• L’Italia cede alla Libia altre 14 navi veloci per intercettare le persone. Il ruolo di Invitalia

    La commessa è stata aggiudicata definitivamente per 6,65 milioni di euro. A curare la gara è stata l’agenzia del ministero dell’Economia che dovrebbe in realtà occuparsi di “attrazione degli investimenti e sviluppo d’impresa”. Intanto 40 Ong danno appuntamento a Roma il 26 ottobre per opporsi al rinnovo dell’accordo con Tripoli

    L’Italia fornirà altre 14 imbarcazioni alle milizie libiche per intercettare e respingere le persone in fuga nel Mediterraneo. La commessa è stata aggiudicata definitivamente nella primavera di quest’anno per 6,65 milioni di euro nell’ambito di una procedura curata da Invitalia, l’agenzia nazionale di proprietà del ministero dell’Economia che sulla carta dovrebbe occuparsi dell’”attrazione degli investimenti e lo sviluppo d’impresa” e che invece dall’agosto 2019 ha stipulato una convenzione con il ministero dell’Interno per garantire “supporto” tecnico anche sul fronte libico. La copertura finanziaria dei nuovi “battelli” è garantita, così come tante altre, dalla “prima fase” del progetto “Support to integrated Border and migration management in Libya” (Sibmmil) datato dicembre 2017, cofinanziato dall’Unione europea, implementato dal Viminale e inserito nel quadro del Fondo fiduciario per l’Africa (Eutf).

    Si tratta in questa occasione di 14 mezzi “pneumatici con carena rigida in vetroresina” da 12 metri -come si legge nel capitolato di gara-, in grado di andare a una velocità di crociera di almeno 30 nodi, con un’autonomia di 200 miglia nautiche, omologati al trasporto di 12 persone e destinati a “svolgere i compiti istituzionali delle autorità libiche” (è la seconda tranche di una procedura attivata oltre tre anni fa). Quali non si poteva specificarlo. Anche sull’identità dei beneficiari libici c’è scarsa chiarezza da parte di Invitalia, il cui amministratore delegato è Bernardo Mattarella. Negli atti non si fa riferimento infatti né all’Amministrazione generale per la sicurezza costiera (Gacs) né alla Direzione per la lotta all’immigrazione illegale (Dcim), che opera sotto il ministero dell’Interno libico, quanto a una generica “polizia libica”.

    Chi si è assicurato la commessa, con un ribasso del 5% sulla base d’asta, è stata la società B-Shiver Srl con sede a Roma. B-Shiver è la ragione sociale del marchio Novamarine, nato a Olbia nel 1983 e poi acquisito negli anni dal gruppo Sno. “È uno dei must a livello mondiale perché ha fatto una rivoluzione nel campo dei gommoni, con il binomio carena vetroresina e tubolare”, spiega in un video aziendale l’amministratore delegato Francesco Pirro.

    B-Shiver non si occupa soltanto della costruzione dei 14 mezzi veloci ma è incaricata anche di “erogare un corso di familiarizzazione sulla conduzione dei battelli a favore del personale libico”: 30 ore distribuite su cinque giorni.
    Nell’ultima versione del capitolato sembrerebbe sparita la possibilità di predisporre in ogni cabina di pilotaggio dei “gavoni metallici idonei alla custodia di armi”, come invece aveva ipotizzato il Centro nautico della polizia di Stato nelle prime fasi della procedura di gara.

    Le forniture italiane alla Libia per rafforzare il meccanismo di respingimenti delegati continuano, dunque, a oltre cinque anni dal memorandum tra Roma e Tripoli in fase di imminente rinnovo. Un accordo che ha prodotto “abusi, sfruttamento, detenzione arbitraria e torture”, come denunciano oltre 40 organizzazioni per i diritti umani italiane promotrici il 26 ottobre di una conferenza stampa e una manifestazione in Piazza dell’Esquilino a Roma per “chiedere all’Italia e all’Europa di riconoscere le proprie responsabilità e non rinnovare gli accordi con la Libia” (dall’Arci all’Asgi, da Msf a Emergency, dalla Fondazione Migrantes a Intersos, da Sea-Watch ad Amnesty International Italia).

    “Se entro il 2 novembre il governo italiano non deciderà per la sua revoca -ricordano le Ong-, il memorandum Italia–Libia verrà automaticamente rinnovato per altri tre anni. Si tratta di un accordo che da ormai cinque anni ha conseguenze drammatiche sulla vita di migliaia di donne, uomini e bambini migranti e rifugiati”. Dal 2016 all’ottobre 2022 sono infatti oltre 120mila le persone intercettate in mare dalla cosiddetta guardia costiera libica e riportate forzatamente in Libia (fonte Oim). “Un Paese che non può essere considerato sicuro”.

    I contorni dell’abisso libico li ha descritti più volte, tra gli altri, la Missione indipendente sulla Libia delle Nazioni Unite che a fine giugno 2022 ha presentato una (ennesima) relazione sul punto al Consiglio dei diritti umani dell’Onu. “Diversi migranti intervistati dalla Missione hanno raccontato di aver subito violenze sessuali per mano di trafficanti e contrabbandieri, spesso con lo scopo di estorcere denaro alle famiglie, nonché di funzionari statali nei centri di detenzione, datori di lavoro o altri migranti -si legge-. Il rischio di violenza sessuale in Libia è tale e così noto che alcune donne e ragazze migranti assumono contraccettivi prima di partire proprio per evitare gravidanze indesiderate dovute a tali violenze”. È una violenza istituzionale. “Il carattere continuo, sistematico e diffuso di queste pratiche da parte della Direzione per la lotta all’immigrazione illegale (Dcim) e di altri attori coinvolti riflette la partecipazione di funzionari di medio e alto livello al ciclo della violenza sui migranti”.

    La brutalità non scompone i promotori della strategia di respingimento per procura, condotta nella totale mancanza di trasparenza sull’utilizzo complessivo dei fondi. Ad esempio quelli del Fondo di rotazione ex legge 183/1987, nel quale è previsto anche un “subcapitolo” dedicato alle spese per iniziative progettuali “a favore dello Stato della Libia”.

    Quando quest’estate abbiamo chiesto all’Ispettorato generale per i rapporti finanziari con l’Unione europea (Igrue) del ministero dell’Economia l’elenco dei pagamenti liquidati, dei beneficiari, delle causali di pagamento e degli estremi e del contenuto della voce di spesa in Libia, quest’ultimo ha rinviato al Viminale, sostenendo che la trasparenza fosse in capo a quell’amministrazione, “titolare del programma”. Il ministero dell’Interno ha però negato l’accesso perché “l’estrapolazione delle voci richieste comporterebbe un carico di lavoro tale da aggravare l’ordinaria attività dell’amministrazione”. La tipica cortina fumogena replicata anche per la convenzione del 2019 tra Invitalia e il Viminale, di cui ci è stato trasmesso il testo con cancellazioni sopra gli importi finanziari e orfano degli allegati, cioè della sostanza.

    https://altreconomia.it/litalia-cede-alla-libia-altre-14-navi-veloci-per-intercettare-le-person

    #Italie #Libye #navires #externalisation #frontières #contrôles_frontaliers #migrations #réfugiés #Méditerranée #Invitalia #Support_to_integrated_Border_and_migration_management_in_Libya (#Sibmmil) #fonds_fiduciaire #Bernardo_Mattarella #Amministrazione_generale_per_la_sicurezza_costiera (#Gacs) #Direzione_per_la_lotta_all’immigrazione_illegale (#Dcim) #police #police_libyenne #B-Shiver #Novamarine #Sno #Francesco_Pirro

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  • La farsa del confine

    In Alta Val Susa, là dove molti percorrono le piste da sci di Claviere o d’estate passeggiano tra i boschi, altre persone aspettano il favore della notte per passare il confine che divide l’Italia dalla Francia. Qualcuno sfida la luce e si camuffa tra i turisti. Ma tutti rischiano la vita nel tentativo di scappare dagli occhi attenti della polizia francese. Per i pochi fortunati che riescono a passare, tanti altri, almeno una volta, vengono respinti indietro, verso l’Italia. Il limbo della frontiera è fatto di attesa e paura per chi vuole raggiungere parenti e amici in altri Paesi europei, oppure scappa ancora in cerca di diritti. È nel muro invisibile tra Italia e Francia che si ripete da anni la farsa del confine. “Limbo - Le vite sospese di chi si fa migrante” è un podcast scritto da Silvia Baldetti e Luca Rondi. È prodotto da Engim Internazionale in collaborazione con Altreconomia nell’ambito di SEMI - Storie, Educazione, Migrazioni e Impegno, finanziato dall’Unione Europea, attraverso la regione Piemonte nel contesto del progetto Mindchangers – Regions and Youth for Planet and People. I contenuti non riflettono necessariamente le posizioni dell’Unione Europea e di chi è intervenuto nel podcast come ospite. Hanno collaborato Francesca Prandi e Daniela Pizzuto. Il montaggio è a cura di Border Radio con la collaborazione di Silvia Baldetti. Mix, master e composizione colonna di Raja Scudella.La sigla è di Federico Sgarzi.

    https://open.spotify.com/episode/25UgHDMVRJU9EeUZyWKWDA?si=259a80a8603c42bf

    #Val_de_Suse #Italie #France #migrations #asile #réfugiés #frontière_sud-alpine #frontières #Claviere #Montgenèvre #Oulx #Diaconia_Valdese #rifugio_Massi #PAF #gardes-frontière #Briançon #Hautes-Alpes #refoulements #Fréjus #refus_d'entrée #push-backs
    #podcast #audio #militarisation_des_frontières #farce #risques #décès #mourir_aux_frontières #morts_aux_frontières #contrôles_systématiques_aux_frontières

    Min. 23’18 : on cite la base de données sur les mort·es aux frontières alpines que Sarah Bachellerie et moi-même avons compilé à l’occasion de la contre-enquête pour Blessing :
    https://www.borderforensics.org/fr/investigations/la-mort-de-blessing-matthew-une-contre-enquete-sur-la-violence-aux-

  • #Décharge budgétaire de #Frontex à nouveau bloquée

    Le Parlement européen réaffirme
    le respect inconditionnel des droits des personnes exilées


    Ce 18 octobre, le #Parlement_européen a refusé pour la seconde fois d’accorder la décharge budgétaire à l’agence Frontex pour ses #comptes de l’exercice 2020, suivant de ce fait l’avis adopté récemment par sa commission de Contrôle budgétaire (#CONT), sur base des nombreux constats de violations des #droits_humains et de #dysfonctionnements_internes.

    « Cette décision met une nouvelle fois Frontex devant ses responsabilités face aux nombreux cas de violations de droits fondamentaux que la société civile internationale et les personnes exilées dénoncent depuis plus de 10 ans », déclare le CNCD-11.11.11. Frontex sait dorénavant que ses activités sont sous surveillance vis-à-vis du respect des droits fondamentaux. L’#impunité n’est plus possible. L’Agence va devoir se plier aux exigences de #transparence, de mise en #responsabilité et de #contrôle_démocratique pour continuer d’exister.

    En effet, le 6 octobre 2022, la commission CONT du parlement UE a bloqué la décharge du #budget de Frontex suite à « l’ampleur des #fautes_graves et des possibles #problèmes_structuraux sous le précédent directeur exécutif de l’agence, qui a depuis démissionné à la suite des révélations du rapport de l’#OLAF du 28 avril dernier ».

    Les députés déplorent « que Frontex n’ait pas mis en œuvre certaines des conditions établies dans le précédent rapport du Parlement. Ils demandent notamment la suspension de ses activités de soutien (retours) en Hongrie, compte tenu du contexte lié à l’État de droit dans le pays, ainsi que le suivi de ses activités en Grèce, où l’Agence aurait mené des opérations de surveillance des frontières dans des régions où, simultanément, des refoulements de migrants avaient lieu ».

    Par ailleurs, les parlementaires se disent « choqués et profondément préoccupés par le suicide d’un membre du personnel, lié à des pratiques présumées de harcèlement sexuel » et se félicitent de la réouverture de ce dossier par la nouvelle direction exécutive qu’ils accueillent favorablement. Le vote négatif du Parlement européen ce 18 octobre doit être l’occasion d’une remise en question fondamentale de l’orientation du mandat de l’agence et de la manière dont elle remplit ce dernier. Des réformes structurelles, y compris en interne, doivent être mises en place au plus vite pour garantir la transparence et le respect des droits humains. La Belgique, qui siège au Conseil d’administration de Frontex, doit utiliser ce levier de manière à obtenir ces réformes. Elle doit également les exiger lors des négociations autour du Pacte européen sur la migration et l’asile dont on annonce l’adoption sous la présidence belge de l’Union européenne, début 2024.

    https://www.cncd.be/Decharge-budgetaire-de-Frontex-a
    #blocage #enfin #frontières #contrôles_frontaliers #migrations #asile #réfugiés

  • Migrations. Face au retour des Syriens, la #Tchéquie renforce le contrôle de sa frontière avec la #Slovaquie

    En raison de l’arrivée d’un nombre croissant de migrants clandestins majoritairement d’origine syrienne sur son territoire, la Tchéquie a rétabli des contrôles le long de sa frontière avec la Slovaquie. Une décision très moyennement appréciée à Bratislava.

    « Une mesure inutile qui désintègre Schengen. Et qui, et c’est le plus important, ne réduira la migration clandestine, pas même d’un demi-pied. » SME n’y va pas par le dos de la cuillère pour commenter la décision du gouvernement tchèque. Le grand quotidien slovaque exprime une forme d’incompréhension : « Alors que plus de 1 million d’Ukrainiens sont passés par la Tchéquie [ces derniers mois] et que plus de 300 000 d’entre eux y sont restés (!), il est totalement déraisonnable d’imposer des contrôles pour quelque 11 000 Syriens. Et ce, avec un pays [la Slovaquie] avec lequel ils [les Tchèques] prétendent avoir des relations ’plus que remarquables’. »

    À lire aussi : Réfugiés. De Syrie ou d’Ukraine : la solidarité à deux vitesses des pays d’Europe centrale

    Dans la nuit de mercredi à jeudi, la Tchéquie a renforcé les contrôles policiers à vingt-sept points de passage essentiellement routiers et ferroviaires de la frontière avec son voisin, avec lequel elle célébrera, à la fin de cette année, le trentième anniversaire de la partition de l’ancien État commun tchécoslovaque. Une décision identique a été prise également par l’Autriche, comme le note la Radio tchèque, qui souligne que, « selon Vienne, il s’agit d’une réaction à la décision tchèque ».

    « Pays de transit »

    Comme on peut le voir dans une petite vidéo publiée sur le compte Twitter du ministère, le ministre de l’Intérieur tchèque a expliqué que « le but de cette mesure, qui ne fait plaisir à personne, n’est pas de compliquer la vie des citoyens tchèques et slovaques, mais de faire clairement comprendre aux groupes de passeurs qu’il y a là un obstacle ». Ce vendredi matin, l’agence de presse tchèque CTK annonçait que « la police de Moravie du Sud [la région qui sépare les deux pays] avait arrêté onze passeurs et découvert 247 migrants lors des vingt-quatre premières heures qui ont suivi l’introduction des contrôles ».

    Pour l’heure, ce renforcement le long des quelque 250 kilomètres de frontière n’est prévu que pour une durée de dix jours, alors que la Tchéquie, comme le souligne sur un ton toujours très critique SME, « n’est qu’un pays de transit vers l’Allemagne ».

    Dans un communiqué de presse publié en début de semaine, la police tchèque indiquait avoir interpellé près de 12 000 migrants clandestins, très majoritairement d’origine syrienne et en provenance de Turquie, depuis le début de l’année. « Soit une augmentation interannuelle de 1 200 % », selon le quotidien Lidové noviny, qui note aussi qu’il s’agit là « d’un chiffre plus élevé qu’au plus fort de la crise migratoire en 2015 ». À l’époque, les pays d’Europe centrale dans leur ensemble avaient été vivement critiqués pour leur manque de solidarité avec les autres États européens quant à la répartition des réfugiés.

    Frontières de l’UE

    « La Slovaquie respecte la décision de la Tchéquie. Cependant, Bratislava souhaite que cette mesure soit discutée au niveau de l’Union européenne (UE), car la décision de Prague affecte également d’autres pays européens », a de son côté réagi le ministère de l’Intérieur slovaque. Comme on peut le lire sur le site Postoj.sk, celui-ci estime que l’adoption de cette mesure est d’abord la conséquence « d’une protection insuffisante des frontières extérieures de l’UE ». Autrement dit, vu de Bratislava, cela concerne essentiellement la frontière entre la Hongrie voisine et la Serbie. Selon l’Agence européenne de garde-frontières Frontex, cette voie d’entrée illégale dans l’espace Schengen n’a jamais été aussi active depuis six ans.

    Moins diplomate, le Premier ministre slovaque, Eduard Heger, a critiqué la Tchéquie, estimant que « ce n’est pas une façon de faire », comme le relève Dennik N. Dans le même quotidien, le président de la police slovaque reconnaît toutefois « ne pas avoir la capacité et les moyens de faire face aux migrants », tandis qu’un commentateur du journal Pravda, qui considère la décision tchèque comme « la sonnerie du réveil », regrette, lui, que « le ministère de l’Intérieur [ait] trop longtemps dormi si profondément ».

    https://www.courrierinternational.com/article/migrations-face-au-retour-des-syriens-la-tchequie-renforce-le

    #contrôles_frontaliers #frontières #asile #migrations #réfugiés #route_des_Balkans #réfugiés_syriens #contrôles_policiers #fermeture_des_frontières #Balkans

  • EU to provide €80 million to Egyptian coast guard

    The European Commission has confirmed that €23 million will be allocated in 2022 and €57 million in 2023 to provide equipment and services to Egyptian authorities for “search and rescue and border surveillance at land and sea borders”.

    Following a Parliamentary question (https://www.europarl.europa.eu/doceo/document/E-9-2022-002428_EN.html) submitted by MEPs Erik Marquardt and Tineke Strike (of the Greens), the Commission stated that while it is “developing an action in support of border management… in close coordination with Egyptian authorities… no overview of equipment or services to be delivered to Egyptian authorities is available at this stage.” (https://www.europarl.europa.eu/doceo/document/E-9-2022-002428-ASW_EN.html)

    Responding to Marquardt and Strik’s concern over the “dire human rights situation in Egypt,” and the fact that this funding will go towards preventing Egyptians, 3,500 of whom have fled the country to Italy since January last year, from being able to exercise their right to leave their country, the Commission states that it:

    “...stands ready to support Egypt in maintaining its capacity to prevent irregular migration by sea, as well as to strengthen the control of its border with Libya and Sudan. This is of particular importance in light of the six-fold increase of irregular arrivals of Egyptian nationals to the EU in 2021 (9 219), of which over 90% to Italy, mostly via Libya.

    An ex ante risk assessment will be conducted and monitoring will take place throughout the action to ensure that it does not pose any threats to the respect of international human rights standards and the protection of refugees and migrants."

    The two paragraphs would appear to directly contradict one another. No answer was given as to what indicators the Commission will use to ensure compliance with Article 3(5) of the Treaty of the European Union on upholding and promoting human rights.

    Commenting on this response, Erik Marquardt states:

    "The commission wants ’to prevent irregular migration by sea’. Therefore, they are willing to work together with the Egyptian military-regime. The European Union should not cooperate with the Egyptian Coast Guard in order to prevent people from fleeing. We should use the tax payers money to prevent suffering and to support people in need of international protection - not to build a fortress europe

    “The Commission needs to tell us what exactly the €80 million are going to be spend on. We need to know if the funds will be used to buy weapons and see how exactly they plan to prevent people from fleeing. In Libya, we saw how funds were used to arm militias, we cannot let something similar happen again.”

    The €80 million allocation for border control makes up part of a €300 million total in short and long-term EU funding for Egypt.

    Après les #gardes-côtes_libyens... les #gardes-côtes_égyptiens

    #EU #UE #union_européenne #asile #migrations #réfugiés #frontières #contrôles_frontaliers #Méditerranée #mer_Méditerranée #externalisation #Egypte #financement

    ping @isskein @karine4 @_kg_

  • #Sémiologie : la #police dans l’épicentre de la #violence

    Compte tenu des preuves et des liens de ces mêmes #symboles avec les milieux extrémistes et violents, la négligence du gouvernement et de la hiérarchie s’accorde dans une résolution ; celle de l’acceptation de la violence et l’#extrémisme chez la police républicaine.

    Le pouvoir d’un symbole réside dans sa capacité à produire du sens et à communiquer ce sens. Loin d’être une entité floue, le sens réfère à quelque chose d’extérieur à soi, plus exactement un objet, qui devient existant par le truchement d’une relation interpersonnelle.

    C’est au travers d’une large panoplie de #signes, #insignes, symboles, #slogans, etc, que des policier·ères visiblement sans honte ni crainte de leur hiérarchie, affichent publiquement, leur amour de la violence, du thème de la vengeance, et parfois, du racisme, de la mort, voire des idéologies fascistes ou nazis.

    Dans le monde des images, certaines nous font sourire, d’autres nous font pleurer, provoquent le choc, la peur, l’incompréhension ou l’amour et l’espoir. La sémiologie a pour objectif de cerner le sens général qui se dégage quand on voit un logo, un insigne, et de prévoir les réactions sensorielles ou émotionnelles occasionnées.

    Les expert·es s’appuient sur le fait que les symboles ne viennent pas de nulle part, ils portent une histoire. Ces armoiries, logos, blasons, symboles, drapeaux, couleurs et formes, ont été depuis la nuit des temps, un moyen de communication, chargés d’une puissance conceptuelle mais aussi émotionnelle dont émanent valeurs éthiques et morales.

    La production et la circulation de formes symboliques constituent des phénomènes centraux dans la recherche en sciences sociales et les psychologues sociaux ont plus particulièrement étudié les processus par lesquels le sens est construit, renforcé et transformé dans la vie sociale.

    L’intérêt pour la fonction symbolique a permis l’émergence de nouveaux courants de recherche conceptuel et empirique dédiés à la compréhension de l’engagement des individus quand ils construisent du sens sur le monde dans lequel ils vivent et communiquent avec d’autres à ce sujet.

    Ces écussons, comme celui dans l’image suivante, en contact avec les citoyenne·s, se traduisent par un réflexe inconscient pour la majorité et un terrible constat pour les plus informés. D’une manière ou d’une autre, une signification se crée automatiquement, malgré la volonté de chacun·e.

    En rapport à la politique des symboles, chez le·a policier·ère tout est une représentation. Selon l’écrivain Arnaud-Dominique Houte "Au-delà de l’utilité pratique du costume, policiers et gendarmes affichent une prestance militaire qui renforce leur prestige. Mais ils montrent aussi qu’ils travaillent en toute transparence, en assumant leurs actes et en se plaçant au service du public". Le code vestimentaire du policier, son armement et sa posture font état d’une logique d’autorité et d’obéissance à la loi. Juger le port de ces écussons qui "appellent à la mort" comme inoffensifs ou insignifiants, comme l’excuse parfois la hiérarchie, révèle de la négligence politique. Si chaque interaction entre le public et la police "doit être conçue comme une expérience socialisatrice" contribuant à consolider la confiance et la légitimité de l’action policière, en quoi le port de tels symboles additionne un point positif à l’équation ?

    Devoir d’obéissance bafoué ou négligence de la hiérarchie ?

    La loi est précise. Néanmoins des policiers continuent à exhiber dans l’exercice de leurs fonctions et sur la place publique, leur affection aux "symboles repères" associés aux néo-nazis et à l’extrême droite. Au cours des dernières années, à plusieurs reprises, la police a été dans le collimateur de l’opinion publique consécutivement à la quantité importante de scandales qui ont émergés dans les médias et les réseaux sociaux. Comme pour les violences policières, de plus en plus de citoyens et de journalistes commencent à capter des images des insignes qui ornent parfois l’équipement de la police.

    Au large dossier des photos de cagoules/foulards tête-de-mort, écussons, tatouages, locutions, s’ajoutent les enquêtes de StreetPress ou Mediapart qui ont révélé, l’existence de groupes Facebook ou Whatsapp, où des policiers pour se divertir, nourrissent la violence virtuelle et propagent du racisme et du suprémacisme blanc à travers les réseaux sociaux. Le port de ces symboles pendant le temps de travail devient-il un prolongement des convictions politiques quotidiennes de certains policiers ?

    Selon la terminologie gouvernementale, ce sont des "signes faibles" d’une tendance vers "l’idéologie de la violence" qui s’intensifie dans la police et qui, coïncidence ou pas, s’aligne sur un mandat répressif, l’escalade de la violence, la logique punitive et liberticide. Une tendance politique favorisée et propagée par la Macronie ou des syndicats de police, synchrone aux logiques d’extrême droite, et qui malheureusement, modèle la doctrine des forces de l’ordre, ses intérêts et ses croyances. Enfin, elle matérialise un nouveau monde libéral, où légitimer la violence apparaît être plus qu’une nécessité mais une obligation.

    A la vue du défilé de scandales associés aux symboles d’extrême droite dans la police, il est difficile de croire que les policier·ères concerné·es puissent utiliser ces symboles par pure naïveté. Une simple recherche sur internet et il est possible de trouver facilement des informations qui attestent de l’utilisation de ces mêmes symboles par l’extrême droite, en France et notamment aux États-Unis. Frédéric Lambert, Professeur des universités et de l’Institut français de presse, également chercheur en Sémiologie et sémiotique des images d’information et de communication, nous explique très pragmatiquement que :

    « Les représentants de la loi et les professionnels qui doivent faire appliquer la loi, dont les policiers, travaillent pour l’État français. À ce titre, ils doivent porter les signes de l’institution qu’ils représentent, un uniforme réglementaire. Si certains policiers s’autorisent d’ajouter à leur tenue de service des signes qui ne sont pas autorisés, ils deviennent hors-la-loi eux-mêmes.

    Hélas cette dérive a pu s’observer en France, et l’on a vu des policiers municipaux porter le symbole du Punisher, héros de bande dessinée, puis insigne de certains groupe militarisés nazis, adopté par certains policiers aux États Unis. Deux remarques : les récits fictionnels envahissent nos réalités sociales, et il faudrait à ces policiers et à leur tutelle revenir dans la réalité de la justice sociale. La République française peut rêver mieux que de voir ses représentants porter des menaces en forme de tête de mort. Les signes au sein de la vie sociale sont bien trop importants pour que des policiers même municipaux s’en saisissent avec arrogance. »

    A chaque scandale, un rappel à la loi. Des policier·ères de différentes compagnies (police nationale, CRS ou BAC) se sont vus demander de respecter le code de déontologie et de retirer leurs écussons non-réglementaires. Néanmoins, malgré tous ces rappels et articles de presse, le Ministre de l’Intérieur et les préfets de police, n’arrivent pas à purger ces agents qui méprisent les principes de la neutralité politique.

    Le ministère de l’Intérieur Christophe Castaner en 2018, interpellé par Libération, au sujet d’un écusson ΜΟΛΩΝ ΛΑΒΕ, du grec - "viens prendre" sur l’uniforme d’un policier, clarifie.

    « Le RGEPN (règlement de la police nationale, ndlr) prohibe le port sur la tenue d’uniforme de tout élément, signe, ou insigne, en rapport avec l’appartenance à une organisation politique, syndicale, confessionnelle ou associative. On ne sait pas à quelle référence l’insigne renvoie, mais il ne devrait pas figurer sur l’uniforme du CRS. »

    Ces dérives ne devraient pas exister. Cependant, depuis 2018, nous avons recensé plus d’une vingtaine de cas où les policiers affichent explicitement des insignes, signes, drapeaux, cagoules ou écussons à têtes de mort, tee-shirts BOPE (Batalhão de Operações Policiais Especiais - Brazil), etc ; symboles de référence majoritairement chez l’extrême droite, mais aussi chez les nationalistes, intégristes, militaristes, hooligans, etc.

    La tête de mort Punisher, le Totenkopf moderne.

    Le Punisher est un héros issu des comics Marvel, ancien soldat du corps des Marines, consumé par le désir de vengeance suite à l’assassinat de sa famille dans le Central Park. Il fut créé par le scénariste Gerry Conway en 1974.

    Le crâne ou tête-de-mort, a été utilisé dans plusieurs domaines depuis la Grèce antique soit dans le milieu littéraire, où il était associé à la sagesse, ou dans le milieu médical, funèbre, etc. L’un des premiers récits enregistré du "crâne et des os croisés" remonte à l’histoire militaire allemande et à la guerre de Trente Ans, lorsque les soldats bavarois, connus sous le nom "d’Invincibles", portaient des uniformes noirs avec des Totenkopfs blancs sur leurs casques.

    La tête-de-mort sera utilisée ainsi par les forces militaires allemandes à partir du XVIIe siècle jusqu’aux Nazis, où elle sera reconnue comme un "symbole de terreur", inscrit dans l’histoire de la Seconde Guerre mondiale.

    Dans un monde belliqueux dédié à la violence et à la mort, les symboles qui visent à inspirer la peur, l’horreur et la terreur, passent de main en main, d’époque en époque, et se répandent dans les forces militaires en guerre partout dans le monde.

    Le surprenant by-pass est que les forces militaires post-WorldWar II (en ce qui touche le War-Comics comme source de moral pour le troupes), éviteront de s’inspirer directement de la Totenkopf Nazie "crâne et des os croisés" étant donnée la charge historique ; mais le feront sous la forme de la tête-de-mort symbole du Punisher. Un malheureux choix, car elle aussi s’inspire de la Totenkopf Nazie, comme l’a révélé le magazine Forbes dans l’article :The Creator Of ‘The Punisher’ Wants To Reclaim The Iconic Skull From Police And Fringe Admirers.

    Parallèlement, la tête de mort nazie, continuera à être utilisé par des groupuscules extrémistes de droite et néo-nazis aux États-Unis, comme l’a démontré l’organisation ADL (Anti-Defamation League, créée 1913) dans une de ses enquêtes Bigots on Bikes-2011.

    Ce processus de récupération des symboles des personnages DC Comics et Marvel par des forces militaires pendant les guerres d’Irak et d’Afghanistan, appelés "Morale Patches non-réglementaires", fascine et donne encore aujourd’hui lieu à des thèses et des mémoires universitaires.

    Dans une étude pour la Loyola University of Chicago, Comics and Conflict : War and Patriotically Themed Comics in American Cultural History From World War II Through the Iraq War ; Cord A. Scott, cerne le moment ou la tête de mort Punisher commence à décorer les uniformes militaires pendant la guerre en Irak.

    (en 2003, NDLR), une unité de Navy SEAL en Irak a conçu des patchs avec l’emblème du crâne au centre, avec le slogan “God will judge our enemies we’ll arrange the meeting – Dieu jugera nos ennemis, nous organiserons la réunion.” Cela était cohérent avec le rôle original du personnage : comme une arme pour punir les coupables de leurs crimes contre la société, une mission qui reste la même qu’ils soient mafieux ou fedayin.

    Au fil de l’histoire, l’utilisation de la tête-de-mort Punisher ne se restreint pas aux forces militaires mais, au contraire, elle va se propager d’abord chez l’extrême droite puis dans la police américaine.

    Le phénomène s’extrapole en Europe vers 2010 et les premières photos de policier·ères français·es portant la tête de mort, datent de 2014, à Nantes. Cependant, des dizaines de policier·ères furent photographié depuis, affichant l’écusson, des foulards ou t-shirts avec la tête-de-mort Punisher.

    Récemment, dans une interview pour le Huffingtonpost, Gerry Conway l’auteur du comic Punisher, regrette le fait que cet insigne soit utilisé par les forces de police en France. Il explique pourquoi :

    “C’est assez dérangeant pour moi de voir les autorités porter l’emblème de ‘Punisher’ car il représente l’échec du système judiciaire. Ce symbole, c’est celui de l’effondrement de l’autorité morale et sociale. Il montre que certaines personnes ne peuvent pas compter sur des institutions telles que la police ou l’armée pour agir de manière juste et compétente”.

    Il est important de reconnaitre que la symbolique derrière ces insignes est très méconnue d’une grande partie de la population. Dans une situation où la police intervient, le calme, le respect et la neutralité religieuse, politique, de genre, sont des valeurs exigées pour éviter l’escalade de la violence. Lorsqu’un·e citoyen·ne face à la police aperçoit une tête-de-mort sur la tenue d’uniforme du policier et la locution « Le pardon est l’affaire de Dieu - notre rôle est d’organiser la rencontre » , que peut-ielle interpréter ? Une menace, un appel à la mort ?

    Le port de cet écusson bafoue le principe constitutionnel de neutralité auquel sont astreints tous les agents publics, ainsi que le code de la sécurité intérieure, lequel précise à son article R515-3 : « Les agents de police municipale s’acquittent de leurs missions dans le respect de la Déclaration des droits de l’homme et du citoyen, de la Constitution, des conventions internationales et des lois. ». De plus,L’affirmation « nous organisons la rencontre » est extrêmement inquiétante.

    Notre histoire, nos symboles, le ressort du repli identitaire.

    Le rapprochement entre la tête-de-mort Punisher et l’ancienne locution du commandant Arnaud-Amalric en 1209, " Tuez-les. Le Seigneur connaît ceux qui sont les siens", reprise et modifiée en "Dieu jugera nos ennemis, nous organisons la rencontre" n’est pas une coïncidence. Ces deux cultures qui semblent complètement éloignées, s’unissent dans un univers commun, celui du suprémacisme blanc, du nationalisme, du pan-européanisme et de la guerre des religions.

    Retrouvé, le fil perdu, l’histoire de ce "Morale Patche" Punisher avec sa locution qui fait référence aux croisades, se construit d’abord par la croissante islamophobie après les attentats de 2001 en Amérique. Puis il se matérialise pendant les incursions militaires en Irak et en Afghanistan. Dans l’image suivante, issue du magazine 1001mags-2009-Afganistan 2005, une panoplie d’écussons racistes, suprémacistes, font revivre à nouveau les croisades au Moyen Orient.

    L’affection identitaire aux Templiers et l’éloge des croisades catholiques au cœur de l’extrême droite sont bien connus. L’aspect inquiétant et qui semble de plus en plus une preuve que l’extrême droite s’investit dans les rangs policiers se dessine lorsque que nous corroborons que les deux idolâtrent les mêmes symboles.

    La dernière tragédie qui a frappé les agents de la paix doit sans l’ombre d’un doute interroger le Ministre de l’Intérieur sur l’utilisation de ce type de écussons. Un templier sur le bras d’un policier et un homme qui les attaque et leur crie "Allah Akbar", ne sont pas une pure coïncidence. La hiérarchie de police est responsable pour ce genre de dérives.

    A Paris, un agent de la BAC se balade comme un gangster à côté des manifestants, avec son holster super personnalisé et son tatouage représentant le bouclier du Captain America. Ce dernier renvoie d’abord à l’identité chrétienne puis au nationalisme. Historiquement, les guerriers Templiers ont anéanti la menace musulmane en Europe et au Moyen-Orient et ont permis au christianisme de se renouveler. Mais, ce policier ignore-t-il que les croisades ont fauché quelques 3.000.000 de vies en près de 200 ans ? Les croisades sont-elles vraiment un événement à glorifier et faire valoir dans la police ? Sommes-nous là devant un policier islamophobe ?

    A Marseille à l’été 2019, un autre policier de la BAC, qui au-delà de porter ses grenades (CS et GMD) dans les poches arrières de son pantalon, de manière non-réglementaire, exhibe ses tatouages. Le tatouage sur son bras droit est un des symboles les plus connus du christianisme, le Chrisme ("le Christ") avec l’Α-Alpha et l’Ω-Omega (le Christ est le début et la fin).

    Lorsqu’un.e citoyen.ne face à la police aperçoit le holster avec un guerrier templier, ou des tatouages chrétiens, cela peut être choquant et déclencher la peur. Encore pire, pour les communautés musulmanes en France, les réfugié·es, les sans-papiers, les gens du voyage, souvent victimes de contrôles au faciès par la police.

    Pour conclure ce sujet, qu’il s’agisse des Templiers ou du Punisher, tous deux exacerbent la violence, la vengeance, la suprématie blanche, des valeurs religieuses et l’éthique occidentale. Un code de conduite qui a été dans l’histoire imposé au monde à travers la violence, la mort, la colonisation et évidemment l’assimilation. En fin de compte, la grande question reste : quel est l’objectif de ces forces de l’ordre qui portent ces symboles dans la police républicaine ?

    Spartiates, les gardiens de la paix se trompent

    Ces agents de la police aveuglé·es par le repli identitaire, deviennent des Templiers mais aussi des Spartiates. Le "Force et Honneur" répondant à l’inspiration romaine, le “si vis pacem para bellum”, le ΜΟΛΩΝ ΛΑΒΕ et d’autres slogans repris depuis longtemps par l’extrême droite, débordent au sein de la police. D’autres agents arborent aussi la fleur de lys, symbole de la monarchie française et de la chrétienté.

    Pendant l’année de 2018, plusieurs symboles associés à l’Antiquité seront identifiés sur la tenue d’uniforme de policier·ères. En mai, sur une photo du journaliste Taha Bouhafs, on voit un CRS qui décore son uniforme avec l’insigne, ΜΟΛΩΝ ΛΑΒΕ, du grec - "viens prendre", référence à la bataille des Thermopyles. Un insigne, comme le "Lambda", très en vogue chez les groupuscules d’extrême droite comme la "Génération Identitaire".

    Dans le cas des écussons décorés avec le casque spartiate et qui définissent les unités d’intervention, ils sont pour la plupart réglementés et autorisées par les services de police. L’amalgame est plus insidieux, puisque le casque spartiate est utilisé en Grèce par les forces militaires, mais aussi par la police depuis plusieurs siècles. Le problème que pose l’utilisation de ce symbole nationaliste est que ces signes et insignes sont devenues depuis une cinquantaine d’années des slogans du lobby pro-arme américain, le symbole de milices, mais est aussi très répandu dans l’extrême droite haineuse.

    Le portrait plus angoissant et pervers de cet amour aux symboles est la violence que va avec. La hiérarchie se trompe et les gardiens de la paix aussi, quand ils acceptent de porter ce genre de symboles sans les questionner.

    La création de l’uniforme et des insignes, avaient comme objectif primaire le renforcement de l’image sociale et psychologique des anciens Sergents ou la Maréchaussée, et à partir du XIXe siècle des policiers, dans l’office de la répression et obéissance à la loi. Porter un écusson du roi était un symbole d’autorité, de la même façon que porter la Totenkopf dans le nazisme aspirait à la terreur.

    L’insigne officiel d’une des compagnies présentes le jour où les lycéen·nes de Mantes la Jolie ont été mis à genoux, portait l’écusson avec le casque spartiate. Effectivement, on parle de violence et de punition "in situ ", valeurs très éloignées de l’idée de gardien de la paix.

    Sur Checknews de Libération, au sujet du casque spartiate : “Rien d’étonnant à cela, puisque selon la préfecture des Yvelines, il s’agit « depuis très longtemps » de l’insigne officiel de la CSI (compagnie de sécurisation et d’intervention) du département, qui est intervenue hier. « C’est une compagnie de maintien de l’ordre, ils travaillent parfois avec des casques. Ils ont un casque sur leur uniforme, quel est le problème ? », dit la préfecture.”

    Un autre article du Figaro, Une petite ville bretonne s’inquiète d’une possible réunion néonazie, qui touche le sujet des franges radicales de l’extrême droite, identifie le même casque spartiate comme symbole de la “division nationaliste“.

    En Amérique, le mouvement suprémaciste blanc Identity Evropa, n’échappe pas au scan de PHAROS. Lors des manifestations de Berkeley en avril 2017, la plate-forme colaborative PHAROS (espace où les érudits et le public en général, peuvent s’informer sur les appropriations de l’antiquité gréco-romaine par des groupes haineux) explique que ces symboles sont utilisés par “les partisans de la théorie du « génocide blanc », soutenant des opinions anti-gay, anti-immigrés, antisémites et anti-féministes”., sont les mêmes symboles ou le même drapeau raciste “confédéré” affiché par des agents de police en France.

    Si dans le passé ces écussons spartiates avaient un sens, aujourd’hui leur utilisation parait complètement réactionnaire, et même dangereuse. Permettre que ce genre de concepts violents soit associé au travail des "gardiens de la paix" reflète un énorme manque de respect pour la profession, mais aussi pour la population française.

    Compte tenu des preuves et des liens de ces mêmes symboles avec les milieux extrémistes et violents, la négligence du gouvernement et de la hiérarchie s’accorde dans une résolution ; celle de l’acceptation de la violence et de l’extrémisme au sein de la police républicaine.

    Article sur : https://www.lamuledupape.com/2020/12/09/semiologie-la-police-dans-lepicentre-de-la-violence

    https://blogs.mediapart.fr/ricardo-parreira/blog/091220/semiologie-la-police-dans-l-epicentre-de-la-violence

    #vengeance #mort #tête_de_morts #racisme #fascisme #nazisme #écussons #signification #politique_des_symboles #légitimité #confiance #loi #code_vestimentaire #symboles_repères #néo-nazis #extrême_droite #suprémacisme_blanc #signes_faibles #idéologie #forces_de_l'ordre #France #dérive #Punisher #CRS #BAC #police_nationale #déontologie #neutralité_politique #uniforme #ΜΟΛΩΝ_ΛΑΒΕ #RGEPN #dérives #Batalhão_de_Operações_Policiais_Especiais (#BOPE) #Totenkopf #Marvel #Gerry_Conway #crâne #peur #horreur #terreur #Anti-Defamation_League (#ADL) #Morale_Patches_non-réglementaires #escalade_de_la_violence #Templiers #croisades #Captain_America #tatouages #Chrisme #Α-Alpha #Ω-Omega #contrôles_au_faciès #Spartiates #Force_et_Honneur #slogans #Lambda #génération_identitaire #nationalisme

    ping @karine4

    déjà signalé en 2020 par @marielle :
    https://seenthis.net/messages/890630

  • Albanian police could be brought to UK to help stop Channel crossings

    Albania has offered senior law enforcement support to the UK to provide authorities with intelligence and to help processing and removals.

    https://news.sky.com/story/albanian-police-could-be-brought-to-uk-to-help-stop-channel-crossings-1268

    –-> Comment appeler ce processus ? #Externalisation_interne ?
    Comme suggéré par Charles Heller et Lorenzo Pezzani dans ce papier sur les pratiques de non-assistance ?

    “The Dublin Convention thus came to operate for northern EU states as the internal dimension of the policies of externalisation that were being applied outside the EU: a policy of internal externalization through which an inner rim of control was erected in order to select and control migrants’ movements.”

    http://nearfuturesonline.org/ebbing-and-flowing-the-eus-shifting-practices-of-non-assistance-a

    #Albanie #UK #Angleterre #Manche #La_Manche #frontières #contrôles_frontaliers #militarisation_des_frontières #police #police_albanaise #réfugiés_albanais #migrants_albanais

    ping @isskein @karine4

  • EU’s Drone Is Another Threat to Migrants and Refugees

    Frontex Aerial Surveillance Facilitates Return to Abuse in Libya

    “We didn’t know it was the Libyans until the boat got close enough and we could see the flag. At that point we started to scream and cry. One man tried to jump into the sea and we had to stop him. We fought off as much as we could to not be taken back, but we couldn’t do anything about it,” Dawit told us. It was July 30, 2021, and Dawit, from Eritrea, his wife, and young daughter were trying to seek refuge in Europe.

    Instead, they were among the more than 32,450 people intercepted by Libyan forces last year and hauled back to arbitrary detention and abuse in Libya.

    Despite overwhelming evidence of torture and exploitation of migrants and refugees in Libya – crimes against humanity, according to the United Nations – over the last few years the European Union has propped up Libyan forces’ efforts to intercept the boats. It has withdrawn its own vessels and installed a network of aerial assets run by private companies. Since May 2021, the EU border agency Frontex has deployed a drone out of Malta, and its flight patterns show the crucial role it plays in detecting boats close to Libyan coasts. Frontex gives the information from the drone to coastal authorities, including Libya.

    Frontex claims the surveillance is to aid rescue, but the information facilitates interceptions and returns to Libya. The day Dawit and his family were caught at sea, Libyan forces intercepted at least two other boats and took at least 228 people back to Libya. One of those boats was intercepted in international waters, inside the Maltese search-and-rescue area. The drone’s flight path suggests it was monitoring the boat’s trajectory, but Frontex never informed the nearby nongovernmental Sea-Watch rescue vessel.

    Human Rights Watch and Border Forensics, a nonprofit that uses innovative visual and spatial analysis to investigate border violence, are examining how the shift from sea to air surveillance contributes to the cycle of extreme abuse in Libya. Frontex’s lack of transparency – they have rejected ours and Sea-Watch’s requests for information about their activities on July 30, 2021 – leaves many questions about their role unanswered.

    Dawit and others panicked when they saw the Libyan boat because they knew what awaited upon return. He and his family ended up in prison for almost two months, released only after paying US$1,800. They are still in Libya, hoping for a chance to reach safety in a country that respects their rights and dignity.

    https://www.hrw.org/news/2022/08/01/eus-drone-another-threat-migrants-and-refugees
    #Frontex #surveillance_aérienne #Méditerranée #asile #migrations #réfugiés #drones #contrôles_frontaliers #frontières #push-backs #pull-backs #refoulements #Libye #interception

    • Libia: il drone anti-migranti di Frontex

      Frontex, la controversa agenzia di sorveglianza delle frontiere esterne dell’Unione europea, pur avendo smesso la vigilanza marittima delle coste, attraverso l’utilizzo di un drone, sta aiutando la guardia costiera libica a intercettare i barconi dei migranti e rifugiati che tentano di raggiungere le coste italiane. I migranti, perlopiù provenienti dall’Africa subsahariana, sono così ricondotti in Libia dove sono sfruttati e sottoposti a gravi abusi.

      Lo denuncia l’organizzazione internazionale Human Rights Watch. È dal maggio del 2021 che Frontex ha dislocato un drone a Malta: secondo l’ong i piani di volo dimostrerebbero che il velivolo ha un ruolo cruciale nell’individuazione dei battelli in prossimità delle coste libiche; Frontex trasmette infatti i dati raccolti dal drone alle autorità libiche.

      L’agenzia europea sostiene che l’utilizzo del drone ha lo scopo di aiutare il salvataggio dei barconi in difficoltà, ma Human Rights Watch ribatte che questa attività manca di «trasparenza». Il rapporto vuole sottolineare che all’Europa non può bastare che i migranti non arrivino sulle sue coste. E non può nemmeno fingere di non sapere qual è la situazione in Libia.

      L’instabilità politica che caratterizza la Libia dalla caduta di Gheddafi nel 2011 ha fatto del paese nordafricano una via privilegiata per decine di migliaia di migranti che cercano di raggiungere l’Europa attraverso le coste italiane che distano circa 300 km da quelle libiche. Non pochi di questi migranti sono bloccati in Libia, vivono in condizioni deprecabili e in balia di trafficanti di esseri umani.

      https://www.nigrizia.it/notizia/libia-il-drone-anti-migranti-di-frontex

  • À #Calais, une #surveillance du ciel au tunnel

    #Drones, #reconnaissance_faciale, #capteurs_de_CO2 et de battements cardiaques : face à l’afflux de réfugiés, la frontière franco-britannique est surveillée à grands coups d’#intelligence_artificielle. Premier volet de notre série sur la #cybersurveillance des frontières.

    Pablo lève les yeux au ciel et réfléchit. Brusquement, il fixe son ordinateur. Le chargé de communication et plaidoyer chez Human Rights Observers (HRO) fouille dans ses dossiers, ouvre un document d’une quinzaine de pages. « Tu vois, ce jour-là, ils ont utilisé un drone », indique-t-il en pointant l’écran du doigt. Le 9 juin, l’association pour laquelle il travaille assiste à une expulsion de réfugié·es à #Grande-Synthe. Dans son compte-rendu, elle mentionne la présence d’un drone. Des vols d’aéronefs, hélicoptères ou avions, devenus routiniers.

    En cette matinée de fin juin, Pablo a donné rendez-vous sur son lieu de travail, « l’entrepôt », comme il l’appelle. Ce vaste bâtiment désaffecté d’une zone industrielle à l’est de Calais héberge plusieurs associations locales. Les bureaux de HRO sont spartiates : un simple préfabriqué blanc planté dans la cour.

    C’est ici que ses membres se réunissent pour documenter les #violences d’État perpétrées contre les personnes en situation d’exil à la frontière franco-britannique, plus spécifiquement à Calais et à Grande-Synthe. Depuis plus de 20 ans, la ville est érigée en symbole de la crise migratoire. L’évacuation et la destruction de la jungle en octobre 2016 n’ont rien changé. Désormais réparties dans de multiples camps précaires, des centaines de migrants et migrantes tentent le passage vers l’Angleterre au péril de leur vie. Selon le ministère de l’intérieur, ils et elles étaient 52 000 en 2021, un record, contre « seulement » 10 000 en 2020.

    Sous l’impulsion des pouvoirs publics, Calais se barricade. Plus que les maisons de briques rouges, ce sont les #clôtures géantes, les rangées de #barbelés et les #marécages_artificiels qui attirent la vue. Tout semble construit pour décourager les exilé·es de rejoindre la Grande-Bretagne. « Avant, il n’y avait pas tout ça. C’est devenu assez oppressant », regrette Alexandra. Arrivée il y a sept ans dans le Pas-de-Calais, elle travaille pour l’Auberge des migrants, association qui coordonne le projet HRO.

    Quatre #caméras empilées sur un pylône à l’entrée du port rappellent que cette frontière n’est pas que physique. #Vidéosurveillance, #drones, #avions, #détecteurs_de_CO2… Le littoral nord incarne le parfait exemple de la « #smart_border ». Une frontière invisible, connectée. Un eldorado pour certaines entreprises du secteur de l’intelligence artificielle, mais un cauchemar pour les exilé·es désormais à la merci des #algorithmes.

    Si des dizaines de #caméras lorgnent déjà sur le port et le centre-ville, la tendance n’est pas près de s’inverser. La maire LR, #Natacha_Bouchart, qui n’a pas donné suite à notre demande d’interview, prévoit d’investir 558 000 euros supplémentaires en #vidéosurveillance en 2022.

    « C’est la nouvelle étape d’une politique en place depuis plusieurs décennies », analyse Pierre Bonnevalle, politologue, auteur d’un long rapport sur le sujet. À Calais, la #bunkérisation remonte, selon le chercheur, au milieu des années 1990. « À cette époque commencent les premières occupations des espaces portuaires par des personnes venues des pays de l’Est qui souhaitaient rejoindre la Grande-Bretagne. Cela entraîne les premières expulsions, puis un arrêté pris par la préfecture pour interdire l’accès au port. »

    Les années suivantes, c’est à #Sangatte que se dessinent les pratiques policières d’aujourd’hui. Dans cette commune limitrophe de Calais, un hangar préfigure ce que sera la « #jungle » et héberge jusqu’à 2 000 exilé·es. « La police cible alors tous ceux qui errent dans la ville, tentent d’ouvrir des squats, de dormir dans un espace boisé. » Une manière de « contenir le problème », de « gagner du temps ».

    En parallèle, la ville s’équipe en vidéosurveillance et en barbelés. En 2016, l’expulsion de la jungle fait émerger la politique gouvernementale actuelle : l’#expulsion par les forces de l’ordre, toutes les 24 ou 48 heures, des camps où vivent les personnes exilées.

    #Surveillance_aérienne

    Calme et grisâtre en ce jour de visite, le ciel calaisien n’est pas épargné. Depuis septembre 2020, l’armée britannique fait voler un drone #Watchkeeper, produit par l’industriel français #Thales, pour surveiller la mer. « Nous restons pleinement déterminés à soutenir le ministère de l’intérieur britannique alors qu’il s’attaque au nombre croissant de petits bateaux traversant la Manche », se félicite l’armée britannique dans un communiqué.

    Selon des données de vol consultées par Mediapart, un drone de l’#Agence_européenne_pour_la_sécurité_maritime (#AESM) survole également régulièrement les eaux, officiellement pour analyser les niveaux de pollution des navires qui transitent dans le détroit du Pas-de-Calais. Est-il parfois chargé de missions de surveillance ? L’AESM n’a pas répondu à nos questions.

    Au sein du milieu associatif calaisien, la présence de ces volatiles numériques n’étonne personne. « On en voit souvent, comme des hélicoptères équipés de caméras thermiques », confie Marguerite, salariée de l’Auberge des migrants. Chargée de mission au Secours catholique, Juliette Delaplace constate que cette présence complexifie leur travail. « On ne sait pas si ce sont des drones militaires, ou des forces de l’ordre, mais lorsque l’on intervient et que les exilés voient qu’un drone nous survole, c’est très compliqué de gagner leur confiance. »

    En décembre 2021, à la suite d’une demande expresse du ministre de l’intérieur, Gérald Darmanin, l’agence européenne #Frontex a dépêché un #avion pour surveiller la côte pendant plusieurs semaines. « Une mission toujours en cours pour patrouiller aux frontières française et belge », précise Frontex.

    « On sent une évolution des #contrôles depuis l’intervention de cet avion, qui a œuvré principalement la nuit, confie le maire d’une ville du Nord. Beaucoup de gens tentaient de monter dans des camions, mais cela a diminué depuis que les contrôles se sont durcis. »

    Il faut dire que la société #Eurotunnel, qui gère le tunnel sous la Manche, ne lésine pas sur les moyens. En 2019, elle a dépensé 15 millions d’euros pour installer des sas « #Parafe » utilisant la reconnaissance faciale du même nom, mise au point par Thales. Lors du passage de la frontière, certains camions sont examinés par des capteurs de CO2 ou de fréquence cardiaque, ainsi que par de l’#imagerie par #ondes_millimétriques, afin de détecter les personnes qui pourraient s’être cachées dans le chargement.

    « C’est un dispositif qui existe depuis 2004, lorsque Nicolas Sarkozy a fait évacuer le camp de Sangatte, informe un porte-parole d’Eurotunnel. Depuis 2015, il y a tellement de demandes de la part des routiers pour passer par ce terminal, car ils peuvent recevoir des amendes si un migrant est trouvé dans leur camion, que nous avons agrandi sa capacité d’accueil et qu’il fait partie intégrante du trajet. »

    Des outils de plus en plus perfectionnés qui coïncident avec l’évolution des modes de passage des personnes exilées, analyse le politologue Pierre Bonnevalle. « Pendant longtemps, il s’agissait de surveiller les poids lourds. Le #port et le #tunnel sont aujourd’hui tellement bunkérisés que les exilés traversent en bateau. »

    Les technologies employées suivent : en novembre 2021, le ministère de l’intérieur annonçait la mise à disposition de 4 x 4, de lunettes de vision nocturne ou de #caméras_thermiques pour équiper les gendarmes et policiers chargés de lutter contre l’immigration clandestine sur les côtes de la Manche.

    « Ces technologies ne servent à rien, à part militariser l’espace public. J’ai encore rencontré des associatifs la semaine dernière qui me disaient que cela n’a aucun impact sur le nombre de passages et les risques pris par ces gens », tempête l’eurodéputé et ancien maire de Grande-Synthe Damien Carême.

    Elles ont malgré tout un #coût : 1,28 milliard d’euros depuis 1998, selon Pierre Bonnevalle, dont 425 millions pour la seule période 2017-2021. « C’est une estimation a minima, pointe-t-il. Cela ne prend pas en compte, par exemple, le coût des forces de l’ordre. »

    Publié en novembre 2021, un rapport de la commission d’enquête parlementaire sur les migrations détaille les dépenses pour la seule année 2020 : l’État a investi 24,5 millions dans des dispositifs humanitaires d’hébergement, contre 86,4 pour la mobilisation des forces de l’ordre. Des sommes qui désespèrent Pablo, le militant de Human Rights Observers. « Cela aurait permit de bâtir de nombreux centres d’accueil pour que les exilés vivent dans des conditions dignes. » L’État semble avoir d’autres priorités.

    #technologie #frontières #contrôles_frontaliers #asile #migrations #réfugiés #surveillance_des_frontières #militarisation_des_frontières #IA #AI #complexe_militaro-industriel #Manche #La_Manche #France #UK #Angleterre
    –-

    via @olaf #merci :
    https://seenthis.net/messages/968794

  • Le #Conseil_d’Etat enterre l’#espace_Schengen et s’oppose à la #Cour_de_justice_de_l’Union_européenne

    Dans une décision du #27_juillet_2022, le Conseil d’Etat valide une nouvelle fois la prolongation du rétablissement des #contrôles_aux_frontières_intérieures par le gouvernement français, prenant ainsi l’exact contrepied de la position de la Cour de justice de l’Union européenne (#CJUE).

    Alors que, depuis 2015, les autorités françaises prolongent systématiquement tous les 6 mois les contrôles aux frontières intérieures au motif d’une « #menace_persistante » liée au #terrorisme, le Conseil d’Etat, dans sa décision du 27 juillet, se livre à une lecture tronquée de l’arrêt de la CJUE. Pour voler au secours du gouvernement, il s’autorise à réécrire le #droit_européen ignorant délibérément certains développements essentiels apportés par la Cour.

    Ainsi, éludant la définition retenue par la CJUE d’une « nouvelle menace » à savoir, une menace « distincte de celle initialement identifiée », le Conseil d’Etat persiste dans la position qu’il avait adoptée en 2017 et 2019 en considérant qu’une « menace identique mais renouvelée » pourrait suffire à justifier la prolongation des contrôles.

    Pire, le Conseil d’Etat conforte encore le gouvernement en lui permettant d’avance de procéder à des #prolongations sans fin des contrôles aux frontières intérieures, ce que précisément l’arrêt de la CJUE interdit.

    Or, ces contrôles et les pratiques policières qui y sont associées ont pour conséquence des violations quotidiennes des droits des personnes aux frontières pouvant aller jusqu’à provoquer des décès, comme nos organisations le dénoncent inlassablement depuis près de 7 ans.

    Alors qu’il aurait pu et dû mettre un terme à l’illégalité de ces pratiques et faire respecter le principe de #primauté_du_droit_européen, le Conseil d’Etat porte le coup de grâce à la #liberté_de_circulation dans l’espace Schengen.

    https://www.lacimade.org/presse/le-conseil-detat-enterre-lespace-schengen-et-soppose-a-la-cour-de-justice-

    #frontières_intérieures #contrôles_frontaliers #rétablissement #France #justice #migrations #asile #réfugiés #2022 #droit

  • L’Union européenne a discrètement fourni au Maroc de puissants systèmes de piratage des téléphones
    https://disclose.ngo/fr/article/union-europeenne-a-discretement-fourni-au-maroc-de-puissants-systemes-de-p

    Pour renforcer le contrôle des migrants, l’Union européenne a fourni à la police marocaine des logiciels d’extraction de données des téléphones. Faute de contrôle, ces technologies pourraient servir à accentuer la surveillance des journalistes et défenseurs des droits humains au Maroc. Lire l’article

    • Délits d’opinions, harcèlements, intimidations policières. Au Maroc, la répression contre celles et ceux qui contestent le régime s’est durement intensifiée. Abdellatif Hamamouchi, 28 ans, en a fait les frais. Un soir de juillet 2018, le journaliste et militant de l’Association marocaine des droits humains a fait l’objet d’une violente agression. Des hommes qui appartenaient selon lui à la police politique du régime l’ont « battu et jeté par terre » avant de lui prendre son téléphone portable. « Ils n’ont pris que mon téléphone, se souvient-il. Grâce à lui, ils ont pu avoir accès à mes e-mails, ma liste de contacts, mes échanges avec mes sources. » Comme lui, une dizaine de journalistes et militants marocains dont nous avons recueilli le témoignage expliquent s’être vu confisquer leurs téléphones à la suite d’une arrestation arbitraire. Selon eux, cette pratique obéirait à un unique objectif : renforcer le fichage des opposants présumés en collectant un maximum d’informations personnelles. Un contrôle qui, depuis 2019, pourrait être facilité par le soutien technologique et financier de l’Union européenne.

      Disclose, en partenariat avec l’hebdomadaire allemand Die Spiegel, révèle que l’UE a livré au Royaume du Maroc des puissants systèmes de surveillance numérique. Des logiciels conçus par deux sociétés spécialisées dans le piratage des téléphones et l’aspiration de données, MSAB et Oxygen forensic, avant d’être livrés aux autorités marocaines par Intertech Lebanon, une société franco-libanaise, sous la supervision du Centre international pour le développement des politiques migratoires (ICMPD). Objectif de ce transfert de technologies financé sur le budget du « programme de gestion des frontières pour la région Maghreb » de l’UE : lutter contre l’immigration irrégulière et le trafic d’êtres humains aux portes de l’UE.

      Selon des documents obtenus par Disclose et Die Spiegel auprès des institutions européennes, la société MSAB, d’origine suédoise, a fourni à la police marocaine un logiciel baptisé XRY capable de déverrouiller tous types de smartphones pour en extraire les données d’appels, de contacts, de localisation, mais aussi les messages envoyés et reçus par SMS, WhatsApp et Signal. Quant à Oxygen forensic, domiciliée pour sa part aux Etats-Unis, elle a livré un système d’extraction et d’analyse de données baptisé « Detective » (https://www.oxygen-forensic.com/uploads/doc_guide/Oxygen_Forensic_Detective_Getting_Started.pdf). Sa spécificité ? Contourner les verrouillages d’écran des appareils mobiles afin d’aspirer les informations stockées dans le cloud (Google, Microsoft ou Apple) ou les applications sécurisées de n’importe quel téléphone ou ordinateur. La différence notable avec le logiciel Pegasus, les deux logiciels nécessitent d’accéder physiquement au mobile à hacker, et ne permet pas de surveillance à distance.
      La police marocaine formée au piratage numérique

      A l’achat des logiciels et des ordinateurs qui vont avec, l’Union européenne a également financé des sessions de formations dispensées aux forces de police marocaine par les collaborateurs d’Intertech et les salariés de MSAB et Oxygen Forensic. Mais ce n’est pas tout. Selon des documents internes obtenus par l’ONG Privacy International, l’Europe a aussi envoyé ses propres experts issus du Collège européen de police, le CEPOL, pour une formation de quatre jours à Rabat entre le 10 et le 14 juin 2019. Au programme : sensibilisation à « la collecte d’information à partir d’Internet » ; « renforcement des capacités d’investigation numérique », introduction au « social hacking », une pratique qui consiste à soutirer des informations à quelqu’un via les réseaux sociaux.
      Contrôle inexistant

      Reste à savoir si ces outils de surveillance sont réellement, et exclusivement, utilisés à des fins de lutte contre l’immigration illégale. Or, d’après notre enquête, aucun contrôle n’a jamais été effectué. Que ce soit de la part des fabricants ou des fonctionnaires européens. Dit autrement, le Maroc pourrait décider d’utiliser ses nouvelles acquisitions à des fins de répression interne sans que l’Union européenne n’en sache rien. Un risque d’autant plus sérieux, selon des chercheurs en sécurité numérique joints par Disclose, que les logiciels XRY et Detective ne laissent pas de traces dans les appareils piratés. A la grande différence d’une autre technologie bien connue des services marocains : le logiciel israélien Pegasus, qui permet de pirater un appareil à distance. Le système Pegasus a été massivement employé par le Maroc dans le but d’espionner des journalistes, des militants des droits humains et des responsables politiques étrangers de premier plan, comme l’a révélé le consortium de journalistes Forbidden Stories (https://forbiddenstories.org/fr/case/le-pegasus-project) en 2021. Avec les solutions XRY et Detective, « dès que vous avez un accès physique à un téléphone, vous avez accès à tout », souligne Edin Omanovic, membre de l’ONG Privacy international. Un élément qu’il estime « inquiétant », poursuit-il, « dans un contexte où les autorités ciblent les défenseurs des droits de l’homme et les journalistes ».

      Afin de garantir que le matériel ne sera pas détourné de son objet officiel, la Commission européenne, sollicitée par Disclose, affirme qu’un document d’engagement a été signé par les autorités marocaines – il ne nous a pas été transmis. D’après un porte-parole, ledit document mentionnerait l’usage de ces technologies dans le seul but de lutter « contre le trafic d’êtres humains ». Rien d’autre ? « L’UE fait confiance à Rabat pour respecter son engagement, c’est de sa responsabilité », élude le porte-parole.En réalité, ce transfert de technologies devrait faire l’objet d’une attention particulièrement accrue. Pour cause : les systèmes fournis par l’UE sont classés dans la catégorie des biens à double usage (BDU), c’est-à-dire des biens qui peuvent être utilisés dans un contexte militaire et civil. Ce type d’exportation est même encadré par une position commune de l’UE, datée de 2008. Celle-ci stipule que le transfert des biens à double usage est interdit dès lors qu’il « existe un risque manifeste » que le matériel livré puisse être utilisé à des fins de « répression interne ». Un risque largement établi dans le cas marocain, comme l’a démontré l’affaire Pegasus.

      Contactés, MSAB et Oxygen Forensic ont refusé de nous répondre. Même chose du côté des régulateurs suédois et américains sur les exportations de biens à double usage. Alexandre Taleb, le PDG d’Intertech, la société responsable du déploiement des technologies, a été plus loquace. « Mes clients savent ce qu’ils achètent, je n’ai pas à les juger. Ils ont plus de 400 millions d’habitants qui peuvent s’en charger, déclare-t-il. Si le Maroc a des problèmes démocratiques, c’est une chose, mais nos outils ne sont pas la cause de ces problèmes ». Pour ce marché, Intertech a empoché près de 400 000 euros.

      Au parlement européen, ces exportations sont loin de faire l’unanimité. « Sous prétexte de sécuriser nos frontières, nous ne pouvons pas nous contenter des promesses d’un régime autoritaire, déplore ainsi l’eurodéputée Markéta Gregorová (groupe des Verts). C’est une négligence délibérée et moralement inacceptable de la part de l’Europe ». Une négligence qui passe d’autant plus mal que la société MSAB a été accusée (https://theintercept.com/2021/06/14/myanmar-msab-eu-technology-regulation) d’avoir équipé la police birmane en 2019, à un moment où des exactions contre des civils étaient connues et documentées.

      #externalisation #asile #migrations #réfugiés #Maroc #UE #EU #surveillance_numérique #complexe_militaro-industriel #surveillance #répression #logiciels #aspiration_des_données #piratage_des_téléphones #MSAB #Oxygen_forensic #Intertech_Lebanon #Centre_international_pour_le_développement_des_politiques_migratoires (#ICMPD) #technologie #transfert_de_technologies #gestion_des_frontières #frontières #contrôles_frontaliers #programme_de_gestion_des_frontières_pour_la_région_Maghreb #XRY #detective #Pegasus #téléphones_portables #smartphone #piratage_numérique #Collège_européen_de_police (#CEPOL) #formation #police #social_hacking #hacking #réseaux_sociaux #biens_à_double_usage (#BDU) #répression_interne #Alexandre_Taleb

  • Immigration : Ia politique publique la plus coût-inefficace ?

    Le 24 novembre 2021, au lendemain du naufrage d’une embarcation ayant causé la mort de vingt-sept exilés dans la Manche, le président de la République, tout en disant sa « compassion » pour les victimes, appelait à « un renforcement immédiat des moyens de l’agence Frontex aux frontières extérieures ».

    Alors qu’il dénonçait les « passeurs » qui organisent les traversées vers l’Angleterre, les organisations de droits humains critiquaient au contraire une politique qui, en rendant le périple plus périlleux, favorise le développement des réseaux mafieux. Et, tandis qu’il invoquait la nécessité d’agir dans la « dignité », les associations humanitaires qui viennent en aide aux exilés dans le Calaisis pointaient le démantèlement quasi quotidien, par les forces de l’ordre, des campements où s’abritent ces derniers et la destruction de leurs tentes et de leurs maigres effets.

    De semblables logiques sont à l’œuvre en Méditerranée, autre cimetière marin, dont les victimes sont bien plus nombreuses, et même littéralement innombrables, puisque le total de 23 000 morts comptabilisées par l’Office international des migrations est une sous-estimation d’ampleur inconnue. Bien que Frontex y conduise des opérations visant à « sécuriser les frontières » et « traquer les passeurs », l’Union européenne a largement externalisé le contrôle des entrées sur son territoire.

    Le don par le ministère des Armées français de six navires aux garde-côtes libyens, afin qu’ils puissent intercepter et ramener dans leur pays les réfugiés et les migrants qui tentent de rejoindre l’Europe, donne la mesure de cette politique. On sait en effet que les exilés ainsi reconduits sont emprisonnés, torturés, exploités, à la merci de la violence de l’Etat libyen autant que de groupes armés et de bandes criminelles.

    Une répression qui coûte très cher

    Au-delà des violations des droits humains et des principes humanitaires, la question se pose de l’efficacité de cette répression au regard de son coût. Un cas exemplaire est celui de la frontière entre l’Italie et la France, dans les Alpes, où, depuis six ans, le col de l’Echelle, puis le col de Montgenèvre sont les principaux points de passage entre les deux pays. Chaque année, ce sont en moyenne 3 000 personnes sans titre de séjour qui franchissent la frontière, hommes seuls et familles, en provenance du Maghreb, d’Afrique subsaharienne et du Moyen Orient et pour lesquels la France n’est souvent qu’une étape vers l’Allemagne, l’Angleterre ou l’Europe du Nord.

    Jusqu’en 2015, le poste de la police aux frontières avait une activité réduite puisque l’espace Schengen permet la circulation libre des personnes. Mais le contrôle aux frontières est rétabli suite aux attentats du 13 novembre à Paris et Saint-Denis. Les effectifs s’accroissent alors avec l’adjonction de deux équipes de nuit. Il y a aujourd’hui une soixantaine d’agents.

    En 2018, à la suite d’une opération hostile aux exilés conduite par le groupe d’extrême droite Génération identitaire et d’une manifestation citoyenne en réaction, un escadron de gendarmes mobiles est ajouté au dispositif, puis un deuxième. Chacun d’eux compte 70 agents.

    Fin 2020, après une attaque au couteau ayant causé la mort de trois personnes à Nice, le président de la République annonce le doublement des forces de l’ordre aux frontières. Dans le Briançonnais, 30 militaires de l’opération Sentinelle sont envoyés.

    Début 2022, ce sont donc 230 agents, auxquels s’ajoutent un état-major sous les ordres d’un colonel et trois gendarmes réservistes, qui sont spécifiquement affectés au contrôle de la frontière.

    En novembre dernier, une commission d’enquête parlementaire présidée par le député LREM Sébastien Nadot avait fourni dans son rapport une évaluation des coûts, pour une année, des forces de l’ordre mobilisées dans le Calaisis pour y gérer la « présence de migrants ». Suivant la même méthode, on peut estimer à 60 millions d’euros, soit 256 000 euros par agent, les dépenses occasionnées par les efforts pour empêcher les exilés de pénétrer sur le territoire français dans le Briançonnais. C’est là une estimation basse, qui ne prend pas en compte certains frais spécifiques au contexte montagneux.
    Une politique inefficace

    Au regard de ce coût élevé, quelle est l’efficacité du dispositif mis en place ? Une manière de la mesurer est de compter les non-admissions, c’est-à-dire les reconduites à la frontière. Il y en a eu 3 594 en 2018, 1 576 en 2019 et 273 au premier semestre 2020. Mais, comme l’explique la préfecture des Hautes-Alpes, ces chiffres indiquent une activité, et non une efficacité, car de nombreux migrants et réfugiés tentent plusieurs fois de franchir la frontière, et sont comptabilisés à chaque arrestation et reconduite.

    Bien plus significatives sont les données recueillies à Oulx, en Italie, où le centre d’hébergement constate que presque toutes les personnes renvoyées tentent à nouveau de passer, quitte à emprunter des voies plus dangereuses, et à Briançon, où le refuge solidaire reçoit la quasi-totalité de celles qui ont réussi à franchir la frontière. Elles étaient 5 202 en 2018, 1 968 en 2019 et 2 280 en 2020. Les chiffres provisoires de 2021 montrent une augmentation des passages liée surtout à une arrivée de familles afghanes.

    Les policiers et les gendarmes en conviennent, non sans amertume : tous les exilés finissent par passer. On ne saurait s’en étonner. Beaucoup ont quitté plusieurs années auparavant leur pays pour échapper à la violence ou à la misère. Les uns ont parcouru le Sahara, vécu l’internement forcé en Libye, affronté au péril de leur vie la Méditerranée. Les autres ont été menacés en Afghanistan, enfermés dans un camp à Lesbos, battus et dépouillés à la frontière de la Croatie. Comment imaginer que le franchissement d’un col, même en hiver, pourrait les arrêter ?

    Le constat est donc le suivant. Malgré un coût considérable – auquel il faudrait ajouter celui, difficilement mesurable, de la souffrance, des blessures, des amputations et des décès causés par les risques pris dans la montagne – la politique visant à interdire à quelques milliers d’exilés l’entrée sur le territoire français a une efficacité proche de zéro. Elle est probablement la plus coût-inefficace des politiques publiques menées par l’Etat français, sans même parler des multiples irrégularités commises, à commencer par le refus fréquent d’enregistrer les demandes d’asile.

    Mais, peut-être l’efficacité n’est-elle pas à évaluer en matière de passages empêchés et de personnes non admises. Ce qui est recherché relève plutôt de la performance face à l’opinion. Il s’agit, pour l’Etat, de mettre en scène le problème de l’immigration irrégulière et de donner le spectacle de son action pour l’endiguer.

    Dans cette perspective, la militarisation de la frontière a bien alors une efficacité : elle est purement politique.

    https://www.alternatives-economiques.fr/didier-fassin/immigration-ia-politique-publique-plus-cout-inefficace/00102098

    #efficacité #migrations #inefficacité #Didier_Fassin #coût #budget #Briançon #frontières #Italie #France #Hautes-Alpes #frontière_sud-alpine #PAF #contrôles_frontaliers #militarisation_des_frontières #gendarmerie_mobile #opération_sentinelle #état-major #performance #spectacle #mise_en_scène

  • Japan sees fewer foreign visitors even after opening border to tourists | South China Morning Post
    https://www.scmp.com/news/asia/east-asia/article/3185950/japan-sees-fewer-foreign-visitors-even-after-opening-border

    Japan sees fewer foreign visitors even after opening border to tourists
    The number of foreign arrivals was 120,400 compared with 147,000 in May – visitors in June were down 96 per cent compared with three years ago
    The country began accepting tourists on June 10, doubling the daily entry limit to 20,000 – most came from Vietnam, followed by China, then South Korea. Foreign visitors to Japan fell in June from the previous month, even after the country began taking steps to reopen its borders to tourists for the first time in more than two years.The total number of foreign arrivals was 120,400 compared with 147,000 in May, according to data released from the Japan National Tourism Organisation on Wednesday. Japan officially began accepting tourists on June 10, doubling the daily entry limit to 20,000 visitors.While the tally doesn’t provide a breakdown on the types of visitors, the decline suggests Japan isn’t seeing a flood of tourists even as a weaker yen makes visits more affordable.Tourists are still limited to group tours with strict controls – including mandatory mask-wearing, temperature checks and limited free movement – appearing to be making it difficult to plan for and attract visitors.Japan is facing its 7th Covid wave, but the tourism industry’s not worried. The biggest number of visitors came from Vietnam, followed by China, then South Korea.Before the pandemic, Japan was at the peak of a tourism boom, with inbound visitors reaching a record in 2019. Now, the island nation is one of the last remaining rich economies with strict border controls. Visitors in June were down 96 per cent compared with the same month three years ago.

    #Covid-19#migrant#migration#japon#sante#tourisme#frontiere#controlesanitaire

  • L’#UE et le #Niger signent un nouvel accord pour lutter contre les trafiquants d’êtres humains

    Depuis 2015, le Niger a mis en place une politique de #dissuasion, en #coopération avec l’#Union_européenne, pour réduire l’#attractivité de son territoire devenu terre de transit pour les migrants, qui cherchent à rejoindre l’Europe via la Libye. Un nouvel #accord a été signé vendredi pour amplifier la #lutte_contre_l'immigration_clandestine, en protégeant mieux les frontières et en offrant des alternatives à ceux qui vivent de la migration dans le pays.

    D’après la #Commission_européenne, la coopération avec le Niger « passe à la vitesse supérieure » grâce à la signature d’un #partenariat_opérationnel pour combattre le trafic vendredi 15 juillet avec l’Union européenne (UE) doit permettre au Niger d’augmenter l’impact de l’équipe d’enquête conjointe qui a été établie dans le cadre de la #mission_civile_européenne (#EUCAP) #Sahel-Niger.

    Selon #Hamadou_Adamou_Souley, ministre nigérien de l’Intérieur, ce nouvel accord de coopération permettra à la fois de protéger les frontières et les migrants : « Tout ce que ces migrants demandent, c’est de vivre dignement, d’être traité comme des êtres humains. C’est ce que le Niger essaie de leur offrir comme opportunité. C’est pour cela que nous ouvrons nos frontières à ces migrants et nous essayons de les accompagner. »

    Pour Hamadou Adamou Souley, l’important est désormais de concrétiser les nouveaux projets évoqués par la Commissaire européenne aux Affaires intérieures lors de sa visite à Agadez, à savoir des projets de #développement_économique qui permettront de donner de nouvelles activités à ceux qui vivaient autrefois de la migration.

    https://www.infomigrants.net/fr/post/41962/lue-et-le-niger-signent-un-nouvel-accord-pour-lutter-contre-les-trafiq
    #externalisation #asile #migrations #réfugiés #frontières #contrôles_frontaliers #Niger #externalisation_des_frontières #EU #Europe #coopération_au_développement #conditionnalité_de_l'aide_au_développement

    ping @rhoumour @karine4

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    ajouté à la #métaliste autour de #migrations et #développement :
    https://seenthis.net/messages/733358

    et notamment sur la conditionnalité de l’aide au développement à la fermeture des frontières :
    https://seenthis.net/messages/733358#message768701

    • Joint press release: Strengthening cooperation in the fight against migrant smuggling: the European Union and Niger launch operational partnership to tackle migrant smuggling

      Today, the European Union and Niger are strengthening their cooperation with the launch of an operational partnership to tackle migrant smuggling. Joint efforts under this partnership will help to save lives, disrupt the business model used by criminal networks, prevent migrants from becoming victims of violence and exploitation and protect their fundamental rights.

      As highlighted in the new EU Pact on Migration and Asylum, combatting migrant smuggling is a shared challenge that requires robust cooperation and coordination with key partner countries along migration routes, in line with the EU’s overarching approach to migration. Located at the heart of the Sahel, Niger has for decades been at the crossroads of migration flows to North and West Africa and to the EU, as well as a destination country for migrants. The country has made considerable efforts to tackle migrant smuggling, helping to evacuate individuals affected from Libya and ensuring a dignified return home for irregular migrants. Niger and the European Union have worked together as trusted partners in the Sahel region and have been involved in several joint initiatives addressing wider migration and security issues, including the challenges of irregular migration, and focusing in particular on efforts to tackle criminal groups operating in the region in the pursuit of profit.

      Now, the constructive cooperation between Niger and the European Union and the strong mutual commitment to stepping up joint efforts to address migration and security risks and the consequences of irregular migration are moving up a gear, from both an operational and a political point of view. The operational partnership to tackle migrant smuggling is a response to shared needs and sets out to achieve common objectives, based on the renewed EU #Action_Plan_against_Migrant_Smuggling (2021-2025).

      Commissioner for Home Affairs, Ylva Johansson, said: ‘We are taking a crucial step in efforts to combat migrant smuggling and are making progress towards achieving the objectives set out in the New Pact on Migration and Asylum. Niger has long been a key partner in terms of addressing security challenges and managing migration and I am delighted that today we are jointly launching an operational partnership to tackle migrant smuggling in order to consolidate and ramp up our efforts. Together, we will do all we can to save migrants’ lives and prevent violations of their rights, strengthen the management and security of borders, dismantle the criminal networks that are responsible for smuggling and offer genuine economic alternatives to people seeking a better life in Niger.’

      Niger’s Minister for the Interior, Hamadou Adamou Souley, said: ‘Implementing this operational partnership to tackle migrant smuggling aligns perfectly with the actions and activities under programmes II and III of the action plan set out in our National Migration Policy. This will allow us to work together to better protect migrants, secure our borders and achieve our ultimate aim, which is to improve living conditions for migrants and their host communities.’

      Content of the operational partnership to tackle migrant smuggling

      Part of the EU’s wider efforts with Niger on migration, the Operational Partnership comprises a number of actions that could be expanded to ensure that the Partnership can adapt as the context surrounding migration and the phenomenon itself evolve.

      This will boost the success of the #Joint_Investigation_Team (#JIT) in Niger, where, with EU funding, officers from services in EU Member States and Niger are working side by side to disrupt the business model of people smugglers and criminal networks. Since 2017, over 700 criminals have been arrested and over 400 judicial proceedings have been launched. The Operational Partnership will maximise the impact of the JIT and strengthen links with other operational activities in the region to address migrant smuggling.

      New information and awareness-raising campaigns will also be launched, explaining the risks of irregular migration and migrant smuggling, as well as setting out possible alternatives. By challenging the narratives put forward by people smugglers, the campaigns set out to inform migrants and influence their decisions to migrate.

      The working arrangement between #Frontex and Niger, currently under discussion, will support the Nigerien authorities with regard to integrated border management by strengthening risk management and assessment capabilities with a view to facilitating legitimate border crossings and tackling irregular migration and cross-border crime.

      The #European_Union_Capacity_Building_Mission (EUCAP) Sahel Niger has been working with partners in Niger for nearly ten years to tackle terrorism, organised crime and criminal people-smuggling networks operating in the region. This work is part of the European Union’s commitment to security and defence efforts in the Sahel region under the responsibility of the High Representative of the EU for Foreign Affairs and Security Policy, #Josep-Borrell. The signing of a working arrangement between Frontex and the EUCAP Sahel Niger will support the joint commitment by the European Union and Niger to improve border-management structures in Niger and crack down on people traffickers and smugglers and those who seek to profit from the distress of migrant men, women and children. The working arrangement will facilitate and enhance efforts to exchange information, offer targeted training activities, share best practices and advise the Nigerien authorities.

      The #Coordination_Platform_on_Migration, which is part of the office of Niger’s Minister for the Interior, working in close cooperation with the EU Delegation to Niger, will operate as a coordination and monitoring mechanism for implementing the Operational Partnership to ensure consistency across activities and coordination of stakeholders, in line with Niger’s National Migration Policy (2020-2035), the European Union’s overarching approach to migration and its work with partner countries under the New Pact on Migration and Asylum.

      The Operational Partnership will work in tandem with the two Team Europe initiatives on the Central Mediterranean route and the Atlantic and Western Mediterranean route. Projects carried out under these two initiatives will help to implement the Operational Partnership and strengthen efforts by the European Union and the Member States to tackle irregular migration and forced displacement. At the same time, EU support under the #NDICI - Global Europe instrument in terms of human development, governance and sustainable and inclusive economic growth, including through EUR 195 million in budget support, will help Niger in its efforts to implement key reforms and address security and socio-economic challenges as well as challenges related to migration management. The Operational Partnership will be complemented by projects seeking to promote economic development and improve the availability of and access to high-quality public social services for communities in Niger, particularly in the #Agadez region.

      https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/en/ip_22_4536

    • Actions sur les questions migratoires : L’ICMPD annonce la signature d’un accord de coopération avec les autorités nigériennes

      Le #Centre_International_pour_le_Développement_des_Politiques_Migratoires (#ICMPD, en anglais), a organisé, hier mardi 12 juillet 2022 à Niamey, un déjeuner de travail, avec les différents acteurs intervenant sur les questions migratoires. C’était une occasion pour informer les autorités, les organisations internationales et leur présenter ledit centre mais aussi pour annoncer la signature d’un accord de coopération, sur la migration, le jeudi 14 juillet prochain, avec les autorités nigériennes.

      Selon M. Vincent Marchadier, Chef de Projet au Bureau ICMPD pour l’Afrique de l’Ouest, le Niger est un pays clé tant au niveau du Sahel, qu’au niveau de la CEDEAO, confronté aux flux migratoires, qui passe de pays de transit à un pays de destination, avec les migrants irréguliers, qui ont tendance à s’installer, de plus en plus au Niger et cela pour plusieurs raisons. « D’où l’importance de rencontrer les autorités politiques et les autres structures œuvrant dans la lutte contre la migration irrégulière, pour les appuyer dans ce combat et cela à travers plusieurs projets et actions communes », a indiqué M. Marchadier. Le Niger, a-t-il précisé a été retenu, au regard de la volonté et de la disponibilité des autorités à combattre cette migration irrégulière, qui par ailleurs cause de nombreux problèmes (violence, divers trafics, insécurité, etc.). Il a ajouté que sur toutes ces questions l’ICMPD peut apporter son expertise, pour contribuer à les résoudre, que d’autres structures n’ont pas pu apporter. « Cet accord a pour but de définir le cadre de relation entre l’ICMPD et le gouvernement du Niger, afin de travailler à résoudre les difficultés qui sont posées par le phénomène migratoire, au niveau du territoire nigérien », a-t-il déclaré. Quant au Directeur Général de l’ICMPD, M. Mickael Spindelegger, il a indiqué que : « Nous allons rencontrer le Premier ministre du Niger, pour qu’il nous décline quels sont les domaines dans lesquels il veut que nous intervenions dans le domaine de cette coopération ». Selon M. Spindelegger, cet accord de siège permettra au ICMPD d’être reconnu comme organisation internationale intervenant dans le domaine migratoire, et par la même d’être capable de développer ses activités d’aide et de coopération au niveau national. « Cet accord nous permettra de développer des projets importants et porteurs pour la lutte contre la migration irrégulière mais aussi pour le développement de ce vaste pays, qui a une réelle volonté de bien s’impliquer dans le combat contre ce type de migration, en dépit de nombreux défis auxquels il fait face », a-t-il ajouté.

      « Nous allons d’abord nous renseigner sur l’état de la situation sur toutes les questions migratoires concernant le Niger et ensuite en coopération avec les autorités nationales, définir les axes d’interventions, les projets pertinents et adaptés qu’il faut mettre en œuvre en fonction de la situation. Nous comptons travailler sur un projet, qui nous tient à cœur concernant le Niger et le Nigeria, pour que ces deux pays travaillent, le plus étroitement possible sur les questions migratoires. L’ouverture d’esprit des autorités nigériennes et leur esprit coopératif, nous permettront, sans nul doute d’atteindre des bons résultats, suite à la prochaine signature de l’accord de siège », a précisé M. Spindelegger.

      Notons que l’ICMPD est une organisation internationale dont les opérations sont réparties dans 90 pays à travers le monde. Il a été créé par l’Autriche et la Suisse en 1993 et compte 19 États membres en 2022.

      https://www.lesahel.org/actions-sur-les-questions-migratoires-licmpd-annonce-la-signature-dun-accor

  • Plateforme « drift-backs » en mer Egée

    Une enquête de #Forensic_Architecture et Forensis menée avec une grande rigueur –recoupements de photos et de vidéos, géolocalisations, recoupements de témoignages- révèle que, entre mars 2020 et mars 2020, 1018 opérations de refoulement -la plupart par la méthode dite ‘#drift-back’- ont été menées en mer Egée, impliquant 27.464 réfugiés. Remarquez que ce chiffre concerne uniquement les refoulements en Mer Egée et non pas ceux effectués d’une façon également systématique à la frontière terrestre d’Evros.


    https://forensic-architecture.org/investigation/drift-backs-in-the-aegean-sea

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    Présentation succincte des résultats de l’enquête parue au journal grec Efimérida tôn Syntaktôn (https://www.efsyn.gr/ellada/dikaiomata/352169_pano-apo-1000-epanaproothiseis).

    Plus de 1 000 opérations de refoulements en mer Egée répertoriés et documentés par Forensic Architecture 15.07.2022, 10:26

    Dimitris Angelidis

    L’enquête des groupes Forensic Architecture et Forensis est très révélatrice. ● De mars 2020 à mars 2022, 1 018 cas de refoulement d’un total de 27 464 réfugiés ont été enregistrés, dont 600 ont été recoupés et documentés de façon qui ne laisse aucune place au doute ● « Des preuves d’une pratique assassine qui s’avère non seulement systématique et généralisée, mais aussi bien planifiée émergent », rapportent les deux groupes.

    Plus de 1 000 opérations illégales de refoulement de réfugiés dans la mer Égée, de mars 2020 à mars 2022, ont été enregistrées et documentées par le célèbre groupe de recherche Forensic Architecture et l’organisation sœur Forensis (fondée à Berlin, 2021).

    Les résultats de leurs enquêtes depuis plus d’un an sont aujourd’hui publiés en ligne (https://aegean.forensic-architecture.org ), sur une plateforme électronique qui constitue l’enregistrement le plus complet et le plus valide des refoulements grecs en mer Égée, alors que sa mise à jour sera effectuée régulièrement.

    « Des preuves d’une pratique de meurtre systématique, étendue et bien planifiée émergent », rapportent les deux groupes, notant que le déni des refoulements par le gouvernement grec manque tout fondement.

    Les preuves qu’ils ont croisées et documentées avec des techniques de géolocalisation et d’analyse spatiale proviennent de réfugiés et d’organisations telles que Alarm Phone et l’organisation Agean Boat Report, la base de données Frontex, le site Web des garde-côtes turcs et des recherches open source.

    Il s’agit de 1 018 cas de refoulement d’un total de 27 464 réfugiés, dont 600 ont été recoupés et documentés d’une façon si complète que leur existence ne peut pas être mise en doute. Il y a aussi 11 morts et 4 disparus lors de refoulements, ainsi que 26 cas où les garde-côtes ont jeté des réfugiés directement à la mer, sans utiliser les radeaux de sauvetage (life-rafts) qu’ils utilisent habituellement pour les refoulements, depuis mars 2020. Deux des personnes jetées à l’eau mer ont été retrouvées menottées.

    Dans 16 cas, les opérations ont été menées loin de la frontière, dans les eaux grecques, soulignant « un degré élevé de coopération entre les différentes administrations et autorités du pays impliquées, ce qui indique un système soigneusement conçu pour empêcher l’accès aux côtes grecques », comme le note l’ enquête.

    Frontex est directement impliquée dans 122 refoulements, ayant été principalement chargée d’identifier les bateaux entrants et de notifier leurs présences aux autorités grecques. Frontex a également connaissance de 417 cas de refoulement, qu’elle a enregistrés dans sa base de données sous le terme trompeur « dissuasion d’entrée ».

    Lors de trois opérations le navire de guerre allemand de l’OTAN FGS Berlin a été présent sur les lieux.

    https://www.efsyn.gr/ellada/dikaiomata/352169_pano-apo-1000-epanaproothiseis

    voir aussi la vidéo introductive ici : https://vimeo.com/730006259

    #architecture_forensique #mer_Egée #asile #migrations #réfugiés #push-backs #chiffres #statistiques #Grèce #Turquie #refoulements #gardes-côtes #life_rafts #abandon #weaponization #géolocalisation #recoupement_de_l'information #contrôles_frontaliers #base_de_données #cartographie #carte_interactive #visualisation #plateforme

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    pour voir la plateforme :
    https://aegean.forensic-architecture.org

  • Hong Kong considers Covid health code system similar to mainland China, city logs 2,992 infections | South China Morning Post
    https://www.scmp.com/news/hong-kong/health-environment/article/3184763/hong-kong-mulls-coronavirus-code-system-similar

    Hong Kong considers Covid health code system similar to mainland China, city logs 2,992 infections. Secretary for Health Dr Lo Chung-mau says proposed measure would prevent freedoms of uninfected residents from being affected by Covid-positive people. Lack of protection of individual privacy and sensitive information with code remains concern among public, says Democratic Party spokesman Ramon Yuen
    Hong Kong may adjust its Covid-19 app to require real-name registration as mainland China does to ensure residents subject to compulsory testing orders avoid entering high-risk areas, the city’s new health minister has said. But Secretary for Health Dr Lo Chung-mau on Sunday brushed aside concerns that the proposed measure would be unpopular with Hongkongers, arguing it would enhance the freedoms of uninfected residents. Lo said the measure was justified, given the government was seeking to avoid tightening social-distancing measures.“[If] we can’t find infected people or can’t quarantine them on time, we end up ‘quarantining’ people who are negative. We hope we don’t have to do this,” he said.
    Health officials on Sunday reported 2,992 new Covid-19 cases, including 219 imported ones, and two additional deaths. The city’s overall coronavirus tally stands at 1,270,800 infections and 9,412 related fatalities.
    Commissioner of Customs and Excise Louise Ho Pui-shan was placed under quarantine after one of her colleagues tested preliminary-positive, although her own test came back negative. Meanwhile, the health minister said there were limitations to the city’s “Leave Home Safe” contact-tracing app, which could not prevent coronavirus-positive people from accessing public areas or inform residents they were entering high-risk locations. While he noted that adding a tracking function was “not the first thing to do”, Lo said he believed it was more important for residents to register their real names to use the app.“[The app] is currently limited to telling whether a person is considered to be high-risk, and that they are not supposed to go to higher-risk areas before they do PCR [polymerase chain reaction] testing,” he said.
    Lo added that the current compulsory testing order, despite its name, had “no coercive means at all”, making it unfair for residents as high-risk people could still roam around the city without detection.
    When asked whether the potential measure could have any similarities to the health code systems used by Macau and the mainland, Lo replied that the Hong Kong government had taken both into consideration as a part of the proposal.The mainland’s health code app is used to track and contain Covid-19 patients by providing central authorities with user data such as locations, times and personal interactions.The QR codes generally follow a traffic-light system, with the colours affecting where residents can go and how they are treated: a green code declares a resident has not been exposed to any potential cases or risky areas, while yellow and red codes mean they are of higher risk.Dr Chuang Shuk-kwan, head of the Centre for Health Protection’s communicable disease branch, said she had no comment about Lo’s proposal and that the government would make relevant announcements when it was ready.But she acknowledged the contact-tracing app had limitations and said there were no estimate on the number of infected people who had not reported their positive case to authorities.Although the app had residents’ phone numbers, authorities could still face difficulties in reaching some people for contact-tracing purposes if they did not answer the calls, Chuang said.The centre also had to rely on other government departments to obtain residents’ vaccine pass information whenever there was an outbreak, as it did not have access to such details, she added.She said the centre did not have any information on the number of visitors at particular premises if no infections were reported there.“Macau adopted the mainland-like code system but still suffered an outbreak recently. After all, measures on social distancing and quarantine are still key to controlling the spread, especially in cities that have not reached herd immunity,” he said.Leung added that the proportion of the population in both cities that was immune to the virus due to vaccination or prior infection was still low compared with other places. If Hong Kong implemented the mainland’s app functions, it was crucial to reduce the time needed to synchronise the compulsory testing orders with residents’ phones, otherwise it would be futile if there were delays that lasted for days, he added.Ramon Yuen Hoi-man, the Democratic Party’s healthcare policy spokesman, said the lack of protection of individual privacy and sensitive information with the code system remained a concern among the public.He added that he was worried about the implications of introducing new restrictive measures after the fifth wave of infections had already subsided.“Overseas research has shown that stringent Covid-19 measures have been unfavourable to social harmony and unity. Is this something the new government really hopes to pursue?” he said.Medical and health services lawmaker Dr David Lam Tzit-yuen said privacy issues were not a concern as long as authorities were restricted to tracking a person’s identity and other personal information only if they were deemed to be at risk.“[The code system] is the way to go for better protecting the community. Privacy issues, which could be solved by the right algorithms, should not trump safety of others,” he said.Health minister Lo also said he planned to increase the frequency of PCR tests and require high-risk people, such as employees of nursing homes, to undergo such screening once a week, on top of rapid antigen tests, before increasing it to twice a week or every 48 hours.The new administration led by Chief Executive John Lee Ka-chiu has repeatedly stressed the importance of using PCR tests at an earlier stage more effectively, which it said would exclude people who were not infected from tough restrictions.

    #Covid-19#migrant#migration#sante#hongkong#macau#chine#QRcode#controlesanitaire#politiquesanitaire#depistage#zerocovid#testPCR#restrictionsanitaire#surveillance

  • (#frontex)
    New director, same tragedy

    On Monday 4 July Frontex announced that its Management Board, made up of representatives of EU countries’ border authorities – mostly police officers active at national level -, has appointed #Aija_Kalnaja as Executive Director ad interim for the agency. This follows the resignation of former director Fabrice Leggeri in April 2022, amidst ongoing investigations by EU’s anti-fraud watchdog OLAF into Frontex‘s role concerning allegations of harassment, misconduct and illegal pushbacks. Kalnaja was already acting Executive Director since the departure of Leggeri.
    The change in leadership is meant to appease the intense and growing criticism Frontex is facing. Over the past years – and thanks to the tireless work and testimonies from people on the move, support workers, journalists and civil society – the public has seen and been confronted with Frontex’s unacceptable behaviour and violent nature. The OLAF investigation is a direct result from this and its secret report on Frontex of February 2022 should be made public.

    Pictures of wounded people after being attacked and beaten by border guards for attempting to cross a border; footage of boats purposefully being left adrift at sea, assistance being denied; minute-by-minute reconstructions of illegal pushbacks… The evidence is by now overwhelming and undeniable. And so the demands for change became unavoidable.
    It is in this context that a new leader for the EU’s most powerful agency is being appointed. But appointing a new face while the structure and the system remain unaltered will not bring drastic and necessary change; it’s nothing but a new chapter of the same book, it’s continuation.
    Frontex will remain Frontex – something that Kalnaja has evidenced herself. At the end of May Kalnaja told the European Parliament that Frontex is “traumatized” from all the criticism it received about the human rights violations it is responsible for.
    This feeble attempt to put the agency and its employees in a victim role shows that Frontex lacks any recognition or repentence over the fact that it is not Frontex employees, but countless people on the move who suffer real trauma and injury from their treatment by the agency and other actors in the EU’s militarised border regime, nor that the violations are unacceptable and will stop in the future. It is also a clear signal from Frontex itself that we must expect business as usual under the leadership of the new Director.
    And what #business_as_usual means is actually repeated and widespread forms of violence at and beyond Europe’s borders: people on the move being shot at, pushed back, left to drown, handed over to torturers, jailed and deported. It means an agency with its doors widely open for the lobby of the military and security industry, cooperating with authoritarian regimes in non-EU-countries, and building its own paramilitary border police force.
    The fact is, a change of leadership is a solution that flagrantly fails to match the extent and nature of the problem. Frontex is a border police force whose mere existence inherently creates and perpetuates violence and death; substituting one director for another isn’t aimed at ending this violence or even addressing it – it simply seeks to put someone new in charge who will keep it running smoothly. Meanwhile, the European Commission, the European Parliament and Member states’ governments have firmly stood on the side of Frontex and chosen to expand its powers even more.
    We are certain Kalnaja will continue to try to give Frontex a more humanitarian face, talking about fundamental rights and about rebuilding trust. We are also certain these are nothing but hollow words and an act of windowdressing, as the sole mission of Frontex is to keep or get people on the move out of the EU. As such, Frontex cannot be reformed or turned into a kinder version of itself. It is and will remain the figurehead of the EU’s deadly militarised and racist border and migration policies and therefore must be abolished.
    Abolish Frontex, a network of over 130 groups and organisations in and beyond the EU, can assure Kalnaja that there will never be any trust in her and the agency. As we continue to campaign and take action to ABOLISH FRONTEX and end the EU border regime, we look forward to making Kalnaja‘s mandate a brief one and the last of its kind, coming to an end amidst the ruins of an agency that has been dismantled to the ground.

    https://abolishfrontex.org/blog/2022/07/05/new-director-same-tragedy

    #Kalnaja #asile #migrations #réfugiés #frontières #contrôles_frontaliers

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    sur la #démission de #Fabrice_Leggeri, voir ce fil de discussion :
    https://seenthis.net/messages/958737

    #Leggeri

    ping @isskein @karine4 @_kg_

    • ... “At the end of May Kalnaja told the European Parliament that Frontex is “traumatized” from all the criticism it received about the human rights violations it is responsible for.” ...

    • La directrice de Frontex sous enquête de l’#OLAF

      Aija Kalnaja, la directrice par intérim de Frontex, l’agence de surveillance des frontières de l’Union européenne, fait l’objet d’une enquête de l’Office européen de lutte antifraude (OLAF). Cette information nous a été confirmée ce vendredi (16 décembre).

      La Commission européenne et les États membres ont été informés de l’enquête le 23 novembre, ce qui n’est pas le cas des eurodéputés. Les médias Lighthouse Reports, Mediapart et Der Spiegel ont rendu publique l’existence de l’enquête ce vendredi, mais sa raison d’être est encore inconnue à l’heure actuelle.

      « J’ai été informée par l’OLAF que je suis l’une des personnes visées dans une affaire qui consiste en deux événements distincts. Je coopère avec l’OLAF entièrement, ouvertement et inconditionnellement pour clarifier les faits », a indiqué Mme Kalnaja à EURACTIV.

      Elle a également indiqué qu’« en raison du caractère confidentiel de l’enquête », il ne lui était pas possible de fournir davantage de détails maintenant.

      « Dès que cela serait légalement possible, je serai disponible pour discuter des détails », a-t-elle ajouté.

      Un fonctionnaire de la Commission européenne a répondu à EURACTIV que cette question devait être posée à l’OLAF qui « est indépendant ».

      Interrogé par EURACTIV, l’Office a confirmé l’existence d’une enquête « concernant Frontex ». Cependant, « étant donné que les enquêtes sont en cours, l’OLAF ne peut donner aucun autre commentaire » afin de « garantir la confidentialité » de l’enquête.
      Les antécédents

      Frontex était auparavant dirigée par Fabrice Leggeri, qui a démissionné en avril 2022 lorsque l’agence européenne a fait l’objet d’une enquête antifraude, également menée par l’OLAF. Il a alors été remplacé par Aija Kalnaja.

      L’enquête précédente, rendue publique à la mi-octobre de cette année, a révélé que, entre 2020 et 2021, des agents de Frontex ont couvert des refoulements illégaux de migrants à grande échelle aux frontières. Ces refoulements constituent une violation des droits humains.

      L’enquête de l’OLAF a révélé qu’au moins six refoulements impliquaient des navires des garde-côtes grecs qui avaient été cofinancés par Frontex.

      Dans un communiqué de presse publié à la mi-octobre, l’agence européenne a répondu qu’« il s’agissait de pratiques du passé ».

      « Afin de remédier systématiquement aux manquements, l’agence et son conseil d’administration ont convenu de prendre un certain nombre de mesures correctives », a déclaré Frontex.

      Le Parlement européen a accueilli, le 30 novembre dernier, une audition avec trois candidats au poste de directeur de Frontex pour la prochaine administration proposée par la Commission européenne.

      Mme Kalnaja faisait partie de ces candidats, avec Terezika Gras, l’actuelle secrétaire d’État au ministère croate de l’Intérieur, et Hans Leijtens, un haut fonctionnaire militaire des Pays-Bas.

      Au cours du débat, il est apparu clairement que le respect des droits humains et la transparence vis-à-vis du Parlement européen et du public figuraient parmi les principales préoccupations des eurodéputés.

      Mardi prochain (20 décembre), le conseil d’administration de Frontex décidera si Mme Kalnaja sera confirmée ou non au poste de directrice. Entre-temps, la commission des libertés civiles du Parlement européen (LIBE) a exprimé sa préférence pour le candidat néerlandais, M. Leijtens.

      Selon Mediapart et Der Spiegel, l’enquête en cours devrait probablement empêcher la confirmation de Mme Kalnaja.

      Une présence accrue

      Entre-temps, en novembre, le Conseil avait entamé des négociations visant à renforcer la présence et les pouvoirs de Frontex dans les pays tiers, comme ceux des Balkans occidentaux, en permettant à l’agence d’« exercer des pouvoirs exécutifs » tels que les contrôles et les enregistrements aux frontières.

      Frontex a déjà été repérée dans les aéroports albanais au cours des 12 derniers mois, et l’agence a conclu un accord avec le pays, le premier de ce type avec un État non membre de l’Union européenne.

      Des accusations de refoulement impliquant des agents de Frontex ont été rapportées en Albanie et à la frontière entre la Grèce et la Turquie.

      En début de semaine, EURACTIV a fait état d’un rapport de Human Rights Watch (HRW) accusant Frontex d’être impliquée dans l’exploitation de drones et d’avions utilisés pour surveiller les migrants en Méditerranée. Les informations recueillies sont ensuite utilisées pour refouler les migrants vers la Libye, où ils subissent des violences et des tortures dans des camps de détention.

      Ces activités se sont déroulées en 2021, principalement depuis une station de contrôle au sol située sur le site de l’aéroport international de Malte. Depuis cette année-là, plus de 32 400 personnes ont été interceptées en mer par les autorités libyennes et renvoyées de force dans le pays. HRW rapporte qu’un tiers de ces interceptions ont été réalisées suite à des renseignements recueillis par Frontex.

      « L’utilisation par l’agence des frontières de l’UE, Frontex, de la surveillance aérienne pour permettre aux garde-côtes libyens d’intercepter les bateaux de migrants, tout en sachant que les migrants et les demandeurs d’asile seront confrontés à des violences systématiques et généralisées lorsqu’ils seront renvoyés de force en Libye, rend Frontex complice de ces violences », ont déclaré HRW et Border Forensics.

      « Tant que les opérations de Frontex sont conçues pour permettre les interceptions par les forces libyennes, l’agence de garde-frontières et l’UE devraient être tenues responsables pour leur rôle dans les abus subis par les personnes renvoyées en Libye », ont-ils ajouté.

      Le rapport conclut que l’approche de Frontex est conçue « non pas pour secourir les personnes en détresse mais pour les empêcher d’atteindre le territoire de l’UE ».

      https://www.euractiv.fr/section/politique/news/la-directrice-de-frontex-sous-enquete-de-lolaf

  • I finanziamenti europei al Marocco per bloccare le persone, a tutti i costi

    In questi anni l’Unione europea ha garantito alle polizie marocchine mezzi, “formazione” e strumenti di identificazione. Forniture milionarie, poco trasparenti, di cui hanno beneficiato quelle stesse guardie di frontiera che il 24 giugno hanno causato la morte di oltre 20 persone. Anche qui Frontex ha un ruolo decisivo

    “Un partner di riferimento per l’Unione europea, un modello che altri potranno seguire per la sua capacità di collaborare con le nostra agenzie”. Così la Commissione europea descriveva nell’ottobre 2021 l’attività delle autorità marocchine nel campo della “gestione” del fenomeno migratorio. Un’immagine che stride con quella dei corpi stesi a terra, immersi in pozze di sangue, di chi la mattina presto del 24 giugno è stato brutalmente respinto mentre tentava di far ingresso nell’enclave spagnola di Melilla. Almeno 23 i morti, molti di più secondo le Ong indipendenti, in prevalenza persone originarie di Sudan e Sud-Sudan, centinaia i feriti e decine gli arresti tra le circa 2mila persone che hanno tentato di scalare la triplice barriera metallica che separa il territorio marocchino dalla città spagnola. Ma la violenza perpetrata ai danni dei rifugiati sia dalle forze di polizia marocchina sia dalla Guardia civile spagnola va contestualizzata in un quadro più ampio. I soldi dell’Ue hanno finanziato quella violenza.

    Del bilancio pluriennale 2014-2020 circa 370 milioni di euro sono stati assegnati al governo di Rabat per la gestione del fenomeno migratorio, di cui 238 derivanti direttamente dal Fondo fiduciario dell’Ue per l’Africa (Eutf): l’80% è stato destinato a programmi di sostegno, supporto e gestione dei confini con solo le “briciole” per la protezione delle persone in transito (circa l’11%) e per l’integrazione socio-economica di chi “sceglie” di restare in Marocco (7,5%). Cifre stanziate con il consueto ritornello della “lotta contro l’immigrazione illegale” che, come su tanti altri confini esterni dell’Ue giustifica il blocco del flusso delle persone in transito e l’impossibilità di vedersi riconosciuto il diritto d’asilo. Una strategia che, nel caso del Marocco, getta le prime basi nel 2001 quando la rotta del Mediterraneo centrale comincia a vedere i primi flussi. L’Italia è precursore con un finanziamento di 10 miliardi di lire, tra 1999 e il 2000, per finanziare secondo quanto ricostruito dal progetto Sciabaca&Oruka di Asgi l’acquisto di mezzi, strumenti ed equipaggiamento che favoriscono le forze di polizia marocchina nell’attività di contrasto all’immigrazione “clandestina”.

    Come ricostruito da Statewatch, gruppo di ricerca indipendente, a livello europeo invece dal 2001 al 2010 vengono stanziati circa 74,6 milioni di euro per sei progetti riguardanti la sicurezza delle frontiere. Tra questi sei progetti almeno due meritano attenzione. Il “Seahorse network” (costo totale di circa 2,5 milioni di euro, con un contributo Ue pari a più di 1,9 milioni) che ha fornito fondi per la creazione di una “rete regionale sicura per lo scambio di informazioni sull’immigrazione irregolare”. Statewatch, grazie ai documenti forniti dalla Direzione generale per la cooperazione e lo sviluppo internazionale della Commissione (Dg Devco) ha ricostruito che la rete ha sede a Gran Canaria ed è collegata a quella della Guardia civil spagnola e l’Agenzia Frontex. E poi un progetto da più di 67 milioni di euro fornito tra il 2007 e il 2010 direttamente al ministero dell’Interno marocchino: non si conoscono i contenuti del progetto, in quanto l’accesso ai documenti è stato negato per “tutela dell’interesse pubblico che è prevalente alla necessità di divulgazione” e soprattutto non esistono documenti di valutazione. “Il fatto che l’Ue non abbia intrapreso una valutazione è sorprendente dati i rigorosi standard di audit e valutazione che dovrebbero essere applicata ai finanziamenti”.

    All’aumento dei flussi corrisponde una crescita dei finanziamenti. Non a caso tra il 2013-2018, sempre da quanto ricostruito da Statewatch, i finanziamenti si sono concentrati sull’integrazione delle persone già presenti sul territorio complice un cambio di rotta delle autorità marocchine che hanno promosso due campagne di regolarizzazione per le persone prive di documenti (nel 2013 e nel 2016) e un tentativo di garantire sostegno a rifugiati e richiedenti asilo. I circa 61,5 milioni di euro stanziati dall’Ue hanno di fatto “compensato il mancato coinvolgimento delle autorità marocchine nella formulazione e nell’attuazione di una vera politica di integrazione”. Ma l’intervento umanitario europeo è solo una breve parentesi. Tra il 2017 e il 2018 gli attraversamenti “irregolari” nel Mediterraneo occidentale aumentano del 40% e le autorità marocchine dichiarano di aver fermato circa 76mila persone. Cifre da prendere con le pinze ma che giustificano, secondo i legislatori europei, la ripresa dei fondi destinati a Rabat. Questo nonostante, a livello assoluto, gli attraversamenti irregolari diminuirono del 25% rispetto al 2017 e raggiunsero il numero più basso dei cinque anni precedenti (150mila in totale). Ma poco conta, come visto anche su altre frontiere, non è una questione di numeri.

    Il 20 agosto 2018 attraverso il “Programma di gestione delle frontiere per la regione del Maghreb (BMP – Maghreb) vengono destinati 30 milioni di euro per “proteggere, monitorare e gestire le frontiere” del Marocco in un più ampio progetto multinazionale, dal budget totale di 55 milioni di euro, in cui figura tra i partner esecutivi anche il ministero dell’Interno italiano per alcune azioni in Tunisia. Si va dal potenziamento delle infrastrutture informatiche per “raccolta, archiviazione e identificazione della biometria digitale” e l’acquisizione di mezzi aerei e navali per il controllo pre-frontaliero. Il 13 dicembre 2018 vengono poi destinati 44 milioni di euro per il progetto “Soutien à la gestion intégrée des frontières et de la migration au Maroc” che mira a “rafforzare le capacità delle istituzioni marocchine a protezione, sorveglianza e controllo delle frontiere”: per un periodo di 36 mesi e gestito dalle autorità spagnole per “migliorare le capacità delle autorità marocchine di intercettare i valichi di frontiera irregolari e svolgere attività di ricerca e soccorso in mare”. A questo si aggiunge un programma per il contrasto al “contrabbando e al traffico di esseri umani” con un finanziamento pari a 70 milioni di euro. Nel dicembre 2019 nonostante gli attraversamenti registrati da Frontex sono la metà rispetto all’anno precedente (appena 23.969), l’Ue finanzia più di 101 milioni di euro nuovamente per “rafforzare le capacità delle istituzioni marocchine, in particolare per il ministero dell’Interno a contrastare il traffico di migranti e la tratta degli esseri umani incluso un sostegno per la gestione delle frontiere del Paese”.

    Nonostante queste ingenti cifre la trasparenza è negata. Per nessuno dei progetti di gestione delle frontiere le istituzioni europee hanno fornito accesso ai documenti tirando in ballo nuovamente la “tutela dell’interesse pubblico in materia di relazioni internazionali”. Nel novembre 2019 i ricercatori di Statewatch commentavano “profeticamente” questo sostegno: “È probabile che le conseguenze di questo approccio siano terribili dato che la cooperazione del Marocco in materia di sicurezza e sorveglianza delle frontiere comporta un costo molto elevato in termini di violazioni dei diritti umani commesse dalle forze di sicurezza marocchine contro migranti, rifugiati e persone richiedenti asilo”.

    Eccoli i frutti della politica di esternalizzazione europea in Marocco. “Video e fotografie mostrano corpi sparsi per terra in pozze di sangue, forze di sicurezza marocchine che prendono a calci e picchiano le persone; la Guardia civil spagnola che lancia gas lacrimogeni contro uomini aggrapparti alle recinzioni” spiega Judith Sunderland, vicedirettrice per l’Europa e l’Asia di Human rights watch che spingono l’Ong a chiedere una ferma condanna da parte dei funzionari di Spagna, Marocco e Unione europea e “garantire indagini efficaci e imparziali per portare giustizia a coloro che hanno perso la vita”. Il numero delle persone morte non è ancora chiaro. Secondo Caminando Fronteras, organizzazione spagnola, sarebbero 37 e decine di feriti. Ma le autorità marocchine stanno già facendo pulizia dei crimini commessi: l’Association Marocaine des Droits Humains (Amdh), che si occupa di tutelare i diritti umani nel Paese, ha pubblicato su Twitter due fotografie di quelle che si stima fossero tra le 16 e le 21 tombe scavate nel cimitero di Sidi Salem, alla periferia di Nador, la città marocchina oltre confine da Melilla. Hrw ne ha potuto confermare la veridicità identificando almeno 10 tombe individuali scavate.

    Di fronte all’orrore e alla tragedia, la strada è già tracciata. Il documento di “messa a terra” delle attività in Marocco previste dal Patto per le migrazioni e l’asilo, presentato nel settembre 2020 di fronte alla Commissione europea, prevede il sostegno finanziario per il periodo 2021-2027 per implementare, nuovamente, il controllo dei confini e soprattutto “sostenere i rimpatri volontari dei cittadini stranieri dal Marocco ai loro Paesi d’origine” oltre che l’efficientamento delle procedure per il rimpatrio dei cittadini marocchini che non hanno titolo per stare sul territorio europeo. Infine nel documento si chiarisce l’importanza del “dialogo strategico” che le autorità marocchine hanno mantenuto con Frontex che apre la possibilità della firma di un accordo operativo con l’Agenzia che sorveglia le frontiere esterne europee. Non cambia la strategia, nonostante tra gennaio e maggio 2022 siano stati appena 3.965 attraversamenti irregolari registrati nel Mediterraneo occidentale. L’invasione non c’è: i morti distesi nelle pozze di sangue a Melilla svelano nuovamente il volto di un’Europa che respinge e delega il lavoro sporco alle polizie di Paesi autocratici.

    https://altreconomia.it/i-finanziamenti-europei-al-marocco-per-bloccare-le-persone-a-tutti-i-co

    #Maroc #asile #migrations #réfugiés #externalisation #frontières #contrôles_frontaliers #complexe_militaro-industriel #Frontex #Fonds_fiduciaire #Italie #Seahorse_network #Seahorse #programme_de_gestion_des_frontières_de_la_région_du_Maghreb #Border_Management_Programme_for_the_Maghreb_region (#BMP-Maghreb) #Tunisie #biométrie #technologie #identification #Soutien_à_la_gestion_intégrée_des_frontières_et_de_la_migration_au_Maroc

  • Schengen borders code: Council adopts its general approach

    As part of the work carried out under the French presidency to reform and strengthen the Schengen area in the face of new challenges, the Council today adopted its general approach on the reform of the Schengen borders code.

    This reform: (i) provides new tools to combat the instrumentalisation of migrant flows; (ii) establishes a new legal framework for external border measures in the event of a health crisis, drawing on the lessons learned from the experience with COVID-19; (iii) updates the legal framework for reintroducing internal border controls in order to safeguard the principle of free movement while responding to persistent threats; (iv) introduces alternative measures to these controls.

    The general approach now enables the Council to start negotiations with the European Parliament, once the Parliament has adopted its own position.
    The fight against the instrumentalisation of migration flows

    The text defines the instrumentalisation of migrants as a situation in which a third country or non-state actor encourages or facilitates the movement of third-country nationals towards the EU’s external borders or to a member state in order to destabilise the EU or a member state. It introduces new measures to combat this phenomenon, including limiting the number of crossing points at the external border or limiting their opening hours, and intensifying border surveillance.
    External border measures in the event of a health crisis

    The text provides for the possible swift adoption of binding minimum rules on temporary travel restrictions at the external borders in the event of a threat to public health. This will strengthen the currently available tools applied during the COVID-19 pandemic, which have been based on non-binding recommendations.

    The binding implementing regulation to be adopted by the Council in such situations will include minimum restrictions, with the possibility for member states to apply stricter restrictions if the conditions so require. It will also include a list of essential travellers to be exempted from certain measures, which will be decided on a case by case basis.
    Reintroduction of internal border controls

    The text sets out more structured procedures for the reintroduction of internal border controls, with stronger safeguards. It takes into account a recent judgment by the European Court of Justice, which confirmed the principle of freedom of movement within the Schengen area, while specifying the conditions for the reintroduction of internal border controls. In this regard, it offers possible responses to persistent threats to public policy and internal security.

    If a continued need for internal border controls is confirmed beyond two years and six months, the member state concerned will need to notify the Commission of its intention to further prolong internal border controls, providing justification for doing so and specifying the date on which it expects to lift controls. The Commission will then issue a recommendation, also relating to that date, and with regard to the principles of necessity and proportionality, to be taken into account by the member state.
    Promotion of alternative measures

    The text updates the Schengen borders code by providing for alternative measures to internal border controls, in particular by proposing a more effective framework for police checks in member states’ border regions.

    The text introduces a new procedure to address unauthorised movements of irregular migrants within the EU. In the context of a bilateral cooperation framework based on voluntary action by the member states concerned, this mechanism will allow a member state to transfer third-country nationals apprehended in the border area and illegally staying in its territory to the member state from which they arrived, in the context of operational cross-border police cooperation.

    https://www.consilium.europa.eu/en/press/press-releases/2022/06/10/schengen-area-council-adopts-negotiating-mandate-reform-schengen-bo

    en français:
    https://www.consilium.europa.eu/fr/press/press-releases/2022/06/10/schengen-area-council-adopts-negotiating-mandate-reform-schengen-bo

    #Schegen #code_frontières_Schengen #frontières #frontières_extérieures #frontières_intérieures #frontières_internes #migrations #asile #réfugiés #réforme #menaces #liberté_de_circulation #surveillance_frontalière #instrumentalisation #contrôles_frontaliers #mouvements_secondaires #coopération_policière_opérationnelle_transfrontière

    • Joint Civil Society statement on the Schengen Borders Code

      The undersigned civil society organisations would like to express their concerns with regard to several aspects of the Commission’s proposal amending the Schengen Borders Code.

      Overall, the proposal embraces a very harmful narrative which assumes that people crossing borders irregularly are a threat to the EU and proposes to address it by increasing policing and curtailing safeguards. At the same time, the proposal fails to recognise the lack of regular pathways for asylum seekers, who are often forced to turn to irregular border crossings in order to seek international protection within the EU, and further complicates access to asylum. The measures put forward by the Commission would have a detrimental impact on the right to freedom of movement within the EU, the principle of non-discrimination, access to asylum and the harmonisation of procedures under EU law. Furthermore, the proposal would increase the use of monitoring and surveillance technologies, without any adequate safeguards.

      Freedom of movement within the EU and violation of the principle of non-discrimination

      Several provisions of the proposed amended Schengen Borders Code would encroach the right to freedom of movement within the EU (art. 3(2) TEU, art. 21 and 77 TFEU) by expanding the possibility to reintroduce internal border controls and facilitating the application of so-called “alternative measures” which in practice amount to discriminatory border controls. The discretionary nature of these border checks is very likely to disproportionately target racialised communities, and practically legitimise ethnic and racial profiling and expose people to institutional and police abuse.

      While the amended Schengen Borders Code reiterates that internal border controls are prohibited in the Schengen area, it also introduces the possibility to carry out police checks in the internal border areas with the explicit aim to prevent irregular migration, when these are based on “general information and experience of the competent authorities” (rec. 18 and 21 and art. 23). In addition, the proposal clarifies the meaning of “serious threat” which justifies the temporary reintroduction of border controls (which was already possible under art. 25 of the 2016 SBC). Problematically, the proposed definition of “serious threat” also includes “a situation characterised by large scale unauthorised movements of third country nationals between member states, putting at risk the overall functioning of the area without internal border control” (art. 25).[1]

      Such provisions, together with the new procedure set by article 23a and analysed below, will in practice legalise systematic border controls which target people based on their racial, ethnic, national, or religious characteristics. This practice is in clear violation of European and international anti-discrimination law and a breach to migrants’ fundamental rights.

      Research from the EU Fundamental Rights Agency in 2021 shows that people from an ‘ethnic minority, Muslim, or not heterosexual’ are disproportionately affected by police stops, both when they are walking and when in a vehicle. In addition, another study from 2014 showed that 79% of surveyed border guards at airports rated ethnicity as a helpful indicator to identify people attempting to enter the country in an irregular manner before speaking to them.

      The new provisions introduced in the amended Schengen Borders Code are likely to further increase the discriminatory and illegal practice of ethnic and racial profiling and put migrant communities at risk of institutional violence, which undermines the right to non-discrimination and stands at odds with the European Commission’s commitments under the recent Anti-Racism Action Plan.

      Lack of individual assessment and increased detention

      The proposed revisions to the Schengen Borders Code set a new procedure to “transfer people apprehended at the internal borders”. According to the proposed new rules, if a third country national without a residence permit or right to remain crosses the internal borders in an irregular way (e.g., from Germany to Belgium, or from Italy to France) and if they are apprehended “in the vicinity of the border area,” they could be directly transferred back to the competent authorities in the EU country where it is assumed they just came from, without undergoing an individual assessment (art. 23a and Annex XII). This provision is very broad and can potentially include people apprehended at train or bus stations, or even in cities close to the internal borders, if they are apprehended as part of cross-border police cooperation (e.g. joint police patrols) and if there is an indication that they have just crossed the border (for instance through documents they may carry on themselves, their own statements, or information taken from migration or other databases).

      The person will be then transferred within 24 hours.[2] During these 24 hours, Annex XII sets that the authorities might “take appropriate measures” to prevent the person from entering on the territory – which constitutes, in practice, a blanket detention provision, without any safeguards nor judicial overview. While the transfer decision could be subject to appeal, this would not have a suspensive effect. The Return Directive would also be amended, by introducing an obligation for the receiving member state to issue a return decision without the exceptions currently listed in article 6 (e.g., the possibility to issue a residence permit for humanitarian or compassionate reasons). As a consequence, transferred people would be automatically caught up in arbitrary and lengthy detention and return procedures.[3]

      Courts in Italy, Slovenia and Austria have recently ruled against readmissions taking place under informal or formal agreements, recognising them as systematic human rights violations with the potential to trigger so-called chain pushbacks. The courts found the plaintiffs were routinely returned from Italy or Austria through Slovenia to Croatia, from where they had been illegally pushed back to Bosnia and Herzegovina.

      In practice, this provision would legalise the extremely violent practice of “internal pushbacks” which have been broadly criticised by civil society organisations across the EU and condemned by higher courts. The new procedure, including the possibility to detain people for up to 24 hours, would also apply to children, even though this has been deemed illegal by courts and despite international consensus that child detention constitutes a human rights violation.

      Access to asylum

      The new Code introduces measures which member states can apply in cases of “instrumentalisation of migrants”, which is defined as “a situation where a third country instigates irregular migratory flows into the Union by actively encouraging or facilitating the movement of third country nationals to the external borders” (art. 2). In such cases, member states can limit the number of border crossing points and their opening hours, and intensify border surveillance including through drones, motion sensors and border patrols (art. 5(4) and 13(5)). The definition of instrumentalisation of migrants should also be read in conjunction with the Commission’s proposal for a Regulation addressing situations of instrumentalisation in the field of migration and asylum, which provides member states with numerous derogations to the asylum acquis.

      These measures unjustifiably penalise asylum seekers by limiting access to the territory and de facto undermining art. 31 of the Refugee Convention which prohibits States from imposing penalties on refugees on account of their entry or presence in their territory without authorization, and are therefore in violation of international law.

      Harmonisation of procedures under EU law and asylum acquis

      The proposal lifts the standstill clause introduced by the 2008 Return Directive (art. 6(3)) which prohibits member states from negotiating new bilateral readmission agreements. When negotiating the 2008 Return Directive, both the Commission and the European Parliament had clarified that bilateral readmission agreements should remain an exception, as they undermine the objective of harmonising procedures under EU law.

      By incentivising states to adopt new bilateral agreements, and proposing a new internal transfer procedure, the Commission’s proposal promotes the proliferation of exceptional procedures, which are outside the framework set by the Return Directive and the asylum acquis, and circumvents the procedural safeguards included in the Dublin Regulation.

      The proposed provisions undermine the substantive and procedural guarantees for third country nationals, such as the right to request asylum, the respect of the principle of non-refoulement, and the right to an effective remedy.

      As mentioned above, several national-level courts have ruled on the unlawfulness of readmissions carried out under formal and informal agreements, which often led to instances of chain-refoulement. There is a serious risk that readmission agreements, if they remain a part of the current legislative proposal, could be further abused to perpetrate chain refoulement and collective expulsions, which are in violation of Article 4 of Protocol No. 4 to the European Convention on Human Rights and Article 19 of the Charter of Fundamental Rights of the European Union.

      Use of monitoring and surveillance technologies

      Lastly, the proposal also facilitates a more extensive use of monitoring and surveillance technologies, by clarifying that these are part of member states’ responsibility to patrol borders (art. 2). In addition, article 23, analysed above, clarifies that internal checks, including to prevent irregular migration, can be carried out “where appropriate, on the basis of monitoring and surveillance technologies generally used in the territory”.

      By removing obstacles for a more extensive use of monitoring and surveillance technologies, these provisions would create a loophole to introduce technologies which would otherwise be discouraged by pre-existing EU legislation such as the General Data Protection Regulation.[4]

      Artificial Intelligence (AI) and other automated decision-making systems, including profiling, are increasingly used in border control and management for generalised and indiscriminate surveillance. Insofar as such systems are used to ‘detect human presence’ for the purpose of ‘combating irregular migration’, there is serious concern that such systems can facilitate illegal interdiction, violence at border crossings, and further limit access to asylum and other forms of protection.

      Furthermore, these technologies disproportionately target racialised people, thus further exacerbating the risks of increased racial and ethnic profiling. Indeed, monitoring and surveillance technologies which make use of artificial intelligence by nature violate the right to non-discrimination insofar as they are trained on past data and decision-making, and therefore codify assumptions on the basis of nationality and other personal characteristics, which is prohibited by international racial discrimination law.[5]

      Recommendations

      In light of the concerns discussed above, the undersigned civil society organisations:

      – Express their concerns on the harmful impact of narratives which consider people crossing borders irregularly as a threat, and recommend the European Parliament and the Council to delete such references from recital 29, article 23 and article 25(1)(c);
      – Call on the EU institutions to uphold the right to freedom of movement and the principle of non-discrimination, including by prohibiting the use of technologies which make use of artificial intelligence and other automated decision-making systems. In this regard, we recommend the European Parliament and the Council to amend article 23, paragraph (a) by deleting the reference to “combat irregular residence or stay, linked to irregular migration” in point (ii) and deleting point (iv) on monitoring and surveillance technologies;
      – Urge the EU institutions to uphold the right to apply for asylum, and recommend deleting the definition of ‘instrumentalisation of migration’ in article 2, paragraph 27 and all the ensuing provisions which would apply in this circumstance;
      – Condemn the proliferation of exceptional procedures which undermine the right to an individual assessment, and recommend deleting article 23a, annex XII, and the proposed amendment to art. 6(3) of the Return Directive;
      – Express their concerns at the glaring inconsistency between some of the proposed provisions and the European Commission’s commitments under the EU Action Plan against Racism, i.e. with respect to ending racial profiling, and call on the EU institutions to uphold their commitment to address and to combat structural and institutional discrimination and include explicit references to the Action Plan against Racism in the text of the Schengen Borders Code.

      https://picum.org/joint-civil-society-statement-schengen-borders-code

      #discrimination #non-discrimination #détention #rétention #détention_administrative #réadmission

  • Un nouveau délit à la #frontière : le claquement de portières !

    Depuis plus de cinq ans, femmes et hommes du #Briançonnais portent #secours de jour comme de nuit aux personnes étrangères en provenance du Moyen-Orient et d’Afrique. Aux #frontières, les #contrôles_d’identités auprès de ces « #maraudeurs » se multiplient jusqu’au surréalisme.

    par Didier Fassin, anthropologue et médecin, Anthropologue et médecin, Marion Lauer, Psychologue, Chloé Ménard, Interne en médecine, Anne Michel, Employée de commerce et Jean-Luc Para, Médecin généraliste

    Depuis plusieurs années, malgré la convention de Schengen, la frontière entre la #France et l’#Italie a été rétablie entre #Vintimille et #Menton et entre #Oulx et #Briançon. Il s’agit d’empêcher l’entrée sur le territoire français de personnes étrangères en provenance du Moyen-Orient et d’Afrique, généralement par la route des Balkans. Au col de #Montgenèvre, point de passage dans les #Hautes-Alpes en raison de sa faible altitude et de son accès facile, les effectifs de la #police_aux_frontières ont été renforcés. Un escadron de #gendarmes_mobiles est venu en appui, puis un second.

    Au total, ce sont plus de deux cents agents des #forces_de_l’ordre qui interviennent, de jour comme de nuit, pour interpeller et renvoyer en Italie les quelque trois mille personnes qui, chaque année, tentent de passer en France, parfois pour y demander l’asile, souvent pour continuer leur voyage. La plupart de ces exilés fuient leur pays en raison des dangers pesant sur eux et leur famille, tels des Afghans menacés par la répression des talibans ou des Nigérians victimes des attaques de Boko Haram.

    L’ironie de cette #militarisation de la #zone_frontalière tient toutefois à l’importance du déploiement de forces de l’ordre au regard de la dizaine de personnes en moyenne s’efforçant de franchir quotidiennement la frontière et à l’#inefficacité de ce dispositif puisque, de l’aveu même des policiers et des gendarmes, toutes finissent par passer. Il ne saurait en être autrement quand on sait qu’elles voyagent depuis plusieurs années, affrontant au péril de leur vie les risques naturels, les rigueurs des camps de détention et les brutalités des forces de l’ordre de l’est de l’Europe. Dans ces conditions, les policiers et les gendarmes amassés entre l’Italie et la France ne peuvent les dissuader de poursuivre leur périple. En revanche, cette présence les conduit à s’exposer de plus en plus en empruntant, souvent de nuit, des chemins de plus en plus dangereux où certains souffrent de gelures graves en hiver, se blessent lors de chutes en été, et même trouvent la mort de froid ou par noyade.

    Au nom du principe de #fraternité

    C’est la raison pour laquelle, depuis un peu plus de cinq ans, des femmes et des hommes du Briançonnais et bien au-delà partent dans la #montagne, de jour comme de nuit, pour leur porter secours ou les empêcher de s’engager dans des voies périlleuses. L’action des « maraudeurs », comme on les appelle, s’avère particulièrement importante pour épargner ces #risques à des personnes épuisées et malades ou des femmes parvenues au terme de leur grossesse. Strictement respectueux de la loi, les maraudeurs agissent ainsi sur le territoire français au nom du principe de fraternité inscrit dans la devise de la République et reconnu par le Conseil constitutionnel dans sa décision du 6 juillet 2018.

    Les exilés assistés sont conduits à Briançon, soit à l’hôpital, soit au refuge dit solidaire, en fonction de leur état de santé. Mais au-delà de sa dimension humanitaire, représentée notamment par la présence de bénévoles de Médecins du monde, l’action des maraudeurs a aussi une signification politique. Elle rappelle à l’Etat son obligation de respect du #droit français. Une brochure établie par l’association Tous migrants et distribuée aux forces de l’ordre lors d’interactions avec elles dans la montagne procède de cette pédagogie citoyenne.

    Bien que légale, l’action des maraudeurs fait pourtant l’objet d’une #répression qui peut prendre plusieurs formes. Ce sont des vérifications de véhicules à la recherche de détails pouvant faire l’objet d’une verbalisation, tel un feu cassé. Ce sont également des accusations infondées d’#aide_à_l’entrée_irrégulière d’étrangers sur le territoire français donnant lieu à des auditions par la police, voire à des poursuites. Les contrôles d’identité peuvent être suivis de #contraventions pour des faits inventés, comme la circulation sur une voie forestière interdite d’accès. Ces #falsifications, dont plusieurs d’entre nous ont été les victimes, sont cependant difficiles à contester dans la mesure où les agents qui les produisent sont assermentés et donc réputés dire le vrai. D’une manière générale, ce #harcèlement et ces #sanctions ont une fonction d’#intimidation et de #dissuasion. Ils ne sont d’ailleurs pas sans effet compte tenu de leurs conséquences financières et parfois judiciaires.

    Signe de cette inflation répressive poussée jusqu’au surréalisme, à la suite d’une récente maraude en montagne, cinq personnes ont été contrôlées par des agents de la police aux frontières rapidement rejoints par une dizaine de gendarmes à pied. Après une longue vérification de leur identité, ils ont été accusés de « #tapage_nocturne »… à cause du bruit provoqué par la fermeture des portières lorsqu’ils sont entrés dans leurs deux véhicules. Nul ne sait si la contraventionalisation du #claquement_de_portières la nuit fera jurisprudence sur l’ensemble du territoire français, mais son utilisation à la frontière suggère, comme l’écrivait le poète François Ponsard, repris par Gustave Flaubert dans Bouvard et Pécuchet : « Quand la borne est franchie, il n’y a plus de limite. » De cet épisode, il y a, certes, matière à rire. Mais on ne peut manquer de s’en inquiéter.

    Didier Fassin, Marion Lauer, Chloé Ménard, Anne Michel et Jean-Luc Para participent aux activités de prévention des risques conduites à la frontière entre l’Italie et la France dans le cadre d’une collaboration entre Médecins du monde et Tous migrants.

    https://www.liberation.fr/idees-et-debats/tribunes/un-nouveau-delit-a-la-frontiere-le-claquement-de-portieres-20220623_EDLCO

    #maraudes #frontière_sud-alpine #dissuasion

    ping @karine4 @isskein

  • 100-MILE BORDER ENFORCEMENT ZONE

    The U.S. #Customs_and_Border_Protection (#CBP), which includes the Border Patrol, is the largest law enforcement agency in the country. Their jurisdiction they claim spans 100 miles into the interior of the United States from any land or maritime border. Two-thirds of the U.S. population lives within this 100-mile border enforcement zone, including cities like Washington D.C., San Francisco CA, Chicago IL, New Orleans LA, Boston MA, & more.

    Because these are considered border cities, federal border and immigration agents assert the power to board public transportation or set up interior checkpoints and stop, interrogate and search children on their way to school, parents on their way to work, and families going to doctor’s appointments or the grocery store — all done without a warrant or reasonable suspicion.

    How can CBP agents do this? Unlike other federal agencies, CBP officers are uniquely granted extraordinary and unprecedented powers. These extraordinary powers state that officers are able to racially profile, stop, frisk, detain, interrogate, and arrest anyone without a warrant or reasonable suspicion. The Fourth Amendment is intended to protect all people against unreasonable searches and seizures. Every other federal law enforcement agency, except CBP, requires either a warrant or “reasonable grounds” for an officer to act without a warrant.

    Border regions are often treated as zones of exception for human rights and civil rights, laying the foundation for abuse not just along our nation’s borders but across the country. That should never be the case. In these zones, border authorities assert excessive power, beyond the power of other law enforcement agencies, which leads to harassment, abuse, racial profiling and intimidation of border residents and travelers. In February 2020, Trump announced CBP employees would be granted immunity from Freedom of Information Act (FOIA) requests, and a few days later he announced he would be sending BORTAC units, the elite tactical units of Border Patrol, across the United States to major cities like New York, Chicago, and most likely many other major cities, to assist in door-to-door ICE raids and terrorizing communities of color. Most recently, BORTAC units & CBP resources were being used across the country to surveil & quell Black Lives Matter protests. Almost all of those major cities reside within the 100 mile border enforcement zone where border patrol operates with impunity. If human rights are to mean something, they must be fully protected in border communities, without exception.

    The results have been deadly.

    We must end the decades of enforcement-only policies that have erased our rights and have resulted in death & damage across our border communities. It is time to reimagine what border communities should look like, and what border governance could look like.

    That is why the Southern Border Communities Coalition calls on Congress to adopt a New Border Vision that expands public safety, protects human rights, and welcomes people at our borders in a manner consistent with our national values and global best practices.

    Part of a New Border Vision would be to establish a “reasonable grounds” standard in the statute governing the Department of Homeland Security, specifically sections (a)(1) and (a)(3) of 8 USC 1357, which would strengthen our protections against unreasonable interrogation, searches, and entry onto private property.

    Cities are beginning to take action to protect their communities from inhumane & immoral border policies that impact everyone. By supporting a New Border Vision, they are taking the first step in envisioning a future that is welcoming, safe & humane for all!

    https://www.southernborder.org/100_mile_border_enforcement_zone
    #frontières #contrôles_frontaliers #asile #migrations #réfugiés #USA #Etats-Unis #villes #zones_frontières #zones_frontalières #zone_frontalière #bande_frontalière #frontières_mobiles

    –---
    ajouté à la métaliste autour de la création de zones frontalières (au lieu de lignes de frontière) en vue de refoulements ou autres pratiques de contrôles migratoires :
    https://seenthis.net/messages/795053

    ping @karine4

    • La France a aussi créé une « zone frontière » (on va dire…) dans laquelle les contrôles d’identité peuvent être effectués sans qu’il y ait nécessité d’une motivation quelconque (motivations au demeurant très, très larges… cf. la partie de l’article cité ci-dessous qui précède la citation).

      Je ne sais pas si elle a été cartographiée dans tous ses recoins, parce que ça me semble particulièrement coton vu la définition de ladite zone (en vigueur depuis le 01/03/2019) :

      Dans une zone comprise entre la frontière terrestre de la France avec les Etats parties à la convention signée à Schengen le 19 juin 1990 et une ligne tracée à 20 kilomètres en deçà,

      ainsi que dans les zones accessibles au public des ports, aéroports et gares ferroviaires ou routières ouverts au trafic international et désignés par arrêté et aux abords de ces gares, pour la prévention et la recherche des infractions liées à la criminalité transfrontalière, l’identité de toute personne peut également être contrôlée, selon les modalités prévues au premier alinéa, en vue de vérifier le respect des obligations de détention, de port et de présentation des titres et documents prévues par la loi.

      Lorsque ce contrôle a lieu à bord d’un train effectuant une liaison internationale, il peut être opéré sur la portion du trajet entre la frontière et le premier arrêt qui se situe au-delà des vingt kilomètres de la frontière. Toutefois, sur celles des lignes ferroviaires effectuant une liaison internationale et présentant des caractéristiques particulières de desserte, le contrôle peut également être opéré entre cet arrêt et un arrêt situé dans la limite des cinquante kilomètres suivants. Ces lignes et ces arrêts sont désignés par arrêté ministériel.

      Lorsqu’il existe une section autoroutière démarrant dans la zone mentionnée à la première phrase du présent alinéa et que le premier péage autoroutier se situe au-delà de la ligne des 20 kilomètres, le contrôle peut en outre avoir lieu jusqu’à ce premier péage sur les aires de stationnement ainsi que sur le lieu de ce péage et les aires de stationnement attenantes. Les péages concernés par cette disposition sont désignés par arrêté.

      Le fait que le contrôle d’identité révèle une infraction autre que celle de non-respect des obligations susvisées ne constitue pas une cause de nullité des procédures incidentes. Pour l’application du présent alinéa, le contrôle des obligations de détention, de port et de présentation des titres et documents prévus par la loi ne peut être pratiqué que pour une durée n’excédant pas douze heures consécutives dans un même lieu et ne peut consister en un contrôle systématique des personnes présentes ou circulant dans les zones ou lieux mentionnés au même alinéa.

      Dans un rayon maximal de dix kilomètres autour des ports et aéroports constituant des points de passage frontaliers au sens de l’article 2 du règlement (UE) 2016/399 du Parlement européen et du Conseil du 9 mars 2016 concernant un code de l’Union relatif au régime de franchissement des frontières par les personnes (code frontières Schengen), désignés par arrêté en raison de l’importance de leur fréquentation et de leur vulnérabilité, l’identité de toute personne peut être contrôlée, pour la recherche et la prévention des infractions liées à la criminalité transfrontalière, selon les modalités prévues au premier alinéa du présent article, en vue de vérifier le respect des obligations de détention, de port et de présentation des titres et documents prévus par la loi. L’arrêté mentionné à la première phrase du présent alinéa fixe le rayon autour du point de passage frontalier dans la limite duquel les contrôles peuvent être effectués. Lorsqu’il existe une section autoroutière commençant dans la zone mentionnée à la même première phrase et que le premier péage autoroutier se situe au-delà des limites de cette zone, le contrôle peut en outre avoir lieu jusqu’à ce premier péage sur les aires de stationnement ainsi que sur le lieu de ce péage et les aires de stationnement attenantes. Les péages concernés par cette disposition sont désignés par arrêté. Le fait que le contrôle d’identité révèle une infraction autre que celle de non-respect des obligations susmentionnées ne constitue pas une cause de nullité des procédures incidentes. Pour l’application du présent alinéa, le contrôle des obligations de détention, de port et de présentation des titres et documents prévus par la loi ne peut être pratiqué que pour une durée n’excédant pas douze heures consécutives dans un même lieu et ne peut consister en un contrôle systématique des personnes présentes ou circulant dans les zones mentionnées au présent alinéa.

      https://www.legifrance.gouv.fr/codes/section_lc/LEGITEXT000006071154/LEGISCTA000006151880/2019-03-01?etatArticle=VIGUEUR&etatTexte=VIGUEUR&isAdvancedResult=tr

      (suivent les dispositions particulières pour l’Outre-Mer…)

      (le gras et les sauts de ligne sont de ma main)

      pour les arrêtés – et donc les listes détaillées des zones concernées – c’est là (et c’est long…)

      • ports, aéroports et gares ferroviaires
      https://www.legifrance.gouv.fr/loda/id/LEGIARTI000025578312/#LEGIARTI000025578312

      • ports points de passage frontalier et péages
      https://www.legifrance.gouv.fr/jorf/id/JORFARTI000037884862#JORFARTI000037884862

    • et tant d’autres @simplicissimus :
      https://seenthis.net/messages/795053

      Et pour la France, en effet, je me suis toujours demandée comment ils calculaient réellement sur le terrain ces fameux 10 km (les 10 km supplémentaires que la France a mis en place en 2017 :
      « Le 30 octobre 2017 une nouvelle loi ajoute une zone de 10 kilomètres autour de chaque poste-frontière et gares internationales où la police peut procéder à des contrôles d’identité » (https://www.editions-legislatives.fr/actualite/la-loi-renforcant-la-lutte-contre-le-terrorisme-etend-a-nouvea)

      https://www.borderforensics.org/fr/investigations/blessing-investigation

    • l’ajout de 2017 correspond au deuxième alinéa (hors mes sauts de ligne) de l’arrêté ci-dessus (c’est la version en vigueur actuellement) (Dans un rayon maximal de 10 kilomètres…)

      ça peut fournir un petit (!) boulot de carto à proposer à un étudiant comme sujet de mémoire ou un TP de synthèse sur l’emploi d’ArcGIS mobilisant un bon paquet de couches distinctes (frontières, emprises portuaires, réseaux viaire et ferroviaire, j’en oublie forcément… p. ex. emprises autoroutières pour les péages et les parkings attenants…) et de calculs propres aux SIG (distance à un point, à une limite, …)

    • Pour les 20 km, c’est les 20km qui valent pour tous les pays Schengen...

      Et oui... ça serait super un petit travail de carto par un·e étudiant·e ou toute autre personne de bonne volonté :-)

    • You may have seen this map of the 100-mile border zone making the rounds recently. Did you ever wonder why they chose 100 miles? There must be a good reason for it, right? Well, actually no. Here’s a short thread 🧵on it ...

      The Border Patrol was established two days after the eugenics-derived national origins quotas in the 1924 Johnson-Reed Immigration Act was signed, in order to enforce the new restrictions 2/9

      The original authorization for the Border Patrol was meant to keep the agents at the border line itself. Senator David Reed explained: “They have no right to go into the interior city and pick up aliens on the street and arrest them” 3/9

      Nevertheless, the agents did go into the interior. In 1930 Treasury Undersecretary Ogden Mills proposed a new law to stop it “you will not have a Border Patrol operating 20 miles inside the United States. You will have a border patrol where it belongs, and that is on the border”

      Mills’ and other efforts to rein in the Border Patrol failed in the 1930s. In 1946, Congress revised the Border Patrol’s authorization and clarified (kind of) how far inside the US they could go: “within a reasonable distance from any external boundary of the United States” 5/9

      At the time, the Border Patrol was part of the Department of Justice. In July 1947, the DoJ released a routine update to its policies in the Federal Register. In tiny print on p. 5071, they defined the term reasonable distance ... 6/9

      Without public comment or consultation, the Department of Justice defined the reasonable distance for the Border Patrol as “a distance not exceeding 100 air miles from any external boundary of the United States” 7/9

      And... that’s it. Since 1947, the reasonable distance has remained unchanged at 100 miles from borders and coastlines. If DHS Secretary Mayorkas wanted to change it, he could do so immediately himself 8/9

      I tell the history of the Border Patrol from their racist Wild West origins to their assault on the 4th Amendment in my new book Nobody is Protected: How the Border Patrol Became the Most Dangerous Police Force in the United States @CounterpointLLC
      9/9


      https://www.counterpointpress.com/dd-product/nobody-is-protected

      https://twitter.com/ReeceJonesUH/status/1535362380510531584

  • "Complément d’enquête". Frontières : des milliards, des ratés et des #barbelés

    C’est un chiffre impressionnant : entre 2005 et 2021, le budget de #Frontex, l’Agence européenne de garde-frontières et de garde-côtes, est passé de 6 à 544 millions d’euros. Multiplié par 90 ! Contrôler les frontières extérieures de l’Europe est devenu la grande affaire des membres de l’Union européenne.

    Tout a basculé en 2015 avec la crise syrienne et les millions de migrants qui ont pris la route, notamment vers le Vieux Continent. Depuis, l’Europe a durci sa politique migratoire, et lourdement investi : Frontex va ainsi embaucher 10 000 hommes d’ici cinq ans. Mais l’agence, sanctionnée pour son manque de transparence, est-elle réellement efficace ? Les traversées illégales des frontières de l’UE sont au plus haut depuis six ans.

    Longtemps taboue, la question des murs « anti-migrants » est désormais d’actualité, portée par la Pologne ou la Hongrie. Pour maîtriser l’immigration, l’Europe confie aussi son destin à ses voisins, comme le Maroc ou la Turquie : une arme diplomatique dont ces pays savent user.

    Mais comment mettre sous cloche un continent entier ? Et à quel #prix ? Car clôtures, barbelés et caméras high-tech font des heureux : les #industriels_de_la_défense. Petites start-up ou multinationales veulent toutes leur part du gâteau : l’Europe va dépenser 23 milliards d’euros d’ici à 2027 pour surveiller ses frontières.

    Du Maroc à la Hongrie, en passant par le Luxembourg, « Complément d’enquête » a parcouru des milliers de kilomètres pour vous raconter cette Europe forteresse et ses zones d’ombres.

    https://www.francetvinfo.fr/replay-magazine/france-2/complement-d-enquete/complement-d-enquete-frontieres-des-milliards-des-rates-et-des-barbeles
    #budget #coût #frontières #contrôles_frontaliers #complexe_militaro-industriel #technologie #profit #business #vidéo #enquête #film

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  • Décharge budgétaire de #Frontex bloquée : un pas symbolique de plus vers le respect des droits humains

    Ce 4 mai, le #Parlement_européen a voté contre la #décharge_budgétaire (2020) de l’agence Frontex, suivant de ce fait, l’avis adopté par sa #commission_de_contrôle_budgétaire (#CONT) il y a un mois. Cela signifie que le parlement affirme que l’agence Frontex doit réformer de toute urgence et de façon radicale son orientation et son fonctionnement interne.

    En effet, en mars 2022, la #commission_CONT a bloqué la décharge du #budget de Frontex suite « à l’incapacité de l’agence à remplir les conditions prévues dans le précédent rapport de décharge du Parlement, mais aussi aux conclusions de l’#Office_européen_de_la_lutte_anti-fraude (#OLAF) au sujet d’actes de #harcèlement, de #mauvaise_conduite et de #refoulements de migrants impliquant Frontex ». Les députés de la commission CONT ont estimé « que rien n’a été fait concernant les rapports faisant état de transgressions des #droits_fondamentaux en Grèce et que les opérations de renvoi de migrants par la Hongrie ont continué en 2020, malgré un arrêt de la Cour de justice de l’UE les jugeant incompatibles avec le droit européen. »

    Pour rappel, de nombreuses enquêtes et rapports récents émanant de la société civile et d’institutions officielles européennes mettent en cause l’agence pour ses agissements complices en matière de refoulements et de #violences envers des personnes exilées ainsi que pour sa mauvaise gestion interne [pour plus de détails, lire la récente Note politique #28 du CNCD-11.11.11 « Frontex : droits humains en danger » : https://www.cncd.be/Frontex-Droits-humains-en-danger). Ces accusations de connivence voir de complicité de l’agence dans ces violations, ont entrainé, ce 29 avril, la démission de son Directeur, François Leggeri.

    « C’est un nouveau signal encourageant lancé par une haute institution européenne ! » se réjouit le CNCD-11.11.11. Frontex sait dorénavant que ses activités sont sous surveillance vis-à-vis du respect des droits fondamentaux. Elle va devoir se plier aux exigences de #transparence, de mise en #responsabilité et de #contrôle_démocratique pour continuer d’exister.

    Alors que les refoulements sont devenus pratiques courantes pour nombreux Etats européens (Chypre, Malte, Grèce, Lituanie, Pologne, Espagne…), cette décision participe à la lutte contre les violations des droits fondamentaux des personnes migrantes, générées par la politique répressive de l’Union européenne en matière migratoire. A l’heure actuelle, une réorientation du Pacte européen pour la migration et l’asile vers le respect des droits humains, la mobilité et la solidarité est plus que nécessaire [pour plus de détails, lire la récente étude « Migration et asile : analyse du pacte européen »].

    La démission du directeur de l’agence et le vote positif du Parlement européen ce 4 mai doivent donc être l’occasion d’une remise en question plus fondamentale du mandat de l’agence et de la manière dont elle remplit ce dernier. Des réformes structurelles doivent être mises en place au plus vite pour garantir la transparence et le respect des droits humains. La Belgique, qui siège au Conseil d’administration de Frontex, doit utiliser ce levier de manière à obtenir ces réformes.

    https://www.cncd.be/Decharge-budgetaire-de-Frontex

    #migrations #asile #réfugiés #frontières #contrôles_frontaliers

    –—

    Sur la démission de Fabrice Leggeri :
    https://seenthis.net/messages/958737

    Et sur les derniers épisodes autour du budget de Frontex et de son blocage, voir cette métaliste :
    https://seenthis.net/messages/959313

    • EU censures border agency after reports of human rights abuses in Greece

      MEPs refuse to sign off Frontex’s accounts and call for access to inquiry into alleged harassment and misconduct

      The European parliament has refused to sign off the EU border agency’s accounts, saying it had failed to investigate alleged human rights violations of asylum seekers in Greece.

      The vote on the agency, Frontex, came after the resignation last week of its director, Fabrice Leggeri, who left after an investigation by Olaf, the EU’s anti-fraud body.

      The parliament’s decision was based on a report drafted largely before Leggeri resigned, and reflected continuing concern that Frontex was failing to protect asylum seekers’ human rights and uphold EU law.

      MEPs, meeting in Strasbourg, voted to postpone approving the Frontex accounts for 2020, during a session where they approved the budgets of dozens of other EU agencies that spend European taxpayers’ money.

      The Belgian Green MEP Saskia Bricmont, who sits on the European parliament’s civil liberties, justice and home affairs committee, tweeted: “The resignation of [Frontex] director last week does not address structural problems, nor the agency’s contribution to the Fortress Europe policy.”

      Frontex, the European border and coastguard agency, based in Warsaw, received a big increase in funds in response to the migration crisis of 2015-16, when 1.3 million people applied for asylum. Now one of the EU’s best-funded agencies, it had an annual budget of €364m (£307m) in 2020, up 10% on the previous year. There are plans to expand it further, to 10,000 border and coastguards by 2027.

      The delay in approving its accounts has no financial consequences for the agency, but is a form of political censure that empowers MEPs to issue recommendations to its new director. The European parliament delayed approval of Frontex’s accounts in 2021 and rebuked the agency for failing to respond to its previous recommendations.

      In a report giving the reasons for the latest delay, the European parliament’s budgetary control committee referred to problems in two EU member states. In Greece, Frontex “did not evaluate its activities”, despite official reports from national authorities, the Council of Europe and the UN that the agency was operating in areas where “fundamental rights violations” were taking place, it said.

      Frontex was also criticised for not suspending its operations in Hungary, despite a 2020 ruling by the European court of justice that Budapest was failing to implement EU law to protect asylum seekers. After the court judgment, another committee of MEPs called on Frontex to withdraw from Hungary. However, the agency continued working with the Budapest government on a case-by-case basis, including helping to return people denied asylum to their country of origin.

      MEPs also criticised the lopsided gender balance at Frontex, voicing “concern” that three-quarters of senior managers were men. It urged the agency to hold people accountable for 17 cases of harassment, although it did not provide details.

      MEPs also implicitly rebuked EU authorities for not giving them access to the findings of the EU anti-fraud agency, which opened an investigation in 2019 into alleged harassment, misconduct and illegal pushbacks of asylum seekers by Frontex. The Guardian understands that Olaf recommended disciplinary action against Leggeri and two other staff members; Olaf has declined to comment.

      Tomáš Zdechovský, a Czech centre-right MEP responsible for overseeing the Frontex accounts, said it was impossible to approve the accounts without knowing the results of the Olaf investigation. He was “looking forward to a more open dialogue” with the agency after Leggeri’s resignation, he said.

      The resolution criticising Frontex passed with 492 votes, with the centre-right, centre-left, liberals, green and radical left groups agreeing. Opposing the report were 145 MEPs from conservative nationalist parties and the far right.

      https://www.theguardian.com/world/2022/may/04/eu-censures-border-agency-after-reports-of-human-rights-abuses-in-greec

  • Métaliste sur les événements récents (à partir de 2021) autour du #budget (et son #blocage) de #Frontex

    D’autres fils de discussions existent sur seenthis autour de l’explosion du budget de Frontex de ces dernières années, mais ils ne sont pas inclus dans cette métaliste.

    Et sur la démission de Fabrice Leggeri, qui fait suite aux différents audits et accusations :
    https://seenthis.net/messages/958737

    #migrations #asile #réfugiés #frontières #contrôles_frontaliers
    #décharge_budgétaire #commission_de_contrôle_budgétaire (#CONT) #audit #commission_CONT #Office_européen_de_la_lutte_anti-fraude (#OLAF) #droits_fondamentaux #transparence #responsabilité #contrôle_démocratique

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  • Au #col_du_Portillon, entre la #France et l’#Espagne, la #frontière de l’absurde

    L’ordre est tombé d’en haut. Fin 2020, Emmanuel Macron annonce la fermeture d’une quinzaine de points de passage entre la France et l’Espagne. Du jour au lendemain, le quotidien des habitants des #Pyrénées est bouleversé.

    C’est une histoire minuscule. Un #col_routier fermé aux confins des Pyrénées françaises des mois durant sans que personne n’y comprenne rien. Ni les Français ni les Espagnols des villages alentour, pas même les élus et les forces de l’ordre chargés de faire respecter cette fermeture. L’histoire de cette « mauvaise décision », qui a compliqué la vie de milliers de personnes pendant treize mois, débute à l’automne 2020.

    Les journaux gardent en mémoire la visite d’Emmanuel Macron au Perthus, le poste-frontière des Pyrénées-Orientales, département devenu depuis quelques années la voie privilégiée des migrants venus du Maroc, d’Algérie et d’Afrique subsaharienne. Sous un grand soleil, inhabituel un 5 novembre, le président de la République, un masque noir sur le visage, avait alors annoncé une fermeture temporaire des frontières françaises d’une ampleur jamais connue depuis la création de l’espace Schengen, en 1985 : une quinzaine de points de passage, situés tout le long des 650 kilomètres de frontière entre la France et l’Espagne, seraient désormais barrés.

    L’objectif officiel, selon les autorités, étant « d’intensifier très fortement les contrôles aux frontières » pour « lutter contre la menace terroriste, la lutte contre les trafics et la contrebande (drogue, cigarettes, alcools…) mais aussi contre l’immigration clandestine ». Aux préfets concernés de s’organiser. Ils ont eu deux mois.

    Une mesure « ubuesque »

    6 janvier 2021. Loin du Perthus, à quelque 300 kilomètres de là, il est 20 heures lorsque les premières automobiles sont refoulées au col du Portillon, l’un des points de passage concernés par cette mesure. Ce jour-là, il n’y a pourtant pas plus de neige que d’habitude. La frontière est fermée jusqu’à nouvel ordre, annoncent les gendarmes. Lutte contre le terrorisme. Les refoulés sont dubitatifs. Et inquiets. La dernière fois qu’on les a rembarrés comme ça, c’était au lendemain de l’attaque de Charlie Hebdo, quand, comme partout, les contrôles aux frontières avaient été renforcés. Ça aurait recommencé ? A la radio et à la télévision, on ne parle pourtant que de l’assaut du Capitole, à Washington, par des centaines de trumpistes survoltés, pas d’une attaque en France.

    « Ça n’a l’air de rien, mais, deux fois cinquante minutes au lieu de deux fois quinze minutes, ça vous change une journée. » Michel, retraité

    Comme il n’existe pas trente-six manières de matérialiser une frontière, Etienne Guyot, le préfet de la région Occitanie et de la Haute-Garonne, a fait installer de gros plots en béton armé et autant d’agents de la police aux frontières (PAF) en travers de cette route qui permet de relier Bagnères-de-Luchon à la ville espagnole de Bossòst, située dans le val d’Aran. Au bout de quelques jours, parce que les plots étaient trop espacés, les agents ont fait ajouter des tas de gravier et de terre pour éviter le passage des motos et des vélos. Mais les deux-roues ont aimé gravir les petits cailloux. De gros rochers sont donc venus compléter l’installation.

    Ce chantier à 1 280 mètres d’altitude, au milieu d’une route perdue des Pyrénées, n’a pas intéressé grand monde. Quelques entrefilets dans la presse locale – et encore, relégués dans les dernières pages – pour un non-événement dans un endroit qui ne dit rien à personne, sauf aux mordus du Tour de France (magnifique victoire de Raymond Poulidor au Portillon en 1964) et aux habitants du coin.

    Cette décision – l’une de celles qui se traduisent dans les enquêtes d’opinion par une défiance vis-à-vis des dirigeants – a été vécue comme « ubuesque », « injuste », « imposée par des Parisiens qui ne connaissent pas le terrain ». Elle a achevé d’excéder une région déjà énervée par un confinement jugé excessif en milieu rural et, avant cela, par une taxe carbone mal vécue dans un territoire où la voiture est indispensable.

    « Le carburant ça finit par chiffrer »

    Si la fermeture du col n’a engendré aucune conséquence tragique, elle a sérieusement entamé des activités sociales et économiques déjà fragilisées après le Covid-19. Prenez Michel, retraité paisible à Bagnères-de-Luchon, habitué à faire ses courses trois fois par semaine à Bossòst, côté espagnol. Un petit quart d’heure sépare les deux villes si l’on emprunte le col du Portillon, avec une distance d’à peine 17 kilomètres. Mais, depuis janvier 2021, il faut faire le tour et franchir le pont du Roi. Soit un détour de 42 kilomètres. « Ça n’a l’air de rien, concède le septuagénaire. Mais, deux fois cinquante minutes au lieu de deux fois quinze minutes, ça vous change une journée. Et le carburant, ça finit par chiffrer. »

    Dans ce coin, le Pays Comminges, qui s’étend depuis les coteaux de Gascogne jusqu’à la frontière espagnole, la frontière n’existait pas. « Pas dans les têtes, en tout cas », assure Pierre Médevielle. Bien que le sénateur indépendant de la Haute-Garonne boive de l’eau plate à l’heure du déjeuner, il correspond en tout point à l’idée que l’on se fait d’un élu de la Ve République du siècle dernier. Il donne rendez-vous dans un restaurant qui sert du canard, il a 62 ans, un look gentleman-farmer de circonstance (un week-end en circonscription), une passion pour la chasse et la pêche, une fidélité de longue date pour les partis centristes et une connaissance encyclopédique de l’histoire de sa région.

    Le Comminges, c’est plus de 77 000 habitants, une densité de 36 habitants au kilomètre carré, un déclin démographique inquiétant, une vallée difficile à développer, un accès routier complexe… Une véritable petite diagonale du vide dans le Sud-Ouest. « Juste après le Covid, la fermeture du Portillon a été vécue comme une sanction, explique le sénateur. Elle a bouleversé le quotidien de nombreux frontaliers. »

    Des questions laissées sans réponse

    Les Aranais vont et viennent dans les hôpitaux et les cabinets médicaux de Toulouse et de Saint-Gaudens – un accord de coopération sanitaire lie les deux pays –, et leurs enfants sont parfois scolarisés dans les écoles et le collège de Luchon. Les Français considèrent, eux, le val d’Aran comme un grand supermarché low cost planté au milieu d’une nature superbe. Ils achètent, à Bossòst – des alcools, des cigarettes et des produits bon marché conditionnés dans d’immenses contenants (céréales, pâte à tartiner, shampoing, jus d’orange…). Le samedi matin, les Espagnols, eux, se fournissent en fromage et en chocolat côté français, dans le gigantesque Leclerc d’Estancarbon. D’un côté comme de l’autre, on parle l’occitan, qu’on appelle gascon en France et aranais en Espagne.

    Pierre Médevielle a fait comme il a pu. Il a posé des questions dans l’Hémicycle. Il a adressé des courriers au ministre de l’intérieur, Gérald Darmanin. Il a beaucoup discuté avec celui qui est alors le secrétaire d’Etat chargé de la ruralité, Joël Giraud, et avec son homologue espagnol, Francés Boya Alós, chargé du défi démographique (l’autre nom de la ruralité). Ils ont tous trois fait état des pétitions citoyennes et des motions votées par les élus des communes concernées, suppliant Gérald Darmanin de revenir sur une décision « incompréhensible ».

    Eric Azemar, le maire de Bagnères-de-Luchon, estime, lui, les conséquences « catastrophiques » pour sa ville, notamment pour la station thermale, déjà éprouvée par la pandémie : « De 11 000 curistes, nous sommes passés à 3 000 en 2020 et à peine à 5 000 en 2021. » Il a appris la fermeture de la frontière le matin même du 6 janvier 2021. En recevant l’arrêté préfectoral. « Point. » Point ? « Point. » En treize mois, aucun de ces élus n’est parvenu à arracher un courriel ou la moindre invitation à une petite réunion de crise à la préfecture. Rien. Le silence.

    Contourner l’obstacle

    « Le mépris », déplore Patrice Armengol, le Français sur qui cette décision a le plus pesé. Il vit à Bagnères-de-Luchon et travaille exactement au niveau du Portillon mais côté espagnol. A 2 kilomètres près, il n’était pas concerné par cette affaire, mais, voilà, son parc animalier, l’Aran Park – km 6 puerto del Portillón –, est, comme son nom et son adresse l’indiquent, installé dans le val d’Aran. Val d’Aran, Catalogne, Espagne. Il a cru devenir fou, il est devenu obsessionnel. « Leur barrage était mal fichu mais aussi illégal, commente-t-il. Là, vous voyez, le panneau ? Le barrage était à 1 kilomètre de la frontière française. »

    C’est exact. Appuyé contre son 4 × 4, il fait défiler les photos du barrage, prises au fil des mois. Lui est allé travailler tous les jours en franchissant le col : il roulait en voiture jusqu’au barrage, déchargeait les kilos de viande et de fruits secs périmés achetés pour ses bêtes dans les supermarchés français, franchissait le barrage à pied et chargeait le tout dans une autre voiture garée de l’autre côté des plots. Le soir, il laissait une voiture côté espagnol et repartait dans celle qui l’attendait côté français. « Ils m’ont laissé faire, heureusement », dit-il.

    Il a trouvé héroïques les habitants qui, autour du col de Banyuls, dans les Pyrénées-Orientales, ont régulièrement déplacé les blocs de pierre avec toujours le même message : « Les Albères ne sont pas une frontière. » Le geste ne manquait pas de panache, mais lui-même ne s’y serait pas risqué : « Une violation des frontières, c’est grave. Je n’avais pas envie d’aller en prison pour ça. » Patrice Armengol s’est donc contenté de limiter les dégâts. S’il a perdu près d’un tiers de ses visiteurs, il a pu maintenir le salaire de ses trois employés espagnols à plein temps.

    La fin du calvaire mais pas du mystère

    Gemma Segura, 32 ans, s’occupe des visites scolaires dans le parc et, pour défendre l’ouverture du col, elle a rejoint l’association des commerçants de Bossòst, où elle vit. Fille d’un boucher à la retraite et d’une enseignante d’aranais, elle est née à Saint-Gaudens comme beaucoup de frontaliers espagnols. « Je suis toujours allée chez le médecin à Saint-Gaudens et mes grands-mères consultent des cardiologues français. Nos banques sont françaises. Nos familles vivent des deux côtés de la frontière. Et, quand je jouais au foot, je participais à la Coupe du Comminges, en France. »

    « Les gens s’interrogent et on ne sait pas quoi répondre. On applique les décisions prises en haut. » Un agent chargé de surveiller la zone

    Après des études de sciences de l’environnement à Barcelone, elle a préféré revenir ici, dans ce coin, certes un peu enclavé, mais si beau. Certains parlent aujourd’hui de quitter Bossòst, leurs commerces ayant été vides pendant des mois. Mais le « miracle » s’est enfin produit le 1er février 2022, et, cette fois, l’information a fait la « une » de La Dépêche du Midi : « Le col du Portillon est enfin ouvert. »

    De nouveau, personne n’a compris. La possibilité d’une ouverture avait été rejetée par le premier ministre Jean Castex lui-même à peine un mois plus tôt lors d’un déplacement à Madrid. Perplexité du maire de Bagnères-de-Luchon : « Pourquoi maintenant ? Il y a sans doute une raison logique, le ministre ne fait pas ça pour s’amuser. » Même les agents chargés de surveiller la zone sont surpris : « Pourquoi avoir fermé ? C’était mystérieux, mais on l’a fait. Et, maintenant, on ouvre, mais on doit intensifier les contrôles. Les gens s’interrogent et on ne sait pas quoi répondre. On applique les décisions prises en haut. »

    « En haut », au ministère de l’intérieur et à la préfecture, on est peu disert sur le sujet. Le service de presse de la préfecture nous a envoyé, sans empressement, ces explications parcimonieuses : « Depuis quelques mois, la police aux frontières a constaté une recrudescence de passeurs au cours de différentes opérations menées sur les points de passage autorisés. (…) Les dispositifs de contrôle sur la frontière ont permis de nombreuses interpellations de passeurs (quatorze en 2021 et un en 2022). »

    Une voie migratoire sous surveillance

    Ces chiffres sont autant d’histoires qui atterrissent sur le bureau du procureur de Saint-Gaudens, Christophe Amunzateguy. Le tribunal, comme les rues de la ville, est désert ce 31 janvier. Il est 18 heures et Christophe Amunzateguy, qui assure la permanence, est parfaitement seul. Comme tout le monde ici, les décisions de la préfecture le prennent de court. On ne l’informe de rien, jamais. Il pointe du doigt le journal ouvert sur son bureau. « Je l’apprends par La Dépêche. La préfecture ne m’en a pas informé. »

    Il parle de l’ouverture du col du Portillon. Il lit à voix haute que le préfet promet des renforts. « Eh bien, très bonne nouvelle, mais, s’il y a des renforts, il y aura une multiplication des interpellations et, s’il y a des interpellations, c’est pour qui ? Pour moi. » Dans cette juridiction, l’une des plus petites de France, ils ne sont que deux procureurs et six magistrats du siège. Après avoir connu les parquets turbulents de Nancy et de Lille – il a suivi l’affaire du Carlton –, Christophe Amunzateguy se sent « dépaysé » dans ce « bout du monde ». « C’est une expérience, résume-t-il. Ici, on fait tout, tout seul. »

    « C’est ça, aussi, l’histoire du Comminges, une communauté de destins d’un côté et de l’autre de la frontière » Jacques Simon

    C’est au mois de septembre 2021, soit neuf mois après la fermeture du col du Portillon, que la « vague » d’arrivée de migrants s’est amplifiée. La police de l’air et des frontières l’a alerté à la mi-août : des clandestins arriveraient par le point de passage du pont du Roi. Ce mois-là, les interpellations se sont succédé : quatorze d’un coup.

    Sur les quatre derniers mois de 2021, neuf passeurs algériens ont été condamnés à des peines de prison ferme en Haute-Garonne. Et seize passeurs ont été jugés à Saint-Gaudens en 2021. Le profil ? « Des personnes de nationalité algérienne, explique le procureur. Par pur opportunisme, elles prennent en charge des personnes en situation irrégulière et leur font passer la frontière contre 200 à 600 euros, dans leur voiture ou dans une voiture de location. »

    Une délinquance d’opportunité

    Au début de l’année 2022, ça a recommencé. Le 4 janvier, à 10 h 40, alors qu’ils contrôlaient une Golf à Melles – la routine –, les agents de la PAF ont aperçu un Scénic tenter une manœuvre de demi-tour avant que quatre passagers n’en descendent précipitamment et se mettent à courir. Tentative désespérée et totalement vaine : tous ont été arrêtés en un rien de temps. Le chauffeur de la Golf a été embarqué aussitôt que les agents se sont aperçus qu’il était le propriétaire officiel du Scénic. Tous ont été conduits au tribunal de Saint-Gaudens, où le procureur a pu reconstituer leur parcours.

    Arrivés d’Algérie quelques jours plus tôt, les trois passagers à l’arrière du Scénic tentaient de gagner Toulouse. Un premier passeur, payé 200 euros, les a d’abord conduits à Alicante où le chauffeur de la Golf les a contactés par téléphone. Chargé de les conduire à la gare de Toulouse contre 200 euros par personne, il a roulé toute la nuit avant de crever. Un de ses « amis » est venu de France (en Scénic) pour réparer la voiture et les « aider » à poursuivre le voyage, qui s’est donc terminé à Melles.

    Concernant les conducteurs du Scénic et de la Golf, la conclusion est la même que pour l’écrasante majorité des dossiers de 2021 : « Ils sont en free-lance. » Dans le vocabulaire de la justice, ça s’appelle de la « délinquance d’opportunité ». Les passeurs n’appartiennent pas à des réseaux ; ils arrondissent leurs fins de mois.

    Les passeurs du 4 janvier ont été condamnés à quatre et six mois d’emprisonnement et incarcérés à la maison d’arrêt de Seysses (Haute-Garonne). L’un des deux a écopé de cinq ans d’interdiction du territoire français et leurs deux véhicules ont été saisis. Le procureur assume cet usage de la « manière forte » : garde à vue systématique, comparution immédiate, saisie des véhicules (« ils sont sans valeur, ce sont des poubelles »), confiscation du numéraire trouvé sur les passeurs (« je ne prends pas l’argent sur les personnes transportées »). Il précise ne pas en faire une question de politique migratoire mais prendre au sérieux la question de la traite des êtres humains : « On ne se fait pas d’argent sur le malheur des autres. »

    La frontière, terre de fantasme

    Christophe Amunzateguy se souvient du 19 janvier 2021. Il était dans son bureau, seul comme d’habitude, quand il a reçu un coup de fil de la gendarmerie lui signalant qu’une bande d’activistes habillés en bleu et circulant à bord de trois pick-up a déroulé une banderole sur une zone EDF située dans le col du Portillon. Sur les réseaux sociaux, il apprend qu’il s’agit de militants de Génération identitaire, un mouvement d’ultra-droite, tout à fait au courant, eux, contrairement au reste du pays, que le col du Portillon a été bloqué.

    Le procureur découvre, quelques jours plus tard, une vidéo de l’opération commentée par Thaïs d’Escufon, la porte-parole du groupuscule, affirmant qu’il est « scandaleux qu’un migrant puisse traverser la frontière ». Elle a été condamnée au mois de septembre 2021 à deux mois d’emprisonnement avec sursis pour les « injures publiques » proférées dans cette vidéo.

    Que la frontière soit depuis toujours un espace naturel de trafics et de contrebande n’est un secret pour personne. Pourquoi fermer maintenant ? En vérité, explique le procureur, c’est du côté des Pyrénées-Orientales qu’il faut chercher la réponse. En 2021, 13 000 personnes venues du Maghreb et d’Afrique subsaharienne ont été interpellées au sud de Perpignan, à Cerbère. Un chiffre « record » qui a entraîné l’intensification des contrôles. Les passeurs ont donc choisi d’emprunter des voies moins surveillées. Le bouche-à-oreille a fait du point de passage du pont du Roi une entrée possible.

    Le procureur est formel : le phénomène est contenu. Quant au fantasme des migrants qui franchissent les montagnes à pied, cela lui paraît improbable. L’hiver, c’est impraticable ; aux beaux jours, il faut être un alpiniste chevronné et bien connaître le coin. Un peu plus loin, du côté du Pas de la Case, deux passeurs de tabac sont morts en montagne : l’un, algérien, de froid, en 2018, et l’autre, camerounais, après une chute, en 2020.

    La route de la liberté

    Ces chemins, désormais surveillés et fermés, ont longtemps été synonymes de liberté. C’est par là qu’ont fui les milliers de réfugiés espagnols lors de la Retirada, en 1939, après la guerre civile. Par là aussi que, dans l’autre sens, beaucoup ont pu échapper aux nazis au début des années 1940. La mémoire de cette histoire est ravivée par ceux qui l’ont vécue et par leurs descendants qui se regroupent en associations depuis une vingtaine d’années.

    « Sur cette chaîne pyrénéenne, on évalue à 39 000 personnes les personnes qui fuyaient le nazisme », explique Jacques Simon, fondateur et président des Chemins de la liberté par le Comminges et le val d’Aran, créée en mars 2018. Son grand projet est de labelliser la nationale 125, depuis le rond-point de la Croix-du-Bazert, à Gourdan-Polignan, jusqu’au pont du Roi, pour en faire une « route de la liberté » comme il existe une route des vins, une route de la ligne Maginot et une Voie sacrée.

    L’un des récits de traversée que raconte souvent Jacques Simon est celui qui concerne seize compagnons partis clandestinement de la gare de Saléchan la nuit du 25 octobre 1943. En pleine montée du pic du Burat, les passeurs se perdent et les trois femmes du groupe, dont une enfant, peinent. « Leurs chaussures n’étaient pas adaptées et elles portaient des bas en rayonne. C’est une matière qui brûle au contact de la neige, explique Jacques Simon, qui a recueilli les souvenirs des derniers témoins. Elles ont fini pieds nus. » Le groupe est arrivé en Espagne et tous ont survécu.

    « On ne sera jamais riches, mais on a du temps. Pour être en famille, pour retaper notre baraque, pour faire des conserves. » Philippe Petriccione

    Parmi eux, Paul Mifsud, 97 ans, l’un des deux résistants commingeois toujours en vie. Le second, Jean Baqué, 101 ans, avait 19 ans quand il s’est engagé dans la Résistance. Arrêté par la milice en novembre 1943, il parvient à s’échapper des sous-sols de l’hôtel Family, le siège de la Gestapo à Tarbes. Dans sa fuite, il prend une balle dans les reins, ce qui ne l’empêche pas d’enfourcher un vélo pour se réfugier chez un républicain espagnol. « Il m’a caché dans le grenier à foin et a fait venir un docteur. »

    En décembre 2021, Jean Baqué est retourné sur les lieux, à Vic-en-Bigorre. Il est tombé sur le propriétaire actuel, qui lui a raconté que l’Espagnol, Louis Otin, avait été fusillé en 1944 par la milice. « Je ne l’avais jamais su. » Jean Baqué a organisé quelques jours plus tard une cérémonie en sa mémoire dans le bois de Caixon, là où l’homme a été assassiné. « C’est ça, aussi, l’histoire du Comminges, une communauté de destins d’un côté et de l’autre de la frontière », résume Jacques Simon.

    L’ivresse des sommets

    Ces chemins, Philippe Petriccione les connaît comme sa poche et il accepte de nous guider. A l’approche du col du Portillon, en apercevant depuis son 4 × 4 quatre agents de la PAF occupés à contrôler des véhicules, le guide de haute montagne raconte un souvenir qui date du lendemain de l’attentat contre Charlie Hebdo, en janvier 2015. C’était ici même : « Les Mossos d’Esquadra [la force de police de la communauté autonome de Catalogne] ont débarqué. Ils ne sont pas toujours très tendres. Ils ont toqué à la vitre de ma bagnole avec le canon de leur fusil. J’avais envie de leur dire : “C’est bon, moi, je vais faire du ski, les gars.” »

    Le 4 × 4 s’engage sur un chemin. Les stalactites le long des rochers enchantent les passagers, le gel sous les roues, moins. Philippe arrête la voiture. « On y va à pied. » En réalité, « on y va » à raquettes. Après quelques kilomètres, la vue spectaculaire lui redonne le sourire. C’est pour cela qu’il est venu vivre à la montagne. Né à Paris dans le 18e arrondissement, il a vécu ici et là avant de s’installer il y a une dizaine d’années à Luchon avec sa femme et leurs enfants. « On ne sera jamais riches, mais on a du temps. Pour être en famille, pour retaper notre baraque, pour faire des conserves. »

    On se tient face à un vallon enneigé dont les pentes raides dévalent dans un cirque de verdure. Le guide tend le bras vers le côté gauche. Il montre une brèche recouverte de glace : le port de Vénasque, à 2 444 mètres d’altitude (« col » se dit « port » dans les Pyrénées) : « Il est devenu célèbre sous Napoléon, qui a eu une idée de stratège. Il s’est dit : “Je vais faire passer mon armée par là.” Il a tracé un chemin pour passer avec les chevaux et les canons. » On distingue la limite géographique appelée le carrefour des Trois-Provinces. A gauche, la Catalogne. A droite, l’Aragon et, face à nous, la Haute-Garonne. Il y a huit ports, soit autant de passages possibles pour traverser le massif. « L’histoire dit que 5 000 personnes sont passées en quarante-huit heures en avril 1938… »

    Philippe connaît par cœur cet épisode, puisqu’il a l’habitude de le raconter aux touristes et aux collégiens qui viennent parfois depuis Toulouse découvrir « en vrai » ces chemins. Il fait comme aujourd’hui. Il tend le bras et montre au loin les pentes raides de ce paysage de la Maladeta et la vue sur l’Aneto, le plus haut sommet du massif. Un rectangle sombre perce l’étendue blanche. En approchant, on distingue une borne en béton, « F356E » : c’est la frontière. F pour France, E pour Espagne. Ces bornes, il y en a 602 tout le long de la frontière. Le tracé, qui date de la fin du XIXe siècle, part de la borne numéro 1, sur les bords de la Bidassoa, et va jusqu’au pied du cap Cerbère, en Méditerranée, explique le guide. Allongé sur la neige, il répète qu’ici c’est une montagne particulière. « Il n’y a jamais personne. »

    https://www.lemonde.fr/m-le-mag/article/2022/04/29/au-col-du-portillon-entre-la-france-et-l-espagne-la-frontiere-de-l-absurde_6

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