• “Sotto l’acqua”. Le storie dimenticate dei borghi alpini sommersi in nome del “progresso”

    I grandi invasi per la produzione di energia idroelettrica hanno segnato nei primi decenni del Novecento l’inizio della colonizzazione dei territori montani. #Fabio_Balocco, giornalista e scrittore di tematiche ambientali, ne ha raccolto le vicende in un libro. Un lavoro prezioso anche per comprendere l’attuale dibattito su nuove dighe e bacini a favore di agricoltura intensiva e innevamento artificiale

    Un campanile solitario emerge dalle acque del Lago di Rèsia, in Val Venosta, un invaso realizzato per produrre energia idroelettrica. Quella che per i turisti di oggi è una curiosa attrazione, è in realtà ciò che rimane di una borgata alpina sommersa in nome del “progresso”. Quella del campanile che sorge dalle acque è un’immagine iconica che in tanti conoscono. Ma non si tratta di un caso isolato: molti altri abitati alpini furono sommersi nello scorso secolo, sacrificati sullo stesso altare. Soprattutto nel Piemonte occidentale, dove subirono la sorte le borgate di Osiglia, Pontechianale, Ceresole Reale, Valgrisenche, e un intero Comune come Agàro, nell’Ossola. A raccontare queste storie pressoché dimenticate è il giornalista e scrittore Fabio Balocco nel suo recente saggio “Sotto l’acqua. Storie di invasi e di borghi sommersi” pubblicato da LAReditore.

    Balocco, perché ha scelto di raccontare queste storie?
    FB Tutto è iniziato con un’inchiesta per la rivista Alp (mensile specializzato in montagna e alpinismo, chiuso nel 2013, ndr) che feci a metà anni Novanta, incentrata proprio su queste storie dei borghi sommersi per produrre energia. Un fenomeno che caratterizzò soprattutto gli anni Venti e Trenta del Novecento per alimentare le industrie della pianura. Sono sempre stato attratto dalle storie “minime”, quelle dei perdenti, in questo caso le popolazioni alpine sacrificate appunto sull’altare dello sviluppo. È quella che io chiamo “la storia con la esse minuscola”. La nascita del libro è dovuta sia al fatto che siamo sulla soglia del secolo da quando iniziarono i primi lavori e sia dal ritorno nel dibattito politico del tema di nuovi invasi. Infine, penso sia necessario parlarne per ricordare che nessuna attività umana è esente da costi ambientali e talvolta anche sociali, come in questi casi che ho trattato.

    Nel libro afferma che l’idroelettrico ha portato ai primi conflitti nelle terre alte, tradendo la popolazione alpina. In che modo è successo?
    FB I grandi invasi per produzione di energia idroelettrica hanno segnato l’inizio della colonizzazione dei territori montani, che fino ad allora non erano stati intaccati dal punto di vista ambientale e sociale da parte del capitale della pianura. Queste opere costituirono l’inizio della colonizzazione di quelle che oggi vengono anche definite “terre alte”, colonizzazione che è proseguita soprattutto con gli impianti sciistici e le seconde case. Vale poi la pensa di sottolineare che almeno due invasi, quello di Ceresole Reale e quello di Beauregard, in Valgrisenche, comportarono la sommersione di due dei più suggestivi paesaggi delle Alpi occidentali.

    Che ruolo hanno avuto le dighe nello spopolamento delle terre alpine?
    FB È bene ricordare che nell’arco alpino occidentale lo spopolamento era già in atto agli inizi del Novecento in quanto spesso per gli abitanti delle vallate alpine era più facile trovare lavoro oltreconfine. Un caso esemplare è quello della migrazione verso la Francia che caratterizzò la Val Varaita, dove fu realizzato l’invaso di Pontechianale. Le dighe non contribuirono in modo diretto allo spopolamento ma causarono l’allontanamento di centinaia di persone dalle loro case che venivano sommerse dalle acque, e molti di questi espropriati non ricevettero neppure un compenso adeguato a comprare un nuovo alloggio, oppure persero tutto il denaro a causa dell’inflazione, come accadde a Osiglia, a seguito dello scoppio Seconda guerra mondiale. Queste popolazioni subirono passivamente le imposizioni, senza mettere in atto delle vere e proprie lotte anche se sapevano che avrebbero subito perdite enormi. Ci furono solo alcuni casi isolati di abitanti che furono portati via a forza. Questo a differenza di quanto avvenuto in Francia, a Tignes, negli anni Quaranta, dove dovette intervenire l’esercito per sgomberare la popolazione. Da noi il sentimento comune fu di rassegnazione.

    Un’altra caratteristica di queste storie è lo scarso preavviso.
    FB Tutto l’iter di approvazione di queste opere avvenne sotto traccia e gli abitanti lo vennero a sapere in modo indiretto, quasi di straforo. Semplicemente si accorgevano della presenza di “stranieri”, spesso tecnici venuti a effettuare lavori di prospezione, e solo con un passaparola successivo venivano a conoscenza dell’imminente costruzione della diga. Anche il tempo a loro lasciato per abbandonare le abitazioni fu di solito molto breve. Le imprese della pianura stavano realizzando degli interessi superiori e non erano interessate a informare adeguatamente le popolazioni coinvolte. Le opere furono realizzate da grandi imprese specializzate che si portavano dietro il loro personale. Si trattava di lavori spesso molto specialistici e solo per le mansioni di bassa manovalanza venne impegnata la popolazione locale. D’altra parte, questo incontro tra il personale delle imprese e i locali portò a conseguenze di carattere sociale in quanto i lavori durarono diversi anni e questa intrusione portò anche alla nascita di nuovi nuclei familiari.

    Differente è il caso di Badalucco, dove negli anni Sessanta gli abitanti riuscirono a opporsi alla costruzione della diga. In che modo?
    FB Badalucco è sempre un Comune alpino, sito in Valle Argentina, in provincia di Imperia e anche lì si voleva realizzare un grande invaso all’inizio degli anni Sessanta. Ma qui le cose andarono in maniera diversa, sicuramente anche perché nel 1959 c’era stata una grave tragedia in Francia quando la diga del Malpasset crollò provocando la morte di quasi 500 persone. A Badalucco ci fu quindi una vera e propria sollevazione popolare guidata dallo stesso sindaco del Comune, sollevazione che, anche attraverso scontri violenti, portò alla rinuncia da parte dell’impresa. L’Enel ha tentato di recuperare il progetto (seppure in forma ridotta) nei decenni successivi trovando però sempre a una forte opposizione locale, che dura tuttora.

    Il governo promette di realizzare nuove dighe e invasi. È una decisione sensata? Che effetti può avere sui territori montani?
    FB A parte i mini bacini per la produzione di neve artificiale nelle stazioni sciistiche, oggi vi sono due grandi filoni distinti: uno è il “vecchio” progetto “Mille dighe” voluto da Eni, Enel e Coldiretti con il supporto di Cassa depositi e prestiti, che consiste nella realizzazione di un gran numero di piccoli invasi a sostegno soprattutto dell’agricoltura, ma anche per la fornitura di acqua potabile. Poi vi sono invece i progetti di nuovi grandi sbarramenti, come quello previsto lungo il torrente Vanoi, tra Veneto e Trentino, o quelli di Combanera, in Val di Lanzo, e di Ingria, in Val Soana, in Piemonte. Come dicevo, oggi l’esigenza primaria non è tanto la produzione di elettricità quanto soprattutto l’irrigazione e, in minor misura, l’idropotabile. Si vogliono realizzare queste opere senza però affrontare i problemi delle perdite degli acquedotti (che spesso sono dei colabrodo) né il nostro modello di agricoltura. Ad esempio, la maggior parte dell’acqua utilizzata per i campi finisce in coltivazioni, come il mais, per produrre mangimi destinati agli allevamenti intensivi. Questo senza considerare gli impatti ambientali e territoriali che le nuove opere causerebbero. In buona sostanza, bisognerebbe ripensare il nostro modello di sviluppo prima di tornare a colonizzare nuovamente le terre alte.

    https://altreconomia.it/sotto-lacqua-le-storie-dimenticate-dei-borghi-alpini-sommersi-in-nome-d

    #montagne #Alpes #disparitions #progrès #villages #barrages #barrages_hydro-électriques #énergie_hydro-électrique #énergie #colonisation #industrialisation #histoire #histoires #disparition #terre_alte #Badalucco #Osiglia #Pontechianale #Ceresole_Reale #Valgrisenche #Agàro #Beauregard #Ceresole_Reale #Mille_dighe #Vanoi #Combanera #Ingria

    • Sotto l’acqua. Storie di invasi e di borghi sommersi

      Circa un secolo fa iniziò, nel nostro paese, il fenomeno dell’industrializzazione. Ma questo aveva bisogno della forza trainante dell’energia elettrica. Si pensò allora al potenziale rappresentato dagli innumerevoli corsi d’acqua che innervavano le valli alpine. Ed ecco la realizzazione di grandi bacini di accumulo per produrre quella che oggi chiamiamo energia pulita o rinnovabile. Ma qualsiasi azione dell’uomo sull’ambiente non è a costo zero e, nel caso dei grandi invasi idroelettrici, il costo fu anche e soprattutto rappresentato dal sacrificio di intere borgate o comuni che venivano sommersi dalle acque. Quest’opera racconta, tramite testimonianze, ricordi e fotografie, com’erano quei luoghi, seppur limitandosi all’arco alpino occidentale. Prima che se ne perda per sempre la memoria.

      https://www.ibs.it/sotto-acqua-storie-di-invasi-libro-fabio-balocco/e/9791255450597

      #livre

  • Bosnia Erzegovina, continua la battaglia in difesa dei fiumi
    https://www.balcanicaucaso.org/aree/Bosnia-Erzegovina/Bosnia-Erzegovina-continua-la-battaglia-in-difesa-dei-fiumi-219035

    Sono oltre cento le piccole centrali idroelettriche costruite finora in Bosnia Erzegovina e ne sono in programma altre 350. Numerosi gli attivisti e i cittadini che lottano per difendere il territorio in cui vivono. A fine giugno il Parlamento della FBiH dovrebbe esaminare una proposta di legge che impedisce la costruzione di nuove centrali

  • The miner and the neon fish: decolonizing Alpine ecologies
    https://denk-mal-denken.ch/wettbewerb-publikumspreis/denkmal/the-miner-and-the-neon-fish-decolonizing-alpine-ecologies

    This is the proposal that won the third price in the Competition (Wettbewerb) that was created in the aftermath of the contestation of monuments worldwide that had some link to colonialism, slavery and racism https://denk-mal-denken.ch.

    Rony Emmenegger und Stephan Hochleithner, who are both political geographers at the university of Basel won the third price in this competition for their proposals that calls attention to the non-human aspects of the guilding of the hydropower stations Oberhasli and its ecological costs. See: https://denk-mal-denken.ch/wettbewerb-publikumspreis/denkmal/the-miner-and-the-neon-fish-decolonizing-alpine-ecologies.

    #Suisse #hydro-power #décolonial #decolonial #monument

    • Next to a serpentine road, halfway up to Grimsel pass when approaching from the North, stands the miner (Der Mineur), silently splitting rock with his pneumatic hammer. The statue was erected to honor the construction workers of the hydropower stations Oberhasli, whose work has been shaping an Alpine landscape since the early twentieth century. At the top of Grimsel, catchment lakes, water dams, power stations, and power poles morph into a hydroelectric infrastructure, producing energy and carrying it down towards the lowland valleys. Honoring the work of those who brought that infrastructure into being appears indeed justified in light of their sacrifices on the altar of a capitalist mode of production. Throughout the last century, construction work at almost 2000 meters altitude has been particularly challenging for both humans and machines – a challenge «mastered» through a continuous advance of engineering and technology with success increasing over time.

      The sole focus on human achievements, however, obscures the ecological costs and consequences that the extraction of hydropower involves, especially for fish, aquatic organisms, rivers, but also Alpine ecologies more broadly. With our graphic installation – the miner and the neon fish – we aim at problematizing a human-centric historiography of progress that obscures the ecological consequences of hydropower production. We do so by evocatively placing a neon fish under the miner’s pneumatic hammer. It serves as a visual metaphor for the electro-optical connection between humans and the fish, and the latter’s electrostatic discharge in contact with the miner and his machine. And yet, the relation between humans and their environments is not that clear-cut when it comes to commemoration, as we will elaborate in the following.

      The use of hydropower, as a renewable energy source, has a long tradition in Switzerland. In the Grimsel region, the development of hydropower infrastructure intensified at large scale with a first mega dam project in 1925 – the Spitallamm dam. Construction work went on from 1925 to 1932 and resulted in the 114-meter-high dam – the world’s largest at the time. Since then, hydropower infrastructure has been gradually extended. Today, it connects 13 hydropower plants and eight storage lakes, producing between 2100 and 2300 gigawatt hours of electric energy annually.1 A further extension is currently in progress with the construction of a new dam replacing the existing Sptiallamm dam – because it cracked. The finalization of this new dam is scheduled for 2025 and it will then not only secure, but further increase the capacity of the hydroelectric infrastructure – in line with Switzerland’s Energy Strategy 2050 and the envisioned transition towards renewable energy sources after the nuclear phase-out.

      Currently, an exhibition at the UNESCO/KWO Visitors Center2 close to the dam provides visual and acoustic insights into the construction works back in the late 1920s and those ongoing at the new dam today.3 The exhibition includes an outline of the ongoing dam replacement project, compiles a series of engineering schemes, and posts statements of workers involved in the ongoing construction. These exhibition elements are placed in a broader historical context of construction work at the site: a number of selected historical photographs and a short 5-minutes video provide lively insights into the construction work back in the late 1920s. They show laborers at work and demonstrate the logistical network of technology and expertise that coordinated their doing. The exhibition can thus be read as an extension of the miner: it is constituted as a site for the glorification of a human history of progress that made the development of the hydroelectric infrastructure possible.

      However, the ongoing energy transition and the according «boom» (Zarfl et al. 2015) of hydropower raises questions about the potential ecological consequences of engineering, technology, and infrastructural extension (see also Ansar et al. 2014). The power plant operator in the Grimsel region highlights the «connectivity between humans, technology and nature»4, acknowledges the potential «tensions between electricity production and water protection»5 and calls for a responsible engagement with nature in its ongoing and planned projects. And yet, recent plans for the further extension of the hydroelectric infrastructure have still provoked controversies, with various associations still highlighting the negative ecological consequences of these plans.6

      So, who might best speak for fish and aquatic microorganisms in ongoing and planned construction projects? By placing the dying neon fish under the miner’s pneumatic hammer, we aim at problematizing the ecological costs, which infrastructural extension and energy production have been generating for almost a century. We do so by moving beyond a narrow focus on humans and by bringing into consideration an Alpine ecology as a «socialnature» (Braun & Castree 2001), which the extension of hydroelectric infrastructure has profoundly reassembled and turned into a «commodity frontier» (Moore 2000). Such a perspective reveals the extension of hydroelectric infrastructure as an integral part of capitalist expansion into an Alpine frontier, through which «nature» has been «tamed» and «commodified».

      The figure of the miner plays a key role in this colonializing process, as his stone-bare masculine appearance embodies the very believe of human, patriarchal control over nature, glorifying man/kind’s appropriation of water for energy production and legitimizing the future extension of the hydroelectric infrastructure. As such, it sets a metaphysical zero point for a human history of progress, through which the building and extension of hydroelectric infrastructure has been normalized.

      To disfigure the statue of the miner – by putting the neon fish under his hammer – appears justified and fruitful in light of the endeavor to decolonize Alpine ecologies from human domination. And yet, decolonizing ecologies along these lines must not distract from the laborers’ themselves, who had to invest whole parts of their lives into these construction works. In other words, calling for environmental justice must not come at costs of those who have themselves been instrumentalized within that very same narratives and processes of progress and capitalist production.

      However, the statue of the steeled male miner can hardly account for the workers’ bodies and lives: It rather does, in its humble working-class pose, facing down to focus on its work with the drill, embody the hierarchy of class relations. Despite or maybe because the miner embodies these ambiguities, it appears worthwhile to maintain its presence for having a debate. In our installation, we aim at doing so by keeping the fish unlit during the day and thus hardly visible to passers-by, to allow the statue of the miner to remind of the workers. Only by night will the fish then appear in neon light and turn into a dazzling reminder of the colonization of nature – and also of the multitude of meanings which the monument entangles.

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