• Où il est fait explication de ce qui s’accélère en France depuis 2014 et que (amha) ça pue du cul ...

    Israël-Palestine : « C’est la liberté d’expression qu’on veut censurer » | Mediapart
    https://www.mediapart.fr/journal/france/250424/israel-palestine-c-est-la-liberte-d-expression-qu-veut-censurer

    LeLe monde navigue depuis 200 jours dans des eaux troubles. Plus de six mois depuis les massacres du Hamas et d’autres groupes palestiniens en Israël, 1 100 morts, et toujours 130 otages à Gaza. Plus de six mois de massacres de l’armée israélienne à Gaza, plus de 34 000 mort·es et des dizaines de milliers de blessé·es, d’orphelin·es, de disparu·es. Ces massacres nient notre humanité commune. Personne ne saurait les justifier.

    Dans ces eaux troubles cohabitent, mal, des sentiments mêlés : la peur, la rage et parfois la haine, l’indignation et la colère. Certains essentialisent les juifs, nourrissant un antisémitisme inacceptable. D’autres essentialisent les Palestiniens ou les musulmans comme autant de soutiens du Hamas, et portent sur eux un soupçon permanent dès qu’ils manifestent leur solidarité avec la Palestine. Des manifestations ont été interdites.

    À lire aussi – La tribune « Contre une démocratie bâillonnée, défendons les libertés publiques » dans Le Club de Mediapart

    Des militant·es, des chercheurs et chercheuses, des étudiant·es, des syndicalistes, ont été sanctionné·es, entendu·es, censuré·es. Certain·es sont jugé·es ou convoqué·es pour avoir fait l’« apologie du terrorisme ». Mais ce ne sont pas des terroristes ni des apologistes de crimes. Ils et elles défendent des opinions politiques. Elles peuvent ne pas plaire. Faut-il pour autant bâillonner leur liberté d’expression ? Si elles et eux sont visé·es aujourd’hui, ne pourrions-nous pas tous et toutes l’être demain ?

    L’émission spéciale de Mediapart avec :

    Véronique Bontemps, anthropologue, chargée de recherche au CNRS ;
    Rima Hassan, candidate de La France insoumise aux élections européennes ;
    Céline Verzeletti, secrétaire confédérale de la CGT ;
    Tayeb Khouira, porte-parole du syndicat Sud aérien ;
    Olivier Besancenot, militant du Nouveau Parti anticapitaliste, ancien candidat à l’élection présidentielle ;
    Cyrielle Chatelain, présidente du groupe écologiste à l’Assemblée nationale ;
    Vanessa Codaccioni, professeure de science politique à l’université Paris 8 ;
    Carine Fouteau, présidente et directrice de la publication de Mediapart.

    #fascisme #dérives autoritaires #lois_scélérates

  • Toi zauçi, apprend à les reconnaitre | Wikipédia

    https://fr.wikipedia.org/wiki/Post-fascisme

    Le terme de post-fascisme est utilisé par certains pour caractériser les mouvements de droite radicale qui connaissent une croissance notable à partir des années 2000. Enzo Traverso préfère ainsi cette terminologie à celle de national-populisme telle que théorisée par Nicolas Lebourg et Jean-Yves Camus, trouvant le concept de populisme peu rigoureux et incapable de rendre compte des racines historiques qu’auraient ces mouvements. Il affirme que le concept de post-fascisme permet de rendre compte des continuités et des mutations de l’extrême droite, alors même que ces mouvements, à l’exception de certains tels Aube dorée en Grèce, ont profondément évolué par rapport au fascisme originel et son contexte.

    Différences entre néofascistes et post-fascistes

    – Tandis que les néofascistes prônent une révolution, les post-fascistes sont réformistes.
    – Alors que les néofascistes sont partisans d’un ultranationalisme et la socialisation, les post-fascistes prônent un national-conservatisme modéré et défendent le libéralisme économique.
    – Au niveau géopolitique, les néofascistes sont anti-américains, antisionistes et anticommunistes tandis les post-fascistes se caractérisent par leurs positions atlantistes, pro-israélienne et n’ont comme point commun que l’anticommunisme.
    – Les néofascistes critiquent le système démocratique tandis que les post-fascistes le soutiennent.

    @colporteur pour le lien d’origine - #post_fascisme

  • Il cotone “sporco e insostenibile” di #Zara ed #H&M e la distruzione del #Cerrado

    La Ong inglese #Earthsight ha condotto un’inchiesta per un anno lungo la filiera di questa fibra tessile: i due marchi della fast fashion avrebbero immesso sul mercato 800mila tonnellate di cotone coltivato su terreni disboscati illegalmente nella savana tropicale che copre un terzo del Brasile. “Il sistema di filiera ‘etica’ su cui si basano questi colossi è fondamentalmente difettoso”

    Se negli ultimi anni avete acquistato vestiti di cotone, asciugamani o lenzuola di H&M o Zara “probabilmente sono macchiati del saccheggio del Cerrado”, un’area ricchissima di biodiversità che copre quasi un quarto della superficie del Brasile. Sam Lawson, direttore della Ong britannica Earthsight, non usa mezzi termini per commentare l’esito dell’inchiesta “Fashion crimes. The European retail giants linked to dirty Brazilian cotton”, pubblicata l’11 aprile, che analizza la lunga e insostenibile filiera di questa fibra dalla produzione (in Brasile) alla lavorazione (in Paesi come Indonesia e Bangladesh), fino alla commercializzazione in Europa (Italia compresa) dove, secondo le stime di Earthsight, i due brand avrebbero messo in commercio prodotti realizzati con 800mila tonnellate di cotone coltivato su terreni disboscati illegalmente nel Cerrado.

    Ma andiamo con ordine. L’inchiesta di Earthsigh prende le mosse proprio dal grande Paese latinoamericano che, negli ultimi dieci anni, ha guadagnato crescente importanza nel mercato globale del cotone, di cui oggi è il secondo esportatore mondiale “e si prevede che entro il 2030 supererà gli Stati Uniti”. Il cuore di questa produzione si concentra in uno degli ecosistemi più fragili e preziosi del mondo: il Cerrado, una grande savana tropicale che ospita una delle più importanti aree di biodiversità al mondo, dove vivono oltre seimila specie di alberi così come centinaia di rettili, mammiferi, anfibi e uccelli.

    La sopravvivenza di questo inestimabile patrimonio è minacciata dalla deforestazione illegale che nel 2023 ha raggiunto livelli record, con un aumento del 43% rispetto al 2022. “Circa la metà della vegetazione nativa del Cerrado è già andata perduta, soprattutto per far posto all’espansione dell’agrobusiness”, evidenzia il report. Milioni di litri d’acqua vengono prelevati regolarmente dai fiumi e dalle falde per irrigare i campi di cotone, la cui coltivazione richiede l’utilizzo di 600 milioni di litri di pesticidi ogni anno.

    L’inchiesta di Earthsight analizza in particolare il ruolo di due dei principali produttori di cotone brasiliani: il gruppo Horita e SLC Agrícola che controllano enormi aziende e centinaia di migliaia di ettari di terreno. “Nel 2014 l’agenzia ambientale dello Stato di Bahia ha rilevato 25mila ettari deforestati illegalmente nelle aziende agricole di Horita a Estrondo -si legge nel report-. Nel 2020 la stessa agenzia ha dichiarato di non essere riuscita a trovare i permessi per altri 11.700 ettari deforestati dall’azienda tra il 2010 e il 2018”. Tra il 2010 e il 2019 l’azienda è stata multata complessivamente più di venti volte, per un totale di 4,5 milioni di dollari, per violazioni ambientali.

    Altrettanto gravi, le denunce rivolte a SLC Agrícola: tre aziende, tutte coltivate a cotone, hanno cancellato per sempre 40mila ettari di Cerrado nativo negli ultimi 12 anni. E, sebbene l’azienda abbia adottato una politica “zero deforestazione” nel 2021, è accusata di aver distrutto altri 1.356 ettari di vegetazione nel 2022. Accuse che hanno spinto il fondo pensionistico pubblico della Norvegia a ritirare i propri investimenti nella società brasiliana.

    Al termine di un lavoro d’inchiesta di un anno -durante il quale hanno analizzato migliaia di registri di spedizione, relazioni aziendali, elenchi di fornitori e siti web– i ricercatori di Earthsight hanno ricostruito la filiera che porta il cotone coltivato illegalmente nel Cerrado nei negozi di Zara ed H&M e poi negli armadi di milioni di persone. I ricercatori hanno identificato otto produttori di abbigliamento asiatici che utilizzano il cotone Horita e SLC e che allo stesso tempo forniscono alle due società di fast fashion milioni di capi di cotone finiti. Tra questi figura l’indonesiana PT Kahatex “il più grande acquirente di cotone contaminato Horita e SLC che abbiamo trovato”. H&M è il secondo cliente dell’azienda indonesiana, da cui ha acquistato milioni di paia di calzini, pantaloncini e pantaloni che sono poi stati messi in vendita nei negozi del gruppo negli Stati Uniti, in Germania, nel Regno Unito, in Svezia, nei Paesi Bassi, in Belgio, in Spagna, in Francia, in Polonia, in Irlanda, in Italia.

    Il cotone sporco del Cerrado è finito anche negli stabilimenti di Jamuna Group, uno dei maggiori conglomerati industriali del Bangladesh: “Nei negozi Zara in Europa, fino ad agosto 2023, sono stati venduti per 235 milioni di euro jeans e altri capi in denim confezionati da Jamuna, circa 21.500 paia al giorno -si legge nel report-. Inditex importa i capi prodotti da Jamuna in Spagna e nei Paesi Bassi, da dove li distribuisce ai suoi negozi Zara, Bershka e Pull&Bear in tutta Europa”. Complessivamente, secondo le stime che i ricercatori hanno elaborato consultando i registri delle spedizioni il Gruppo Horita e SLC Agrícola hanno esportato direttamente almeno 816mila tonnellate di cotone da Bahia verso i mercati esteri tra il 2014 e il 2023. Una quantità di materia prima sufficiente a produrre dieci milioni di capi d’abbigliamento e prodotti per la casa tra lenzuola, tovaglie e tende.

    Ma come è stato possibile, si sono chiesti i ricercatori, che le catene di approvvigionamento dei due marchi di moda siano state “contaminate” da cotone brasiliano legato a deforestazione e land grabbing? “Parte della risposta sta nel fatto che le loro politiche etiche sono piene di falle. Ma soprattutto, il sistema di filiera etica su cui si basano è fondamentalmente difettoso”.

    Il riferimento è al fatto che, nel tentativo di presentarsi come sostenibili e responsabili, i due brand si sono affidati a un sistema di certificazione denominato Better Cotton (BC). “Il cotone che abbiamo collegato agli abusi ambientali a Bahia ne riportava il marchio di qualità. Questo non dovrebbe sorprendere dal momento che Better Cotton è stata ripetutamente accusata di greenwashing e criticata per non aver garantito la piena tracciabilità delle catene di approvvigionamento”, scrivono i ricercatori di Earthsight nel rapporto. Evidenziando come, sebbene dal primo marzo 2024 le regole di BC siano state aggiornate, rimangano comunque una serie di criticità e di punti deboli. A partire dal fatto che il cotone proveniente da terreni disboscati illegalmente prima del 2020 venga ancora certificato.

    “È ormai molto chiaro che i crimini legati ai beni che consumiamo devono essere affrontati attraverso la regolamentazione, non attraverso le scelte dei consumatori -conclude Sam Lawson, direttore di Earthsignt-. Ciò significa che i legislatori dei Paesi consumatori dovrebbero mettere in atto leggi forti con un’applicazione rigorosa. Nel frattempo, gli acquirenti dovrebbero pensarci due volte prima di acquistare il prossimo capo di abbigliamento in cotone”.

    https://altreconomia.it/il-cotone-sporco-e-insostenibile-di-zara-ed-hm-e-la-distruzione-del-cer
    #industrie_textile #coton #mode #déforestation #Brésil #rapport #chiffres #statistiques #SLC_Agrícola #Horita #SLC #fast-fashion #land_grabbing #accaparement_de_terres #Better_Cotton #greenwashing #green-washing

    • Fashion Crimes: The European Retail Giants Linked to Dirty Brazilian Cotton


      Key Findings:

      - The world’s largest fashion brands, H&M and Zara, use cotton linked to land grabbing, illegal deforestation, violence, human rights violations and corruption in Brazil.
      - The cotton is grown by two of Brazil’s largest agribusinesses – SLC Agrícola and the Horita Group – in western Bahia state, a part of the precious Cerrado biome, which has been heavily deforested in recent decades to make way for industrial-scale agriculture.
      - Unlike in the Amazon, deforestation in the Cerrado is getting worse. The biome is home to five per cent of the world’s species. Many face extinction due to habitat loss if current deforestation trends are not reversed.
      - For centuries, traditional communities have lived in harmony with nature. These communities have seen their lands stolen and suffered attacks by greedy agribusinesses serving global cotton markets.
      - The tainted cotton in H&M and Zara’s supply chains is certified as ethical by the world’s largest cotton certification scheme, Better Cotton, which has failed to detect the illegalities committed by SLC and Horita. Better Cotton’s deep flaws will not be addressed by a recent update to its standards.
      - Failure by the fashion sector to monitor and ensure sustainability and legality in its cotton supply chains means governments in wealthy consumer markets must regulate them. Once in place, rules must be strictly enforced.

      https://www.earthsight.org.uk/fashion-crimes

  • La #LDH et #Utopia_56 portent plainte pour #complicité de #crimes_contre_l'humanité et complicité de #torture contre le n°3 de la liste RN

    #Fabrice_Leggeri est visé par une plainte pour complicité de crimes contre l’humanité et complicité de torture, révèlent franceinfo et Le Monde, mardi.

    La Ligue des Droits de l’Homme et Utopia 56 ont déposé, mardi 23 avril, une plainte à Paris pour complicité de crimes contre l’humanité et complicité de torture contre Fabrice Leggeri, le n°3 de la liste RN pour les élections européennes, révèlent franceinfo et Le Monde.

    De 2015 et 2022, Fabrice Leggeri a occupé le poste de directeur exécutif de Frontex, l’agence européenne de gardes-frontières et de gardes-côtes. Dans cette plainte, il lui est reproché d’avoir activement facilité des refoulements illégaux en mer de bateaux de migrants dans le cadre de ses fonctions.

    Interception de bateaux de migrants et obstacle à l’intervention d’ONG

    Les deux associations estiment que, lorsqu’il était à la tête de Frontex, Fabrice Leggeri a permis l’interception de bateaux de migrants par les #garde-côtes_libyens, à la fois en faisant obstacle à l’intervention d’ONG présentes en mer, mais aussi en livrant aux garde-côtes libyens les coordonnées GPS ou les photos aériennes de ces embarcations. Les Nations unies avaient pourtant établi que ces migrants, qui cherchaient à traverser la Méditerranée, étaient exposés en #Libye aux risques de violences physiques et sexuelles, de détention arbitraire, de torture et d’esclavage.

    La Convention de Genève de 1951, relative au statut des réfugiés et à leur droit d’asile, stipule qu’en mer, lorsque des personnes sont en danger, le principe doit toujours être celui de l’assistance et de l’aide. Les règles de l’ONU et de l’Union européenne imposent les mêmes usages.

    La LDH et Utopia 56 accusent également Fabrice Leggeri d’avoir facilité le #refoulement de bateaux de migrants de la #Grèce vers la #Turquie, en refusant, dit la plainte, de relayer leurs signaux de détresse. La plainte lui reproche aussi d’avoir dissimulé ces opérations, en ne les mentionnant pas dans les rapports de l’agence Frontex, et enfin d’avoir fait obstacle à la saisine de l’officier des droits fondamentaux en charge du contrôle des opérations de Frontex.

    Pour rédiger cette plainte, la LDH et Utopia 56 s’appuient notamment sur un rapport de l’Office européen de lutte anti-fraude, qui a précisément mis au jour des pratiques illégales et a mis en cause le rôle de Fabrice Leggeri, dont il était par ailleurs souligné le dirigisme à son poste de numéro 1 de Frontex. Les conclusions de ce rapport avaient contraint Fabrice Leggeri à la démission en 2022. Moins de deux ans plus tard, en février dernier, celui qui a été formé à l’ENA et a fait toute sa carrière dans la haute fonction publique a annoncé rejoindre la liste du Rassemblement national, conduite par Jordan Bardella, pour les élections européennes du 9 juin prochain.
    Des « allégations totalement incorrectes »

    Fabrice Leggeri, contacté par franceinfo, estime que « ces allégations » "sont totalement incorrectes". Il y voit « des manœuvres totalement politiciennes pour [le] discréditer et discréditer la liste du RN lors des élections européennes ». ⁠"Lorsque j’étais directeur de Frontex de 2015 à 2022, l’agence européenne a sauvé plus de 350 000 migrants en mer en conformité avec le droit international de la mer", ajoute le candidat RN. Il indique que « des plaintes pour diffamation sont déjà en préparation contre plusieurs membres de LFI qui ont publiquement proféré ce genre d’accusations totalement infondées ». Sur son compte X, mardi, il ajoute que « le RN est le seul rempart contre le terrorisme intellectuel que l’extrême-gauche et ses ONG font peser sur la France et sur l’Europe pour démanteler l’idée même d’un contrôle des frontières ».

    « La qualification de complicité de crime contre l’humanité est une qualification criminelle et grave, mais ce qui est plus grave, c’est de laisser mourir des dizaines de milliers d’hommes, de femmes et d’enfants en Méditerranée, c’est de favoriser leur transfert forcé vers des centres d’esclavage en Libye », estime Emmanuel Daoud, l’avocat de la Ligue des Droits de l’Homme. « À partir du moment où ils sont dans des bateaux, on ne doit pas les refouler, on doit les accueillir et on doit les sauver. Monsieur Leggeri l’a oublié et il devra en répondre », conclut-il.

    La plainte de 53 pages avec constitution de partie civile concernant Fabrice Leggeri a été déposée ce mardi après-midi au doyen des juges d’instruction du tribunal judiciaire de Paris. Une ONG allemande, le Centre européen pour les Droits constitutionnels et Humains, avait demandé il y a deux ans à la Cour pénale internationale à La Haye d’ouvrir une enquête sur le rôle de plusieurs hauts fonctionnaires, dont Fabrice Leggeri, dans ces refoulements de bateaux de migrants entre 2018 et 2021.

    https://www.francetvinfo.fr/faits-divers/justice-proces/info-franceinfo-europeennes-la-ldh-et-utopia-56-portent-plainte-pour-co

    #plainte #justice #migrations #réfugiés #frontières

    –—

    voir aussi :
    Revealed : The #OLAF report on Frontex
    https://seenthis.net/messages/976360

    • Fabrice Leggeri, numéro trois du RN aux européennes, visé par une plainte pour complicité de crime contre l’humanité

      Deux associations reprochent au directeur de Frontex de 2015 à 2022 d’avoir participé au refoulement d’embarcations de migrants par les autorités grecques vers la Turquie ainsi qu’à des interceptions par les garde-côtes libyens d’embarcations de migrants.

      Le numéro trois sur la liste Rassemblement national (RN) aux élections européennes de juin, Fabrice Leggeri, est visé par une plainte pour complicité de crime contre l’humanité et complicité de crime de torture. D’après nos informations, la Ligue des droits de l’homme (LDH) et l’association de défense des migrants Utopia 56 ont déposé plainte, mardi 23 avril, avec constitution de partie civile auprès du doyen des juges d’instruction du tribunal judiciaire de Paris.

      Cette action en justice vise celui qui est aujourd’hui un candidat du RN au Parlement européen et qui fut directeur de l’agence européenne de garde-frontières et de garde-côtes, Frontex, de 2015 à 2022. Les plaignants reprochent à l’ex-haut fonctionnaire – aujourd’hui placé en disponibilité du ministère de l’intérieur, son administration d’origine – d’avoir participé, soit en les facilitant, soit en les couvrant, au refoulement d’embarcations de migrants par les autorités grecques vers la Turquie ainsi qu’à des interceptions par les garde-côtes libyens d’embarcations de migrants qui tentaient de rejoindre l’Italie.

      Ces faits ont « facilité la commission des crimes contre l’humanité et des crimes de torture à l’encontre des migrants, par les autorités grecques et libyennes », estime l’avocat Emmanuel Daoud, qui défend les associations. Sollicité, Fabrice Leggeri dénonce quant à lui « des allégations incorrectes » relevant de « manœuvres politiciennes » dans le but de « discréditer la liste du RN ».

      Les mouvements migratoires irréguliers à travers la Méditerranée nourrissent, depuis une décennie, une crise politique au sein de l’Union européenne (UE). En 2015, année record, plus d’un million de migrants ont rejoint le Vieux Continent par la mer. Pour renforcer les contrôles à ses frontières extérieures, les Vingt-Sept ont considérablement augmenté les moyens de l’agence Frontex au fil des ans, dont le budget est passé de 143 millions d’euros à 845 millions d’euros, entre 2015 et 2023.

      (#paywall)
      https://www.lemonde.fr/societe/article/2024/04/23/fabrice-leggeri-numero-3-du-rn-aux-europeennes-vise-par-une-plainte-pour-com

    • la Convention de Genève de 1951 stipule que « lorsque des personnes sont en danger, le principe doit toujours être celui de l’assistance et de l’aide », ainsi que les règles de l’ONU et de l’UE. Ces pratiques « relèvent de crimes contre l’humanité », note Utopia 56 sur son site internet, rappelant par ailleurs qu’en « dix ans, plus de 29 500 femmes, hommes et enfants sont morts en Méditerranée », dont « 16 272 » morts ou disparus sous la direction de Fabrice Leggeri, entre 2015 et 2022.

      30k en 10 ans, dont 16k pour lui en 7-8 ans, ça laisse 14k morts en 2-3 ans pour son prédécesseur ? Qui le bat donc haut la main, mais n’est pas attaqué ?

  • Rassemblement devant le siège social de Adoma
    https://vimeo.com/937878275


    https://i.vimeocdn.com/video/1838625422-35e4381199ad1dfdf036978f820b1c7e8faa5f328066efd9dc8e5e87ab111

    Le vendredi 19 avril 2024, un rassemblement de 500 personnes s’est tenu à côté du siège social de la société #ADOMA, intégré au groupe CDC Habitat, et nouvel avatar de l’iconique gestionnaire de #Foyers de Travailleurs Immigrés, la #Sonacotra.

    Soutenu par le Copaf, le DAL et la Coordination des Sans Papiers du 74, une coordination de délégués des foyers ADOMA avait appelé à ce rassemblement pour accompagner une délégation composée de 6 personnes, chargée de discuter 5 points qui provoquent la colère des résidents :

    1) l’absence de respect des délégués élus et de la parole des #comités_de_résidents qui doivent être concertés sur chaque problème de la vie du foyer ou de la résidence ;

    2) la poursuite d’une campagne d’#expulsions massives et qui cible tout résident qui héberge un membre de sa famille ou un proche dans sa chambre. Sont particulièrement visés les vieux #retraités, contraints de vivre sur un double espace, en France et au pays pour pouvoir maintenir leurs droits et leurs revenus ;

    3) respect de la vie privée et notamment du droit de changer sa serrure et de dupliquer sa clef, respect de la vie collective avec la signature de conventions partout permettant aux comités de résidents de gérer la #vie_collective du foyer en leur donnant l’accès aux salles polyvalentes ;

    4) la non-intégration des préoccupations des résidents concernés et de leurs élus dans les processus de reconstruction et de transformation des anciens foyers en « #résidence_ sociales » ;

    5) l’absence de transparence sur la #facturation de l’eau, arrêt de la facturation abusive d’eau chaude à un tarif plus élevé que le cout de revient de de l’eau froide, tarif spécifié dans les textes législatifs.

    Boubou Soumaré au nom de la Coordination donne ici le compte rendu des discussions et appelle à la poursuite de la mobilisation. Si la nécessité de discuter systématiquement avec les comités de résidents semble prise en compte, il n’y a eu aucune avancée sur les autres questions.

    #migrants #travailleurs_immigrés #luttes_collectives

  • #Fascisme & #Extrême-droite – siamo tutti antifascisti

    Depuis l’arrêt de mes articles « Dans mon historique » (https://lunatopia.fr/categories/historique), je réfléchi au format qui me conviendrait pour les remplacer. Je l’ai dit dans le dernier en date, je sature du format, et j’ai envie d’écrire plus, de donner mon avis, au lieu de me contenter de relayer celui des autres.

    Et pourtant, je n’ai presque rien publié depuis janvier 2022 : un article sur mes débuts en linogravure (https://lunatopia.fr/blog/premiers-pas-linogravure), et trois articles sur mes lectures du début (https://lunatopia.fr/blog/mes-lectures-5) et de la fin de l’année (https://lunatopia.fr/blog/mes-lectures-6), ainsi que sur Mon territoire de Tess Sharpe (https://lunatopia.fr/blog/mon-territoire-tess-sharpe), mon roman préféré de 2022. [Edit : j’ai mis tellement de temps à finir cet article que j’ai depuis repris la publication des Dans mon historique (https://lunatopia.fr/categories/historique). Mais le constat de mon ras le bol tient toujours.]

    En revanche, après une grosse période de ras le bol généralisé, j’ai recommencé à lire, à écouter, à me renseigner. Mais au lieu de me laisser porter par l’actualité et surtout par les paniques morales du moment, c’est-à-dire par l’agenda médiatique de la droite et l’extrême-droite ; j’ai décidé de me tourner vers des lectures de fond, plus théoriques, ou en tout cas qui conservent leur intérêt une fois passée la polémique du moment.

    Ce qui m’a donné l’idée d’un nouveau type d’article, #recueil de liens là encore, mais avec plus de commentaires de ma part, et surtout : thématique. L’idée étant de pouvoir y revenir et les compléter au fur et à mesure que j’engrange des #ressources et des #références sur un sujet précis, afin de me constituer une base de connaissance militante à laquelle me référer et à partager, à la façon d’un #vade-mecum en quelque sorte.

    Et on commence par un sujet léger : le fascisme & l’extrême-droite.

    https://lunatopia.fr/blog/fascisme-extreme-droite-siamo-tutti-antifascisti

    #vademecum #bibliographie #liste #playlist #livres #articles #podcasts #films #vidéos #ressources

  • Au Tchad, les réfugiés soudanais racontent qu’au Darfour « la vie n’est plus possible, les gens ont tellement faim »
    https://www.lemonde.fr/afrique/article/2024/04/16/au-tchad-les-refugies-soudanais-racontent-qu-au-darfour-la-vie-n-est-plus-po

    Au Tchad, les réfugiés soudanais racontent qu’au Darfour « la vie n’est plus possible, les gens ont tellement faim »
    Près de 600 000 personnes ont traversé la frontière depuis le début de la guerre, il y a un an. Une crise humanitaire dont les habitants de la région d’Adré subissent eux aussi les conséquences.
    Par Carol Valade (Adré, Tchad, envoyé spécial)
    Un vent sec et brûlant accueille les réfugiés soudanais au poste-frontière d’Adré. Ils sont près de 600 000 à avoir fui au Tchad depuis un an, après que les deux généraux Abdel Fattah Al-Bourhane et Mohammed Hamdan Daglo, dit « Hemetti », se sont engagés dans une lutte à mort pour le pouvoir à Khartoum. Parmi eux, Khadija Abdallah, 25 ans, passe les contrôles de police à bord d’une petite calèche tractée par un cheval éreinté. Elle vient d’un village en périphérie d’Al-Geneina, la capitale du Darfour occidental, à 35 kilomètres de là. « Il n’y a plus rien à manger là-bas, plus rien à donner aux enfants, dit-elle. Nous n’avions pas d’autre choix que fuir. » Si les premiers réfugiés au Tchad, au printemps 2023, fuyaient majoritairement les combats pour le contrôle des villes et les massacres à grande échelle commis au Darfour, les derniers arrivés sont poussés par la faim qui gagne les campagnes, soumises aux pillages et au racket des milices. Alors que le conflit a rendu presque impossible toute forme d’agriculture, plus de 18 millions de Soudanais sont désormais en situation d’insécurité alimentaire, selon l’ONU.
    « C’est presque rien, concède Vanessa Boi, officière d’urgence au Programme alimentaire mondial, en remplissant des sacs de vivres. La ration est prévue pour quatre jours, en attendant les grandes distributions mensuelles. Mais, en raison du manque de financement, nous ne sommes actuellement pas en mesure de dire quand elles auront lieu, ni même si elles auront lieu. »Dans ce contexte, beaucoup de réfugiés revendent une partie de leur ration sur le marché d’Adré, afin de pouvoir préparer leur unique repas quotidien. « Je sais bien que c’est interdit, admet Djamila Hisseine Abdoulrahamane, tandis que sur son étal les monticules de sorgho brûlent au soleil. Mais comment faire une soupe sans condiment ? » En ce soir d’Aïd-el-Fitr, les huit membres de sa famille partagent un bol de bouillie, une poignée de haricots et quelques litres d’infusion de mauve, une plante herbacée très consommée dans la région, pour se remplir le ventre. « Nous sommes toujours mieux lotis que ceux qui sont restés de l’autre côté », se console-t-elle.
    « L’autre côté », c’est le Darfour. « Là, la vie n’est plus possible, les gens ont tellement faim, ils ont besoin d’aide », sanglote Assari Ismail, 17 ans, dans une interminable file d’attente pour recevoir des vivres. Vêtue d’une longue robe noire, elle a guidé son père aveugle sur près de 400 kilomètres en partant de Nyala, dans le sud du Darfour, vers la frontière tchadienne, lorsqu’elle a entendu parler des distributions alimentaires. Jusqu’à présent, ni le gouvernement soudanais ni l’ONU n’ont déclaré l’état de famine. Officiellement, le pays reste au stade 4 sur l’échelle IPC qui classifie l’insécurité alimentaire – le dernier palier avant que soit reconnue la catastrophe. A entendre les témoignages des rescapés, la famine semble pourtant déjà là.(...) Côté tchadien, l’ONG constate un afflux croissant d’enfants malnutris. De la grande tente blanche qui sert de clinique monte une polyphonie de pleurs de nourrissons aux bras amaigris et aux yeux creusés. Si la plupart sont des réfugiés soudanais, les enfants tchadiens sont de plus en plus nombreux à être pris en charge. (...)
    Avec plus de 1,2 million de réfugiés sur son sol pour une population de 18 millions d’habitants, le Tchad est devenu l’un des principaux pays d’accueil au monde, et les habitants du Ouaddaï, la région frontalière, en subissent les conséquences de plein fouet. Dans cette province aride, la majorité des produits manufacturés étaient importés du Soudan jusqu’au début de la guerre. Sur le marché, leurs prix ont été multipliés par trois ou quatre. L’eau minérale et le carburant sont devenus inabordables.(...) Adré, ville-frontière, s’est construite sur les échanges tchado-soudanais. Nombre de familles sont partagées entre les deux pays. Mais, dans les campagnes alentour, la cohabitation devient difficile. Dans le village de Tongori, des dizaines d’abris construits par l’Organisation internationale pour les migrations pour les Tchadiens revenus du Soudan ont été réduits en cendres par un incendie criminel.
    Des incidents de ce type pourraient se multiplier, avertit le colonel Ali Mahamat Sebey, préfet du département : « La zone est saturée. Des tensions apparaissent autour des points d’eau et sur le domaine foncier. Le Tchad mène une véritable guerre humanitaire aux côtés des ONG, mais nous manquons de soutiens, comme si cette crise était tombée dans la poubelle de la communauté internationale. » Un sentiment d’abandon largement partagé dans le milieu humanitaire, épuisé par un an de gestion d’une urgence sous-financée. Il y a vingt ans, le Darfour faisait pourtant la une, et des vedettes internationales, comme l’acteur George Clooney, attiraient les projecteurs sur cette tragédie.« Aujourd’hui, la crise soudanaise est reléguée au second plan par la situation à Gaza et en Ukraine, soupire Jérôme Merlin, représentant adjoint du HCR au Tchad. Mais, si l’on regarde les chiffres, c’est sans doute la crise humanitaire la plus grave dans le monde actuellement. » En privé, certains humanitaires confient leur colère, leur frustration, voire un sentiment d’injustice : « La réponse pour l’Ukraine est presque surfinancée, alors qu’ici nous ne recevons même pas de quoi couvrir 4 % des besoins », fulmine l’un d’eux, qui a travaillé dans les deux pays.« Cette crise peut paraître lointaine quand on la regarde de Paris ou de Bruxelles, poursuit Jérôme Merlin. Mais nos observations montrent que les mouvements de réfugiés soudanais vers l’Europe ont commencé, avec déjà plusieurs milliers d’arrivées en Italie. » Ce qui s’explique aussi par le profil des réfugiés, souvent venus des grandes villes du Darfour, notamment des cadres, médecins, avocats et professeurs, pour qui la vie dans un camp en rase campagne ne représente pas une perspective acceptable. « Le Tchad est une digue, mais elle est au bord de la rupture, conclut Jérôme Merlin. Si elle cède, il faut s’attendre à des mouvements migratoires de grande ampleur. »

    #Covid-19#migrant#migration#soudan#tchad#refugie#crise#famine#sante#humanitaire

  • Giorgia Meloni assigne l’historien Luciano Canfora en justice pour diffamation, une aberration
    https://www.liberation.fr/idees-et-debats/tribunes/giorgia-meloni-assigne-lhistorien-luciano-canfora-en-justice-pour-diffama

    Pour avoir qualifié la Première ministre italienne de « néonazie dans l’âme », le chercheur comparaît devant la justice italienne le 16 avril, alerte un collectif d’une centaine d’intellectuels et de journalistes. La dirigeante met l’Italie en coupe réglée et s’attaque à tous les contre-pouvoirs.
    –—
    A l’heure où les libertés académiques sont menacées partout dans le monde, nous, historiens, philologues, philosophes, éditeurs, journalistes, souhaiterions alerter l’opinion publique sur une affaire extrêmement grave, et qui n’a pourtant jusqu’à présent fait l’objet d’aucun article dans la presse française.

    Le 16 avril prochain aura lieu à Bari un procès sans exemple en Europe depuis 1945. L’historien #Luciano_Canfora, l’un des plus grands intellectuels italiens, est attaqué en #diffamation, à 81 ans, par nulle autre que la cheffe du gouvernement, Giorgia Meloni.

    Voici les faits qui lui sont reprochés : il y a deux ans, lors d’une conférence dans un lycée, Luciano Canfora a qualifié #Giorgia_Meloni de « néonazie dans l’âme ». Il faisait par là allusion au fait que le parti qu’elle dirige, Fratelli d’Italia, trouve ses origines historiques dans la « République de Salò » (1943-1945), sorte de protectorat #nazi gouverné par un #Mussolini Gauleiter du IIIe Reich, et qui fit régner dans l’#Italie du Nord un régime de terreur que les Italiens désignent couramment sous le nom de « nazifascisme ». Cette filiation est incontestable. Et de fait, Fratelli d’Italia arbore toujours la flamme tricolore du Mouvement social italien (MSI), dont le nom reprenait la titulature de #Salò : République sociale italienne (RSI).

    Le fondateur de ce parti, Giorgio Almirante (1914-1988) affirmait encore en 1987 que le fascisme était « le but ultime » (« il traguardo ») de son parti. Ces origines n’ont jamais été reniées par Giorgia Meloni, qui célébrait récemment Giorgio Almirante – rédacteur de la revue raciste et antisémite la Difesa della Razza (de 1938 à 1943), puis chef de cabinet d’un ministre de Salò – comme « un politique et un patriote, un grand homme que nous n’oublierons jamais », ni d’ailleurs par aucun des membres de son parti, à commencer par le président du Sénat, Ignazio La Russa, qui se vante d’avoir chez lui des bustes de Mussolini.

    Tous, systématiquement, refusent de se définir comme antifascistes : c’est comme si, en France, un gouvernement refusait de revendiquer l’héritage de la Résistance. De là des scènes pénibles, comme lorsque Ignazio La Russa, en visite au Mémorial de la Shoah en compagnie d’une rescapée des camps, la sénatrice Liliana Segre, répond aux journalistes qui lui demandaient s’il se sentait, ce jour-là, « antifasciste » : « N’avilissons pas ces occasions. »

    Giorgia Meloni n’a jamais condamné les manifestations néofascistes récentes, notamment celle qui a eu lieu récemment à Rome, Via Acca Larentia, ni les violences néofascistes comme le passage à tabac de lycéens à Florence l’an dernier, et elle s’est même permis – ce qui est une première en Italie – de tancer le président de la République, le très modéré Sergio Mattarella, parce que, conformément à ses fonctions de gardien de la Constitution, il avait protesté contre la violence inouïe avec laquelle la police avait réprimé des manifestations pacifistes d’étudiants à Pise et à Florence.

    Très loin de l’image modérée qu’elle projette sur la scène internationale, Giorgia Meloni est, en réalité, en train de mettre l’Italie en coupe réglée. Elle ne cache nullement son intention de faire évoluer l’Italie vers le modèle illibéral de la Pologne et de la Hongrie. « On pense que c’est inconcevable, mais cela pourrait arriver », déclarait en début d’année Giuliano Amato, ancien Premier ministre et président émérite de la Cour constitutionnelle. Peu après, et comme par hasard, le ministère de la Justice annulait à la dernière minute une présentation de son dernier livre devant les détenus d’une prison… C’est que cette politique comprend un volet culturel fondamental, qui n’épargne même pas un dessin animé comme Peppa Pig (un épisode montrait un jeune ours polaire élevé par un couple de lesbiennes). Il s’agit, comme l’affirmait Gianmarco Mazzi, secrétaire d’Etat à la Culture, de « changer la narration du pays ».

    Tous les contre-pouvoirs possibles sont visés : médias publics, institutions culturelles, animateurs vedettes, journalistes d’investigation, et bien sûr intellectuels. Une émission récente recensait un nombre de procès impressionnant (et la liste n’est pas exhaustive) : le ministre du Développement économique, Adolfo Urso, attaque La Repubblica et Report ; le ministre de la Défense, Guido Crosetto, attaque Domani et Il Giornale ; le Secrétaire d’Etat Giovanbattista Fazzolari attaque Domani, La Stampa et Dagospia.

    La sœur de Giorgia Meloni s’invite à la fête en attaquant en justice un caricaturiste du Fatto Quotidiano. Les deux sœurs se sont même associées pour poursuivre chacune de son côté Brian Molko, le chanteur du groupe britannique Placebo… On apprend maintenant que le ministre de l’Agriculture Francesco Lollobrigida, beau-frère de Giorgia Meloni, poursuit une professeure de philosophie de La Sapienza, Donatella di Cesare, mais aussi le recteur de l’université pour étrangers de Sienne, Tomaso Montanari. « Ils ont la peau délicate », ironise Pier Luigi Bersani (PD).

    C’est dans ce contexte que Giorgia Meloni a fait condamner le grand écrivain Roberto Saviano à 1 000 euros de dommages en première instance (elle en demandait 75 000) pour avoir osé traiter de « salauds » la Première ministre et son vice-Premier ministre Matteo Salvini suite à la mort d’un bébé sur un bateau de migrants : « Giorgia Meloni me considère comme un ennemi », expliquait l’écrivain. « Sa volonté et celle de ses associés au gouvernement est de m’anéantir. […]. Ils ont traîné en justice la parole, la critique politique. Ils ont contraint des juges à définir le périmètre dans lequel il est possible de critiquer le pouvoir », explique-t-il à Libération.

    Luciano Canfora, qui jouit d’une immense notoriété dans son pays, est donc la prochaine cible. « Un des succès de Giorgia Meloni », faisait observer Federico Fubini, du Corriere della Sera, « c’est qu’elle est parvenue à rendre presque impoli le fait de lui demander ce qu’elle pense du #fascisme  ». C’est précisément cette impolitesse qu’a osé commettre le savant helléniste.

    Nous sommes loin de partager tous les positionnements politiques de Luciano Canfora. Nous n’en sommes que plus libres pour affirmer son droit absolu à les exprimer. Bien plus : c’est notre devoir. Comme le formula si fortement l’un des plus grands juristes du siècle dernier, Oliver Wendell Holmes (1809-1894) : « S’il y a un principe […] qui exige plus impérieusement que tout autre d’être respecté, c’est le principe de la libre-pensée – non pas la liberté de pensée pour ceux qui sont d’accord avec vous, mais la liberté pour la pensée que vous détestez. » Freedom for the Thought That We Hate : ce fut le titre d’un grand livre d’Anthony Lewis. Il devient plus qu’urgent de le traduire.

    Toutes et tous, le mardi 16 avril, nous serons présents en pensée au tribunal de Bari, aux côtés du professeur Luciano Canfora.

    • Le bureau du procureur de Bari, à l’issue de l’audience préliminaire, a confirmé l’ouverture d’un procès, le 7 octobre prochain. « La Première ministre sera très certainement appelée pour témoigner à la barre », a souligné l’avocat de Luciano Canfora auprès de l’agence ANSA.

  • Peines contre les parents, internats : Attal s’en prend encore aux jeunes de quartiers populaires
    https://www.revolutionpermanente.fr/Peines-contre-les-parents-internats-Attal-s-en-prend-encore-aux


    Mais EDM, il n’a pas justement un gamin qui fait le con ? C’est ballot de se tirer ainsi une balle dans le pied. Ou alors, il faut lire en tout petit en bas : seulement pour les gens racisés ?

    Prétextant vouloir « restaurer la parentalité », le texte de loi cible dans un premier temps les parents de mineurs ayant commis des infractions à la loi. Éric Dupond-Moretti s’appuie notamment sur l’article 227-17 du Code pénal, qui punit les parents lorsqu’un mineur commet « plusieurs crimes ou délits ». Après avoir exhorté les parquets à utiliser ce dispositif, le garde des Sceaux se félicitait le 9 avril d’une hausse de condamnation des parents. « Plus de 310 condamnations ont été prononcées en un an. Cela fait une augmentation de 40%, depuis le premier trimestre 2023 », a-t-il ainsi proclamé à l’Assemblée nationale. L’article en question prévoit actuellement des peines allant jusqu’à deux ans de prison et 30 000€ d’amende, qui seraient alourdies par le projet de loi, allant jusqu’à « trois ans d’emprisonnement et 45 000 euros d’amende ».

  • Bettina Göring: „Über die Nazi-Zeit habe ich erst aus DDR-Geschichtsbüchern gelernt“
    https://www.berliner-zeitung.de/mensch-metropole/bettina-goering-ueber-die-nazi-zeit-habe-ich-erst-aus-ddr-geschicht

    Bettina Göring, 68, floh mit 13 von zu Hause und schloss sich der linken Szene an. Foto Benjamin Pritzkuleit

    17.4.2024 von Anja Reich - Hermann Görings Großnichte erzählt im Interview, wie in ihrer Familie NS-Verbrechen verschwiegen wurden. Und sagt, welcher Politiker sie heute an Göring erinnert.

    Bettina Göring wartet in der Tür eines Reihenhauses in Berlin-Zehlendorf. Es gehört einer Jugendfreundin, die sie und Görings Mann für ein paar Tage bei sich aufgenommen hat und während des Interviews mit dem Hund spazieren geht, um nicht zu stören.

    Die Großnichte des Naziverbrechers Hermann Göring trägt Hose, Bluse, eine blaue Brille, die grauen Haare im Nacken zusammengebunden. Ein in die Jahre gekommenes Hippie-Mädchen, das mit 13 von zu Hause flüchtete, nach Stationen in Südamerika, Indien und den USA in Thailand hängenblieb und nun nach Deutschland gekommen ist, um ihr Buch vorzustellen: „Der gute Onkel: Mein verdammtes deutsches Erbe“.

    Wie soll ich Sie ansprechen: Frau Göring, so, wie es auf Ihrem Buch steht? Oder mit dem Namen, der in Ihrer E-Mail-Adresse auftaucht?

    Sagen Sie Göring. Als ich das erste Mal heiratete, habe ich meinen Namen geändert, wegen der Familiengeschichte. Aber es funktioniert nicht so richtig, ich werde diese Geschichte nicht los.

    Es ist die Ihres Großonkels Hermann Göring, dem mächtigsten Nazi nach Adolf Hitler. Wie wäre es, wenn er hier säße, an diesem Tisch?

    Ich würde ihn fragen, ob er irgendwas bereut. Aber ich würde nicht erwarten, dass er es tut. Er hat ja auch bei den Nürnberger Prozessen gesagt, dass er nichts bereut.

    Und als Familienmensch, wie war er da? Ihr Buch trägt den Titel „Der gute Onkel“.

    Zu seiner Familie war er sehr nett. Meine Großmutter wurde von ihm nicht nur beschützt, sondern auch finanziell unterstützt. Er soll freundlich und charismatisch gewesen sein, weshalb er auch als Diplomat eingesetzt wurde. Kann man sich gar nicht vorstellen, wenn man sich seine Reden anhört – fürchterlich, wie er geschrien hat, die haben ja alle so geschrien.

    Privat hat er das nicht getan?

    Wir haben mal ein Video von einer Ostereiersuche mit der Familie gesehen. Da hat er mit großer Geste den lässigen, freundlichen Onkel gespielt. Jovial ist das Wort, das ihn als Familienmenschen wohl am besten beschreibt.

    Wo haben Sie die Aufnahme her?

    Auf YouTube gefunden, keine Ahnung, wer die darauf gestellt hat.

    Sie wurden 1956 geboren, zehn Jahre, nachdem Ihr Großonkel in Nürnberg zum Tode verurteilt wurde und sich mit einer Zyankali-Kapsel selbst getötet hat. Wann haben Sie zum ersten Mal gespürt, dass es da etwas Unheimliches gibt in Ihrer Familie?

    Ich war elf, wir wohnten in Wiesbaden, hatten gerade einen Fernseher bekommen, sahen eine Dokumentation über Auschwitz. Meine Oma war dabei, die Schwester von Hermann, Großmutti Ilse, wie alle sie nannten. Sie schrie: Alles Lüge, alles Lüge! Mein Bruder hat ihr einen Holzschuh an den Kopf geworfen.
    Bettina Göring ließ sich mit 30 sterilisieren.
    Bettina Göring ließ sich mit 30 sterilisieren.Benjamin Pritzkuleit

    War Ihnen da schon klar, dass Ihr Großonkel den Massenmord an den Juden befohlen hatte?

    Nein, 1968, mit zwölf, habe ich mich der Hippieszene angeschlossen, später der linken, sehr linken Szene, bin von zu Hause geflohen. In dieser Zeit habe ich angefangen, Bücher über die NS-Geschichte zu lesen. Die meisten waren aus der DDR.
    Bettina Göring: „Mein Geschichtslehrer war selbst Nazi gewesen“

    Aus der DDR? Was haben Sie denn in Ihrer Wiesbadener Schule über den Faschismus gelernt?

    Nichts, mein Geschichtslehrer war selber Nazi gewesen. Und in der Familie erzählte man sich immer nur, dass Onkel Hermann Flieger war, der Herr der Flieger, wie es hieß, dass man zu ihm aufschaute, sonst nichts. Bis 2005 wusste ich nicht einmal, dass er die Endlösung der Judenfrage unterschrieben hatte.

    Wie haben Sie das rausgefunden?

    Eine Australierin, Tochter von Holocaust-Überlebenden, warf es mir an den Kopf. Für den Dokumentarfilm „Bloodlines“ waren Angehörige von Opfern und Tätern zusammengebracht worden. Ich habe dann gleich noch mal angefangen, Geschichtsbücher zu lesen.

    Das hatte in den Büchern, die Sie kannten, nicht gestanden?

    Nein, es war auch kompliziert. Die Nazis haben den Mord an den Juden ja nicht so konkret befohlen. Reinhard Heydrich hatte das Dokument, in dem von der Endlösung die Rede war, 1941 vorgelegt und Hermann Göring hat es unterschrieben.

    Wie ging es Ihnen, als Sie das hörten?

    Es war furchtbar, schockierend.

    Sie sind ins Ausland gegangen, haben sich sterilisieren lassen, wollten keine Kinder bekommen. Hatten Sie Angst, das Böse könnte sich vererben?

    Dass ich mich sterilisieren ließ, hatte nicht direkt mit dem Göring-Onkel zu tun, das war eher ein praktischer Gedanke. Ich habe die Pille nicht gut vertragen und hatte mit 30 immer noch kein Bedürfnis, Mutter zu werden. Aber im Unterbewusstsein gab es sicher eine Ablehnung. Es muss ja auch einen Grund haben, warum gerade unsere Generation, die in den 50ern geboren wurde, so wenig Kinder bekommen hat, die folgende aber wieder mehr.
    NS-Kriegsverbrecher Hermann Göring beim Prozess in Nürnberg
    NS-Kriegsverbrecher Hermann Göring beim Prozess in NürnbergYevgeny Khaldei/Imago

    Jüdische Holocaust-Überlebende Ihrer Generation bekamen dagegen sehr viele Kinder.

    Ja, Israelis, die ich kennenlernte, konnten gar nicht verstehen, dass ich keine Kinder wollte. Eine hatte zehn, als Ausgleich dafür, dass ihre Familie ausgelöscht wurde.

    Was haben Sie sonst an Ihrem Leben geändert, nachdem Sie von der Rolle Ihres Großonkels im Holocaust erfahren haben?

    Ich habe zusammen mit einer Tochter von Holocaust-Überlebenden eine Therapiegruppe gegründet, verschiedene Methoden zur Verarbeitung der Traumata angewendet. Einmal bin ich sogar in die Psyche meines Onkels gegangen.
    „Ich habe gefühlt, wie es in ihm aussah: dunkel, kalt, halbtot“

    Bei einer Art Familienaufstellung?

    Ja, ich habe gefühlt, wie es in ihm aussah und es war sehr dunkel, kalt, halbtot. Als ob bei mir alles abstirbt, so fühlte es sich an. Erschreckend. Er muss ein Psychopath gewesen sein. Das ist das Schizophrene: wie er so kalt und doch für seine Familie menschlich bleiben konnte.

    Haben Sie herausgefunden, wie er so geworden ist, was ihn in seinem Leben geprägt hat?

    Ja, wir haben viel herausgefunden. Sein Vater kam aus einer reichen, angesehenen Familie, war von Bismarck als Diplomat in Ostafrika eingesetzt, gründete die deutsche Kolonie im heutigen Namibia, später war er in Haiti, reiste hin und her, ewig lange Schiffsreisen. Hermanns Mutter reiste mit, auch wenn sie gerade ein Kind geboren hatte. Den Hermann ließ sie bei einer Freundin zurück. Als er sie wiedersah, mit drei Jahren, sah er seine Mutter nicht mehr an. Hinzu kam, dass die Mutter eine Affäre mit Herman von Epenstein hatte, einem Halbjuden. Möglicherweise wurde mein Großonkel nach ihm benannt. Und er wurde seinetwegen auf der Schule gehänselt, als Judenfreund. Er musste sogar so ein Schild um den Hals tragen.
    Bettina Göring , Großnichte von Hermann Göring
    Bettina Göring , Großnichte von Hermann GöringBenjamin Pritzkuleit
    „Göring war immer der Größte, aber Hitler war war noch größer“

    Wann war das?

    1905, vor dem Ersten Weltkrieg. Der Hermann war als Schüler sehr rebellisch, schwer zu händeln, bis er in die Militärakademie kam. Die Strenge dort tat ihm gut. Was auch wichtig ist: Die Familie wollte, dass ein Held geboren wird, so steht es in den Tagebüchern, ein Held, der Deutschland rettet und so ein Scheiß. Er hat sich in dieser Rolle gesehen.

    Wie hat er Hitler kennengelernt?

    Im Ersten Weltkrieg war er Flieger. Nachdem die Luftwaffe verboten worden war und er nicht mehr fliegen konnte, wollte er eine Revolution, das System umstoßen, ist auf die Hitler-Gruppe gestoßen und sofort auf Hitler mit seiner magnetischen Persönlichkeit angesprungen. Göring war immer der Größte, aber der Führer war noch größer. Und Hitler hat erkannt, dass Göring die Sprache der Oberen spricht, sich in dieser Klasse gut auskennt.

    Hermann Göring war morphiumsüchtig. Wie kam es dazu?

    Beim Bierputsch 1923 bekam er eine Kugel ab, musste fliehen, wurde in Schweden in der Psychiatrie behandelt, in dieser Zeit begann er, Morphium zu nehmen.
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    Die schwedischen Ärzte beschrieben ihn als „brutalen Hysteriker mit sehr schwachem Charakter“.

    Ja, er war verrückt und auf Drogen, wie die meisten Nazis. Pervitin, Kokain, Morphium. Die Drogen passen zu seinem Größenwahn. Erst in amerikanischer Haft machte er einen Entzug.

    Gab es im Leben von Hermann Göring einen Moment, wo er zweifelte, an sich und seinen Taten?

    Als er einmal drin war in dieser Maschinerie, war das nicht mehr möglich. Für ihn zählten nur Macht, Reichtum, Ämter und Titel ohne Ende.
    Waggons voll enteigneter Kunst nach Hause liefern lassen

    Gibt es einen heute lebenden Politiker, der Sie an Ihren Großonkel erinnert?

    Ja, Trump. Diese Gier. Diese unglaubliche Raffgier. Was der Göring-Onkel für Schätze angehäuft hat. Von den Juden. Aus Holland hat er sich ganze Waggons voll mit Kunst und Möbeln bringen lassen. Meine Oma hat auch einen Waggon bekommen.

    Das heißt, bei Ihnen zu Hause gab es auch noch Möbelstücke von enteigneten Juden?

    Ja, zwei, drei Stück. Ganz tolle Sachen. Als unsere Oma zu uns zog, fielen sie schon ein bisschen auseinander. Ein Sekretär aus Ebenholz mit 150 Handfiguren und Schubfächern. Das andere war ein flämischer Sternenschrank.

    Wo sind die Möbel heute?

    Mein Vater hat sie verkauft, beglich seine Schulden damit. Wir hatten zum Glück nichts mehr damit zu tun nach seinem Tod. Fotos und Ritterorden waren noch da. Wollte ich auch nichts mitzutun haben.

    Haben Sie Antisemitismus in Ihrer Familie wahrgenommen?

    Von meiner Mutti gar nicht. Mein Großvater mütterlicherseits war gegen die Nazis, hat für einen jüdischen Anwalt gearbeitet, der ihm geholfen hat mit der Anzahlung für sein Haus.

    Wusste Ihre Mutter, als sie Ihren Vater geheiratet hat, aus was für einer Familie er kommt?

    Ja, das ist ja das Verrückte. Obwohl diese Mutter-Familie gegen die Nazis war, hat es viel bedeutet, mit einem Göring verheiratet zu sein. Wegen der Klasse. Reiche Familie. Viele wichtige Ämter. Der Urgroßvater Ministerialrat, auch Bürgermeister gab es.

    War Ihnen da schon klar, dass Ihr Großonkel den Massenmord an den Juden befohlen hatte?

    Nein, 1968, mit zwölf, habe ich mich der Hippieszene angeschlossen, später der linken, sehr linken Szene, bin von zu Hause geflohen. In dieser Zeit habe ich angefangen, Bücher über die NS-Geschichte zu lesen. Die meisten waren aus der DDR.

    Aus der DDR? Was haben Sie denn in Ihrer Wiesbadener Schule über den Faschismus gelernt?

    Nichts, mein Geschichtslehrer war selber Nazi gewesen. Und in der Familie erzählte man sich immer nur, dass Onkel Hermann Flieger war, der Herr der Flieger, wie es hieß, dass man zu ihm aufschaute, sonst nichts. Bis 2005 wusste ich nicht einmal, dass er die Endlösung der Judenfrage unterschrieben hatte.

    Wie haben Sie das rausgefunden?

    Eine Australierin, Tochter von Holocaust-Überlebenden, warf es mir an den Kopf. Für den Dokumentarfilm „Bloodlines“ waren Angehörige von Opfern und Tätern zusammengebracht worden. Ich habe dann gleich noch mal angefangen, Geschichtsbücher zu lesen.

    Das hatte in den Büchern, die Sie kannten, nicht gestanden?

    Nein, es war auch kompliziert. Die Nazis haben den Mord an den Juden ja nicht so konkret befohlen. Reinhard Heydrich hatte das Dokument, in dem von der Endlösung die Rede war, 1941 vorgelegt und Hermann Göring hat es unterschrieben.

    Wie ging es Ihnen, als Sie das hörten?

    Es war furchtbar, schockierend.

    Sie sind ins Ausland gegangen, haben sich sterilisieren lassen, wollten keine Kinder bekommen. Hatten Sie Angst, das Böse könnte sich vererben?

    Dass ich mich sterilisieren ließ, hatte nicht direkt mit dem Göring-Onkel zu tun, das war eher ein praktischer Gedanke. Ich habe die Pille nicht gut vertragen und hatte mit 30 immer noch kein Bedürfnis, Mutter zu werden. Aber im Unterbewusstsein gab es sicher eine Ablehnung. Es muss ja auch einen Grund haben, warum gerade unsere Generation, die in den 50ern geboren wurde, so wenig Kinder bekommen hat, die folgende aber wieder mehr.

    Jüdische Holocaust-Überlebende Ihrer Generation bekamen dagegen sehr viele Kinder.

    Ja, Israelis, die ich kennenlernte, konnten gar nicht verstehen, dass ich keine Kinder wollte. Eine hatte zehn, als Ausgleich dafür, dass ihre Familie ausgelöscht wurde.

    Was haben Sie sonst an Ihrem Leben geändert, nachdem Sie von der Rolle Ihres Großonkels im Holocaust erfahren haben?

    Ich habe zusammen mit einer Tochter von Holocaust-Überlebenden eine Therapiegruppe gegründet, verschiedene Methoden zur Verarbeitung der Traumata angewendet. Einmal bin ich sogar in die Psyche meines Onkels gegangen.
    „Ich habe gefühlt, wie es in ihm aussah: dunkel, kalt, halbtot“

    Bei einer Art Familienaufstellung?

    Ja, ich habe gefühlt, wie es in ihm aussah und es war sehr dunkel, kalt, halbtot. Als ob bei mir alles abstirbt, so fühlte es sich an. Erschreckend. Er muss ein Psychopath gewesen sein. Das ist das Schizophrene: wie er so kalt und doch für seine Familie menschlich bleiben konnte.

    Haben Sie herausgefunden, wie er so geworden ist, was ihn in seinem Leben geprägt hat?

    Ja, wir haben viel herausgefunden. Sein Vater kam aus einer reichen, angesehenen Familie, war von Bismarck als Diplomat in Ostafrika eingesetzt, gründete die deutsche Kolonie im heutigen Namibia, später war er in Haiti, reiste hin und her, ewig lange Schiffsreisen. Hermanns Mutter reiste mit, auch wenn sie gerade ein Kind geboren hatte. Den Hermann ließ sie bei einer Freundin zurück. Als er sie wiedersah, mit drei Jahren, sah er seine Mutter nicht mehr an. Hinzu kam, dass die Mutter eine Affäre mit Herman von Epenstein hatte, einem Halbjuden. Möglicherweise wurde mein Großonkel nach ihm benannt. Und er wurde seinetwegen auf der Schule gehänselt, als Judenfreund. Er musste sogar so ein Schild um den Hals tragen.

    Wann war das?

    1905, vor dem Ersten Weltkrieg. Der Hermann war als Schüler sehr rebellisch, schwer zu händeln, bis er in die Militärakademie kam. Die Strenge dort tat ihm gut. Was auch wichtig ist: Die Familie wollte, dass ein Held geboren wird, so steht es in den Tagebüchern, ein Held, der Deutschland rettet und so ein Scheiß. Er hat sich in dieser Rolle gesehen.

    Wie hat er Hitler kennengelernt?

    Im Ersten Weltkrieg war er Flieger. Nachdem die Luftwaffe verboten worden war und er nicht mehr fliegen konnte, wollte er eine Revolution, das System umstoßen, ist auf die Hitler-Gruppe gestoßen und sofort auf Hitler mit seiner magnetischen Persönlichkeit angesprungen. Göring war immer der Größte, aber der Führer war noch größer. Und Hitler hat erkannt, dass Göring die Sprache der Oberen spricht, sich in dieser Klasse gut auskennt.

    Hermann Göring war morphiumsüchtig. Wie kam es dazu?

    Beim Bierputsch 1923 bekam er eine Kugel ab, musste fliehen, wurde in Schweden in der Psychiatrie behandelt, in dieser Zeit begann er, Morphium zu nehmen.

    Die schwedischen Ärzte beschrieben ihn als „brutalen Hysteriker mit sehr schwachem Charakter“.

    Ja, er war verrückt und auf Drogen, wie die meisten Nazis. Pervitin, Kokain, Morphium. Die Drogen passen zu seinem Größenwahn. Erst in amerikanischer Haft machte er einen Entzug.

    Gab es im Leben von Hermann Göring einen Moment, wo er zweifelte, an sich und seinen Taten?

    Als er einmal drin war in dieser Maschinerie, war das nicht mehr möglich. Für ihn zählten nur Macht, Reichtum, Ämter und Titel ohne Ende.
    Waggons voll enteigneter Kunst nach Hause liefern lassen

    Gibt es einen heute lebenden Politiker, der Sie an Ihren Großonkel erinnert?

    Ja, Trump. Diese Gier. Diese unglaubliche Raffgier. Was der Göring-Onkel für Schätze angehäuft hat. Von den Juden. Aus Holland hat er sich ganze Waggons voll mit Kunst und Möbeln bringen lassen. Meine Oma hat auch einen Waggon bekommen.

    Das heißt, bei Ihnen zu Hause gab es auch noch Möbelstücke von enteigneten Juden?

    Ja, zwei, drei Stück. Ganz tolle Sachen. Als unsere Oma zu uns zog, fielen sie schon ein bisschen auseinander. Ein Sekretär aus Ebenholz mit 150 Handfiguren und Schubfächern. Das andere war ein flämischer Sternenschrank.

    Wo sind die Möbel heute?

    Mein Vater hat sie verkauft, beglich seine Schulden damit. Wir hatten zum Glück nichts mehr damit zu tun nach seinem Tod. Fotos und Ritterorden waren noch da. Wollte ich auch nichts mitzutun haben.

    Haben Sie Antisemitismus in Ihrer Familie wahrgenommen?

    Von meiner Mutti gar nicht. Mein Großvater mütterlicherseits war gegen die Nazis, hat für einen jüdischen Anwalt gearbeitet, der ihm geholfen hat mit der Anzahlung für sein Haus.

    Wusste Ihre Mutter, als sie Ihren Vater geheiratet hat, aus was für einer Familie er kommt?

    Ja, das ist ja das Verrückte. Obwohl diese Mutter-Familie gegen die Nazis war, hat es viel bedeutet, mit einem Göring verheiratet zu sein. Wegen der Klasse. Reiche Familie. Viele wichtige Ämter. Der Urgroßvater Ministerialrat, auch Bürgermeister gab es.

    Sind Sie auch noch so erzogen worden, mit diesem Dünkel, etwas Besseres zu sein?

    Mein Bruder und ich haben sehr dagegen rebelliert, aber ich glaube, so ein bisschen ist er auch bei uns drin.

    Ist bei Ihren Begegnungen mit Angehörigen von Opfern mal jemand wütend geworden Ihnen gegenüber?

    In Israel sind Leute weinend zu mir gekommen, haben sich bedankt. Weil es bis dahin nie vorgekommen war, dass jemand sich bei ihnen entschuldigt hat. Aber eine Frau in meinem Alter konnte eine Entschuldigung von der Göring-Seite nicht akzeptieren. Sie hat ständig dazwischengerufen und musste vom israelischen Sicherheitspersonal rausgeführt werden.

    Und wie waren die Begegnungen mit Angehörigen anderer Nazi-Größen?

    Ich wurde mit Niklas Frank, Rainer Höss, Katrin Himmler und noch zwei anderen verlinkt. Aber persönlich getroffen habe ich nur Rainer Höss. Er wollte mich unbedingt kennenlernen, ist extra nach Wiesbaden gekommen und dann sind wir Kaffee trinken gegangen.

    Sie und der Enkel des Auschwitz-Kommandanten?

    Er hat die ganze Zeit geprahlt, wie viele jüdische Leute er kennt, mit welchem Ministerpräsidenten er per Du ist. Später wurde er als Hochstapler enttarnt. Er ist auch der Einzige, der seine Geschichte an die Israelis verkauft hat, der Geld wollte. Mir wäre das zuwider gewesen.

    Aber mit Ihrem Buch jetzt verdienen Sie Geld, oder?

    Ja, das hoffe ich zumindest. Da stecken zehn Jahre Arbeit drin. Die österreichische Journalistin Melissa Müller hat einen wesentlichen Anteil daran, sie hat die historischen Fakten zusammengetragen und wirklich viel herausgefunden, was ich noch nicht wusste.

    Was zum Beispiel?

    Dass meine Familie einen Deal mit einer jüdischen Familie gemacht hat, Galeristen, sehr vermögend. Sie wurden enteignet, konnten aber nach Südamerika gehen. Die Galerien und Gemälde wurden gegen eine Viehzucht in Venezuela, die einem Teil der Göring-Familie gehörte und nicht viel wert war, getauscht. Die Großmutti, meine Oma, ist zum Hermann gegangen, hat gesagt, die wollen raus. Der gute Onkel hat den Deal gemacht.

    Warum haben Sie so lange an dem Buch gearbeitet?

    Es war schwierig zu schreiben, aber auch zu verkaufen. Zu brisant, zu gefährlich, nicht gut genug geschrieben, hieß es. Eine Münchner Agentin, mit der wir uns getroffen haben, ist überhaupt nicht auf das Thema angesprungen. Der Droemer-Verlag hat dann gesagt, wir machen das.

    Wie ist es für Sie, es jetzt in Deutschland vorzustellen?

    Das Timing ist gut für meine Botschaft: Nie wieder.

    Sehen Sie Parallelen zu heute?

    Die Weimarer Zeit war viel schlimmer. Wir reisen ja viel herum und stellen immer wieder fest, wie gut es den Deutschen geht. Fahren Sie mal nach Thailand oder in arme Gegenden der USA! Aber die Verunsicherung ist ähnlich, die Leute wittern überall Lügen. Lügenpresse, den Begriff haben schon die Nazis verwendet. Zu sagen, alles, was wir nicht mögen, ist gleich eine Lüge. Sie lesen keine Zeitung mehr, sondern suchen in den sozialen Medien nach Positionen, die ihren ähnlich sind. Das hat oft etwas religiös Fanatisches. Die AfD nutzt das für sich aus.

    Also ist die Vergangenheit nicht vorbei für Sie?

    Die ist nie vorbei.

    –---

    Bettina Göring wurde 1956 in Wiesbaden geboren. Ihre Oma väterlicherseits war die Schwester von Hermann Göring, der 1941 den Befehl zum Völkermord an den europäischen Juden gab. Bettina Göring floh mit 13 aus dem Elternhaus, lebte in Südamerika, den USA und Thailand, arbeitet als Heilpraktikerin. Ihre Familiengeschichte arbeitete sie in Dokumentationen und Begegnungen mit jüdischen Überlebenden auf. Ihr Buch „Der gute Onkel: Mein verdammtes deutsches Erbe“ ist im Droemer-Verlag erschienen.

    #histoire #nazis #famille

  • Radio Canada Des tests de paternité vendus au Canada qui identifiaient le mauvais père D’après des renseignements fournis par Jorge Barrera, de CBC News

    « [Nos tests de paternité prénataux] n’étaient pas si fiables », admet à la caméra cachée le propriétaire de la compagnie Viaguard Accu-Metrics, de Toronto, qui a vendu de tels tests d’ADN en ligne pour 800 $ à 1000 $ de 2014 à 2020, selon une enquête de CBC.

    Harvey Tenenbaum, qui dirige toujours le laboratoire de Toronto à l’âge de 91 ans, a confié à la caméra cachée d’un journaliste de CBC qui se faisait passer pour un client, qu’il se « méfie de ce test maintenant ».

    Grâce à un kit maison visant à prélever quelques gouttes de sang de la femme enceinte et un échantillon buccal d’ADN de l’homme, le test devait permettre de confirmer l’identité du père avant la naissance de l’enfant.


    À la caméra cachée, M. Tenenbaum admet toutefois que le test a produit des résultats erronés au fil des années.

    C’est arrivé. Un père blanc se fait tester et le bébé est noir.
    Une citation de Harvey Tenenbaum, propriétaire du laboratoire

    À la caméra cachée, M. Tenenbaum se dit conscient des conséquences possibles d’une erreur : “Si on identifie le mauvais père, la mère peut avoir un avortement.”

    Questionné par CBC, il assure publiquement que les tests étaient, au contraire, « précis » et « parfaits ». Il a cessé de les vendre, ajoute-t-il, parce que l’un des éléments était devenu trop coûteux.

    La vie chamboulée d’une mère
    “Je hais le nom Viaguard”, lance Corale Mayer, 22 ans, de North Bay, en Ontario.

    Lorsqu’elle est tombée enceinte en 2019, à l’âge de 19 ans, elle n’était pas sûre de qui était le père et a commandé un test de Viaguard, renvoyant ensuite les échantillons demandés par la poste.

    Un premier test erroné de la compagnie, raconte-t-elle, lui a fait croire que le père n’était pas l’homme avec qui elle était. Un deuxième test, lui aussi erroné a-t-elle appris après la naissance de sa fille, indiquait que le père était plutôt un autre homme, qui ne voulait rien savoir d’avoir un enfant.

    Ça a été extrêmement traumatisant.
    Une citation de Corale Mayer, mère

    Elle a lancé un groupe dans les médias sociaux qui compte des dizaines d’autres personnes qui soutiennent que leur vie a aussi été chamboulée par des tests de paternité erronés de Viaguard.

    La faute du test ?
    Sika Richot a travaillé comme réceptionniste pour Viaguard durant près de trois mois en 2019.

    Elle soutient que le laboratoire lui demandait de questionner les femmes qui commandaient un test de paternité sur leur cycle menstruel et sur les dates auxquelles elles avaient eu des relations sexuelles avec les différents pères possibles, des questions qui n’ont rien à voir avec un test d’ADN.

    Le personnel compilait ensuite ces renseignements dans un cycle d’ovulation pour réduire le nombre de pères potentiels, affirme Mme Richot. “[Tenenbaum] allait toujours dire : ’’Celui-ci est le père biologique, c’est certain’’”, soutient-elle.


    M. Tenenbaum laisse entendre, lui, que les clients sont responsables des résultats erronés, en raison d’une mauvaise collecte des échantillons. “On a fait des milliers de tests et la moitié des erreurs venaient de la collecte”, dit-il.

    Le Dr Mohammad Akbari, directeur de recherche au laboratoire de génétique moléculaire de l’Hôpital Women’s College, à Toronto, affirme que le genre de test que Viaguard disait utiliser est fiable normalement, mais qu’il faut plus que quelques gouttes de sang de la mère pour confirmer l’ADN du fœtus.

    Il faut au moins 10 ml de sang d’une veine de la mère pour un test adéquat.
    Une citation de Le Dr Mohammad Akbari, expert dans les tests d’ADN

    Dans certains cas, comme l’illustre une poursuite contre Viaguard en Californie, les clients devaient se rendre à un laboratoire pour le prélèvement de sang. Cette poursuite s’est conclue par un règlement à l’amiable.

    Santé Canada indique par courriel qu’elle ne réglemente pas les tests commerciaux d’ADN comme ceux de Viaguard.

    La compagnie n’offre plus de tests de paternité prénataux, mais continue à vendre des tests d’ADN postnataux, tout comme des tests pour déterminer la race des chiens, notamment.

    D’après des renseignements fournis par Jorge Barrera, de CBC News

    #ADN #Tests #identité #enfants #fœtus #laboratoires #maternité #paternité #femmes #hommes #famille #médecine #génétique

  • Gaza : La famine imposée par Israël est mortelle pour des enfants | Human Rights Watch
    https://www.hrw.org/fr/news/2024/04/09/gaza-la-famine-imposee-par-israel-est-mortelle-pour-des-enfants

    (Beyrouth, 9 avril 2024) – À Gaza, des enfants sont décédés de complications liées à la famine depuis que le gouvernement israélien a commencé à utiliser la famine comme arme de guerre, un crime de guerre, a déclaré Human Rights Watch aujourd’hui. Des médecins et des familles de Gaza ont décrit comment des enfants, ainsi que des femmes enceintes et allaitantes, souffrent de malnutrition et de déshydratation sévères, alors que les hôpitaux sont mal équipés pour les soigner.

    Les gouvernements préoccupés devraient imposer des sanctions ciblées et suspendre les transferts d’armes à Israël, pour faire pression sur le gouvernement israélien afin qu’il garantisse l’accès à l’aide humanitaire et aux services de base à Gaza ; ceci serait conforme aux obligations d’Israël en vertu du droit international, et de la récente ordonnance de la Cour internationale de Justice suite à la plainte pour génocide déposée par l’Afrique du Sud.

    « L’utilisation par le gouvernement israélien de la famine comme arme de guerre se révèle meurtrière pour les enfants de Gaza », a déclaré Omar Shakir, directeur de la division Israël et Palestine à Human Rights Watch. « Israël doit mettre fin à ce crime de guerre, faire cesser ces souffrances et permettre à l’aide humanitaire d’atteindre sans entrave l’ensemble de la bande de Gaza. »

    Un partenariat coordonné par les Nations Unies, et regroupant 15 organisations internationales et agences de l’ONU enquêtant sur la crise de la faim à Gaza, a averti le 18 mars que « toutes les preuves indiquent une accélération majeure des décès et de la malnutrition ». Les organisations avaient alors ajouté que dans le nord de la bande de Gaza, où selon les estimations, 70 pour cent des habitants sont déjà confrontés à une « faim catastrophique », la famine pourrait survenir à tout moment entre la mi-mars et le mois de mai.

    #Famine #Génocide #ONU

  • C’est pas le gros drame, mais ça me semble la suite du psycho-drame de Carnon qui veut faire payer le parking du Grand Travers, mais qui est (était ?) bloqué parce que le terrain ne lui appartient pas (ça appartient au Littoral)… : hier donc il faisait 28°, alors évidemment entre les vacances, le week-end et la chaleur, tout #Montpellier s’était donné rendez-vous à la plage. Et la plage familiale de Montpellier, c’est le Grand Travers, entre Carnon et la Grande Motte.

    Arrivé là, le parking du Grand Travers (le grand parking gratuit de 1000 places que la municipalité rêve de rendre payant) est fermé, depuis des mois, pour cause de « travaux ». Et l’autre parking (le payant, un peu plus petit), hé ben il est fermé aussi (pourquoi ? on ne sait pas).

    Donc hier, toutes les familles de Montpellier en train d’errer pour réussir tenter de trouver une place pour se garer. (Mission impossible : j’ai déposé la familia à la plage et je suis allé dessiner à La Grande Motte.)

    (Et pour les ceusses qui ne suivraient pas : Carnon, c’est aussi un de ces bleds qui ne veulent surtout pas faire partie de la Métropole de Montpellier et qui refusent absolument que le tram aille jusqu’à la mer. J’y ai habité pendant mes études : c’est même pas vraiment une ville qui existe avec des habitants : c’est une station balnéaire vide la plupart de l’année, avec des studios à louer l’été. Le reste du temps, c’était la même ambiance que dans 28 Jours plus tard. La seule raison d’être de ce truc, c’est de maximiser le pognon soutiré aux touristes, mais en ne vivant surtout pas là. Et donc, autant que possible, éviter que les habitants de Montpellier et la région viennent profiter de la plage, parce que ce ne sont pas les consommateurs captifs dont on veut.)

  • German colonial genocide in Namibia the #Hornkranz massacre

    Introduction

    On 12 April 1893, German colonial troops attacked the Nama settlement of ||Nâ‡gâs, known today as Hornkranz. Their intent was to destroy the settlement and its people, after its leader, Hendrik Witbooi, refused to sign so-called ‘protection’ treaties—tools of the German colonial administration for controlling sovereign indigenous nations and their lands. As their presence in what they declared in 1885 as ‘German Southwest Africa’ grew, the German regime was increasingly unwilling to tolerate the independence and agency exercised by Hendrik Witbooi and his clan in the face of the encroaching German empire.

    In their attack on Hornkranz, the Germans wanted to both make an example of the Witbooi clan and to punish them for their defiant rejection of German rule. Curt von Francois, who led the attack, made his objective clear: ‘to exterminate the Witbooi tribe’ (Bundesarchiv, R 1001/1483, p. 46). In this premeditated act of erasure, his troops massacred almost eighty women and children before capturing another hundred, burned what remained of the settlement to the ground, and established a garrison, rendering it impossible for survivors to return.

    Though the genocide of the Nama, Ovaherero and other peoples indigenous to what is now modern-day Namibia is widely recognised to have taken place between 1904 and 1908, the Nama people remember this massacre as the true first act in the genocide against them. This is substantiated not only by the clarity of the German objective to destroy the |Khowesin as a people, but also by the retrospective reading of Hornkranz as a clear precedent of the systemic tactics of dispossession and destruction that would be used by the Germans against the Nama, the Ovaherero, the San, and others in the years to come.

    Outside of the descendant communities, the events at Hornkranz have until now been overlooked and underrepresented, as has the cultural significance of the settlement itself within the dominant historiography, broadly based on the German visual and narrative record. The site of the former Witbooi settlement was expropriated and today constitutes a private farm, access to which is possible only with special permission from its owner. The descendants of Hornkranz are rarely able to visit their own cultural heritage sites and commemorate the struggle of their ancestors.

    The faint extant traces of the Witbooi settlement at Hornkranz can be identified today only with the guidance of the descendants and the historians that learned from them. Two plaques on the site are the only indications of the Nama presence on that land. One plaque was inaugurated by the community in 1997, the only occasion on which they were able to gather to commemorate the massacre at the site where it took place. The other plaque (date unknown) glorifies the German troops, even going so far as to include an offensive slur for the Nama; the massacre is described as a ‘battle’, conveying little of the atrocities perpetrated there.

    The descendants of Hornkranz and the wider Nama community continue to struggle for justice and for opportunities to correct the historical record and tell the story of Hornkranz on their own terms. In support of their efforts to resist this erasure, we worked with descendants, who have inherited knowledge of their community’s history through oral transmission over multiple generations, to reconstruct the lost settlement and produce a new body of visual evidence about the massacre and its aftermath. Led by their testimonies, we used modelling and mapping techniques along with our own field research and a very limited archival record to situate their accounts and rematerialize Hornkranz.

    Our reconstruction of the Witbooi settlement at Hornkranz aims to underscore the vitality of oral tradition in the act of reconstituting the colonial archive and testifies to the oral transmission of inherited knowledge as an ongoing act of resistance in itself.
    Background

    The |Khowesin (Witbooi) people, a semi-nomadic subtribe of the wider Nama peoples, settled around the perennial spring at Hornkranz in 1884-1885, the very period during which the Berlin Conference, formalising the fragmentation of Africa into colonies and protectorates, was taking place. The chief of the Witbooi clan, Hendrik Witbooi, later went on to become one of the most prominent figures of anti-colonial resistance in Southwest Africa, uniting all Nama clans and later forming a coalition with the Ovaherero to fight against the German colonial regime.

    Following the establishment of their settlement in Hornkranz, the Witbooi Nama lived relatively undisturbed until 1892, when first attempts to compel Hendrik Witbooi into signing a protection treaty began. Hendrik Witbooi, aware that the true objective of the so-called ‘protection treaties’ was nothing short of subjugation, was the last leader to refuse to comply:

    What are we being protected against? From what danger or difficulty, or suffering can one chief be protected by another? […] I see no truth or sense, in the suggestion that a chief who has surrendered may keep his autonomy and do as he likes.

    The German attempt to secure control over the peoples inhabiting the colony and their land is manifested in their mapping efforts. The first map we found featuring Hornkranz dates to 1892, the same year that the Germans began demanding the Witbooi sign such treaties. Despite Witbooi’s refusal to sign, Hornkranz is labelled in these German maps as ‘proposed Crown Land’ already six months before the attack—the very act of cartographic representation prefiguring the expulsion and massacre to follow less than a year later.

    After the Germans attacked Hornkranz, the Witboois were finally forced to concede and sign one of the protection treaties they had so long been resisting.

    A decade later, in 1904, the Nama joined the Ovaherero in an anti-colonial struggle against German rule. In response, the Germans issued an extermination order against the Ovaherero and later, another against the Nama. Hendrik Witbooi died in battle on 29 October 1905. Following his death, the Nama tribes surrendered. The extermination order against the Nama was never revoked.
    12 April 1893: The Attack and Aftermath

    The German troops approached the settlement in the early hours of 12 April, planning to attack under the cover of night without any warning. They then split into three contingents—a recounting of this strategy is recorded in the diary of Kurd Schwabe, one of the perpetrators of the attack. Von Francois led the attack from the northern side, entering the village first, while Schwabe approached from the east.

    Hendrik Witbooi, who was allegedly sitting outside of his house when he noticed the approaching troops, ordered all Nama fighters to retreat and take up defensive positions along the riverbed, where he expected the ensuing battle to take place. Instead, the German troops stopped when they reached the sleeping village and proceeded to target the defenceless population that had stayed behind. The brutality of the onslaught came as a shock to Hendrik Witbooi, who had not expected the Germans to unleash such ‘uncivilised’ tactics upon another sovereign nation.

    Sixteen thousand rounds of bullets were reportedly discharged by the Germans in the span of just thirty minutes. According to the testimony of descendants and corroborated by Schwabe’s diary, some victims were burned alive in their homes.

    The canisters recovered from the site during our fieldwork in September 2023 indicate where some exchange of fire may have taken place while the Witbooi fighters were retreating. While the found bullets were identified as those used by the Witbooi Nama, their location and distribution also corroborates written descriptions of the massacre unfolding in the inhabited area of the settlement, with stored ammunition exploding from inside the burning houses.

    The massacre yielded 88 victims: ten men, including one of Hendrik Witbooi’s sons, and 78 women and children.

    The following day, the German troops returned to raze what remained of the settlement to the ground. Promptly after, a garrison was established on the ashes of the Witbooi settlement, reinforcing the Germans’ clear intention to claim the land and prevent the Witboois from ever returning.

    Over the next year, the Witbooi Nama made several attempts to return to Hornkranz, resulting in four more skirmishes on the site. Eventually, they were forced to sign a protection treaty in Naukluft in August 1894, which cemented the dispossession of their land.

    The treaty meant that the Witbooi Nama were now obliged to assist the Schutztruppen in their battles against other tribes, most devastatingly at the Battle of Waterberg in August 1904 (see our Phase 1 investigation of this event). Once the Nama realised the true genocidal intent of the Schutztruppen, they united with the Ovaherero against colonial rule. The extermination order against the Nama was issued on 22 April 1905.

    After the genocidal war ended in 1908, Hornkranz was sold off to a private owner and a police station was established on its premises. Today, the police station building is the main farmhouse.

    Nama descendants are seeking to establish the 1893 massacre as the first act of genocide against the Nama, and 12 April as the official Genocide Remembrance Day in Namibia.

    This investigation—part of a larger collaboration between Forensic Architecture, Forensis, Nama Traditional Leaders Association (NTLA) and Ovaherero Traditional Authority (OTA)—seeks to support the community’s broader efforts to make the site accessible for commemoration and preservation.

    Methodology
    What Remains

    Little material evidence of Hornkranz survives today. This is in part due to the scale and totality of destruction by the Germans; but it is also a testament to the Witbooi’s steadfast resistance to being documented by the colonial regime, as well as to the light footprint the Nama exerted on the land through their semi-nomadic inhabitation and subsistence. The archival record about the Witbooi and Hornkranz is also sparse and skewed. Alongside an incomplete and biased colonial description of the massacre and the settlement, the only visual representation of Hornkranz on record is a soldier’s crude sketch showing its houses set alight by the German troops on the night of the massacre. The memory of Hornkranz as it was at the time of the attack lives on instead through the descendant communities who have inherited the testimonies of their forebearers about its material culture, rituals, life and environmental practices; our reconstruction and understanding of Hornkranz is possible only insofar as we are led by their testimonies.

    Around the rectangular patch where Hendrik Witbooi’s house once stood, Maboss Ortman and Lazarus Kairabeb, NTLA advisors, identified stones they said are the ruins of the house. Right next to it is the only stone foundation in the settlement, that of a church still under construction at the time of the German assault. These two traces anchored us spatially when we began the 3D reconstruction. We were told by Zak Dirkse, a Nama historian, that Hendrik Witbooi’s house was located higher up in the settlement, with the other houses further down toward the river.

    The other remains and known landmarks of the original Hornkranz settlement help us to navigate it and determine its approximate boundaries. During our visit to the site, the farm owner pointed us to a long strip of clustered stones he explained were the remains of the settlement’s defensive walls, some 300 metres north-west of the church ruins. To the south, by the river, the settlement’s former cemetery is marked by the spread of small rectangular cut stones marking each grave. Further along the river, Maboss and Lazarus showed us the remains of two defensive ramparts, guard outposts downhill from the settlement on its outer edges. They recounted that these ramparts were identifiable to the Witbooi from a distance by a white cornerstone that stands out among the brown stones the rest of the rampart is made of. The ramparts are placed along the hill leading down to the river and would have had a wide lookout view. A few steps to the west of one of the ramparts, we found what brought the Witbooi to this area, a rare perennial spring, which acted not only as a fresh water source for the village, but as a lifeline to the fauna and flora on which the Witbooi relied to survive. Since the early 20th century, this spring has been surrounded to its north by a concrete dam. By establishing this constellation of remains and landmarks, we were able to clarify the approximate outer edges of the settlement.

    Reconstruction

    To reconstruct the Hornkranz settlement, departing from the few architectural landmarks at our disposal, we replicated the architecture of each house and the elements of family life around it, estimated the area of inhabitation within the settlement, and constructed possible layouts of house distribution within the settlement. This reconstruction was led by the close guidance of descendants of the Witbooi we met with in Gibeon, the expertise of Nama historian Zak Dirkse, and the feedback of the Witbooi Royal House council, the representative body of the Witbooi Nama. Our model represents the most comprehensive visual reconstruction of the Witbooi settlement to date.

    Architecture of the Settlement

    Houses in Hornkranz consisted mostly of round domed huts, between four and five metres in diameter, and constructed with cladding made out of reed mat or a mix of animal dung and clay. Zak explained that these huts would have been constructed on a light foundation made up of the same dung and clay mixture spread on the ground. A central pole would act as the main structural pillar on which the reed mats would rest. According to members of the Witbooi descendants, alongside these huts there would have been other houses built of stone, like that of Hendrik Witbooi. Descendants also explained that houses typically had two entrances opposite one another and positioned on an east-west axis with the main entrance facing east.

    Working with the community descendants and Zak, we used 3D modelling software to reconstruct what a typical family home would have looked like. We were told that outside the houses, many families would have had a round kraal lined with a light wooden fence where they kept smaller livestock. Close to the main entrance, they would also have had a fireplace and a simple wooden rack to hang and dry meat. The main kraal of the settlement was near the chief’s house, where a separate storage hut also stood.

    The light environmental trace of the Nama, the German colonial army’s obliteration of the settlement, the failure of subsequent administrations to engage in preservation efforts, and the conversion of the land into a private farm all make it difficult to locate definitive traces of the layout and location of homes based on what little remains at the modern-day site. Nevertheless, by closely reading the texture of the ground, we found possible traces of cleared, round areas surrounded by larger rocks, and noted areas of sparse vegetation growth, a potential indicator of the impact of the huts’ clay-dung foundations. We marked five possible sites where Witbooi homes might have stood.

    Zak explained that a defensive wall would have flanked the settlement along its more vulnerable northern and eastern fronts. We studied the contours of the landscape to estimate, based on the presence of limited remains, how the wall might have cut through the landscape. We estimate that the eastern wall may have been constructed along the peak of the hill to the settlement’s east, given its optical reach and defensive position.

    Area of Inhabitation

    To estimate the area of inhabitation and the settlement’s population, we studied the remaining ruins of the settlement, the terrain of the landscape, and the land’s geological features.

    Houses, we were told, would have been built on flatter ground. We used a 12.5 metre resolution digital elevation model (DEM) to build the terrain in our 3D model and further analysed it in geographic information system (GIS) software. From the DEM, we extracted the contour lines of the landscape and conducted a slope analysis, which calculates the percentage of slope change in the settlement. Analysis of the contours and the areas of low slope help to define the curvature of the settlement’s inhabitation.
    Contour Analysis - 1 metre contours of the site of Hornkranz derived from a digital elevation model (DEM). (Forensic Architecture/Forensis)

    We then traced and excluded uninhabitable geological features from the area of potential inhabitation, including bodies of water and large embedded rock formations. Together, the land’s features, its topography, and our estimated location of the defensive wall help establish where people may have lived.

    Layout of Hornkranz

    Building on the traces of potential houses we previously identified within the landscape and the descendant’s description of the settlement, we were able to algorithmically model potential layouts of the settlement. We used the 3D procedural modelling software application Houdini to design an algorithm that would generate possible layouts of the settlement according to a set of rules, including our defined area of potential inhabitation and the approximate space each household would need for its family life (which we approximate to be a radius of 10 metres). The rules fed to the algorithm were that the houses had to be at least 20 metres apart, each house was approximately 5 metres in size, and there were sixty houses in total with a deviation of +/- ten houses.

    According to the Hornkranz descendants, there would have been around four to six people per household. With an average of five people per household, we estimate the population to be around 300 people per household.
    Number of inhabitants

    The exact population size of Hornkranz at the time of the attack is not known. Sources provide estimates ranging from 250 up to nearly one thousand inhabitants.

    In addition to the members of the |Khowesin Nama clan, Hendrik Witbooi also gathered followers from other clans at Hornkranz, including the ǀAixaǀaen (Afrikaner Oorlams), ǁKhauǀgoan (Swartbooi Nama), Khaiǁkhaun (Red Nation Nama) and ǂAonin (Topnaar Nama). Indeed, the various Nama subtribes were elastic social entities.

    We estimated the 1893 population of Hornkranz by referencing the reported number of individuals killed and captured. Hendrik Witbooi wrote in his diary that 88 people were killed by the Germans that day, 78 of them women and children and ten of them men, with one hundred women and children captured by German colonial forces. Other sources indicate a similar number of casualties: 85 women and children, and ten men (Missonary Olpp, cited in Steinmetz 2009). Descendant narratives also mention the successful escape of some women and children during the German assault. Assuming that before the attack, women and children totalled at least 178 (according to Hendrik Witbooi’s figures), and that women and children made up around three out of five family members in an average household, we estimate there could have been around sixty households and three hundred people in Hornkranz on the dawn of the German attack.

    https://forensic-architecture.org/investigation/restituting-evidence-genocide-and-reparations-in-german-colon

    #Allemagne #colonialisme #massacre #génocide #Namibie #architecture_forensique #histoire #histoire_coloniale #témoignage #Nama #Hendrik_Witbooi #Witbooi #Curt_von_Francois #Ovaherero #San

    ping @reka

  • Mousson brune – Fascisme et résistances en Inde - La Horde
    https://lahorde.info/Mousson-brune-Fascisme-et-resistances-en-Inde

    Le mensuel #CQFD publie un dossier sur l’Inde fasciste de Modi Le 14 juillet dernier, Emmanuel Macron décerne au Premier ministre indien, Narendra Modi, la Grand-croix de la Légion d’honneur. Pour quel motif officiel ? On ne se rappelle plus trop. N’empêche que l’Inde confirmait quelques jours plus tard l’achat de 26 avions Rafale et de trois sous-marins Scorpène. Fin janvier 2024, c’est #Macron qui participait au jour de la République de l’Inde. Il n’était pas là pour empêcher le départ contraint de Vanessa Dougnac, pigiste du Point et de La Croix, présente depuis 25 ans sur le territoire, mais dont le travail a été jugé « contraire aux intérêts de la souveraineté et de l’intégrité de l’Inde ». Il était là pour sceller une « alliance de défense inédite » avec un régime en train de basculer dans le fascisme.

    « Parler de fascisme, c’est être à la hauteur de la gravité de la situation »
    https://cqfd-journal.org/Parler-de-fascisme-c-est-etre-a-la

    Autrice d’un ouvrage sur la guérilla armée en Inde, l’anthropologue indo-britannique Alpa Shah vient de publier une enquête sur la répression du mouvement social indien. À la veille d’un 3e mandat présidentiel pour Modi, c’est l’occasion de discuter avec elle du basculement de la « plus grande démocratie du monde » vers le #fascisme.

  • Les territoires des émeutes
    https://laviedesidees.fr/Les-territoires-des-emeutes

    Le haut niveau de #ségrégation urbaine constitue le meilleur prédicteur des violences. La différence la plus marquante entre 2023 et 2005 est l’entrée en scène des villes petites et moyennes, où les adolescents de cités d’habitat social s’identifient aux jeunes des banlieues de grandes métropoles.

    #Société #jeunesse #banlieue #révolte #urbanisme #gilets_jaunes
    https://laviedesidees.fr/IMG/pdf/20240412_emeutes.pdf

    • Conclusion

      Le retour sur les émeutes de #2005 a permis de mettre en évidence à la fois des continuités et des changements par rapport à celles de #2023. Si de façon générale, les communes les plus défavorisées ont de plus fortes probabilités de connaître des émeutes, c’est surtout la ségrégation des situations sociales les plus précaires et des immigrés dans des quartiers spécifiques (#QPV) qui apparaît comme un élément de contexte crucial. À profil social et urbain équivalent, avoir un QPV augmente de façon très significative la probabilité de connaître des émeutes. De plus, cette #ségrégation_sociale et ethnique s’accompagne d’une forte #ségrégation_scolaire dont nous avons pu mesurer également l’impact : plus elle est importante, plus les émeutes sont intenses et violentes.

      Les quartiers en question sont ceux directement concernés par la #politique_de_la_ville (QPV, #PNRU, #NPNRU) depuis plusieurs décennies. Si des changements sont indiscutables sur le plan de l’amélioration du cadre de vie des habitants et plus particulièrement des #conditions_de_logement, un grand nombre de ces quartiers continuent de concentrer une large part de la jeunesse populaire d’origine immigrée, celle la plus touchée par la #relégation, les #discriminations et les #violences_policières, et donc celle aussi la plus concernée par les émeutes. Si la #mixité_sociale et ethnique s’est sensiblement améliorée dans certains quartiers, d’autres demeurent des espaces de très forte #homogénéité_sociale et ethnique, que l’on retrouve dans les #écoles et les #collèges. Ceux où les interventions de l’#ANRU ont été moins intenses ont même vu le nombre de ménages pauvres augmenter. En Île-de-France, la quasi-totalité des communes qui avaient connu des émeutes en 2005, pourtant concernées par la politique de la ville, en ont connu également en 2023.

      Notre approche socio-territoriale met d’autant plus en évidence les limites d’une analyse au niveau national, que les émeutes de 2023 se sont diffusées dans un plus grand nombre de petites villes et villes moyennes auparavant moins touchées par ces événements. Cette plus grande diversité territoriale est frappante lorsque l’on compare les banlieues des très grandes métropoles, à commencer par les banlieues parisiennes, aux #petites_villes et #villes_moyennes. Le poids du #logement_social, de l’immigration, la suroccupation des logements, le niveau de #pauvreté, mais aussi la façon dont ces dimensions se rattachent aux #familles_monoparentales et nombreuses, renvoient à des réalités différentes. Pourtant, dans tous les cas, la ségrégation joue un rôle déterminant.

      Cette approche contextuelle ne suffit pas à expliquer l’ensemble des mécanismes sociaux à l’œuvre et ce travail devra être complété à la fois par des analyses plus fouillées et qualitatives, ciblées sur les réseaux sociaux, la police et les profils des protagonistes, mais aussi des études de cas renvoyant aux différentes configurations socio-territoriales. Des études qualitatives locales devraient permettre de mieux comprendre comment, dans les différents contextes, les dimensions sociales et ethno-raciales interagissent lors des émeutes. Cela permettrait par exemple de mieux saisir l’importance de la mémoire des émeutes dans les quartiers populaires des banlieues des grandes métropoles, sa transmission et le rôle des réseaux militants et associatifs. Dans le cas des petites villes et des villes moyennes, la comparaison avec le mouvement des Gilets jaunes apporte un éclairage particulièrement intéressant sur l’intersection et la différenciation des formes que peuvent prendre la colère sociale et le ressentiment.

      #émeutes #violence #villes #urban_matter #violences_urbaines #banlieues #ségrégation_urbaine #violences #statistiques #chiffres

  • Ces géants qui dominent le commerce agricole mondial

    En quelques décennies, une toute petite poignée d’acteurs a pris le contrôle du commerce mondial agricole, des #terres à la #finance. C’est le constat dressé par la Conférence des Nations unies sur le commerce et le développement. Peut-on laisser à quelques groupes le destin de la sécurité alimentaire mondiale ?

    C’est un #oligopole dont on ne sait presque rien, parfois même pas son nom. Une poignée d’acteurs inconnus du grand public dominent le #commerce_mondial agroalimentaire. Mais ils font tout pour se faire oublier et cacher les empires qu’ils ont construits au fil des ans, ainsi que l’emprise qu’ils ont conquise sur le monde.

    La Conférence des Nations unies sur le commerce et le développement (Cnuced) a dénombré quatorze grands groupes régnant sur ce secteur. À eux seuls, les quatre premiers – #Cargill, #Archer_Daniels_Midland, #Bunge, #Louis_Dreyfus – contrôlent quelque 70 % du marché agricole mondial, selon ses estimations.

    L’envolée des #prix alimentaires partout dans le monde, nourrissant une #inflation planétaire mais aussi des pénuries et des risques aggravés de #crise_alimentaire dans les pays les plus pauvres, a amené l’institution internationale à se pencher longuement dans son dernier rapport annuel sur le rôle exercé par ces géants de l’#agrobusiness dans cette période. Il paraît écrasant.

    Si les superprofits des pétroliers ont été au cœur de toutes les discussions, ceux des géants de l’agrobusiness sont passés inaperçus. Pourtant, ils ont été les autres grands gagnants de la succession de crises (sortie de la pandémie, guerre en Ukraine, tensions géopolitiques) qui se sont enchaînées à un rythme effréné au cours des quatre dernières années.

    Celles-ci se sont traduites par une volatilité inédite du cours de toutes les matières premières agricoles (#blé, #soja, #maïs, #tournesol, #riz, #sucre, #café, #cacao) dont ces grands groupes ont su tirer parti au mieux de leurs intérêts. En 2022, Cargill, Archer Daniels Midland, Bunge et Louis Dreyfus ont réalisé un bénéfice cumulé de plus de 17 milliards de dollars, soit près du triple de leurs résultats de 2020. « Les #bénéfices totaux des neuf grandes sociétés d’#engrais au cours des cinq dernières années sont passés d’une moyenne d’environ 14 milliards de dollars avant la pandémie, à 28 milliards de dollars en 2021, puis au chiffre incroyable de 49 milliards de dollars en 2022 », ajoute le rapport de la #Cnuced.

    Les tensions sur les matières premières agricoles se sont un peu dissipées en 2023. Mais l’été dernier, comme le rappelle la Cnuced, « le prix du blé restait deux fois supérieur au cours d’avant la pandémie ». Cela est vrai pour pratiquement tous les prix agricoles, sans parler des cas spécifiques comme le cacao ou le café, qui atteignent actuellement des cours stratosphériques. Penser que des prix agricoles élevés profitent aux producteurs, « c’est ignorer le rôle majeur joué par ces groupes internationaux d’agrobusiness qui contrôlent nombre de liens dans la chaîne de valeur mondiale et dans la dynamique de la formation des prix du système mondial alimentaire », insiste l’institution des Nations unies.

    De ces groupes, on ne sait pratiquement rien. Sur les quatorze groupes repérés comme les plus importants par la Cnuced, « huit seulement sont cotés en bourse et publient leurs comptes », souligne le rapport. Tous les autres prospèrent à l’abri des regards. Jouant des frontières et des gouvernements, tous cultivent l’opacité, utilisent les failles et les porosités du système pour évoluer dans une totale impunité.

    Souvent partis du négoce, ils n’ont cessé d’étendre leur emprise, prenant le contrôle d’usines de transformation, de capacités de stockage, de compagnies de transport. Puis ils ont mis la main sur les semences et les engrais, avant de devenir de gigantesques propriétaires fonciers. Ils contrôlent désormais des centaines de milliers d’hectares en Ukraine, au Brésil, en Argentine, en Australie, au Canada. En un mot, dans tous les grands pays agricoles où ils peuvent pratiquer des cultures intensives à échelle industrielle, en pratiquant des déforestations massives, s’il le faut.

    Ils sont en position de dicter leurs conditions aux producteurs locaux et aux gouvernements, d’influencer les modes d’alimentation de toute la planète. Demain, ils n’hésiteront pas à mettre en danger les approvisionnements mondiaux, beaucoup étant prêts à troquer la production alimentaire pour celle d’agrocarburants, estimée beaucoup plus rémunératrice.

    Au cours de décennies de fusions et d’acquisitions, « de tels groupes ont pu étendre leur influence de haut en bas de la chaîne d’approvisionnement, tout en amassant d’énormes quantités de données de marché. Si une poignée de sociétés continue de détenir un pouvoir démesuré sur les systèmes alimentaires mondiaux, toute politique visant à atténuer les effets à court terme de la flambée des prix alimentaires sera vaine à long terme », prévient la Cnuced.
    Dans les pas de la finance de l’ombre

    Car un autre changement majeur est intervenu au cours des quinze dernières années, qui n’a pas été suffisamment analysé, selon le rapport : ces géants de l’agrobusiness ont non seulement changé de dimension, mais aussi de nature. Ils sont devenus des acteurs financiers à part entière – le manque de régulation sur les marchés des matières premières leur permettant d’exercer un pouvoir déterminant sur les cours et dans la formation des prix.

    Parce que les marchés agricoles sont par nature chaotiques, que les lois de l’offre et de la demande ne s’appliquent pas conformément aux théories classiques, ils ont toujours été très liés à la finance et à la spéculation. Ce sont ces marchés qui, les premiers, ont élaboré et mis en œuvre les produits dérivés financiers, négociés de gré à gré (over the counter – OTC) afin de couvrir les risques de fluctuation des prix à court, moyen et long terme.

    Mais à partir des années 1980, de nouveaux acteurs sont entrés dans le jeu : des banques et surtout nombre d’acteurs de la finance de l’ombre (hedge funds, fonds d’investissement, gestionnaires d’actifs, etc.) sont entrés sur ces marchés. Profitant de la déréglementation des marchés agricoles, ils ont investi les lieux, développé des produits dérivés financiers de plus en plus sophistiqués, ne s’appuyant plus du tout sur des contreparties physiques, et alimentant la spéculation.

    Depuis la crise de 2008, la situation a encore évolué. Les grandes sociétés de négoce ont mis leur pas dans ceux de la finance de l’ombre, allant bien au-delà de la couverture de leurs risques. Ayant à leur disposition des informations de marché que les autres n’avaient pas, elles se sont vite imposées comme des acteurs incontournables.

    « Dans ce contexte, les très grands groupes internationaux de négoce en sont arrivés à occuper une position privilégiée, en termes de fixation des prix, accédant aux financements et participant directement aux marchés financiers, affirme encore le rapport de la Cnuced. Cela a permis non seulement des opérations spéculatives sur les plateformes organisées, mais aussi un volume grandissant de transactions entre individus ou de gré à gré sur lesquelles la plupart des gouvernements des pays avancés n’ont aucune autorité ou contrôle. »
    Démultiplications spéculatives

    Les dernières années de tensions et de risques de pénuries sur les marchés agricoles ont décuplé les appétits, poussés par l’appât du gain. Selon les chiffres publiés par la Banque des règlements internationaux, le montant total des dérivés négociés de gré à gré sur les produits agricoles, l’énergie et les métaux, a atteint un pic de 886 milliards de dollars à la mi-2022, contre une moyenne de 200 milliards de dollars avant 2020. La valeur notionnelle de ces contrats représentait alors plus de 2 000 milliards de dollars.

    L’ampleur de ces sommes illustre la puissance déstabilisatrice de la finance sur ces marchés essentiels. Tous ont empoché des milliards de superprofits au détriment des populations mondiales. Une étude récente de la Société générale indique que le groupe des dix principaux fonds « dynamiques » avait réalisé un profit de 1,9 milliard de dollars sur des contrats de blé, de maïs et de soja, au début de la guerre en Ukraine, quand les cours des produits agricoles s’envolaient, après avoir perdu de l’argent sur les mêmes contrats dans les périodes précédentes.

    Dans quelle mesure les grands groupes qui contrôlent les échanges mondiaux agricoles ont-ils utilisé leur énorme pouvoir de marché pour pousser la spéculation et augmenter leurs profits ? La Cnuced est incapable de le dire. L’opacité qui règne sur ces marchés, le manque de données fiables et l’absence de régulation et de contrôle empêchent d’avoir une vision précise sur ce qu’il se passe.

    Pour la Cnuced, cependant, le fait qu’une poignée de grands groupes ait acquis une telle taille et une telle importance sur les marchés agricoles, possédant à la fois les données essentielles et des moyens financiers immenses, des instruments financiers négociés dans l’ombre, hors du regard de tout régulateur, laisse la porte ouverte à toutes les manipulations et à toutes les manœuvres.

    La faillite de la régulation

    « Les failles dans les systèmes de régulation n’ont cessé de s’élargir », note le rapport, et d’être mises à profit par les grands groupes de négoce et les traders de matières premières. Toutes les tentatives pour apporter de la lumière sur ces marchés et renforcer la réglementation ont jusqu’à présent échoué. Les réglementations restent parcellaires, multiples, changeant souvent d’une frontière à l’autre.

    Lors de la crise financière de 2008, les législateurs se sont bien gardés de toucher aux marchés de matières premières et à la finance de l’ombre, estimant qu’ils ne représentaient que des risques subalternes. De même, rien n’a été fait pour rapprocher les activités sur les marchés de matières premières et celles sur les marchés financiers, les régulateurs estimant qu’il s’agissait de deux mondes séparés.

    Les activités des grands groupes de négoce démontrent désormais que ces deux sphères sont devenues intrinsèquement liées, les opérations financières venant en soutien – en vue souvent de maximiser les profits – des échanges agricoles. « Le profit n’est pas limité à un secteur spécifique mais est spécifique à des firmes particulières. Il est possible que des profits excessifs puissent être liés à une concentration, qui ne bénéficie seulement qu’à quelques acteurs mondiaux du secteur », écrit par euphémisme le rapport.

    La Cnuced estime qu’il est plus que temps de prendre acte de la défaillance des régulations actuelles, compte tenu des risques sous-jacents, menaçant aussi bien la sécurité alimentaire mondiale que la stabilité de la planète financière. Elle propose de multiples axes de réformes. Les uns portant sur la transparence et la limitation et le contrôle des instruments financiers, sur l’instauration d’une régulation mondial, les autres sur l’application renforcée des lois antitrusts : le commerce mondial alimentaire ne pouvant être laissé aux mains d’un oligopole qui agit dans son seul intérêt.

    https://www.mediapart.fr/journal/international/090424/ces-geants-qui-dominent-le-commerce-agricole-mondial
    #agriculture #industrie_agro-alimentaire #business #financiarisation #régulation

  • Les détenus d’opinion en Algérie : atteinte aux libertés & recul de démocratie.
    http://www.argotheme.com/organecyberpresse/spip.php?article4594

    Cette autre demande de libération des détenus d’opinion en Algérie est suivie de l’ouverture des espaces d’expression. Les droits sont bafoués alors que les médias induisent un travail d’une piètre qualité, offrant aux publics local et mondial des productions et contenus confus, médiocres, inintelligibles et sans moindre esthétique. Les appels de ce genre sont nombreux, pour impulser les libertés. Mais les bureaucrates qui dirigent, avec le soutien de l’armée, brandissent le prétexte de menace de déstabilisation... #nationale,_fait_politique,_une_et_première_page,_médias,_actualité,_pays,_france,_afrique,_maghreb

    / Afrique, Monde Arabe, islam, Maghreb, Proche-Orient,, Maghreb, Algérie, Tunisie, Maroc, Libye, Africa, population, société , fait divers, société, fléau, délinquance, religion , (...)

    #Afrique,Monde_Arabe,_islam,_Maghreb,_Proche-Orient, #Maghreb,_Algérie,_Tunisie,_Maroc,_Libye,_Africa,_population,_société #fait_divers,société,_fléau,_délinquance,_religion #_journaliste,_poète,_livre,_écrits #Journalisme,_presse,_médias #économie_ #Internet,_Web,_cyber-démocratie,_communication,_société,_médias

    • Thread by nevegordon on Thread Reader App – Thread Reader App
      https://threadreaderapp.com/thread/1774419491763478753.html

      The document assumed that Palestinians would be able to import only limited quantities of “basic food items,” such as flour, rice, oil, fruit, vegetables, meat, fish, powdered milk, and baby formula, which Israel calculated could be delivered with seventy-seven trucks a day.

      Adding medicine, medical equipment, and hygiene and agricultural products, the number of trucks allowed entry daily, five days a week, reached 106—plus sixty truckloads’ worth of wheat per week via Karni Crossing, bringing the total number of truckloads allowed to 118 daily.

      Such calculations, based on a model provided by the Ministry of Health (were doctors involved?), took for granted that the food entering Gaza would be distributed equally among the population, an assumption with no precedent in any historical or geographical setting.

      Israel assumed, too, that only 10 percent of the population’s dietary needs would be met by fruits and vegetables produced in Gaza—an implicit admission of how thoroughly the state had come to control Palestinians’ lifelines.

  • La #liberté_académique menacée dans le monde : « Les universitaires ont intérêt à s’exprimer ouvertement avant qu’il ne soit trop tard »

    En 2006, un citoyen sur deux vivait dans une zone de liberté académique, cette proportion est désormais d’un sur trois. Budgets universitaires en berne, difficultés pour s’exprimer sur des sujets sensibles… Dans un contexte d’#érosion_démocratique, la tendance est alarmante pour la #connaissance et le #bien_commun. Entretien avec #Katrin_Kinzelbach, spécialiste en politique internationale des droits de l’homme, à l’initiative de l’#indice annuel de liberté académique.

    (#paywall)

    https://www.lemonde.fr/sciences/article/2024/04/01/la-liberte-academique-menacee-dans-le-monde-les-universitaires-ont-interet-a
    #université #monde #facs #recherche #libertés_académiques #statistiques #dégradation #chiffres

    • #Academic_freedom_index

      Based on assessment of the de facto protection of academic freedom as of December 2023, the Academic Freedom Index Update 2024 provides an overview of the state of academic freedom in 179 countries and territories. In line with previous AFI reports, this year’s data demonstrates that academic freedom is under threat globally. Using the concept of growth and decline episodes at country level, this year’s update shows that 23 countries are in episodes of decline in academic freedom, but academic freedom is increasing in only ten countries. 3.6 billion people now live in countries where academic freedom is completely restricted. Taking a longer time period into account by comparing 2023 data with that of fifty years ago, we note more optimistically that academic freedom expanded in 56 countries.

      https://www.youtube.com/watch?v=gOj_1B2PIlE


      https://academic-freedom-index.net
      #rapport

    • L’état de la liberté académique dans le monde

      Basé sur une évaluation de la protection de facto de la liberté académique en décembre 2023, l’Academic Freedom Index Update 2024 donne un aperçu de l’état de la liberté académique dans 179 pays et territoires

      Conformément aux précédents rapports de l’AFI, les données démontrent que la liberté académique est menacée à l’échelle mondiale. Le rapport 2024 montre que 23 pays connaissent des épisodes de déclin de la liberté académique. Celle-ci n’augmente que dans dix pays. 3,6 milliards de personnes vivent désormais dans des pays où la liberté académique est totalement restreinte. En prenant en compte une période plus longue, en comparant les données de 2023 avec celles d’il y a cinquante ans, on constate malgré tout que la liberté académique s’est étendue dans 56 pays.

      L’Academic Freedom Index (AFI) couvre actuellement 179 pays et territoires et fournit l’ensemble de données le plus complet sur le thème de la liberté académique. L’AFI évalue les niveaux de facto de liberté académique à travers le monde sur la base de cinq indicateurs :

      - liberté de recherche et d’enseignement
      - liberté d’échange et de diffusion académique
      - autonomie institutionnelle
      - intégrité du campus
      - liberté d’expression académique et culturelle

      L’AFI repose sur des évaluations réalisées par 2 329 experts nationaux dans le monde entier, des questionnaires standardisés et un modèle statistique bien établi, mis en œuvre et adapté par le projet V-Dem. Le projet V-Dem est connu pour générer des données solides sur diverses dimensions de la démocratie. L’Academic Freedom Index utilise une méthode de modèle de mesure bayésienne pour l’agrégation des données : il fournit non seulement des estimations ponctuelles, mais rend également compte de manière transparente de l’incertitude de mesure dans l’évaluation globale de la liberté académique. Il est recommandé pour les utilisateurs de prendre en compte cette incertitude lorsqu’ils comparent les scores entre pays et dans le temps. Il est possible d’en savoir davantage sur ces recherches en consultant le site Web. De plus, un article d’introduction explique plus en détail la conception de cet index.

      Les données de l’Indice de liberté académique sont conservées dans l’ensemble de données V-Dem, qui comprend les évaluations de la démocratie les plus complètes et les plus détaillées au monde, ainsi que les données de l’AFI. La dernière version de l’ensemble de données et les documents de référence associés peuvent être téléchargés gratuitement sur le site Internet de V-Dem (pp. 238-243 & 322 Codebook). Mais il faut au préalable s’inscrire sur le site.

      Pour en savoir plus sur l’état actuel de la liberté académique dans le monde, on peut se référer à la mise à jour de l’ Indice de liberté académique et explorer les données sur la carte interactive.

      https://cartonumerique.blogspot.com/2024/04/liberte-academique.html
      #cartographie #visualisation