d’urgence se succèdent à Lampedusa depuis que l’île est devenue, au début des années 2000, le principal lieu de débarquement des migrants dans le canal de Sicile. Leur interception et leur confinement dans le hotspot de cette île exiguë de 20 km² renforce la #visibilité du phénomène, et crée un #effet_d’urgence et d’#invasion qui justifie une gestion inhumaine des arrivées. Ce fut déjà le cas en 2011 au moment des printemps arabes, lorsque plus de 60 000 personnes y avaient débarqué en quelques mois. Le gouvernement italien avait stoppé les transferts vers la Sicile, créant volontairement une situation d’#engorgement et de #crise_humanitaire. Les images du centre surpeuplé, de migrants harassés dormant dans la rue et protestant contre cet accueil indigne avaient largement été diffusées par les médias. Elles avaient permis au gouvernement italien d’instaurer un énième #état_d’urgence et de légitimer de nouvelles #politiques_répressives.

      Si l’on fait le tour des hotspots européens, force est de constater la répétition de ces situations, et donc l’échec de la #concentration dans quelques points stratégiques, le plus souvent des #îles du sud de l’Europe. L’#effet_Lampedusa est le même que l’effet #Chios ou l’effet #Moria#Lesbos) : ces #îles-frontières concentrent à elles seules, parce qu’elles sont exiguës, toutes les caractéristiques d’une gestion inhumaine et inefficace des migrations. Pensée en 2015 au niveau communautaire mais appliquée depuis longtemps dans certains pays, cette politique n’est pas parvenue à une gestion plus rationnelle des flux d’arrivées. Elle a en revanche fait peser sur des espaces périphériques et minuscules une énorme responsabilité humaine et une lourde charge financière. Des personnes traumatisées, des survivants, des enfants de plus en plus jeunes, sont accueillis dans des conditions indignes. Crise de l’accueil et non crise migratoire comme l’ont déjà montré de nombreuses personnes.

      Changer de paradigme

      Autre #myopie européenne : considérer qu’on peut, en collaborant avec les Etats de transit et de départ, endiguer les flux. Cette politique, au-delà de la vulnérabilité qu’elle crée vis-à-vis d’Etats qui peuvent user du chantage migratoire à tout moment – ce dont Kadhafi et Erdogan ne s’étaient pas privés – génère les conditions mêmes du départ des personnes en question. Car l’#externalisation dégrade la situation des migrants dans ces pays, y compris ceux qui voudraient y rester. En renforçant la criminalisation de la migration, l’externalisation renforce leur #désir_de_fuite. Depuis de nombreuses années, migrantes et migrants fuient les prisons et la torture libyennes ; ou depuis quelques mois, la violence d’un pouvoir tunisien en plein tournant autoritaire qui les érige en boucs émissaires. L’accord entre l’UE et la Tunisie, un énième du genre qui conditionne l’aide financière à la lutte contre l’immigration, renforce cette dynamique, avec les épisodes tragiques de cet été, à la frontière tuniso-libyenne.

      Lampedusa nous apprend qu’il est nécessaire de changer de #paradigme, tant les solutions proposées par les Etats européens (externalisation, #dissuasion, #criminalisation_des_migrations et de leurs soutiens) ont révélé au mieux leur #inefficacité, au pire leur caractère létal. Ils contribuent notamment à asseoir des régimes autoritaires et des pratiques violentes vis-à-vis des migrants. Et à transformer des êtres humains en sujets humanitaires.

      https://www.liberation.fr/idees-et-debats/tribunes/leffet-lampedusa-ou-comment-se-fabriquent-des-politiques-migratoires-repr

    • Pour remettre les pendules à l’heure :

      Saluti dal Paese del “fenomeno palesemente fuori controllo”.


      https://twitter.com/emmevilla/status/1703458756728610987

      Et aussi :

      « Les interceptions des migrants aux frontières représentent 1 à 3% des personnes autorisées à entrer avec un visa dans l’espace Schengen »

      Source : Babels, « Méditerranée – Des frontières à la dérive », https://www.lepassagerclandestin.fr/catalogue/bibliotheque-des-frontieres/mediterraneedes-frontieres-a-la-derive

      #statistiques #chiffres #étrangers #Italie

    • Arrivées à Lampedusa - #Solidarité et #résistance face à la crise de l’accueil en Europe.

      Suite à l’arrivée d’un nombre record de personnes migrantes à Lampedusa, la société civile exprime sa profonde inquiétude face à la réponse sécuritaire des Etats européens, la crise de l’accueil et réaffirme sa solidarité avec les personnes qui arrivent en Europe.

      Plus de 5 000 personnes et 112 bateaux : c’est le nombre d’arrivées enregistrées sur l’île italienne de Lampedusa le mardi 12 septembre. Les embarcations, dont la plupart sont arrivées de manière autonome, sont parties de Tunisie ou de Libye. Au total, plus de 118 500 personnes ont atteint les côtes italiennes depuis le début de l’année, soit près du double des 64 529 enregistrées à la même période en 2022 [1]. L’accumulation des chiffres ne nous fait pas oublier que, derrière chaque numéro, il y a un être humain, une histoire individuelle et que des personnes perdent encore la vie en essayant de rejoindre l’Europe.

      Si Lampedusa est depuis longtemps une destination pour les bateaux de centaines de personnes cherchant refuge en Europe, les infrastructures d’accueil de l’île font défaut. Mardi, le sauvetage chaotique d’un bateau a causé la mort d’un bébé de 5 mois. Celui-ci est tombé à l’eau et s’est immédiatement noyé, alors que des dizaines de bateaux continuaient d’accoster dans le port commercial. Pendant plusieurs heures, des centaines de personnes sont restées bloquées sur la jetée, sans eau ni nourriture, avant d’être transférées vers le hotspot de Lampedusa.

      Le hotspot, centre de triage où les personnes nouvellement arrivées sont tenues à l’écart de la population locale et pré-identifiées avant d’être transférées sur le continent, avec ses 389 places, n’a absolument pas la capacité d’accueillir dignement les personnes qui arrivent quotidiennement sur l’île. Depuis mardi, le personnel du centre est complètement débordé par la présence de 6 000 personnes. La Croix-Rouge et le personnel d’autres organisations ont été empêchés d’entrer dans le centre pour des « raisons de sécurité ».

      Jeudi matin, de nombreuses personnes ont commencé à s’échapper du hotspot en sautant les clôtures en raison des conditions inhumaines dans lesquelles elles y étaient détenues. Face à l’incapacité des autorités italiennes à offrir un accueil digne, la solidarité locale a pris le relais. De nombreux habitants et habitantes se sont mobilisés pour organiser des distributions de nourriture aux personnes réfugiées dans la ville [2].

      Différentes organisations dénoncent également la crise politique qui sévit en Tunisie et l’urgence humanitaire dans la ville de Sfax, d’où partent la plupart des bateaux pour l’Italie. Actuellement, environ 500 personnes dorment sur la place Beb Jebli et n’ont pratiquement aucun accès à la nourriture ou à une assistance médicale [3]. La plupart d’entre elles ont été contraintes de fuir le Soudan, l’Éthiopie, la Somalie, le Tchad, l’Érythrée ou le Niger. Depuis les déclarations racistes du président tunisien, Kais Saied, de nombreuses personnes migrantes ont été expulsées de leur domicile et ont perdu leur travail [4]. D’autres ont été déportées dans le désert où certaines sont mortes de soif.

      Alors que ces déportations massives se poursuivent et que la situation à Sfax continue de se détériorer, l’UE a conclu un nouvel accord avec le gouvernement tunisien il y a trois mois afin de coopérer « plus efficacement en matière de migration », de gestion des frontières et de « lutte contre la contrebande », au moyen d’une enveloppe de plus de 100 millions d’euros. L’UE a accepté ce nouvel accord en pleine connaissance des atrocités commises par le gouvernement tunisien ainsi que les attaques perpétrées par les garde-côtes tunisiens sur les bateaux de migrants [5].

      Pendant ce temps, nous observons avec inquiétude comment les différents gouvernements européens ferment leurs frontières et continuent de violer le droit d’asile et les droits humains les plus fondamentaux. Alors que le ministre français de l’Intérieur a annoncé son intention de renforcer les contrôles à la frontière italienne, plusieurs autres États membres de l’UE ont également déclaré qu’ils fermeraient leurs portes. En août, les autorités allemandes ont décidé d’arrêter les processus de relocalisation des demandeurs et demandeuses d’asile arrivant en Allemagne depuis l’Italie dans le cadre du « mécanisme de solidarité volontaire » [6].

      Invitée à Lampedusa dimanche par la première ministre Meloni, la Présidente de la Commission européenne Von der Leyen a annoncé la mise en place d’un plan d’action en 10 points qui vient confirmer cette réponse ultra-sécuritaire [7]. Renforcer les contrôles en mer au détriment de l’obligation de sauvetage, augmenter la cadence des expulsions et accroître le processus d’externalisation des frontières… autant de vieilles recettes que l’Union européenne met en place depuis des dizaines années et qui ont prouvé leur échec, ne faisant qu’aggraver la crise de la solidarité et la situation des personnes migrantes.

      Les organisations soussignées appellent à une Europe ouverte et accueillante et exhortent les États membres de l’UE à fournir des voies d’accès sûres et légales ainsi que des conditions d’accueil dignes. Nous demandons que des mesures urgentes soient prises à Lampedusa et que les lois internationales qui protègent le droit d’asile soient respectées. Nous sommes dévastés par les décès continus en mer causés par les politiques frontalières de l’UE et réaffirmons notre solidarité avec les personnes en mouvement.

      https://migreurop.org/article3203.html?lang_article=fr

    • Che cos’è una crisi migratoria?

      Continuare a considerare il fenomeno migratorio come crisi ci allontana sempre più dalla sua comprensione, mantenendoci ancorati a soluzioni emergenziali che non possono che risultare strumentali e pericolose
      Le immagini della fila di piccole imbarcazioni in attesa di fare ingresso nel porto di Lampedusa resteranno impresse nella nostra memoria collettiva. Oltre cinquemila persone in sole ventiquattrore, che si aggiungono alle oltre centomila giunte in Italia nei mesi precedenti (114.256 al 31 agosto 2023). Nel solo mese di agosto sono sbarcate in Italia più di venticinquemila persone, che si aggiungono alle oltre ventitremila di luglio. Era del resto in previsione di una lunga estate di sbarchi che il Governo aveva in aprile dichiarato lo stato di emergenza, in un momento in cui, secondo i dati forniti dal ministro Piantedosi, nella sola Lampedusa erano concentrate più di tremila persone. Stando alle dichiarazioni ufficiali, l’esigenza era quella di dotarsi degli strumenti tecnici per distribuire più efficacemente chi era in arrivo sul territorio italiano, in strutture gestite dalla Protezione civile, aggirando le ordinarie procedure d’appalto per l’apertura di nuove strutture di accoglienza.

      Tra il 2017 e il 2022, in parallelo con la riduzione del numero di sbarchi, il sistema d’accoglienza per richiedenti protezione internazionale era stato progressivamente contratto, perdendo circa il 240% della sua capacità ricettiva. Gli interventi dei primi mesi del 2023 sembravano tuttavia volerne rivoluzionare la fisionomia. Il cosiddetto “Decreto Cutro” escludeva i richiedenti asilo dalla possibilità di accedere alle strutture di accoglienza che fanno capo alla rete Sai (Sistema accoglienza migrazione), che a fine 2022 vantava una capacità di quasi venticinquemila posti, per riservare loro strutture come i grandi Centri di prima accoglienza o di accoglienza straordinaria, in cui sempre meno servizi alla persona sarebbero stati offerti. Per i richiedenti provenienti dai Paesi considerati “sicuri”, invece, la prospettiva era quella del confinamento in strutture situate nei pressi delle zone di frontiera in attesa dell’esito della procedura d’asilo accelerata e, eventualmente, del rimpatrio immediato.

      L’impennata nel numero di arrivi registrata negli ultimi giorni ha infine indotto il presidente del Consiglio ad annunciare con un videomessaggio trasmesso all’ora di cena nuove misure eccezionali. In particolare, sarà affidato all’Esercito il compito di creare e gestire nuove strutture detentive in cui trattenere “chiunque entri illegalmente in Italia per tutto il tempo necessario alla definizione della sue eventuale richiesta d’asilo e per la sua effettiva espulsione nel caso in cui sia irregolare”, da collocarsi “in località a bassissima densità abitativa e facilmente perimetrabili e sorvegliabili”. Parallelamente, anche i termini massimi di detenzione saranno innalzati fino a diciotto mesi.

      Ciò di cui nessuno sembra dubitare è che l’Italia si trovi a fronteggiare l’ennesima crisi migratoria. Ma esattamente, di cosa si parla quando si usa la parola “crisi” in relazione ai fenomeni migratori?

      Certo c’è la realtà empirica dei movimenti attraverso le frontiere. Oltre centomila arrivi in otto mesi giustificano forse il riferimento al concetto di crisi, ma a ben vedere non sono i numeri il fattore determinante. Alcune situazioni sono state definite come critiche anche in presenza di numeri tutto sommato limitati, per ragioni essenzialmente politico-diplomatiche. Si pensi alla crisi al confine greco-turco nel 2020, o ancora alla crisi ai confini di Polonia e Lituania con la Bielorussia nel 2021. In altri casi il movimento delle persone attraverso i confini non è stato tematizzato come una crisi anche a fronte di numeri molto elevati, si pensi all’accoglienza riservata ai profughi ucraini. Sebbene siano stati attivati strumenti di risposta eccezionali, il loro orientamento è stato prevalentemente umanitario e volto all’accoglienza. L’Italia, ad esempio, ha sì decretato uno stato d’emergenza per implementare un piano di accoglienza straordinaria dei profughi provenienti dall’Ucraina, ma ha offerto accoglienza agli oltre centosettantamila ucraini presenti sul nostro territorio senza pretendere di confinarli in centri chiusi, concedendo inoltre loro un sussidio in denaro.

      Ciò che conta è la rappresentazione del fenomeno migratorio e la risposta politica che di conseguenza segue. Le rappresentazioni e le politiche si alimentano reciprocamente. In breve, non tutti i fenomeni migratori sono interpretati come una crisi, né, quando lo sono, determinano la medesima risposta emergenziale. Ad esempio, all’indomani della tragedia di Lampedusa del 2013 prevalse un paradigma interpretativo chiaramente umanitario, che portò all’intensificazione delle operazioni di ricerca e soccorso nel Mediterraneo. Nel 2014 sbarcarono in Italia oltre centosettantamila migranti, centocinquantamila nel 2015 e ben centottantamila nel 2016. Questo tipo di approccio è stato in seguito definito come un pericoloso fattore di attrazione per le migrazioni non autorizzate e l’area operativa delle missioni di sorveglianza dei confini marittimi progressivamente arretrata, creando quel vuoto nelle attività di ricerca e soccorso che le navi delle Ong hanno cercato negli ultimi anni di colmare.

      Gli arrivi a Lampedusa degli ultimi giorni sono in gran parte l’effetto della riduzione dell’attività di sorveglianza oltre le acque territoriali. Intercettare i migranti in acque internazionali implica l’assunzione di obblighi e ricerca e soccorso che l’attuale governo accetta con una certa riluttanza, ma consente anche di far sbarcare i migranti soccorsi in mare anche in altri porti, evitando eccessive concentrazioni in un unico punto di sbarco.

      I migranti che raggiungono le nostre coste sono rappresentati come invasori, che violando i nostri confini minacciano la nostra integrità territoriale. L’appello insistito all’intervento delle forze armate che abbiamo ascoltato negli ultimi giorni si giustifica proprio attraverso il riferimento alla necessità di proteggere i confini e, in ultima analisi, l’integrità territoriale dell’Italia. Per quanto le immagini di migliaia di persone che sbarcano sulle coste italiane possano impressionare l’opinione pubblica, il riferimento alla necessità di proteggere l’integrità territoriale è frutto di un grave equivoco. Il principio di integrità territoriale è infatti codificato nel diritto internazionale come un corollario del divieto di uso della forza. Da ciò discende che l’integrità territoriale di uno Stato può essere minacciata solo da un’azione militare ostile condotta da forze regolari o irregolari. È dubbio che le migrazioni possano essere considerate una minaccia tale da giustificare, ad esempio, un blocco navale.

      Se i migranti non possono di per sé essere considerati come una minaccia alla integrità territoriale dello Stato, potrebbero però essere utilizzati come strumento da parte di attori politici intenzionati a destabilizzare politicamente i Paesi di destinazione. Non è mancato negli ultimi tempi chi ha occasionalmente evocato l’idea della strumentalizzazione delle migrazioni, fino alla recente, plateale dichiarazione del ministro Salvini. D’altra parte, questo è un tema caro ai Paesi dell’Est Europa, che hanno spinto affinché molte delle misure eccezionali adottate da loro in occasione della crisi del 2021 fossero infine incorporate nel diritto della Ue. Una parte del governo italiano sembra tuttavia più cauta, anche perché si continua a vedere nella collaborazione con i Paesi terzi la chiave di volta per la gestione del fenomeno. Accusare esplicitamente la Tunisia di strumentalizzare le migrazioni avrebbe costi politico-diplomatici troppo elevati.

      Cionondimeno, insistendo sull’elemento del rischio di destabilizzazione interna, plasticamente rappresentato dalle immagini delle migliaia di persone ammassate sul molo o nell’hotspot di Lampedusa, il governo propone una risposta politica molto simile all’approccio utilizzato da Polonia e Lituania nel 2021, centrato su respingimenti di massa e detenzione nelle zone di frontiera. L’obiettivo è quello di disincentivare i potenziali futuri migranti, paventando loro lunghi periodi di detenzione e il ritorno nella loro patria di origine.

      Gran parte di questa strategia dipende dalla collaborazione dei Paesi terzi e dalla loro disponibilità a bloccare le partenze prima che i migranti siano intercettati da autorità Italiane, facendo di conseguenza scattare gli obblighi internazionali di ricerca e soccorso o di asilo. Una strategia simile, definita come del controllo senza contatto, è stata seguita a lungo nella cooperazione con la Guardia costiera libica. Tuttavia, è proprio il tentativo di esternalizzare i controlli migratori a rendere i Paesi della Ue sempre più vulnerabili alla spregiudicata diplomazia delle migrazioni dei Paesi terzi. In definitiva, sono i Paesi europei che offrono loro la possibilità di strumentalizzare le migrazioni a scopi politici.

      Sul piano interno, il successo di una simile strategia dipende dalla capacità di rimpatriare rapidamente i migranti giunti sul territorio italiano. Alla fine del 2021 la percentuale di rimpatri che l’Italia riusciva ad eseguire era del 15% dei provvedimenti di allontanamento adottati. Gran parte delle persone rimpatriate sono tuttavia cittadini tunisini, anche perché in assenza di collaborazione con il Paese d’origine è impossibile rimpatriare. I tunisini rappresentano solo l’8% delle persone sbarcate nel 2023, che vengono in prevalenza da Guinea, Costa d’Avorio, Egitto, Bangladesh, Burkina Faso. L’allungamento dei tempi di detenzione non avrà dunque nessuna incidenza sulla efficacia delle politiche di rimpatrio.

      Uno degli argomenti utilizzati per giustificare l’intervento dell’Esercito è quello della necessità di accrescere la capacità del sistema detentivo, giudicata dal Governo non adeguata a gestire l’attuale crisi migratoria. Stando ai dati inclusi nella relazione sul sistema di accoglienza, alla fine del 2021 il sistema contava 744 posti, a fronte di una capacità ufficiale di 1.395. Come suggerisce la medesima relazione, il sistema funziona da sempre a capacità ridotta, anche perché le strutture sono soggette a ripetuti interventi di manutenzione straordinaria a causa delle devastazioni che seguono alle continue rivolte. Si tratta di strutture ai limiti dell’ingestibilità, che possono essere governate solo esercitando una forma sistemica di violenza istituzionale.

      Il sistema detentivo per stranieri sta tuttavia cambiando pelle progressivamente, ibridandosi con il sistema di accoglienza per richiedenti asilo al fine di contenere i migranti appena giunti via mare in attesa del loro più o meno rapido respingimento. Fino ad oggi, tuttavia, la detenzione ha continuato ad essere utilizzata in maniera più o meno selettiva, riservandola a coloro con ragionevoli prospettive di essere rimpatriati in tempi rapidi. Gli altri sono stati instradati verso il sistema di accoglienza, qualora avessero presentato una domanda d’asilo, o abbandonai al loro destino con in mano un ordine di lasciare l’Italia entro sette giorni.

      Le conseguenze di una politica basata sulla detenzione sistematica e a lungo termine di tutti coloro che giungono alla frontiera sono facili da immaginare. Se l’Italia si limitasse a trattenere per una media di sei mesi (si ricordi che l’intenzione espressa in questi giorni dal Governo italiano è di portare a diciotto mesi i termini massimi di detenzione) anche solo il 50% delle persone che sbarcano, significherebbe approntare un sistema detentivo con una capacità di trentottomila posti. Certo, questo calcolo si basa sulla media mensile degli arrivi registrati nel 2023, un anno di “crisi” appunto. Ma anche tenendo conto della media mensile degli arrivi dei due anni precedenti la prospettiva non sarebbe confortante. Il nostro Paese dovrebbe infatti essere in grado di mantenere una infrastruttura detentiva da ventimila posti. Una simile infrastruttura, dato l’andamento oscillatorio degli arrivi via mare, dovrebbe essere poi potenziata al bisogno per far fronte alle necessità delle fasi in cui il numero di sbarchi cresce.

      Lascio al lettore trarre le conseguenze circa l’impatto materiale e umano che una simile approccio alla gestione degli arrivi avrebbe. Mi limito qui solo ad alcune considerazioni finali sulla maniera in cui sono tematizzate le cosiddette crisi migratorie. Tali crisi continuano ad essere viste come il frutto della carenza di controlli e della incapacità dello Stato di esercitare il suo diritto sovrano di controllare le frontiere. La risposta alle crisi migratorie è dunque sempre identica a sé stessa, alla ricerca di una impossibile chiusura dei confini che riproduce sempre nuove crisi, nuovi morti in mare, nuova violenza di Stato lungo le frontiere fortificate o nelle zone di contenimento militarizzate. Guardare alle migrazioni attraverso la lente del concetto di “crisi” induce tuttavia a pensare le migrazioni come a qualcosa di eccezionale, come a un’anomalia causata da instabilità e catastrofi che si verificano in un altrove geografico e politico. Le migrazioni sono così destoricizzate e decontestualizzate dalle loro cause strutturali e i Paesi di destinazione condannati a replicare politiche destinate a fallire poiché appunto promettono risultati irraggiungibili. Più che insistere ossessivamente sulla rappresentazione delle migrazioni come crisi, si dovrebbe dunque forse cominciare a tematizzare la crisi delle politiche migratorie. Una crisi più profonda e strutturale che non può essere ridotta alle polemiche scatenate dai periodici aumenti nel numero di sbarchi.

      https://www.rivistailmulino.it/a/che-cos-una-crisi-migratoria

    • Spiegazione semplice del perché #Lampedusa va in emergenza.

      2015-2017: 150.000 sbarchi l’anno, di cui 14.000 a Lampedusa (9%).

      Ultimi 12 mesi: 157.000 sbarchi, di cui 104.000 a Lampedusa (66%).

      Soluzione: aumentare soccorsi a #migranti, velocizzare i trasferimenti.
      Fine.

      https://twitter.com/emmevilla/status/1704751278184685635

    • Interview de M. #Gérald_Darmanin, ministre de l’intérieur et des outre-mer, à Europe 1/CNews le 18 septembre 2023, sur la question migratoire et le travail des forces de l’ordre.

      SONIA MABROUK
      Bonjour à vous Gérald DARMANIN.

      GERALD DARMANIN
      Bonjour.

      SONIA MABROUK
      Merci de nous accorder cet entretien, avant votre déplacement cet après-midi à Rome. Lampedusa, Monsieur le Ministre, débordé par l’afflux de milliers de migrants. La présidente de la Commission européenne, Ursula VON DER LEYEN, en visite sur place, a appelé les pays européens à accueillir une partie de ces migrants arrivés en Italie. Est-ce que la France s’apprête à le faire, et si oui, pour combien de migrants ?

      GERALD DARMANIN
      Alors, non, la France ne s’apprête pas à le faire, la France, comme l’a dit le président de la République la Première ministre italienne, va aider l’Italie à tenir sa frontière, pour empêcher les gens d’arriver, et pour ceux qui sont arrivés en Italie, à Lampedusa et dans le reste de l’Italie, nous devons appliquer les règles européennes, que nous avons adoptées voilà quelques mois, qui consistent à faire les demandes d’asile à la frontière. Et donc une fois que l’on fait les demandes d’asile à la frontière, on constate qu’une grande partie de ces demandeurs d’asile ne sont pas éligibles à l’asile et doivent repartir immédiatement dans les pays d’origine. S’il y a des demandeurs d’asile, qui sont éligibles à l’asile, qui sont persécutés pour des raisons évidemment politiques, bien sûr, ce sont des réfugiés, et dans ces cas-là, la France comme d’autres pays, comme elle l’a toujours fait, peut accueillir des personnes. Mais ce serait une erreur d’appréciation que de considérer que les migrants parce qu’ils arrivent en Europe, doivent tout de suite être répartis dans tous les pays d’Europe et dont la France, qui prend déjà largement sa part, et donc ce que nous voulons dire à nos amis italiens, qui je crois sont parfaitement d’accord avec nous, nous devons protéger les frontières extérieures de l’Union européenne, les aider à cela, et surtout tout de suite regarder les demandes d’asile, et quand les gens ne sont pas éligibles à l’asile, tout de suite les renvoyer dans leur pays.

      SONIA MABROUK
      Donc, pour être clair ce matin Gérald DARMANIN, vous dites que la politique de relocalisation immédiate, non la France n’en prendra pas sa part.

      GERALD DARMANIN
      S’il s’agit de personnes qui doivent déposer une demande d’asile parce qu’ils sont persécutés dans leur pays, alors ce sont des réfugiés politiques, oui nous avons toujours relocalisé, on a toujours mis dans nos pays si j’ose dire une partie du fardeau qu’avaient les Italiens ou les Grecs. S’il s’agit de prendre les migrants tels qu’ils sont, 60 % d’entre eux viennent de pays comme la Côte d’Ivoire, comme la Guinée, comme la Gambie, il n’y a aucune raison qu’ils viennent…

      SONIA MABROUK
      Ça a été le cas lors de l’Ocean Viking.

      GERALD DARMANIN
      Il n’y a aucune raison. Pour d’autres raisons, c’est des raisons humanitaires, là il n’y a pas de question humanitaire, sauf qu’à Lampedusa les choses deviennent très difficiles, c’est pour ça qu’il faut que nous aidions nos amis italiens, mais il ne peut pas y avoir comme message donné aux personnes qui viennent sur notre sol, qu’ils sont quoiqu’il arrive dans nos pays accueillis. Ils ne sont accueillis que s’ils respectent les règles de l’asile, s’ils sont persécutés. Mais si c’est une immigration qui est juste irrégulière, non, la France ne peut pas les accueillir, comme d’autres pays. La France est très ferme, vous savez, j’entends souvent que c’est le pays où il y a le plus de demandeurs d’asile, c’est tout à fait faux, nous sommes le 4e pays, derrière l’Allemagne, derrière l’Espagne, derrière l’Autriche, et notre volonté c’est d’accueillir bien sûr ceux qui doivent l’être, les persécutés politiques, mais nous devons absolument renvoyer chez eux, ceux qui n’ont rien à faire en Europe.

      SONIA MABROUK
      On entend ce message ce matin, qui est un peu différent de celui de la ministre des Affaires étrangères, qui semblait parler d’un accueil inconditionnel. Le président de la République a parlé d’un devoir de solidarité. Vous, vous dites : oui, devoir de solidarité, mais nous n’allons pas avoir une politique de répartition des migrants, ce n’est pas le rôle de la France.

      GERALD DARMANIN
      Le rôle de la France, d’abord aider l’Italie.

      SONIA MABROUK
      Comment, concrètement ?

      GERALD DARMANIN
      Eh bien d’abord, nous devons continuer à protéger nos frontières, et ça c’est à l’Europe de le faire.

      SONIA MABROUK
      Ça c’est l’enjeu majeur, les frontières extérieures.

      GERALD DARMANIN
      Exactement. Nous devons déployer davantage Frontex en Méditerranée…

      SONIA MABROUK
      Avec une efficacité, Monsieur le Ministre, très discutable.

      GERALD DARMANIN
      Avec des messages qu’on doit passer à Frontex effectivement, de meilleures actions, pour empêcher les personnes de traverser pour aller à Lampedusa. Il y a eu à Lampedusa, vous l’avez dit, des milliers de personnes, 5000 même en une seule journée, m’a dit le ministre italien, le 12 septembre. Donc il y a manifestement 300, 400 arrivées de bateaux possibles. Nous devons aussi travailler avec la Tunisie, avec peut-être beaucoup plus encore d’actions que nous faisons jusqu’à présent. La Commission européenne vient de négocier un plan, eh bien il faut le mettre en place désormais, il faut arrêter d’en parler, il faut le faire. Vous savez, les bateaux qui sont produits à Sfax pour venir à Lampedusa, ils sont produits en Tunisie. Donc il faut absolument que nous cassons cet écosystème des passeurs, des trafiquants, parce qu’on ne peut pas continuer comme ça.

      GERALD DARMANIN
      Quand vous dites « nous », c’est-à-dire en partenariat avec la Tunisie ? Comment vous expliquez Monsieur le Ministre qu’il y a eu un afflux aussi soudain ? Est-ce que la Tunisie n’a pas pu ou n’a pas voulu contenir ces arrivées ?

      GERALD DARMANIN
      Je ne sais pas. J’imagine que le gouvernement tunisien a fait le maximum…

      SONIA MABROUK
      Vous devez avoir une idée.

      GERALD DARMANIN
      On sait qu’on que tous ces gens sont partis de Sfax, donc d’un endroit extrêmement précis où il y a beaucoup de migrants notamment Africains, Subsahariens qui y sont, donc la Tunisie connaît elle-même une difficulté migratoire très forte. On doit manifestement l’aider, mais on doit aussi très bien coopérer avec elle, je crois que c’est ce que fait en ce moment le gouvernement italien, qui rappelle un certain nombre de choses aux Tunisiens, quoi leur rappelle aussi leurs difficultés. Donc, ce qui est sûr c’est que nous avons désormais beaucoup de plans, on a beaucoup de moyens, on a fait beaucoup de déplacements, maintenant il faut appliquer cela. Vous savez, la France, à la demande du président de la République, c’était d’ailleurs à Tourcoing, a proposé un pacte migratoire, qui consistait très simplement à ce que les demandes d’asile ne se fassent plus dans nos pays, mais à la frontière. Tout le monde l’a adopté, y compris le gouvernement de madame MELONI. C’est extrêmement efficace puisque l’idée c’est qu’on dise que les gens, quand ils rentrent sur le territoire européen, ne sont pas juridiquement sur le territoire européen, que nous regardions leur asile en quelques jours, et nous les renvoyons. Il faut que l’Italie…

      SONIA MABROUK
      Ça c’est le principe.

      GERALD DARMANIN
      Il faut que l’Italie anticipe, anticipe la mise en place de ce dispositif. Et pourquoi il n’a pas encore été mis en place ? Parce que des députés européens, ceux du Rassemblement national, ont voté contre. C’est-à-dire que l’on est dans une situation politique un peu étonnante, où la France trouve une solution, la demande d’asile aux frontières, beaucoup plus efficace. Le gouvernement de madame MELONI, dans lequel participe monsieur SALVINI, est d’accord avec cette proposition, simplement ceux qui bloquent ça au Parlement européen, c’est le Rassemblement national, qui après va en Italie pour dire que l’Europe ne fait rien.

      SONIA MABROUK
      Sauf que, Monsieur le Ministre…

      GERALD DARMANIN
      Donc on voit bien qu’il y a du tourisme électoral de la part de madame LE PEN…

      SONIA MABROUK
      Vous le dénoncez.

      GERALD DARMANIN
      Il faut désormais être ferme, ce que je vous dis, nous n’accueillerons pas les migrants sur le territoire européen…

      SONIA MABROUK
      Mais un migrant, sur le sol européen aujourd’hui, sait qu’il va y rester. La vocation est d’y rester.

      GERALD DARMANIN
      Non, c’est tout à fait faux, nous faisons des retours. Nous avons par exemple dans les demandes d’asile, prévu des Ivoiriens. Bon. Nous avons des personnes qui viennent du Cameroun, nous avons des personnes qui viennent de Gambie. Avec ces pays nous avons d’excellentes relations politiques internationales, et nous renvoyons tous les jours dans ces pays des personnes qui n’ont rien à faire pour demander l’asile en France ou en Europe. Donc c’est tout à fait faux, avec certains pays nous avons plus de difficultés, bien sûr, parce qu’ils sont en guerre, comme la Syrie, comme l’Afghanistan bien sûr, mais avec beaucoup de pays, la Tunisie, la Gambie, la Côte d’Ivoire, le Sénégal, le Cameroun, nous sommes capables d’envoyer très rapidement ces personnes chez elles.

      SONIA MABROUK
      Lorsque le patron du Rassemblement national Jordan BARDELLA, ou encore Eric ZEMMOUR, ou encore Marion MARECHAL sur place, dit : aucun migrant de Lampedusa ne doit arriver en France. Est-ce que vous êtes capable de tenir, si je puis dire cette déclaration ? Vous dites : c’est totalement illusoire.

      GERALD DARMANIN
      Non mais monsieur BARDELLA il fait de la politique politicienne, et malheureusement sur le dos de ses amis italiens, sur le dos de femmes et d’hommes, puisqu’il ne faut jamais oublier que ces personnes évidemment connaissent des difficultés extrêmement fortes. Il y a un bébé qui est mort à Lampedusa voilà quelques heures, et évidemment sur le dos de l’intelligence politique que les Français ont. Le Front national vote systématiquement contre toutes les mesures que nous proposons au niveau européen, chacun voit que c’est un sujet européen, c’est pour ça d’ailleurs qu’il se déplace, j’imagine, en Italie…

      SONIA MABROUK
      Ils ne sont pas d’accord avec votre politique, Monsieur le Ministre, ça ne surprend personne.

      GERALD DARMANIN
      Non mais monsieur SALVINI madame MELONI, avec le gouvernement français, ont adopté un texte commun qui prévoit une révolution : la demande d’asile aux frontières. Monsieur BARDELLA, lui il parle beaucoup, mais au Parlement européen il vote contre. Pourquoi ? Parce qu’il vit des problèmes. La vérité c’est que monsieur BARDELLA, comme madame Marion MARECHAL LE PEN, on a compris qu’il y a une sorte de concurrence dans la démagogie à l’extrême droite, eux, ce qu’ils veulent c’est vivre des problèmes. Quand on leur propose de résoudre les problèmes, l’Europe avec le président de la République a essayé de leur proposer de les résoudre. Nous avons un accord avec madame MELONI, nous faisons la demande d’asile aux frontières, nous considérons qu’il n’y a plus d’asile en Europe, tant qu’on n’a pas étudié aux frontières cet asile. Quand le Rassemblement national vote contre, qu’est-ce qui se passe ? Eh bien ils ne veulent pas résoudre les problèmes, ils veulent pouvoir avoir une sorte de carburant électoral, pour pouvoir dire n’importe quoi, comme ils l’ont fait ce week-end encore.

      SONIA MABROUK
      Ce matin, sur les 5 000, 6 000 qui sont arrivés à Lampedusa, combien seront raccompagnés, combien n’ont pas vocation et ne resteront pas sur le sol européen ?

      GERALD DARMANIN
      Alors, c’est difficile. C’est difficile à savoir, parce que moi je ne suis pas les autorités italiennes, c’est pour ça que à la demande, du président je vais à Rome cet après-midi, mais de notre point de vue, de ce que nous en savons des autorités italiennes, beaucoup doivent être accompagnés, puisqu’encore une fois je comprends que sur à peu près 8 000 ou 9 000 personnes qui sont arrivées, il y a beaucoup de gens qui viennent de pays qui ne connaissent pas de persécution politique, ni au Cameroun, ni en Côte d’Ivoire, ni bien sûr en Gambie, ni en Tunisie, et donc ces personnes, bien sûr, doivent repartir dans leur pays et la France doit les aider à repartir.

      SONIA MABROUK
      On note Gérald DARMANIN que vous avez un discours, en tout cas une tonalité très différente à l’égard de madame MELONI, on se souvient tous qu’il y a eu quasiment une crise diplomatique il y a quelques temps, lorsque vous avez dit qu’elle n’était pas capable de gérer ces questions migratoires sur lesquelles elle a été… elle est arrivée au pouvoir avec un discours très ferme, aujourd’hui vous dites « non, je la soutiens madame MELONI », c’est derrière nous toutes ces déclarations, que vous avez tenues ?

      GERALD DARMANIN
      Je ne suis pas là pour soutenir madame MELONI, non, je dis simplement que lorsqu’on vote pour des gouvernements qui vous promettent tout, c’est le cas aussi de ce qui s’est passé avec le Brexit en Grande-Bretagne, les Français doivent comprendre ça. Lorsqu’on vous dit " pas un migrant ne viendra, on fera un blocus naval, vous allez voir avec nous on rase gratis ", on voit bien que la réalité dépasse largement ces engagements.

      SONIA MABROUK
      Elle a réitéré le blocus naval !

      GERALD DARMANIN
      Le fait est qu’aujourd’hui nous devons gérer une situation où l’Italie est en grande difficulté, et on doit aider l’Italie, parce qu’aider l’Italie, d’abord c’est nos frères et nos soeurs les Italiens, mais en plus c’est la continuité, évidemment, de ce qui va se passer en France, donc moi je suis là pour protéger les Français, je suis là pour protéger les Français parce que le président de la République souhaite que nous le faisions dans un cadre européen, et c’est la seule solution qui vaille, parce que l’Europe doit parler d’une seule voix…

      SONIA MABROUK
      C’est la seule solution qui vaille ?

      GERALD DARMANIN
      Oui, c’est la seule solution qui vaille…

      SONIA MABROUK
      Vous savez que l’Allemagne a changé, enfin elle n’en voulait pas, finalement là, sur les migrants, elle change d’avis, la Hongrie, la Pologne, je n’en parle même pas, la situation devient quand même intenable.

      GERALD DARMANIN
      La France a un rôle moteur dans cette situation de ce week-end, vous avez vu les contacts diplomatiques que nous avons eus, on est heureux d’avoir réussi à faire bouger nos amis Allemands sur cette situation. Les Allemands connaissent aussi une difficulté forte, ils ont 1 million de personnes réfugiées ukrainiens, ils ont une situation compliquée par rapport à la nôtre aussi, mais je constate que l’Allemagne et la France parlent une nouvelle fois d’une seule voix.

      SONIA MABROUK
      Mais l’Europe est en ordre dispersé, ça on peut le dire, c’est un constat lucide.

      GERALD DARMANIN
      L’Europe est dispersée parce que l’Europe, malheureusement, a des intérêts divergents, mais l’Europe a réussi à se mettre d’accord sur la proposition française, encore une fois, une révolution migratoire qui consiste à faire des demandes d’asile à la frontière. Nous nous sommes mis d’accord entre tous les pays européens, y compris madame MELONI, ceux qui bloquent c’est le Rassemblement national, et leurs amis, au Parlement européen, donc plutôt que de faire du tourisme migratoire à Lampedusa comme madame Marion MARECHAL LE PEN, ou raconter n’importe quoi comme monsieur BARDELLA, ils feraient mieux de faire leur travail de députés européens, de soutenir la France, d’être un peu patriotes pour une fois, de ne pas faire la politique du pire…

      SONIA MABROUK
      Vous leur reprochez un défaut de patriotisme à ce sujet-là ?

      GERALD DARMANIN
      Quand on ne soutient pas la politique de son gouvernement, lorsque l’on fait l’inverser…

      SONIA MABROUK
      Ça s’appelle être dans l’opposition parfois Monsieur le Ministre.

      GERALD DARMANIN
      Oui, mais on ne peut pas le faire sur le dos de femmes et d’hommes qui meurent, et moi je vais vous dire, le Rassemblement national aujourd’hui n’est pas dans la responsabilité politique. Qu’il vote ce pacte migratoire très vite, que nous puissions enfin, concrètement, aider nos amis Italiens, c’est sûr qu’il y aura moins d’images dramatiques, du coup il y aura moins de carburant pour le Rassemblement national, mais ils auront fait quelque chose pour leur pays.

      SONIA MABROUK
      Vous les accusez, je vais employer ce mot puisque la ministre Agnès PANNIER-RUNACHER l’a employé elle-même, de « charognards » là, puisque nous parlons de femmes et d’hommes, de difficultés aussi, c’est ce que vous êtes en train de dire ?

      GERALD DARMANIN
      Moi je ne comprends pas pourquoi on passe son temps à faire des conférences de presse en Italie, à Lampedusa, en direct sur les plateaux de télévision, lorsqu’on n’est pas capable, en tant que parlementaires européens, de voter un texte qui permet concrètement de lutter contre les difficultés migratoires. Encore une fois, la révolution que la France a proposée, et qui a été adoptée, avec le soutien des Italiens, c’est ça qui est paradoxal dans cette situation, peut être résolue si nous mettons en place…

      SONIA MABROUK
      Résolue…

      GERALD DARMANIN
      Bien sûr ; si nous mettons en place les demandes d’asile aux frontières, on n’empêchera jamais les gens de traverser la Méditerranée, par contre on peut très rapidement leur dire qu’ils ne peuvent pas rester sur notre sol, qu’ils ne sont pas des persécutés…

      SONIA MABROUK
      Comment vous appelez ce qui s’est passé, Monsieur le Ministre, est-ce que vous dites c’est un afflux soudain et massif, ou est-ce que vous dites que c’est une submersion migratoire, le diagnostic participe quand même de la résolution des défis et des problèmes ?

      GERALD DARMANIN
      Non, mais sur Lampedusa, qui est une île évidemment tout au sud de la Méditerranée, qui est même au sud de Malte, il y a 6000 habitants, lorsqu’il y a entre 6 et 8 000 personnes qui viennent en quelques jours évidemment c’est une difficulté immense, et chacun le comprend, pour les habitants de Lampedusa.

      SONIA MABROUK
      Comment vous qualifiez cela ?

      GERALD DARMANIN
      Mais là manifestement il y a à Sfax une difficulté extrêmement forte, où on a laissé passer des centaines de bateaux, fabriqués d’ailleurs, malheureusement….

      SONIA MABROUK
      Donc vous avez un gros problème avec les pays du Maghreb, en l’occurrence la Tunisie ?

      GERALD DARMANIN
      Je pense qu’il y a un énorme problème migratoire interne à l’Afrique, encore une fois la Tunisie, parfois même l’Algérie, parfois le Maroc, parfois la Libye, ils subissent eux-mêmes une pression migratoire d’Afrique, on voit bien que la plupart du temps ce sont des nationalités du sud du Sahel, donc les difficultés géopolitiques que nous connaissons ne sont pas pour rien dans cette situation, et nous devons absolument aider l’Afrique à absolument aider les Etats du Maghreb. On peut à la fois les aider, et en même temps être très ferme, on peut à la fois aider ces Etats à lutter contre l’immigration interne à l’Afrique, et en même temps expliquer…

      SONIA MABROUK
      Ça n’empêche pas la fermeté.

      GERALD DARMANIN
      Que toute personne qui vient en Europe ne sera pas accueillie chez nous.

      SONIA MABROUK
      Encore une question sur ce sujet. Dans les différents reportages effectués à Lampedusa on a entendu certains migrants mettre en avant le système social français, les aides possibles, est-ce que la France, Gérald DARMANIN, est trop attractive, est-ce que notre modèle social est trop généreux et c’est pour cela qu’il y a ces arrivées aussi ?

      GERALD DARMANIN
      Alors, je ne suis pas sûr qu’on traverse le monde en se disant « chouette, il y a ici une aide sociale particulièrement aidante », mais il se peut…

      SONIA MABROUK
      Mais quand on doit choisir entre différents pays ?

      GERALD DARMANIN
      Mais il se peut qu’une fois arrivées en Europe, effectivement, un certain nombre de personnes, aidées par des passeurs, aidées parfois par des gens qui ont de bonnes intentions, des associations, se disent « allez dans ce pays-là parce qu’il y a plus de chances de », c’est ce pourquoi nous luttons. Quand je suis arrivé au ministère de l’Intérieur nous étions le deuxième pays d’Europe qui accueille le plus de demandeurs d’asile, aujourd’hui on est le quatrième, on doit pouvoir continuer à faire ce travail, nous faisons l’inverse de certains pays autour de nous, par exemple l’Allemagne qui ouvre plutôt plus de critères, nous on a tendance à les réduire, et le président de la République, dans la loi immigration, a proposé beaucoup de discussions pour fermer un certain nombre d’actions d’accueil. Vous avez la droite, LR, qui propose la transformation de l’AME en Aide Médicale d’Urgence, nous sommes favorables à étudier cette proposition des LR, j’ai moi-même proposé un certain nombre de dispositions extrêmement concrètes pour limiter effectivement ce que nous avons en France et qui parfois est différent des pays qui nous entourent et qui peuvent conduire à cela. Et puis enfin je terminerai par dire, c’est très important, il faut lutter contre les passeurs, la loi immigration que je propose passe de délit a crime, avec le garde des Sceaux on a proposé qu’on passe de quelques années de prison à 20 ans de prison pour ceux qui trafiquent des êtres humains, aujourd’hui quand on arrête des passeurs, on en arrête tous les jours grâce à la police française, ils ne sont condamnés qu’à quelques mois de prison, alors que demain, nous l’espérons, ils seront condamnés bien plus.

      SONIA MABROUK
      Bien. Gérald DARMANIN, sur CNews et Europe 1 notre « Grande interview » s’intéresse aussi à un nouveau refus d’obtempérer qui a dégénéré à Stains, je vais raconter en quelques mots ce qui s’est passé pour nos auditeurs et téléspectateurs, des policiers ont pris en chasse un deux-roues, rapidement un véhicule s’est interposé pour venir en aide aux fuyards, un policier a été violemment pris à partie, c’est son collègue qui est venu pour l’aider, qui a dû tirer en l’air pour stopper une scène de grande violence vis-à-vis de ce policier, comment vous réagissez par rapport à cela ?

      GERALD DARMANIN
      D’abord trois choses. Les policiers font leur travail, et partout sur le territoire national, il n’y a pas de territoires perdus de la République, il y a des territoires plus difficiles, mais Stains on sait tous que c’est une ville à la fois populaire et difficile pour la police nationale. La police le samedi soir fait des contrôles, lorsqu’il y a des refus d’obtempérer, je constate que les policiers sont courageux, et effectivement ils ont été violentés, son collègue a été très courageux de venir le secourir, et puis troisièmement force est restée à la loi, il y a eu cinq interpellations, ils sont présentés aujourd’hui…

      SONIA MABROUK
      A quel prix.

      GERALD DARMANIN
      Oui, mais c’est le travail…

      SONIA MABROUK
      A quel prix pour le policier.

      GERALD DARMANIN
      Malheureusement c’est le travail, dans une société très violente…

      SONIA MABROUK
      D’être tabassé ?

      GERALD DARMANIN
      Dans une société très violente les policiers, les gendarmes, savent la mission qu’ils ont, qui est une mission extrêmement difficile, je suis le premier à les défendre partout sur les plateaux de télévision, je veux dire qu’ils ont réussi, à la fin, à faire entendre raison à la loi, les Français doivent savoir ce matin que cinq personnes ont été interpellées, présentées devant le juge.

      SONIA MABROUK
      Pour quel résultat, Monsieur le Ministre ?

      GERALD DARMANIN
      Eh bien moi je fais confiance en la justice.

      SONIA MABROUK
      Parfois on va les trouver à l’extérieur.

      GERALD DARMANIN
      Non non, je fais confiance en la justice, quand on…

      SONIA MABROUK
      Ça c’est le principe. On fait tous, on aimerait tous faire confiance à la justice.

      GERALD DARMANIN
      Non, mais quand on moleste un policier, j’espère que les peines seront les plus dures possible.

      SONIA MABROUK
      On va terminer avec une semaine intense et à risques qui s’annonce, la suite de la Coupe du monde de rugby, la visite du roi Charles III, le pape à Marseille. Vous avez appelé les préfets à une très haute vigilance. C’est un dispositif exceptionnel pour relever ces défis, qui sera mis en oeuvre.

      GERALD DARMANIN
      Oui, donc cette semaine la France est au coeur du monde par ces événements, la Coupe du monde de rugby qui continue, et qui se passe bien. Vous savez, parfois ça nous fait sourire. La sécurité ne fait pas de bruit, l’insécurité en fait, mais depuis le début de cette Coupe du monde, les policiers, des gendarmes, les pompiers réussissent à accueillir le monde en de très très bonnes conditions, tant mieux, il faut que ça continue bien sûr. Le pape qui vient deux jours à Marseille, comme vous l’avez dit, et le roi Charles pendant trois jours. Il y aura jusqu’à 30 000 policiers samedi, et puis après il y a quelques événements comme PSG - OM dimanche prochain, c’est une semaine…

      SONIA MABROUK
      Important aussi.

      GERALD DARMANIN
      C’est une semaine horribilis pour le ministre de l’Intérieur et pour les policiers et les gendarmes, et nous le travaillons avec beaucoup de concentration, le RAID, le GIGN est tout à fait aujourd’hui prévu pour tous ces événements, et nous sommes capables d’accueillir ces grands événements mondiaux en une semaine, c’est l’honneur de la police nationale et de la gendarmerie nationale.

      SONIA MABROUK
      Merci Gérald DARMANIN.

      GÉRALD DARMANIN
      Merci à vous.

      SONIA MABROUK
      Vous serez donc cet après-midi…

      GÉRALD DARMANIN
      A Rome.

      SONIA MABROUK
      …à Rome avec votre homologue évidemment de l’Intérieur. Merci encore de nous avoir accordé cet entretien.

      GERALD DARMANIN
      Merci à vous.

      SONIA MABROUK
      Et bonne journée sur Cnews et Europe 1

      https://www.vie-publique.fr/discours/291092-gerald-darmanin-18092023-immigration

      #Darmanin #demandes_d'asile_à_la_frontière

    • Darmanin: ’La Francia non accoglierà migranti da Lampedusa’

      Ma con Berlino apre alla missione navale. Il ministro dell’Interno francese a Roma. Tajani: ’Fa fede quello che dice Macron’. Marine Le Pen: ’Dobbianmo riprendere il controllo delle nostre frontiere’

      «La Francia non prenderà nessun migrante da Lampedusa». All’indomani della visita di Ursula von der Leyen e Giorgia Meloni sull’isola a largo della Sicilia, il governo transalpino torna ad alzare la voce sul fronte della solidarietà e lo fa, ancora una volta, con il suo ministro dell’Interno Gerald Darmanin.

      La sortita di Parigi giunge proprio mentre, da Berlino, arriva l’apertura alla richiesta italiana di una missione navale comune per aumentare i controlli nel Mediterraneo, idea sulla quale anche la Francia si dice pronta a collaborare.

      Sullo stesso tenore anche le dichiarazioni Marine Le Pen. «Nessun migrante da Lampedusa deve mettere piede in Francia. Serve assolutamente una moratoria totale sull’immigrazione e dobbiamo riprendere il controllo delle nostre frontiere. Spetta a noi nazioni decidere chi entra e chi resta sul nostro territorio». Lo ha detto questa sera Marine Le Pen, leader dell’estrema destra francese del Rassemblement National, «Quelli che fanno appello all’Unione europea si sbagliano - ha continuato Le Pen - perché è vano e pericoloso. Vano perché l’Unione europea vuole l’immigrazione, pericoloso perché lascia pensare che deleghiamo all’Unione europea la decisione sulla politica di immigrazione che dobbiamo condurre. Spetta al popolo francese decidere e bisogna rispettare la sua decisione».

      La strada per la messa a punto di un’azione Ue, tuttavia, resta tremendamente in salita anche perché è segnata da uno scontro interno alle istituzioni comunitarie sull’intesa con Tunisi: da un lato il Consiglio Ue, per nulla soddisfatto del modus operandi della Commissione, e dall’altro l’esecutivo europeo, che non ha alcuna intenzione di abbandonare la strada tracciata dal Memorandum siglato con Kais Saied. «Sarebbe un errore di giudizio considerare che i migranti, siccome arrivano in Europa, devono essere subito ripartiti in tutta Europa e in Francia, che fa ampiamente la sua parte», sono state le parole con cui Darmamin ha motiva il suo no all’accoglienza. Il ministro lo ha spiegato prima di recarsi a Roma, su richiesta del presidente Emmanuel Macron, per un confronto con il titolare del Viminale Matteo Piantedosi. Ed è proprio a Macron che l’Italia sembra guardare, legando le frasi di Darmanin soprattutto alle vicende politiche interne d’Oltralpe. «Fa fede quello che dice Macron e quello che dice il ministro degli Esteri, mi pare che ci sia voglia di collaborare», ha sottolineato da New York il titolare della Farnesina Antonio Tajani invitando tutti, in Italia e in Ue, a non affrontare il dossier con «slogan da campagna elettorale».

      Eppure la sortita di Darmanin ha innescato l’immediata reazione della maggioranza, soprattutto dalle parti di Matteo Salvini. «Gli italiani si meritano fatti concreti dalla Francia e dall’Europa», ha tuonato la Lega. Nel piano Ue su Lampedusa il punto dell’accoglienza è contenuto nel primo dei dieci punti messi neri su bianco. Ma resta un concetto legato alla volontarietà. Che al di là della Francia, per ora trova anche il no dell’Austria. Il nodo è sempre lo stesso: i Paesi del Nord accusano Roma di non rispettare le regole sui movimenti secondari, mentre l’Italia pretende di non essere l’unico approdo per i migranti in arrivo. Il blocco delle partenze, in questo senso, si presenta come l’unica mediazione politicamente percorribile. Berlino e Parigi si dicono pronte a collaborare su un maggiore controllo aereo e navale delle frontiere esterne. L’Ue sottolinea di essere «disponibile a esplorare l’ipotesi», anche se la «decisione spetta agli Stati».

      Il raggio d’azione di von der Leyen, da qui alle prossime settimane, potrebbe tuttavia restringersi: sull’intesa con Tunisi l’Alto Rappresentante Ue per la Politica Estera Josep Borrell, il servizio giuridico del Consiglio Ue e alcuni Paesi membri - Germania e Lussemburgo in primis - hanno mosso riserve di metodo e di merito. L’accusa è duplice: il Memorandum con Saied non solo non garantisce il rispetto dei diritti dei migranti ma è stato firmato dal cosiddetto ’team Europe’ (von der Leyen, Mark Rutte e Meloni) senza l’adeguata partecipazione del Consiglio. Borrell lo ha messo nero su bianco in una missiva indirizzata al commissario Oliver Varhelyi e a von der Leyen. «Gli Stati membri sono stati informati e c’è stato ampio sostegno», è stata la difesa della Commissione. Invero, al Consiglio europeo di giugno l’intesa incassò l’endorsement dei 27 ma il testo non era stato ancora ultimato. E non è arrivato al tavolo dei rappresentanti permanenti se non dopo essere stato firmato a Cartagine. Ma, spiegano a Palazzo Berlaymont, l’urgenza non permetteva rallentamenti. I fondi per Tunisi, tuttavia, attendono ancora di essere esborsati. La questione - assieme a quella del Patto sulla migrazione e al Piano Lampedusa - è destinata a dominare le prossime riunioni europee: quella dei ministri dell’Interno del 28 settembre e, soprattutto, il vertice informale dei leader previsto a Granada a inizio ottobre.

      https://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/2023/09/18/darmanin-la-francia-non-accogliera-migranti-da-lampedusa_2f53eae6-e8f7-4b82-9d7

    • Lampedusa : les contrevérités de Gérald Darmanin sur le profil des migrants et leur droit à l’asile

      Le ministre de l’Intérieur persiste à dire, contre la réalité du droit et des chiffres, que la majorité des migrants arrivés en Italie la semaine dernière ne peuvent prétendre à l’asile.

      A en croire Gérald Darmanin, presque aucune des milliers de personnes débarquées sur les rives de l’île italienne de Lampedusa depuis plus d’une semaine ne mériterait d’être accueillie par la France. La raison ? D’un côté, affirme le ministre de l’Intérieur, il y aurait les « réfugiés » fuyant des persécutions politiques ou religieuses, et que la France se ferait un honneur d’accueillir. « Et puis, il y a les migrants », « des personnes irrégulières » qui devraient être renvoyées dans leur pays d’origine le plus rapidement possible, a-t-il distingué, jeudi 22 septembre sur BFMTV.

      « S’il s’agit de prendre les migrants tels qu’ils sont : 60 % d’entre eux viennent de pays tels que la Côte d’Ivoire, comme la Guinée, comme la Gambie, il n’y a aucune raison [qu’ils viennent] », a-t-il en sus tonné sur CNews, lundi 18 septembre. Une affirmation serinée mardi sur TF1 dans des termes semblables : « 60 % des personnes arrivées à Lampedusa sont francophones. Il y a des Ivoiriens et des Sénégalais, qui n’ont pas à demander l’asile en Europe. »
      Contredit par les données statistiques italiennes

      D’après le ministre – qui a expliqué par la suite tenir ses informations de son homologue italien – « l’essentiel » des migrants de Lampedusa sont originaires du Cameroun, du Sénégal, de Côte-d’Ivoire, de Gambie ou de Tunisie. Selon le ministre, leur nationalité les priverait du droit de demander l’asile. « Il n’y aura pas de répartition de manière générale puisque ce ne sont pas des réfugiés », a-t-il prétendu, en confondant par la même occasion les demandeurs d’asiles et les réfugiés, soit les personnes dont la demande d’asile a été acceptée.

      https://twitter.com/BFMTV/status/1704749840133923089

      Interrogé sur le profil des migrants arrivés à Lampedusa, le ministère de l’Intérieur italien renvoie aux statistiques de l’administration du pays. A rebours des propos définitifs de Gérald Darmanin sur la nationalité des personnes débarquées sur les rives italiennes depuis la semaine dernière, on constate, à l’appui de ces données, qu’une grande majorité des migrants n’a pas encore fait l’objet d’une procédure d’identification. Sur les 16 911 personnes arrivées entre le 11 et le 20 septembre, la nationalité n’est précisée que pour 30 % d’entre elles.

      En tout, 12 223 personnes, soit 72 % des personnes arrivées à Lampedusa, apparaissent dans la catégorie « autres » nationalités, qui mélange des ressortissants de pays peu représentés et des migrants dont l’identification est en cours. A titre de comparaison, au 11 septembre, seulement 30 % des personnes étaient classées dans cette catégorie. Même si la part exacte de migrants non identifiés n’est pas précisée, cette catégorie apparaît être un bon indicateur de l’avancée du travail des autorités italiennes.

      Parmi les nationalités relevées entre le 11 et 20 septembre, le ministère de l’Intérieur italien compte effectivement une grande partie de personnes qui pourraient être francophones : 1 600 Tunisiens, 858 Guinéens, 618 Ivoiriens, 372 Burkinabés, presque autant de Maliens, 253 Camerounais, mais aussi des ressortissants moins susceptibles de connaître la langue (222 Syriens, environ 200 Egyptiens, 128 Bangladais et 74 Pakistanais).

      A noter que selon ces statistiques italiennes partielles, il n’est pas fait état de ressortissants sénégalais et gambiens évoqués par Gérald Darmanin. Les données ne disent rien, par ailleurs, du genre ou de l’âge de ces arrivants. « La plupart sont des hommes mais aussi on a aussi vu arriver des familles, des mères seules ou des pères seuls avec des enfants et beaucoup de mineurs non accompagnés, des adolescents de 16 ou 17 ans », décrivait à CheckNews la responsable des migrations de la Croix-Rouge italienne, Francesca Basile, la semaine dernière.

      Légalement, toutes les personnes arrivées à Lampedusa peuvent déposer une demande d’asile, s’ils courent un danger dans leur pays d’origine. « Il ne s’agit pas seulement d’un principe théorique. En vertu du droit communautaire et international, toute personne – quelle que soit sa nationalité – peut demander une protection internationale, et les États membres de l’UE ont l’obligation de procéder à une évaluation individuelle de chaque demande », a ainsi rappelé à CheckNews l’agence de l’union européenne pour l’asile. L’affirmation de Gérald Darmanin selon laquelle des migrants ne seraient pas éligibles à l’asile en raison de leur nationalité est donc fausse.

      Par ailleurs, selon le règlement de Dublin III, la demande d’asile doit être instruite dans le premier pays où la personne est arrivée au sein de l’Union européenne (à l’exception du Danemark), de la Suisse, de la Norvège, de l’Islande et du Liechtenstein. Ce sont donc aux autorités italiennes d’enregistrer et de traiter les demandes des personnes arrivées à Lampedusa. Dans certains cas, des transferts peuvent être opérés vers un pays signataires de l’accord de Dublin III, ainsi du rapprochement familial. Si les demandes d’asile vont être instruites en Italie, les chiffes de l’asile en France montrent tout de même que des ressortissants des pays cités par Gérald Darmanin obtiennent chaque année une protection dans l’Hexagone.

      Pour rappel, il existe deux formes de protections : le statut de réfugié et la protection subsidiaire. Cette dernière peut être accordée à un demandeur qui, aux yeux de l’administration, ne remplit pas les conditions pour être considéré comme un réfugié, mais qui s’expose à des risques grave dans son pays, tels que la torture, des traitements inhumains ou dégradants, ainsi que des « menaces grave et individuelle contre sa vie ou sa personne en raison d’une violence qui peut s’étendre à des personnes sans considération de leur situation personnelle et résultant d’une situation de conflit armé interne ou international », liste sur son site internet la Cour nationale du droit d’asile (CNDA), qui statue en appel sur les demandes de protection.
      Contredit aussi par la réalité des chiffres en France

      Gérald Darmanin cite à plusieurs reprises le cas des migrants originaires de Côte-d’Ivoire comme exemple de personnes n’ayant selon lui « rien à faire » en France. La jurisprudence de la CNDA montre pourtant des ressortissants ivoiriens dont la demande de protection a été acceptée. En 2021, la Cour a ainsi accordé une protection subsidiaire à une femme qui fuyait un mariage forcé décidé par son oncle, qui l’exploitait depuis des années. La Cour avait estimé que les autorités ivoiriennes étaient défaillantes en ce qui concerne la protection des victimes de mariages forcés, malgré de récentes évolutions législatives plus répressives.

      D’après l’Office de protection des réfugiés et apatrides (Ofrpa), qui rend des décisions en première instance, les demandes d’asile de ressortissants ivoiriens (environ 6 000 en 2022) s’appuient très souvent sur des « problématiques d’ordre sociétal […], en particulier les craintes liées à un risque de mariage forcé ou encore l’exposition des jeunes filles à des mutilations sexuelles ». En 2022, le taux de demandes d’Ivoiriens acceptées par l’Ofrpa (avant recours éventuel devant la CNCDA) était de 27,3 % sur 6 727 décisions contre un taux moyen d’admission de 26,4 % pour le continent africain et de 29,2 % tous pays confondus. Les femmes représentaient la majorité des protections accordées aux ressortissants de Côte-d’Ivoire.

      Pour les personnes originaires de Guinée, citées plusieurs fois par Gérald Darmanin, les demandes sont variées. Certaines sont déposées par des militants politiques. « Les demandeurs se réfèrent à leur parcours personnel et à leur participation à des manifestations contre le pouvoir, qu’il s’agisse du gouvernement d’Alpha Condé ou de la junte militaire », décrit l’Ofpra. D’autre part des femmes qui fuient l’excision et le mariage forcé. En 2022, le taux d’admission par l’Ofpra était de 33,4 % pour 5 554 décisions.
      Jurisprudence abondante

      S’il est vrai que ces nationalités (Guinée et Côte-d’Ivoire) ne figurent pas parmi les taux de protections les plus élevées, elles figurent « parmi les principales nationalités des bénéficiaires de la protection internationale » en 2022, aux côtés des personnes venues d’Afghanistan ou de Syrie, selon l’Ofpra. Les ressortissants tunisiens, qui déposent peu de demandes (439 en 2022), présentent un taux d’admission de seulement 10 %.

      La jurisprudence abondante produite par la CNDA montre que, dans certains cas, le demandeur peut obtenir une protection sur la base de son origine géographique, jugée dangereuse pour sa sécurité voire sa vie. C’est le cas notamment du Mali. En février 2023, la Cour avait ainsi accordé la protection subsidiaire à un Malien originaire de Gao, dans le nord du pays. La Cour avait estimé qu’il s’exposait, « en cas de retour dans sa région d’origine du seul fait de sa présence en tant que civil, [à] un risque réel de subir une menace grave contre sa vie ou sa personne sans être en mesure d’obtenir la protection effective des autorités de son pays ».

      « Cette menace est la conséquence d’une situation de violence, résultant d’un conflit armé interne, susceptible de s’étendre indistinctement aux civils », avait-elle expliqué dans un communiqué. Au mois de juin, à la suite des déclarations d’un demandeur possédant la double nationalité malienne et nigérienne, la Cour avait jugé que les régions de Ménaka au Mali et de Tillaberi au Niger étaient en situation de violence aveugle et d’intensité exceptionnelle, « justifiant l’octroi de la protection subsidiaire prévue par le droit européen ».

      D’après le rapport 2023 de l’agence de l’Union européenne pour l’asile, le taux de reconnaissance en première instance pour les demandeurs guinéens avoisinait les 30 %, et un peu plus de 20 % pour ressortissants ivoiriens à l’échelle de l’UE, avec un octroi en majorité, pour les personnes protégées, du statut de réfugié. Concernant le Mali, le taux de reconnaissance dépassait les 60 %, principalement pour de la protection subsidiaire. Ces données européennes qui confirment qu’il est infondé d’affirmer, comme le suggère le ministre de l’Intérieur, que les nationalités qu’il cite ne sont pas éligibles à l’asile.

      En revanche, dans le cadre du mécanisme « de solidarité », qui prévoit que les pays européens prennent en charge une partie des demandeurs, les Etats « restent souverains dans le choix du nombre et de la nationalité des demandeurs accueillis ». « Comme il s’agit d’un mécanisme volontaire, le choix des personnes à transférer est laissé à l’entière discrétion de l’État membre qui effectue le transfert », explique l’agence de l’union européenne pour l’asile, qui précise que les Etats « tendent souvent à donner la priorité aux nationalités qui ont le plus de chances de bénéficier d’un statut de protection », sans plus de précisions sur l’avancée des négociations en cours.

      https://www.liberation.fr/checknews/lampedusa-les-contreverites-de-gerald-darmanin-sur-le-profil-des-migrants

      #fact-checking

    • #Fanélie_Carrey-Conte sur X :

      Comme une tragédie grecque, l’impression de connaître à l’avance la conclusion d’une histoire qui finit mal.
      A chaque fois que l’actualité remet en lumière les drames migratoires, la même mécanique se met en place. D’abord on parle d’"#appel_d'air", de « #submersion », au mépris de la réalité des chiffres, et du fait que derrière les statistiques, il y a des vies, des personnes.
      Puis l’#extrême_droite monte au créneau, de nombreux responsables politiques lui emboîtent le pas. Alors les institutions européennes mettent en scène des « #plans_d'urgence, » des pactes, censés être « solidaires mais fermes », toujours basés en réalité sur la même logique:chercher au maximum à empêcher en Europe les migrations des « indésirables », augmenter la #sécurisation_des_frontières, prétendre que la focalisation sur les #passeurs se fait dans l’intérêt des personnes migrantes, externaliser de plus en plus les politiques migratoires en faisant fi des droits humains.
      Résultat : les migrations, dont on ne cherche d’ailleurs même plus à comprendre les raisons ni les mécanismes qui les sous-tendent, ne diminuent évidemment pas, au contraire ; les drames et les morts augmentent ; l’extrême -droite a toujours autant de leviers pour déployer ses idées nauséabondes et ses récupérations politiques abjectes.
      Et la spirale mortifère continue ... Ce n’est pas juste absurde, c’est avant tout terriblement dramatique. Pourtant ce n’est pas une fatalité : des politiques migratoires réellement fondées sur l’#accueil et l’#hospitalité, le respect des droits et de la #dignité de tout.e.s, cela peut exister, si tant est que l’on en ait la #volonté_politique, que l’on porte cette orientation dans le débat public national et européen, que l’on se mobilise pour faire advenir cet autre possible. A rebours malheureusement de la voie choisie aujourd’hui par l’Europe comme par la France à travers les pactes et projets de loi immigration en cours...

      https://twitter.com/FCarreyConte/status/1703650891268596111

    • Migranti, Oim: “Soluzione non è chiudere le frontiere”

      Il portavoce per l’Italia, Flavio di Giacomo, a LaPresse: «Organizzare diversamente salvataggi per aiutare Lampedusa»

      Per risolvere l’emergenza migranti, secondo l’Oim (Organizzazione internazionale per le migrazioni), la soluzione non è chiudere le frontiere. Lo ha dichiarato a LaPresse il portavoce per l’Italia dell’organizzazione, Flavio di Giacomo. La visita della presidente della Commissione europea Ursula Von der Leyen a Lampedusa insieme alla premier Giorgia Meloni, ha detto, “è un segnale importante, ma non bisogna scambiare un’emergenza di tipo operativo con ‘bisogna chiudere’, perché non c’è nessuna invasione e la soluzione non è quella di creare deterrenti come trattenere i migranti per 18 mesi. In passato non ha ottenuto nessun effetto pratico e comporta tante spese allo Stato”. Von der Leyen ha proposto un piano d’azione in 10 punti che prevede tra le altre cose di intensificare la cooperazione con l’Unhcr e l’Oim per i rimpatri volontari. “È una cosa che in realtà già facciamo ed è importante che venga implementata ulteriormente“, ha sottolineato Di Giacomo.
      “Organizzare diversamente salvataggi per aiutare Lampedusa”

      “Quest’anno i migranti arrivati in Italia sono circa 127mila rispetto ai 115mila dello stesso periodo del 2015-2016, ma niente di paragonabile agli oltre 850mila giunti in Grecia nel 2015. La differenza rispetto ad allora, quando gli arrivi a Lampedusa erano l’8% mentre quest’anno sono oltre il 70%, è che in questo momento i salvataggi ci sono ma sono fatti con piccole motovedette della Guardia costiera che portano i migranti a Lampedusa, mentre servirebbe un tipo diverso di azione con navi più grandi che vengano distribuite negli altri porti. Per questo l’isola è in difficoltà”, spiega Di Giacomo. “Inoltre, con le partenze in prevalenza dalla Tunisia piuttosto che dalla Libia, i barchini puntano tutti direttamente su Lampedusa”.
      “Priorità stabilizzare situazione in Maghreb”

      Per risolvere la questione, ha aggiunto Di Giacomo, “occorre lavorare per la stabilizzazione e il miglioramento delle condizioni nell’area del Maghreb“. E ha precisato: “La stragrande maggioranza dei flussi migratori africani è interno, ovvero dalla zona sub-sahariana a quella del Maghreb, persone che andavano a vivere in Tunisia e che ora decidono di lasciare il Paese perché vittima di furti, vessazioni e discriminazioni razziali. Questo le porta a imbarcarsi a Sfax con qualsiasi mezzo di fortuna per fare rotta verso Lampedusa”.

      https://www.lapresse.it/cronaca/2023/09/18/migranti-oim-soluzione-non-e-chiudere-le-frontiere

    • Da inizio 2023 in Italia sono sbarcati 133.170 migranti.

      La Ong Humanity1, finanziata anche dal Governo tedesco, ne ha sbarcati 753 (lo 0,6% del totale).
      In totale, Ong battenti bandiera tedesca ne hanno sbarcati 2.720 (il 2% del totale).

      Ma di cosa stiamo parlando?

      https://twitter.com/emmevilla/status/1708121850847309960
      #débarquement #arrivées #ONG #sauvetage

  • Comment l’Europe sous-traite à l’#Afrique le contrôle des #migrations (1/4) : « #Frontex menace la #dignité_humaine et l’#identité_africaine »

    Pour freiner l’immigration, l’Union européenne étend ses pouvoirs aux pays d’origine des migrants à travers des partenariats avec des pays africains, parfois au mépris des droits humains. Exemple au Sénégal, où le journaliste Andrei Popoviciu a enquêté.

    Cette enquête en quatre épisodes, publiée initialement en anglais dans le magazine américain In These Times (https://inthesetimes.com/article/europe-militarize-africa-senegal-borders-anti-migration-surveillance), a été soutenue par une bourse du Leonard C. Goodman Center for Investigative Reporting.

    Par une brûlante journée de février, Cornelia Ernst et sa délégation arrivent au poste-frontière de Rosso. Autour, le marché d’artisanat bouillonne de vie, une épaisse fumée s’élève depuis les camions qui attendent pour passer en Mauritanie, des pirogues hautes en couleur dansent sur le fleuve Sénégal. Mais l’attention se focalise sur une fine mallette noire posée sur une table, face au chef du poste-frontière. Celui-ci l’ouvre fièrement, dévoilant des dizaines de câbles méticuleusement rangés à côté d’une tablette tactile. La délégation en a le souffle coupé.

    Le « Universal Forensics Extraction Device » (UFED) est un outil d’extraction de données capable de récupérer les historiques d’appels, photos, positions GPS et messages WhatsApp de n’importe quel téléphone portable. Fabriqué par la société israélienne Cellebrite, dont il a fait la réputation, l’UFED est commercialisé auprès des services de police du monde entier, notamment du FBI, pour lutter contre le terrorisme et le trafic de drogues. Néanmoins, ces dernières années, le Nigeria et le Bahreïn s’en sont servis pour voler les données de dissidents politiques, de militants des droits humains et de journalistes, suscitant un tollé.

    Toujours est-il qu’aujourd’hui, une de ces machines se trouve au poste-frontière entre Rosso-Sénégal et Rosso-Mauritanie, deux villes du même nom construites de part et d’autre du fleuve qui sépare les deux pays. Rosso est une étape clé sur la route migratoire qui mène jusqu’en Afrique du Nord. Ici, cependant, cette technologie ne sert pas à arrêter les trafiquants de drogue ou les terroristes, mais à suivre les Ouest-Africains qui veulent migrer vers l’Europe. Et cet UFED n’est qu’un outil parmi d’autres du troublant arsenal de technologies de pointe déployé pour contrôler les déplacements dans la région – un arsenal qui est arrivé là, Cornelia Ernst le sait, grâce aux technocrates de l’Union européenne (UE) avec qui elle travaille.

    Cette eurodéputée allemande se trouve ici, avec son homologue néerlandaise Tineke Strik et une équipe d’assistants, pour mener une mission d’enquête en Afrique de l’Ouest. Respectivement membres du Groupe de la gauche (GUE/NGL) et du Groupe des Verts (Verts/ALE) au Parlement européen, les deux femmes font partie d’une petite minorité de députés à s’inquiéter des conséquences de la politique migratoire européenne sur les valeurs fondamentales de l’UE – à savoir les droits humains –, tant à l’intérieur qu’à l’extérieur de l’Europe.

    Le poste-frontière de Rosso fait partie intégrante de la politique migratoire européenne. Il accueille en effet une nouvelle antenne de la Division nationale de lutte contre le trafic de migrants (DNLT), fruit d’un « partenariat opérationnel conjoint » entre le Sénégal et l’UE visant à former et équiper la police des frontières sénégalaise et à dissuader les migrants de gagner l’Europe avant même qu’ils ne s’en approchent. Grâce à l’argent des contribuables européens, le Sénégal a construit depuis 2018 au moins neuf postes-frontières et quatre antennes régionales de la DNLT. Ces sites sont équipés d’un luxe de technologies de surveillance intrusive : outre la petite mallette noire, ce sont des logiciels d’identification biométrique des empreintes digitales et de reconnaissance faciale, des drones, des serveurs numériques, des lunettes de vision nocturne et bien d’autres choses encore…

    Dans un communiqué, un porte-parole de la Commission européenne affirme pourtant que les antennes régionales de la DNLT ont été créées par le Sénégal et que l’UE se borne à financer les équipements et les formations.

    « Frontex militarise la Méditerranée »

    Cornelia Ernst redoute que ces outils ne portent atteinte aux droits fondamentaux des personnes en déplacement. Les responsables sénégalais, note-t-elle, semblent « très enthousiasmés par les équipements qu’ils reçoivent et par leur utilité pour suivre les personnes ». Cornelia Ernst et Tineke Strik s’inquiètent également de la nouvelle politique, controversée, que mène la Commission européenne depuis l’été 2022 : l’Europe a entamé des négociations avec le Sénégal et la Mauritanie pour qu’ils l’autorisent à envoyer du personnel de l’Agence européenne de garde-frontières et de garde-côtes, Frontex, patrouiller aux frontières terrestres et maritimes des deux pays. Objectif avoué : freiner l’immigration africaine.

    Avec un budget de 754 millions d’euros, Frontex est l’agence la mieux dotée financièrement de toute l’UE. Ces cinq dernières années, un certain nombre d’enquêtes – de l’UE, des Nations unies, de journalistes et d’organisations à but non lucratif – ont montré que Frontex a violé les droits et la sécurité des migrants qui traversent la Méditerranée, notamment en aidant les garde-côtes libyens, financés par l’UE, à renvoyer des centaines de milliers de migrants en Libye, un pays dans lequel certains sont détenus, torturés ou exploités comme esclaves sexuels. En 2022, le directeur de l’agence, Fabrice Leggeri, a même été contraint de démissionner à la suite d’une cascade de scandales. Il lui a notamment été reproché d’avoir dissimulé des « pushbacks » : des refoulements illégaux de migrants avant même qu’ils ne puissent déposer une demande d’asile.

    Cela fait longtemps que Frontex est présente de façon informelle au Sénégal, en Mauritanie et dans six autres pays d’Afrique de l’Ouest, contribuant au transfert de données migratoires de ces pays vers l’UE. Mais jamais auparavant l’agence n’avait déployé de gardes permanents à l’extérieur de l’UE. Or à présent, Bruxelles compte bien étendre les activités de Frontex au-delà de son territoire, sur le sol de pays africains souverains, anciennes colonies européennes qui plus est, et ce en l’absence de tout mécanisme de surveillance. Pour couronner le tout, initialement, l’UE avait même envisagé d’accorder l’immunité au personnel de Frontex posté en Afrique de l’Ouest.

    D’évidence, les programmes européens ne sont pas sans poser problème. La veille de leur arrivée à Rosso, Cornelia Ernst et Tineke Strik séjournent à Dakar, où plusieurs groupes de la société civile les mettent en garde. « Frontex menace la dignité humaine et l’identité africaine », martèle Fatou Faye, de la Fondation Rosa Luxemburg, une ONG allemande. « Frontex militarise la Méditerranée », renchérit Saliou Diouf, fondateur de l’association de défense des migrants Boza Fii. Si Frontex poste ses gardes aux frontières africaines, ajoute-t-il, « c’est la fin ».

    Ces programmes s’inscrivent dans une vaste stratégie d’« externalisation des frontières », selon le jargon européen en vigueur. L’idée ? Sous-traiter de plus en plus le contrôle des frontières européennes en créant des partenariats avec des gouvernements africains – autrement dit, étendre les pouvoirs de l’UE aux pays d’origine des migrants. Concrètement, cette stratégie aux multiples facettes consiste à distribuer des équipements de surveillance de pointe, à former les forces de police et à mettre en place des programmes de développement qui prétendent s’attaquer à la racine des migrations.

    Des cobayes pour l’Europe

    En 2016, l’UE a désigné le Sénégal, qui est à la fois un pays d’origine et de transit des migrants, comme l’un de ses cinq principaux pays partenaires pour gérer les migrations africaines. Mais au total, ce sont pas moins de 26 pays africains qui reçoivent de l’argent des contribuables européens pour endiguer les vagues de migration, dans le cadre de 400 projets distincts. Entre 2015 et 2021, l’UE a investi 5 milliards d’euros dans ces projets, 80 % des fonds étant puisés dans les budgets d’aide humanitaire et au développement. Selon des données de la Fondation Heinrich Böll, rien qu’au Sénégal, l’Europe a investi au moins 200 milliards de francs CFA (environ 305 millions d’euros) depuis 2005.

    Ces investissements présentent des risques considérables. Il s’avère que la Commission européenne omet parfois de procéder à des études d’évaluation d’impact sur les droits humains avant de distribuer ses fonds. Or, comme le souligne Tineke Strik, les pays qu’elle finance manquent souvent de garde-fous pour protéger la démocratie et garantir que les technologies et les stratégies de maintien de l’ordre ne seront pas utilisées à mauvais escient. En réalité, avec ces mesures, l’UE mène de dangereuses expériences technico-politiques : elle équipe des gouvernements autoritaires d’outils répressifs qui peuvent être utilisés contre les migrants, mais contre bien d’autres personnes aussi.

    « Si la police dispose de ces technologies pour tracer les migrants, rien ne garantit qu’elle ne s’en servira pas contre d’autres individus, comme des membres de la société civile et des acteurs politiques », explique Ousmane Diallo, chercheur au bureau d’Afrique de l’Ouest d’Amnesty International.

    En 2022, j’ai voulu mesurer l’impact au Sénégal des investissements réalisés par l’UE dans le cadre de sa politique migratoire. Je me suis rendu dans plusieurs villes frontalières, j’ai discuté avec des dizaines de personnes et j’ai consulté des centaines de documents publics ou qui avaient fuité. Cette enquête a mis au jour un complexe réseau d’initiatives qui ne s’attaquent guère aux problèmes qui poussent les gens à émigrer. En revanche, elles portent un rude coup aux droits fondamentaux, à la souveraineté nationale du Sénégal et d’autres pays d’Afrique, ainsi qu’aux économies locales de ces pays, qui sont devenus des cobayes pour l’Europe.

    Des politiques « copiées-collées »

    Depuis la « crise migratoire » de 2015, l’UE déploie une énergie frénétique pour lutter contre l’immigration. A l’époque, plus d’un million de demandeurs d’asile originaires du Moyen-Orient et d’Afrique – fuyant les conflits, la violence et la pauvreté – ont débarqué sur les côtes européennes. Cette « crise migratoire » a provoqué une droitisation de l’Europe. Les leaders populistes surfant sur la peur des populations et présentant l’immigration comme une menace sécuritaire et identitaire, les partis nationalistes et xénophobes en ont fait leurs choux gras.

    Reste que le pic d’immigration en provenance d’Afrique de l’Ouest s’est produit bien avant 2015 : en 2006, plus de 31 700 migrants sont arrivés par bateau aux îles Canaries, un territoire espagnol situé à une centaine de kilomètres du Maroc. Cette vague a pris au dépourvu le gouvernement espagnol, qui s’est lancé dans une opération conjointe avec Frontex, baptisée « Hera », pour patrouiller le long des côtes africaines et intercepter les bateaux en direction de l’Europe.

    Cette opération « Hera », que l’ONG britannique de défense des libertés Statewatch qualifie d’« opaque », marque le premier déploiement de Frontex à l’extérieur du territoire européen. C’est aussi le premier signe d’externalisation des frontières européennes en Afrique depuis la fin du colonialisme au XXe siècle. En 2018, Frontex a quitté le Sénégal, mais la Guardia Civil espagnole y est restée jusqu’à ce jour : pour lutter contre l’immigration illégale, elle patrouille le long des côtes et effectue même des contrôles de passeports dans les aéroports.

    En 2015, en pleine « crise », les fonctionnaires de Bruxelles ont musclé leur stratégie : ils ont décidé de dédier des fonds à la lutte contre l’immigration à la source. Ils ont alors créé le Fonds fiduciaire d’urgence de l’UE pour l’Afrique (EUTF). Officiellement, il s’agit de favoriser la stabilité et de remédier aux causes des migrations et des déplacements irréguliers des populations en Afrique.

    Malgré son nom prometteur, c’est la faute de l’EUTF si la mallette noire se trouve à présent au poste-frontière de Rosso – sans oublier les drones et les lunettes de vision nocturne. Outre ce matériel, le fonds d’urgence sert à envoyer des fonctionnaires et des consultants européens en Afrique, pour convaincre les gouvernements de mettre en place de nouvelles politiques migratoires – des politiques qui, comme me le confie un consultant anonyme de l’EUTF, sont souvent « copiées-collées d’un pays à l’autre », sans considération aucune des particularités nationales de chaque pays. « L’UE force le Sénégal à adopter des politiques qui n’ont rien à voir avec nous », explique la chercheuse sénégalaise Fatou Faye à Cornelia Ernst et Tineke Strik.

    Une mobilité régionale stigmatisée

    Les aides européennes constituent un puissant levier, note Leonie Jegen, chercheuse à l’université d’Amsterdam et spécialiste de l’influence de l’UE sur la politique migratoire sénégalaise. Ces aides, souligne-t-elle, ont poussé le Sénégal à réformer ses institutions et son cadre législatif en suivant des principes européens et en reproduisant des « catégories politiques eurocentrées » qui stigmatisent, voire criminalisent la mobilité régionale. Et ces réformes sont sous-tendues par l’idée que « le progrès et la modernité » sont des choses « apportées de l’extérieur » – idée qui n’est pas sans faire écho au passé colonial.

    Il y a des siècles, pour se partager l’Afrique et mieux piller ses ressources, les empires européens ont dessiné ces mêmes frontières que l’UE est aujourd’hui en train de fortifier. L’Allemagne a alors jeté son dévolu sur de grandes parties de l’Afrique de l’Ouest et de l’Afrique de l’Est ; les Pays-Bas ont mis la main sur l’Afrique du Sud ; les Britanniques ont décroché une grande bande de terre s’étendant du nord au sud de la partie orientale du continent ; la France a raflé des territoires allant du Maroc au Congo-Brazzaville, notamment l’actuel Sénégal, qui n’est indépendant que depuis soixante-trois ans.

    L’externalisation actuelle des frontières européennes n’est pas un cas totalement unique. Les trois derniers gouvernements américains ont abreuvé le Mexique de millions de dollars pour empêcher les réfugiés d’Amérique centrale et d’Amérique du Sud d’atteindre la frontière américaine, et l’administration Biden a annoncé l’ouverture en Amérique latine de centres régionaux où il sera possible de déposer une demande d’asile, étendant ainsi de facto le contrôle de ses frontières à des milliers de kilomètres au-delà de son territoire.

    Cela dit, au chapitre externalisation des frontières, la politique européenne en Afrique est de loin la plus ambitieuse et la mieux financée au monde.

    https://www.lemonde.fr/afrique/article/2023/09/06/comment-l-europe-sous-traite-a-l-afrique-le-controle-des-migrations-1-4-fron

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    • Comment l’Europe sous-traite à l’Afrique le contrôle des migrations (2/4) : « Nous avons besoin d’aide, pas d’outils sécuritaires »

      Au Sénégal, la création et l’équipement de postes-frontières constituent des éléments clés du partenariat avec l’Union européenne. Une stratégie pas toujours efficace, tandis que les services destinés aux migrants manquent cruellement de financements.

      Par une étouffante journée de mars, j’arrive au poste de contrôle poussiéreux du village sénégalais de #Moussala, à la frontière avec le #Mali. Des dizaines de camions et de motos attendent, en ligne, de traverser ce point de transit majeur. Après avoir demandé pendant des mois, en vain, la permission au gouvernement d’accéder au poste-frontière, j’espère que le chef du poste m’expliquera dans quelle mesure les financements européens influencent leurs opérations. Refusant d’entrer dans les détails, il me confirme que son équipe a récemment reçu de l’Union européenne (UE) des formations et des équipements dont elle se sert régulièrement. Pour preuve, un petit diplôme et un trophée, tous deux estampillés du drapeau européen, trônent sur son bureau.

      La création et l’équipement de postes-frontières comme celui de Moussala constituent des éléments clés du partenariat entre l’UE et l’#Organisation_internationale_pour_les_migrations (#OIM). Outre les technologies de surveillance fournies aux antennes de la Division nationale de lutte contre le trafic de migrants (DNLT, fruit d’un partenariat entre le Sénégal et l’UE), chaque poste-frontière est équipé de systèmes d’analyse des données migratoires et de systèmes biométriques de reconnaissance faciale et des empreintes digitales.

      Officiellement, l’objectif est de créer ce que les fonctionnaires européens appellent un système africain d’#IBM, à savoir « #Integrated_Border_Management » (en français, « gestion intégrée des frontières »). Dans un communiqué de 2017, le coordinateur du projet de l’OIM au Sénégal déclarait : « La gestion intégrée des frontières est plus qu’un simple concept, c’est une culture. » Il avait semble-t-il en tête un changement idéologique de toute l’Afrique, qui ne manquerait pas selon lui d’embrasser la vision européenne des migrations.

      Technologies de surveillance

      Concrètement, ce système IBM consiste à fusionner les #bases_de_données sénégalaises (qui contiennent des données biométriques sensibles) avec les données d’agences de police internationales (comme #Interpol et #Europol). Le but : permettre aux gouvernements de savoir qui franchit quelle frontière et quand. Un tel système, avertissent les experts, peut vite faciliter les expulsions illégales et autres abus.

      Le risque est tout sauf hypothétique. En 2022, un ancien agent des services espagnols de renseignement déclarait au journal El Confidencial que les autorités de plusieurs pays d’Afrique « utilisent les technologies fournies par l’Espagne pour persécuter et réprimer des groupes d’opposition, des militants et des citoyens critiques envers le pouvoir ». Et d’ajouter que le gouvernement espagnol en avait parfaitement conscience.

      D’après un porte-parole de la Commission européenne, « tous les projets qui touchent à la sécurité et sont financés par l’UE comportent un volet de formation et de renforcement des capacités en matière de droits humains ». Selon cette même personne, l’UE effectue des études d’impact sur les droits humains avant et pendant la mise en œuvre de ces projets. Mais lorsque, il y a quelques mois, l’eurodéputée néerlandaise Tineke Strik a demandé à voir ces études d’impact, trois différents services de la Commission lui ont envoyé des réponses officielles disant qu’ils ne les avaient pas. En outre, selon un de ces services, « il n’existe pas d’obligation réglementaire d’en faire ».

      Au Sénégal, les libertés civiles sont de plus en plus menacées et ces technologies de surveillance risquent d’autant plus d’être utilisées à mauvais escient. Rappelons qu’en 2021, les forces de sécurité sénégalaises ont tué quatorze personnes qui manifestaient contre le gouvernement ; au cours des deux dernières années, plusieurs figures de l’opposition et journalistes sénégalais ont été emprisonnés pour avoir critiqué le gouvernement, abordé des questions politiques sensibles ou avoir « diffusé des fausses nouvelles ». En juin, après qu’Ousmane Sonko, principal opposant au président Macky Sall, a été condamné à deux ans d’emprisonnement pour « corruption de la jeunesse », de vives protestations ont fait 23 morts.

      « Si je n’étais pas policier, je partirais aussi »

      Alors que j’allais renoncer à discuter avec la police locale, à Tambacounda, autre grand point de transit non loin des frontières avec le Mali et la Guinée, un policier de l’immigration en civil a accepté de me parler sous couvert d’anonymat. C’est de la région de #Tambacounda, qui compte parmi les plus pauvres du Sénégal, que proviennent la plupart des candidats à l’immigration. Là-bas, tout le monde, y compris le policier, connaît au moins une personne qui a tenté de mettre les voiles pour l’Europe.

      « Si je n’étais pas policier, je partirais aussi », me confie-t-il par l’entremise d’un interprète, après s’être éloigné à la hâte du poste-frontière. Les investissements de l’UE « n’ont rien changé du tout », poursuit-il, notant qu’il voit régulièrement des personnes en provenance de Guinée passer par le Sénégal et entrer au Mali dans le but de gagner l’Europe.

      Depuis son indépendance en 1960, le Sénégal est salué comme un modèle de démocratie et de stabilité, tandis que nombre de ses voisins sont en proie aux dissensions politiques et aux coups d’Etat. Quoi qu’il en soit, plus d’un tiers de la population vit sous le seuil de pauvreté et l’absence de perspectives pousse la population à migrer, notamment vers la France et l’Espagne. Aujourd’hui, les envois de fonds de la diaspora représentent près de 10 % du PIB sénégalais. A noter par ailleurs que, le Sénégal étant le pays le plus à l’ouest de l’Afrique, de nombreux Ouest-Africains s’y retrouvent lorsqu’ils fuient les problèmes économiques et les violences des ramifications régionales d’Al-Qaida et de l’Etat islamique (EI), qui ont jusqu’à présent contraint près de 4 millions de personnes à partir de chez elles.

      « L’UE ne peut pas résoudre les problèmes en construisant des murs et en distribuant de l’argent, me dit le policier. Elle pourra financer tout ce qu’elle veut, ce n’est pas comme ça qu’elle mettra fin à l’immigration. » Les sommes qu’elle dépense pour renforcer la police et les frontières, dit-il, ne servent guère plus qu’à acheter des voitures climatisées aux policiers des villes frontalières.

      Pendant ce temps, les services destinés aux personnes expulsées – comme les centres de protection et d’accueil – manquent cruellement de financements. Au poste-frontière de Rosso, des centaines de personnes sont expulsées chaque semaine de Mauritanie. Mbaye Diop travaille avec une poignée de bénévoles du centre que la Croix-Rouge a installé du côté sénégalais pour accueillir ces personnes expulsées : des hommes, des femmes et des enfants qui présentent parfois des blessures aux poignets, causées par des menottes, et ailleurs sur le corps, laissées par les coups de la police mauritanienne. Mais Mbaye Diop n’a pas de ressources pour les aider. L’approche n’est pas du tout la bonne, souffle-t-il : « Nous avons besoin d’aide humanitaire, pas d’outils sécuritaires. »

      La méthode de la carotte

      Pour freiner l’immigration, l’UE teste également la méthode de la carotte : elle propose des subventions aux entreprises locales et des formations professionnelles à ceux qui restent ou rentrent chez eux. La route qui mène à Tambacounda est ponctuée de dizaines et de dizaines de panneaux publicitaires vantant les projets européens.

      Dans la réalité, les offres ne sont pas aussi belles que l’annonce l’UE. Binta Ly, 40 ans, en sait quelque chose. A Tambacounda, elle tient une petite boutique de jus de fruits locaux et d’articles de toilette. Elle a fait une année de droit à l’université, mais le coût de la vie à Dakar l’a contrainte à abandonner ses études et à partir chercher du travail au Maroc. Après avoir vécu sept ans à Casablanca et Marrakech, elle est rentrée au Sénégal, où elle a récemment inauguré son magasin.

      En 2022, Binta Ly a déposé une demande de subvention au Bureau d’accueil, d’orientation et de suivi (BAOS) qui avait ouvert la même année à Tambacounda, au sein de l’antenne locale de l’Agence régionale de développement (ARD). Financés par l’UE, les BAOS proposent des subventions aux petites entreprises sénégalaises dans le but de dissuader la population d’émigrer. Binta Ly ambitionnait d’ouvrir un service d’impression, de copie et de plastification dans sa boutique, idéalement située à côté d’une école primaire. Elle a obtenu une subvention de 500 000 francs CFA (762 euros) – soit un quart du budget qu’elle avait demandé –, mais peu importe, elle était très enthousiaste. Sauf qu’un an plus tard, elle n’avait toujours pas touché un seul franc.

      Dans l’ensemble du Sénégal, les BAOS ont obtenu une enveloppe totale de 1 milliard de francs CFA (1,5 million d’euros) de l’UE pour financer ces subventions. Mais l’antenne de Tambacounda n’a perçu que 60 millions de francs CFA (91 470 euros), explique Abdoul Aziz Tandia, directeur du bureau local de l’ARD. A peine de quoi financer 84 entreprises dans une région de plus d’un demi-million d’habitants. Selon un porte-parole de la Commission européenne, la distribution des subventions a effectivement commencé en avril. Le fait est que Binta Ly a reçu une imprimante et une plastifieuse, mais pas d’ordinateur pour aller avec. « Je suis contente d’avoir ces aides, dit-elle. Le problème, c’est qu’elles mettent très longtemps à venir et que ces retards chamboulent tout mon business plan. »

      Retour « volontaire »

      Abdoul Aziz Tandia admet que les BAOS ne répondent pas à la demande. C’est en partie la faute de la bureaucratie, poursuit-il : Dakar doit approuver l’ensemble des projets et les intermédiaires sont des ONG et des agences étrangères, ce qui signifie que les autorités locales et les bénéficiaires n’exercent aucun contrôle sur ces fonds, alors qu’ils sont les mieux placés pour savoir comment les utiliser. Par ailleurs, reconnaît-il, de nombreuses régions du pays n’ayant accès ni à l’eau propre, ni à l’électricité ni aux soins médicaux, ces microsubventions ne suffisent pas à empêcher les populations d’émigrer. « Sur le moyen et le long termes, ces investissements n’ont pas de sens », juge Abdoul Aziz Tandia.

      Autre exemple : aujourd’hui âgé de 30 ans, Omar Diaw a passé au moins cinq années de sa vie à tenter de rejoindre l’Europe. Traversant les impitoyables déserts du Mali et du Niger, il est parvenu jusqu’en Algérie. Là, à son arrivée, il s’est aussitôt fait expulser vers le Niger, où il n’existe aucun service d’accueil. Il est alors resté coincé des semaines entières dans le désert. Finalement, l’Organisation internationale pour les migrations (OIM) l’a renvoyé en avion au Sénégal, qualifiant son retour de « volontaire ».

      Lorsqu’il est rentré chez lui, à Tambacounda, l’OIM l’a inscrit à une formation de marketing numérique qui devait durer plusieurs semaines et s’accompagner d’une allocation de 30 000 francs CFA (46 euros). Mais il n’a jamais touché l’allocation et la formation qu’il a suivie est quasiment inutile dans sa situation : à Tambacounda, la demande en marketing numérique n’est pas au rendez-vous. Résultat : il a recommencé à mettre de l’argent de côté pour tenter de nouveau de gagner l’Europe.

      https://www.lemonde.fr/afrique/article/2023/09/07/comment-l-europe-sous-traite-a-l-afrique-le-controle-des-migrations-2-4-nous
      #OIM #retour_volontaire

    • Comment l’Europe sous-traite à l’Afrique le contrôle des migrations (3/4) : « Il est presque impossible de comprendre à quoi sert l’argent »

      A coups de centaines de millions d’euros, l’UE finance des projets dans des pays africains pour réduire les migrations. Mais leur impact est difficile à mesurer et leurs effets pervers rarement pris en considération.

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      Au chapitre migrations, rares sont les projets de l’Union européenne (UE) qui semblent adaptés aux réalités africaines. Mais il n’est pas sans risques de le dire tout haut. C’est ce que Boubacar Sèye, chercheur dans le domaine, a appris à ses dépens.

      Né au Sénégal, il vit aujourd’hui en Espagne. Ce migrant a quitté la Côte d’Ivoire, où il travaillait comme professeur de mathématiques, quand les violences ont ravagé le pays au lendemain de l’élection présidentielle de 2000. Après de brefs séjours en France et en Italie, Boubacar Sèye s’est établi en Espagne, où il a fini par obtenir la citoyenneté et fondé une famille avec son épouse espagnole. Choqué par le bilan de la vague de migration aux Canaries en 2006, il a créé l’ONG Horizons sans frontières pour aider les migrants africains en Espagne. Aujourd’hui, il mène des recherches et défend les droits des personnes en déplacement, notamment celles en provenance d’Afrique et plus particulièrement du Sénégal.

      En 2019, Boubacar Sèye s’est procuré un document détaillant comment les fonds des politiques migratoires de l’UE sont dépensés au Sénégal. Il a été sidéré par le montant vertigineux des sommes investies pour juguler l’immigration, alors que des milliers de candidats à l’asile se noient chaque année sur certaines des routes migratoires les plus meurtrières au monde. Lors d’entretiens publiés dans la presse et d’événements publics, il a ouvertement demandé aux autorités sénégalaises d’être plus transparentes sur ce qu’elles avaient fait des centaines de millions d’euros de l’Europe, qualifiant ces projets de véritable échec.

      Puis, au début de l’année 2021, il a été arrêté à l’aéroport de Dakar pour « diffusion de fausses informations ». Il a ensuite passé deux semaines en prison. Sa santé se dégradant rapidement sous l’effet du stress, il a fait une crise cardiaque. « Ce séjour en prison était inhumain, humiliant, et il m’a causé des problèmes de santé qui durent jusqu’à aujourd’hui, s’indigne le chercheur. J’ai juste posé une question : “Où est passé l’argent ?” »

      Ses intuitions n’étaient pas mauvaises. Les financements de la politique anti-immigration de l’UE sont notoirement opaques et difficiles à tracer. Les demandes déposées dans le cadre de la liberté d’information mettent des mois, voire des années à être traitées, alors que la délégation de l’UE au Sénégal, la Commission européenne et les autorités sénégalaises ignorent ou déclinent les demandes d’interviews.

      La Division nationale de lutte contre le trafic de migrants (DNLT, fruit d’un partenariat entre le Sénégal et l’UE), la police des frontières, le ministère de l’intérieur et le ministère des affaires étrangères – lesquels ont tous bénéficié des fonds migratoires européens – n’ont pas répondu aux demandes répétées d’entretien pour réaliser cette enquête.
      « Nos rapports doivent être positifs »

      Les rapports d’évaluation de l’UE ne donnent pas de vision complète de l’impact des programmes. A dessein ? Plusieurs consultants qui ont travaillé sur des rapports d’évaluation d’impact non publiés de projets du #Fonds_fiduciaire_d’urgence_de_l’UE_pour_l’Afrique (#EUTF), et qui s’expriment anonymement en raison de leur obligation de confidentialité, tirent la sonnette d’alarme : les effets pervers de plusieurs projets du fonds sont peu pris en considération.

      Au #Niger, par exemple, l’UE a contribué à élaborer une loi qui criminalise presque tous les déplacements, rendant de fait illégale la mobilité dans la région. Alors que le nombre de migrants irréguliers qui empruntent certaines routes migratoires a reculé, les politiques européennes rendent les routes plus dangereuses, augmentent les prix qu’exigent les trafiquants et criminalisent les chauffeurs de bus et les sociétés de transport locales. Conséquence : de nombreuses personnes ont perdu leur travail du jour au lendemain.

      La difficulté à évaluer l’impact de ces projets tient notamment à des problèmes de méthode et à un manque de ressources, mais aussi au simple fait que l’UE ne semble guère s’intéresser à la question. Un consultant d’une société de contrôle et d’évaluation financée par l’UE confie : « Quel est l’impact de ces projets ? Leurs effets pervers ? Nous n’avons pas les moyens de répondre à ces questions. Nous évaluons les projets uniquement à partir des informations fournies par des organisations chargées de leur mise en œuvre. Notre cabinet de conseil ne réalise pas d’évaluation véritablement indépendante. »

      Selon un document interne que j’ai pu me procurer, « rares sont les projets qui nous ont fourni les données nécessaires pour évaluer les progrès accomplis en direction des objectifs généraux de l’EUTF (promouvoir la stabilité et limiter les déplacements forcés et les migrations illégales) ». Selon un autre consultant, seuls les rapports positifs semblent les bienvenus : « Il est implicite que nos rapports doivent être positifs si nous voulons à l’avenir obtenir d’autres projets. »

      En 2018, la Cour des comptes européenne, institution indépendante, a émis des critiques sur l’EUTF : ses procédures de sélection de projets manquent de cohérence et de clarté. De même, une étude commanditée par le Parlement européen qualifie ses procédures d’« opaques ». « Le contrôle du Parlement est malheureusement très limité, ce qui constitue un problème majeur pour contraindre la Commission à rendre des comptes, regrette l’eurodéputée allemande Cornelia Ernst. Même pour une personne très au fait des politiques de l’UE, il est presque impossible de comprendre où va l’argent et à quoi il sert. »

      Le #fonds_d’urgence pour l’Afrique a notamment financé la création d’unités de police des frontières d’élite dans six pays d’Afrique de l’Ouest, et ce dans le but de lutter contre les groupes de djihadistes et les trafics en tous genres. Or ce projet, qui aurait permis de détourner au moins 12 millions d’euros, fait actuellement l’objet d’une enquête pour fraude.
      Aucune étude d’impact sur les droits humains

      En 2020, deux projets de modernisation des #registres_civils du Sénégal et de la Côte d’Ivoire ont suscité de vives inquiétudes des populations. Selon certaines sources, ces projets financés par l’EUTF auraient en effet eu pour objectif de créer des bases de #données_biométriques nationales. Les défenseurs des libertés redoutaient qu’on collecte et stocke les empreintes digitales et images faciales des citoyens des deux pays.

      Quand Ilia Siatitsa, de l’ONG britannique Privacy International, a demandé à la Commission européenne de lui fournir des documents sur ces projets, elle a découvert que celle-ci n’avait réalisé aucune étude d’impact sur les droits humains. En Europe, aucun pays ne possède de base de données comprenant autant d’informations biométriques.

      D’après un porte-parole de la Commission, jamais le fonds d’urgence n’a financé de registre biométrique, et ces deux projets consistent exclusivement à numériser des documents et prévenir les fraudes. Or la dimension biométrique des registres apparaît clairement dans les documents de l’EUTF qu’Ilia Siatitsa s’est procurés : il y est écrit noir sur blanc que le but est de créer « une base de données d’identification biométrique pour la population, connectée à un système d’état civil fiable ».

      Ilia Siatitsa en a déduit que le véritable objectif des deux projets était vraisemblablement de faciliter l’expulsion des migrants africains d’Europe. D’ailleurs, certains documents indiquent explicitement que la base de données ivoirienne doit servir à identifier et expulser les Ivoiriens qui résident illégalement sur le sol européen. L’un d’eux explique même que l’objectif du projet est de « faciliter l’identification des personnes qui sont véritablement de nationalité ivoirienne et l’organisation de leur retour ».

      Quand Cheikh Fall, militant sénégalais pour le droit à la vie privée, a appris l’existence de cette base de données, il s’est tourné vers la Commission de protection des données personnelles (CDP), qui, légalement, aurait dû donner son aval à un tel projet. Mais l’institution sénégalaise n’a été informée de l’existence du projet qu’après que le gouvernement l’a approuvé.

      En novembre 2021, Ilia Siatitsa a déposé une plainte auprès du médiateur de l’UE. En décembre 2022, après une enquête indépendante, le médiateur a rendu ses conclusions : la Commission n’a pas pris en considération l’impact sur la vie privée des populations africaines de ce projet et d’autres projets que finance l’UE dans le cadre de sa politique migratoire.

      Selon plusieurs sources avec lesquelles j’ai discuté, ainsi que la présentation interne du comité de direction du projet – que j’ai pu me procurer –, il apparaît que depuis, le projet a perdu sa composante biométrique. Cela dit, selon Ilia Siatitsa, cette affaire illustre bien le fait que l’UE effectue en Afrique des expériences sur des technologies interdites chez elle.

      https://www.lemonde.fr/afrique/article/2023/09/08/comment-l-europe-sous-traite-a-l-afrique-le-controle-des-migrations-3-4-il-e

    • Journées d’Action à Dakar : #72h_Push_Back_Frontex

      L’organisation de la société civile sénégalaise Boza Fii a organisé une action de 72 heures dans la banlieue de Dakar au début du mois. Par cette action, ses membres dénoncent la présence de Frontex dans le pays et, plus largement, le régime mondial de mobilité asymétrique. Ici, nous publions le discours prononcé lors de la conférence de presse qui a ouvert les journées d’action. Vous pouvez le regarder en ligne ici.

      "Vous surveillez les frontières, nous vous surveillons

      Nous BOZA FII, nous nous engageons dans le domaine de la fuite et de la migration. Nous soutenons les migrants de retour volontaire, les migrants qui ont été expulsés vers leur pays d’origine et confrontés à un manque total d’assistance. Ainsi que les amis et familles de ceux qui sont disparus en mer méditerranée et aux frontières, dans leur douloureuse quête de réponses. Mais aussi promouvoir le droit à l’identité et à la dignité pour toutes les victimes de nos frontières, et le droit de leurs familles à savoir. Nous voulons œuvrer au meilleur respect des droits de ces personnes, non seulement fragilisées par les drames de la migration mais aussi souvent stigmatisées dans leur propre communauté. Nous souhaitons également encourager la production de connaissances et promouvoir l’objectivité du débat sur les migrations et les échanges internationaux afin d’affronter ensemble les réalités mondiales.

      Nous nous engageons pour lutter contre les politiques frontalières et pour la liberté de circulation de tout un chacun.

      Depuis la création de l’association en septembre 2020 nous avons beaucoup fait des recherches sur le déploiement de frontex au Sénégal. C’est en juin 2022 que nous avons senti l’intérêt de créer des synergies de lutte contre frontex au Sénégal et notre 1ère action 72h PUSH BACK FRONTEX était en fin septembre 2022. L’idée était d’abord de sensibiliser la population sénégalaise du danger de l’agence meurtrière des contrôles des frontières de l’UE (FRONTEX). C’est vrai qu’au Sénégal personne ne parle de Frontex et ne connaissent peut-être pas cette agence que nous considérons criminelle. Nous avons senti cette ignorance de la population dans les politiques migratoires du Sénégal et nous voyons important de faire savoir à notre gouvernement que nous ne sommes pas d’accord pour le déploiement de frontex au Sénégal et de leur faire savoir que nous connaissons ce que frontex fait dans la Méditerranée, dans la mer Egée et dans les frontières.

      Depuis quelques années, des plans de restrictions du droit à la libre circulation sont en phase de briser le tissu socio-économique des communautés à travers une intelligence dénommée " Frontex " savamment déployée en Afrique à travers une certaine cellule dite " des gestions de risques liés à la migration irrégulière " et une présence d’officiers de liaison. La mission de l’équipe conjointe d’investigation composée des éléments de la police espagnole " Guardia Civil ", française et de la gendarmerie nationale sénégalais. Un tels dispositif déployé en Afrique de l’Oouest et particulièrement au Sénégal depuis 2017 avec tout ce qu’il compte comme moyens de dissuasion, de contrôle voire de répression entretenu par un budget faramineux et d’une armée propre composée de milliers d’hommes étrangers à celle du Sénégal dans un tout proche avenir, ne constituent ‘il pas en lui-même la source de tous les risques imaginables ?

      Le programme des journées d’action

      Le renforcement du contrôle aux frontières (mer, terrestre, aérienne) au Sénégal et entre les états de la CEDEAO à travers le système MIDAS (Migration Information and Data Système) spécialisé dans le partage des informations sur la surveillance territoriale à travers des données biométriques initié par l’organisation internationale pour les migrants (OIM) ne saurait etre sans conséquences sur la liberté de circulation, que beaucoup de pays ne font pas partis et le déploiement des garde-côtes nourrissent les débats dans le cercle de la société civile active dans la question du droit à la mobilité des personnes. Cette logique n’a pas laissé indifférent le gouvernement du Sénégal en le poussant à restructurer des ministères et mettre en place des institutions de défense et de promotion des humains tels que le ministère de la justice, la commission nationale des droits des hommes qui bafouent chaque jours les droits des citoyens sénégalais.

      Projection de films à Keur Massa

      Si nous avons inscrit dans notre agenda la question de la libre circulation dans l’espace CEDEAO, ce n’est nullement un fait de hasard. BOZA FII interpelle les consciences de tous les mouvements et les forces vives qui militent pour un monde juste et respectueux des valeurs humains telles que contenues dans les instruments de protection et de la valorisation de l’êtres humains (Loi n°1981/47 du 2 juillet 1981 au Sénégal, la charte africaine des droits de l’homme, les textes de la CEDEAO, le droit à la libre circulation article 12.1, le principe respect de l’égalité dans la procédure d’expulsion article 12.4, l’interdiction de l’expulsion collective non-nationaux article 12.5, de l’Union africaine, de la déclaration universelle des droits de l’homme, et bien d’autres). En dépit de l’existence de tout cet arsenal juridique et institutionnel, au mois de juillet le Sénégal refoule illégalement des ressortissants guinéens. Ce pendant les activités de Frontex au Sénégal impactent depuis des années par un certain nombre de constats qui mettent à rude épreuve la liberté de circulation des personnes à l’intérieure du Sénégal, de ses frontières de manières générale. Les départs au Sénégal vers le nord via le Sahara et par la mer sont une parfaite illustration et les événements du 24 juin 2022 dans les enclaves de Melilla constituent une alerte sans précédent, celle du 14 juin 2023 dans les eaux du Grèce et récemment les naufrages répétitifs du mois de juillet au Sénégal.

      A partir de 2022 pèse la menace d’un accord entre l’Union européenne et la République du Sénégal qui permettrait à l’agence européenne de surveillance des frontières, Frontex, de s’implanter définitivement dans le pays. Il s’agit d’une avancée importante dans le processus d’externalisation des frontières par la Forteresse Europe, qui concernerait pour la première fois un pays non frontalier. Le premier pas dans cette direction a été fait en février 2022 quand, lors d’une visite à Dakar, YIVA JOHANSON Commissaire européenne chargée des Affaires intérieures, a proposé le déploiement au Sénégal de Frontex pour contrôler le « trafic d’êtres humains » par les embarcations qui partent vers les Canaries. Dans sa déclaration elle affirme qu’avec l’accord du gouvernement sénégalais, l’agence pourrait envoyer des équipements de surveillance des frontières telles que des drones, des navires, et même du personnel frontex pour lutter contre les départs du Sahel.

      Liste des morts aux frontières

      Mais d’après une investigation que nous avons faite frontex a déjà commencé à opérer et exercer sur les côtés Sénégalaises.

      Nous avons questionné quelques personnes qui travaillent dans la marine ainsi que la police Sénégalaise et ils nous ont confirmé qu’il y a des opérations conjointes de Frontex ici.

      Malheureusement rien n’est écrit dans les médias locaux et même dans les plates-formes de communication du gouvernement.

      Frontex est présent au Sénégal (comme en Mauritanie) depuis presque vingt ans. Le 20 juin 2006 Frontex a communique à Madrid le début de l’opération Héra, qui a démarré en juillet de la même année. Sous la coordination de la Guardia Civil et de la Policia Nacional espagnoles, Héra a permis à Frontex de commencer à patrouiller et opérer dans les zones maritimes sénégalaises (comme du Cap-Vert et de la Mauritanie). Initialement, l’opération Héra I, qui avait un budget de 370.000 euros, visait simplement à identifier les départs au Sénégal en 2006 Barça ou Barzahk* et la nationalité des personnes arrivant en Espagne pour en faciliter les expulsions par des vols collectifs. C’est avec Héra II que la police frontalière a tôt amplifié son pouvoir : L’opération s’est dotée pour la première fois de 3 bateaux, un hélicoptère et deux avions, pour un budget bien plus significatif de 3.2 millions d’euros. C’est par cette manière qu’après sa création en 2004, Frontex s’est configuré et consolidé comme acteur qui, même en dehors de l’Europe, identifie, bloque, emprisonne et déporte les personnes qui cherchent à rejoindre l’Europe par la route atlantique. A l’époque, la France et l’Espagne avaient permis l’insertion de Frontex sur le sol sénégalais en s’offrant de l’héberger au niveau logistique dans les structures militaires françaises à Dakar.

      En 2017, Frontex a lancé le projet AFIC (Communauté du renseignement Afrique-Frontex) en 8 pays africains : Cote d’Ivoire, Gambie, Ghana, Mauritanie, Niger, Nigeria, Sénégal et Togo. Maintenant ce réseau compte la participation de 29 pays africains. Sous prétexte de « collecter et d’analyser des données sur la criminalité transfrontalière et soutenir les autorités impliquées dans la gestion des frontières. En 2019 au port de Dakar, dans le siège du Commissariat spécial de police du port de Dakar, frontex et le gouvernement du Sénégal ont inaugurés la cellule d’analyse des risques qui est censée collecter des données stratégiques pour la gestion de la sécurité des frontières. On sait très bien que les risques dont on parle ne sont pas les morts en mer, mais plutôt le fait que des citoyens africains puissent rejoindre le territoire européen.

      En plus, dès 2020, réside stablement auprès de l’Office de l’Union Européenne à Dakar une liaison officiée de Frontex. Et l’état du Sénégal continue de médiatiser le blocage de départs collectifs en pirogue grâce au dispositif Frontex.

      C’est d’ailleurs sur ces présupposées qu’ils ont mis en place un programme spécifique, qui s’est conclu à Décembre 2022

      Pour revenir à l’actualité, donc, le 7 juin 2022 la Commission européenne a rédigé une « Fiche action sur le Sénégal : renforcement de la coopération avec l’agence Frontex », qui préparait les directives pour négocier l’accord que le Consul d’Europe a soumis à l’Etat du Sénégal pour validation. Ces directives prévoient que les officiers de Frontex seront autorisés à porter des armes et à les utiliser. En outre, on voudrait garantir aux membres du corps de Frontex une immunité totale vis-à-vis de la juridiction pénale et civile de la République du Sénégal. C’est la police coloniale qui revient claire et nette en Afrique. Permettez-nous de vous rappeler certains points essentiels de l’accord avec frontex. Le déploiement de frontex au Sénégal est donc un risque et non une solution pour le pays. En fait, cette installation pourrait également empiéter sur la souveraineté d’un pays et entraînera encore plus de violations des droits des senegalais.

      Le déploiement de Frontex sur la façade maritime pourrait entraver ces libertés professionnelles aux pécheurs sénégalais et du CEDEAO acquises depuis 1979 sous prétexte de lutter contre le trafic de migrants. On peut également dire l’installation de Frontex sur la route du Sahara à partir du Sénégal et de la Mauritanie afin de compléter le contrôle sur les zones territoriales d’Afrique du Nord. Cela semble être une suite logique du cadre opérationnel de la stratégie d’externalisation des frontières de l’Union européenne. Ces mécanismes d’intervention de la part de l’Union européenne ne sont pas nouveaux. La lutte contre la pêche illégale a déjà été utilisée comme prétexte. Les accords entre le Sénégal et l’union Européenne ont substantiellement modifié le modèle de pêche artisanale et ont diminué les captures et les revenus des pêcheurs artisanaux qui représentent 17% de la population active sénégalaise. Ce sont les bateaux de l’Union européenne et de la Chine qui semblent profiter aujourd’hui des ressources de cette côte. Cela pousse de nombreux pêcheurs sénégalais à se rendre en Mauritanie et en Guinée Bissau dans des situations qui entrainent souvent des conflits entre communautés. Il faut se demander comment Frontex, dans ce contexte, pourrait- il intervenir face à ces différents acteurs. Il y a un fort risque de push back contre les pêcheurs artisanaux au motif qu’ils transportent des migrants. On court également le risque que Frontex devienne une sorte de « bras armé » pour les bateaux de pêche de l’Union européenne.

      Commémor’action (prières)

      Depuis 2021, la Guardia Civil espagnole a déployé des navires et des hélicoptères sur les côtes du Sénégal et de la Mauritanie, dans le cadre de l’opération « Hera » mise en place dès 2006 (l’année de la « crise des pirogues ») grâce à des accords de coopération militaire avec les deux pays africains, et en coordination avec Frontex.

      Ainsi nous comptons faire cet événement chaque année au Sénégal jusqu’à l’abolition définitive de Frontex.

      Nous ferons jaillir la lumière, au grand jour que la politique migratoire de Frontex en Afrique et particulièrement au senegal n’est que la face cachée de l’iceberg.

      Cette campagne a pour but de faire comprendre aux populations que l’agence européenne des soi-disant garde-côtes (Frontex) se déploie au Sénégal et de dénoncer comment l’UE collabore avec nos régimes complices tuant les personnes dans la méditerranée et dans les pays de transits."

      *Barça ou Barzahk (Barçelone ou la Mort) était le slogan des migrant*es lors de la « crise des pirogues » de 2006
      https://migration-control.info/fr/blog/journee-daction-a-72h-push-back-frontex

      #commémoraction #commémoration #mémoire #morts_aux_frontières #Dakar

    • OPEN PRESS DEPLOIEMENT DE FONTEX AU SENEGAL

      Boza fii était à sa deuxième édition du Push Back Frontex. Un évènement qui s’est déroulé du 10 au 12 aout à la commune de Dalifort Foirail (Dakar) sous le thème de : Laisser les personnes mourir ou les tuer ne doit pas être un moyen de #dissuasion.
      Au cours de ces 72h, un programme bien défini a été mis en place par l’association Boza fii, dans le cadre de sa lutte contre le déploiement Frontex au Sénégal et les formes d’externalisation des frontières de l’UE. Ce programme a débuté le jeudi 10 aout par une conférence de presse à laquelle la presse nationale et internationale ainsi que beaucoup d’organisation œuvrant pour le respect des droits de l’homme ont été conviés. Lors de cette conférence de presse plusieurs sujets sur la migration ont été abordés, notamment l’agence européenne de gardes-frontières et de gardes côtes FRONTEX. L’ordre du jour était de discuter des questions concernant Frontex et son déploiement au Sénégal et d’apporter des éclaircissements depuis son implantation dans le pays jusqu’à nos jours.

      https://www.youtube.com/watch?v=gwL9FgjDxiM


      #Boza_fii

    • #Commission_LIBE, janvier 2024 :

      Victoire ! Adoption en Commission LIBE du rapport qui récuse le déploiement de Frontex au Sénégal.
      Le Sénégal ne veut pas de cet accord, mais l’UE veut le contraindre pour mener à bien son abject projet d’Europe forteresse. Une nouvelle atteinte grave aux droits des exilé•es.

      https://nitter.cz/DamienCAREME/status/1752763595144757520

  • Empêcher les migrations : #dissuasion, #répression

    La #politique_migratoire européenne est marquée par la doctrine dite de l’#appel_d’air [...]. Tout s’oriente vers des stratégies de dissuasion pour circonscrire l’entrée comme le séjour dans le territoire de l’Union européenne (UE), les pays usant pour cela de l’arsenal juridique, administratif ou militaro-policier dont ils disposent [...].

    Sont visées principalement, souvent sur une base raciste, les personnes qui tentent de franchir les #frontières, menacées, pourchassées, voire accusées de trafic d’êtres humains et condamnées, alors même qu’elles ne font que s’assister mutuellement. Mais aussi, dans la même logique, celles qui leur viennent en aide, ainsi que, le cas échéant, leurs organisations, toutes motivations confondues.

    Volontiers qualifiées de criminelles en référence à la figure honnie du « passeur », montrées du doigt sinon punies, les unes et les autres font l’objet d’un éreintement multiforme, l’imagination des forces de répression étant sans limite.

    http://migreurop.org/article3195.html?lang_article=fr
    #migrations #asile #réfugiés #Migreurop #criminalisation_de_la_solidarité #passeurs

  • #Texas has installed the first 1000 feet of its absurd “#floating_wall.”

    This looks easy to scale at such low water levels. But it’s underwater netting will ensnare fish, turtles & aquatic birds & intends to trap and drown migrants as a deadly “deterrent.”

    https://twitter.com/LaikenJordahl/status/1679908455329710081

    #murs #barrières_frontalières #murs_flottants #migrations #asile #réfugiés #USA #Etats-Unis #dissuasion

  • #Nucléaire en #Polynésie : en quête de vérité

    Sous la présidence du général de Gaulle, la France se dote de la force de dissuasion nucléaire convoitée depuis le début de la Ve République. À quel prix ?
    Les 193 essais nucléaires réalisés de 1966 à 1996 en Polynésie, dans les atolls de Fangataufa et Mururoa, ont bouleversé l’existence des Polynésiens, contaminant certains par les retombées toxiques, dégradant des écosystèmes fragiles dans lesquels des déchets radioactifs ont été hâtivement jetés à la mer. Au long de cette gigantesque entreprise qui a mobilisé une centaine de milliers d’hommes et des milliards de francs, le mode de vie des habitants s’est trouvé transformé, des Marquises à Bora-Bora.
    Depuis les hésitations des décideurs politiques métropolitains sur le choix du lieu jusqu’aux conséquences sanitaires, environnementales et socio-économiques, ce film lève le voile sur une période de l’histoire polynésienne et postcoloniale française longtemps demeurée sous le signe du secret.

    https://www.film-documentaire.fr/4DACTION/w_fiche_film/67435_0
    #film #documentaire #film_documentaire
    #France #Polynésie_française #De_Gaulle #essais_nucléaires #dissuasion_nucléaire #Pacifique #DOM-TOM #surveillance #Centre_d'expérimentation_du_Pacifique (#CEP) #Tahiti #Moruroa #Fangataufa #Hao #tourisme #modernisation #Commissariat_de_l'énergie_atomique (#CEA) #bombe_atomique #Archipel_des_Gambier #contamination #Général_Thiry #comité_d'indemnisation_des_victimes_des_essais_militaires (#CIVEM) #santé #déchets_nucléaires #indemnisation

  • « #Albanie : enjeux migratoires dans les Balkans. Transit, émigration, retours forcés : des mobilités entravées »

    Cette note d’analyse vise à mieux comprendre les enjeux migratoires actuels en Albanie. Elle propose de contribuer à la compréhension de la place de l’Albanie dans cette double dimension : la situation des personnes étrangères en #transit ainsi que les #expulsions des ressortissant·e·s albanais·e·s depuis la France par le concours de l’agence européenne de garde-côtes et de gardes-frontières, Frontex. Les informations collectées proviennent des constats issus d’une mission de La Cimade menée en Albanie en juin 2022 et du travail de recherche effectué en amont par l’équipe du Pôle Solidarités Internationales-Europe.
    Au Sommaire :

    UE-Albanie : une coopération de longue date maîtrisée par l’UE

    - Albanie : l’Union européenne comme horizon
    - Un laboratoire des contrôles migratoires externalisés dans les Balkans

    La situation des personnes en transit en Albanie

    – Filtrage aux frontières : la procédure de pré-identification
    - 2020 : coup d’arrêt pour la demande d’asile aux frontières

    Les Albanais·es cibles de la #machine_à_expulser de l’UE

    - Les #charters #Frontex : instrument privilégié pour expulser vers l’Albanie
    - Les « charters Frontex du mardi » : la routine de l’expulsion des Albanais·es depuis la France
    – Bannissement de l’UE et interdiction de sortir d’Albanie ?
    – En amont des expulsions : dissuader les projets migratoires

    https://www.lacimade.org/la-cimade-publie-une-note-danalyse-albanie-enjeux-migratoires-dans-les-bal

    #migrations #asile #réfugiés #frontières #renvois #France #réfugiés_albanais #migrants_albanais #Balkans #route_des_Balkans #machine_à_expulsion #externalisation #dissuasion

    • Enregistrement webinaire Albanie

      A l’occasion de la sortie de la Note d’analyse « Albanie : enjeux migratoires dans les Balkans. Transit, émigration, retours forcés : des mobilités entravées », La Cimade a organisé un webinaire afin de présenter nos observations et analyses.

      https://vimeo.com/826189577

  • Budget des armées : 413 milliards d’effort inédit mais aussi des renoncements
    https://www.lemonde.fr/politique/article/2023/04/04/budget-des-armees-413-milliards-d-effort-inedit-mais-aussi-des-renoncements_

    Sur le papier, la future LPM est en effet le plus important budget jamais consacré aux #armées depuis les années 1960, d’un montant supérieur de 100 milliards d’euros à la précédente LPM (2019-2025). Cet effort devrait permettre d’atteindre le seuil des 2 % du PIB consacré à la défense dès 2025, réclamé de façon de plus en plus pressante par l’Organisation du traité de l’Atlantique Nord (OTAN). Mais, dans les faits, rien ne dit qu’il permette le saut capacitaire espéré initialement par les cercles de défense.

    Les principales raisons sont connues. Sur ces 413 milliards négociés ligne par ligne par les états-majors, plus de la moitié (autour de 60 %) des dépenses est aspirée par le renouvellement de la #dissuasion_nucléaire. C’est-à-dire la modernisation des armes (têtes #nucléaires), des vecteurs (missiles M51-2 et ASMP-A) et des porteurs (Rafale et sous-marins nucléaires lanceurs d’engins).

    • 10 ans du Traité sur le commerce des armes : le Parlement doit (enfin !) prendre ses responsabilités
      https://www.obsarm.info/spip.php?article495

      Adopté le 2 avril 2013 et entré en vigueur le 24 décembre 2014, le Traité sur le commerce des armes (TCA) fête ses dix ans. Un anniversaire au goût amer ! En effet, lors du démarrage de la campagne internationale en 2003, sa concrétisation a suscité beaucoup d’espoir, mais vingt ans plus tard, les ventes d’armes continuent d’augmenter et d’alimenter les conflits : les intérêts géostratégiques continuant à primer sur toute autre considération humanitaire.

      #trafics_d'armes

  • Entre la #Grèce et la #Turquie, une frontière de plus en plus meurtrière

    Athènes continue de renforcer la surveillance de la région de l’Evros, qui sépare le pays de son voisin. Les exilés passant par les terres militarisées de la région sont instrumentalisés, au détriment de leur droit d’asile, comme le montrent les dérives et les drames rapportés en 2022.

    AlexandroupoliAlexandroupoli, Orestiada, Poros (Grèce).– Dans le ciel plombé de ce matin de décembre, le vent frappe le drapeau grec à l’entrée de Poros. Un chien errant détale sur la route abîmée qui longe l’église orthodoxe. Il laisse filer les voitures de police, rares véhicules à traverser ce village des confins de l’Evros, un nome (division administrative) du nord-est de la Grèce. Au nord, au loin, s’élèvent les collines de la Bulgarie ; à l’est s’étend la campagne turque.

    Les patrouilles s’avancent jusqu’à un long mur. Séparant la Grèce de la Turquie, ce serpent d’acier tranche des plaines vides sur 27 kilomètres. Ses poteaux de cinq mètres de haut épousent les courbes de l’Evros. Le fleuve, appelé Meriç en turc et Maritsa en bulgare, délimite la frontière gréco-turque, d’une longueur totale d’environ 200 kilomètres.

    Objectif de ce mur, « obstacle technique » comme le nomment les autorités grecques : « Dissuader les migrants de venir et affecter le commerce des passeurs. » Il bouche les points d’accès fréquentés de cette rivière boueuse au lit étroit que les personnes exilées franchissent à la rame. Athènes a investi 63 millions d’euros, selon la presse locale, pour construire cet édifice en 2021.

    Depuis plus de trente ans, les migrants d’Afrique ou d’Asie qui veulent trouver refuge dans l’Union européenne traversent cette frontière entre la Turquie et la Grèce, deux pays membres de l’Otan en désaccord sur la délimitation de leurs frontières maritimes. En 2022, 5 000 personnes sont officiellement parvenues à traverser le fleuve, majoritairement venues de Turquie, de Syrie ou d’Afghanistan, fuyant des conflits ou des tensions politiques. À l’ombre des regards, car personne ne pénètre ce coin de nature : c’est une zone militaire grecque inaccessible sans l’autorisation d’Athènes. Seuls les drones, les caméras thermiques, l’armée et la police ont un œil sur cette frontière.

    Tout est fait pour la rendre hermétique. « Il est illégal de venir sur le territoire grec clandestinement, nous faisons en sorte que les migrants ne rentrent pas, c’est notre travail », précise Giorgos Tournakis, le major de police du département du nord de l’Evros. « Nous détectons les migrants de l’autre côté, grâce à notre matériel, explique un autre agent de police anonyme, en désignant, à quelques mètres, la rive turque hérissée de roseaux. Nous montrons notre présence. Nous utilisons les sirènes, les haut-parleurs, etc. Souvent cela fonctionne, les migrants rebroussent chemin. »

    Il n’existe pourtant aucune entrée pour les exilé·es voulant requérir l’asile en Grèce. « Pour cela, ils doivent aller formuler cette demande à l’ambassade d’Athènes en Turquie », répond le ministère grec de l’immigration.

    Ce mur en pleine nature n’est qu’un aperçu de la frontière gréco-turque que les forces de l’ordre grecques quadrillent. La police et l’armée sont les recruteuses principales du secteur, confirment les habitant·es, même si les autorités ne donnent aucun chiffre global. 400 renforts de police sont arrivés en 2022, 250 arriveront en 2023, selon le major Tournakis.

    Les villages isolés qui constellent les collines rousses et les sous-bois d’arbres nus sont fantomatiques, loin de l’image des îles grecques touristiques. Ici, les grappes d’oiseaux survolent les maisons trapues, boulangeries ou stations d’essence à l’abandon. En dix ans, 8 % de la population a déserté les champs de tournesol, de blé, de coton, principale activité devenue peu rentable, pour se diriger vers des villes grecques ou européennes. Nombre de celles et ceux qui restent s’engagent pour ou avec l’État.

    Le gouvernement grec de droite de la Nouvelle Démocratie justifie cette surveillance accrue de la frontière par l’épisode de mars 2020. Le président turc, Recep Tayyip Erdoğan, avait annoncé son ouverture, provoquant l’afflux de milliers de réfugié·es. En alerte, Athènes avait bloqué leur venue et massé ses soldats.

    La présidente de la Commission européenne, Ursula von der Leyen, déclarait alors que la Grèce était le « bouclier de l’Europe ». L’expression est toujours appréciée par Manos Logothetis, le secrétaire d’État grec à l’immigration, qui nous reçoit dans son bureau à Athènes. « Nous préférons être le bouclier plutôt que l’idiot de l’Europe ! », s’emballe ce politicien volubile, entre deux bouffées de cigarette et gorgées de café froid. Ce langage martial utilisé par l’UE pour contrer la migration semble aussi avoir fait office de blanc-seing à Athènes pour la fortification de sa frontière.

    « Nous construisons des barrières à nos frais pour arrêter les traversées illégales de migrants. Mais l’UE ne paie pas, car sinon d’autres pays, comme la Pologne, par exemple, pourraient aussi demander à ce que l’on paye leurs murs frontaliers », précise Manos Logothetis. Le gouvernement grec va d’ailleurs prolonger en 2023 les murs antimigrants dans l’Evros jusqu’à 80 kilomètres, annonce-t-il. L’UE octroie à Athènes d’autres aides parallèles pour la gestion de l’immigration. Depuis 2018, environ 1,9 milliard d’euros ont été alloués à la Grèce. Quatre-vingt-six agents et experts de l’agence européenne Frontex sont ainsi présents dans l’Evros.

    À entendre Manos Logothetis, la politique migratoire grecque semble parfois se confondre avec sa politique de défense, elle-même liée à la Turquie. « La migration est politique, dix fois plus qu’il y a vingt ans, l’instrumentalisation des migrants [par Ankara – ndlr] est incomparable aujourd’hui, s’exclame le secrétaire d’État grec. En mars 2020, la Turquie a manipulé les réfugiés pour nous mettre sous pression. Elle pourrait très bien recommencer en 2023, par exemple. Car cette année est importante politiquement. Nous avons des élections législatives et la Turquie a une élection présidentielle. » Dans les deux pays, les scrutins devraient se tenir au printemps. Malgré nos sollicitations, Ankara n’a pas répondu à nos demandes d’interview.

    Les réfugié·es en quête d’Europe se retrouvent au cœur de ce conflit larvé entre les deux pays. Au fur et à mesure que les tensions entre Athènes et Ankara s’accentuent, ces migrant·es sont perçu·es comme des « armes », au détriment de leur droit d’asile, estiment plusieurs organisations des droits humains.

    Alarm Phone, une ONG basée à l’étranger, reçoit des appels d’exilé·es en détresse, bloqué·es aux frontières. « Nous avons de plus en plus d’appels à l’aide de l’Evros depuis 2020, relate son directeur, qui reste anonyme. Des gouvernements comme ceux de la Grèce, de la Turquie ou d’autres “militarisent” la migration et présentent les personnes en déplacement comme une menace militaire. Nous condamnons ce discours déshumanisant. Nous exigeons la liberté de circulation pour tous et le droit de demander l’asile. »

    De son côté, Styliani Nanou, représentante du Haut-Commissariat aux réfugiés des Nations unies (HCR), se dit « profondément préoccupée par le nombre croissant de signalements d’incidents de retours forcés, qui s’apparentent dans certains cas à des refoulements [soit des push back, démentis par Athènes – ndlr]. Nous en avons compté 540 en Grèce en 2020 et 2021. Ils sont souvent accompagnés de violences et de violations des droits de l’homme à diverses frontières européennes ».
    Des drames à huis clos

    Le HCR a des équipes dans la ville d’Orestiada, commune érigée il y a cent ans par des Grecs chassés de Turquie, dans le nord-est de l’Evros. Peu d’associations et organisations de défense des réfugié·es sont toutefois présentes dans cette ville de 25 000 habitant·es. Outre le HCR, une poignée de personnes d’organisations comme Human Rights 360, Greek Council for Refugees et Arsis sont présentes dans l’Evros. « Il est difficile pour les ONG de travailler. Nous manquons d’autorisations d’accès à la frontière », explique un responsable humanitaire à Athènes.

    Les drames se déroulent à huis clos. De fait, outre les « push back », la liste des dérives inhumaines rapportées par la presse ou les associations dans l’Evros en 2022 est longue. En février, 12 migrants ont été retrouvés morts de froid côté turc. Athènes et Ankara se rejettent fréquemment la responsabilité de nombreux sauvetages d’exilé·es bloqué·es sur les îlots de la rivière Evros, entourés d’un flou juridique.

    Trente-huit personnes, majoritairement syriennes, sont ainsi restées coincées des jours en août, pendant que les pays voisins se renvoyaient la balle pour leur venir en aide. Une fillette est morte, selon sa famille, piquée par un scorpion, et a été enterrée sur l’île. Pour le secrétaire d’État grec à la migration, « il n’y a pas de petite fille morte : les autorités ne trouvent pas de corps ». Une enquête grecque et une de la Cour européenne des droits de l’homme sont en cours.

    Certains drames deviennent l’argument des joutes verbales entre Grèce et Turquie. Mi-octobre, 92 migrants ont été retrouvés nus, en pleine nature, à la frontière côté grec. Le ministre grec de l’immigration, Nótis Mitarákis, a rapidement publié un tweet contre la Turquie, en diffusant la photo de ces hommes humiliés. « Le comportement de la Turquie envers ses 92 migrants que nous [la Grèce] avons sauvés à cette frontière est une honte pour la civilisation », s’est indigné le ministre. La Turquie a réfuté ces accusations.

    Dans ce système, les migrants finissent par être criminalisés. Christiana Kavvadia, avocate pour l’organisation Greek Council for Refugees dans l’Evros, compte parmi ses clients des personnes poursuivies par la justice pour « entrée illégale » sur le territoire. Ils risquent jusqu’à cinq ans de prison et une amende de 1 500 euros. « Du 1er au 31 mars 2020, un texte législatif interdisant la demande d’asile est entré en vigueur pour cette période, l’ensemble des migrants arrivés à ces dates ont été accusés d’entrée illégale et nombre d’entre eux ont été envoyés en prison pour une longue période. Depuis, cette pratique consistant à sanctionner l’entrée illégale existe toujours mais avec des peines moins sévères, explique-t-elle. La pénalisation des demandeurs d’asile n’est pas conforme à la convention de Genève et vise à être une mesure dissuasive. »
    Record de décès en 2022

    Dans l’Evros, il est aussi rare d’assister à des situations dramatiques que d’entendre des voix locales qui les commentent. « Nous sommes peu nombreux à défendre les droits des réfugiés dans le coin… C’est un système contre lequel on ne peut pas lutter : 90 % des gens à Orestiada travaillent avec la police », regrette Dimitrios Zeferiades, le gérant d’un bar alternatif de cette ville. « Il y a cent ans, nos ancêtres (grecs) sont passés par cette frontière par milliers, ils étaient réfugiés. Maintenant, il existe des milices dans les villages pour faire fuir les migrants : les habitants ont oublié leurs racines », dénonce-t-il.

    En 2020, des villageois de la frontière avaient exhibé leur « chasse » aux migrants face à la presse. Pour Dimitrios Zeferiades, plus que des outils « politiques », « les migrants sont devenus des produits sur lesquels la Grèce se fait de l’argent. Les autorités demandent des financements pour acheter tout un arsenal [drones, caméras – ndlr] qui ne sert à rien : personne ne peut surveiller cette rivière de 200 kilomètres ».

    Entre les murs saumon de la morgue de l’hôpital de la ville d’Alexandroupoli, la plus grande ville de l’Evros, Pavlos Pavlidis approuve. « Les murs n’empêchent rien », déclare, grave, ce médecin légiste. Il montre sur son téléphone la photo d’un homme inerte. Le froid de décembre a emporté dans son sommeil ce jeune adulte d’une vingtaine d’années, dans un cabanon au pied d’une montagne enneigée de l’Evros. « Hypothermie. Il y a environ deux jours, le 10 décembre », a conclu Pavlos Pavlidis. Dans son bureau au sous-sol, où règne une odeur de cigarette, le médecin méticuleux expose deux cartes bleues et deux bagues ayant appartenu à la victime, « probablement d’Afrique du Nord ». Ces indices permettront peut-être de l’identifier, espère-t-il.

    « 2022 constitue un record, je n’avais jamais autopsié autant de personnes [exilées] », annonce Pavlos Pavlidis. En poste depuis 2000, l’expert a vu plus de 660 cadavres d’étrangers, dont 63 cette année. Derrière sa fenêtre s’élèvent deux conteneurs renfermant depuis des mois 30 corps d’exilés : « Je n’ai plus de place dans les frigos. »

    Le fleuve est le premier à faucher les réfugiés. L’hypothermie est la deuxième cause de mortalité. Les réfugiés se perdent, trempés, dans la nature. « Ils évitent les villages. Ils savent que les habitants ne les aident plus comme avant », explique Pavlos Pavlidis. Les accidents de la route sont enfin la troisième cause des décès de migrants. « Certains s’entassent dans des véhicules et tentent de fuir les autorités », dit-il.

    Le portable de Pavlos Pavlidis vibre pendant qu’il parle : « Mon numéro a fuité. » Il reçoit des messages de détresse d’inconnu·es : des mères, des frères, à la recherche de leurs proches. Si 5 000 migrants sont officiellement arrivés dans l’Evros en 2022, combien sont-ils à s’être égarés dans ses collines ?

    https://www.mediapart.fr/journal/international/200123/entre-la-grece-et-la-turquie-une-frontiere-de-plus-en-plus-meurtriere

    Dans cet article, l’annonce d’une ultérieure #extension du mur :

    Le gouvernement grec va d’ailleurs prolonger en 2023 les murs antimigrants dans l’Evros jusqu’à 80 kilomètres, annonce-t-il.

    Première extension (passage de 12,5 km en 2012 à 12,5 km + 35 km en 2020/2021) :
    https://seenthis.net/messages/830355
    https://seenthis.net/messages/935658

    #frontières #migrations #réfugiés #barrières_frontalières #murs #barrières_frontalières #mourir_aux_frontières #morts_aux_frontières #Evros #Thrace #obstacle_technique #dissuasion #surveillance #instrumentalisation_de_la_migration #refoulements #push-backs #retours_forcés #violence #décès #milices #chasse_aux_migrants

    • Some updates on the #Evros wall from earlier this week. N. Mitarakis, now Minister of Citizen Protection, stated that a further extension of the wall will be tendered in 2024, to be completed in 2027.

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      Φράχτης στον Έβρο : Πότε ολοκληρώνεται το έργο (vid)

      Προτεραιότητα για τη νέα κυβέρνηση χαρακτήρισε την ολοκλήρωση του φράχτη στον Έβρο ο Υπουργός Προστασίας του Πολίτη, Νότης Μηταράκης.

      Αναλυτικότερα, μιλώντας στην ΕΡΤ και την εκπομπή « Συνδέσεις », ο κ. Μηταράκης επεσήμανε ότι ο φράχτης του Έβρου αποτελεί πρώτη προτεραιότητα τόσο για την κυβέρνηση όσο και προσωπικά για τον ίδιο και το Υπουργείο Προστασίας του Πολίτη.

      « Η Ελλάδα θα εξακολουθήσει να εφαρμόζει την ίδια αυστηρή αλλά δίκαιη πολιτική », τόνισε.

      Μάλιστα, όπως τόνισε, ο φράχτης του Έβρου συνεχίζει να προχωρά με γρήγορα βήματα προς την ολοκλήρωσή του, η οποία αναμένεται στα μέσα του 2027.

      « Έχουμε εξασφαλίσει 100 εκατομμύρια ευρώ – απ΄όταν ήμουν στο προηγούμενο χαρτοφυλάκιο της Μετανάστευσης από την Ε.Ε – γι΄αυτό που ονομάζουμε συνοδά έργα του Φράχτη (έργα υποδομής και τεχνολογίας που συνδυάζονται με τον Φράχτη (π.χ τα φυλάκια χρηματοδοτούνται από τα ευρωπαϊκά κονδύλια).

      Από τα 72 χιλιόμετρα του Φράχτη σήμερα μελετάμε την τελική του φάση επέκτασης. Δεν θα χρειαστεί να καλύψουμε όλα τα 200 χιλιόμετρα.

      Προχωράμε στην τελική φάση επέκτασης με το μεικτό σύστημα χρηματοδότησης με κρατικά και ευρωπαϊκά κονδύλια. Ο καινούριος Φράχτης θα προκηρυχθεί για να κατασκευαστεί μέσα στο 2024, ώστε να είναι έτοιμος μέσα στο 2027 », σχολίασε.

      « Χρήση καμερών από τους αστυνομικούς »

      Κληθείς να σχολιάσει το πρόσφατο περιστατικό στη Λάρισα, που στοίχισε τη ζωή σε έναν 20χρονο, ο κ. Μηταράκης επεσήμανε ότι θα προχωρήσει η χρήση καμερών στους αστυνομικούς.

      « Για να αποφευχθούν φαινόμενα αστυνομικής αυθαιρεσίας θα προχωρήσουν οι κάμερες στους αστυνομικούς. […]

      « Θέλουμε και την συνεργασία των ανεξάρτητων αρχών, να μην τεθούν εμπόδια στη χρήση αυτών των καμερών.

      Αυτές είναι εκεί για να προστατεύσουν τον πολίτη, στην όποια περίπτωση κρατικής αυθαιρεσίας, αλλά και για να καταγράφουν με κάποιον ισχυρά αποτρεπτικό τρόπο το οποιοδήποτε αδίκημα μπορεί να τελείται, για να μην υπάρχουν αμφιβολίες για το εάν κάποιος συμμετείχε ή όχι σε μια παράνομη δράση.

      Είτε είναι αστυνομικός που δεν έκανε σωστά τη δουλειά του και δεν ακολούθησε το πρωτόκολλο εμπλοκής, είτε είναι ένας πολίτης ο οποίος παρανόμησε », υποστήριξε.

      https://twitter.com/lk2015r/status/1680548700077129729

      https://www.mynews.gr/frachtis-ston-evro-pote-oloklironetai-to-ergo-vid

  • La Battue. L’Etat, la police et les étrangers

    « #Zéro_point_de_fixation. » De Calais à #Dunkerque, c’est l’expression employée par les autorités pour définir la politique de la France en matière d’immigration à la frontière franco-britannique. Caractérisée par des battues ou chasses à l’homme organisées toutes les 48 heures, cette stratégie de gestion policière des #campements d’exilés a pour but de dissuader les personnes de s’installer et de se regrouper. Une manière de gouverner par l’image, l’exemple et la violence.

    Louis Witter a passé dix-huit mois sur place. Dix-huit mois à enquêter sur cette stratégie de politique intérieure lancée par Bernard Cazeneuve et renforcée par Emmanuel Macron et son ministre de l’Intérieur Gérald Darmanin. Une stratégie cachée, qui se joue derrière un périmètre que très peu de journalistes ont franchi, dont Louis Witter.

    Dans ce livre, à mi-chemin entre l’enquête et l’essai, Louis Witter montre comment la politique locale, le droit, les politiques institutionnelles et les pratiques policières œuvrent de concert pour légitimer toujours plus de violences envers les personnes étrangères.

    Un phénomène qui témoigne d’un rapport particulier, inquiétant et renouvelé que la police et l’État entretiennent avec les étrangers et la citoyenneté.

    https://www.seuil.com/ouvrage/la-battue-louis-witter/9782021498523
    #livre #Calais #migrations #asile #réfugiés #violence #police #forces_de_l'ordre #points_de_fixation #répression #frontières #battue #chasse_à_l'homme #dissuasion

  • À #Calais, une #surveillance du ciel au tunnel

    #Drones, #reconnaissance_faciale, #capteurs_de_CO2 et de battements cardiaques : face à l’afflux de réfugiés, la frontière franco-britannique est surveillée à grands coups d’#intelligence_artificielle. Premier volet de notre série sur la #cybersurveillance des frontières.

    Pablo lève les yeux au ciel et réfléchit. Brusquement, il fixe son ordinateur. Le chargé de communication et plaidoyer chez Human Rights Observers (HRO) fouille dans ses dossiers, ouvre un document d’une quinzaine de pages. « Tu vois, ce jour-là, ils ont utilisé un drone », indique-t-il en pointant l’écran du doigt. Le 9 juin, l’association pour laquelle il travaille assiste à une expulsion de réfugié·es à #Grande-Synthe. Dans son compte-rendu, elle mentionne la présence d’un drone. Des vols d’aéronefs, hélicoptères ou avions, devenus routiniers.

    En cette matinée de fin juin, Pablo a donné rendez-vous sur son lieu de travail, « l’entrepôt », comme il l’appelle. Ce vaste bâtiment désaffecté d’une zone industrielle à l’est de Calais héberge plusieurs associations locales. Les bureaux de HRO sont spartiates : un simple préfabriqué blanc planté dans la cour.

    C’est ici que ses membres se réunissent pour documenter les #violences d’État perpétrées contre les personnes en situation d’exil à la frontière franco-britannique, plus spécifiquement à Calais et à Grande-Synthe. Depuis plus de 20 ans, la ville est érigée en symbole de la crise migratoire. L’évacuation et la destruction de la jungle en octobre 2016 n’ont rien changé. Désormais réparties dans de multiples camps précaires, des centaines de migrants et migrantes tentent le passage vers l’Angleterre au péril de leur vie. Selon le ministère de l’intérieur, ils et elles étaient 52 000 en 2021, un record, contre « seulement » 10 000 en 2020.

    Sous l’impulsion des pouvoirs publics, Calais se barricade. Plus que les maisons de briques rouges, ce sont les #clôtures géantes, les rangées de #barbelés et les #marécages_artificiels qui attirent la vue. Tout semble construit pour décourager les exilé·es de rejoindre la Grande-Bretagne. « Avant, il n’y avait pas tout ça. C’est devenu assez oppressant », regrette Alexandra. Arrivée il y a sept ans dans le Pas-de-Calais, elle travaille pour l’Auberge des migrants, association qui coordonne le projet HRO.

    Quatre #caméras empilées sur un pylône à l’entrée du port rappellent que cette frontière n’est pas que physique. #Vidéosurveillance, #drones, #avions, #détecteurs_de_CO2… Le littoral nord incarne le parfait exemple de la « #smart_border ». Une frontière invisible, connectée. Un eldorado pour certaines entreprises du secteur de l’intelligence artificielle, mais un cauchemar pour les exilé·es désormais à la merci des #algorithmes.

    Si des dizaines de #caméras lorgnent déjà sur le port et le centre-ville, la tendance n’est pas près de s’inverser. La maire LR, #Natacha_Bouchart, qui n’a pas donné suite à notre demande d’interview, prévoit d’investir 558 000 euros supplémentaires en #vidéosurveillance en 2022.

    « C’est la nouvelle étape d’une politique en place depuis plusieurs décennies », analyse Pierre Bonnevalle, politologue, auteur d’un long rapport sur le sujet. À Calais, la #bunkérisation remonte, selon le chercheur, au milieu des années 1990. « À cette époque commencent les premières occupations des espaces portuaires par des personnes venues des pays de l’Est qui souhaitaient rejoindre la Grande-Bretagne. Cela entraîne les premières expulsions, puis un arrêté pris par la préfecture pour interdire l’accès au port. »

    Les années suivantes, c’est à #Sangatte que se dessinent les pratiques policières d’aujourd’hui. Dans cette commune limitrophe de Calais, un hangar préfigure ce que sera la « #jungle » et héberge jusqu’à 2 000 exilé·es. « La police cible alors tous ceux qui errent dans la ville, tentent d’ouvrir des squats, de dormir dans un espace boisé. » Une manière de « contenir le problème », de « gagner du temps ».

    En parallèle, la ville s’équipe en vidéosurveillance et en barbelés. En 2016, l’expulsion de la jungle fait émerger la politique gouvernementale actuelle : l’#expulsion par les forces de l’ordre, toutes les 24 ou 48 heures, des camps où vivent les personnes exilées.

    #Surveillance_aérienne

    Calme et grisâtre en ce jour de visite, le ciel calaisien n’est pas épargné. Depuis septembre 2020, l’armée britannique fait voler un drone #Watchkeeper, produit par l’industriel français #Thales, pour surveiller la mer. « Nous restons pleinement déterminés à soutenir le ministère de l’intérieur britannique alors qu’il s’attaque au nombre croissant de petits bateaux traversant la Manche », se félicite l’armée britannique dans un communiqué.

    Selon des données de vol consultées par Mediapart, un drone de l’#Agence_européenne_pour_la_sécurité_maritime (#AESM) survole également régulièrement les eaux, officiellement pour analyser les niveaux de pollution des navires qui transitent dans le détroit du Pas-de-Calais. Est-il parfois chargé de missions de surveillance ? L’AESM n’a pas répondu à nos questions.

    Au sein du milieu associatif calaisien, la présence de ces volatiles numériques n’étonne personne. « On en voit souvent, comme des hélicoptères équipés de caméras thermiques », confie Marguerite, salariée de l’Auberge des migrants. Chargée de mission au Secours catholique, Juliette Delaplace constate que cette présence complexifie leur travail. « On ne sait pas si ce sont des drones militaires, ou des forces de l’ordre, mais lorsque l’on intervient et que les exilés voient qu’un drone nous survole, c’est très compliqué de gagner leur confiance. »

    En décembre 2021, à la suite d’une demande expresse du ministre de l’intérieur, Gérald Darmanin, l’agence européenne #Frontex a dépêché un #avion pour surveiller la côte pendant plusieurs semaines. « Une mission toujours en cours pour patrouiller aux frontières française et belge », précise Frontex.

    « On sent une évolution des #contrôles depuis l’intervention de cet avion, qui a œuvré principalement la nuit, confie le maire d’une ville du Nord. Beaucoup de gens tentaient de monter dans des camions, mais cela a diminué depuis que les contrôles se sont durcis. »

    Il faut dire que la société #Eurotunnel, qui gère le tunnel sous la Manche, ne lésine pas sur les moyens. En 2019, elle a dépensé 15 millions d’euros pour installer des sas « #Parafe » utilisant la reconnaissance faciale du même nom, mise au point par Thales. Lors du passage de la frontière, certains camions sont examinés par des capteurs de CO2 ou de fréquence cardiaque, ainsi que par de l’#imagerie par #ondes_millimétriques, afin de détecter les personnes qui pourraient s’être cachées dans le chargement.

    « C’est un dispositif qui existe depuis 2004, lorsque Nicolas Sarkozy a fait évacuer le camp de Sangatte, informe un porte-parole d’Eurotunnel. Depuis 2015, il y a tellement de demandes de la part des routiers pour passer par ce terminal, car ils peuvent recevoir des amendes si un migrant est trouvé dans leur camion, que nous avons agrandi sa capacité d’accueil et qu’il fait partie intégrante du trajet. »

    Des outils de plus en plus perfectionnés qui coïncident avec l’évolution des modes de passage des personnes exilées, analyse le politologue Pierre Bonnevalle. « Pendant longtemps, il s’agissait de surveiller les poids lourds. Le #port et le #tunnel sont aujourd’hui tellement bunkérisés que les exilés traversent en bateau. »

    Les technologies employées suivent : en novembre 2021, le ministère de l’intérieur annonçait la mise à disposition de 4 x 4, de lunettes de vision nocturne ou de #caméras_thermiques pour équiper les gendarmes et policiers chargés de lutter contre l’immigration clandestine sur les côtes de la Manche.

    « Ces technologies ne servent à rien, à part militariser l’espace public. J’ai encore rencontré des associatifs la semaine dernière qui me disaient que cela n’a aucun impact sur le nombre de passages et les risques pris par ces gens », tempête l’eurodéputé et ancien maire de Grande-Synthe Damien Carême.

    Elles ont malgré tout un #coût : 1,28 milliard d’euros depuis 1998, selon Pierre Bonnevalle, dont 425 millions pour la seule période 2017-2021. « C’est une estimation a minima, pointe-t-il. Cela ne prend pas en compte, par exemple, le coût des forces de l’ordre. »

    Publié en novembre 2021, un rapport de la commission d’enquête parlementaire sur les migrations détaille les dépenses pour la seule année 2020 : l’État a investi 24,5 millions dans des dispositifs humanitaires d’hébergement, contre 86,4 pour la mobilisation des forces de l’ordre. Des sommes qui désespèrent Pablo, le militant de Human Rights Observers. « Cela aurait permit de bâtir de nombreux centres d’accueil pour que les exilés vivent dans des conditions dignes. » L’État semble avoir d’autres priorités.

    #technologie #frontières #contrôles_frontaliers #asile #migrations #réfugiés #surveillance_des_frontières #militarisation_des_frontières #IA #AI #complexe_militaro-industriel #Manche #La_Manche #France #UK #Angleterre
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    via @olaf #merci :
    https://seenthis.net/messages/968794

  • L’#UE et le #Niger signent un nouvel accord pour lutter contre les trafiquants d’êtres humains

    Depuis 2015, le Niger a mis en place une politique de #dissuasion, en #coopération avec l’#Union_européenne, pour réduire l’#attractivité de son territoire devenu terre de transit pour les migrants, qui cherchent à rejoindre l’Europe via la Libye. Un nouvel #accord a été signé vendredi pour amplifier la #lutte_contre_l'immigration_clandestine, en protégeant mieux les frontières et en offrant des alternatives à ceux qui vivent de la migration dans le pays.

    D’après la #Commission_européenne, la coopération avec le Niger « passe à la vitesse supérieure » grâce à la signature d’un #partenariat_opérationnel pour combattre le trafic vendredi 15 juillet avec l’Union européenne (UE) doit permettre au Niger d’augmenter l’impact de l’équipe d’enquête conjointe qui a été établie dans le cadre de la #mission_civile_européenne (#EUCAP) #Sahel-Niger.

    Selon #Hamadou_Adamou_Souley, ministre nigérien de l’Intérieur, ce nouvel accord de coopération permettra à la fois de protéger les frontières et les migrants : « Tout ce que ces migrants demandent, c’est de vivre dignement, d’être traité comme des êtres humains. C’est ce que le Niger essaie de leur offrir comme opportunité. C’est pour cela que nous ouvrons nos frontières à ces migrants et nous essayons de les accompagner. »

    Pour Hamadou Adamou Souley, l’important est désormais de concrétiser les nouveaux projets évoqués par la Commissaire européenne aux Affaires intérieures lors de sa visite à Agadez, à savoir des projets de #développement_économique qui permettront de donner de nouvelles activités à ceux qui vivaient autrefois de la migration.

    https://www.infomigrants.net/fr/post/41962/lue-et-le-niger-signent-un-nouvel-accord-pour-lutter-contre-les-trafiq
    #externalisation #asile #migrations #réfugiés #frontières #contrôles_frontaliers #Niger #externalisation_des_frontières #EU #Europe #coopération_au_développement #conditionnalité_de_l'aide_au_développement

    ping @rhoumour @karine4

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    ajouté à la #métaliste autour de #migrations et #développement :
    https://seenthis.net/messages/733358

    et notamment sur la conditionnalité de l’aide au développement à la fermeture des frontières :
    https://seenthis.net/messages/733358#message768701

    • Joint press release: Strengthening cooperation in the fight against migrant smuggling: the European Union and Niger launch operational partnership to tackle migrant smuggling

      Today, the European Union and Niger are strengthening their cooperation with the launch of an operational partnership to tackle migrant smuggling. Joint efforts under this partnership will help to save lives, disrupt the business model used by criminal networks, prevent migrants from becoming victims of violence and exploitation and protect their fundamental rights.

      As highlighted in the new EU Pact on Migration and Asylum, combatting migrant smuggling is a shared challenge that requires robust cooperation and coordination with key partner countries along migration routes, in line with the EU’s overarching approach to migration. Located at the heart of the Sahel, Niger has for decades been at the crossroads of migration flows to North and West Africa and to the EU, as well as a destination country for migrants. The country has made considerable efforts to tackle migrant smuggling, helping to evacuate individuals affected from Libya and ensuring a dignified return home for irregular migrants. Niger and the European Union have worked together as trusted partners in the Sahel region and have been involved in several joint initiatives addressing wider migration and security issues, including the challenges of irregular migration, and focusing in particular on efforts to tackle criminal groups operating in the region in the pursuit of profit.

      Now, the constructive cooperation between Niger and the European Union and the strong mutual commitment to stepping up joint efforts to address migration and security risks and the consequences of irregular migration are moving up a gear, from both an operational and a political point of view. The operational partnership to tackle migrant smuggling is a response to shared needs and sets out to achieve common objectives, based on the renewed EU #Action_Plan_against_Migrant_Smuggling (2021-2025).

      Commissioner for Home Affairs, Ylva Johansson, said: ‘We are taking a crucial step in efforts to combat migrant smuggling and are making progress towards achieving the objectives set out in the New Pact on Migration and Asylum. Niger has long been a key partner in terms of addressing security challenges and managing migration and I am delighted that today we are jointly launching an operational partnership to tackle migrant smuggling in order to consolidate and ramp up our efforts. Together, we will do all we can to save migrants’ lives and prevent violations of their rights, strengthen the management and security of borders, dismantle the criminal networks that are responsible for smuggling and offer genuine economic alternatives to people seeking a better life in Niger.’

      Niger’s Minister for the Interior, Hamadou Adamou Souley, said: ‘Implementing this operational partnership to tackle migrant smuggling aligns perfectly with the actions and activities under programmes II and III of the action plan set out in our National Migration Policy. This will allow us to work together to better protect migrants, secure our borders and achieve our ultimate aim, which is to improve living conditions for migrants and their host communities.’

      Content of the operational partnership to tackle migrant smuggling

      Part of the EU’s wider efforts with Niger on migration, the Operational Partnership comprises a number of actions that could be expanded to ensure that the Partnership can adapt as the context surrounding migration and the phenomenon itself evolve.

      This will boost the success of the #Joint_Investigation_Team (#JIT) in Niger, where, with EU funding, officers from services in EU Member States and Niger are working side by side to disrupt the business model of people smugglers and criminal networks. Since 2017, over 700 criminals have been arrested and over 400 judicial proceedings have been launched. The Operational Partnership will maximise the impact of the JIT and strengthen links with other operational activities in the region to address migrant smuggling.

      New information and awareness-raising campaigns will also be launched, explaining the risks of irregular migration and migrant smuggling, as well as setting out possible alternatives. By challenging the narratives put forward by people smugglers, the campaigns set out to inform migrants and influence their decisions to migrate.

      The working arrangement between #Frontex and Niger, currently under discussion, will support the Nigerien authorities with regard to integrated border management by strengthening risk management and assessment capabilities with a view to facilitating legitimate border crossings and tackling irregular migration and cross-border crime.

      The #European_Union_Capacity_Building_Mission (EUCAP) Sahel Niger has been working with partners in Niger for nearly ten years to tackle terrorism, organised crime and criminal people-smuggling networks operating in the region. This work is part of the European Union’s commitment to security and defence efforts in the Sahel region under the responsibility of the High Representative of the EU for Foreign Affairs and Security Policy, #Josep-Borrell. The signing of a working arrangement between Frontex and the EUCAP Sahel Niger will support the joint commitment by the European Union and Niger to improve border-management structures in Niger and crack down on people traffickers and smugglers and those who seek to profit from the distress of migrant men, women and children. The working arrangement will facilitate and enhance efforts to exchange information, offer targeted training activities, share best practices and advise the Nigerien authorities.

      The #Coordination_Platform_on_Migration, which is part of the office of Niger’s Minister for the Interior, working in close cooperation with the EU Delegation to Niger, will operate as a coordination and monitoring mechanism for implementing the Operational Partnership to ensure consistency across activities and coordination of stakeholders, in line with Niger’s National Migration Policy (2020-2035), the European Union’s overarching approach to migration and its work with partner countries under the New Pact on Migration and Asylum.

      The Operational Partnership will work in tandem with the two Team Europe initiatives on the Central Mediterranean route and the Atlantic and Western Mediterranean route. Projects carried out under these two initiatives will help to implement the Operational Partnership and strengthen efforts by the European Union and the Member States to tackle irregular migration and forced displacement. At the same time, EU support under the #NDICI - Global Europe instrument in terms of human development, governance and sustainable and inclusive economic growth, including through EUR 195 million in budget support, will help Niger in its efforts to implement key reforms and address security and socio-economic challenges as well as challenges related to migration management. The Operational Partnership will be complemented by projects seeking to promote economic development and improve the availability of and access to high-quality public social services for communities in Niger, particularly in the #Agadez region.

      https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/en/ip_22_4536

    • Actions sur les questions migratoires : L’ICMPD annonce la signature d’un accord de coopération avec les autorités nigériennes

      Le #Centre_International_pour_le_Développement_des_Politiques_Migratoires (#ICMPD, en anglais), a organisé, hier mardi 12 juillet 2022 à Niamey, un déjeuner de travail, avec les différents acteurs intervenant sur les questions migratoires. C’était une occasion pour informer les autorités, les organisations internationales et leur présenter ledit centre mais aussi pour annoncer la signature d’un accord de coopération, sur la migration, le jeudi 14 juillet prochain, avec les autorités nigériennes.

      Selon M. Vincent Marchadier, Chef de Projet au Bureau ICMPD pour l’Afrique de l’Ouest, le Niger est un pays clé tant au niveau du Sahel, qu’au niveau de la CEDEAO, confronté aux flux migratoires, qui passe de pays de transit à un pays de destination, avec les migrants irréguliers, qui ont tendance à s’installer, de plus en plus au Niger et cela pour plusieurs raisons. « D’où l’importance de rencontrer les autorités politiques et les autres structures œuvrant dans la lutte contre la migration irrégulière, pour les appuyer dans ce combat et cela à travers plusieurs projets et actions communes », a indiqué M. Marchadier. Le Niger, a-t-il précisé a été retenu, au regard de la volonté et de la disponibilité des autorités à combattre cette migration irrégulière, qui par ailleurs cause de nombreux problèmes (violence, divers trafics, insécurité, etc.). Il a ajouté que sur toutes ces questions l’ICMPD peut apporter son expertise, pour contribuer à les résoudre, que d’autres structures n’ont pas pu apporter. « Cet accord a pour but de définir le cadre de relation entre l’ICMPD et le gouvernement du Niger, afin de travailler à résoudre les difficultés qui sont posées par le phénomène migratoire, au niveau du territoire nigérien », a-t-il déclaré. Quant au Directeur Général de l’ICMPD, M. Mickael Spindelegger, il a indiqué que : « Nous allons rencontrer le Premier ministre du Niger, pour qu’il nous décline quels sont les domaines dans lesquels il veut que nous intervenions dans le domaine de cette coopération ». Selon M. Spindelegger, cet accord de siège permettra au ICMPD d’être reconnu comme organisation internationale intervenant dans le domaine migratoire, et par la même d’être capable de développer ses activités d’aide et de coopération au niveau national. « Cet accord nous permettra de développer des projets importants et porteurs pour la lutte contre la migration irrégulière mais aussi pour le développement de ce vaste pays, qui a une réelle volonté de bien s’impliquer dans le combat contre ce type de migration, en dépit de nombreux défis auxquels il fait face », a-t-il ajouté.

      « Nous allons d’abord nous renseigner sur l’état de la situation sur toutes les questions migratoires concernant le Niger et ensuite en coopération avec les autorités nationales, définir les axes d’interventions, les projets pertinents et adaptés qu’il faut mettre en œuvre en fonction de la situation. Nous comptons travailler sur un projet, qui nous tient à cœur concernant le Niger et le Nigeria, pour que ces deux pays travaillent, le plus étroitement possible sur les questions migratoires. L’ouverture d’esprit des autorités nigériennes et leur esprit coopératif, nous permettront, sans nul doute d’atteindre des bons résultats, suite à la prochaine signature de l’accord de siège », a précisé M. Spindelegger.

      Notons que l’ICMPD est une organisation internationale dont les opérations sont réparties dans 90 pays à travers le monde. Il a été créé par l’Autriche et la Suisse en 1993 et compte 19 États membres en 2022.

      https://www.lesahel.org/actions-sur-les-questions-migratoires-licmpd-annonce-la-signature-dun-accor

  • Le gouvernement s’accorde sur une capacité d’#urgence via la Défense pour l’accueil des demandeurs d’asile

    Le gouvernement s’est accordé mercredi sur des mesures qui doivent soulager le réseau d’accueil des demandeurs d’asile saturé depuis plusieurs semaines, a annoncé la secrétaire d’État à l’Asile, Nicole de Moor, en commission de la Chambre. “La situation est urgente”, a-t-elle ajouté dans un communiqué.

    Pour permettre un accueil d’urgence, la Défense sera mise à contribution à court terme pour fournir une capacité de 750 places d’urgence dans les quartiers militaires et ensuite, à plus long terme, 750 places dans des villages de #conteneurs. Un appel sera par ailleurs lancé à l’adresse des communes et aux ONG afin qu’elles fournissent des #initiatives_locales d’accueil et des places collectives.

    750 #abris_temporaires

    Dans la première phase, la Défense fournira 750 #abris temporaires dans des #hangars, avec des installations sanitaires mobiles si nécessaire, a précisé la ministre de la Défense, Ludivine Dedonder. Les hangars seront compartimentés afin d’offrir un #confort_de_base aux demandeurs d’asile. La #restauration sera assurée provisoirement par la #Défense, dans l’attente d’un contrat structurel de restauration. Dans cette phase, la Défense fournit l’infrastructure, Fedasil en coopération éventuelle avec des ONG sera responsable de l’exploitation des centres d’accueil temporaires avec du personnel qualifié.

    Village de conteneurs

    Dans la deuxième phase, la Défense utilisera des contrats-cadres existants pour construire un #village_de_conteneurs de 750 places d’accueil. L’emplacement de ce village de conteneurs sera bientôt déterminé en fonction de la présence de commodités de base telles que l’eau et l’électricité. La Défense assurera la coordination de la logistique et de la construction du village de conteneurs. Là encore, Fedasil se chargera du fonctionnement du centre d’accueil.
    Structures adaptées ou adaptables

    Dans la troisième et dernière phase, la Régie des bâtiments est chargée de trouver des infrastructures adaptées ou adaptables pour accueillir des familles.

    “Aujourd’hui, la Défense est à nouveau sollicitée pour désamorcer une crise. Même si la Défense fait aujourd’hui face à des défis internes majeurs et qu’elle est en pleine reconstruction et transformation, le département est toujours présent pour définir une méthode de travail et un cadre pour désamorcer la crise d’accueil”, a souligné la ministre. Celle-ci a rappelé que son département fournissait déjà 6.000 places d’accueil, soit 20% de la capacité d’accueil totale du pays.
    Dissuader des demandeurs présents en Europe

    Le gouvernement intensifiera par ailleurs les #campagnes cherchant à dissuader des demandeurs qui se trouvent dans d’autres États membres de l’UE d’entamer une nouvelle procédure en Belgique. Plus de 50 % des demandes d’asile ont déjà une demande correspondante dans un autre État membre de l’UE, dont les Pays-Bas, la France et l’Allemagne. Un centre “Dublin” -en référence à la procédure européenne qui détermine le pays européen, et lui seul, compétent pour examiner une demande d’asile- sera aménagé dans un centre existant à #Zaventem, avec une capacité de 220 personnes. Il devra faciliter le #retour des demandeurs dans le pays de leur premier enregistrement.

    “La pression de l’asile devient énorme dans notre pays si les demandeurs d’asile ne retournent pas dans le premier pays d’arrivée de l’UE”, a insisté Mme de Moor.

    Afin d’accélérer le flux sortant de demandeurs, ceux qui ont un emploi pourront sortir des centres d’accueil et libérer de la sorte de la place pour les autres. Le Commissariat Général aux Réfugiés et Apatrides (CGRA) est appelé à prendre davantage de décisions. Leur nombre devrait se situer entre 2.200 et 2.500 par mois alors qu’il s’établissait à une moyenne de 1.600 entre janvier et mai. L’instance qui se prononce sur les demandes d’asile œuvrait déjà à un plan visant augmenter les décisions. Des recrutements sont également en cours.

    Grâce à ces mesures, le gouvernement entend éviter le paiement d’astreintes prononcées par la justice parce que des demandeurs d’asile resteraient à la rue, a encore précisé la secrétaire d’État. “Le contribuable ne veut pas voir son argent servir à payer des astreintes”.

    https://www.7sur7.be/belgique/le-gouvernement-s-accorde-sur-une-capacite-d-urgence-via-la-defense-pour-laccu

    #renvois #Dublin #centre_Dublin #règlement_Dublin #armée

    –—

    Commentaire reçu via la mailing-list Migreurop :

    La Belgique, condamnée depuis la fin de l’année 2021 par la justice pour le non-accueil des demandeur.se.s d’asile, a finalement trouvé une « solution d’urgence » afin de faire face à cette crise.

    La solution ? Passer par l’armée belge et utiliser les hangars disponibles de la Défense afin de les aménager sommairement et de fournir un toit à plusieurs centaines de personnes.

    Cette réponse est censée être de courte durée et restera en place le temps d’installer un village de containers pouvant abriter 750 personnes. Une sorte d’encampement organisé et voulu par les autorités belges...

    Autre mesure prévue : le rassemblement des demandeur.se.s d’asile Dublin en un lieu unique, à proximité de l’aéroport de Bruxelles, et ce afin de faciliter leur expulsion vers le pays de prise en charge. Il deviendra bientôt difficile de faire la différence entre les centres d’accueil, supposés être des lieux ouverts pour demandeur.se.s d’asile et les centres fermés, ces lieux de détention administrative, entourés de barbelés et surmontés de miradors.

    #encampement #Belgique #accueil #réfugiés #migrations #asile #campagne #dissuasion

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  • Spain wants NATO to flag migration as ’hybrid threat’ in policy roadmap, says foreign minister

    Spain, as host of an upcoming NATO summit, will push for the inclusion of “hybrid threats” such as irregular migration, food insecurity and terrorism in the alliance’s new policy roadmap, Foreign Minister Jose Manuel Albares said in an interview.

    The June 29-30 summit in Madrid will be one of the most important since NATO’s inception in 1949. It will draft the alliance’s “Strategic Concept” for the next decade, outlining its mission against the backdrop of Russia’s invasion of Ukraine and the admission of new members such as Finland and Sweden.

    Spain is campaigning for NATO to pay more attention to non-military threats on its so-called southern flank, comprised of the Maghreb and Sahel countries under growing Russian influence, Albares told Reuters in the interview, even as it addresses the Ukraine conflict on its eastern border.

    “We want an acknowledgement that there are also serious threats coming from the southern flank,” Spain’s chief diplomat said. “Terrorism, cybersecurity, the political use of energy resources and of irregular migration all impinge on our sovereignty,” he said.

    NATO insiders have told Reuters in recent weeks that, with an active conflict on its eastern flank and regions such as the Baltic states pushing for more resources, any firm commitment to the southern flank was unlikely.

    Sources also said the issue of migration was too divisive to gain consensus at the summit, even if Spain has the backing in its campaign from other southern European nations such as Portugal and Italy.
    DETERRENT EFFECT

    Albares said the mere inclusion of such hybrid threats in NATO’s strategy, as well as the reference to the southern flank as a region to monitor, would be enough to generate the “deterrent” effect that Spain seeks to protect its borders.

    “Nothing new needs to be done, it must just be borne in mind that a number of threats may emanate from the southern flank that at some point may require a NATO defensive reaction in exactly the same way as we are seeing on the eastern flank.”

    He said while a direct military threat from the south should be met with a NATO military response, “non-conventional” resources such as technology could be used to counter threats like cyberattacks and the weaponisation of irregular migration.

    “Let there be no doubt in anyone’s mind that such hybrid threats cannot be used to challenge our territorial integrity and sovereignty,” he said.

    Spain is also highlighting growing Russian influence in the Sahel region of West Africa. Russian private military contractor the Wagner Group is working with the Malian military to counter Islamic insurgency in the area, while former colonial power France pulled out troops. read more

    The European Union has imposed sanctions Wagner, which it says works on the Kremlin’s behalf. Moscow denies ties but it says it is providing “military assistance” through state channels. read more

    “Russia’s presence [in Mali] does not help in any way, it does not help in any way to advance democracy, to stabilise,” Albares said.

    https://www.reuters.com/world/europe/spain-wants-nato-flag-migration-hybrid-threat-policy-roadmap-says-foreign-2

    #menace #menace_hybride #migrations #asile #réfugiés #OTAN #NATO #Espagne #stratégie #concept_stratégique #souveraineté #southern_flank #flanc_sud #dissuasion #technologie

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  • Un nouveau délit à la #frontière : le claquement de portières !

    Depuis plus de cinq ans, femmes et hommes du #Briançonnais portent #secours de jour comme de nuit aux personnes étrangères en provenance du Moyen-Orient et d’Afrique. Aux #frontières, les #contrôles_d’identités auprès de ces « #maraudeurs » se multiplient jusqu’au surréalisme.

    par Didier Fassin, anthropologue et médecin, Anthropologue et médecin, Marion Lauer, Psychologue, Chloé Ménard, Interne en médecine, Anne Michel, Employée de commerce et Jean-Luc Para, Médecin généraliste

    Depuis plusieurs années, malgré la convention de Schengen, la frontière entre la #France et l’#Italie a été rétablie entre #Vintimille et #Menton et entre #Oulx et #Briançon. Il s’agit d’empêcher l’entrée sur le territoire français de personnes étrangères en provenance du Moyen-Orient et d’Afrique, généralement par la route des Balkans. Au col de #Montgenèvre, point de passage dans les #Hautes-Alpes en raison de sa faible altitude et de son accès facile, les effectifs de la #police_aux_frontières ont été renforcés. Un escadron de #gendarmes_mobiles est venu en appui, puis un second.

    Au total, ce sont plus de deux cents agents des #forces_de_l’ordre qui interviennent, de jour comme de nuit, pour interpeller et renvoyer en Italie les quelque trois mille personnes qui, chaque année, tentent de passer en France, parfois pour y demander l’asile, souvent pour continuer leur voyage. La plupart de ces exilés fuient leur pays en raison des dangers pesant sur eux et leur famille, tels des Afghans menacés par la répression des talibans ou des Nigérians victimes des attaques de Boko Haram.

    L’ironie de cette #militarisation de la #zone_frontalière tient toutefois à l’importance du déploiement de forces de l’ordre au regard de la dizaine de personnes en moyenne s’efforçant de franchir quotidiennement la frontière et à l’#inefficacité de ce dispositif puisque, de l’aveu même des policiers et des gendarmes, toutes finissent par passer. Il ne saurait en être autrement quand on sait qu’elles voyagent depuis plusieurs années, affrontant au péril de leur vie les risques naturels, les rigueurs des camps de détention et les brutalités des forces de l’ordre de l’est de l’Europe. Dans ces conditions, les policiers et les gendarmes amassés entre l’Italie et la France ne peuvent les dissuader de poursuivre leur périple. En revanche, cette présence les conduit à s’exposer de plus en plus en empruntant, souvent de nuit, des chemins de plus en plus dangereux où certains souffrent de gelures graves en hiver, se blessent lors de chutes en été, et même trouvent la mort de froid ou par noyade.

    Au nom du principe de #fraternité

    C’est la raison pour laquelle, depuis un peu plus de cinq ans, des femmes et des hommes du Briançonnais et bien au-delà partent dans la #montagne, de jour comme de nuit, pour leur porter secours ou les empêcher de s’engager dans des voies périlleuses. L’action des « maraudeurs », comme on les appelle, s’avère particulièrement importante pour épargner ces #risques à des personnes épuisées et malades ou des femmes parvenues au terme de leur grossesse. Strictement respectueux de la loi, les maraudeurs agissent ainsi sur le territoire français au nom du principe de fraternité inscrit dans la devise de la République et reconnu par le Conseil constitutionnel dans sa décision du 6 juillet 2018.

    Les exilés assistés sont conduits à Briançon, soit à l’hôpital, soit au refuge dit solidaire, en fonction de leur état de santé. Mais au-delà de sa dimension humanitaire, représentée notamment par la présence de bénévoles de Médecins du monde, l’action des maraudeurs a aussi une signification politique. Elle rappelle à l’Etat son obligation de respect du #droit français. Une brochure établie par l’association Tous migrants et distribuée aux forces de l’ordre lors d’interactions avec elles dans la montagne procède de cette pédagogie citoyenne.

    Bien que légale, l’action des maraudeurs fait pourtant l’objet d’une #répression qui peut prendre plusieurs formes. Ce sont des vérifications de véhicules à la recherche de détails pouvant faire l’objet d’une verbalisation, tel un feu cassé. Ce sont également des accusations infondées d’#aide_à_l’entrée_irrégulière d’étrangers sur le territoire français donnant lieu à des auditions par la police, voire à des poursuites. Les contrôles d’identité peuvent être suivis de #contraventions pour des faits inventés, comme la circulation sur une voie forestière interdite d’accès. Ces #falsifications, dont plusieurs d’entre nous ont été les victimes, sont cependant difficiles à contester dans la mesure où les agents qui les produisent sont assermentés et donc réputés dire le vrai. D’une manière générale, ce #harcèlement et ces #sanctions ont une fonction d’#intimidation et de #dissuasion. Ils ne sont d’ailleurs pas sans effet compte tenu de leurs conséquences financières et parfois judiciaires.

    Signe de cette inflation répressive poussée jusqu’au surréalisme, à la suite d’une récente maraude en montagne, cinq personnes ont été contrôlées par des agents de la police aux frontières rapidement rejoints par une dizaine de gendarmes à pied. Après une longue vérification de leur identité, ils ont été accusés de « #tapage_nocturne »… à cause du bruit provoqué par la fermeture des portières lorsqu’ils sont entrés dans leurs deux véhicules. Nul ne sait si la contraventionalisation du #claquement_de_portières la nuit fera jurisprudence sur l’ensemble du territoire français, mais son utilisation à la frontière suggère, comme l’écrivait le poète François Ponsard, repris par Gustave Flaubert dans Bouvard et Pécuchet : « Quand la borne est franchie, il n’y a plus de limite. » De cet épisode, il y a, certes, matière à rire. Mais on ne peut manquer de s’en inquiéter.

    Didier Fassin, Marion Lauer, Chloé Ménard, Anne Michel et Jean-Luc Para participent aux activités de prévention des risques conduites à la frontière entre l’Italie et la France dans le cadre d’une collaboration entre Médecins du monde et Tous migrants.

    https://www.liberation.fr/idees-et-debats/tribunes/un-nouveau-delit-a-la-frontiere-le-claquement-de-portieres-20220623_EDLCO

    #maraudes #frontière_sud-alpine #dissuasion

    ping @karine4 @isskein

  • Rapports sur la frontière franco-britannique

    Dans le premier rapport intitulé « Enquête sur 30 ans de Fabrique Politique de la Dissuasion. L’Etat français et la gestion de la présence des personnes exilées dans la frontière franco-britannique : harceler, expulser, disperser ». L’auteur, le politologue #Pierre_Bonnevalle, analyse la reproduction d’un échec coûteux et inefficace.

    Le deuxième rapport a été réalisé par l’anthropologue #Marta_Lotto avec une démarche novatrice : enquêter auprès des personnes exilées bloquées aux portes du Royaume-Uni. Avec le titre « ON THE BORDER, La vie en #transit à la frontière franco-britannique ». Elle restitue les réflexions, les analyses et les #perceptions des personnes interrogées.

    https://www.psmigrants.org/site/communique-de-presse-4-02-2022-sortie-des-rapports

    #migrations #réfugiés #Manche #France #UK #Angleterre #Calais #frontières #contrôles_frontaliers #expulsions #dispersion #harcèlement #histoire #dissuasion #échec #inefficacité
    #rapport #PSM

  • #Déclarations sur les migrants : #Gianni_Infantino est un “profiteur déguisé en missionnaire”

    L’instance dirigeante du #football mondial et son président sont dans la tourmente après avoir suggéré qu’une #Coupe_du_monde tous les deux ans donnerait de “l’#espoir” aux Africains et les dissuaderait de traverser la Méditerranée. La presse internationale décrit une organisation prête à tout pour amasser les billets, quitte à feindre l’humanisme.

    Des propos au mieux "lunaires", au pire "scandaleux", versant même dans le "racisme". Le président de la Fédération internationale de football association (FIFA), Gianni Infantino, a créé la #polémique après sa prise de parole devant le Conseil de l’Europe à Strasbourg, mercredi 26 janvier.

    L’Italo-Suisse présentait son projet pour le "#futur_du_football" dont le point central est l’organisation de la Coupe du monde tous les deux ans - l’événement sportif phare se tient actuellement tous les quatre ans. À la fin d’un discours d’une quinzaine de minutes, le patron du football mondial a suggéré qu’une telle réforme donnerait de "l’espoir" aux Africains, et les découragerait de traverser la Méditerranée.

    Nous devons trouver des solutions pour impliquer le monde entier. Nous devons donner de l’espoir aux Africains pour qu’ils ne soient plus obligés de traverser la Méditerranée pour trouver, peut-être, une meilleure vie ou, plus probablement, la mort en mer. Nous devons offrir des #opportunités et de la #dignité."

    Le caractère scabreux de cet argument n’a pas échappé à la presse africaine. "En quoi jouer la Coupe du monde tous les deux ans inciterait les enfants de l’Afrique à rester sur leur continent ??", interroge le site algérien spécialisé La Gazette du Fennec, avançant que Gianni Infantino déguise sa recherche du profit sous un vernis philanthropique.

    Pour promouvoir une Coupe du monde tous les deux ans, Gianni Infantino, président de la #FIFA, est capable de tout. Jusqu’à lâcher des arguments lunaires qu’on peut référer aux temps des empereurs qui pensaient qu’organiser des jeux suffisait pour distraire Rome. Ainsi, pour le patron de la FIFA, un mondial biennal résoudrait les problèmes en #Afrique. Rien que ça."

    Un raisonnement aussi décalé a suscité les moqueries du quotidien britannique I. "Que ferions-nous sans grands maîtres du #sport blancs et dans la force de l’âge nous dispensant leur sagesse de comptoir ?? La solution aux problèmes du monde ?? Mais c’est davantage de #foot, bien sûr ?!" Poursuivant sur un ton ironique, le journaliste se demande si la FIFA serait prête à organiser les prochaines coupes du monde dans des zones de guerre, et même à déplacer son siège à Juba au Soudan du Sud ou à Tripoli en Libye. En conclusion, le titre invite à "laisser le soin de réfléchir à des gens sérieux, pas à des profiteurs déguisés en missionnaires".

    Du côté du site espagnol Público, le faux pas de Gianni Infantino prête plus à la colère qu’à l’ironie. Dans un texte particulièrement acerbe, l’auteur évoque un état d’esprit caractéristique du #complexe_de_supériorité européen hérité de l’histoire. "Le #paternalisme aux relents colonialistes et racistes d’Infantino reflète ce qu’est l’Europe, ni plus, ni moins. La façon dont le Vieux continent s’arroge le rôle de tuteur de l’Afrique alors que tout ce qu’il veut en réalité, c’est l’exploiter et la saigner jusqu’à la dernière goutte, est intolérable."

    Conscient de l’indignation générée par les propos de son patron, la FIFA a communiqué via ses réseaux sociaux, affirmant que ceux-ci avaient été mal interprétés et sortis de leur contexte. "S’il y avait davantage d’#opportunités disponibles, y compris en Afrique mais pas seulement, cela permettrait aux gens d’en profiter dans leur propre pays. Il s’agissait d’un commentaire généraliste qui n’était pas directement lié à la possibilité d’organiser une Coupe du monde tous les deux ans."

    https://www.courrierinternational.com/revue-de-presse/football-declarations-sur-les-migrants-gianni-infantino-est-u

    #dissuasion #migrations #asile #réfugiés #racisme

    ping @isskein @cede @karine4

  • Government spent £700k on company advising Afghans not to flee before Taliban takeover

    Exclusive: Company convinced Afghans to ‘avoid potentially deadly encounters on the journey to Europe’ months before the Taliban takeover.

    The government has given more than £700,000 to a company that advised Afghans not to flee the country before the Taliban takeover.

    An investigation by The Independent revealed that the Home Office has handed the “migration behaviour change” firm at least £702,000 since 2016, and it may have been given even more money by the Foreign Office during the same period.

    Despite the funding, Seefar’s name has never been mentioned in the Houses of Parliament, and the Home Office has refused to detail the work it commissioned.

    The government said it “makes no apology” and wanted to highlight the risks of irregular journeys using people-smugglers.

    #Seefar is behind multilingual websites including “On The Move” and “The Migrant Project”, which claim to “enable migrants and potential migrants to make informed decisions”.

    Earlier this year, the Hong Kong-based company said it had conducted a “migration communications campaign in Afghanistan” between February and December 2020.

    A press release said it had “successfully resulted in more than half of consultees making safer and more informed migration decisions, and avoiding potentially deadly encounters on the journey to Europe”.

    An unknown number of people left trapped in Afghanistan after the end of Britain’s evacuation operation in August have been murdered by the Taliban, and a promised scheme to resettle 20,000 refugees has not yet started.

    Seefar said it used “unbranded media outreach” to influence Afghans who wanted to flee before the takeover, and advised European governments not to publicly link themselves with such campaigns.

    “You should not brand your campaign with the name of the donors [such as governments] and/or international organisations if possible. Instead, your campaign will benefit from a standalone brand that is trusted in the communities,” said a “best practice” document published earlier this year.

    The government is due to give Seefar up to £500,000 more public money under a contract for a new “organised immigration crime deterrence and influencing communications strategy”.

    A public record of the deal, published in March, said it “includes proposals to deter migrants and signposting migrants to credible alternatives … through a multilingual website and telephone service”.

    The document gave the contract’s value as £500,000, but said the number was a “ceiling figure” rather than a committed spend.

    In August, Seefar was awarded a separate three-year contract to provide a “training provision framework”, for a department that “delivers strategic capability development programmes overseas on behalf of the Home Office”.

    Different companies have been given responsibility for different areas, and Seefar was handed the “borders, migration and asylum” section. The value of the contract has not been publicly disclosed.

    Appearing to pose as non-profit organisations, Seefar’s websites focus on “the risks of irregular migration” and encourage people to use “safe and legal alternatives” – without giving details of how to claim asylum or apply for resettlement in the UK.

    “You have a choice,” reads the On The Move website. “Don’t risk your life and waste hard-earned money trying to reach the UK.”

    The Home Office paid Facebook and Instagram over £23,000 for targeted adverts linking to the website between last December and April, as part of a campaign aiming to dissuade migrants from attempting Channel crossings.

    On The Move discloses no link to the British government in its “about us” section, which reads: “On The Move provides migrants in transit with free, reliable and important migration information. Reliable and trustworthy information on migration is very difficult to find.”

    Seefar’s company website lists supporters including the governments of Britain, Germany, Australia and the Netherlands, along with the European Commission.

    The company was founded in 2014 and describes itself as “a recognised leader in understanding migration behaviour change”, with “extensive experience developing and deploying innovative monitoring and evaluation approaches for irregular migration communication campaigns”.

    A Seefar booklet aimed at potential customers listed services including “Scripting lines for politicians to deliver, providing information and counselling face to face, over the phone or online, unacknowledged support to news media and documentary makers” and “advertising on billboards, television, radio or the internet”.

    Public Home Office spending records list 12 separate payments and grants to Seefar between 2016 and 2018, of up to £120,000 each, but do not detail what they were for.

    They are listed as from the Home Office’s “capability and resources group”, or for “advertising, media and publicity”.

    Tim Naor Hilton, the chief executive of Refugee Action, said: “We have seen this year the tragic consequences of what happens when ministers waste money on a hostile policy of trying to keep people out, rather than keep people safe.

    “The government must spend less time on these murky schemes and more on creating effective safe routes for refugees to claim asylum here.”

    The Home Office said it has robust processes in place to check projects are good value for money, and that spending records are published in accordance with regulations.

    A spokesperson added: “While lives are at risk, we make no apology for using every possible tool at our disposal to provide potentially lifesaving information to migrants.

    “Last month’s tragedy is a devastating reminder of the dangers of Channel crossings. Highlighting the threats of these deadly journeys is vitally important in making clear that people risk their lives if they turn to people-smugglers.

    https://www.independent.co.uk/news/uk/home-news/afghan-asylum-seekers-uk-websites-seefar-b1981905.html

    #propagande #migrations #dissuasion #asile #migrations #Afghanistan

    ping @karine4 @isskein

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    ajouté à la métaliste de #campagnes de #dissuasion à l’#émigration (même si cet événement est un peu différent, car il est organisé en soutien aux troupes qui « gardent la frontière ») :
    https://seenthis.net/messages/763551

  • #Zero_chance

    Australia’s borders are closed to illegal migration

    There is only one way to gain entry into Australia — with an Australian visa. To find out more about your options for safe and lawful travel to Australia, visit www.homeaffairs.gov.au

    To find out more about Australia’s strong border protection policies, visit www.australia.gov.au/zerochance

    « zero chance » après « #no_way »...
    https://zerochance.lk
    #campagne #dissuasion #Australie #migrations #asile #réfugiés #films #jeux

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    ajouté à la métaliste sur les campagnes de dissuasion :
    https://seenthis.net/messages/763551