• The Complex But Awesome CSS border-image Property
    https://www.smashingmagazine.com/2024/01/css-border-image-property

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    via la-grange.net

  • Meloni, accordo con Rama prevede 2 centri migranti in Albania

    “L’accordo prevede di allestire centri per migranti in Albania che possano contenere fino a 3mila persone”. Lo ha detto la premier Giorgia Meloni dopo l’incontro a Palazzo Chigi con il primo ministro dell’Albania Edi Rama. “L’accordo che sigliamo oggi – ha aggiunto - arricchisce di un ulteriore tassello la collaborazione” tra i due Paesi e “quando ne abbiamo iniziato a discutere siamo partiti dall’idea che l’immigrazione illegale di massa è un fenomeno che nessuno Stato Ue può affrontare da solo e la collaborazione tra Stati Ue e Stati per ora extra Ue – per ora - è fondamentale”. “In questi due centri” i migranti resteranno “il tempo necessario per le procedure e una volta a regime nei centri ci potrà essere un flusso annuale complessivo di 36 mila persone”. “L’accordo non riguarda i minori e donne in gravidanza ed i soggetti vulnerabili – precisa – la giurisdizione sarà italiana. L’Albania collabora sulla sorveglianza esterna delle strutture. All’accordo che disegna la cornice, seguiranno una serie di protocolli. Contiamo di rendere operativi i centri in primavera”. (ANSA).

    https://it.euronews.com/2023/11/06/meloni-accordo-con-rama-prevede-2-centri-migranti-in-albania

    #Italie #asile #migrations #réfugiés #Albanie #accord #externalisation #centres

    ajouté à la Métaliste sur l’#accord entre #Italie et #Albanie pour la construction de #centres d’accueil (sic) et identification des migrants/#réfugiés sur le territoire albanais...
    https://seenthis.net/messages/1043873

    –-

    Et ajouté à la métaliste sur les différentes tentatives de différentes pays européens d’#externalisation non seulement des contrôles frontaliers, mais aussi de la #procédure_d'asile dans des #pays_tiers
    https://seenthis.net/messages/900122

    • Migranti, accordo Italia-Albania. Meloni: “Centri italiani nel loro Paese”. Il Pd: “Un pericoloso pasticcio”. Ue: “L’Italia rispetti il diritto comunitario”

      Il premier Edi Rama ricevuto a Palazzo Chigi dove è stato siglato un protocollo d’intesa in materia di gestione dei flussi. Accoglieranno fino a 3mila persone, solo coloro che saranno salvati in mare. Protestano + Europa e Avs

      La presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha ricevuto a Palazzo Chigi il primo ministro dell’Albania Edi Rama. «Sono contenta di annunciare con lui un protocollo d’intesa tra Italia e Albania in materia di gestione dei flussi migranti. L’Italia è il primo partner commerciale dell’Albania. C’è una strettissima collaborazione che già esiste nella lotta all’illegalità – dice Meloni durante le dichiarazioni congiunte con il collega albanese – L’accordo prevede di allestire due centri migranti in Albania che possano contenere fino 3mila persone. E arricchisce di un ulteriore tassello la collaborazione» tra i due Paesi e «quando ne abbiamo iniziato a discutere siamo partiti dall’idea che l’immigrazione illegale di massa è un fenomeno che nessuno Stato Ue può affrontare da solo e la collaborazione tra stati Ue e stati - per ora - è fondamentale».

      Un accordo contro cui si scagliano le opposizioni e che il Pd definisce “un pericoloso pasticcio”. Mentre da Bruxelles un portavoce della Commissione europea all’Adnkronos dice: «Siamo stati informati di questo accordo, ma non abbiamo ancora ricevuto informazioni dettagliate: l’accordo operativo deve ancora essere tradotto in legge dall’Italia e ulteriormente implementato. È importante che qualsiasi accordo di questo tipo rispetti pienamente il diritto comunitario e internazionale».

      L’incontro tra i due primi ministri è stata anche l’occasione per ribadire il sostegno dell’Italia all’ingresso di Tirana in Ue. "L’Albania si conferma una nazione amica e nonostante non sia ancora parte dell’Unione si comporta come se fosse un paese membro e questa è una delle ragioni per cui sono fiera che l’Italia sia da sempre uno dei paesi sostenitori dell’allargamento ai Balcani occidentali”. E ancora. «L’Ue non è un club. Quindi, io non parlo di ingressi ma di riunificazione dei Balcani occidentali che sono Paesi Ue a tutti gli effetti», osserva Meloni. Che ricorda anche come l’Italia sia «il primo partner commerciale dell’Albania. Il nostro interscambio vale circa il 20% del Pil albanese. Ci sono intensi rapporti culturali e sociali. È una strettissima collaborazione che già esiste nella lotta all’illegalità. L’accordo di oggi arricchisce questa collaborazione con un ulteriore tassello», conclude la premier.
      Le reazioni

      Se la destra plaude all’intesa tra l’Italia e l’Albania, le opposizioni insorgono. «L’accordo che il governo Meloni ha raggiunto con il governo albanese sembra configurarsi come un pericoloso pasticcio, parecchio ambiguo. Se infatti si è, come sembra, di fronte a richiedenti asilo, appare assolutamente inimmaginabile compiere con personale italiano e senza esborso di risorse, come annunciato, le procedure di verifica delle domande d’asilo», attacca Pierfrancesco Majorino, responsabile Politiche migratorie della segreteria nazionale del Pd. “Praticamente si crea una sorta di Guantanamo italiana, al di fuori di ogni standard internazionale, al di fuori dell’Ue senza che possa esserci la possibilita’ di controllare lo stato di detenzione delle persone rinchiuse in questi centri"., protesta Riccardo Magi, segretario di Più Europa. E Angelo Bonelli di Alleanza Verdi e Sinisra aggiunge: Quello che il governo ha definito come un ’importantissimo protocollo di intesa’ non è altro che una politica di respingimento mascherata da cooperazione internazionale. Il governo italiano –prosegue - sta delegando la gestione dei migranti irregolari, di fatto esternalizzando le proprie responsabilità, con il rischio di creare campi di permanenza che potrebbero non assicurare standard adeguati di accoglienza e rispetto per la dignità umana".

      Ma il ministro degli Esteri Antonio Tajani replica: «L’accordo rafforza il nostro ruolo da protagonista in Europa ed apre nuove strade di collaborazione nell’Adriatico. Contrasto all’immigrazione irregolare e bloccare la tratta di esseri umani. Queste le priorita’ della nostra politica estera».
      Il protocollo d’intesa

      Il protocollo d’intesa tra Italia e Albania in materia di gestione dei flussi migratori siglato oggi, secondo quanto si apprende da fonti di palazzo Chigi, non si applica agli immigrati che giungono sulle coste e sul territorio italiani ma a quelli salvati in mare, fatta eccezione per minori, donne in gravidanza e soggetti vulnerabili. Le strutture realizzate, viene spiegato, potranno accogliere complessivamente fino a 3mila immigrati, per una previsione di 39mila persone accolte in un anno. L’accordo si pone un obiettivo di dissuasione rispetto alle partenze e di deterrenza rispetto al traffico di esseri umani.

      La giurisdizione dei due centri per migranti in Albania sarà italiana, spiega ancora Palazzo Chigi. I migranti, viene precisato, sbarcheranno a Shengjin e l’Italia si occuperà delle procedure di sbarco e identificazione e realizzerà un centro di prima accoglienza e screening; a Gjader realizzerà una struttura modello Cpr per le successive procedure. L’Albania collaborerà con le sue forze di polizia per la sicurezza e sorveglianza. L’Albania, sottolinea ancora Palazzo Chigi, già vede un’importante presenza di forze dell’Ordine e magistrati italiani.
      Rama: “Se l’Italia chiama l’Albania c’è”

      “Se l’Italia chiama l’Albania c’è – risponde Rama – Non sta a noi giudicare il merito politico di decisioni prese in questo luogo e altre istituzioni, a noi sta rispondere ’Presente’ quando si tratta di dare una mano. Questa volta significa aiutare a gestire con un pizzico di respiro in più una situazione e difficile per l’Italia". «La geografia è diventata una maledizione per l’Italia, quando si entra in Italia si entra in Ue – spiega il premier Albanese – Noi non abbiamo la forza e la capacità di essere la soluzione ma abbiamo un dovere verso l’Italia e la capacità di dare una mano. L’Albania non fa parte dell’Unione ma è uno Stato europeo, ci manca la U davanti ma ciò non ci impedisce di essere e vedere il mondo come europei».

      https://www.repubblica.it/politica/2023/11/06/news/migranti_meloni_accordo_albania_edi_rama-419723671

      #Gjader #Shengjin #débarquement #identification #screening #premier_accueil #CPR

    • Migrants, accord Italie-Albanie. Meloni : « Des centres italiens dans leur pays ». Adhésion de Tirana à l’UE : « Nous l’avons toujours soutenue »

      Le Premier ministre Giorgia Meloni a reçu le Premier ministre de l’Albanie au Palazzo Chigi Edi Rama. “Je suis heureux d’annoncer avec lui un mémorandum d’accord entre l’Italie et l’Albanie sur la gestion des flux migratoires. L’Italie est le premier partenaire commercial de l’Albanie. Il existe déjà une collaboration très étroite dans la lutte contre l’illégalité – a déclaré Meloni lors de la réunion conjointe déclarations avec son collègue albanais – L’accord prévoit la création de centres de migrants en Albanie pouvant accueillir jusqu’à 3 mille personnes. Et il enrichit la collaboration « entre les deux pays avec une étape supplémentaire » et « lorsque nous avons commencé à en discuter, nous sommes partis du l’idée que l’immigration clandestine de masse est un phénomène auquel aucun État de l’UE ne peut lutter seul et que la collaboration entre les États de l’UE est – pour l’instant – fondamentale”.

      La rencontre entre les deux premiers ministres a également été l’occasion de réitérer le soutien de l’Italie à l’entrée de Tirana dans l’UE. “L’Albanie se confirme comme une nation amie et même si elle ne fait pas encore partie de l’Union, elle se comporte comme si elle en était un pays membre et c’est une des raisons pour laquelle je suis fier que l’Italie ait toujours été l’un des pays qui soutiennent l’élargissement. aux Balkans occidentaux”. Et encore. “L’UE n’est pas un club. Je ne parle donc pas d’entrées, mais de la réunification des Balkans occidentaux, qui sont à tous égards des pays de l’UE”, observe encore Meloni. Il rappelle également que l’Italie est “le premier partenaire commercial de l’Albanie. Nos échanges commerciaux représentent environ 20 % du PIB albanais. Il existe des relations culturelles et sociales intenses. C’est une collaboration très étroite qui existe déjà dans la lutte contre l’illégalité. L’accord d’aujourd’hui enrichit cette collaboration d’une étape supplémentaire”, conclut le Premier ministre.

      Le protocole d’accord entre l’Italie et l’Albanie sur la gestion des flux migratoires signé aujourd’hui, selon ce que l’on apprend de sources au Palazzo Chigi, ne s’applique pas aux immigrants arrivant sur les côtes et le territoire italiens mais à ceux secourus en mer, à l’exception de les mineurs, les femmes enceintes et les sujets vulnérables. Les structures créées, explique-t-on, pourront accueillir au total jusqu’à 3 mille immigrants, pour une prévision de 39 mille personnes accueillies par an. L’accord vise à dissuader les départs et à décourager la traite des êtres humains.

      « Si l’Italie appelle l’Albanie, elle est là – répond Rama – Ce n’est pas à nous de juger du mérite politique des décisions prises dans ce lieu et dans d’autres institutions, c’est à nous de répondre ‘Présent’ lorsqu’il s’agit de prêter un main. Cette fois, il s’agit d’aider à gérer une situation difficile pour l’Italie avec un peu plus de répit.” “La géographie est devenue une malédiction pour l’Italie, quand vous entrez en Italie, vous entrez dans l’UE – explique le Premier ministre Albanese – Nous n’avons pas la force et Nous avons la capacité d’être la solution, mais nous avons un devoir envers l’Italie et la capacité de lui donner un coup de main. L’Albanie ne fait pas partie de l’Union mais c’est un Etat européen, il nous manque le U devant mais cela ne nous empêche pas d’être et de voir le monde en Européens”.

      https://fr.italy24.press/local/1061085.html

    • Migrants: two structures to manage illegal flows, this is what the Italy-Albania #memorandum_of_understanding provides

      Two structures in Albanian territory under Italian jurisdiction which will serve to manage illegal migratory flows. This is the fulcrum of the memorandum of understanding signed today by Italy and Albania and announced by the Prime Minister Giorgia Meloni and the counterpart Edi Rama. Rama’s “surprise” visit was not officially announced until this morning when a brief note from Palazzo Chigi announced that the two heads of government would meet in the afternoon and that they would subsequently make statements to the press. The discretion of the two governments prevailed and, consequently, also the surprise effect at the time of the announcement. “It is an agreement that enriches the friendship between the two nations,” said Meloni at the time of the announcement, subsequently explaining the details of the agreement which focuses on three primary objectives: combating human trafficking, preventing it and welcoming who has the right to protection. “Albania will grant some areas of the territory”, where Italy will be able to create “two structures” for the management of illegal migrants: “they will initially be able to accommodate up to three thousand people who will remain here for the time necessary to process asylum applications and , possibly, for the purposes of repatriation", said Meloni, specifying that the agreement does not concern minors, pregnant women and vulnerable subjects.

      The prime minister also provided details on the areas which will host the two structures which, hopefully, will be ready by spring 2024. “In the port of Shengjin (the seaport located north of Albania) disembarkation and identification procedures will be taken care of, while in another more internal area another structure based on the Repatriation Retention Centers model will be created (Cpr)”, explained Meloni, adding that the Albanian police forces will cooperate to guarantee “the security and external surveillance of the structures”. According to Meloni, the agreement signed today is a further step in the close bilateral cooperation. “Mass illegal immigration is a phenomenon that EU member states cannot face alone and cooperation between EU states and, for now, non-EU states can be decisive,” said the Prime Minister, according to whom Albania confirms itself as a friend not only of Italy but also of the European Union. “Despite not yet being formally part of the EU, Albania is a candidate country but behaves as if it were already a de facto member country of the Union and this is one of the reasons why I am proud of the fact that Italy is has always been one of the greatest supporters of the entry of Albania and the Western Balkans into the Union", added Meloni, who defined the memorandum of understanding “an innovative solution” in the hope that “it can become the model for other agreements of this type”.

      Speaking at the end of Meloni’s statements, Prime Minister Rama – underlining that the idea for the agreement was born during the Prime Minister’s summer holiday in Vlore – he immediately wanted to point out that “when Italy calls, Albania is there”. “Albania is not an EU state, but it is in Europe. It is a European state, and this does not prevent us from seeing the world as Europeans,” said Rama. “We would not have made this agreement with any other EU state. There is an important relationship of a historical, cultural, but also emotional nature, which links Albania with Italy", continued the prime minister. “We can lend a hand and help manage a situation which, as everyone sees, is difficult for Italy. When you enter Italy, you enter Europe, the EU, but when it comes to managing this entry as an EU we know well how things go,” said Rama. “We don’t have the strength to be a solution, but I believe we have a duty towards Italy and a certain ability to lend a hand”, added Rama who then recalled how his country can boast a tradition of hospitality, which began by the thousands of Italians protected after the Second World War. “We have a history of hospitality”, Rama underlined, recalling that Albania welcomed more than half a million war refugees and those fleeing to survive the ethnic cleansing from Kosovo. “We also gave refuge to thousands of Afghan women when NATO abandoned Afghanistan, and to a few thousand Iranians,” added the Albanian prime minister.

      https://www.agenzianova.com/en/news/migrants-two-structures-to-manage-illegal-flows%2C-this-is-what-the-Ita
      #MoU

    • Migranti: Un #Protocollo_d’intesa con l’Albania, opaco, disumano e privo di basi legali

      Con l’ennesimo annuncio propagandistico del govern si apprende che Giorgia Meloni avrebbe concluso con il premier albanese Edi Rama un Memorandum d’intesa , che prevede – la realizzazione in Albania di due centri per il rimpatrio, che dovrebbero ospitare ogni mese fino a 3000 persone definite “irregolari”, ma solo se soccorse nel Mediterraneo da navi militari italiane, come quelle della Marina Militare e della Guardia di Finanza. Più precisamente, “l’Albania darà possibilità all’Italia di utilizzare alcune aree del territorio albanese dove l’Italia potrà realizzare, a proprie spese, due strutture dove allestire centri per la gestione di migranti illegali. Inizialmente potrà accogliere fino a 3mila persone che rimarranno il tempo necessario per espletare le procedure delle domande di asilo ed eventualmente rimpatrio”. I naufraghi saranno sbarcati a Shengjin e l’Italia si occuperà delle procedure di sbarco e identificazione e realizzerà un “centro di prima accoglienza e screening” a Gjader, che di fatto sarà una “struttura modello Cpr” per le successive procedure. I due centri dovrebbero servire per processare in 28-30 giorni le richieste di asilo e per detenere coloro che si vedranno respinta la richiesta di protezione, in vista del rimpatrio nei paesi di origine. Come ha annunciato Giorgia Meloni “Dei due centri, quello al porto si occuperà delle procedure di sbarco e di identificazione con una prima attività di screening mentre il centro che verrà realizzato nell’area più interna sarà una struttura modello Cpr”.

      Secondo quanto annunciato dalle stesse fonti governative in un anno si penserebbe addirittura di fare transitare in queste nuove strutture detentive, che dovrebbero essere sotto giurisdizione italiana, ma con “sorveglianza esterna” affidata alle autorità albanesi, circa 36.000 persone. Nulla è stato comunicato sulle modalità di rimpatrio e sulle autorità che saranno incaricate di eseguire gli accompagnamenti forzati, nè su quali autorità efettueranno i trasferimenti sotto scorta dai punti di sbarco in Albania ai centri di detenzione “sotto giurisdizione italiana”. Di certo, fin dal momento dello sbarco in Albania i migranti, già ritenuti comunque “illegali”, saranno totalmente privati della libertà personale. Come impone la sentenza n.105/2001 della Corte Costituzionale qualunque procedura di allontanamento forzato attuata da autorità italiane attraverso il trattenimento in un centro di detenzione deve essere convalidata dalla decisione di un giudice. Come sarà possibile realizzare queste garanzie in territorio albanese?

      La consegna delle persone soccorse in mare alle autorità albanesi, al momento dello sbarco, fino, presumibilmente, all’ingresso nei centri di detenzione, che si asserisce sarebbero “sotto giurisdizione italiana” potrebbe costituire una ipotesi di respingimento collettivo analoga a quella riscontrata e condannata dalla Corte europea dei diritti dell’Uomo nel caso Hirsi, quando nel 2009 una motovedetta della Guardia di finanza riconsegno alle autorità libiche, entrando nel porto di Tripoli, decine di naufraghi socorsi in acque internazionali (pratica illegale che comunque si protrasse fino al 2010, con trasbordi più discreti in alto mare, piuttosto che con l’ingresso delle unità militari italiane nei porti libici). In quell’occasione la Corte di Strasburgo affermò che sebbene il soccorso fosse avvenuto in acque internazionali, il codice della navigazione italiano, oltre che il diritto internazionale, riconoscono che sulla nave militare in alto mare si applica la giurisdizione dello stato della bandiera. Dunque, in quella occasione, tra il momento in cui i profughi venivano accolti a bordo delle navi italiane e quello in cui gli stessi erano consegnati alle autorità libiche a Tripoli, le autorità italiane avevano esercitato su di essi un controllo de facto che impegnava la responsabilità dello stato italiano per qualunque violazione dei diritti sanciti dalla Convenzione europea. La stessa considerazione potrà valere in futuro quando le autorità italiane consegneranno alle forze di polizia albanese i cittadini stranieri soccorsi in mare da unità militari italiane, ai fini del loro trasferimento forzato e dell’eventuale rimpatrio. Secondo il premier albanese, “Chi non ha diritto viene rimpatriato. Ma se l’Italia non riesce a fare i rimpatri dovrà riprenderseli”. La prova più evidente della riduzione delle persone a rifiuti da smaltire, la cifra morale e politica condivisa da Giorgia Meloni e da Edi Rama.

      Un progetto impraticabile e privo di basi legali, quanto previsto dal Memorandum sottoscritto dalla Meloni con il premier albanese, alla luce dei tempi previsti per le procedure nei centri di detenzione, e soprattutto a causa delle difficoltà di esecuzione delle misure di allontanamento forzato da tutti i paesi europei, anche per la mancanza di accordi di riammissione tra l’Albania e molti paesi di origine dei naufraghi che, dopo essere soccorsi in mare, dovranno affrontare in stato di detenzione procedure”accelerate” per il riconoscimento di uno status di protezione, ed una possibile deportazione. Senza potere fare valere i diritti di difesa e le garanzie della libertà personale previsti dalla Costituzione italiana (a partire dal’art.13 che impone la tempestiva convalida da parte di un giudice di ogni misura di trattenimento amministrativo attuata sotto la giurisdizione italiana) e dalle norme sovranazionali dettate dalle Nazioni Unite a protezione dei richiedenti asilo, e dall’Unione Europea in materia di rimpatri e procedure per il riconoscimento della protezione internazionale. E poi, se pensiamo ai migranti soccorsi intercettati nel mare Ionio, ma anche a quelli provenienti dalla Libia o dalla Tunisia, quanti di loro provengono da paesi terzi veramente “sicuri” ? Il governo italiano non può creare una evidente disparità di trattamento tra persone soccorse nel Mediterraneo da navi civili e altre soccorse da navi militari, che per questa sola ragione verrebbero esposte a procedure accelerate in territorio extra-UE, a differenza di quelle sbarcate in Italia,soprattutto se si tratta di persone che non provengono da paesi terzi sicuri, per cui in Italia si prevedono procedure ordinarie e sistemi di prima e seconda accoglienza.

      Non si comprende neppure quali saranno i criteri per “selezionare” i naufraghi soccorsi nel Mediterraneo dalle navi militari italiane, e se queste attività di “trasporto” verso l’Albania riguarderanno anche le navi italiane impegnate nell’operazione europea Eunavfor Med- IRINI, ammesso che svolgano qualche volta attività di salvatagio. Soprattutto non si comprende come le navi militari italiane possano fare fronte, dopo soccorsi di massa in axque internazionali, al trasporto di centinaia di persone verso l’Albania, che rimane alquanto decentrata rispetto alle rotte migratorie che attraversano il Mediterraneo centrale dal nord-africa. Forse si vorranno imporre giorni e giorni di navigazione su imbarcazioni poco adatte al trasporto di naufraghi, o si risoverà tutto nel’ennesimo effetto annuncio ?

      Come è avvenuto anche in passato, il contenuto del Memorandum, e degli accordi che seguiranno, resta avvolto nell’opacità più totale, e tutto sembra rimesso a successive intese operative segrete, che matureranno tra le autorità italiane e quelle albanesi. Ma colpisce immediatamente la portata disumanizzante dell’accordo, se solo si mette in evidenza l’uso pregiudiziale del termine “irregolari”, quando non addirittura “illegali”, per indicare tutte le persone soccorse in mare da navi militari italiane e condotte in Albania, ad eccezione di donne in gravidanza, persone vulnerabili e minori. In palese violazione delle norme interne ed europee che impongono per tutti lo sbarco in un porto sicuro indicato dall’autorità che coordina le attività di ricerca e salvataggio, e comunque riconoscono a tutte le persone, senza differenze a seconda della natura e della nazionalità della nave soccorriitrice, il diritto di chiedere protezione internazionale secondo regole fissate da Direttive e Regolamenti europei, oltre che dalla Convenzione di Ginevra del 1951 in materia di asilo, Regole che non possono essere derogate da un Memorandum d’intesa che, come altri che lo hanno preceduto, nel 2016 con il Sudan (governo Renzi), e nel 2017 (governo Gentiloni) con la Libia, neppure sarà portato all’approvazione del Parlamento, come imporebbe l’art. 80 della Costituzione. Approvazione che del resto, anche quando fosse richiesta, sarebbe probabilmente un ennesimo atto di forza della maggioranza, su una opposizione divisa, come in passato, sul tema, oggi ancora più scottante, degli accordi con i paesi terzi per realizzare le politiche di esternalizzazione dei controlli di frontiera. Ma per Giorgia Meloni, dopo il fallimento del Memorandum d’intesa tra Unione europea e la Tunisia, le difficoltà nei rapporti con i governi libici ancora in conflitto, e la caduta di qualsiasi ipotesi di collaborazione con i paesi africani, il Piano Mattei per l’Africa, rimasto congelato dopo la crisi in Niger, paese che si pensava di utilizzare come partner per operazioni di deportazione, e infine, per la ventata anti-occidentale che si respira in tutti i paesi del Sahel dopo l’esplosione del conflitto in Palestina, occorreva una dimostrazione di forza. Magari l’ennesimo annuncio, di un piano che dovrebbe andare a regime, secondo le intenzioni dei governi non prima della primavera del 2024, giusto in tempo prima delle elezioni europee.

      Per il ministro per gli affari europei Raffaele Fitto, il Memorandum sarebbe “in linea con la priorità accordata alla dimensione esterna della migrazione e con i dieci punti del piano della presidente della Commissione von der Leyen”. Da Bruxelles, un portavoce della Commissione europea all’Adnkronos ha invece affermato: “Siamo stati informati di questo accordo, ma non abbiamo ancora ricevuto informazioni dettagliate: l’accordo operativo deve essere tradotto in legge dall’Italia e ulteriormente implementato. È importante che qualsiasi accordo di questo tipo rispetti pienamente il diritto comunitario e internazionale“. Non si vede come la Commissione europea possa dare sostegno a questo Memorandum d’intesa, anche se l’approssimarsi della scadenza delle elezioni europee potrebbe fare schierare opportunisticamente alcuni leader nazionali(sti) o pezzi della Commisione UE a fianco di Giorgia Meloni. Il riconoscimento dell’Albania come “paese terzo sicuro” non potrà certo legittimare respingimenti collettivi, vietati dall’art. 19 della Carta dei diritti fondamentali del’Unione Europea, pratiche illegali di privazione dela libertà personale o procedure di rimpatrio vietate dalla Direttiva 2008/115/CE, e dalle Direttive n. 32 e 33 del 2013, in materia di procedure e di accoglienza per richiedenti asilo.

      Appare ben strano che un paese aderente all’Unione Europea possa deportare persone soccorse in acque internazionali da proprie navi militari verso un paese che non appartiene all’Unione Europea e che dunque non è soggetto al rispetto degli obblighi e delle garanzie stabilite dalla normativa eurounitaria. Se poi si considerasse il diritto internazionale del mare, le persone soccorse in alto mare dovrebbero essere sbarcate in un porto sicuro nel paese che ha coordinato le attività di ricerca e salvataggio. In ogni caso le attività degli assetti militari in mare, con riferimento al soccorso dei naufraghi ed al contrasto dell’immigrazione irregolare, non possono prescindere dagli obblighi imposti dal Regolamento europeo n.656 del 2014. O, forse, le operazioni di ricerca e soccorso si trasformeranno in attività di intercettazione ed “manovre cinematiche di interposizione”, come quelle condotte poste in essere nel 1997 dal comandante di Nave Sibilla, dopo gli accordi di Prodi con il governo albanese di allora, quando la nave militare italiana, nel tentativo di attuare un maldestro blocco navale, speronava un barcone carico di migranti provenienti dall’Albania, mandandolo a fondo? Ci saranno altri casi simili sotto esame da parte dei Tribunali penali italiani?

      La Corte europea dei diritti dell’Uomo ha già sanzionato l’Italia nel 2014 sul caso Sharifi per i respjgimenti collettivi effettuati verso un paese terzo “sicuro”, come poteva esserlo nel 2009 la Grecia, e sentenze più recenti hanno condannato su diversi casi il nostro paese per trattenimenti informali o “de facto“, senza la tempestiva convalida giurisdizionale imposta in precisi termini temporali, oltre che dall’art. 13 della Costituzione italiana, dagli articoli 5, 6 e 13 della Convenzione europea a salvaguardia dei diritti dell’Uomo. Qualunque forma di detenzione praticata da un paese aderente alla suddetta Convenzione deve avere una espressa previsione legale (riserva di legge), e deve essere convalidata da un giudice davanti al quale ogni persona migrante possa fare valere i suoi diritti di difesa (riserva di giurisdizione). Si prevede la presenza di giudici italiani nei nuovi centri di detenzione che si vorrebbero aprire in Albania “sotto giurisdizione italiana” ?

      Non sembra che il Memorandum d’intesa firmato dalla Meloni e da Edi Rama, alla caccia di appoggi per l’ingresso dell’Albania nell’Unione Europea, abbia tenuto conto di queste regole che, semmai si riuscisse davvero ad applicare quanto annunciato, potrebbero essere lese dalle autorità italiane sotto la cui giurisdizione resterebbero le persone deportate in Albania. E saranno tutte da verificare quali saranno le conseguenze per il traballante governo albanese di un Memorandum d’intesa che rischia di produrre migliaia di persone costrette alla clandestinità in territorio albanese, quando al termine dei trenta giorni di detenzione previsti non potranno essere rimpatriati. Un ennesimo esempio di come gli accordi tra governi possano agevolare le bande criminali che in Albania sono sempre più attive e che potrebbero lucrare sulla clandestinità, che sarebbero meglio contrastate se si garantisse alle persone migranti canali legali di ingresso e il diritto di chiedere asilo in un paese sicuro per davvero, secondo le regole fissate dalle Convenzioni internazionali e dalla normativa dell’Unione europea.

      https://www.osservatoriorepressione.info/migranti-un-protocollo-dintesa-lalbania-opaco-disumano-pri

    • Naufraghi e richiedenti protezione. In collisione con i diritti

      È sbagliato evocare Guantanamo e la detenzione extraterritoriale dei sospetti terroristi negli Usa, ma di certo l’accordo a sorpresa tra Italia e Albania per l’accoglienza di una parte delle persone tratte in salvo dal mare è destinato a far discutere. Il governo Meloni aveva bisogno di riprendere l’iniziativa su un dossier identitario come quello della politica dell’asilo, i cui risultati sono finora rimasti lontani dalle promesse elettorali, e ha servito all’opinione pubblica una soluzione che può presentare come “innovativa”. Ma l’innovazione può entrare in collisione con i diritti sanciti dalla Costituzione italiana e dai trattati europei e internazionali.

      Anzitutto, il patto Meloni-Rama ha un sottofondo post-coloniale, come l’accordo britannico con il Ruanda a cui sembra ispirarsi: un Paese del “Primo mondo”, forte delle sue risorse politiche ed economiche, dirotta su un Paese meno fortunato e più bisognoso di appoggi l’onere di accogliere sul suo territorio i migranti sgraditi. Si immagina paradossalmente che Paesi con meno risorse e istituzioni più fragili possano ricevere degnamente i profughi che da noi sono visti come un problema. Infatti, quasi tradendo il sottotesto punitivo dell’accordo, si prevede che vengano esentati dal trasferimento in Albania donne in gravidanza, minori, soggetti vulnerabili. E il governo non ha esitato a parlare di una misura finalizzata alla deterrenza nei confronti di quelli che si ostina a definire come immigrati illegali, al pari del modello britannico.

      In realtà nel 2022 il 48% dei richiedenti l’asilo ha ottenuto uno status legale in prima istanza, e ad essi si aggiunge il 72% di coloro che hanno presentato un ricorso giurisdizionale. Dunque, rischiamo di mandare in Albania delle persone che hanno diritto all’asilo. Proprio l’esempio britannico mostra che le corti di giustizia, nazionali ed europee, l’hanno finora bloccato, e la capacità di reggere al vaglio della magistratura sarà un arduo banco di prova dell’accordo.

      Qualcosa non quadra poi riguardo ai numeri: si prevede di realizzare due strutture sul territorio albanese, una per l’identificazione allo sbarco, l’altra per l’accoglienza temporanea, con una capacità di 3.000 posti complessivi, e si prevede di trattare complessivamente 36-39.000 profughi all’anno. Si lascia intendere che basteranno quattro settimane per decidere della loro domanda di asilo, mentre oggi il tempo medio è di circa 18 mesi, senza contare la possibilità di ricorso. È probabile che i profughi languiranno a lungo in Albania e che i numeri dei casi trattati rimarranno assai più bassi di quelli annunciati.

      Ma i problemi più spinosi riguardano l’integrazione dei “deportati”. Se otterranno la protezione internazionale, averli lasciati in un Paese terzo non avrà di certo preparato la strada per la loro futura integrazione in Italia, sotto il profilo della possibilità di apprendere e praticare la lingua italiana, di conoscere la società in cui dovranno inserirsi, di orientarsi nel mercato del lavoro e nel sistema dei servizi. Se invece riceveranno un diniego, occorre chiedersi che ne sarà di loro. La bassissima capacità di rimpatrio forzato da parte delle nostre istituzioni (4.304 persone nel 2022), peraltro simili in questo agli altri Paesi europei, è un dato ormai noto. Se ne occuperanno le autorità albanesi? Con quale protezione dei loro diritti umani inalienabili, per esempio il diritto alle cure mediche necessarie e urgenti, o a non morire di fame?

      La politica dell’immigrazione ci ha abituato da tempo a dichiarazioni enfatiche – basti ricordare i più volte annunciati accordi con la Tunisia – e presunte soluzioni che si rivelano inattuabili. Anche l’accordo Italia-Albania rischia ora di entrare nella serie. O meglio: se non sarà attuato, sarà l’ennesima pseudo-ricetta venduta all’opinione pubblica; se dovesse essere attuato, anche solo parzialmente, tratterà soltanto una minoranza dei casi e sferrerà comunque una picconata alla già traballante architettura giuridica dei diritti umani fondamentali.

      https://www.avvenire.it/opinioni/pagine/in-collisione-con-i-diritti

    • Accord migratoire Italie-Albanie : l’#ONU appelle au respect du #droit_international

      L’agence de l’ONU pour les réfugiés (HCR) a appelé mardi au « respect du droit international relatif aux réfugiés » après l’accord signé lundi entre l’Italie et l’Albanie visant à délocaliser dans ce pays l’accueil de migrants sauvés en mer et l’examen de leur demande d’asile.

      « Les modalités de transfert des demandeurs d’asile et des réfugiés doivent respecter le droit international relatif aux réfugiés », a exhorté le HCR dans un communiqué publié à Genève.

      L’accord signé lundi à Rome par la cheffe du gouvernement italien Giorgia Meloni et son homologue albanais Edi Rama prévoit que l’Italie va ouvrir dans ce pays, candidat à l’adhésion à l’UE, deux centres pour accueillir des migrants sauvés en mer afin de « mener rapidement les procédures de traitement des demandes d’asile ou les éventuels rapatriements ».

      Ces deux centres gérés par l’Italie, opérationnels au printemps 2024, pourront accueillir jusqu’à 3.000 migrants, soit environ 39.000 par an selon les prévisions. Les mineurs, les femmes enceintes et les personnes vulnérables ne seraient pas concernés.

      Le HCR, qui dit n’avoir « pas été informé ni consulté sur le contenu de l’accord », estime que « les retours ou les transferts vers des pays tiers sûrs ne peuvent être considérés comme appropriés que si certaines normes sont respectées - en particulier, que ces pays respectent pleinement les droits découlant de la Convention relative au statut des réfugiés et les obligations en matière de droits de l’Homme, et si l’accord contribue à répartir équitablement la responsabilité des réfugiés entre les nations, plutôt que de la déplacer ».

      Un membre du gouvernement italien a précisé mardi que les migrants seraient emmenés directement vers ces centres, sans passer par l’Italie, et que ces structures seraient placées sous l’autorité de Rome en vertu d’« un statut d’extraterritorialité ». Mais de nombreuses questions sur le fonctionnement d’un tel projet restent en suspens.

      L’Italie est confrontée à un afflux de migrants depuis janvier (145.000 contre 88.000 en 2022 sur la même période). Les règles européennes prévoient que d’une manière générale, le premier pays d’entrée d’un migrant dans l’UE est responsable du traitement de sa demande d’asile, et les pays méditerranéens se plaignent de devoir assumer une charge disproportionnée.

      https://www.mediapart.fr/journal/fil-dactualites/071123/accord-migratoire-italie-albanie-l-onu-appelle-au-respect-du-droit-interna

    • Accordo Italia-Albania: un altro patto illegale, un altro tassello della propaganda del governo

      #Fulvio_Vassallo_Paleologo: «Un protocollo opaco, disumano e privo di basi legali»

      “Un’intesa storica”, “È un accordo che arricchisce un’amicizia storica”, “I nostri immigrati in Albania”, “Svolta sugli sbarchi”. E’ un tripudio di frasi altisonanti e di affermazioni risolutive quelle che hanno accompagnato in questi giorni la diffusione del protocollo d’intesa firmato da Meloni e dal primo ministro albanese, Edi Rama, per l’apertura in Albania di due centri italiani per la gestione dei richiedenti asilo. Strutture in cui dovranno essere trattenute persone migranti, ad esclusione di donne e minori, soccorse nel Mediterraneo centrale da navi militari italiane, come quelle della Marina Militare e della Guardia di Finanza.

      Alcuni dettagli dell’operazione sono emersi da un testo (scarica qui) di nove pagine scarse e 14 articoli che indicano come funzioneranno e verranno gestiti i centri. L’accordo ha una durata di cinque anni e sarà rinnovato automaticamente a meno che una delle due parti non comunichi il proprio dissenso entro sei mesi dalla scadenza. In un anno dovrebbero essere accolte-trattenute circa 36.000 persone. I costi, dalle spese di detenzione alla sicurezza interna, saranno tutti in capo all’Italia, mentre l’Albania fornirà gratuitamente gli spazi in cui verranno costruiti i centri: uno al porto di Shengjin, circa 70 chilometri a nord di Tirana, e un altro a Gjader, nell’entroterra. I due centri dovrebbero servire per processare entro 30 giorni le richieste di asilo e per trattenere coloro a cui verrà negata la richiesta di protezione, in vista del rimpatrio nei paesi di origine oppure del probabile invio in Italia. Come ha annunciato Giorgia Meloni “dei due centri, quello al porto si occuperà delle procedure di sbarco e di identificazione con una prima attività di screening mentre il centro che verrà realizzato nell’area più interna sarà una struttura modello Cpr”.
      L’Italia dovrà farsi carico anche di tutte le spese legate alla costruzione dei centri che dovranno essere aperti per la primavera del 2024. Il Post riporta che il sito albanese Gogo.al ha indicato sommariamente dei costi iniziali (vedi il documento diffuso): “l’Italia verserà all’Albania entro 3 mesi un primo fondo pari a 16,5 milioni. Si prevede che oltre 100 milioni di euro saranno congelati in un conto bancario di secondo livello come garanzia”.

      La presidente del Consiglio doveva battere un colpo, dare un messaggio al suo elettorato e alla maggioranza: il “problema immigrazione”, con gli sbarchi che non accennano a diminuire 1 e il flop dell’accordo con la Tunisia, è sempre una priorità della sua agenda politica, a tal punto che è lei stessa, senza coinvolgere nessun altro ministro, a intestarsi l’operazione e dichiarare il nuovo “punto di svolta”. E’ perciò evidente che questo protocollo si inserisce dentro il solco della narrazione mediatica e normativa, dal decreto Piantedosi sulle Ong, al cosiddetto decreto Cutro, fino alla proclamazione dello stato di emergenza dell’11 aprile e alle altre modifiche ai danni di minori e richiedenti asilo, dove vale tutto per raggiungere l’obiettivo dichiarato di ostacolare gli arrivi delle persone migranti.

      Tuttavia, tutti questi tentativi, dall’esternalizzare le frontiere e le procedure di asilo fino a portare fisicamente le persone in Paesi extra Ue, non sono una prerogativa solo del governo Meloni, ma hanno avuto in questi anni diversi promotori e, pur con delle differenze tra loro, una stessa matrice ideologica anti-migranti: per esempio, i respingimenti a catena dall’Italia alla Bosnia-Erzegovina, non hanno poi uno scopo così diverso dagli accordi tra Inghilterra e Ruanda.

      Secondo l’avvocato Fulvio Vassallo Paleologo si tratta dell’ennesimo annuncio propagandistico del governo in quanto il protocollo d’intesa è «opaco, disumano e privo di basi legali».

      «Nulla infatti – fa notare l’esperto di diritto di asilo e immigrazione – è stato comunicato sulle modalità di rimpatrio e sulle autorità che saranno incaricate di eseguire gli accompagnamenti forzati, né su quali autorità effettuano i trasferimenti sotto scorta dai punti di sbarco in Albania ai centri di detenzione “sotto giurisdizione italiana”. Di certo, fin dal momento dello sbarco in Albania i migranti, già ritenuti comunque “illegali”, saranno totalmente privati della libertà personale. Come impone la sentenza n.105/2001 della Corte Costituzionale qualunque procedura di allontanamento forzato attuata da autorità italiane attraverso il trattenimento in un centro di detenzione deve essere convalidata dalla decisione di un giudice. Come sarà possibile realizzare queste garanzie in territorio albanese?», si domanda.

      Nel protocollo – si legge nel testo – le autorità italiane avranno piena responsabilità all’interno dei centri, mentre le autorità albanesi dovranno garantire la sicurezza all’esterno dei centri e durante il trasferimento dei migranti: potranno entrare nei centri solo «in caso di incendio o di altro grave e imminente pericolo che richiede un immediato intervento».

      «La consegna delle persone soccorse in mare alle autorità albanesi – spiega l’esperto – al momento dello sbarco, fino, presumibilmente, all’ingresso nei centri di detenzione, potrebbe costituire una ipotesi di respingimento collettivo analoga a quella riscontrata e condannata dalla Corte europea dei diritti dell’Uomo nel caso Hirsi, quando nel 2009 una motovedetta della Guardia di finanza riconsegnò alle autorità libiche, entrando nel porto di Tripoli, decine di naufraghi soccorsi in acque internazionali (pratica illegale che comunque si protrasse fino al 2010, con trasbordi più discreti in alto mare, piuttosto che con l’ingresso delle unità militari italiane nei porti libici)».

      «In quell’occasione – prosegue Paleologo – la Corte di Strasburgo affermò che sebbene il soccorso fosse avvenuto in acque internazionali, il codice della navigazione italiano, oltre che il diritto internazionale, riconoscono che sulla nave militare in alto mare si applica la giurisdizione dello stato della bandiera. Dunque, in quella occasione, tra il momento in cui i profughi venivano accolti a bordo delle navi italiane e quello in cui gli stessi erano consegnati alle autorità libiche a Tripoli, le autorità italiane avevano esercitato su di essi un controllo de facto che impegnava la responsabilità dello stato italiano per qualunque violazione dei diritti sanciti dalla Convenzione europea. La stessa considerazione potrà valere in futuro quando le autorità italiane consegneranno alle forze di polizia albanese i cittadini stranieri soccorsi in mare da unità militari italiane, ai fini del loro trasferimento forzato e dell’eventuale rimpatrio. Secondo il premier albanese, “chi non ha diritto viene rimpatriato. Ma se l’Italia non riesce a fare i rimpatri dovrà riprenderseli”. La prova più evidente della riduzione delle persone a rifiuti da smaltire, la cifra morale e politica condivisa da Giorgia Meloni e da Edi Rama».

      Anche rispetto la procedura di cosiddetto “sbarco selettivo” tra donne, minori e uomini ci sono diversi problemi di legittimità giuridica in quanto si tratta di una palese violazione delle norme interne ed europee che impongono per tutti lo sbarco in un porto sicuro indicato dall’autorità che coordina le attività di ricerca e salvataggio. Anche su questo punto Paleologo è chiaro: «Il diritto di chiedere protezione internazionale è regolato secondo regole fissate da Direttive e Regolamenti europei, oltre che dalla Convenzione di Ginevra del 1951 in materia di asilo. Regole che non possono essere derogate da un Memorandum d’intesa che, come altri che lo hanno preceduto, nel 2016 con il Sudan (governo Renzi), e nel 2017 (governo Gentiloni) con la Libia, neppure se sarà portato all’approvazione del Parlamento, come imporrebbe l’art. 80 della Costituzione. Approvazione che del resto, anche quando fosse richiesta, sarebbe probabilmente un ennesimo atto di forza della maggioranza, su una opposizione divisa, come in passato, sul tema, oggi ancora più scottante, degli accordi con i paesi terzi per realizzare le politiche di esternalizzazione dei controlli di frontiera».

      Da Bruxelles, la Commissione UE non esclude del tutto la validità dell’accordo, affermando che il caso è diverso dall’accordo Regno Unito-Ruanda, in quanto si applicherebbe alle persone che non hanno ancora raggiunto le coste italiane. Sempre secondo l’avvocato Paleologo «il riconoscimento dell’Albania come “paese terzo sicuro” non potrà certo legittimare respingimenti collettivi, vietati dall’art. 19 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, pratiche illegali di privazione della libertà personale o procedure di rimpatrio vietate dalla Direttiva 2008/115/CE, e dalle Direttive n. 32 e 33 del 2013, in materia di procedure e di accoglienza per richiedenti asilo.

      Appare ben strano che un paese aderente all’Unione Europea possa deportare persone soccorse in acque internazionali da proprie navi militari verso un paese che non appartiene all’Unione Europea e che dunque non è soggetto al rispetto degli obblighi e delle garanzie stabilite dalla normativa eurounitaria. Se poi si considerasse il diritto internazionale del mare, le persone soccorse in alto mare dovrebbero essere sbarcate in un porto sicuro nel paese che ha coordinato le attività di ricerca e salvataggio».

      «La Corte europea dei diritti dell’Uomo ha già sanzionato l’Italia nel 2014 sul caso Sharifi per i respingimenti collettivi effettuati verso un paese terzo “sicuro”, come poteva esserlo nel 2009 la Grecia, e sentenze più recenti hanno condannato su diversi casi il nostro paese per trattenimenti informali o “de facto“, senza la tempestiva convalida giurisdizionale imposta in precisi termini temporali, oltre che dall’art. 13 della Costituzione italiana, dagli articoli 5, 6 e 13 della Convenzione europea a salvaguardia dei diritti dell’Uomo. Qualunque forma di detenzione praticata da un paese aderente alla suddetta Convenzione deve avere una espressa previsione legale (riserva di legge), e deve essere convalidata da un giudice davanti al quale ogni persona migrante possa fare valere i suoi diritti di difesa (riserva di giurisdizione). Si prevede la presenza di giudici italiani nei nuovi centri di detenzione che si vorrebbero aprire in Albania “sotto giurisdizione italiana”? Non sembra che il Memorandum d’intesa firmato dalla Meloni e da Edi Rama, alla caccia di appoggi per l’ingresso dell’Albania nell’Unione Europea, abbia tenuto conto di queste regole che, semmai si riuscisse davvero ad applicare quanto annunciato, potrebbero essere lese dalle autorità italiane sotto la cui giurisdizione resterebbero le persone deportate in Albania. E saranno tutte da verificare quali saranno le conseguenze per il traballante governo albanese di un Memorandum d’intesa che rischia di produrre migliaia di persone costrette alla clandestinità in territorio albanese, quando al termine dei trenta giorni di detenzione previsti non potranno essere rimpatriati.
      Un ennesimo esempio di come gli accordi tra governi possano agevolare le bande criminali che in Albania sono sempre più attive e che potrebbero lucrare sulla clandestinità, che sarebbero meglio contrastate se si garantisse alle persone migranti canali legali di ingresso e il diritto di chiedere asilo in un paese sicuro per davvero, secondo le regole fissate dalle Convenzioni internazionali e dalla normativa dell’Unione europea», conclude Paleologo.

      https://www.meltingpot.org/2023/11/accordo-italia-albania-un-altro-patto-illegale-un-altro-tassello-della-p

    • L’accordo Italia-Albania sui migranti? Solo propaganda!

      Il nuovo memorandum d’intesa tra Italia e Albania sulla gestione dei migranti? Probabilmente solo un « ennesimo annuncio propagandistico » secondo Fulvio Vassallo Paleologo che firma su ADIF [1] un dettagliato articolo che analizza l’annuncio di Giogia Meloni ( non il provvedimento perché questo non esiste ).

      In altre parole, « per Giorgia Meloni, dopo il fallimento del Memorandum d’intesa tra Unione europea e la Tunisia, le difficoltà nei rapporti con i governi libici ancora in conflitto, il “Piano Mattei per l’Africa”, rimasto congelato dopo la crisi in Niger, paese che si pensava di utilizzare come partner per operazioni di deportazione, e infine, per la ventata anti-occidentale che si respira in tutti i paesi del Sahel dopo l’esplosione del conflitto in Palestina, occorreva una dimostrazione di forza. Magari l’ennesimo annuncio, di un piano che dovrebbe andare a regime, secondo le intenzioni dei governi non prima della primavera del 2024, giusto in tempo prima delle elezioni europee ».

      Possibile che il giurista abbia ragione, ma è anche possibile che il fine sia creare terrore in chi in Italia è già; I CPR, ancor di più se in Albani, sono strumentali a schiavizzare i migranti.

      L’avvocato e attivista pro migranti Fulvio Vassallo Paleologo, nell’articolo solleva pure una serie di perplessità giuridiche del progetto della presidente del consiglio italiano di realizzare un CPR in Albania.

      Una tra queste: « qualunque forma di detenzione praticata da un paese aderente alla Convenzione europea a salvaguardia dei diritti dell’Uomo [e quindi l’Italia, NdR] deve avere una espressa previsione di legge, e deve essere convalidata da un giudice davanti al quale ogni persona migrante possa fare valere i suoi diritti di difesa » [1].

      Come possa assicurarsi, in Albania, la difesa legale del migrante e un procedimento di convalida firmato da un magistrato italiano rappresenta un grande punto interrogativo. « Come sarà possibile realizzare queste garanzie in territorio albanese? », scrive infatti il giurista nell’articolo.

      Precisa poi Fulvio Vassallo Paleologo come « il contenuto del Memorandum, e degli accordi che seguiranno, resta avvolto nell’opacità più totale, e tutto sembra rimesso a successive intese operative segrete, che matureranno tra le autorità italiane e quelle albanesi ».

      Il giudizio finale dell’autore rispetto all’annuncio della Meloni non può, quindi, che essere negativo e drastico: « appare ben strano che un paese aderente all’Unione Europea possa deportare persone soccorse in acque internazionali da proprie navi militari verso un paese che non appartiene all’Unione Europea e che dunque non è soggetto al rispetto degli obblighi e delle garanzie stabilite dalla normativa eurounitaria. Se poi si considerasse il diritto internazionale del mare, le persone soccorse in alto mare dovrebbero essere sbarcate in un porto sicuro nel paese che ha coordinato le attività di ricerca e salvataggio ».

      Tagliente anche il giudizio rispetto alla firma del leader albanese, Edi Rama: « il Memorandum d’intesa rischia di produrre migliaia di persone costrette alla clandestinità in territorio albanese, quando al termine dei trenta giorni di detenzione previsti non potranno essere rimpatriati. Un ennesimo esempio di come gli accordi tra governi possano agevolare le bande criminali che in Albania sono sempre più attive e che potrebbero lucrare sulla clandestinità ».

      La differenza tra la verità di Fulvio Vassallo Paleologo e la propaganda della Meloni, tuttavia, la fanno le “visualizzazioni” del sito ADIF rispetto a quelli di Repubblica, La Stampa, Libero, Il Giornale, La Verità, Il Gazzettino, etc dove l’effetto “annuncio” è passato senza commenti critici.

      Fonti e Note:

      [1] ADIF, 7 novembre 2023, Fulvio Vassallo Paleologo, “Un Protocollo d’intesa con l’Albania, opaco, disumano e privo di basi legali”.

      https://www.pressenza.com/it/2023/11/laccordo-italia-albania-sui-migranti-solo-propaganda

    • Un Protocollo d’intesa con l’Albania, opaco, disumano e privo di basi legali

      Con l’ennesimo annuncio propagandistico del govern si apprende che Giorgia Meloni avrebbe concluso con il premier albanese Edi Rama un Memorandum d’intesa , che prevede – la realizzazione in Albania di due centri per il rimpatrio, che dovrebbero ospitare ogni mese fino a 3000 persone definite “irregolari”, ma solo se soccorse nel Mediterraneo da navi militari italiane, come quelle della Marina Militare e della Guardia di Finanza. Più precisamente, “l’Albania darà possibilità all’Italia di utilizzare alcune aree del territorio albanese dove l’Italia potrà realizzare, a proprie spese, due strutture dove allestire centri per la gestione di migranti illegali. Inizialmente potrà accogliere fino a 3mila persone che rimarranno il tempo necessario per espletare le procedure delle domande di asilo ed eventualmente rimpatrio”. I naufraghi saranno sbarcati a Shengjin e l’Italia si occuperà delle procedure di sbarco e identificazione e realizzerà un “centro di prima accoglienza e screening” a Gjader, che di fatto sarà una “struttura modello Cpr” per le successive procedure. I due centri dovrebbero servire per processare in 28-30 giorni le richieste di asilo e per detenere coloro che si vedranno respinta la richiesta di protezione, in vista del rimpatrio nei paesi di origine. Come ha annunciato Giorgia Meloni “Dei due centri, quello al porto si occuperà delle procedure di sbarco e di identificazione con una prima attività di screening mentre il centro che verrà realizzato nell’area più interna sarà una struttura modello Cpr”.

      Secondo quanto annunciato dalle stesse fonti governative in un anno si penserebbe addirittura di fare transitare in queste nuove strutture detentive, che dovrebbero essere sotto giurisdizione italiana, ma con “sorveglianza esterna” affidata alle autorità albanesi, circa 36.000 persone. Nulla è stato comunicato sulle modalità di rimpatrio e sulle autorità che saranno incaricate di eseguire gli accompagnamenti forzati, nè su quali autorità efettueranno i trasferimenti sotto scorta dai punti di sbarco in Albania ai centri di detenzione “sotto giurisdizione italiana”. Di certo, fin dal momento dello sbarco in Albania i migranti, già ritenuti comunque “illegali”, saranno totalmente privati della libertà personale. Come impone la sentenza n.105/2001 della Corte Costituzionale qualunque procedura di allontanamento forzato attuata da autorità italiane attraverso il trattenimento in un centro di detenzione deve essere convalidata dalla decisione di un giudice. Come sarà possibile realizzare queste garanzie in territorio albanese?

      La consegna delle persone soccorse in mare alle autorità albanesi, al momento dello sbarco, fino, presumibilmente, all’ingresso nei centri di detenzione, che si asserisce sarebbero “sotto giurisdizione italiana” potrebbe costituire una ipotesi di respingimento collettivo analoga a quella riscontrata e condannata dalla Corte europea dei diritti dell’Uomo nel caso Hirsi, quando nel 2009 una motovedetta della Guardia di finanza riconsegno alle autorità libiche, entrando nel porto di Tripoli, decine di naufraghi socorsi in acque internazionali (pratica illegale che comunque si protrasse fino al 2010, con trasbordi più discreti in alto mare, piuttosto che con l’ingresso delle unità militari italiane nei porti libici). In quell’occasione la Corte di Strasburgo affermò che sebbene il soccorso fosse avvenuto in acque internazionali, il codice della navigazione italiano, oltre che il diritto internazionale, riconoscono che sulla nave militare in alto mare si applica la giurisdizione dello stato della bandiera. Dunque, in quella occasione, tra il momento in cui i profughi venivano accolti a bordo delle navi italiane e quello in cui gli stessi erano consegnati alle autorità libiche a Tripoli, le autorità italiane avevano esercitato su di essi un controllo de facto che impegnava la responsabilità dello stato italiano per qualunque violazione dei diritti sanciti dalla Convenzione europea. La stessa considerazione potrà valere in futuro quando le autorità italiane consegneranno alle forze di polizia albanese i cittadini stranieri soccorsi in mare da unità militari italiane, ai fini del loro trasferimento forzato e dell’eventuale rimpatrio. Secondo il premier albanese, “Chi non ha diritto viene rimpatriato. Ma se l’Italia non riesce a fare i rimpatri dovrà riprenderseli”. La prova più evidente della riduzione delle persone a rifiuti da smaltire, la cifra morale e politica condivisa da Giorgia Meloni e da Edi Rama.

      Un progetto impraticabile e privo di basi legali, quanto previsto dal Memorandum sottoscritto dalla Meloni con il premier albanese, alla luce dei tempi previsti per le procedure nei centri di detenzione, e soprattutto a causa delle difficoltà di esecuzione delle misure di allontanamento forzato da tutti i paesi europei, anche per la mancanza di accordi di riammissione tra l’Albania e molti paesi di origine dei naufraghi che, dopo essere soccorsi in mare, dovranno affrontare in stato di detenzione procedure”accelerate” per il riconoscimento di uno status di protezione, ed una possibile deportazione. Senza potere fare valere i diritti di difesa e le garanzie della libertà personale previsti dalla Costituzione italiana (a partire dal’art.13 che impone la tempestiva convalida da parte di un giudice di ogni misura di trattenimento amministrativo attuata sotto la giurisdizione italiana) e dalle norme sovranazionali dettate dalle Nazioni Unite a protezione dei richiedenti asilo, e dall’Unione Europea in materia di rimpatri e procedure per il riconoscimento della protezione internazionale. E poi, se pensiamo ai migranti soccorsi intercettati nel mare Ionio, ma anche a quelli provenienti dalla Libia o dalla Tunisia, quanti di loro provengono da paesi terzi veramente “sicuri” ? Il governo italiano non può creare una evidente disparità di trattamento tra persone soccorse nel Mediterraneo da navi civili e altre soccorse da navi militari, che per questa sola ragione verrebbero esposte a procedure accelerate in territorio extra-UE, a differenza di quelle sbarcate in Italia,soprattutto se si tratta di persone che non provengono da paesi terzi sicuri, per cui in Italia si prevedono procedure ordinarie e sistemi di prima e seconda accoglienza.

      Non si comprende neppure quali saranno i criteri per “selezionare” i naufraghi soccorsi nel Mediterraneo dalle navi militari italiane, e se queste attività di “trasporto” verso l’Albania riguarderanno anche le navi italiane impegnate nell’operazione europea Eunavfor Med- IRINI, ammesso che svolgano qualche volta attività di salvatagio. Soprattutto non si comprende come le navi militari italiane possano fare fronte, dopo soccorsi di massa in axque internazionali, al trasporto di centinaia di persone verso l’Albania, che rimane alquanto decentrata rispetto alle rotte migratorie che attraversano il Mediterraneo centrale dal nord-africa. Forse si vorranno imporre giorni e giorni di navigazione su imbarcazioni poco adatte al trasporto di naufraghi, o si risoverà tutto nel’ennesimo effetto annuncio ?

      Come è avvenuto anche in passato, il contenuto del Memorandum, e degli accordi che seguiranno, resta avvolto nell’opacità più totale, e tutto sembra rimesso a successive intese operative segrete, che matureranno tra le autorità italiane e quelle albanesi. Ma colpisce immediatamente la portata disumanizzante dell’accordo, se solo si mette in evidenza l’uso pregiudiziale del termine “irregolari”, quando non addirittura “illegali”, per indicare tutte le persone soccorse in mare da navi militari italiane e condotte in Albania, ad eccezione di donne in gravidanza, persone vulnerabili e minori. In palese violazione delle norme interne ed europee che impongono per tutti lo sbarco in un porto sicuro indicato dall’autorità che coordina le attività di ricerca e salvataggio, e comunque riconoscono a tutte le persone, senza differenze a seconda della natura e della nazionalità della nave soccorriitrice, il diritto di chiedere protezione internazionale secondo regole fissate da Direttive e Regolamenti europei, oltre che dalla Convenzione di Ginevra del 1951 in materia di asilo, Regole che non possono essere derogate da un Memorandum d’intesa che, come altri che lo hanno preceduto, nel 2016 con il Sudan (governo Renzi), e nel 2017 (governo Gentiloni) con la Libia, neppure sarà portato all’approvazione del Parlamento, come imporebbe l’art. 80 della Costituzione. Approvazione che del resto, anche quando fosse richiesta, sarebbe probabilmente un ennesimo atto di forza della maggioranza, su una opposizione divisa, come in passato, sul tema, oggi ancora più scottante, degli accordi con i paesi terzi per realizzare le politiche di esternalizzazione dei controlli di frontiera. Ma per Giorgia Meloni, dopo il fallimento del Memorandum d’intesa tra Unione europea e la Tunisia, le difficoltà nei rapporti con i governi libici ancora in conflitto, e la caduta di qualsiasi ipotesi di collaborazione con i paesi africani, il Piano Mattei per l’Africa, rimasto congelato dopo la crisi in Niger, paese che si pensava di utilizzare come partner per operazioni di deportazione, e infine, per la ventata anti-occidentale che si respira in tutti i paesi del Sahel dopo l’esplosione del conflitto in Palestina, occorreva una dimostrazione di forza. Magari l’ennesimo annuncio, di un piano che dovrebbe andare a regime, secondo le intenzioni dei governi non prima della primavera del 2024, giusto in tempo prima delle elezioni europee.

      Per il ministro per gli affari europei Raffaele Fitto, il Memorandum sarebbe “in linea con la priorità accordata alla dimensione esterna della migrazione e con i dieci punti del piano della presidente della Commissione von der Leyen”. Da Bruxelles, un portavoce della Commissione europea all’Adnkronos ha invece affermato: “Siamo stati informati di questo accordo, ma non abbiamo ancora ricevuto informazioni dettagliate: l’accordo operativo deve essere tradotto in legge dall’Italia e ulteriormente implementato. È importante che qualsiasi accordo di questo tipo rispetti pienamente il diritto comunitario e internazionale“. Non si vede come la Commissione europea possa dare sostegno a questo Memorandum d’intesa, anche se l’approssimarsi della scadenza delle elezioni europee potrebbe fare schierare opportunisticamente alcuni leader nazionali(sti) o pezzi della Commisione UE a fianco di Giorgia Meloni. Il riconoscimento dell’Albania come “paese terzo sicuro” non potrà certo legittimare respingimenti collettivi, vietati dall’art. 19 della Carta dei diritti fondamentali del’Unione Europea, pratiche illegali di privazione dela libertà personale o procedure di rimpatrio vietate dalla Direttiva 2008/115/CE, e dalle Direttive n. 32 e 33 del 2013, in materia di procedure e di accoglienza per richiedenti asilo.

      Appare ben strano che un paese aderente all’Unione Europea possa deportare persone soccorse in acque internazionali da proprie navi militari verso un paese che non appartiene all’Unione Europea e che dunque non è soggetto al rispetto degli obblighi e delle garanzie stabilite dalla normativa eurounitaria. Se poi si considerasse il diritto internazionale del mare, le persone soccorse in alto mare dovrebbero essere sbarcate in un porto sicuro nel paese che ha coordinato le attività di ricerca e salvataggio. In ogni caso le attività degli assetti militari in mare, con riferimento al soccorso dei naufraghi ed al contrasto dell’immigrazione irregolare, non possono prescindere dagli obblighi imposti dal Regolamento europeo n.656 del 2014. O, forse, le operazioni di ricerca e soccorso si trasformeranno in attività di intercettazione ed “manovre cinematiche di interposizione”, come quelle condotte poste in essere nel 1997 dal comandante di Nave Sibilla, dopo gli accordi di Prodi con il governo albanese di allora, quando la nave militare italiana, nel tentativo di attuare un maldestro blocco navale, speronava un barcone carico di migranti provenienti dall’Albania, mandandolo a fondo? Ci saranno altri casi simili sotto esame da parte dei Tribunali penali italiani?

      La Corte europea dei diritti dell’Uomo ha già sanzionato l’Italia nel 2014 sul caso Sharifi per i respjgimenti collettivi effettuati verso un paese terzo “sicuro”, come poteva esserlo nel 2009 la Grecia, e sentenze più recenti hanno condannato su diversi casi il nostro paese per trattenimenti informali o “de facto“, senza la tempestiva convalida giurisdizionale imposta in precisi termini temporali, oltre che dall’art. 13 della Costituzione italiana, dagli articoli 5, 6 e 13 della Convenzione europea a salvaguardia dei diritti dell’Uomo. Qualunque forma di detenzione praticata da un paese aderente alla suddetta Convenzione deve avere una espressa previsione legale (riserva di legge), e deve essere convalidata da un giudice davanti al quale ogni persona migrante possa fare valere i suoi diritti di difesa (riserva di giurisdizione). Si prevede la presenza di giudici italiani nei nuovi centri di detenzione che si vorrebbero aprire in Albania “sotto giurisdizione italiana” ?

      Non sembra che il Memorandum d’intesa firmato dalla Meloni e da Edi Rama, alla caccia di appoggi per l’ingresso dell’Albania nell’Unione Europea, abbia tenuto conto di queste regole che, semmai si riuscisse davvero ad applicare quanto annunciato, potrebbero essere lese dalle autorità italiane sotto la cui giurisdizione resterebbero le persone deportate in Albania. E saranno tutte da verificare quali saranno le conseguenze per il traballante governo albanese di un Memorandum d’intesa che rischia di produrre migliaia di persone costrette alla clandestinità in territorio albanese, quando al termine dei trenta giorni di detenzione previsti non potranno essere rimpatriati. Un ennesimo esempio di come gli accordi tra governi possano agevolare le bande criminali che in Albania sono sempre più attive e che potrebbero lucrare sulla clandestinità, che sarebbero meglio contrastate se si garantisse alle persone migranti canali legali di ingresso e il diritto di chiedere asilo in un paese sicuro per davvero, secondo le regole fissate dalle Convenzioni internazionali e dalla normativa dell’Unione europea.

      https://www.a-dif.org/2023/11/07/un-protocollo-dintesa-con-lalbania-opaco-disumano-e-privo-di-basi-legali

    • Accordo Italia-Albania sui migranti, la UE chiede i dettagli

      L’Italia realizzerà in Albania due centri per la gestione dei migranti che potranno gestire un flusso annuale di 36mila persone. Lo ha dichiarato oggi la premier Giorgia Meloni in conferenza stampa con il primo ministro albanese Edi Rama. Ne parliamo con Genthiola Madhi, ricercatrice di Osservatorio Balcani e Caucaso, e con Andrea Spagnolo, professore di Diritto internazionale e umanitario all’Università di Torino.

      https://www.radio24.ilsole24ore.com/programmi/luogo-lontano/puntata/trasmissione-7-novembre-2023-160500-2404283315532563

    • Ecco perché l’accordo tra Italia e Albania è illegale: tutte le procedure che violano il diritto europeo

      Rappresenta il punto più estremo dell’esternalizzazione delle frontiere e del diritto di asilo. Le tutele per le persone bisognose di protezione, invece che garantite, vengono ridotte al minimo.

      Il Protocollo stipulato tra Italia ed Albania “per il rafforzamento della cooperazione in materia migratoria” è il punto finora più estremo (ma, come si vedrà, anche incoerente) a cui l’Italia è giunta nel processo di esternalizzazione delle frontiere e del diritto di asilo.

      Trattandosi di un’intesa avente una chiara natura politica, che richiede oneri finanziari, e che altresì riguarda la condizione giuridica degli stranieri, quindi una materia coperta dalla riserva di legge di cui all’art. 10 co.2 della Costituzione, il Protocollo e i suoi atti attuativi devono essere ratificati dal Parlamento ai sensi dell’art. 80 della Costituzione. Prive di alcun pregio mi sembrano le argomentazioni di chi ritiene che non occorre alcuna ratifica trattandosi di una sorta rinforzo ad accordi pre-esistenti.

      Scopo del Protocollo è quello di trasportare coattivamente in Albania cittadini di paesi terzi per “i quali deve essere accertata la sussistenza o è stata accertata l’insussistenza dei requisiti per l’ingresso, il soggiorno o la residenza” (art.1) in Italia. In Albania, in “aree di proprietà demaniale” (art.1) albanesi, quindi in territorio albanese a tutti gli effetti, nel quale i migranti rimarrebbero confinati “al solo fine di effettuare le procedure di frontiera o di rimpatrio previste dalla normativa italiana ed europea e per il tempo strettamente necessario alle stesse” (art.4.3).

      Il testo non esclude che l’ingresso in Albania avvenga anche in via diversa da quella marittima, quindi riguardi anche persone straniere bloccate sulle vie terrestri, magari nei Balcani, purché tale trasporto avvenga “esclusivamente con i mezzi delle competenti autorità italiane” (art. 4.4). Le autorità italiane assicurano “la permanenza dei migranti all’interno delle aree impedendo la loro uscita non autorizzata” (art. 6.5) e il periodo di permanenza in Albania “non può essere superiore al periodo massimo di trattenimento consentito dalla normativa italiana” (art. 9.1).

      Al termine delle procedure le autorità italiane “provvedono all’allontanamento dei migranti dal territorio albanese” (art. 9) ovvero al rientro in Italia. Molta enfasi è stata posta sul fatto che l’accordo sia finalizzato al trasferimento forzato in Albania dei soccorsi in mare al fine di esaminare le domande di asilo dei naufraghi; tuttavia nel protocollo non c’è alcun riferimento alla procedura di asilo né alla protezione internazionale e le uniche parole che richiamano l’asilo riguardano il rinvio a non meglio definite procedure di frontiera.

      Obiettivo non secondario del protocollo, risulterebbe dunque essere l’utilizzo del territorio albanese per farvi dei centri di detenzione amministrativa per stranieri espulsi dall’Italia, ma che verrebbero trattenuti in Albania al fine di eseguire coattivamente il rimpatrio nel paese di origine. Nonostante il ministro Piantedosi si affanni a dichiarare che non si tratterà di CPR (Centri per il Rimpatrio) il testo del Protocollo dice diversamente.

      Emerge dunque evidente il rischio che l’operazione intenda nascondere una strategia per realizzare CPR inaccessibili, lontani da sguardi indiscreti e da inchieste giornalistiche, liberandosi dell’incubo di dover trovare un luogo dove aprirli in Italia, dove nessun amministratore, di qualsiasi colore politico li vuole. Esaminiamo ora l’ipotesi che il Protocollo venga applicato principalmente a persone soccorse in mare che verrebbero portate in Albania al solo scopo di detenerle e di esaminare le loro domande di asilo.

      Nel testo del protocollo si fa riferimento esplicito all’espletamento delle procedure di frontiera previste dal diritto italiano ed europeo. Prima ancora di verificare se gli standard e le garanzie previste dal diritto dell’Unione possano essere rispettate, ciò che bisogna chiedersi è se sia possibile esaminare le domande di asilo presentate da coloro che vengono deportati dal territorio italiano in cui si trovano (le navi ed altri mezzi delle autorità italiane) nel territorio albanese.

      La risposta non può che essere negativa, dal momento che il diritto dell’Unione sull’asilo (o protezione internazionale) si applica nel territorio degli Stati membri, alle frontiere, nelle zone di transito e nelle acque territoriali. Non si applica al di fuori dell’Unione. Un’applicazione extra-territoriale del diritto dell’UE non pare possibile, come del tutto correttamente messo in luce anche dal documento “Preliminary Comments on the Italy-Albania Deal” pubblicato il 9.11.23 dall’autorevole E.C.R.E. (European Council on Refugees and Exiles).

      Analogo ragionamento vale anche per ciò che attiene l’ipotesi di usare i centri per l’esecuzione del trattenimento degli stranieri espulsi regolato dal diritto dell’Unione con la Direttiva 115/2008/CE. Anche in tal caso non ne risulta possibile alcuna applicazione extra territoriale al di fuori del territorio degli stati membri dell’Unione.

      Va sempre considerato che non ci troviamo di fronte alla questione di come consentire l’accesso alla procedura di asilo da parte di uno straniero che si trova all’estero, e di come si possa esaminare, almeno in fase preliminare, la sua domanda di asilo al fine di consentire un suo successivo ingresso nel territorio di uno stato membro: in altri termini, di come creare delle procedure di ingresso protette a persone con un chiaro bisogno di protezione.

      All’esatto opposto, il protocollo tra Italia e Albania configura una situazione nella quale persone che sono già sotto la giurisdizione italiana, per essere stati soccorsi e trasportati da navi dello Stato, vengono subito dopo tradotte in un paese terzo al solo scopo di impedirne l’ingresso nel territorio nazionale e predeterminare delle condizioni di esame delle domande di asilo con garanzie procedurali ridotte al minimo.

      Ammettiamo ora, come mero esercizio, che si possa sostenere che il diritto dell’Unione sia applicabile all’esame delle domande di asilo in Albania ed esaminiamo le principali questioni che si aprono: la consegna dei migranti dalle mani delle autorità italiane a quelle albanesi, allo sbarco e fino all’ingresso nei centri di detenzione, che, nonostante l’asserita giurisdizione italiana, si trovano in territorio albanese, potrebbe configurare un respingimento collettivo vietato dal diritto dell’Unione Europea. Per i respingimenti collettivi attuati con la Libia nel 2009 l’Italia è stata condannata dalla Corte Europea dei diritti umani il 23.02.2013 nella causa Hirsi Jamaa.

      Nessuna valutazione sulla condizione delle persone salvate in mare può essere condotta a bordo delle navi italiane, e dunque ogni procedura giuridica dovrebbe iniziare in territorio albanese all’interno di centri sotto la giurisdizione italiana (ma anche albanese). La restrizione della libertà personale di coloro che vi verrebbero rinchiusi, per essere conforme all’art. 13 Costituzione, va convalidato dall’autorità giudiziaria con un esame caso per caso a seguito del quale il provvedimento di trattenimento viene convalidato o meno.

      Come garantire dentro il microcosmo del campo a gestione italiana il corretto funzionamento della procedura, tra cui ovviamente il diritto del richiedente che si intende trattenere di essere assistito da un legale italiano di fiducia? In ogni caso deve essere esclusa la possibilità di un trattenimento generalizzato di tutti i richiedenti asilo perché tassativamente vietato dal diritto dell’Unione che vieta agli Stati di applicare misure di limitazione della libertà personale nei confronti dei richiedenti asilo “per il solo fatto di essere un richiedente” (Direttiva 2013/33/UE articolo 7 paragrafo 1).

      Come noto, il diritto dell’Unione prevede che il trattenimento venga disposto solo in casi molto limitati e “salvo se non siano applicabili efficacemente misure alternative meno coercitive” (articolo 8, paragrafo 2), misure che comunque in Albania non sarebbero mai praticabili.

      La larga maggioranza dei richiedenti asilo, sicuramente tutte le situazioni vulnerabili e i minori, ma anche tutti coloro cui non sarebbe applicabile la procedura accelerata di frontiera, non potrebbero dunque in nessun caso essere trattenuti, ma poiché non possono neppure rimanere in Albania al di fuori dal centro, dovrebbero essere trasportati in Italia immediatamente per continuare l’accoglienza e l’esame ordinario della loro domanda di asilo sul territorio nazionale.

      Nei confronti di coloro che rimarrebbero rinchiusi nei centri in Albania va garantito senza eccezioni l’esercizio dei diritti fondamentali, tra cui il diritto di ricevere “le informazioni sulla procedura con riguardo alla situazione particolare del richiedente” nonché di comunicare con “organizzazioni che prestino assistenza legale o altra consulenza ai richiedenti” (Direttiva 2013/32/UE art. 19).

      In caso di diniego il richiedente deve poter pienamente esercitare il suo diritto alla difesa, costituzionalmente garantito (Cost. articolo 24) e ha diritto ad un “ricorso effettivo” (Direttiva 2013/32/UE art. 46 par.1) che per essere tale deve garantire alla persona la libertà di consultare un legale e di sceglierlo.

      Nell’ambito delle procedure accelerate di frontiera il giudice mantiene la possibilità di concedere la sospensiva nelle more della decisione di merito ovvero “autorizzare o meno la permanenza del richiedente nel territorio dello Stato membro” (art.46 par.6 lettera d). Ma, in caso di autorizzazione il richiedente non si trova affatto sul territorio dello Stato membro (!) bensì in Albania, il che comporta l’immediato trasferimento in Italia del richiedente da parte delle autorità italiane e la prosecuzione dell’iter della domanda in Italia.

      Il Protocollo appare dunque un incredibile coacervo di procedure radicalmente illegittime rispetto al diritto dell’Unione vigente e che comunque non potrebbero essere applicate in modo razionale e rispettoso di garanzie procedurali e di tutela dei diritti fondamentali degli stranieri coinvolti, sia che si tratti di naufraghi prima e richiedenti asilo poi, che di stranieri espulsi e poi trattenuti in Albania.

      https://www.unita.it/2023/11/10/ecco-perche-laccordo-tra-italia-e-albania-e-illegale-tutte-le-procedure-che-vi

    • Ancora lui, ancora Edi

      Periodicamente il primo ministro albanese si occupa dei flussi migratori italiani. Ripassare quali siano le sue motivazioni è utile, anche perché questa volta, forse, ha esagerato. Un commento

      Edi Rama governa l’Albania da più di dieci anni. Le prime elezioni le vinse nel 2013, pochi mesi dopo il “siamo arrivati primi ma non abbiamo vinto” di Pierluigi Bersani. Da noi la sinistra pareggiava con un Berlusconi terminale; sull’altra sponda dell’Adriatico, invece, Edi l’artista, Edi il socialista, l’ex sindaco di Tirana che aveva colorato i palazzi, archiviava per sempre la stagione di Sali Berisha. Voltava pagina. “Come sono avanti questi albanesi”, è il qualunquismo mezzo di sinistra e mezzo di disprezzo che da allora dedichiamo ai nostri vicini. E su questa carenza di conoscenza, da più di un decennio, periodicamente, Edi Rama lucra politica. Non lo vediamo perché per vederlo bisogna considerare l’Albania uno stato. E invece per noi l’Albania è un luogo dell’immaginario, e i sogni non sono portatori di interessi. Non lo vediamo, perché la fiction italo-albanese è utile a mascherare la povertà della nostra politica estera.

      L’ultimo gioco di prestigio Rama lo ha regalato lunedì scorso a Palazzo Chigi, questa volta il complice non è stato l’«amico Renzi» (2014), né l’«amico Di Maio» (2021), siccome siamo nel 2023 è stata «l’amica Giorgia Meloni». Non sono certo che commentare il memorandum (https://www.ilpost.it/wp-content/uploads/2023/11/08/1699429572-Protocollo-Italia-Albania-.pdf?x19465) firmato dai due governi sia utile, non solo perché è evidentemente poco praticabile sul piano pratico e giuridico, ma perché seguo da diversi anni le relazioni tra Italia e Albania e non credo più alle parole che si dicono le due diplomazie. A chi non avesse seguito, basti sapere che nel corso della conferenza stampa (https://www.governo.it/it/articolo/il-presidente-meloni-incontra-il-primo-ministro-della-repubblica-d-albania/24178), la Presidente del Consiglio ha dichiarato che l’Albania “concederà all’Italia alcune zone del suo territorio” (sic!), sulle quali l’Italia potrà realizzare “a proprie spese e sotto la propria giurisdizione” due strutture “per la gestione dei migranti illegali”. Per l’esattezza il governo ipotizza di portare in Albania tremila persone al mese, che dovrebbero rimanere in questi centri durante la domanda di asilo, negata la quale il richiedente verrebbe allontanato dal territorio albanese (non si capisce per andare dove, se si rimpatria dall’Italia o dall’Albania). Flusso complessivo annuale stimato: 36.000 persone. Come alla fine delle pubblicità dei farmaci, Meloni in chiusura ha messo le avvertenze – “Il protocollo disegna la cornice politica, all’accordo dovranno seguire i provvedimenti normativi conseguenti” – e ha fornito una vaga data di inizio progetto: primavera 2024. Tradotto: questo accordo non esiste, è pura propaganda.

      Nulla di nuovo sotto il sole italo-albanese. Qualcosa di simile era già avvenuto nel 2018, quando la crisi della nave Diciotti bloccata da Salvini nel porto di Catania venne “risolta” dai media manager del governo albanese, che promise su twitter l’accoglienza di 20 migranti, venendo immediatamente ripreso dall’account della Farnesina, e quindi da tutte le agenzie stampa. Anche allora i ministri Salvini e Di Maio (il governo era gialloverde) enfatizzarono la condotta del piccolo paese balcanico “più europeo e più solidale degli stati membri”: a sinistra ci si cullò nel sogno di un paese povero ma ospitale, a destra ci si vantò dei frutti dell’intransigenza del ministro degli Interni, che con il suo “no” aveva imposto una redistribuzione, peraltro a un paese che con il suo gesto ripagava finalmente l’accoglienza degli italiani (come se la Lega Nord degli anni Novanta fosse stata accogliente verso gli albanesi). Giorni di dichiarazioni allucinanti e vuote, perché nessun asilante della Diciotti arrivò mai in Albania (https://www.balcanicaucaso.org/aree/Albania/Nessun-asilante-della-Diciotti-e-mai-arrivato-in-Albania-192453), né alcuna autorità si pose mai il problema che ciò accadesse, essendo illegale il trasferimento di un migrante giunto in Ue in uno stato terzo, fuori dal sistema di asilo europeo.

      Ed è proprio qui che la sparata di Meloni supera quella di Salvini: perché per evitare l’obiezione dell’illegalità di un trasferimento forzato fuori dall’Ue, a questo giro si dice che il porto di Shëngjin e le sue strutture saranno “territorio italiano”, e che da quel territorio i migranti dislocati in Albania potranno chiedere asilo all’Italia. Ammesso e non concesso che sia possibile trasportare i migranti intercettati, poniamo, al largo della Sicilia in un porto a 700 km di mare delle rotte del Mediterraneo centrale (non certo l’approdo più vicino imposto dalle Convenzioni internazionali sul soccorso in mare), davvero non si capisce come sia possibile realizzare una Italia extraterritoriale, capace di organizzare un’accoglienza rispettosa del diritto internazionale fuori dai propri confini. Ma sto contravvenendo al buon proposito di non commentare un memorandum che non diventerà mai operativo. Torniamo alla politica, e in particolare alla politica albanese. Perché, ciclicamente, Edi Rama si occupa delle nostre questioni migratorie?

      Per lo stesso motivo per cui nel 2020 sceneggiò di inviare una squadra di infermieri in Lombardia per aiutare le nostre terapie intensive intasate dal Covid-19 (https://www.balcanicaucaso.org/aree/Albania/Dare-un-senso-alla-solidarieta-del-governo-albanese-200768): il video sulla pista dell’aeroporto di Tirana (https://www.youtube.com/watch?v=XYtgeZjtIko

      ), con i poveri medici già inscafandrati è degno della Corea del Nord (per la cronaca, si trattava di ragazzi inesperti, come emerse negli ospedali del bresciano dove vennero dislocati, sostanzialmente per apprendere le tecniche di contrasto al virus, nel momento in cui la pandemia divampava anche in Albania). Nel 2018, come nel 2020 come nel 2023, per Edi Rama l’obiettivo è sempre uno solo: entrare nel flusso narrativo delle vicende europee, accreditarsi tra i partner come leader d’area e dipingere presso le opinioni pubbliche l’Albania come membro di fatto dell’Unione europea. Cose che aiutano a far dimenticare che su ogni singolo dossier dei negoziati di adesione il suo paese arranca.

      La conferenza stampa di Rama e Meloni non ha raccontato l’avvenimento di un fatto diplomatico. È essa stessa il fatto diplomatico. Dinanzi agli italiani, Rama ha offerto a Meloni la possibilità di fingere che l’Italia abbia una politica estera assertiva (una funzione che lo stato albanese ha svolto altre volte nella storia d’Italia), dinanzi agli europei, Meloni ha offerto a Rama ciò che tutti i governi italiani garantiscono a prescindere dal colore politico: il certificato di europeità. “Non solo l’Albania si conferma una nazione amica dell’Italia – ha dichiarato la Presidente – ma anche una nazione amica dell’Unione europea. Nonostante sia solo un paese candidato si comporta già come un paese membro dell’Unione”. Insomma, da dieci anni il copione è lo stesso, ma i nostri governi cambiano ed ereditano il discorso dal precedente, mentre Rama resta e continua ad affinare la sua interpretazione: “Preferisco far riposare il traduttore”, dice prima di sfoderare il suo italiano, con lo sguardo umile di chi vorrebbe fare di più. E poi va dritto al cuore, dritto sul senso di colpa della sinistra, dritto sul complesso di superiorità della destra: “Non avremmo fatto questo accordo con nessuno stato Ue. Il debito che abbiamo con l’Italia non si paga, ma se l’Italia chiama l’Albania c’è. Se ci sono domande bene, se non ci sono firmiamo e andiamo in vita dopo aver fatto il nostro dovere”.

      Da dieci anni, Edi Rama governa il suo paese con i media stranieri e il consenso che miete all’estero, da Bruxelles ad Ankara (perché esiste anche un copione “orientalista” consolidato, ma questa è un’altra storia: https://www.balcanicaucaso.org/aree/Albania/Albania-candidata-all-Europa-o-provincia-ottomana-195112). Oggi in Albania manca una opposizione credibile, sia a livello nazionale che municipale, principalmente perché opporsi non conviene. La criminalità organizzata è scesa a patti con questo nuovo, singolo, potere. La corruzione non dilaga, è endemica, l’unico metodo possibile. Le riforme richieste dall’Ue arrancano, gli albanesi emigrano in massa: senza barconi, ma chiedendo asilo in nord Europa, come gli eritrei della Diciotti.

      Per tutti questi motivi Edi (che è cresciuto a Rai e Mediaset e conosce il potere ipnotico che l’estero esercita sulla periferia albanese e che il ricordo della migrazione albanese esercita su di noi) ogni tanto un giretto in Italia se lo fa. E proprio per questi motivi, proprio perché l’Albania reale, nonostante la nostra cooperazione e le nostre politiche, oggi è un paese così, noi abbiamo bisogno di un’Albania che ci racconti quanto siamo stati bravi. Che ci confermi che stiamo raccogliendo i frutti dell’accoglienza seminata trenta anni fa. Che ci rassicuri sul fatto che sappiamo stare nel Mediterraneo, e che sul Mare Nostrum disponiamo di tavoli e relazioni che ci consentono di farci ascoltare in Europa. Questa volta, forse, l’hanno sparata troppo grossa. La ricorrente bugia italo-albanese è un’impostura morale che interessa a poche persone, ma sta oltrepassando le soglie della sostenibilità. Il risveglio rischia di essere molto brusco.

      https://www.balcanicaucaso.org/aree/Albania/Ancora-lui-ancora-Edi-228139

    • Albania Agrees to Host Centres Processing Migrants to Italy

      Albanian Prime Minister Edi Rama has signed an agreement in Rome pledging to host centers that will process the claims of thousands of migrants rescued by Italy at sea.

      Italian Prime Minister Giorgia Meloni and her Albanian counterpart, Edi Rama, on Monday in Rome signed an important memorandum of understanding under which Albania has agreed to host centres managing thousands of would-be migrants to Italy rescued at sea.

      “Mass illegal immigration is a phenomenon that no EU state can deal with alone, and collaboration between EU states and non-EU states, for now, is fundamental,” Meloni said.

      “The memorandum has three main goals”, she explained; to combat people smuggling and illegal migration, and to welcome only those that have rights to international protection.

      Under the deal, Italy will set up two centres in Albania, which Meloni said in the end might handle “a total annual flow of 36,000 people”.

      Jurisdiction over the centres will be Italian.

      “Albania will grant some areas of territory”, where Italy will create “two structures” for the management of illegal migrants: “they will initially be able to accommodate up to 3,000 people who will remain there for the time needed to process asylum applications and, possibly, for the purposes of repatriation,” said Meloni, Italy’s ANSA news agency reported.

      One centre will be at the northwestern Albanian port of Shëngjin, which will handle disembarkation and identification procedures and where Italy will set up a first reception and screening centre.

      In Gjader, also in north-western Albania, it will set up a second, pre-removal centre, CPR, structure for subsequent procedures, ANSA added.

      The deal does not apply to immigrants arriving on Italian territory but to those rescued in the Mediterranean by Italian official ships – not those rescued by NGOs. It does not apply to minors, pregnant women and vulnerable persons.

      Albania will collaborate on the external surveillance of the centres. A series of protocols will follow that outline the framework. The plan is to make the centres operational in the spring of 2024, Meloni said.

      Since Meloni’s far-right government came into power, one of its priorities has been to reduce the number of people arriving illegally in Italy through the Central Mediterranean or Western Balkan migration routes.

      This goal explains Italy’s renewed political interest in the Balkans. Several top Italian political figures, including Meloni herself and Foreign Minister Antonio Tajani, have been regularly meeting counterparts in Slovenia, Croatia and Albania in the last months. A central point of these meetings has been migration.

      Data published by the Italian Department of Public Safety show that the number of irregular arrivals in Italy in 2023 until November 1, 2023, was 145,314, a 165-per-cent increase compared to 2021, and 64 per cent higher than 2022.

      Albania’s Rama said Albania could not reach a similar agreement with any other country in the EU, citing the unique connections between Albania and Italy and Italians and Albanians.

      Sa far, Albania has had limited capacities to host migrants, most of whom use it as transit country to reach EU countries.

      Rama added that Albania owes the Italian people a debt for “what they did to us from the first day that we arrived on the shores of [Italy] to find support and to imagine and have a better life”.

      After the fall of communism of Albania in 1991, many Albanians fled to Italy’s southern coasts by boat. According to data published in 2021 by the Italian National Institute of Statistic, 230,000 Albanian citizens have acquired Italian citizenship since 1991.

      https://balkaninsight.com/2023/11/06/albania-agrees-to-host-centres-processing-migrants-to-italy

    • Italy-Albania agreement adds to worrying European trend towards externalising asylum procedures

      “The Memorandum of Understanding (MoU) between Italy and Albania on disembarkation and the processing of asylum applications, concluded last week, raises several human rights concerns and adds to a worrying European trend towards the externalisation of asylum responsibilities,” said today the Council of Europe Commissioner for Human Rights, Dunja Mijatović.

      “The MoU raises a range of important questions on the impact that its implementation would have for the human rights of refugees, asylum seekers and migrants. These relate, among others, to timely disembarkation, impact on search and rescue operations, fairness of asylum procedures, identification of vulnerable persons, the possibility of automatic detention without an adequate judicial review, detention conditions, access to legal aid, and effective remedies. The MoU creates an ad hoc extra-territorial asylum regime characterised by many legal ambiguities. In practice, the lack of legal certainty will likely undermine crucial human rights safeguards and accountability for violations, resulting in differential treatment between those whose asylum applications will be examined in Albania and those for whom this will happen in Italy.

      The MoU is indicative of a wider drive by Council of Europe member states to pursue various models of externalising asylum as a potential ‘quick fix’ to the complex challenges posed by the arrival of refugees, asylum seekers and migrants. However, externalisation measures significantly increase the risk of exposing refugees, asylum seekers and migrants to human rights violations. The shifting of responsibility across borders by some states also incentivises others to do the same, which risks creating a domino effect that could undermine the European and global system of international protection.

      Ensuring that asylum can be claimed and assessed on member states’ own territories remains a cornerstone of a well-functioning, human rights compliant system that provides protection to those who need it. It is therefore important that member states continue to focus their energy on improving the efficiency and effectiveness of their domestic asylum and reception systems, and that they do not allow the ongoing discussion about externalisation to divert much-needed resources and attention away from this. Similarly, it is crucial that member states ensure that international co-operation efforts prioritise the creation of safe and legal pathways that allow individuals to seek protection in Europe without resorting to dangerous and irregular migration routes.”

      https://www.coe.int/en/web/commissioner/view/-/asset_publisher/ugj3i6qSEkhZ/content/id/261934338

    • German Chancellor Scholz to examine Italy-Albania asylum deal

      The German leader has signalled an openness to study Italy’s recent agreement to hold asylum seekers in centers in Albania. The deal has raised human rights concerns, including from the Council of Europe.

      German Chancellor Scholz has said he will look “closely” at Italy’s plans to establish centers in Albania to hold migrants. Speaking on the sidelines of the congress of European Socialists in the Spanish city of Malaga, he noted that Albania is a candidate for EU membership and that challenges like migration needed to be addressed on a European level, reported Reuters.

      “Bear in mind that Albania will quite soon, in our view, be a member of the EU, implying that we are talking about the question of how can we jointly solve challenges and problems within the European family,” Scholz told reporters on Saturday (November 11).

      The Memorandum of Understanding between the Italian and Albanian governments, announced last week, will see tens of thousands of migrants who were rescued in the Mediterranean housed in closed centers in Albania while authorities assess their asylum requests.

      “Such deals, that have been eyed there, are possible, and we will all look at that very closely,” Scholz stated during the briefing, according to Reuters.

      He emphasized that a clear European course in migration policy was needed “to correct things that have not been right in the past (and) to establish a solidarity mechanism so that not each country on its own has to try and master the challenges alone.”
      ’It becomes less attractive for them to pay big money to smugglers’

      If the Italy-Albania deal is implemented, it would be the first time that such an idea would actually be put in place, Ruud Koopmans, a professor for migration studies and advisor to the German Federal Office for Migration and Refugees, BAMF, told DW in an interview. He referred to unsuccessful attempts by Denmark and the UK to try something similar in Rwanda.

      From a legal perspective, the Italy-Albania deal could become problematic if people who are rescued on Italian territory instead of in international waters are sent to Albania, Koopmans noted. “When people from the Sahara come to Italy and are then sent to Albania, there is no prior connection to Albania. This could be legally problematic.”

      Koopmans said that it could also become difficult to send people back who are rejected. “…(T)his is not easy in practice, as home countries often do not cooperate and documents are missing. This is a problem that Albania will also face. But if people know that they will have to wait in Albania if they are rejected, it becomes less attractive for them to pay big money to smugglers,” he said.

      Discussions on finding solutions to increasing asylum numbers are gaining momentum, Koopmans said. “More and more countries are looking for solutions. Denmark, Austria, the Netherlands and Germany are having discussions along these lines.” Deals like the Italy-Albania agreement could present an opportunity for countries neighboring the EU, in that they could help their efforts to join the bloc, he added.

      Deal could undermine human rights safeguards, Mijatović

      Italy’s deal has raised concerns among Italy’s opposition as well as rights groups who see it as an attack on the right to asylum. The NGO Emergency said that the deal is “in reality, ...a way to block migrants from arriving on Italian soil – and therefore European soil – to ask for asylum, as required by European and international law. (This is) yet another attack on asylum rights and the provisions of Article 10 of our Constitution.”

      Concerns were also expressed by Council of Europe Commissioner for Human Rights, Dunja Mijatović. She warned that the deal’s legal ambiguities could undermine human rights safeguards and accountability. “The MoU is indicative of a wider drive by Council of Europe member states to pursue various models of externalizing asylum as a potential ’quick fix’ to the complex challenges posed by the arrival of refugees,” she said in a press release on November 13.

      Mijatović urged member states to focus on improving domestic asylum and reception systems and to prioritize safe and legal pathways for protection in Europe.

      Germany announces streamlined asylum process

      The chancellor’s remarks in Malaga came on the heels of an agreement with Germany’s 16 states on a tougher migration policy and increased funding for refugee hosting capacities.

      Faced with an increase in the number of asylum cases filed in Germany, estimated to reach 300,000 this year, the government has announced it will accelerate procedures.

      At all BAMF offices, the procedure for registering asylum seekers now includes photographing and fingerprinting, allowing for immediate data checks to rule out potential multiple identities. The system allows other agencies involved in the asylum process to access biometric data as well, according to BAMF. Arabic names will be transferred into the Latin alphabet to prevent differences in spelling and other mix-ups.

      Furthermore, mobile phone searches will only be conducted on a case-by-case basis, BAMF said, and queries to the Schengen Information System (SIS) will be reduced: if the last SIS search was within 14 days, an additional inquiry is waived.

      A spokesperson from BAMF said that these specific measures would make procedures more efficient, while maintaining high-security standards. The asylum procedure is meant to last 6.7 months on average. However, when considering negative decisions, administrative court proceedings take on average 21.8 months in the first instance, the spokesperson noted.

      https://www.infomigrants.net/en/post/53194/german-chancellor-scholz-to-examine-italyalbania-asylum-deal

    • Accordo Italia-Albania, ASGI: è incostituzionale non sottoporlo al Parlamento

      La Costituzione italiana prevede che la ratifica di trattati internazionali spetti al Presidente della Repubblica, previa, quando occorra, l’autorizzazione con legge del Parlamento (art. 87, Cost.).

      Tutti i tipi di trattati internazionali costituiscono una delle fonti del diritto internazionale, la cui efficacia nell’ambito nazionale deriva da un ordine di esecuzione dato per effetto della loro ratifica che fa sorgere l’obbligo internazionale della loro attuazione interna.

      Come ha ricordato il Ministero degli affari esteri nella sua circolare n. 2/2021 del 30 luglio 2021 “quale che sia la loro denominazione formale (trattati, accordi, convenzioni, memorandum, etc.), i trattati internazionali possono essere conclusi tramite documenti a firma congiunta, scambi di note, scambi di lettere o altre modalità, essendo riconosciuto dal diritto internazionale il principio della libertà delle forme.”

      Gli atti per i quali l’art. 80 Cost. prescrive la preventiva legge di autorizzazione alla ratifica sono i «trattati che sono di natura politica, o prevedono arbitrati o regolamenti giudiziari, o importano variazioni del territorio od oneri alle finanze o modificazioni di leggi».

      La dottrina giuridica afferma che si tratti di una forma di controllo democratico della politica estera e di compartecipazione delle Camere al potere estero del Governo. Anche per tale rilevanza politica complessiva l’art. 72, comma 4 Cost. prescrive che i disegni di legge per la ratifica siano esaminati sempre con procedura legislativa ordinaria.

      Inoltre, è bene ricordare che, in generale, qualsiasi norma non costituzionale deve essere interpretata sempre in modo conforme alla Costituzione, sicché anche questo Protocollo deve essere interpretato in modo conforme all’art. 80 Cost.

      Secondo il Governo, tuttavia, il Protocollo italo-albanese in materia di gestione delle migrazioni non deve essere sottoposto a legge di autorizzazione alla ratifica, perché sarebbe l’attuazione del Trattato di amicizia e collaborazione tra la Repubblica italiana e la Repubblica di Albania, con scambio di lettere esplicativo dell’articolo 19, fatto a Roma il 13 ottobre 1995, ratificato e reso esecutivo sulla base della legge 21 maggio 1998, n. 170.

      Tesi giuridicamente infondata, perché l’art. 19 del Trattato del 1995 prevede soltanto che Italia ed Albania “concordano nell’attribuire una importanza, prioritaria ad una stretta ed incisiva collaborazione tra i due Paesi per regolare, nel rispetto della legislazione vigente, i flussi migratori” e che “riconoscono la necessità di controllare i flussi migratori anche attraverso lo sviluppo della cooperazione fra i competenti organi della Repubblica Italiana e della Repubblica di Albania e di concludere a tal fine un accordo organico che regoli anche l’accesso dei cittadini dei due Paesi al mercato del lavoro stagionale, conformemente alla legislazione vigente”.

      Dunque, nel Trattato del 1995 Italia e Albania si sono accordate per concludere successivi protocolli in materia migratoria soltanto per l’ipotesi prevista nell’art. 19 comma 2 e cioè per regolare l’immigrazione albanese in Italia (che infatti è stata poi regolata con due successivi accordi firmati in forma semplificata nel 1997 e nel 2008), mentre le norme che si riferiscono genericamente alla regolazione e al controllo dei flussi migratori alludono a materie del tutto vaghe e suscettibili delle più diverse applicazioni, future e incerte.

      Pertanto, la mera indicazione che si tratti di un Protocollo sulla “cooperazione in materia migratoria” e il richiamo a due precedenti trattati e accordi non possono certo essere lo strumento per eludere l’obbligo derivante dall’art. 80 Cost. per il Governo di presentare alle Camere un apposito disegno di legge di autorizzazione alla ratifica del Protocollo e della futura intesa di attuazione.

      Il Protocollo appena firmato prevede disposizioni molto dettagliate che riguardano proprio i casi in cui l’art. 80 Cost. esige la preventiva legge di autorizzazione alla ratifica, perché:

      – comportano oneri alle finanze, sia perché il Protocollo pone espressamente a carico dell’Italia specifici oneri finanziari, per l’allestimento delle strutture (art. 4, comma 5), per l’erogazione di servizi sanitari (art. 4, comma 9), per la realizzazione delle strutture necessarie al personale albanese addetto alla sicurezza esterna dei centri (art. 5., comma 2), per la riconduzione nei centri da parte delle autorità albanesi di eventuali migranti usciti illegalmente dai centri (art. 6, comma 6) e per l’impiego dei mezzi e delle unità albanesi (art. 8, comma 3) e per eventuali risarcimenti del danno (art. 12, comma 2), cioè per la realizzazione e gestione dei centri, per il relativo personale, per il trasporto da e per l’Albania degli stranieri trattenuti e per la loro assistenza anche sanitaria (a cui dovrà aggiungersi anche la copertura degli oneri connessi al gratuito patrocinio per le spese di difesa degli stranieri, per quelle di interpretariato e per quelle sullo svolgimento dell’attività delle commissioni per il riconoscimento della protezione internazionale e dei giudici che convalideranno il trattenimento e che giudicheranno sugli eventuali ricorsi), sia perché il Protocollo prevede specifici contributi, iniziali (16,5 milioni di euro) e una successiva garanzia di 100 milioni di euro, che devono essere erogati dall’Italia all’Albania i cui importi e scadenze sono specificati in un apposito allegato al Protocollo stesso;

      - comportano modificazioni di leggi, perché il Protocolloper essere effettivamente attuato non soltanto prevede espressamente un’intesa successiva (che, dunque, dovrà essere sottoposta alle Camere congiuntamente al Protocollo), ma prevede norme che comportano operazioni amministrative e giudiziarie concernenti stranieri giunti in Italia e che saranno svolte in Albania, cioè norme non previste dalle attuali leggi italiane. Questo significa che il protocollo, per essere attuato, esige implicitamente la modificazione di tante norme legislative vigenti in Italia, che regolano la condizione giuridica degli stranieri che giungono in Italia e che presentano in Italia una domanda per fruire del diritto di asilo nel territorio della Repubblica italiana (e la condizione giuridica dello straniero e le condizioni per il diritto di asilo sono materie coperte da riserva di legge ai sensi dell’art. 10, commi 2 e 3 Cost.). Infatti, in base alle disposizioni del protocollo costoro potranno essere soccorsi da navi italiane, e dunque in territorio italiano, e da qui trasportati poi in Albania per essere sottoposti in territorio albanese a misure restrittive alla libertà personale (e i casi e i modi dei provvedimenti restrittivi della libertà personale sono materie coperte da riserva assoluta di legge e da riserva di giurisdizione previste dall’art. 13 Cost. e dall’art. 5 CEDU); tali restrizioni avverranno mediante provvedimenti disposti e attuati in Albania da autorità italiane in modi che saranno, in tutto o in parte, diversi da quelli già previsti dalle vigenti norme legislative italiane (p. es. occorrerà indicare quale sarà l’autorità di pubblica sicurezza competente dal punto di vista geografico ad adottare i provvedimenti amministrativi di espulsione e i provvedimenti di trattenimento, occorrerà individuare la commissione territoriale competente ad esaminare eventuali domande di protezione internazionale, occorrerà dare una nuova applicazione al concetto di “accompagnamento immediato alla frontiera” di persone che in realtà sono già fuori del territorio italiano, occorrerà stabilire modi e garanzie per interpreti, difensori e stranieri durante lo svolgimento in Albania dei colloqui con le autorità di pubblica sicurezza e con i giudici, occorrerà disciplinare i procedimenti di trasporto degli stranieri da e per i centri albanesi);

      – comportano regolamenti giudiziari che riguardano la giurisdizione italiana, sia relativamente alla sua estensione territoriale e personale (inclusa la regolamentazione di eventuali contenziosi sulla responsabilità civile di ciò che accadrà in Albania che saranno espressamente di competenza dei giudici italiani), sia con riguardo alla effettuazione da parte dei giudici italiani nei centri albanesi dei giudizi di convalida dei trattenimenti e degli eventuali giudizi sui ricorsi contro le eventuali decisioni di diniego e di inammissibilità delle domande di protezione internazionale (occorrerà disciplinare la competenza territoriale del giudice che dovrà giudicare in Albania e le modalità delle notificazioni e dello svolgimento dei giudizi);

      - hanno natura politica, poiché le disposizioni del Protocollo impegnano durevolmente la politica estera italiana, avendo una durata di cinque anni ed essendo state negoziate e stipulate personalmente e pubblicamente dai capi dei Governi dei due Stati e non già da Ministri o da meri funzionari ministeriali, e poiché le premesse del Protocollo espressamente lo motivano con la “comunanza di interessi e di aspirazioni” tra i due Stati e dei due Stati alla prevenzione dei flussi migratori illeciti e della tratta degli esseri umani, e a promuovere la crescente collaborazione bilaterale tra Italia ed Albania “anche nella prospettiva dell’adesione della Repubblica di Albania all’UE”, che è l’evidente interesse principale di tutte le azioni di politica estera del governo albanese. La grande ed evidente politicità dell’accordo è confermata dalle dichiarazioni pubbliche fatte dalla Presidente del Consiglio dei ministri al momento della firma del protocollo davanti al Primo ministro albanese: il Protocollo è stato definito «importantissimo […] che arricchisce un’amicizia storica [e] una cooperazione profonda» tra i due Stati, la «cornice politica e giuridica» della collaborazione tra Italia e Albania e «un accordo di respiro europeo».

      Inoltre, il Protocollo ha per oggetto misure che attengono alle materie della sicurezza e della difesa nazionale. L’attuazione delle disposizioni previste dal Protocollo comporta il trasporto verso l’Albania di stranieri mediante mezzi delle competenti autorità italiane, il che avverrà in modi sostanzialmente forzati, mediante aerei o navi delle Forze armate italiane, le quali hanno già basi in Albania e alle quali il Governo con l’art. 21 del decreto-legge 19 settembre 2023, n. 124 ha affidato la realizzazione dei centri di permanenza per il rimpatrio, dei punti di crisi e dei centri governativi di accoglienza per richiedenti asilo, trattandosi di materie che lo stesso articolo del citato decreto-legge attribuisce espressamente alla materia della difesa e della sicurezza la realizzazione.

      Proprio su queste materie la legge n. 25/1997 (e oggi l’art. 10, comma 1, lett. a) del codice dell’ordinamento militare, emanato con d. lgs. n. 66/2010) ha previsto che tutte le deliberazioni del Governo in materia di sicurezza e di difesa debbano essere sempre approvate dal Parlamento. Ciò comporta che dal 1997 sono sottoposti all’esame delle Camere mediante leggi di autorizzazione alla ratifica anche tutti i tipi di accordi internazionali in materia di sicurezza e di difesa.

      *

      È dunque indispensabile l’esame parlamentare del disegno di legge di autorizzazione alla ratifica di questo protocollo e della sua futura intesa di attuazione e delle norme nazionali che daranno esecuzione nell’ordinamento italiano a questi accordi.

      Va ricordato, infine che:

      – la proposta di legge di autorizzazione alla ratifica non necessariamente deve essere di iniziativa del Governo (la Costituzione non lo prescrive), sicché, come è già accaduto in alcune altre occasioni, in mancanza di una presentazione di un disegno di legge del Governo essa può essere presentata nelle Camere anche da singoli parlamentari;

      – L’Assemblea di ogni Camera ha il potere di presentare alla Corte costituzionale ricorso per conflitto di attribuzioni tra i poteri dello Stato.

      In ogni caso qualora questo Protocollo non sia sottoposto a legge di autorizzazione alla ratifica in conformità con l’art. 80 Cost. non potrà mai essere eseguito, né potrà essere considerato vincolante per l’ordinamento italiano, quale obbligo internazionale ai sensi dell’art. 117, comma 1 Cost.

      https://www.asgi.it/notizie/accordo-italia-albania-asgi-illegittimo-parlamento

    • Nell’intesa Italia-Albania, la continuità deve preoccuparci quanto la novità

      L’accordo spinge la pratica di esternalizzare le frontiere verso direzioni preoccupanti. Dubbi sulla sua effettiva applicabilità

      A più di una settimana dall’annuncio dell’accordo tra Italia e Albania in materia di “gestione dei flussi migratori”, la mossa del governo italiano ha attirato diverse critiche in ambienti giuridici e militanti per le sue implicazioni in termini di diritti umani e di rispetto della legislazione italiana ed europea in materia di asilo.

      Nella consueta propaganda del governo, l’accordo (reso noto soltanto a operazione conclusa) è stato presentato come un successo diplomatico, un accordo “storico” e “innovativo”. Di fronte alle preoccupazioni sollevate da varie voci, la Presidente del Consiglio non è entrata nel merito, limitandosi a dichiararsi “fiera” di questa azione pionieristica, che “può diventare un modello per altre nazioni di collaborazione tra Paesi Ue e extra Ue” 1.

      Il protocollo prevede l’istituzione di due centri (paradossalmente definiti da alcuni media “di accoglienza”) in territorio albanese, ma sottoposti alla giurisdizione italiana: uno per le procedure di identificazione e gestione delle domande di asilo, l’altro per i rimpatri, sul “modello” dei CPR. È previsto un termine di 28 giorni per valutare le domande di ogni richiedente: una velocizzazione dei tempi che sicuramente andrebbe a discapito dell’accuratezza delle raccolte delle prove e delle valutazioni. Per quanto riguarda il “modello” del centro per i rimpatri, è ormai noto quanto gli abusi fisici e psicologici verso i detenuti siano frequenti, e quante morti evitabili sono state causate da questo sistema.

      I dubbi sulla legittimità e le possibili conseguenze dell’accordo sono tanti e fondati. E nonostante alcune affermazioni di approvazione da parte di politici europei per l’esperimento “interessante”, diversi giuristi esperti di migrazioni e diritto d’asilo hanno espresso le loro riserve sull’intesa. Una dichiarazione di ASGI sottolinea le ragioni per cui la mancata approvazione parlamentare di un accordo come questo non può ritenersi legittima. L’intesa prevede infatti disposizioni su alcune materie (finanziarie, scelte di politica estera, modifiche all’ordinamento giuridico) di cui dovrebbe necessariamente rispondere la rappresentanza democratica 2. Nel merito dei contenuti si è ampiamente espresso Fulvio Vassallo Paleologo, avvocato e attivista, descrivendo l’accordo come “privo di basi legali”.

      Un primo elemento di illegittimità è il trasferimento delle persone soccorse dalle navi italiane in territorio extra-europeo. Non si conoscono poi le attribuzioni delle competenze sulle procedure, le modalità dei rimpatri, i criteri per l’attribuzione delle caratteristiche di “vulnerabilità” che impedirebbero il trasferimento di alcune persone tratte in salvo da navi italiane verso l’Albania.

      Critiche sono arrivate anche da alcune organizzazioni non governative. Emergency ha descritto l’accordo come l’ennesimo attacco al diritto di asilo 3. La non appartenenza dell’Albania all’UE significa l’impossibilità di applicare la legge europea all’azione delle autorità albanesi. Inoltre, per i tempi sbrigativi con cui le persone richiedenti asilo sarebbero valutate, potrebbe non esserci spazio per il diritto al ricorso contro la decisione di rifiuto della domanda. In modo analogo, Amnesty International ha condannato l’accordo come “illegale e impraticabile” 4.

      Sia nelle presentazioni istituzionali sia nelle critiche, si è parlato di questo accordo soprattutto in termini di novità, di rottura con il quadro giuridico esistente. Ma è bene anche enfatizzare anche gli aspetti di continuità di questa scelta politica con il passato. Un’opinione autorevole arriva dal Consiglio d’Europa, che nelle parole della Commissaria per i diritti umani Dunja Mijatović esprime la sua preoccupazione per la tendenza crescente in Europa ad esternalizzare le frontiere e le procedure di asilo.

      La dichiarazione mette a punto una serie di fattori ambigui e problematici dell’accordo: “le tempistiche degli sbarchi, l’impatto sulle operazioni di ricerca e salvataggio, l’equità delle procedure di asilo, l’identificazione delle persone vulnerabili, la possibilità automatica di detenzione senza un adeguato controllo giudiziario, le condizioni di detenzione, l’accesso all’assistenza legale e a rimedi effettivi […]. In pratica, la mancanza di certezza giuridica probabilmente comprometterà le garanzie fondamentali per i diritti umani e la responsabilità per le violazioni, determinando un trattamento differenziato tra coloro le cui domande di asilo saranno esaminate in Albania e coloro per i quali ciò avverrà in Italia” 5.

      E sebbene tutte le ambiguità e anomalie implicite nel trattato potrebbero comportarne il fallimento o addirittura l’inapplicabilità, il protocollo d’intesa non fa che aggravare la preoccupante tendenza a esternalizzare le frontiere, ormai consolidata.

      E non è chiaramente una prerogativa esclusiva del governo attuale e delle forze politiche che lo sostengono. Infatti, il memorandum si inserisce perfettamente nel solco di altri accordi, più o meno opachi, che i nostri governi – ma anche altri governi europei e la stessa Unione – sottoscrivono da anni con paesi extra UE. Allora, forse, vale la pena di riflettere su quanto siamo disposti ad accettare, di volta in volta, di sacrificare un pezzo in più dei diritti delle persone in movimento, in una posta al ribasso che ha normalizzato sistemi che producono morte, sfruttamento e torture come inevitabili conseguenze della sacralità dei confini.

      Questa tendenza a esternalizzare tramite accordi con paesi terzi è indice di scarsa democraticità.

      Innanzitutto perché uno strumento come un protocollo d’intesa, o Memorandum of Understanding, è per sua natura “flessibile”. La preferenza sempre più marcata per questo tipo di accordo da parte del governo italiano – si pensi al memorandum con la Libia nel 2017 e con la Tunisia nel 2020 – risponde alle logiche emergenziali con cui sono ormai quasi esclusivamente trattate le questioni legate alle migrazioni.

      Se questo è un vantaggio dal punto di vista del governo, è evidente che la mancanza di controllo sui suoi contenuti e sulla sua eventuale applicazione rappresenta un problema: un memorandum non è legalmente vincolante per le due parti, non è necessariamente sottoposto a ratifiche parlamentare e può essere mantenuto riservato.

      Se si vuole parlare la lingua degli “interessi strategici”, troppo spesso l’unica con cui le istituzioni governative si approcciano alle politiche migratorie, è però una mossa rischiosa e in alcuni casi poco lungimirante. Un paese terzo a cui vengono attribuite determinate prerogative nel controllo dei confini non è un semplice ricettore passivo di politiche neocoloniali. Benché sia evidente che i rapporti di potere sono sbilanciati in favore della controparte europea, è vero anche che accordi di questo tipo hanno dato la possibilità ad alcuni governi di esercitare forme di pressione e influenza. Pressioni che, ovviamente, sono sempre andate a scapito dei diritti delle persone in movimento, usate come merce di scambio per ottenere dei vantaggi. Controlli più serrati si alternano a periodi di “rilascio controllato” dei/delle migranti, a seconda di ciò che il governo appaltante ritiene in quel momento più funzionale ai propri bisogni. È quello che accade ad esempio con Libia, Turchia, Marocco, Tunisia.

      È in questi termini che emerge ancora la continuità con le politiche migratorie degli ultimi decenni. Esternalizzare le frontiere e le procedure permette di sorvolare più di quanto non sia possibile in Italia sulle incombenze giuridiche e burocratiche del sistema di asilo. Ma soprattutto, rende meno visibili le immancabili violazioni associate al sistema di controllo delle migrazioni. Con la creazione di spazi sotto la giurisdizione italiana in un territorio di uno stato terzo, resta da chiarire come sarebbero valutate le responsabilità in caso di carenze gravi nelle strutture, che sono già state riscontrate in moltissime altre strutture europee, e non: sovraffollamento, mancanza di servizi adeguati per i richiedenti, incuria, abusi fisici, somministrazione di psicofarmaci contro la volontà dei soggetti interessati. A chi sarebbe affidata poi la repressione di eventuali rivolte o fughe da parte delle persone detenute?

      Esternalizzare le frontiere ha quindi uno scopo pratico molto preciso: allontanare dal territorio europeo la conoscenza delle sofferenze e degli atti di ribellione delle persone sottoposte al regime delle frontiere, prevenire azioni di monitoraggio e pressioni sul rispetto dei loro diritti da parte della società civile, far svolgere ad altri il lavoro sporco che per cui le istituzioni governative e le forze di polizia europee potrebbero dover essere chiamate a rispondere.

      Sottolineare gli elementi che renderebbero questo accordo illegale e inapplicabile è necessario per prevenire situazioni difficilmente riparabili con gli strumenti a disposizione della legge. Ma potrebbe non bastare: l’esperienza ci ha mostrato come accordi e decreti contrari ad alcuni principi costituzionali e del diritto di asilo abbiano comunque trovato applicazione, soprattutto quando questa è affidata in parte ad autorità di paesi terzi. È fondamentale quindi contestare alle sue radici una gestione emergenziale delle migrazioni, che passa per il solo sistema di asilo senza prevedere canali di ingresso regolari, e che mira a prevenire l’arrivo nel territorio europeo del maggior numero di persone possibile.

      Tweet di Giorgia Meloni: https://twitter.com/GiorgiaMeloni/status/1723027124246708620
      https://www.asgi.it/notizie/accordo-italia-albania-asgi-illegittimo-parlamento
      https://www.emergency.it/comunicati-stampa/laccordo-italia-albania-e-lennesimo-attacco-al-diritto-di-asilo-e-sottende
      https://www.amnesty.org/en/latest/news/2023/11/italy-plan-to-offshore-refugees-and-migrants-in-albania-illegal-and-unworka
      https://www.coe.int/hr/web/commissioner/-/italy-albania-agreement-adds-to-worrying-european-trend-towards-externalising-a

      https://www.meltingpot.org/2023/11/nellintesa-italia-albania-la-continuita-deve-preoccuparci-quanto-la-novi

    • Tavolo Asilo e Immigrazione: appello al Parlamento perché non ratifichi il Protocollo Italia-Albania

      L’accordo getta le basi per la violazione del principio di non respingimento e per l’attuazione di pratiche di detenzione illegittima: alle persone condotte nei centri sarebbe impedito di uscire, senza una chiara base legale e nessuna garanzia del diritto di difesa e a un ricorso effettivo

      Il Tavolo Asilo e Immigrazione chiede che il Protocollo Italia-Albania venga revocato dal Governo e fa fin da ora un appello al Parlamento perché voti contro il disegno di legge di ratifica preannunciato dal Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale durante le odierne comunicazioni alla Camera sull’intesa.

      L’accordo firmato con il governo albanese, violando gli obblighi costituzionali e internazionali del nostro Paese, si pone, come quello con la Tunisia, l’obiettivo di esternalizzare le frontiere e il diritto d’asilo.

      L’accordo Italia-Albania, così come delineato, comporta infatti il rischio di gravi violazioni dei diritti umani. Il testo dell’intesa non chiarisce se i centri da realizzarsi in Albania saranno destinati alle procedure di esame delle domande di protezione internazionale e in particolare alle procedure di frontiera o al rimpatrio, ma alle persone condotte nei centri sarebbe impedito di uscire, subendo di fatto un regime di detenzione automatica e prolungata, senza una chiara base legale. Anche la possibilità di controllo giurisdizionale sembra compromessa, così come il diritto di difesa e a un ricorso effettivo. L’Accordo non chiarisce infatti la competenza a convalidare il trattenimento delle persone, né che cosa accadrà alle persone che hanno chiesto protezione internazionale che non ottengano risposta entro i 28 giorni previsti dalla procedura accelerata.

      Infine, desta preoccupazione la mancanza nel Protocollo di qualsiasi riferimento alle persone maggiormente vulnerabili, minori, donne, famiglie, vittime di tortura, e di come queste sarebbero salvaguardate dall’applicazione dell’accordo, così come era stato invece annunciato nei giorni scorsi.

      Per questi motivi le Organizzazioni del Tavolo Asilo e Immigrazione ne hanno chiesto oggi la revoca da parte del Governo durante una conferenza stampa alla quale hanno partecipato anche la Segretaria del Partito Democratico Elly Schlein e il Segretario di +Europa Riccardo Magi, il senatore Graziano Delrio, Presidente del Comitato Parlamentare di controllo sull’attuazione dell’Accordo di Schengen, di vigilanza sull’attività di Europol, di controllo e vigilanza in materia di immigrazione, oltre ai deputati Matteo Mauri, Giuseppe Provenzano e Alfonso Colucci.

      Le associazioni hanno inoltre lanciato un appello al Parlamento perché voti contro il disegno di legge di ratifica preannunciato dal Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale durante le odierne comunicazioni alla Camera.

      Per il Tavolo Asilo e Immigrazione

      A Buon Diritto, ACAT, ACLI, ActionAid, Amnesty International Italia, ARCI, ASGI, Casa dei Diritti Sociali, Centro Astalli, CGIL, CIES, CNCA, Commissione Migranti e GPIC Missionari Comboniani Italia, DRC Italia, Emergency, Europasilo, Fondazione Migrantes, Forum per Cambiare l’Ordine delle Cose, Intersos, Medici del Mondo, Medici per i Diritti Umani, Medici Senza Frontiere, Movimento Italiani Senza Cittadinanza, Oxfam Italia, Refugees Welcome Italia, Save the Children Italia, Senza Confine, Società Italiana Medicina delle Migrazioni, UIL, UNIRE

      Aderiscono inoltre

      AOI, Mediterranea Saving Humans, Open Arms, Rivolti ai Balcani, Sea Watch e Sos Mediterranée Italia

      https://www.asgi.it/primo-piano/tavolo-asilo-e-immigrazione-appello-al-parlamento-perche-non-ratifichi-il-proto

    • Italy: Parliament to ratify Albania deal to process asylum seekers

      Both of Italy’s houses of parliament will be given the chance to ratify the country’s new deal to process asylum seekers in Albania. The motion was approved after a debate in the lower house on Tuesday.

      Italy’s Foreign Minister Antonio Tajani spoke to Italy’s lower house on Tuesday (November 21), explaining the Italy-Albania deal to process asylum seekers in more detail, and promising that the deal would be presented as a DDL (proposal of a law) and that both houses would have the chance to ratify it before it proceeds.

      In his long speech to the lower house, Tajani reminded parliamentarians that other similar deals with countries like Libya had not been subject to the same ratification process. Originally the Italian government said that the Italy-Albania deal didn’t need to be either, since it was not a treaty and only treaties needed to be ratified by parliament.

      However, in what the opposition has dubbed a “complete U-turn,” two weeks after the Italy-Albania deal was signed, Tajani has announced that it would be presented as a subject for debate by parliamentarians. The government hopes that the debates and ratification process will be “as quick as possible,” since the deal is meant to begin in just a few months, by spring 2024.
      Deal ’is just one additional instrument’ to manage migration

      Fighting the traffickers is “an absolute priority” for the Italian government, said Tajani during his speech to parliament. Referring to the death of a two-year-old girl during a rescue operation on Monday (November 20), Tajani said “we won’t and shouldn’t get used to these kinds of tragedies that are unfolding along our coasts.”

      He proposes that the Italy-Albania deal is just “one additional instrument” to help Italy manage migration. Tajani said that Italy has worked hard to make migration a central tenet of EU debate, and says that Italy and other members of the bloc are all working hard to “stop irregular migration, fight traffickers and strengthen the external borders of the EU.”

      Although Tajani admitted that the deal was “no panacea”, he said that Italy had “deep and historic ties with Albania” and already had joint teams to stop the trade in drugs and migrants. For the benefit of the parliament, Tajani outlined once again that the deal would be entirely paid for by Italy and was expected to cost €16.5 million initially. This would cover the two centers, one at the port and one about 30 kilometers away.

      The initial center at the port will be where people are registered and fingerprinted. They will then be moved to the reception center, where they will have their asylum requests examined. Anyone whose request is refused would be repatriated from there.
      Not comparable to UK-Rwanda deal, says Tajani

      This is no offshoring deal, said Tajani, disputing the accusations that it was “Italy’s Guantanamo” or anything like the UK-Rwanda deal. The centers will be entirely staffed by Italian personnel, be managed under Italian law, and they will come under the jurisdiction of the Italian courts, said Tajani.

      Italy’s foreign minister underlined that “no vulnerable people, women or children” would be sent to these centers. It will be exclusively to process the asylum requests of non-vulnerable migrants from safe countries, explained Tajani, or those who have already had one claim refused, or people waiting for repatriation.

      There will never be more than 3,000 people in the centers at any one time, promised Tajani. Italy will pay Albania for police patrols outside the centers and for any hospital visits that are required. Tajani also assured parliamentarians that all rights to healthcare and safety would be respected and that the only asylum seekers brought to Albania would be by Italian official boats. NGO rescue ships would not be disembarking people in Albania.
      Keeping it within the ’European family’

      Tajani said that the European Commission had already confirmed that the agreement did not violate EU law, since, as Tajani explained quoting EU Home Affairs Commissioner Ylva Johansson, the processing will follow Italian law which is fully in line with European law.

      Several MPs in the debate, including Minister Tajani referenced the fact that the German chancellor had said they would be following the agreement closely and thinking about similar models for their country. According to Tajani, the German Chancellor Olaf Scholz said that since Albania will soon be part of the European family, referring to Albania’s European accession process, processing asylum seekers in Albania was about “solving challenges within Europe” and not offshoring.

      Scholz, speaking in Malaga recently, said that the whole bloc was looking to “reduce irregular migration” and said he thought there should be more deals struck like the EU-Turkey 2016 deal, to help Europe manage migration.

      Increasing the legal pathways to Italy

      Nearing the conclusion of his speech, Tajani underlined that any exceptions to adhering to the rule of international law would be straight out “impossible”. Using the Albania agreement as a model, Tajani said the Italian government was seeking to conclude or extend similar deals with other friendly countries, transit countries and countries of origin.

      Tajani promised that the Italian government would also increase the number of legal pathways into Italy. He said in parliament that the new work permits for migrant workers had already been increased to about 150,000 per year from this year to 2025, compared to 82,000 in 2022.

      At the end of the debate in parliament, a majority of 189 to 126 voted to allow the proposal to continue its passage and be put forward as an official proposal of law (DDL), to be examined and ratified by both houses.
      Critics call deal ’illegitimate’ and ask for it to be revoked

      However, the law was not without its critics. During the debate, Riccardo Magi from the Più Europa (More Europe) party said that the deal “did nothing but increase uncertainty and would take away the fundamental right to personal liberty” of people who may be detained under the deal. He added that he didn’t believe that even the ministers proposing the deal believed it would really be doable.”

      On November 20, Amnesty International and 35 other NGOs, which together form the TAI (Tavalo Asilo e Immigrazione – a forum for the discussion of asylum and immigration) have also criticized the deal, calling it “illegitimate” and saying it should be “revoked.”

      The TAI held a press conference on Tuesday (November 21) where they reiterated that in their opinions, the deal violated international obligations and laws. They said that just like the deal with Tunisia, it was an attempt to “externalize the borders and the right to asylum.”

      According to a press release from the TAI, the Italian migration system is “in chaos and continuously violates the law and the rights of welcome and asylum” that under international law they are forced to offer. TAI accuses the Italian government of “making sure it implements practices in the field which just produce emergencies and discomfort.”

      The TAI says that the Italy-Albania deal “risks seriously violating human rights.” They say that once those people are on an Italian boat, they come under Italian jurisdiction, so they can’t then be transferred to another state to have their asylum requests examined.

      The deal, says TAI, goes against the principle of non-refoulement, whereby a person cannot be sent back to a land where they could knowingly be put in danger. The deal also allows for people to be detained illegitimately, claims TAI.

      https://www.infomigrants.net/en/post/53392/italy-parliament-to-ratify-albania-deal-to-process-asylum-seekers

    • In Pictures: Sites Where Refugees Will be Hosted In Albania

      BIRN has taken a look at the sites in Albania where a reception centre and a refugee camp will be built in accordance with the controversial agreement reached between the Albanian and Italian governments.

      The agreement was opposed both in Italy and Albania and one of the biggest critics that it received is related to Albania’s capacities to receive 3000 migrants in a month.

      According to the protocol that has been published, a reception centre for migrants will be built inside the Port of Shengjin, in the Lezha area of northern Albania, which will process and register migrants rescued at sea by Italy.

      A second site, which will serve as a refugee camp, will be built in Gjader, a village where a former military air base was built in the 1970s during the communist era.

      Italy’s plan to build migrant centres in Albania has been criticised in both countries, where activists and human rights lawyers have questioned Albania’s capacities to handle the arrangements.

      While the deal has been criticised by human rights experts, lawyers and civil society groups in Italy, in Albania many see it as Prime Minister Edi Rama’s personal initiative, since it was not discussed previously in public.

      The deal allows Italy to set up facilities on Albanian territory for migrants it has rescued at sea, which will accommodate up to 3,000 people at any one time.

      The agreement, which BIRN has seen, although without its annexes, states: “In the event that, for any reason, the [migrant’s] right to stay in the facilities cease to exist”, Italy must immediately transfer these persons out of Albanian territory.

      “Italy will use the port of Shengjin and the Gjader area to establish, at its own expense, two entry and temporary reception facilities for immigrants rescued at sea, capable of accommodating up to 3,000 people, or 39,000 a year, to expedite the processing of asylum applications or potential repatriation”, the text of the protocol notes, adding that jurisdiction over the centres will be Italian.

      “In Shengjin, Italy will handle disembarkation and identification procedures and establish a first reception and screening centre; in Gjader, it will create a model Cpr facility for subsequent procedures. Albania will collaborate with its police forces, for security and surveillance,” it adds.

      https://balkaninsight.com/2023/11/22/in-pictures-sites-where-refugees-will-be-hosted-in-albania
      #photographie #localisation

    • L’intesa con Tirana costerà oltre mezzo miliardo. 142 milioni di euro solo nel 2024

      «Oltre 142 milioni di euro nel 2024, quasi 645 nei cinque anni di validità (prorogabili). È quanto costerà ai contribuenti italiani l’intesa tra la presidente del Consiglio Giorgia Meloni e l’omologo Edi Rama per rinchiudere nei centri di trattenimento in Albania i migranti soccorsi in alto mare dalle navi italiane. Soldi che l’esecutivo è andato a cercare raschiando il fondo del barile degli accantonamenti di quattordici ministeri.»

      https://ilmanifesto.it/tagli-a-universita-e-agricoltura-per-fare-i-centri-in-albania
      #coût

    • The 2023 Italy-Albania protocol on extraterritorial migration management

      In November 2023, the Italian government concluded a Memorandum of Understanding (MoU), or Protocol, with the Albanian authorities envisaging extraterritorial migration and asylum management, including detention and asylum processing, in Albania. This Report examines the Protocol in light of EU, regional and international legal standards, and the main responses that it has attracted so far. It concludes that the MoU can be understood as a nationalistic and unilateral arrangement that, while not involving the EU, covers policy areas falling within the scope of European law. The MoU runs contrary to EU constitutive principles enshrined in the Treaties, including the EU Charter of Fundamental Rights, as well as international law. It should be regarded as a non-model in migration and asylum policies as it is affected by far-reaching illegality and unfeasibility grounds undermining both its rationale and implementation.

      https://www.ceps.eu/ceps-publications/the-2023-italy-albania-protocol-on-extraterritorial-migration-management
      #extra-territorialité #droit_international #droits_fondamentaux

    • Nouvel avatar de l’externalisation : l’accord Italie-Albanie

      Il y a 20 ans, Plein Droit s’inquiétait des projets européens d’installation, dans des pays non membres de l’Union européenne (UE), de « centres de transit » où seraient enfermées, le temps d’instruire leur demande d’asile, les personnes étrangères ayant franchi illégalement les frontières de l’Union. Évoquant un « cauchemar », l’édito dénonçait l’intention des États membres « de se dégager des responsabilités que la Convention de Genève sur les réfugiés fait peser sur eux », ajoutant : « On devine au prix de quelles pressions, économiques ou non, ces pays accepteront ou se feront imposer ces camps de transit, […] on imagine sans mal l’insécurité à laquelle les demandeurs d’asile seront confrontés, les chantages auxquels ils pourront être soumis de la part des pays condamnés par l’Europe à les accueillir à sa place [1] ».

      Si, depuis, l’externalisation de l’asile a été déclinée de multiples façons [2], le projet de #camps_de_détention situés hors de l’UE, mais juridiquement contrôlés par un État membre, ne s’est jamais concrétisé. Sans doute à cause des #obstacles_juridiques que poserait un tel montage, notamment au regard du respect des droits fondamentaux. Mais aussi parce qu’il suppose de trouver où les implanter : jusqu’ici, les tentatives pour convaincre des pays voisins de se prêter au jeu ont échoué. Lorsqu’en 2018 le Conseil européen a exploré la possibilité de créer, hors du territoire européen, des « #centres_régionaux_de_débarquement » pour y placer des boat people interceptés en Méditerranée, il s’est heurté au refus catégorique des États nord-africains et de l’Union africaine [3].

      Aujourd’hui, le #cauchemar est à nos portes. À la veille de l’adoption du Pacte européen qui entend accélérer la procédure frontalière d’examen des demandes d’asile et renforcer la « dimension externe » de la politique migratoire de l’UE, l’Italie a conclu le 6 novembre, avec l’Albanie, un accord visant à y délocaliser l’accueil de migrants secourus en mer et l’examen des demandes d’asile. Il paraît que c’est au cours de ses vacances en Albanie, l’été dernier, que la cheffe du gouvernement italien Giorgia Meloni a posé les bases de cette « pièce importante » de sa stratégie de lutte contre les flux migratoires. Elle y a trouvé l’oreille attentive de son homologue albanais, Edi Rama, prêt à mettre « gratuitement » à la disposition de l’Italie deux zones au nord du pays pour qu’elle y construise les centres sous administration italienne où seront détenus des migrants interceptés en mer par des navires italiens. Le premier, dans une ville côtière, pour y procéder aux premiers soins, aux opérations d’identification, et instruire les demandes d’asile ; le second, sur une base militaire, pour organiser le #rapatriement des personnes qui ne demandent pas l’asile ou ne seront pas reconnues éligibles à une protection. Aux demandeurs d’asile placés dans ces centres qualifiés d’« extraterritoriaux » serait appliquée la procédure accélérée que la loi italienne prévoit pour les requêtes formées à la frontière. Seuls ceux qui obtiendraient une protection seraient admis au séjour en Italie, les autres devant être expulsés.

      L’accord ne pourra cependant entrer en vigueur avant que la Haute Cour albanaise ne se soit prononcée sur sa #constitutionnalité : les membres de l’opposition qui l’ont saisie contestent cette forme de « vente d’un morceau du territoire albanais » qui conduirait, selon un député du parti Più Europa, à la création d’« une sorte de #Guantanamo italien, en dehors de toute norme internationale, en dehors de l’UE [4] ».

      Là n’est pas le seul problème que soulève l’accord, même si Georgia Meloni aimerait que celui-ci devienne « un modèle à suivre ». Un « modèle » qui suscite les réserves du Haut-Commissariat des Nations unies pour les réfugiés (HCR), à aucun moment « informé ni consulté », et que dénonce la Commissaire aux droits de l’Homme du Conseil de l’Europe. Relevant ses « #ambiguïtés_juridiques », celle-ci liste les multiples questions que l’accord soulève en matière d’équité des procédures d’asile, d’identification des personnes vulnérables et des mineurs, de risque de détention automatique sans contrôle juridictionnel, de conditions de détention, d’accès à l’assistance juridique et de recours effectif... Et met en garde contre le recours croissant à l’externalisation, qui pourrait « créer un effet domino susceptible de saper le système européen et mondial de protection internationale [5] ». De leur côté, plusieurs ONG ont déjà mis en évidence l’incompatibilité de l’accord avec la législation européenne – à laquelle l’Italie est tenue de se conformer – en matière d’asile et d’éloignement [6].

      Les institutions de l’UE semblent moins inquiètes. Pas de réaction du côté des gouvernements, sans doute soulagés de voir l’Italie traiter seule le problème des arrivées d’exilé·es sur ses côtes plutôt que d’être rappelés à une « solidarité européenne » à laquelle ils préfèrent se dérober. Quant à la Commission européenne, elle s’est empressée de préciser que « le droit européen n’est pas applicable en dehors du territoire de l’UE » mais que, « étant donné l’appartenance de l’Italie à l’Union et l’adoption obligatoire d’une législation commune, les règles qui s’appliqueront dans les centres albanais seront effectivement de nature européenne et imiteront le cadre qui s’applique sur le sol italien [7] ». Nous voilà rassurés.

      https://www.gisti.org/spip.php?article7170

    • Protocole d’accord Italie/Albanie sur les migrations : une coopération transfrontière contraire au droit international

      La chambre des députés italienne et la Cour suprême albanaise ont approuvé le protocole d’accord sur les migrations conclu en novembre 2023, respectivement les 24 et 29 janvier 2024. Le réseau Migreurop dénonce des manœuvres qui s’inscrivent dans la continuité des politiques de l’Union européenne (UE) et de ses États membres pour externaliser le traitement de la demande de protection internationale.

      Le 6 novembre 2023, l’Italie a conclu un « accord » avec l’Albanie en vue de délocaliser le traitement de la demande d’asile de certain·e·s ressortissant·e·s étranger·ère·s de l’autre côté de ses frontières [1]. Ce protocole, rendu public le 7 novembre, s’appliquerait aux personnes interceptées ou secourues en mer par les autorités italiennes, qui pourraient être débarquées dans les villes côtières albanaises de Shëngjin et de Gjader. Les personnes reconnues « vulnérables » ne seraient pas concernées par cet accord.

      Celui-ci prévoit, d’ici le printemps 2024, la construction de deux camps [2] financés par l’Italie : l’un destiné à l’évaluation de la demande d’asile, l’autre aux « éventuels rapatriements » [3] (autrement dit, aux expulsions). Alors que le Parlement italien n’a pas été sollicité au moment de la conclusion de l’accord [4], ces structures relèveraient pourtant exclusivement de la juridiction italienne. Contre une compensation financière et une avancée dans le processus d’adhésion à l’UE, l’Albanie aurait donné son accord pour « accueillir » 3 000 personnes par mois sur son territoire et assurer une part active dans les activités de sécurité et de surveillance via ses forces de police [5]. Fortement inspiré par le concept australien de « Pacific solution » [6], ce mécanisme placerait les deux camps sous autorité italienne, avec du personnel italien, en vertu d’un statut d’extraterritorialité.

      Certaines institutions européennes se sont dans un premier temps contentées d’appeler au respect du droit national et international. La Commissaire européenne en charge des affaires intérieures a déclaré, une semaine après que l’accord a été rendu public : « L’évaluation préliminaire de notre service juridique est qu’il ne s’agit pas d’une violation de la législation de l’UE, mais que cela est hors de la législation de l’UE » [7]. Une formulation particulièrement ambiguë, qui n’a pas été éclaircie quand elle a ajouté : « l’Italie se conforme à la législation européenne, ce qui signifie que les règles sont les mêmes. Mais d’un point de vue juridique, il ne s’agit pas de la législation européenne, mais de la législation italienne (qui) suit la législation européenne ».

      La Commissaire aux droits de l’Homme du Conseil de l’Europe, a quant à elle rappelé que « la possibilité de déposer une demande d’asile et de la faire examiner sur le territoire des États membres reste une composante indispensable d’un système fiable et respectueux des droits humains », ajoutant que « Le protocole d’accord crée un régime d’asile extraterritorial ad hoc, caractérisé par de nombreuses ambiguïtés juridiques » [8].

      S’il a l’allure d’un accord bilatéral, cet accord s’inscrit dans la continuité de l’externalisation des politiques d’asile menée par les États européens depuis le début des années 2000, se projetant plus ou moins loin des frontières européennes (du Maroc au Rwanda en passant par la Turquie, notamment). De nombreux pays sont en effet tenus de coopérer avec l’UE et ses États membres dans le domaine de l’immigration et de l’asile en échange d’avantages en matière commerciale, de politique étrangère ou d’aide au développement.

      Dans le cas présent, l’Italie, au nom d’un prétendu « partage des responsabilités », pioche dans la mallette à outils à disposition des États pour externaliser le traitement de la demande d’asile. L’Albanie ayant obtenu en 2014 le statut de pays candidat à l’adhésion à l’Union européenne, cette coopération transfrontière représenterait un gage de sa bonne volonté, se donnant ainsi l’image d’être le partenaire-clé des pays européens dans la mise en œuvre de leurs politiques de sélection et de filtrage des personnes étrangères aux frontières extérieures [9]. Cette stratégie utilitariste, mobilisant les personnes en migration comme levier de négociation politique, a déjà été mise en œuvre par le passé à de maintes reprises, et le réseau Migreurop a solidement étayé les effets délétères de tels accords sur les droits des personnes migrantes [10].

      Au-delà de l’opacité et du secret qui a entouré sa conclusion, ce protocole d’accord pose de nombreuses questions :

      Alors même que l’accord ne s’appliquerait pas aux personnes considérées vulnérables, ne peut-on estimer que les personnes rescapées sont de facto vulnérables ? Que le déplacement dans ces centres albanais de personnes rescapées en mer constitue de facto une action qui vulnérabilise ces personnes ?

      Quid du principe de non-refoulement ? En envoyant des personnes en dehors de son territoire, le temps du traitement de la demande d’asile, l’Italie risque de contrevenir au principe de non-refoulement, pourtant énoncé à l’article 33 de la Convention de 1951 relative au statut des réfugiés, qui interdit le retour des réfugiés et des demandeurs d’asile vers des pays où ils risquent d’être persécutés [11].

      En pratique, sa mise en œuvre impactera les droits des personnes selon les conditions du débarquement (qui ne sera donc pas le lieu sûr le plus proche comme le prévoit la réglementation internationale) : qu’en sera-t-il du respect de la procédure de demande d’asile, de l’identification de la vulnérabilité, de l’accès à une assistance juridique ? Elle impactera aussi, ensuite, les conditions dans lesquelles les personnes seront détenues, à l’image de ce qui s’est passé dans les hotspots en Grèce, dans lesquels les personnes étaient prisonnières de camps à ciel ouvert [12].

      Qui sera responsable en cas de violations des droits au sein de ces camps ? Quel droit s’appliquera, le droit italien ou le droit albanais ? Comment pourra être garantie l’effectivité des droits dans un territoire localisé à distance de la juridiction responsable, loin des regards ?

      Selon les termes de cet accord, ni les personnes débarquées par les bateaux d’ONG, ni les personnes arrivées de manière autonome ne devraient être concernées. Comment savoir si les autorités italiennes n’élargiront pas cette procédure à tou·te·s les demandeur·euse·s d’asile ? L’accord ne risque-t-il pas, en outre, de mettre en difficulté les conditions dans lesquelles s’effectueront les opérations de recherche et sauvetage des personnes en détresse en mer ? Le tri entre les personnes reconnues vulnérables et les autres se fera-t-il sur le bateau ou en Albanie ?

      Pour les personnes expulsées, le seront-elles depuis l’Italie ou depuis l’Albanie ? De sérieux doutes se posent au regard des déclarations du Premier ministre albanais affirmant qu’elles incomberaient aux autorités italiennes (alors qu’initialement cette tâche devait être effectuée par l’Albanie).

      La détention aurait lieu durant la procédure frontalière et en vue du retour, mais quid des personnes libérées en Albanie : seront-elles renvoyées vers l’Italie ou un autre État ?

      Cet accord tombe-t-il sous le coup du droit européen ou non ? La Commissaire aux affaires intérieures a laissé planer un doute sur la nature européenne des règles qui s’y appliqueraient. La Commissaire aux droits de l’Homme du Conseil de l’Europe a quant à elle pointé du doigt le risque d’un effet domino « susceptible de saper le système européen » si d’autres États décident eux-aussi de transférer leur responsabilité au-delà des frontières européennes [13].

      Les règles édictées dans l’accord politique sur le pacte européen adoptées le 20 décembre 2023 devront-elles s’appliquer sur le territoire albanais car sous juridiction italienne et donc européenne ?

      Et pour finir, se pose la question du coût exorbitant de ces déplacements de populations, mais aussi celui de l’accord négocié avec l’Albanie pour disposer d’une partie de son territoire national, et du fonctionnement-même de ces camps.

      Pour toutes ces raisons, le réseau Migreurop dénonce un protocole d’accord qui n’aurait jamais dû voir le jour. Et à supposer que le gouvernement italien s’obstine dans cette direction, cela ne peut se faire sans que le droit européen et la protection des droits des personnes soient mis en œuvre et respectés. À commencer par celui de demander l’asile dans de bonnes conditions.

      Les mécanismes d’externalisation à l’œuvre – qui se généralisent – violent le droit international avec la complicité des autorités nationales et la complaisance de certaines institutions européennes. Il est urgent de refuser ce contournement incessant du droit qui, loin des regards, s’inscrit dans la stratégie mortifère de mise à distance des personnes étrangères.

      https://migreurop.org/article3230

  • CSS { In Real Life } | Breaking Out of a Central Wrapper
    https://css-irl.info/breaking-out-of-a-central-wrapper
    https://css-irl.info/breaking-out-of-a-central-wrapper-05.webp

    Using viewport units, we can force an element to break out of the wrapper, without changing our original markup!

    .full-width {
     width: 100vw;
     margin-left: 50%;
     transform: translate3d(-50%, 0, 0);
    }

    https://caniuse.com/viewport-units => 96.73%
    https://caniuse.com/?search=translate3d => 96.15%

    #css #fullwidth #wrapper

    • On avait déjà référencé une notation équivalente (mais celle ci-dessus est sans doute plus facile à comprendre) :

      margin-left: calc(-50vw + 50%);
      margin-right: calc(-50vw + 50%);

      Par contre ça ne fonctionne que si la colonne de texte dans laquelle on se trouve est elle-même centrée dans la page.

      Dans mon plugin Maquettes multiples, j’utilise différentes valeurs pour .spip_documents.max selon qu’on est dans une colonne centrée ou décentrée. Ça peut devenir assez sioux.

  • loupe-php/loupe: A #fulltext #search engine with #tokenization, #stemming, #typo_tolerance, #filters and #geo support based on only #PHP and #SQLite.
    https://github.com/loupe-php/loupe

    An SQLite based, PHP-only fulltext search engine.

    Loupe…
    –…only requires PHP and SQLite, you don’t need anything else - no containers, no nothing
    –…is typo-tolerant (based on the State Set Index Algorithm and Levenshtein)
    –…supports phrase search using " quotation marks
    –…supports filtering (and ordering) on any attribute with any SQL-inspired filter statement
    –…supports filtering (and ordering) on Geo distance
    –…orders relevance based on a typical TF-IDF Cosine similarity algorithm
    …auto-detects languages
    –…supports stemming
    –…is very easy to use
    –…is all-in-all just the easiest way to replace your good old SQL LIKE %...% queries with a way better search experience but without all the hassle of an additional service to manage. SQLite is everywhere and all it needs is your filesystem.

  • Communiqué de presse du Conseil « Justice et affaires intérieures » (#JAI) de l’Union européenne :

    Migration policy : Council reaches agreement on key asylum and migration laws

    The Council today took a decisive step towards a modernisation of the EU’s rulebook for asylum and migration. It agreed on a negotiating position on the asylum procedure regulation and on the asylum and migration management regulation. This position will form the basis of negotiations by the Council presidency with the European Parliament.

    “No member state can deal with the challenges of migration alone. Frontline countries need our solidarity. And all member states must be able to rely on the responsible adherence to the agreed rule. I am very glad that on this basis we agreed on our negotiating position.”
    Maria Malmer Stenergard, Swedish minister for migration
    Streamlining of asylum procedure

    The asylum procedure regulation (APR) establishes a common procedure across the EU that member states need to follow when people seek international protection. It streamlines the procedural arrangements (e.g. the duration of the procedure) and sets standards for the rights of the asylum seeker (e.g. being provided with the service of an interpreter or having the right to legal assistance and representation).

    The regulation also aims to prevent abuse of the system by setting out clear obligations for applicants to cooperate with the authorities throughout the procedure.
    Border procedures

    The APR also introduces mandatory border procedures, with the purpose to quickly assess at the EU’s external borders whether applications are unfounded or inadmissible. Persons subject to the asylum border procedure are not authorised to enter the member state’s territory.

    The border procedure would apply when an asylum seeker makes an application at an external border crossing point, following apprehension in connection with an illegal border crossing and following disembarkation after a search and rescue operation. The procedure is mandatory for member states if the applicant is a danger to national security or public order, he/she has misled the authorities with false information or by withholding information and if the applicant has a nationality with a recognition rate below 20%.

    The total duration of the asylum and return border procedure should be not more than 6 months.
    Adequate capacity

    In order to carry out border procedures, member states need to establish an adequate capacity, in terms of reception and human resources, required to examine at any given moment an identified number of applications and to enforce return decisions.

    At EU level this adequate capacity is 30 000. The adequate capacity of each member state will be established on the basis of a formula which takes account of the number of irregular border crossings and refusals of entry over a three-year period.
    Modification of Dublin rules

    The asylum and migration management regulation (AMMR) should replace, once agreed, the current Dublin regulation. Dublin sets out rules determining which member state is responsible for the examination of an asylum application. The AMMR will streamline these rules and shorten time limits. For example, the current complex take back procedure aimed at transferring an applicant back to the member state responsible for his or her application will be replaced by a simple take back notification
    New solidarity mechanism

    To balance the current system whereby a few member states are responsible for the vast majority of asylum applications, a new solidarity mechanism is being proposed that is simple, predictable and workable. The new rules combine mandatory solidarity with flexibility for member states as regards the choice of the individual contributions. These contributions include relocation, financial contributions or alternative solidarity measures such as deployment of personnel or measures focusing on capacity building. Member states have full discretion as to the type of solidarity they contribute. No member state will ever be obliged to carry out relocations.

    There will be a minimum annual number for relocations from member states where most persons enter the EU to member states less exposed to such arrivals. This number is set at 30 000, while the minimum annual number for financial contributions will be fixed at €20 000 per relocation. These figures can be increased where necessary and situations where no need for solidarity is foreseen in a given year will also be taken into account.

    In order to compensate for a possibly insufficient number of pledged relocations, responsibility offsets will be available as a second-level solidarity measure, in favour of the member states benefitting from solidarity. This will mean that the contributing member state will take responsibility for the examination of an asylum claim by persons who would under normal circumstances be subject to a transfer to the member state responsible (benefitting member state). This scheme will become mandatory if relocation pledges fall short of 60% of total needs identified by the Council for the given year or do not reach the number set in the regulation (30 000).
    Preventing abuse and secondary movements

    The AMMR also contains measures aimed at preventing abuse by the asylum seeker and avoiding secondary movements (when a migrant moves from the country in which they first arrived to seek protection or permanent resettlement elsewhere). The regulation for instance sets obligations for asylum seekers to apply in the member states of first entry or legal stay. It discourages secondary movements by limiting the possibilities for the cessation or shift of responsibility between member states and thus reduces the possibilities for the applicant to chose the member state where they submit their claim.

    While the new regulation should preserve the main rules on determination of responsibility, the agreed measures include modified time limits for its duration:

    - the member state of first entry will be responsible for the asylum application for a duration of two years
    - when a country wants to transfer a person to the member state which is actually responsible for the migrant and this person absconds (e.g. when the migrant goes into hiding to evade a transfer) responsibility will shift to the transferring member state after three years
    - if a member state rejects an applicant in the border procedure, its responsibility for that person will end after 15 months (in case of a renewed application)

    https://nsl.consilium.europa.eu/104100/Newsletter/axgy5g4bs3zixsx3bkhgg2epeiecucjvrcybx7b6shr3lt7za5b4x3vrbmpevnc

    #conseil_de_l'Europe #asile #migrations #réfugiés #Dublin #règlement_Dublin #accord #8_juin_2023 #UE #Union_européenne #EU #asylum_procedure_regulation (#APR) #procédure_d'asile #frontières #procédure_accélérée #inadmissibilité #procédure_de_frontière #frontières_extérieures #capacité_adéquate #asylum_and_migration_management_regulation (#AMMR) #mécanisme_de_solidarité #solidarité #relocalisation #contribution_financière #compensation #responsibility_offsets #mouvements_secondaires #abus

    –—

    ajouté à la métaliste sur le pacte :
    https://seenthis.net/messages/1019088

    • Analyse de #Fulvio_Vassallo_Paleologo:

      Paesi terzi “sicuri”, sicurezza delle persone migranti e propaganda di Stato

      1.Le conclusioni del Consiglio dei ministri dell’interno dell’Unione Europea riuniti a Lussembugo lo scorso 8 giugno sono state propagandate come una vittoria della linea tenuta dal governo Meloni fino alle ultime ore di una convulsa trattativa, che si è conclusa con una spaccatura che avrà certamente ripercussioni sulla prossima fase di codecisione sulle politiche migratorie e sulle procedure di asilo, nella quale analoghe divisioni si potrebbero riprodurre all’interno del Parlamento europeo.

      La materia sulla quale i ministri del’interno dei diversi paesi europei hanno alla fine trovato una soluzione di compromesso, su cui il ministro Piantedosi ha espresso soddisfazione, riguarda buona parte della vigente legislazione europea in materia di imigrazione ed asilo, sia per quanto riguarda la cd. dimensione esterna, con riferimento ai paesi terzi di origine e transito, che per quanto concerne i cd. meccanismi di solidarietà, in materia di rimpatri forzati e al fine di contrastare i cd. movimenti secondari, con una sostanziale rivisitazione del vigente Regolamento Dublino III del 2013. A tale riguardo si prevede espressamente che “Gli Stati membri hanno piena discrezionalità quanto al tipo di solidarietà cui contribuiscono. Nessuno Stato membro sarà mai obbligato a effettuare ricollocazioni”. Una sconfitta che il governo italiano non può nascondere dietro i propositi di espellere o respingere i richiedenti asilo denegati nei paesi di transito.

      I ministri dell’interno dei diversi paesi dell’Unione Europea hanno così trovato a maggioranza una intesa che però appare come una scatola vuota, se si pensa alla mole delle normative (dal Regolamento frontiere Schengen alla Direttiva 2008/115/ CE sui rimpatri) che dovrebbero essere modificate per approvare definitivamente quanto si è deciso a Lussemburgo, ed all’esiguo tempo che manca in vista delle prosime elezioni europee, dopo tre anni di stallo seguiti alla prima versione del Patto sull’immigrazione e l’asilo adottata dalla Commissione nel 2020. Inoltre la spaccatura tra i paesi di Visegrad Ungheria e Polonia, ed i conservatori del gruppo della Meloni, non lasciano presagire risultati definitivi nel breve periodo.

      2. La proposta di regolamento sulla procedura di asilo (Proposal for a Regulation of the European Parliament and of the Council on asylum and migration management and amending Council Directive (EC) 2003/109 and the proposed Regulation (EU) XXX/XXX [Asylum and Migration Fund] tenta di stabilire una procedura comune in tutta l’UE che gli Stati membri devono seguire quando le persone fanno richiesta di protezione internazionale. Si snelliscono le disposizioni procedurali (ad esempio la durata della procedura) e si stabiliscono norme per i diritti del richiedente asilo (ad esempio, la fornitura del servizio di un interprete o il diritto all’assistenza e alla rappresentanza legali). La procedura di frontiera si applicherebbe quando un richiedente asilo presenta domanda a un valico di frontiera esterna, a seguito di arresto in relazione a un attraversamento illegale della frontiera e in seguito allo sbarco dopo un’operazione di ricerca e soccorso. Ma anche quando proviene da un paese terzo ritenuto sicuro. La procedura è obbligatoria per gli Stati membri se il richiedente rappresenta un pericolo per la sicurezza nazionale o l’ordine pubblico, ha ingannato le autorità con informazioni false o nascondendo informazioni e se il richiedente ha una nazionalità di un paese con un tasso di riconoscimento delle richieste di asilo inferiore al 20%.

      Il punto sul quale in Italia il governo Meloni ed il ministro dell’interno Piantedosi hanno insistito di più, a livello di comunicazione, ma anche come base per una intensa attività diplomatica che conducono da mesi senza risultati effettivi, riguardava la possibilità di rinviare nei paesi di transito i richiedenti asilo denegati dopo la procedura in frontiera, già prevista in modo più rigoroso dalla legge 50 del 2023 (ex Decreto Cutro). Una legge approvata senza il parere delle competenti Comissioni Affari costituzionali, che sta già facendo vitime, con espulsioni comminate dai prefetti “in automatico” a persone già inserite in Italia, che chiedono il rinnovo del permesso di soggiorno per protezione speciale, ma che ad oggi appare in contrasto non solo con importanti principi fondamentali del nostro ordinamento (come gli articoli 10, 13,24,32,113 della Costituzione), ma anche con molti dei principi di garanzia ribaditi con grande nettezza dalle proposte legislative adottate a Lussemburgo dal Consiglio dei ministri dell’interno dell’Unione Europea.

      Durante l’iter di conversione del decreto legge in Parlamento, l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (ACNUR- UNHCR) aveva inviato una “Nota tecnica” al governo, nel tentativo di avviare un confronto su diversi punti “critici” che non rispettavano norme internazionali o Direttive dell’Unione Europea. Come ha dichiarato la rappresentante dell’UNHCR per l’Italia, “Avevamo rappresentato queste criticità, confidando che nel procedimento legislativo alcuni correttivi potessero essere apportati”.

      Nella sua ultima nota tecnica, l’UNHCR evidenzia innanzitutto come la nuova legge 50/2023 “ estende la preesistente procedura accelerata di frontiera ai richiedenti provenienti da Paesi di origine designati come sicuri e dispone il trattenimento per quei richiedenti, tra coloro che siano stati avviati a tale procedura, i quali non abbiano consegnato il “passaporto o altro documento equipollente” o non prestino “idonea garanzia finanziaria”. Il trattenimento avverrà nei punti di crisi (hotspot) esistenti presso i maggiori luoghi di sbarco, nelle strutture analoghe ai punti di crisi che verranno individuate o nei Centri di Permanenza per i Rimpatri (CPR) che si trovino in prossimità della frontiera. I minori e tutte le altre persone con esigenze particolari, come da disposizioni vigenti, sono esonerati da ogni forma di procedura accelerata”.

      L’ACNUR dopo una generale considerazione positiva delle procedure accelerate in frontiera, soprattuto nei casi in cui appare maggiormente probabile l’esito positivo della domanda di protezione, “Raccomanda, tuttavia, di incanalare in procedura di frontiera (con trattenimento) solo le domande di protezione internazionale che, in una fase iniziale di raccolta delle informazioni e registrazione, appaiano manifestamente infondate.
      In particolare, la domanda proposta dal richiedente proveniente da un Paese di origine sicuro non deve essere incanalata in tale iter quando lo stesso abbia invocato gravi motivi per ritenere che, nelle sue specifiche circostanze, il Paese non sia sicuro. Si sottolinea, a tal fine, la centralità di una fase iniziale di screening, volta a far emergere elementi utili alla categorizzazione delle domande (triaging) e alla conseguente individuazione della procedura più appropriata per ciascun caso.

      3. La nozione di Paese terzo sicuro è presente nella legislazione eurounitaria con la direttiva 2005/85/Ce del Consiglio del 1° dicembre 2005. L’art. 29 prevedeva che il Consiglio, deliberando a maggioranza qualificata su proposta della Commissione e previa consultazione del Parlamento europeo, potesse adottare un elenco comune minimo dei paesi terzi considerati dagli Stati membri paesi d’origine sicuri. Tale disposizione fu annullata dalla Corte di giustizia perché introduceva una riserva di competenza in favore del Consiglio, con semplice obbligo di consultazione del Parlamento europeo, che non poteva essere prevista da un atto derivato.

      Con la cd. direttiva procedure (dir. 2013/32/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013) la traccia è stata ripresa e ampliata.
      Gli articoli da 36 a 39 disciplinano infatti in termini molto dettagliati i contorni della nozione di Paese di origine sicuro e le conseguenze di tale nozione sulle procedure di valutazione delle domande.
      L’art. 36 detta le condizioni soggettive alle quali è subordinato il riconoscimento della natura di Paese sicuro di un determinato richiedente: questi deve essere cittadino del Paese di provenienza definito sicuro o apolide che in quel Paese soggiornasse abitualmente; inoltre, non deve avere invocato gravi motivi a lui riferibili, tesi a escludere che il Paese di origine sia sicuro.
      L’art. 37 fa rinvio all’allegato I della stessa direttiva, dove sono dettate le condizioni alle quali è possibile designare un Paese come sicuro. Il testo dell’Allegato I è il seguente: “Un paese è considerato paese di origine sicuro se, sulla base dello status giuridico, dell’applicazione della legge all’interno di un sistema democratico e della situazione politica generale, si può dimostrare che non ci sono generalmente e costantemente persecuzioni quali definite nell’articolo 9 della direttiva 2011/95/UE, né tortura o altre forme di pena o trattamento disumano o degradante, né pericolo a causa di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale.
      Per effettuare tale valutazione si tiene conto, tra l’altro, della misura in cui viene offerta
      protezione contro le persecuzioni ed i maltrattamenti mediante:
      a) le pertinenti disposizioni legislative e regolamentari del paese ed il modo in cui sono applicate;
      b) il rispetto dei diritti e delle libertà stabiliti nella Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e/o nel Patto internazionale relativo ai diritti civili e sociali

      L’art. 38 della Direttiva atualmente in vigore, fino a quando non verrà espressamente abrogata, fornisce il: “Concetto di paese terzo sicuro”.

      1. Glic Stati membri possono applicare il oncetto di paese terzo sicuro solo se le autorità competenti hanno accertato che nel paese terzo in questione una persona richiedente protezione internazionale riceverà un trattamento conforme ai seguenti criteri:
      a) non sussistono minacce alla sua vita ed alla sua libertà per ragioni di razza, religione,
      nazionalità, opinioni politiche o appartenenza a un determinato gruppo sociale;
      b) non sussiste il rischio di danno grave definito nella direttiva 2011/95/UE;
      c) è rispettato il principio di «non-refoulement» conformemente alla convenzione di Ginevra;
      d) è osservato il divieto di allontanamento in violazione del diritto a non subire torture né
      trattamenti crudeli, disumani o degradanti, sancito dal diritto internazionale; e
      e) esiste la possibilità di chiedere lo status di rifugiato e, per chi è riconosciuto come rifugiato,
      ottenere protezione in conformità della convenzione di Ginevra.
      2. L’applicazione del concetto di paese terzo sicuro è subordinata alle norme stabilite dal diritto nazionale, comprese:
      a) norme che richiedono un legame tra il richiedente e il paese terzo in questione, secondo le quali sarebbe ragionevole per detta persona recarsi in tale paese;
      b) norme sul metodo mediante il quale le autorità̀ competenti accertano che il concetto di paese terzo sicuro può̀ essere applicato a un determinato paese o a un determinato richiedente. Tale metodo comprende l’esame caso per caso della sicurezza del paese per un determinato richiedente e/o la designazione nazionale dei paesi che possono essere considerati generalmente sicuri;
      c) norme conformi al diritto internazionale per accertare, con un esame individuale, se il paese terzo interessato sia sicuro per un determinato richiedente e che consentano almeno al richiedente di impugnare l’applicazione del concetto di paese terzo sicuro a motivo del fatto che quel paese terzo non è sicuro nel suo caso specifico. Al richiedente è altresì data la possibilità di contestare l’esistenza di un legame con il paese terzo ai sensi della lettera a)”

      4. Secondo la nuova proposta legislativa sulle procedure di asilo, approvata dal Consiglio dei ministri del’interno dell’Unione Europea a Lussemburgo, gli Stati membri dovrebbero avere la possibilità di applicare il concetto di terzo sicuro paese […] come motivo di inammissibilità ove esista la possibilità per il richiedente[…] di chiedere e, se ne ricorrono i presupposti, di ricevere effettivo protezione in un paese terzo, dove la sua vita e la sua libertà non sono minacciate conto di razza, religione, nazionalità, appartenenza a un particolare gruppo sociale o opinione politica, dove lui o lei non è soggetto a persecuzione né affronta un rischio reale di danno grave come definito nel regolamento (UE) n. XXX/XXX [Nuovo Regolamento sulle Qualifiche ancora da approvare] ed è tutelato contro il respingimento e contro l’allontanamento, o contro le violazioni del diritto alla protezione dalla tortura e da trattamenti crudeli, inumani o degradanti prevista dal diritto internazionale.
      Si aggiungono poi nuove condizioni per considerare inammissibile una domanda di asilo.
      Si prevede in particolare che Il concetto di un paese terzo sicuro può essere applicato solo se esiste […] un collegamento tra il richiedente e […] il paese terzo in base al quale sarebbe […] ragionevole[…] che il richiedente […] si rechi in quel paese […], compreso il fatto che […] ha transitato […] in quel paese terzo. La connessione in particolare tra il richiedente e il paese terzo sicuro potrebbe essere considerata stabilita dove i membri della famiglia del richiedente siano presenti in quel paese o dove il richiedente si è stabilito o ha soggiornato in quel paese. Nella fase convulsa di ricerca del compromesso finale, nella notte dei ministri del’interno a Lussemburgo, è saltata la previsione sostenuta dall’Italia che anche un transito temporaneo avrebbe potuto comportare l’acertamento di questa “commessione” e dunque comportare l’inammissibilità della domanda di protezione già nella procedura in frontiera e la possibilità di respingimento o espulsione con immediato accompagnamento forzato. La posizione dei cittadini di paesi terzi “in transito” rimane comunque molto a rischio e sarà sicuramente oggetto di trattative in sede di rinegoziazione degli accordi bilaterali già esistenti.

      Al Considerando 37b) si prevede comunque che, “Nel valutare se i criteri per una protezione effettiva come stabilito nel presente Regolamento sono soddisfatte da un paese terzo, l’accesso ai mezzi di sussistenza sufficienti a mantenere un tenore di vita adeguato dovrebbe essere inteso come comprensivo dell’accesso a vitto, vestiario, alloggio o alloggio e il diritto a svolgere un’attività lavorativa remunerata a condizioni non meno favorevoli di quelle previste per gli stranieri del Paese terzo generalmente nelle stesse circostanze”. Anche nella proposta di nuovo Regolamento oltre alla situazione dei transitanti nei paesi terzi ritenuti sicuri si deve aggiungere anche la considerazione della maggiore ampiezza operativa che si sta attribuento, anche a livello interno, alla categoria di paese di origine sicuro.

      Al Considerando (46) si aggiunge che […] Dovrebbe essere possibile designare un paese terzo come paese di origine sicuro con eccezioni per parti specifiche del suo territorio o categorie chiaramente identificabili di persone. Inoltre, il fatto che un paese terzo sia incluso in una lista di paesi di origine sicuri non può stabilire una garanzia assoluta di sicurezza per i cittadini di tale paese paese, anche per coloro che non appartengono a una categoria di persone per le quali tale è fatta eccezione, e quindi non dispensa dalla necessità di condurre un’adeguata esame individuale della domanda di protezione internazionale. Per sua stessa natura, la valutazione sottesa alla designazione non può che tener conto del carattere generale, civile, circostanze legali e politiche in quel paese e se autori di persecuzioni, torture o trattamenti o punizioni inumani o degradanti sono soggetti a sanzione quando ritenuti responsabili in quel paese. Per questo motivo, dove il richiedente può dimostrare elementi che giustificano il motivo per cui il concetto di paese di origine sicuro non è applicabile a lui, la designazione del paese come sicuro non può più essere considerata rilevante per lui o lei.

      5. Il governo italiano si vanta di avere costretto l’Unione europea a spostare l’attenzione dai problemi che interssano maggiormente agli Stati continentali, e dunque dai cd. “movimenti secondari” alla questione dei “movimenti primari”, con particolare riferimento alle frontiere esterne del Mediteraneo. La prospettiva che si persegue, magari in collaborazione con l’UNHCR, che però ha posizioni di garanzia molto precise sul punto, è di favorire la “deportazione” in questi paesi, ritenuti “sicuri”, di immigrati irregolari di diversa nazionalità, dopo il diniego sulla domanda di protezione, alla fine della “procedura in frontiera”. Sfugge evidentemente alla premier Meloni, o si preferisce nascondere, la situazione dei diritti umani nei paesi nordafricani di transito, come l’Egitto, la Libia, la Tunisia, l’Algeria, che pure ministri e sottosegretari italiani hanno intensamente frequentato in questi ultimi mesi. Con i risultati che sono sotto gli occhi di tutti. Adesso ci riproveranno a Tunisi, con la visita in programma per domenica 11 giugno in cui la Meloni sarà accompagnata adirittura da Ursula Von der Layen a nome della Commissione europea e dal premier olandese Rutte.

      Nella propaganda governativa si omette di ricordare che nessun accordo di riammissione stipulato con paesi terzi, anche quello tuttora vigente con la Tunisia, prevede deportazioni di cittadini provenienti da altri Stati e giunti irregolarmente nel nostro territorio, o che hanno ricevuto un diniego sulla richiesta di protezione internazionale. A parte la considerazione che l’ingresso per ragioni di soccorso non può essere equiparato all’ingresso clandestino. E questo lo chiarisce bene la Corte di Cassazione con la sentenza sul caso Rackete n.6626/2020. Si vedrà se la prossima missione della Meloni a Tunisi, in compagnia della Presidente della Commissione europea convincerà l’autocrate Saied che sta espellendo sistematicamente dal suo paese tutti i migranti subsahariani, ad accettare di riprendersi cittadini non tunisini sbarcati in Italia. Ed è pure abbastanza improbabile che aumenti la quota di cittadini tunisini che, in base agli accordi vigenti, vengono espulsi o respinti (respingimento differito) verso Tunisi, sulla base degli accordi bilaterali già vigenti con l’Italia. Due voli alla settimana, o poco più per circa sessanta persone. Difficile immaginare una intensificazione dei rimpatri con accompagnamento di polizia. In questi casi, come osserva il Garante nazionale per le persone private della libertà personale in un recente rapporto, “L’aspetto di maggiore criticità è che “le regole dell’attività di rimpatrio forzato da parte della Polizia di Stato sono in larga parte definite da semplici circolari e disposizioni interne e non da fonti normative di rango primario. Manca cioè un quadro legislativo che specifichi le regole operative e ciò ha inevitabili ricadute”. Per esempio, “la disciplina compiuta del possibile ricorso all’impiego della forza, al di là di principi generali, che definisca i possibili strumenti contenitivi, le modalità e la durata del loro impiego. Così come mancano disposizioni operative sui controlli di sicurezza, la cui attuazione talvolta si avvicina a una perquisizione personale, pratica eccezionale anche in contesti ben più problematici”. Ma anche in Tunisia la discrezionalità di polizia sconfina sempre più spesso nell’arbitrio.

      Come denuncia l’ASGI, “Alla luce dell’attuale trasformazione autoritaria dello Stato tunisino e dell’estrema violenza e persecuzione della popolazione nera, delle persone in movimento, degli oppositori politici e degli attori della società civile, noi, le organizzazioni firmatarie, rilasciamo questa dichiarazione per ricordare che la Tunisia non è né un paese di origine sicuro né un paese terzo sicuro e pertanto non può essere considerato un luogo sicuro di sbarco (Place of Safety, POS) per le persone soccorse in mare”.

      Come riferisce il sito Meltingpot, a margine di un diniego dopo la richiesta di protezione internazionale alla competente Commissione territoriale, il Tribunale di Cagliari ha accolto la richiesta di sospensiva di un cittadino tunisino. La situazione è peculiare e occorrerà attendere il merito per approfondirla ma il decreto è significativo perché, il Tribunale “smentisce” il fatto che la Tunisia sia un Paese Sicuro“. Si tratta naturalmente di decisioni che valgono per casi individuali, e sarà fondamentale provare la situazione di ciascuna persona che in frontiera, ma anche nei CPR, possa risultare destinataria di un provedimento di allontanbamento forzato verso la Tunisia.

      6. La seconda proposta legislativa su nuovi criteri di gestione in materia di immigrazione ed asilo di portata più ampia approvata a Lussemburgo lo scorso 8 giugno (Proposal for a Regulation of the European Parliament and of the Council on asylum and migration management and amending Council Directive (EC) 2003/109 and the proposed Regulation (EU) XXX/XXX [Asylum and Migration Fund] non prevede particolari impegni dell’Unione Europea per sostenere le politiche di rimpatrio forzato di citt che adini di paesi terzi verso gli Stati da cui sono transitati prima di entrare in territorio europeo. Materia che richiederebbe una modifica radicale della Direttiva rimpatri 2008/115/CE.

      Il nuovo regolamento sulla gestione della migrazione e dell’asilo dovrebbe sostituire, una volta concordato, l’attuale regolamento Dublino che stabilisce norme che determinano quale Stato membro è competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale. Il nuovo Regolamento dovrebbe semplificare queste regole e ridurre i termini. Ad esempio, l’attuale complessa procedura di ripresa in carico finalizzata al trasferimento di un richiedente nello Stato membro responsabile della sua domanda sarà sostituita da una semplice notifica di ripresa in carico. Rimane comunque confermata la responsabilità primaria dei paesi di primo ingresso, quello che Salvini voleva evitare ricattando i paesi membri con la chiusura dei porti. Lo Stato membro di primo ingresso sarà competente per la domanda di asilo per una durata di due anni. Quando un paese vuole trasferire una persona nello stato membro che è effettivamente responsabile del migrante e questa persona fugge (ad esempio quando il migrante si nasconde per eludere un trasferimento) la responsabilità passerà allo stato membro di trasferimento solo dopo tre anni.

      La nuova proposta legislativa su immigrazione ed asilo, faticosamente elaborata a Lussemburgo, si limita, con l’art. 7 (Cooperazione con i paesi terzi per facilitare il rimpatrio e la riammissione), a prevedere che dove la Commissione e il Consiglio ritengano che un terzo paese non collabora sufficientemente alla riammissione di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare, la Commissione e il Consiglio, nell’ambito delle rispettive competenze, prendono in considerazione le azioni appropriate tenendo conto delle competenze dell’Unione e delle relazioni generali degli Stati membri con il paese terzo.
      In particolare, in questi casi, 1. […] La Commissione può, sulla base dell’analisi effettuata a norma dell’articolo 25 bis, paragrafi 2 o 4, del regolamento (UE) n. 810/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio e di qualsiasi altra informazione disponibile dagli Stati membri, nonché dall’Unione istituzioni, organi e organismi, […] presentare al Consiglio una relazione comprendente, se del caso, l’identificazione di eventuali misure che potrebbero essere adottate per migliorare la cooperazione di tale paese terzo in materia di riammissione, tenendo conto dell’Unione e delle relazioni generali degli Stati membri con il paese terzo.

      7. Al di là delle perplessità sui tempi di attuazione delle proposte varate dal Consiglio dei ministri dell’interno dell’Unione europea e della loro dubbia compatibilità con il vigente diritto eurounitario e con il diritto internazionale umanitario e dei rifugiati, si deve rimarcare come il governo italiano, con un decreto interministeriale approvato lo scorso marzo, abbia ulteriormente ampliato la lista di paesi terzi sicuri che preclude di fatto sia l’esame approfondito delle domande di protezione nelle procedure in frontiera, che il rinnovo della maggior parte dei permessi di soggiorno finora concessi per protezione speciale. Con questo ultimo aggiornamento di marzo 2023 vengono ritenuti paesi terzi sicuri: Albania, Algeria, Bosnia-Erzegovina, Capo Verde, Costa d’Avorio, Gambia, Georgia, Ghana, Kosovo, Macedonia del Nord, Marocco, Montenegro, Nigeria, Senegal, Serbia e Tunisia.

      La categoria di “paese terzo sicuro” esisteva da anni nella legislazione italiana e nella normativa europea, ma è stato con il Decreto sicurezza Salvini n.113 del 2018 che se ne è estesa la portata e assieme ad altre modifiche legislative, ha ridotto di molto la portata effettiva del diritto di asilo riconosciuto dall’art. 10 della Costituzione italiana.

      L’art. 7-bis del dl 4 ottobre 2018, n. 113 (cd. decreto sicurezza), introdotto in sede di conversione dall’art. 1 della l. 1°dicembre 2018, n. 132, ha inserito nel d.lgs 28 gennaio 2008, n. 25 l’art. 2-bis, intitolato «Paesi di origine sicuri». E’ dunque chiaro che nell’ordinamenro italiano non esiste al momento alcuna categoria di paese di transito “sicuro” e dunque questo criterio, ancora allo stato di proposta legislativa da parte del Conisglio dei ministri dell’interno dell’Unione Europea NON potrà avere nell’immediato alcuna portata normativa, almeno fino a quando, al termine della procedura di codecisione, un nuovo Regolamento che lo preveda non venga pubblicato nella Gazzetta Ufficiale europea.

      L’art. 2-bis del d. lgs n. 25 del 2008, modificato dal decreto sicurezza del 2018, era articolato in cinque commi:

      «Art. 2-bis (Paesi di origine sicuri). – 1. Con decreto del Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, di concerto con i Ministri dell’interno e della giustizia, è adottato l’elenco dei Paesi di origine sicuri sulla base dei criteri di cui al comma 2. L’elenco dei Paesi di origine sicuri è aggiornato periodicamente ed è notificato alla Commissione europea.

      2. Uno Stato non appartenente all’Unione europea può essere considerato Paese di origine sicuro se, sulla base del suo ordinamento giuridico, dell’applicazione della legge all’interno di un sistema democratico e della situazione politica generale, si può dimostrare che, in via generale e costante, non sussistono atti di persecuzione quali definiti dall’articolo 7 del decreto legislativo 19 novembre 2007, n. 251, né tortura o altre forme di pena o trattamento inumano o degradante, né pericolo a causa di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale. La designazione di un Paese di origine sicuro può essere fatta con l’eccezione di parti del territorio o di categorie di persone.

      3. Ai fini della valutazione di cui al comma 2 si tiene conto, tra l’altro, della misura in cui è offerta protezione contro le persecuzioni ed i maltrattamenti mediante: a) le pertinenti disposizioni legislative e regolamentari del Paese ed il modo in cui sono applicate; b) il rispetto dei diritti e delle libertà stabiliti nella Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali del 4 novembre 1950, ratificata ai sensi della legge 4 agosto 1955, n. 848, nel Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, aperto alla firma il 19 dicembre 1966, ratificato ai sensi della legge 25 ottobre 1977, n. 881, e nella Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura del 10 dicembre 1984, in particolare dei diritti ai quali non si può derogare a norma dell’articolo 15, paragrafo 2, della predetta Convenzione europea; c) il rispetto del principio di cui all’articolo 33 della Convenzione di Ginevra; d) un sistema di ricorsi effettivi contro le violazioni di tali diritti e libertà.

      4. La valutazione volta ad accertare che uno Stato non appartenente all’Unione europea è un Paese di origine sicuro si basa sulle informazioni fornite dalla Commissione nazionale per il diritto di asilo, che si avvale anche delle notizie elaborate dal centro di documentazione di cui all’articolo 5, comma 1, nonché su altre fonti di informazione, comprese in particolare quelle fornite da altri Stati membri dell’Unione europea, dall’EASO, dall’UNHCR, dal Consiglio d’Europa e da altre organizzazioni internazionali competenti.

      5. Un Paese designato di origine sicuro ai sensi del presente articolo può essere considerato Paese di origine sicuro per il richiedente solo se questi ha la cittadinanza di quel Paese o è un apolide che in precedenza soggiornava abitualmente in quel Paese e non ha invocato gravi motivi per ritenere che quel Paese non è sicuro per la situazione particolare in cui lo stesso richiedente si trova».

      8. Adesso si sta tentando di estendere la nozione di paese terzo sicuro non solo ai cittadini di quel paese, ma anche a coloro che provengono da altri paesi e sono transitati nel paese terzo “sicuro”. Anche per queste persone, con la sola eccezione di MSNA (minori non accompagnati) e di altri soggetti vulnerabili, si prevedono procedure accelerate in frontiera e un numero più ampio di casi di trattenimento amministrativo, per facilitare respingimenti ed espulsioni al termine delle procedure in frontiera, in modo forse da dissuadere le partenze verso l’Italia e l’Europa, aspirazione di vari governi, che comunque, nel corso degli anni, è stata sistematicamente smentita dai fatti. Non si vede peraltro con quali mezzi, risorse umane e luoghi di detenzione amministrativa, si potrà attuare il trattenimento dei richiedenti asilo nelle procedure in frontiera, subito dopo gli sbarchi. Le norme al riguardo, tra l’altro, non saranno operative per 90 giorni dall’entrata in vigore della legge n.50/2023, in assenza del decreto interministeriale che dovrebbe fissare l’entità delle risorse economiche che il richiedente asilo dovrebbe dimostrare per evitare il trattenimento nella prima fase di esame della sua richiesta di protezione. Per tutta l’estate, dunque, la situazione nei punti di sbarco, ma anche nei centri di prima accoglienza, resterà caotica, e sarà affidata esclusivamente ai provvedimenti delle autorità amministrative, prefetti e questori, senza una chiara cornice legislativa.

      Su questo sarà battaglia legale, e solidarietà verso chi chiede comunque protezione, soprattutto nei territori più vicini alle frontiere esterne, sempre che sia possibile esercitare i diritti di difesa, e che le misure di accompagnamento forzato non vengano eseguite prima del riesame da parte della giurisdizione, dato l’abbattimento dei casi di effetto sospensivo del ricorso, ed i precedenti purtroppo non sono molti. La sentenza della Cassazione (Sez. 1, 18 novembre 2019, n. 29914) ha cassato una precedente decisione di merito che aveva rigettato la domanda di protezione internazionale, facendo leva sul principio, già più volte enunciato, secondo cui “nei giudizi di protezione internazionale, a fronte del dovere del richiedente di allegare, produrre o dedurre tutti gli elementi e la documentazione necessari a motivare la domanda, la valutazione delle condizioni socio-politiche del Paese d’origine del richiedente deve avvenire, mediante integrazione istruttoria officiosa, tramite l’apprezzamento di tutte le informazioni, generali e specifiche di cui si dispone pertinenti al caso, aggiornate al momento dell’adozione della decisione, sicché il giudice del merito non può limitarsi a valutazioni solo generiche ovvero omettere di individuare le specifiche fonti informative da cui vengono tratte le conclusioni assunte, potendo incorrere in tale ipotesi, la pronuncia, ove impugnata, nel vizio di motivazione apparente”. Rimane quindi alto il rischio che la categoria dei paesi terzi sicuri, o dei paesi di transito sicuri, considerate anche le nuove procedure in frontiera introdotte dalla legge n.50 del 2023, riducano fortemente la portata effettiva del diritto di asilo costituzionale.

      Il Diritto di asilo previsto nelle sue diverse forme dall’art. 10 della Costituzione italiana, e ribadito nelle Direttive europee e nei Regolamenti fin qui vigenti, ha natura individuale e costituisce un dirito fondamentale della persona. La ratio fondante di tutta la disciplina in materia di protezione internazionale consiste proprio nella protezione dei singoli da condotte gravemente lesive dei loro diritti umani. Ciò è confermato con grande apertura e
      chiarezza dalla nostra Costituzione, all’art. 10, co. 3 che ha una portata molto più ampia della formulazione dello stesso diritto nella Convenzione di Ginevra del 1951 e nelle Direttive europee. Al contrario, la nozione di «Paesi di origine sicuri» si fonda su una valutazione di «safety for the majority» che difficilmente si concilia con la dimensione individuale del diritto di asilo, fortemente sminuendo «the role of individual case by case assessment»”previsto dalle Convenzioni internazionali. In Italia la legge vigente prevede soltanto una presunzione relativa di sicurezza rispetto al Paese di origine, ma senza alcun riferimento automatico alla situazione in questo paese o al transito in un altro paese terzo ritenuto sicuro. Il richiedente e la Commissione teritoriale, e poi il giudice in caso di ricorso giurisdizionale, sono tenuti a cooperare per fare emergere i necesari elementi probatori per affermare o escludere un diritto alla protezione. Ma non ci può essere alcun automatismo nel diniego di uno status di protezione nei confronti di chi provenga o sia transitato da un paese terzo sicuro.

      Si deve ricordare a tale proposito la sentenza della Corte Europea dei diritti dell’Uomo del 21 novembre 2019, Ilias and Ahmed c. Ungheria, che ha accertato la violazione dell’art. 3 della CEDU da parte dell’Ungheria, le cui autorità avevano rigettato la domanda di protezione di due cittadini bengalesi espulsi verso la Serbia, sul semplice presupposto che tale Stato era stato incluso in un elenco governativo sui Paesi sicuri, senza compiere una
      valutazione seria e approfondita del caso specifico e senza preoccuparsi degli effetti di
      un respingimento a catena verso altri Stati.

      9. La pressione dei governi europei, e del governo italiano in particolare, sulle procedure in frontiera e sulla possibilità di ricorrere alle categorie di paese terzo di origine o di transito “sicuro” apre scenari inquietanti, soprattutto dopo che con la legge n.50/2023 si sono introdotte norme procedurali che intaccano i diritti di difesa dei richiedenti asilo giunti in frontiera, sia pure a seguito di operazioni di soccorso in mare. Toccherà operare un attento monotoraggio sul riconoscimento effettivo dei diritti fondamentali, a partire dai diritti all’informazione ed alla comprensione linguistica, e dal diritto di accesso effettivo ad una procedura di asilo, in tutti i luoghi di frontiera soprattutto in quelli che sono definiti “punti di fontiera esterna”. Ocorrerà vigilare sulla attuazione degli accordi con i paesi di transito e origine che possano essere ritenuti “sicuri”, ma solo sulla carta, dalle autorità amministrative. Bisogna impedire che attraverso l’esecuzione immediata di misure di allontanamento forzato, adottate magari con modalità sostanzialmente uniformi e collettive, senza riguardo alla situazione individuale delle singole persone, o delle loro condizioni psico-fisiche, possano ripetersi quelle violazioni dei diritti umani che hanno già portato a pesanti condanne dell’Italia da parte dei Tribunali internazionali, come nei tre fondamentali casi Hirsi, Sharifi e Khlaifia.

      https://www.a-dif.org/2023/06/09/paesi-terzi-sicuri-sicurezza-delle-persone-migranti-e-propaganda-di-stato

    • Editorial : Migration Pact Agreement Point by Point

      What was agreed? What are the consequences? Where are we now?

      ECRE will analyse the detailed texts of the General Approach, when they are available. In the meantime, 48 points can already be made on the agreement reached yesterday among the EU Member States on the Pact on Migration and Asylum to reform EU asylum law.

      - The EU Member States have reached an agreement on key pillars of the EU asylum system, responsibility, solidarity and procedural rules. The agreement has been under discussion throughout the Swedish Presidency.
      - This is not the final word – the Council will negotiate with the Parliament on the basis of this agreement and the Parliament’s respective agreement in order to reach a common position which will become law. However, it is to be expected that Parliament will concede – and these are more or less the positions likely to be adopted.
      - The agreement reduces protection standards in Europe, which is kind of the point. Whether it will meet its other objectives of deterring arrivals, rapid returns or reducing so-called secondary movement remains to be seen.
      – Two countries opposed the agreement: Hungary and Poland, primarily on the basis that they don’t believe that Europe should have an asylum system. Four countries abstained: Bulgaria, Malta, Lithuania and Slovakia, for different reasons in each case.

      The headlines

      - Overall, states have agreed on labyrinth of procedural rules, byzantine in their complexity and based on trying to limit the number of people who are granted international protection in Europe.
      - They fail to address the major the dysfunction of the system, the Dublin rules, which escape largely intact.
      - An underlying objective is to transfer responsibility to countries outside Europe, even though 85% of the world’s refugees are hosted outside Europe, mainly in desperately poor countries. The targets are the countries of the Western Balkans and North Africa, through the use of legal tools such as the “safe third country” concept. Nonetheless, the reforms do nothing to increase the likelihood that these countries agree to host people returned from the EU.
      - Within Europe, the reforms increase the focus at the borders.
      - As such, the reforms go in the opposite direction to the successful response to displacement from Ukraine, which demonstrated the value of light procedures, rapid access to a protection status, allowing people to work as soon as possible so they can contribute, and freedom of movement which allows family unity and a fairer distribution of responsibility across Europe.

      Procedural changes

      – Instead, new elements include expanded use of border procedures, inadmissibility procedures, and accelerated procedures, and the Pact deploys legal concepts to deflect responsibility to other countries, such as the safe third country concept. More people will be stuck at the borders in situations akin to the Greek island model.
      - There will be an expanded use of the border procedure with it becoming mandatory for people from countries where the protection rate is 20% or below.
      - Countries in the centre and north insisted on this change before agreeing to solidarity because their primary concern is ending so-called “secondary movement”. Safeguards such as access to legal assistance or to an appeal are reduced. There will be almost no exemptions for vulnerable people, families or children, and more procedures will be managed in detention.

      No new responsibility rules

      - The rules on responsibility remain the same as now under Dublin, with the principle of first entry still in place.
      - The period of responsibility of the country of arrival for an applicant is extended. It will be two years for people who enter at the external border, but reduced to 15 months after a rejection in the border procedure (to give states an incentive to use the border procedure), and reduced to 12 months for those rescued at sea (to give states an incentive to stop watching people drown).
      – The improvements to the rules on responsibility (compared to Dublin) proposed by the Commission have been rejected, including a wider family definition to allow family unification with siblings.

      A new solidarity mechanism

      - To compensate for the effects of the rules, a solidarity mechanism is introduced to compensate the countries at the borders in situations of “migratory pressure”. A separate mechanism for situations of search and rescue has been rejected.
      – Solidarity is mandatory but flexible, meaning that all countries have to contribute but that they can chose what to offer: relocation and assuming responsibility for people; capacity-building and other support; or a financial contribution.

      The numbers

      – The states have agreed on a minimum of 30,000 people to have their applications processed in a border procedure every year. There will also be a “cap”, a maximum set several times this number which increases over the first three years.
      – Member States’ individual adequate capacity (minimum number or target for border procedures) will be set using a formula based on the overall adequate capacity and the number of a “irregular” entries (i.e. people arriving to seek protection).
      – Member States can cease to use the border procedure when they approach their target with a notification to the Commission.
      – At the same time, the target for relocations is also set at 30,000.
      – There is an incentive to provide relocations (rather than other solidarity) in the form of “offsets” (reductions of solidarity contributions for those offering relocation).
      - The financial equivalent of a relocation is set at EUR 20,000. Money will also be provided from EU funding for reception capacity to manage the border procedure.

      The good news

      - This is the beginning of the end of the reforms.
      - There is a solidarity mechanism, to be codified in EU law.

      The bad news

      – Expanded use of the border procedure equals more people in detention centres at the external border, subject to sub-standard asylum procedures.
      – With the increase in responsibility for countries at the border, and given how controversial centres are for local communities, there is a risk that they chose pushbacks instead. If Italy’s share of the 30,000 annual border procedure cases is 5000, for example, are they likely to go ahead with detention centres or to deny entry?
      – Setting a numerical target for the use of the border procedure – which will almost always take place in detention – creates the risk of arbitrariness in its application.
      - The rules on responsibility remain as per Dublin. The Commission’s improvements have been removed so the incentives to avoid compliance, for instance on reception conditions, remain.
      – There is strong encouragement of the use of “safe third concept” as a basis for denying people access to an in-merits asylum procedure or to protection in Europe.
      - The definition of a safe third country has been eroded as Member States will decide which countries meet the definition. A country needs to meet certain protection criteria and there needs to be a connection between the person and the country, as per international law. However, what constitutes a connection is determined by national law. Examples in the text are family links and previous residence, but a MS could decide that pure transit is a sufficient connection.
      - Solidarity is flexible. If Member States can choose, how many will choose relocation? Relocation of people across the EU would lead to a fairer division of responsibility instead of too much being required of the countries at the external border.
      - The procedural rules appear complex to the point of unworkability.

      Uncertain as yet

      – What has been agreed on offsets – solidarity obligation offsets (reductions in a country’s solidarity obligations to others) in the case of offering relocation places and solidarity benefit offsets (reductions in solidarity entitlements of a country under pressure) in the case of failure to accept Dublin transfers.
      - Definition of migratory pressure and whether and how it incorporates “instrumentalisation” and SAR.

      What will change in practice?

      – More of the people arriving to seek protection in Europe will be subject to a border procedure, rather than having their case heard in a regular asylum procedure.
      – People will still arrive seeking protection in Europe but they will face a harsher system.
      - Responsibilities of the countries at the external borders are increased, which continues to provide an incentive to deny access to territory and to keep standards – on reception or inclusion, for example – low.
      - There could now be greater focus on implementation and management of asylum systems. However, the only concrete references to compliance are in relation to achieving the set number of border procedures and in ensuring Dublin transfers happen.
      – Onward (“secondary”) movement is still likely, and smugglers will continue to adapt, offering more to take people to countries away from the external borders.

      The winners

      – The Commission, which has invested everything on getting the Pact passed. “Trust and cooperation is back in the Council,” according to the Commissioner.
      – France, the Netherlands and the other hardliners, who have largely got what they wanted.
      - The Swedish Presidency, which has brokered a deal and one that suits them – as a less than honest broker. The Minister’s presentation at the press conference underlined secondary movement and enforcement of Dublin.
      – Smugglers, who will be able to charge more for the more complex and longer journeys that people will have to take.

      The losers

      - Refugees, for whom access to a fair asylum procedure will be harder. Risk of detention is higher. Risk of pushbacks is increased. Length and complexity of procedures is increased.
      - Non-EU countries at the borders who will deal with more pushed back people and who will be under pressure to build asylum systems to be safe enough to be “safe” third countries.
      - The Med5+ who have conceded on every major point and gained very little. They will have to manage the border procedures and, while solidarity is mandatory, it is flexible, meaning that relocation is not prioritised. It all begs the question: what have they really been offered in return?
      - Germany, which refused to stand firm and defend the even minor improvements that the government coalition agreement required, and on which it had the support of a small progressive alliance, and potential alliances with the south. For example, on exemptions to the border procedure. Given the desperation to reach a deal more could and should have been demanded.

      https://ecre.org/editorial-migration-pact-agreement-point-by-point

    • Décryptage – Pacte UE migration et asile : une approche répressive et sécuritaire au mépris des droits humains

      Le #8_juin_2023, les Etats membres de l’UE réunis en #Conseil_Justice_et_Affaires_Intérieures sont parvenus à un #accord sur deux des #règlements du #pacte_européen_sur_la_migration_et_l’asile. Alors que les négociations entre le Parlement et le Conseil se poursuivent, La Cimade décrypte les principaux enjeux des réformes européennes en cours d’adoption en matière de migration et d’asile et rend publique ses analyses et propositions.

      Le 23 septembre 2020, la Commission européenne dévoilait sa proposition de « pacte euro­péen sur la migration et l’asile » comme une « une nouvelle approche en matière de migration » visant à « instaurer un climat de confiance et un nouvel équilibre entre responsabi­lité et solidarité ».

      Sur la forme, ce pacte se traduit par un éventail de mesures législatives et opérationnelles pour la mise en œuvre de cette « nouvelle » politique migra­toire. À ce jour, la plupart de ces propositions n’ont pas encore été adoptées et font encore l’objet d’intenses négociations entre le Conseil et le Parlement européen.

      Sur le fond, les mesures proposées s’inscrivent dans la continuité des logiques déjà largement éprouvées. Elles sont fondées sur une approche répressive et sécuritaire au service de l’endiguement des migrations et de l’encouragement des expulsions, solutions qui ont prouvé leur inefficacité, et surtout qui coutent des vies humaines.

      La Cimade appelle l’UE et ses Etats membres à engager un véritable changement de paradigme, pour une Europe qui se fonde sur le respect des droits humains et les solidarités internationales, afin d’assurer la protection des personnes et non leur exclusion. La Cimade continuera à se mobiliser avec d’autres pour défendre les droits des personnes en exil tout au long des parcours migratoires.

      A travers ce document de décryptage, La Cimade souhaite contribuer à la compréhension des principaux enjeux des réformes européennes en cours d’adoption en matière de migration et d’asile et rendre publique ses analyses ainsi que ses propositions.

      https://www.lacimade.org/decryptage-pacte-ue-migration-et-asile-une-approche-repressive-et-securita
      #pacte #pacte_migration_et_asile #pacte_migration_asile

    • L’Europe se ferme un peu plus aux réfugiés

      Au moment où le Haut-Commissariat aux réfugiés des Nations unies (UNHCR) annonce, dans son rapport annuel, que le nombre de réfugiés et de déplacés dans le monde n’a jamais été aussi élevé qu’en 2022, le Conseil de l’Union européenne (UE) se félicite qu’après trois ans de négociation, les Etats membres se sont mis enfin mis d’accord sur un projet de réforme du droit d’asile.

      Ce pourrait être une bonne nouvelle. Car le rapport de l’ONU indique que les pays riches, dont font partie la plupart des Etats européens, sont loin de prendre leur part de cet exode. Ils n’accueillent que 24 % de l’ensemble des réfugiés, la grande majorité de ceux-ci se trouvant dans des Etats à revenu faible ou intermédiaire.

      En témoigne la liste des cinq pays qui accueillent le plus de réfugiés : si l’on excepte l’Allemagne, qui occupe la quatrième place, il s’agit de la Turquie (3,6 millions), de l’Iran (3,4 millions), du Pakistan (1,7 million) et de l’Ouganda (1,5 million).

      Et si l’on rapporte le nombre de personnes accueillies à la population, c’est l’île caribéenne d’Aruba (un réfugié pour six habitants) et le Liban (un réfugié pour sept habitants) qui viennent en tête du classement. A titre de comparaison, on compte en France un réfugié pour 110 habitants.
      Un partage plus équitable

      L’Europe aurait-elle décidé de corriger ce déséquilibre, pour répondre à l’appel de Filippo Gandi, le Haut-Commissaire pour les réfugiés, qui réclame « un partage plus équitable des responsabilités, en particulier avec les pays qui accueillent la majorité des personnes déracinées dans le monde » ?

      S’il s’agissait de cela, quelques moyens simples pourraient être mis en œuvre. En premier lieu, on pourrait ouvrir des voies légales permettant aux personnes en besoin de protection de gagner l’Europe sans être confrontées aux refus de visas qui leur sont quasi systématiquement opposés.

      On pourrait ensuite mettre en place une politique d’accueil adaptée, à l’instar de celle que les pays européens ont su mettre en place pour faire face à l’arrivée de plusieurs millions d’Ukrainiens en 2022.

      A la lecture du communiqué du Conseil de l’UE du 8 juin, on comprend que la réforme ne vise ni à faciliter les arrivées, ni à offrir de bonnes conditions d’accueil. Il y est certes question d’un « besoin de solidarité », mais l’objectif n’est pas de soulager ces pays qui accueillent la majorité des déracinés : il s’agit d’aider les Etats membres « en première ligne » à faire face aux « défis posés par la migration ».

      Autrement dit, de faire baisser la pression qui pèse sur les pays qui forment la frontière méditerranéenne de l’UE (principalement l’Italie, la Grèce et Malte) du fait des arrivées d’exilés par la voie maritime.

      Non que leur nombre soit démesuré – il était de l’ordre de 160 000 personnes en 2022 –, mais parce que la loi européenne prévoit que le pays responsable d’une demande d’asile est celui par lequel le demandeur a pénétré en premier dans l’espace européen.

      En vertu de ce règlement dit « Dublin », ce sont donc les pays où débarquent les boat people qui doivent les prendre en charge, et ces derniers sont censés y demeurer, même si leur projet était de se rendre ailleurs en Europe.

      L’accord conclu le 8 juin, qui doit encore être approuvé par le Parlement européen, ne remet pas en cause ce principe profondément inéquitable, qui n’est réaménagé qu’à la marge. Il porte sur deux propositions de règlements.

      La première réforme la procédure d’asile applicable à la frontière, avec notamment une phase de « screening » impliquant l’obligation de placer en détention la plupart des personnes qui demandent l’asile à la suite d’un débarquement, le temps de procéder au tri entre celles dont les demandes seront jugées irrecevables – pour pouvoir procéder à leur éloignement rapide – et celles dont les demandes seront examinées.

      Un dispositif contraire aux recommandations du Haut-Commissariat aux réfugiés qui rappelle, dans ses lignes directrices sur la détention, que « déposer une demande d’asile n’est pas un acte criminel ».

      La seconde met en place un « mécanisme de solidarité », particulièrement complexe, destiné à organiser la « relocalisation » des exilés admis à déposer une demande d’asile dans un autre Etat membre que celui dans lequel ils ont débarqué.
      Un goût de réchauffé

      Ces deux « innovations », dont le Conseil de l’UE prétend qu’elles marquent « une étape décisive sur la voie d’une modernisation du processus en matière d’asile et d’immigration », ont pourtant un goût de réchauffé.

      En 2015, en réaction aux arrivées en grand nombre de boat people sur les côtes grecques et italiennes, essentiellement dues à l’exil massif de Syriens fuyant la guerre civile – épisode qui fut alors qualifié de « crise migratoire majeure » – , le Conseil de l’UE avait mis en place l’« approche hotspot », destinée à assister les pays dont les frontières extérieures sont soumises à une « pression migratoire démesurée ».

      Ce dispositif, incluant déjà une procédure de filtrage pour distinguer les potentiels réfugiés des migrants présumés « irréguliers », visait à organiser l’expulsion de ces derniers dans des délais rapides et à répartir les autres ailleurs en Europe.

      A cette fin, le Conseil avait adopté un programme de « relocalisation », en vue de transférer 160 000 personnes reconnues éligibles à demander l’asile depuis l’Italie et la Grèce vers d’autres Etats membres de l’UE.

      On le voit, les innovations de 2023 présentent de grandes similitudes avec le plan d’action de 2015. Qu’est-il advenu de celui-ci ? Loin de permettre la prise en charge rapide des exilés ayant surmonté la traversée de la Méditerranée, l’approche hotspot a entraîné la création, dans cinq îles grecques de la mer Egée, de gigantesques prisons à ciel ouvert où des milliers de personnes ont été entassées sans possibilité de rejoindre le continent, parfois pendant plusieurs années, dans un déni généralisé des droits humains (surpopulation, insécurité, manque d’hygiène, violences sexuelles, atteintes aux droits de l’enfant et au droit d’asile). Un désastre régulièrement documenté, à partir de 2016, tant par les ONG que par les agences onusiennes et européennes, et qui perdure.

      La principale raison de cet échec tient à l’absence de solidarité des autres Etats de l’UE à l’égard de la Grèce et, dans une moindre mesure, de l’Italie. Car les promesses de « relocalisation » n’ont pas été tenues : sur les 160 000 demandeurs d’asile qui auraient dû être transférés en 2015, 30 000 seulement ont bénéficié de ce programme.

      La France, qui s’était engagée pour 30 000, en a accueilli moins du tiers. Un signe, s’il en était besoin, que les pays européens répugnent à remplir leurs obligations internationales à l’égard des réfugiés, malgré le nombre dérisoire de ceux qui frappent à leur porte, au regard des désordres du monde.

      On se souvient de l’affaire d’Etat qu’a suscitée l’arrivée à Toulon, au mois de novembre 2022, de l’Ocean Viking, ce bateau humanitaire qui a débarqué quelque 230 boat people sauvés du naufrage, immédiatement placés en détention.

      Emboîtant le pas d’une partie de la classe politique qui s’est empressée de crier à l’invasion, le ministre de l’Intérieur avait annoncé que la plupart seraient expulsés – avant que la justice ordonne leur mise en liberté.
      Quelle efficacité ?

      On peine à croire, dans ce contexte, que les promesses de 2023 seront mieux tenues que celles de 2015. Si le nouveau « mécanisme de solidarité » est présenté comme « obligatoire », le communiqué du Conseil de l’UE ajoute qu’il sera « flexible », et qu’« aucun Etat membre ne sera obligé de procéder à des relocalisations » !

      Une façon de prévenir l’opposition frontale de quelques pays, comme la Pologne ou la Hongrie, dont le Premier ministre a déjà fait savoir que le programme de relocalisation imposé par Bruxelles était « inacceptable ». Sur cette base, le système de compensation financière imaginé pour mettre au pas les récalcitrants n’a guère plus de chances de fonctionner.

      De nombreux commentateurs ont salué l’accord conclu le 8 juin comme l’étape inespérée d’un processus qui paraissait enlisé depuis plusieurs années. Ils voient surtout dans ce texte de compromis un espoir de voir la réforme de l’asile adoptée avant le renouvellement, en 2024, du Parlement européen, pour éviter que ces questions ne phagocytent la campagne électorale.

      C’est une analyse à courte vue. Car il y a tout lieu de craindre que cette réforme, qui s’inscrit dans la continuité d’une politique européenne de rejet des exilés, ne fera qu’intensifier le déséquilibre constaté par les Nations unies dans la répartition mondiale des réfugiés. Et poussera toujours davantage ceux-ci vers les routes migratoires qui font de l’Europe la destination la plus dangereuse du monde.

      https://www.alternatives-economiques.fr/claire-rodier/leurope-se-ferme-un-plus-aux-refugies/00107291

      #Claire_Rodier

    • Pacte européen sur la migration et l’asile : repartir sur d’autres bases

      La présidence belge de l’UE qui aura lieu en 2024 ambitionne de faire adopter le nouveau pacte européen sur la migration et l’asile. L’approche qui domine est essentiellement répressive et contraire aux droits fondamentaux. Elle ne répond pas aux enjeux des migrations internationales. A ce stade, le pacte ne semble plus pouvoir apporter une amélioration à la situation des personnes exilées. Il faut donc y mettre fin et redémarrer les discussions sur base d’une approche radicalement différente.
      Le nouveau pacte UE : le phénix de Moria ?

      En septembre 2020, à la suite de l’incendie meurtrier du hotspot grec surpeuplé et insalubre de Moria (centre d’enregistrement et de tri mis en place lors de la crise de l’accueil de 2015), la Commission européenne a présenté son projet de pacte sur la migration et l’asile. Celui-ci est censé répondre au « plus jamais ça » et offrir « un modèle de gestion prévisible et stable des migrations internationales ». Il est décrit par Margarítis Schinás, vice-président de la Commission, chargé des Migrations et de la promotion du mode de vie européen, comme une maison commune dont les fondations sont l’externalisation, les étages sont les contrôles aux frontières, et le grenier est l’accueil.

      Mais le nouvel « air frais » annoncé n’est en réalité qu’un air vicié. Ce pacte présente en effet les mêmes solutions inefficaces, couteuses et violatrices des droits qui dès lors continueront de produire inévitablement les mêmes crises structurelles de l’accueil et l’aggravation des situations humanitaires et meurtrières le long des routes de l’exil. De nombreuses études documentées, depuis plus d’une vingtaine d’années, analysent l’impact d’une politique migratoire basée sur l’externalisation des frontières ainsi qu’une vision restrictive de l’accueil, et montrent ses dérives et son inefficacité

      .
      Un pacte contre les migrations : détenir, trier, expulser

      Le projet de Pacte repose sur cinq règlements législatifs et quelques recommandations et lignes directrices. Ceux-ci concernent respectivement : les procédures et contrôles aux frontières (APR et Filtrage), le Règlement de Dublin (AMMR), la gestion des crises aux frontières, l’enregistrement, ainsi que le partage des données numériques des personnes exilées (EURODAC)

      .

      A ce jour, les négociations autour du nouveau pacte européen sur la migration et l’asile sont au stade ultime du trilogue

      . La Présidence belge de l’Union européenne, qui aura lieu au premier semestre 2024, ambitionne d’aboutir à son adoption. Les positions de la Commission (septembre 2020), du Parlement (mars 2023) et du Conseil (juin 2023) sont, malgré des nuances, globalement similaires.

      L’orientation répressive et sélective des personnes exilées tout comme l’externalisation des questions migratoires dominent le contenu du pacte. Il est donc inéluctable, qu’une fois le trilogue terminé et le pacte en voie d’être adopté, la mise en œuvre par les Etats membres de ces cinq règlements occasionnera pour les personnes exilées :

      – une pérennisation des entraves, contrôles et criminalisation de leurs départs avec des risques de refoulements en chaîne, y compris vers des pays aussi dangereux que la Lybie et la Syrie ;
      - une procédure de filtrage ou tri avec une fiction de non entrée, à savoir que les droits et devoirs garantis sur le territoire européen ne leur sont pas applicables, malgré leur présence sur ce territoire ;
      - une mise en détention quasi systématique aux frontières y compris pour les enfants dès douze ans avec la possibilité de prolongation en cas de situation dite de crise ;
      – une procédure express d’analyse des demandes de protection qui est incompatible avec une réelle prise en compte des vulnérabilités notamment chez les mineurs, les femmes et les personnes LGBTQI+ ;
      – des décisions rapides d’expulsions sur base du concept de pays tiers « sûrs » avec un recours non suspensif ;
      – la récolte obligatoire, l’enregistrement et le partage des données personnelles entre agences européennes (Frontex, Europol, EASO etc.) et ce, dès l’âge de 6 ans ;
      - un système d’accueil à la carte est envisagé par le Conseil où les 27 auront le choix entre la relocalisation ou la participation financière à un pot commun européen en vue de financer notamment la dimension externe du pacte. Il s’agit du seul progrès par rapport à la situation actuelle, mais la Hongrie et la Pologne, malgré la position prise à la majorité qualifiée au Conseil de juin 2023, ont déjà annoncé leur refus d’y participer.

      Il est clair qu’avec ce type de mesures, le droit d’asile est en danger, les violences et le nombre de décès sur les routes de l’exil (faute de voies légales accessibles et de refoulements systématiques) vont augmenter et que les crises structurelles de l’accueil ne pourront être résolues.
      Le respect des droits des personnes exilées est résiduel

      La situation actuelle des migrations internationales exige des solutions immédiates et durables vu l’étendue du non-respect des droits fondamentaux des personnes exilées et du droit international.
      Selon l’ONU, près de 300 enfants sont morts depuis le début de l’année 2023

      en essayant de traverser la Méditerranée pour atteindre l’Europe. « Ce chiffre est deux fois plus important que celui des six premiers mois de l’année 2022. Nous estimons qu’au cours des six premiers mois de 2023, 11 600 enfants ont effectué la traversée, soit également le double par rapport à la même période de 2022. Ces décès sont absolument évitables », a souligné la responsable aux migrations et aux déplacés à l’Unicef, Verena Knaus. Les chiffres réels sont probablement plus élevés car de nombreux naufrages ne sont pas enregistrés.

      Le racisme et la répression contre les personnes exilées augmentent en Europe et dans les pays du Maghreb, entrainant à leur tour des refoulements systématiques impunis parfois même sous la surveillance de Frontex. Le récent naufrage de Pylos
      au large des côtes grecques et les refoulements effectués depuis la Tunisie dans le désert aux frontières algériennes et libyennes en sont les dramatiques illustrations.
      Quant au volet de l’accueil, il fait l’objet de profonds désaccords. Premièrement, les pays du « MED5 » (Italie, Espagne, Grèce, Malte et Chypre) se disent toujours seuls à assumer la responsabilité de l’accueil sur le sol européen. D’autres pays comme la Belgique se disent également victimes des mouvements secondaires. Face à eux, les pays du groupe de Visegrad (Pologne, Hongrie, Tchéquie, Slovaquie) bloquent tout mécanisme de répartition solidaire. Au niveau européen, la Commission promeut, comme elle l’a fait en juillet 2023 avec la Tunisie, l’adoption de protocoles d’entente avec des Etats peu respectueux des droits humains comme le Maroc et l’Egypte. Cela en vue de limiter la mobilité vers et en Europe. Ces partenariats ont un objectif essentiellement sécuritaire (matériel et formations des garde-côtes aux services du contrôle des frontières et des retours) et n’abordent pas les questions de protection et intégration des personnes migrantes dans les pays du Sud et du Nord

      .
      La solution : suspendre les négociations en repartant sur d’autres bases

      Ni la vision générale du Pacte, ni le contenu de ses cinq règlements législatifs ne répondent aux nombreux défis et opportunités que représentent les migrations internationales. Comme l’a démontré Alice Chatté dans son analyse Regard juridique sur les cinq volets législatifs du pacte européen sur la migration et l’asile

      , « les cinq instruments législatifs proposés dans le pacte, qu’ils soient nouveaux ou réformés, ne sont en réalité que la transcription en instruments légaux des pratiques actuelles des Etats membres, qui ont hélas montré leurs faiblesses et dysfonctionnements. Cela se traduit par des procédures, dorénavant légales, qui autorisent le tri et le recours à la détention systématique à l’ensemble des frontières européennes ainsi que l’examen accéléré des demandes de protection internationale sur base du concept de pays « sûrs » favorisant de facto les pratiques de refoulement et le non-accueil au bénéfice du retour forcé ». Elle ajoute que « le projet du pacte, ainsi que les cinq règlements qui le traduisent juridiquement, ne respectent pas les droits fondamentaux des personnes exilées. Il est en l’état incompatible avec le respect du droit international et européen, ainsi qu’avec le Pacte mondial sur les migrations des Nations Unies ».

      A ce stade final du trilogue, les positions des trois Institutions (Commission, Parlement, et Conseil) ne divergent pas fondamentalement entre elles. Les quelques améliorations défendues par le Parlement (dont un monitoring des droits fondamentaux aux frontières et une réforme des critères du Règlement Dublin), sont insuffisantes pour constituer une base de négociation et risquent de ne pas survivre aux négociations ardues du trilogue

      . Puisque le Pacte ne peut plus suffisamment être réformé pour apporter une amélioration immédiate et durable à la situation des personnes exilées, il faut donc se résoudre à mettre fin aux négociations en cours pour repartir sur de nouvelles bases, respectueuses des droits humains et des principes des Pactes mondiaux sur les migrations et sur les réfugiés.
      La Présidence belge de l’UE doit promouvoir la justice migratoire

      Face aux dérives constatées dans de nombreux Etats membres, y compris la Belgique, condamnée à de nombreuses reprises par la justice pour son manque de respect des droits fondamentaux des personnes en demande d’asile, une approche européenne s’impose. Celle-ci doit être basée sur une approche multilatérale, cohérente et positive des migrations internationales, guidée par le respect des droits fondamentaux des personnes exilées et par la solidarité. Le Pacte mondial des migrations des Nations unies adopté en 2018 et la gestion de l’accueil en 2022 d’une partie de la population ukrainienne sont des sources d’inspiration pour refonder les politiques migratoires de l’Union européenne. Plutôt que de chercher à faire aboutir un pacte qui institutionnalise des pratiques de violation des droits humains, la future Présidence belge de l’UE devrait promouvoir une telle vision, afin de promouvoir le respect du droit d’asile et, plus largement, la #justice_migratoire.

      https://www.cncd.be/Pacte-europeen-sur-la-migration-et

  • Pandemic preparedness through connected transnational #digital_networks of local actors
    https://redasadki.me/2022/10/13/epidemic-preparedness-through-connected-transnational-digital-networks-of-

    In the Geneva Learning Foundation’s approach to effective humanitarian learning, knowledge acquisition and competency development are both necessary but insufficient. This is why, in July 2019, we built the first #Impact_Accelerator, to support local practitioners beyond learning outcomes all the way to achieving actual health outcomes. What we now call the #Full_Learning_Cycle has become a mature package of interventions that covers the full spectrum from knowledge acquisition to implementation and continuous improvement. This package has produced the same effects in every area of work where we have been able to test it: self-motivated groups manifesting remarkable, emergent leadership, connected laterally to each other in each country and between countries, with a remarkable ability to (...)

    #Global_health #Learning_strategy #epidemic_preparedness #humanitarian_health #localization #scale

  • BIRTH – Born (2022)
    Studio Album, released in 2022
    “There are two kinds of fools. One says, “This is old, and therefore good.” And one says, ” This is new, and therefore better.” John Brunner, The Shockwave Rider.
    https://www.youtube.com/watch?v=XVLfowcuUSI

    There won’t be comets crashing all around, no great lick of a sun’s flare nor a great flash of nuclear fission set to rend our atmosphere into collapse, there won’t be a hundred years long war to cloud the air with the smoke of burning bodies and fossil fuel’s sabotaged fonts. There will be no glorious warrior death for humanity enough to warrant any such miserable romancing of the end. There will be no grand spaceship escape or tunnel underground to wait out the rebirth of the Earth’s poisoned soul, only the slow and unbearable onset of hapless and hopelessly complacent denial-fiending we’ve experienced over the course of the last few years wherein merchants of death-en-masse’s profitable constriction becomes a new normative low, comfortably sinking more into destitution and servitude month over month. Mankind will eventually simply set down in place, set weary skull into each palm and quietly resign to a fetal balling-up under the stress of poisonous environmental collapse. The few who cling to hope among us are simply waiting for someone else to do the work, anyhow. San Diego, California-based progressive psychedelic rock trio Birth manifest an introspective examination of the macrocosm of nature, technology, and human behavior as these collectively degrading elements represent tandem collapse of society and environment. ‘Born‘ is not a self-involved statement of a project sorceled into being out of hardship but a very direct meditation upon impermanence, leaving the other half of the equation, Death, up to the logic of the listener.

    You’re gonna get hung-up on it, man. Lost. — Since the initial free download of ‘Birth‘ now appears to have been about half of the full-length experience verbatim and sits off the digital shelf at the moment, the search for meaning and precedence will inevitably find us looking to past works for foundation. This might end up being a blurring brushstroke, a distraction from the main event in the long run but the context is damned impressive when we consider the varietal body of work from the musicians involved. Approaching Birth‘s debut with the preface of some of the members’ previous spiritual predecessorship in Astra is a double-edged sword in the sense that yes, these are (some of) the same musicians involved in creating a similarly intoxicating mode of progressive psychedelic rock aspect yet it doesn’t necessarily build the right expectation, nor does ‘Born‘ read as a set of songs from the same headspace or intent; Expect a touch more late 60’s heavy blues, more immediately struck theatric hooks, and glorious feature of sublimely unfettered showmanship on guitar and electric piano performances with -none- of the epic longform stretches of build up, which the very popular Astra were known for. Not every second of the full listen is comparatively rousing in its conjure, they are a bit more to the point with the heavier stuff early on and sleepier when things lean celestial, so, you can set your copy of ‘The Weirding‘ aside and stop expecting a revival of that band.

    Without Richard Vaughn, whom was a third dimensional aspect of the Silver Sunshine/Astra sound from what I gather, the duo of Conor Riley and Brian Ellis appears to be aimed the U.K.’s still maturing near-second generation era progressive rock sound, somber in a bluesy sort of way but still very much eating at the early 70’s diner of ambitious wonderment incarnate in shaping their core conceit, and in the process of doing so they go bit more heavy psychedelic rock -and- spaced-out, gloomy prog-rock than Astra ever had. In this sense we can loosen up on the obvious comparisons to pre-‘Relayer‘ Yes and Armageddon‘s self-titled record without setting them aside, you’ve got myriad groups like Wobbler whom fully go there in an inspired way nowadays anyhow. This might seem like a bit of a contradiction with reality once you’ve heard lead single “For Yesterday” paired with the spaced, odd-time tension of “Cosmic Tears” but ‘Born‘ simply has a different presence, a more direct line to throwback kitsch and synthesizer worship without trying to be future-past submerged stuff. Though I am aware this’ll all read as heady drivel parsing away deep expectations, that choppy reconsideration of any direct association with past works will likely be the typical listener’s reaction as they inevitably contextualize Birth as separate from Astra. The important thing is to sit back, knock it off and let the theatric Crimson-ian ebb of the record (see: “Long Way Down”) do its thing and get to the point on its own time.

    Opener “Born” and its striking into simple riff/organ doubled rhythm immediately read to me as something like Atomic Rooster‘s “Vug”, that era of virtuosic electric piano and/or Hammond organ grinding minus the ‘tonk of Crane‘s rhythmic sensibilities. This turns out to be the wrong first impression all things considered, we’re not exactly in such an extroverted early Uriah Heep mood from the get go anyhow. The band right this wrong quickly with the suggestion of something a bit more moody, specifically the easier-going side of King Crimson‘s ‘Red‘, whereas my mind had been expecting a ‘Tarkus‘ sort of gig up front. We won’t necessarily hear this side of the band again until “Another Time” strikes back into it as a deep cut on Side B, so don’t read into the get-up of the opener too righteously.

    The sleepy, easier drift of previously released singles “Descending Us” and “For Yesterday” are the bulk of the full listen’s vital statement both in terms of defining style and lyrical voice as Birth explore various synth/keyboard voicing in pair with drawn out swells of lead guitar and exasperated, occasionally folkish vocal cadence. “Descending Us” is more-or-less unmatched per its surroundings in terms of pulling together something soulful yet heavy psych in its trade-off of inspired verses and fiery guitar solos which peak in the last two minutes of the piece. “For Yesterday” is the major work done on ‘Born‘ to convince the listener of its viability and/or lasting value, an opus which showcases the cloudy run-on compositional space where Riley excels most and presents a very clear love for the exaggerative arc of peak prog rock songcraft. Eh, albeit a succinct one even at ~10 minutes, which depicts the soul lamenting its inevitable dissolve in relation to others, a peak moment either way. The song does however feel like it drones on without a third act, which we must assign to very worthy Side B starter “Cosmic Tears”.

    See it as an intentional descent, a dissolution, a passage between mindset unto a darker new reality but I’d eventually find ‘Born‘ an in-quest of an original idiom that’d been difficult to expand as the songwriting process continued, what we experience is their working around a very persistent mood in order to shape a disparate narrative. What I’d imply therein is this sense that a second record from Birth will likely be entirely different, potentially a bit more on the emotional spectrum of the expressive, dread exhaling relief of closer “Long Way Down”. This’d end up being the most inspirational piece for my taste and in no small part due to it following the bustle of “Another Time”. Again, these songs feel like they were ripped from the same sessions as opener “Born” with a bit more severe twist on electric blues in their core statement which almost sounds like the band had transformed into themselves mid-album and wanted to stick with a running order that expressed this directly. The feeling is that of getting a bit lost, collapsing into torpor and waking up refreshed with a bit of a lingering dread in mind. Either that or I’m projecting the sullen arc of everyday life onto a very entertaining, retro-brained heavy rock record.

    Though ‘Born‘ occasionally feels like it’d been salvaged from the band suddenly realizing “Hey, we’ve got something here. Now we need to do something.” and making timely statement out of it in terms of a release it nonetheless lands substantial and well in keeping with the best tradition of ambitious yet personal progressive rock. Though the sleepier shades of dread on this album are its most imaginative cerebrum, and surely the thing to emphasize for newcomers, the restless showmanship and yearning introspection found on Birth‘s debut ultimately sold it upon repeated listens. I’ll resign myself to hindsight and any further iteration to frame the experience in mind accordingly. A moderately high recommendation.
    Source : https://grizzlybutts.com/2022/07/10/birth-born-2022-review

    Songs / Tracks Listing
    1. Born (4:48)
    2. Descending Us (6:56)
    3. For Yesterday (9:14)
    4. Cosmic Tears (7:41)
    5. Another Time (5:36)
    6. Long Way Down (7:17)

    Total Time 41:32

    Line-up / Musicians
    – Conor Riley / vocals, synthesizer, electric piano, organ, acoustic guitar
    – Brian Ellis / guitar, electric piano, percussion
    – Trevor Mast / bass
    – Paul Marrone / drums

    #musique #full_album #progressive_rock #psychedelic_rock #prog_rock #music

  • The 1980s’ video games that made France’s game industry - Polygon
    https://www.polygon.com/videos/22633055/weird-french-adventure-games-polygon-video

    France plays an outsized role in the global game industry. It’s the second-largest producer of video games in the world, and the road there is paved with weird little adventure games. Before the industry went global, before AAA games really even existed, French developers were making offbeat, sexy, political games that reflected their own reality.

    Retour sur des jeux français atypiques des années 1980 et 1990.

    #jeu_vidéo #jeux_vidéo #culture #france #french_touch #nostalgie #histoire #jeu_vidéo_la_femme_qui_ne_supportait_pas_les_ordinateurs #chine_lanzmann #jeu_vidéo_la_femma #années_1980 #années_1990 #froggy_software #jean-louis_le_breton #fabrice_gille #jacques_chirac #jeu_vidéo_le_mur_de_berlin_va_sauter #jeu_vidéo_far_cry #mai_1968 #année_1968 #muriel_tramis #aérospatiale #année_1986 #cocktel_vision #jeu_vidéo_la_bosse_des_maths #jeu_vidéo_gobliins #jeu_vidéo_emmanuelle #jeu_vidéo_fascination #full_motion_vidéo #fms #jeu_vidéo_urban_runner #jeu_vidéo_méwilo #jeu_vidéo_freedom #patrick_chamoiseau #année_1902 #année_1988 #ministère_de_la_culture #jeu_vidéo_freedom_rebels_in_the_darkness #martinique #vivendi #année_2003 #avantilles #ubisoft #jeu_vidéo_haven #jeu_vidéo_dordogne

  • Fullbright co-founders Steve Gaynor accused of employee mistreatment - Polygon
    https://www.polygon.com/22610490/fullbright-steve-gaynor-controversy-stepped-down-open-roads

    Fullbright co-founder Steve Gaynor, known for his work on Gone Home and Tacoma, has stepped down from his role as creative lead on Open Roads following multiple allegations regarding his treatment of Fullbright staff.

    On dirait que le scandale d’Activision-Blizzard, ainsi que les précédents abus dans l’industrie du jeu vidéo, permettent aux langues de se délier et témoigner dans la presse des divers abus dont sont victimes les employés du secteur travaillant dans des environnements toxiques qui n’ont pas lieu d’être. Le problème semble être systémique, plutôt que limité à certaines entreprises.

    #jeu_vidéo #jeux_vidéo #fullbright #steve_gaynor #business #ressources_humaines #environnement_toxique #discrimination #misogynie #micromanagement #jeu_vidéo_gone_home #jeu_vidéo_tacoma #jeu_vidéo_open_roads #annapurna_interactive #personal_branding #eréputation #twitter

  • anthologie_du_detournement
    http://www.mozinor.com/anthologie_du_detournement.htm

    Un article « encyclopédique » sur la Classe américaine et plein d’autres détournements

    Et tant qu’on y est, les versions HD disponible en streaming :
    – La classe américaine : https://www.youtube.com/watch?v=AamkpGfocp8


    – Ca Détourne (ou Le Triomphe De Bali Balo ou La Splendeur De La Honte ou L’Invasion Des Pervers Polymorphes) : https://www.youtube.com/watch?v=2yj_CeKopfM

    – Derrick contre Superman : https://www.youtube.com/watch?v=TsfMrVkxGTU

    #détournement #classe_américaine #fullHD #ça_détourne

  • #Burkina_Faso: Residents’ Accounts Point to Mass #Executions | #Human_Rights_Watch

    Identify Remains of 180 Men Found in #Djibo; Prosecute Those Responsible

    (Bamako) – Common graves containing at least 180 bodies have been found in a northern town in Burkina Faso in recent months, and available evidence suggests government security force involvement in mass extrajudicial executions, Human Rights Watch said today. The government should seek assistance from the United Nations and other partners to conduct proper exhumations, return remains to families, and hold those responsible to account.

    Residents of the town of Djibo who saw the bodies told Human Rights Watch that the dead, all men, had between November 2019 and June 2020 been left in groups of from 3 to 20 along major roadways, under bridges, and in fields and vacant lots. With few exceptions, the bodies were found within a 5-kilometer radius of central Djibo.

    Residents buried most in common burials in March and April, while other remains are still unburied. They said they believed the majority of the victims were ethnic #Fulani or #Peuhl men, identified by their clothing and physical features, and that many were found blindfolded and with bound hands, and had been shot. Several residents said that they knew numerous victims, including relatives.

    "The Burkina Faso authorities need to urgently uncover who turned Djibo into a ’killing field’ said #Corinne_Dufka, Sahel director at Human Rights Watch. “Existing information points toward government security forces, so it’s critical to have impartial investigations, evidence properly gathered, and families informed about what happened to their loved ones.”

    Since November, Human Rights Watch has interviewed 23 people by telephone and in person who described seeing the bodies. Several interviewees provided hand-drawn maps of where they found and buried the dead. All believed that government security forces, who control Djibo, had executed the vast majority of the men. However, none had witnessed the killings and Human Rights Watch could not independently verify those claims. Human Rights Watch is analyzing satellite imagery of the locations of common graves in the vicinity.

    On June 28, Human Rights Watch wrote the Burkinabè government detailing the major findings of the research, and on July 3, the Minister of Defense responded on behalf of the government, committing to investigate the allegations and to ensure the respect of human rights in security operations. He said the killings occurred during an uptick in attacks by armed Islamists and suggested they could have been committed by these groups, using stolen army uniforms and logistics, noting it is at times “difficult for the population to distinguish between armed terrorist groups and the Defense and Security Forces.” The minister also confirmed the government’s approval for the establishment of an office in Ouagadogou by the United Nations High Commissioner for Human Rights.

    Beginning in 2016, armed Islamist groups allied with Al-Qaeda or the Islamic State have attacked security force posts and civilians throughout Burkina Faso, but mostly in the Sahel region bordering Mali and Niger. Human Rights Watch has since 2017 documented the killing of several hundred civilians by armed Islamist groups along with their widespread attacks on schools. Human Rights Watch has also documented the unlawful killing of several hundred men, apparently by government security forces, for their alleged support of these groups, including 31 men found executed after the security forces detained them in Djibo on April 9.

    The 23 people interviewed, including farmers, traders, herders, civil servants, community leaders, and aid workers, believed the security forces had detained the men as suspected members or supporters of Islamist armed groups.

    “So many of the dead were blindfolded, had their hands tied up … and were shot in the head,” said a community leader. “The bodies I saw appeared in the morning … dumped at night on the outskirts of Djibo, a town under the control of the army and in the middle of a curfew imposed and patrolled by the army.”

    Some residents said that they found the bodies after hearing the sound of vehicles passing and bursts of gunfire at night. “We’ve grown accustomed to hearing the sound of shots ringing out at night, and later seeing bodies in the bush or along the road,” an elder from Djibo said.

    “At night, so many times I’d hear the sound of vehicles and then, bam! bam! bam!” said a farmer. “And the next morning we’d see or hear of bodies found in this place or that.”At least 114 men were buried in 14 common graves during a mass burial on March 8 and 9 organized by residents with the approval of the military and local authorities. Local residents also buried 18 men, found around March 18 about a kilometer east of Djibo, in a common grave in early April. The bodies of another approximately 40 men, including 20 allegedly discovered in mid-March south of Djibo and another 18 found in May near the airport, had yet to be buried.

    An ethnic dynamic underscores the violence in Burkina Faso. The Islamist armed groups largely recruit from the nomadic Peuhl or Fulani community, and their attacks have primarily targeted agrarian communities including the Mosssi, Foulse, and Gourmantche. The vast majority of men killed by alleged security forces are Peuhl because of their perceived support of the armed Islamists.

    “Djibo reidents should feel protected by, not terrified of, their own army. The government’s failure to make good on promises of accountability for past allegations of security force abuse, including in Djibo, appears to have emboldened the perpetrators,” Dufka said. “The authorities need to put an end to unlawful killings through credible and independent investigations.”

    Bodies Appear in Djibo

    Residents of Djibo said they first started seeing bodies in the more rural, less inhabited parts of the town in November 2019. “Human remains are strewn all over the outer limits of Djibo town … along sides of road, near a pond, by the Djibo dam, near abandoned houses, under a bridge, and in the bush,” one man said.

    “From November 2019, so many bodies started showing up,” another man said. “Five or six here, 10 or 16 there, along the three highways out of town ... to the north, east, and south.”

    Residents said the vast majority of the dead were ethnic Peuhl, identified as such by their clothing, features, and, in about 10 cases, by those who knew individual victims by name.

    The people interviewed were extremely anxious as they spoke with Human Rights Watch and said they feared reprisals from the security forces, who had been implicated in the extrajudicial killing of 31 men in Djibo in April, and other killings there, since 2017.

    The residents did not believe the men were killed in a gun battle. “Yes, Djibo has been attacked and there are jihadists [armed Islamists] not so very far from Djibo,” said a resident who had observed several groups of bodies. “But on the days before seeing bodies, we weren’t aware of any clashes or battles between the jihadists and army in the middle or outskirts of Djibo. Word travels fast and we’d know if this were the case.”

    Another resident, who said he frequently travels from Djibo, said: “Had there been clashes with the terrorists, the public transport would have stopped.… We never would have been able to travel.”

    Nine people identified some of the dead by name, including family members, whom they had either witnessed being detained by the security forces or had been informed by someone else who had seen the men being detained. In each of these incidents, the body they identified had been found with numerous other victims. One man, for instance, recognized “a man named Tamboura from a village further south, who I’d seen arrested in the Djibo cattle market by soldiers some days earlier.” Another recognized a man who worked as a security guard and who had been arrested by soldiers days before his body was found. Others described seeing the bodies of men they had seen being arrested by the authorities at the market, the hospital, during a food distribution, or at the bus station.

    Several residents said they believed many of the unidentified victims had been detained during army operations or were internally displaced villagers who in recent months had settled in and around Djibo after fleeing their home villages. “Djibo isn’t such a but town that we wouldn’t recognize people, which is why we think so many of the dead were displaced,” one resident said.

    Many residents speculated that the army had arrested the displaced people for questioning, fearing infiltration by armed Islamist groups, which had attacked Djibo on several occasions. “The army has really hit the IDPs [internally displaced persons],” a resident said. “They’ve gone for them in the animal market, as they come in to Djibo to buy and sell. After so many major jihadist attacks in Mali and Burkina, they’re really afraid of infiltration.”

    Apparent Extrajudicial Executions

    Residents described seeing groups of bodies near their homes as they grazed their animals or as they walked or drove along the major roads leading out of Djibo.

    Apparent Execution of Five Men on June 13, 2020

    On June 14, several residents described seeing the bodies of five men scattered over a half a kilometer in two of Djibo’s southern neighborhoods, sectors 3 and 8. One of those found, 54-year-old Sadou Hamadoume Dicko, the local chief and municipal councilor of Gomdè Peulh village, had been seen arrested by soldiers the previous day. Residents could not identify the other four bodies.

    A trader described the arrest of Dicko on June 13:

    Being the chief, he’d just finished picking up sacks of rice and millet for his people, now in Djibo after fleeing their village, about 125 kilometers away. Mr. Dicko had in April 2018 been abducted and held for several days by the Jihadists but this time it was the army who took him. At around 11:30 a.m. four men in uniform on motorcycles surrounded him and about six others and took them into an unfinished building for interrogation. Eventually, the soldiers let the others go but left with Mr. Dicko.

    Three residents said they heard gunshots on June 13 and found the bodies of the five men the next day. “The gunshots rang out around 8 p.m. and the next day, June 14, I was called to be told the chief was dead,” one resident said. “It was what we feared. His hands were bound tightly behind his back and he had been shot in the head and chest.”Said another: "The shots rand out a few hours after the 7 p.m. curfew...[L]ater we saw one body to the north, near La Maison de la Femme [Women’s Center], another south near a large well, and three others next to an elevation of sand.” All of the men were buried later the same day.

    Apparent Execution of 18 Men, May 13 and 19, 2020

    Residents described seeing the security forces arrest 17 men near a Djibo market on May 13. The bodies of the 17 were found the next day along a path going through sector 5, also known as Mbodowol. The men had been shot in the head, according to the residents. Another man, with a mental disability, was found around the same place after having been arrested on May 19. At writing, the bodies had not yet been buried.

    Said one resident:

    I was in the market, when at around 10 a.m. I saw two vehicles with about 10 soldiers drive up. I don’t know if they were gendarmes or army. I was too afraid to stare at them, but I saw they were in uniform, with helmets and vests and all held semi-automatic weapons. The 17 men had come from other villages to buy and sell that day. I recognized many of them, who worked as blacksmiths.

    A sector 5 resident who heard gunshots on May 13 and saw the bodies a day later near the Djibo airfield said:

    They were killed as darkness fell. I saw a vehicle from afar, coming from the direction of town. Sometime later we heard shots. Around 15 minutes later the same vehicle returned, this time with the headlamps on. On Thursday, May 14, around 9 a.m. we discovered the bodies – eight on one side close together … their faces covered with their shirts – and around 20 meters away, nine more bodies. They’d been shot in the head. You could see this clearly…and there were bullet casings on the ground. The men looked to be from 25 to 45 [years old.] The body of another man was found in the same place a few days later. That one, I’d seen arrested…he lives near me. He is not normal [has a mental disability] … He was picked up outside his house listening to his radio. There is a curfew and only the army can drive around at night like this.

    Apparent Execution of 18 Men, March 17, 2020

    Residents said that on March 18, they saw 18 bodies about 500 to 700 meters east of Djibo. The bodies were found near several large publicity signs that line the Djibo-Tongomayel road.

    A man who feared his brother was among the dead explained why he believed government security forces were responsible for killing the 18 men:

    On March 17, around 7 a.m., I got a frantic call from the bus station saying my brother and another man had just been arrested by gendarmes as they boarded a bus to Ouagadougou [the capital]. Later that night, around 9 p.m. I heard many gunshots, and thought, oh God, my brother is dead.

    Just after dawn, I went in the direction of the shots and found 18 bodies. Their hands were tied, and they were blindfolded, each shot in the forehead. The blood flowed like a pond. The bodies were all together in a pile. I looked for my brother among the corpses … moving them enough to see if he was there. But he wasn’t. Among the dead, I recognized six men … they’d all been arrested by the FDS [Defense and Security Forces]. One was [name withheld] who had recently had a foot operation and had been arrested in front of many people near the hospital. I recognized his boubou [wide-sleeved robe]; his foot was still bandaged. Five others were traders I myself had seen arrested by the FDS on market day a week prior. As for my brother, he is still missing, even today.

    Apparent Execution of 9 Men, January 15, 2020

    A man who saw nine bodies on the road going east to Tongomayal, including a close relative, on January 16, said:

    I discovered the bodies of nine people some meters off the road, one of whom was my 23-year-old nephew. They’d been arrested the day before. A friend called around 11 a.m. saying there was trouble in the market, that my boy had been arrested. I went to the market immediately and saw all nine, tied up and face down on the ground. Four gendarmes led them into their vehicle and took them away. That night around 8 p.m. I heard shots near the Djibo dam, and in the morning saw them in the bush, hands tied, riddled with bullets … Eight were Peuhl and one was a Bellah. We were too afraid to even bury them … we had to watch my nephew turn into a skeleton. He was not laid to rest until the mass burial in March, with dozens of others, but it was hardly a funeral and my boy was not a jihadist.

    Bodies Found Near Djibo’s Sector 4, November 2019 and January 2020

    Five residents of Djibo’s Sector 4 (also known as Wourossaba and Boguelsawa), south of the town, described seeing three groups of bodies within what they said was a one kilometer radius: a group of 8 bodies and a group of at least 16 bodies in November 2019, and a group of between 16 and 19 bodies around January 8, 2020. The total number of bodies seen largely corresponds to the 43 bodies buried in this sector during the mass burial on March 8 and 9.

    A resident of Sector 4 described the three groups of bodies:

    Many didn’t have shirts, and most were tied — some their eyes, others by the wrist, and they’d been shot. I knew none of them but believe all 43 were prisoners because all three times, I’d heard vehicles coming from the direction of town and saw the headlights … and heard gunshots. It was too far and too dark to see their uniforms but there wasn’t a battle and the jihadists can’t be driving around in a heavy truck that close to Djibo.

    Another resident of Sector 4 described seeing 19 bodies around January 8:

    I saw them around 7 a.m., 19 bodies in a line – all men, save one around 15 years old. The night before, I’d seen lights of a vehicle – it was around 8 p.m. and we were under curfew. Then I heard the shots. The bodies were about one kilometer south of Djibo, and 150 meters west from the highway – many bound at the arms, and with their eyes blindfolded. They’d been shot in the head, others in the chest, others the stomach. We didn’t know any of them, so they just stayed there until the March burial, by that time they were almost skeletons.

    A health worker said that in February on the way to Ouagadougou she saw five bodies from her bus window, about 15 kilometers south of Djibo, near the village of Mentao: “They were 20 meters from the road – the bodies smelled – it seemed they’d been there for a week or so. By their dress, all the men appeared to be Peuhl. When I returned a week later, they were still there.” These bodies were not buried during the March mass burial.

    Burials in March and April 2020

    Djibo residents described an organized mass burial on March 8 and 9 during which at least 114 bodies were collected and buried in 14 common graves.

    Residents who attended the burials said the bodies were in various stages of decomposition. “Some had just been killed, others had started to decompose, and many others were skeletons,” one said.

    “Given how long the bodies had been outside, notably under the hot sun, many were only identifiable by their clothing,” said another.

    Several residents said the dead were left unburied both because the families were either not from Djibo or because they were too frightened to claim the body. “Fear stopped people from burying the dead,” a village elder said. “You need permission from the security forces to bury a body and given the level of tension in Djibo these days, people are just too terrified that if they claim the body of a man accused of being a terrorist, they too will be taken and end up dead.” Many residents described the burials as “a delicate subject” which was not covered by local media. “Fear has kept us from talking much about the mass burials,” a village leader said.

    “The bodies were scattered along and not far from the major roads leading to and from Djibo,” a resident said. “The first day, we worked from 9 a.m. to noon and buried 42 bodies to the south, along the Djibo-Ouagagdougou road. On the second day it was worse … working from 8 a.m. to 12:30 p.m. we buried 72 people, 20 to the north and 52 to the east, along the Djibo-Dori road. Some people gathered the bodies while others dug the graves. The dead were buried in 14 common graves with from 3, 6, 7, up to 23 bodies.”

    They said Djibo residents had obtained permission from both the civilian and military authorities based in Djibo to bury the dead largely because of the potential health and sanitation risk. “We were fearful of epidemics, especially as we approach the rainy season,” a community leader said. “We were overwhelmed seeing the bodies of lifeless people and so we organized ourselves and asked the authorities for permission to bury the dead,” said another.

    Other residents spoke of the mental health impact on the town. “We organized the burial on health grounds but also because of the psychological impact on people, especially children, having to walk by the bodies every day on their way to market or school,” one resident said.

    A herder said: “Imagine what it’s like to see these bodies every day, some eaten by dogs and vultures. It’s not easy living with that terrible reality day after day.”

    Those who observed the mass burials said they were attended by the civilian authorities, who they said helped organize the funeral; the health authorities, who provided masks and sanitizer; and the security forces, which provided security. They said they were “strictly forbidden” from taking photographs of the burials. “No one would dare do that because the FDS was watching,” a resident said.

    A resident who was at the burial said:

    After getting authorization – from the army – and after involving health officers – we spent two days burying the dead who were in groups of 5, 7, 9, 20 – scattered all over. I didn’t recognize any of them, but several of those watching the burial later told me they’d recognized their father, brother, or son … that he’d been missing since being arrested by the soldiers in Djibo or in their village – weeks or months earlier. They didn’t say anything during the burial though … out of fear that they too would be arrested.

    A man who buried 13 of the bodies found in north Djibo, including a family member whom he had last seen in the custody of the security forces in January, said “The road to Tongomayel was full of corpses and remains. Honestly, many were only skeletons … and their bodies had been scattered by animals. We were divided in groups, and went about looking for ribs, body parts.”

    Two people described the burial in early April of the 18 men whose bodies were found on the road to Tongomayel around March 18. The bodies appeared after the security services had allegedly arrested the men. “We dug a large hole, big enough for all of them, and put sand and branches on top of it,” one man said. “The road to Tongomayel is full of bodies … the 52 buried during the mass burial, the 18 from mid-March, and it hasn’t stopped.”

    Bodies Found, Left Unburied

    Three residents described seeing 20 bodies that they said had been left in mid-March about 100 meters from the cemetery in Boguelsawa neighborhood, several kilometers south of Djibo.“Just days after we buried over 100 bodies, we woke up to find another 20 bodies,” a resident said. “It’s like, whoever is doing the killing is mocking us.” They told Human Rights Watch on June 14 that the bodies, now scattered and decomposed, have yet to be buried. “With death all around, we feel like tomorrow could be my turn to die,” a resident wrote.

    Another man said that on June 1, “My nephew came across three dead while gathering wood north of Djibo, including two [ethnic] Bellahs we know well. He was so frightened he ran straight home without the wood.” As of June 30, the 18 dead found near the airport in mid-May had similarly yet to be buried.

    Recommendations

    Residents who spoke with Human Rights Watch were unaware of any judicial investigations into the apparent killings. Some killings allegedly implicating the security forces had occurred after the government’s pledge to fully investigate the apparent execution of 31 men detained by the security forces on April 9, 2020.

    Human Rights Watch urges the Burkina Faso authorities to:

    Promptly and impartially investigate the killings in Djibo since November 2019, and fairly and appropriately prosecute all those responsible for extrajudicial killings and other crimes, including as a matter of command responsibility. Ensure the findings are made public.
    Send the commanders of the two security force bases in Djibo– the gendarmerie and army – on administrative leave, pending outcome of the investigation.
    Invite United Nations or other neutral international forensic experts, including those with experience working before criminal tribunals, to help preserve and analyze evidence in common graves. Exhumations without forensic experts can destroy critical evidence and greatly compromise the identification of bodies.
    Return remains of individuals found to be buried in graves or left unburied to their family members.

    https://www.hrw.org/news/2020/07/08/burkina-faso-residents-accounts-point-mass-executions

  • Les Hommes lents : résister à la modernité de Laurent Vidal et Éloge du retard d’Hélène L’Heuillet
    https://www.franceculture.fr/emissions/avis-critique/les-hommes-lents-resister-a-la-modernite-de-laurent-vidal-et-eloge-du-


    Deux livres qui s’attaquent au mal contemporain, j’ai nommé : l’accélération. Dans Les Hommes Lents : résister à la Modernité, XVe-XXe siècle, publié chez Flammarion, Laurent Vidal propose une histoire peu connue : celle de la lenteur. L’historien montre comment la Modernité s’est construite sur une discrimination, fondée sur la vitesse érigée en vertu sociale. Mais si la lenteur est un vice, attribué plus volontiers aux pauvres, aux indigènes colonisés ou aux migrants… elle peut aussi devenir une arme de subversion dans les mains des dominés. Même objet, autre regard, Hélène L’Heuillet propose dans son dernier essai un Éloge du retard, publié chez Albin Michel. La philosophe se penche sur cette angoisse du retard qui nous hante et nous pousse à chercher toujours plus de précocité dans notre quotidien, notre travail, l’éducation de nos enfants… nous n’avons plus le temps car nous l’avons perdu, ou peut-être tué… au risque de nous perdre nous-mêmes.

    #lenteur #accélération #rapidité #fulgurence

  • [Interview] Tackling Complex Architecture: Do’s and Don’ts
    https://hackernoon.com/interview-tackling-complex-architecture-dos-and-don-ts-d6f8f34d694d?sour

    Image credit: PexelsWhat approach should be used when working on complex architecture? How do you build software that is easy to support and scale, and what are the mistakes to avoid?I had the opportunity to sit down with Sergiy Kukunin, a #full-stack developer at Spotlight Labs with 10+ years of experience, and talk to him about these issues in greater detail.The first question is, what should good software look like?Let’s first decide what the software is, and what it looks like from a non-programmer perspective. We are used to thinking about software as a tool for solving business tasks and problems.Imagine yourself as an entrepreneur who needs to solve such a task. You have two options: choose software that is available right now and will correctly solve your problem, but is entirely (...)

    #software-development #software-architecture #complex-architecture #enterprise-software

  • Best 2019’s Companies To Hire Dedicated Full Stack Developers For Startups & SME’s in India/USA
    https://hackernoon.com/best-2019s-companies-to-hire-dedicated-full-stack-developers-for-startup

    Here is the list of top full stack development companies in India & USA. These best full stack software companies are selected based on Google, Clutch, Glassdoor & Goodfirms review.The emergence of revolutionary technologies are not alien to us, we all have felt and seen its effect on our world. I also have a clear understanding of how these technologies make us advanced in terms of technical facilities and their effects.These digital advancements have made it a mandate for businesses to build smart software solutions in order to keep up the pace. Hence, the demand of #full-stack development companies is increasing.However, finding the right tech partner from a pool of full-stack development companies is quite challenging. In order to facilitate your selection, I have prepared a (...)

    #mobile-apps #web-development #startup #mobile-app-development

  • This is why your startup needs to hire full stack developers
    https://hackernoon.com/this-is-why-your-startup-needs-to-hire-full-stack-developers-dc2ad074c9f

    Every year, we see new technology trends popping up. With it, come new programming languages, frameworks, and other stuff for developers to learn and build upon. So it’s needless to say that finding a full stack #developer, let alone becoming one is more difficult than it has been ever before. But your startup needs them, and here is why.In any software/web/app development process, there are 3 crucial components. The front-end, the back-end, and the database architecture that connects everything. Full stack developers are by definition, those that have proficiency in all three of these and can work independently on any web development project without the need for additional support.If you don’t believe in the hype of full stack developers, then definitely you might consider looking for (...)

    #full-stack-developer #web-development #app-development #software-development

  • Full-stack Engineers Aren’t Myths — They’re Makers
    https://hackernoon.com/full-stack-engineers-arent-myths-they-re-makers-ca3b725d1a46?source=rss-

    Full-stack Engineers Aren’t Myths — They’re MakersIllustration by Hawnuh LeeIn 2018, there were roughly 30% more full-stack engineering roles posted to AngelList than there were front-end or back-end positions. To many in the engineering community, this is a bad thing.Over the last 10 years, think piece after think piece has been published questioning the legitimacy of full-stack engineering roles. The criticism can be bucketed into two claims:Full-stack engineering roles are unrealistic. With how complex the average stack is today, no one could possibly become an expert in every piece of it.Full-stack engineering roles are exploitative. Cash-strapped companies hire full-stack engineers to do the job of multiple engineers for one salary.But does the data support either of these claims?In short: (...)

    #fullstack-engineer-myth #full-stack-engineer #software-development #hackernoon-top-story #startup

  • Full Stack Developers: Everything You Need to Know
    https://hackernoon.com/full-stack-developers-cacbffb6172b?source=rss----3a8144eabfe3---4

    Full stack developers, MEAN stack developers, MERN stack developers, etc. etc. etc.!!! The software development industry is full of these homonyms. Being a Sr. software consultant, I come across some common questions on full stack coders on a day-to-day basis from businesses want to develop their web or mobile apps. Some questions are like:*What are full stack developers? Are they superhumans in the world of coding? :D*What do exactly full stack developers do?*How full-stack programmers and coders are different from normal programmers?*What benefits will I get if I choose full stack coders?*Will I get the same level of coding if I choose a full stack developer, as I will get when I choose a normal?Okay so in this blog, I am going to answer some common queries of businesses related to full (...)

    #full-stack-development #full-stack-programmer #hire-full-stack-developer #full-stack-developer #mean-stack-developer

  • Amazon’s #fba or Self-Fulfilment: Which one’s right for your business?
    https://hackernoon.com/amazons-fba-or-self-fulfilment-which-one-s-right-for-your-business-f4f8a

    Let me tell you a story, a story of two friends Jim and Kim who challenged each other to start their own business individually of selling ‘Laptops’ online.Both Jim and Kim had done their thorough research on ways to sell, where the market reaches more, how to manage their inventory, shipping partners, suppliers etc.So after all this research, as Kim’s family members were into online business, they suggested him to create and start selling on his own’s e-commerce website. Whereas on the other hand, Jim had a little or no idea about how to sell online, so instead of getting along with own online storefront, he was suggested to sell on a marketplace like Amazon.Now, here comes into the picture Amazon’s FBA (Fulfillment by Amazon) and Self-Fulfilment. Jim decided to start his business by (...)

    #self-fulfillment #fba-vs-self-fulfillment #amazon-fba #fulfillment-by-amazon

  • Les miraculés d’Azerailles, unis par la foudre qui ne les a pas tués
    https://www.lemonde.fr/m-actu/article/2018/09/21/les-miracules-d-azerailles-unis-par-la-foudre-qui-ne-les-a-pas-tues-fascinen

    La vingtaine de personnes frappées simultanément par la foudre le 2 septembre 2017 en Meurthe-et-Moselle sont un groupe uni et un échantillon précieux pour la recherche.

    Ce samedi-là, rien n’annonce le drame. L’air est léger et le soleil brille sur Azerailles, village de huit cents habitants en Meurthe-et-Moselle. C’est le week-end du festival de musique Le Vieux Canal. Dans l’après-midi, des amoureux de la nature se sont donné rendez-vous sur un « espace naturel sensible ».

    Au choix, atelier sur les plantes sauvages comestibles sous un petit chapiteau, ou balade contée le long de la Meurthe. Ce 2 septembre 2017, chacun découvre donc cette zone marécageuse avec tritons et azurés des paluds, un papillon dont la chenille se fait passer pour une fourmi afin de mieux squatter les fourmilières. La nature est étonnante. Personne n’imagine encore à quel point.

    « S’IL N’Y A PAS EU DE MACCHABÉE, C’EST PARCE QUE NOUS NOUS SOMMES PARTAGÉ LA DÉCHARGE. » HERBERT ERNST, JOURNALISTE FULGURÉ EN PLEIN REPORTAGE

    Il est un peu moins de 16 heures quand la pluie se met à tomber dru. Tout le monde fonce sous la tente. Un énorme bruit retentit. Un responsable pense à un attentat. Un enfant crie, un autre pleure. Plusieurs personnes tombent à terre, inanimées.

    Au pied d’un aulne, la broussaille prend feu. La foudre vient de tomber. « Francis, c’est la guerre, on a plusieurs blessés », téléphone un pompier du village à son supérieur. Une soixantaine de ses collègues débarquent, ainsi qu’une trentaine de gendarmes. Une zone d’atterrissage pour hélicoptère est même improvisée en cas de besoin.

    Au total, quatorze blessés, dont deux graves, sont évacués vers les hôpitaux de Lunéville, Saint-Dié et Nancy. Les concerts du soir sont annulés. Par un miracle que nul n’explique, la mort, qui faisait ce jour-là plusieurs millions de volts, n’a emporté personne.

    Liés à jamais

    Un an plus tard, les rescapés du 2 septembre forment un groupe unique, fascinant et mystérieux. Ils sont une vingtaine, en comptant ceux qui n’ont pas été hospitalisés. On les appelle des fulgurés. Les foudroyés meurent, les fulgurés survivent.

    Certains souffrent encore de séquelles importantes. D’autres se portent bien. Beaucoup expliquent devoir leur vie à leur nombre. C’est la thèse d’Herbert Ernst, correspondant local de L’Est républicain, fulguré en plein reportage.

    « S’il n’y a pas eu de macchabée, pense-t-il, c’est parce que nous nous sommes partagé la décharge. Cette explication n’est peut-être pas vraie, mais je m’en fiche, c’est notre ciment. Quand on se retrouve, c’est difficile à expliquer, c’est comme faire un plein d’émotion. »

    « JE FAISAIS DES MULTIPLICATIONS DE TROIS CHIFFRES PAR TROIS CHIFFRES, EN MÊME TEMPS JE FREDONNAIS DES AIRS ET PENSAIS À L’ORGANISATION DU QUOTIDIEN. » RAPHAËLLE MANCEAU, FULGURÉE

    En un an, ils se sont réunis trois fois. Liés à jamais, les fulgurés d’Azerailles suscitent aussi un fort intérêt scientifique. Pour la première fois en France, un médecin peut observer sur un large groupe les effets de l’électricité naturelle, mal connus. Dans un contexte de changement climatique et de multiplication des orages, l’enjeu est particulièrement intéressant.

    Solidaires lors de l’impact, plusieurs victimes le sont restées ensuite, comme les deux plus atteintes : Raphaëlle Manceau, 46 ans, et Jocelyne Chapelle, 66 ans, qui ne se connaissaient pas avant l’accident.

    Passionnée de randonnées, Jocelyne Chapelle a cru que la foudre lui avait fait perdre l’usage de ses jambes. Sur le coup, elle a éprouvé une vive douleur dans le dos, s’est figée, puis a perdu connaissance. Elle aurait même été en arrêt cardiaque : un organisateur du festival ne trouvait pas son pouls et lui a fait un rapide massage. Quand elle a repris ses esprits, la sexagénaire ne sentait plus ses jambes.

    En sortant de l’hôpital deux jours plus tard, elle les bougeait mais sans pouvoir les plier. Des mois durant, elle a souffert de crises exténuantes pendant lesquelles son corps était comme secoué par d’intenses décharges électriques.

    Pendant plusieurs semaines après l’accident, Jocelyne Chapelle a cru avoir perdu l’usage de ses jambes. Passionnée de randonnée, elle récupère peu à peu ses capacités.
    Cette retraitée des pompes funèbres de Baccarat s’est alors fixé un défi : marcher coûte que coûte. A force d’entraînements quotidiens, elle y est parvenue en février. Puis en mai, victoire, elle a réalisé sa première randonnée de huit kilomètres.

    Désormais, elle atteint les douze et en vise vingt. « Raphaëlle est venue me voir un mois après le coup de foudre et on s’est beaucoup téléphoné, raconte-t-elle. On s’aidait à supporter les moments difficiles. »

    Capacités cérébrales augmentées

    Un besoin de soutien d’autant plus fort que le manque de reconnaissance est total. Beaucoup de médecins semblent perdus. Son assurance, elle, a refusé de financer une aide à domicile, quand elle ne pouvait plus se déplacer : avoir été fulguré n’est pas un motif valable.

    De son côté, Raphaëlle Manceau n’était guère mieux lotie. Dans sa grande maison de rondins, au milieu des épicéas et des bouleaux, à Saint-Dié, dans les Vosges, elle explique avoir dû changer son rythme de femme suractive.

    Professeure des écoles, elle est en arrêt longue maladie. Elle, ce ne sont pas ses jambes mais son cerveau qui a été touché. Lors du coup de foudre, elle a perdu connaissance. Les semaines suivantes, elle a souffert de forte fatigue et de maux « insupportables » à la tête et aux pieds, zones de passage de la décharge.

    « La foudre est sortie par cinq points sur un pied, et sept sur l’autre, témoigne-t-elle devant un sirop de menthe maison. Ça faisait des taches noires, comme des verrues. » Chose étonnante, elle a bénéficié de capacités augmentées.

    « Je faisais des multiplications de trois chiffres par trois chiffres, en même temps je fredonnais des airs et pensais à l’organisation du quotidien », se souvient-elle. Mais ses « superpouvoirs » ont duré à peine plus d’un mois.

    Elle a également changé de comportement. Déjà très sociable et enjouée, elle abordait des inconnus dans la rue pour un brin de causette, « attirée comme un aimant ». Puis, au bout d’un mois et d’un jour, elle a perdu la parole. Elle ne trouvait plus ses mots, s’exprimait de façon très lente.

    Spécialiste des enfants en difficulté, elle a découvert qu’elle aussi était devenue dysgraphique, dysorthographique, dyspraxique (soucis de coordination)… Elle a alors multiplié les séances de kiné et d’orthophonie puis, au bout de trois mois, a commencé à mieux parler.

    Aujourd’hui, c’est quasiment parfait. Mais, surprise, elle a attrapé l’accent alsacien. Elle a certes habité quelques années de l’autre côté des Vosges, mais certifie que jamais elle ne s’est exprimée ainsi. « Selon l’orthophoniste, ça me permet de faire traîner certaines syllabes et de réfléchir aux mots que je dois utiliser. »

    Elle a beaucoup de mal à apprendre par cœur. En revanche, elle retrouve des souvenirs d’enfance oubliés. Enfin, elle souffre d’acouphènes et de fatigue intense. Parfois, en revenant de courses, elle doit se garer en urgence sur le bord de la route et dort… trois heures. « J’ai fini par accepter de ne plus être tout à fait moi », glisse-t-elle.

    30 000 degrés sur le crâne

    Pendant un an, Raphaëlle Manceau a échangé avec deux autre fulgurés habitant également Saint-Dié, Lilian Gérard et Anne Chrisment. Tous trois étaient déjà amis lors de l’ère pré-électricité. Grand barbu aux yeux verts, Lilian Gérard, 47 ans, est conteur et chanteur.

    C’est lui qui organisait la balade au bord de la Meurthe. Il est aussi un peu le patient zéro, le premier à avoir été touché. Lors du choc, il a senti une pression sur ses épaules, qui l’a poussé à terre. Dans sa jolie ferme vosgienne rénovée, il nous montre le chapeau de cuir pointu qu’il portait ce jour-là.

    Tombée sur la cime de l’arbre, puis sur une barre en aluminium du barnum, la foudre a ensuite percé son couvre-chef humide. La trace est petite comme un trou d’aiguille. Mais sur son crâne, la brûlure était grosse comme une pièce de 2 euros.

    « J’AI DES PEURS, MAIS PAS QUE DE L’ORAGE, DE TOUTES LES SITUATIONS OÙ JE PEUX MOURIR. COMME LE SOLEIL QUI S’ÉCRASE SUR LA TERRE. OU QUELQU’UN QUI RENTRE DANS LA MAISON, CROIT QUE J’AI APPELÉ LA POLICE ET ME TUE. J’Y PENSE TOUS LES SOIRS, AVANT DE DORMIR. » QUENTIN, 9 ANS

    Un coup de foudre, c’est 30 000 degrés. « Ça sentait le cochon grillé, paraît-il », raconte Lilian Gérard. Il poursuit au présent, comme s’il y était encore : « Je ne sais plus qui je suis. Je ne retrouve plus le nom de mes enfants ni de ma compagne, je ne me souviens pas de leur visage, juste de celui de ma mère. Je me dis que si je suis amnésique, j’ai perdu mon métier. Je suis vraiment en panique, mais je ne le montre pas. »

    La mémoire lui est revenue à la caserne des pompiers. Il sentait un courant continu dans sa joue, a souffert de maux de tête et, deux jours durant, d’une arythmie cardiaque. Longtemps, il a été essoufflé et très fatigué : « Je travaillais deux heures et dormais le reste de la journée. »

    Aujourd’hui, surtout par temps chaud, il souffre encore de forts maux de tête et de nausées qui le font dormir trois jours d’affilée, ainsi que de problèmes de concentration. Mais il ne s’attarde pas sur ses symptômes, préfère en rire. Lors des premières retrouvailles des fulgurés en octobre 2017, il a même concocté un spectacle humoristique : Paratonnerre. Sa façon d’exorciser l’accident.

    Stress post-traumatique

    Raphaëlle Manceau a souvent pris des nouvelles de ce voisin troubadour, et réciproquement. Mais c’est avec son amie Anne, plus réservée, qu’elle a partagé « ses hauts et ses bas ». Elles ont même instauré les « mardis papotes ». Anne Chrisment, 47 ans, a juste souffert de fourmillements dans le bras gauche. Pourtant, elle aussi a eu besoin de cette bouée hebdomadaire.

    Car même les moins atteints physiquement n’en sont pas sortis indemnes. Anne Chrisment a tout vu, tout entendu : la détonation, « la boule transparente qui grossissait », son amie à terre… Depuis, elle craint les orages et réfléchit au sens de la vie plus que jamais.

    Cette scientifique venait de suivre une formation en expertise comptable. Le choc l’a poussée à réaliser que ce n’était pas pour elle : « Pas assez humain. » Depuis un an, « pour relativiser », elle fait tous les jours du yoga et de la sophrologie, parfois de la méditation.

    Bien que légèrement blessée, ce « coup de foudre » a déclenché chez Anne Chrisment une prise de conscience : « J’ai arrêté d’être en pilotage automatique. Je me dis : “T’es en vie, profite.” »
    « J’ai arrêté d’être en pilotage automatique, explique-t-elle dans son salon, en resservant du thé vert. Je me dis : “T’es en vie, profite, demain, tu seras peut-être dans une moins bonne posture.” Je peux avoir déclenché des problèmes de santé, sans qu’ils apparaissent encore. » Et voilà, cachée sous le tapis de yoga, l’angoisse malgré tout.

    Elle n’est pas la seule. Dans sa maison d’Azerailles, Jean-Luc Mellé, artisan serrurier, raconte souffrir de problèmes de vue. Mais on le sent nerveux. Il finit par avouer ne plus dormir que cinq heures par nuit.

    Quentin, 9 ans, fait, lui, partie des quatre enfants présents le 2 septembre. Touché à la main et au bras, mais sans séquelles physiques, il confie : « J’ai des peurs, mais pas que de l’orage, de toutes les situations où je peux mourir. Comme le soleil qui s’écrase sur la terre. Ou quelqu’un qui rentre dans la maison, croit que j’ai appelé la police et me tue. J’y pense tous les soirs, avant de dormir. »

    Plusieurs fulgurés souffrent de stress post-traumatique. Sans oublier ceux qui cherchent un sens à l’histoire : pourquoi moi, pourquoi ce sursis, quel est le message ? Consciemment ou non, personne n’échappe à la mythologie de la foudre.

    Cobayes rares

    Angoissés ou sereins, avec ou sans séquelles, toutes les victimes ont accepté de devenir des cobayes, au nom du progrès de la science. Interne en médecine aux urgences d’Aurillac, Rémi Foussat lancera un protocole de recherche d’ici à la fin de l’année. Juste après avoir passé sa thèse sur les troubles neurologiques chez les fulgurés.

    En France, la foudre touche une petite centaine de personnes par an, recensées par le SAMU, et « de 200 à 500 personnes en tout, selon des estimations floues », dit-il. Parmi elles, de 10 % à 15 % décèdent. Avec le chef des urgences d’Aurillac, Laurent Caumon, il compte d’ailleurs créer un réseau régional de recensement des victimes de la foudre.

    Mais les fulgurations collectives, qui permettent de comprendre les variantes entre individus, sont rarissimes. « Les troubles du groupe d’Azerailles sont assez représentatifs, constate l’interne. Ils sont de trois types : transitoires, prolongés et retardés. Ces derniers se déclenchent trois semaines à six mois après l’accident. Au bout d’un an, il y a donc peu de risque que de nouveaux troubles apparaissent. » Anne Chrisment devrait être rassurée.

    « NOUS AVONS UNE CONNAISSANCE NULLE DE LA FAÇON DONT PASSE LE COURANT SUR UN ORGANISME VIVANT. » MARIE-AGNÈS COURTY, GÉOLOGUE AU CNRS

    Il a été bien plus étonné par l’hyperactivité cérébrale de deux victimes, « symptôme très rarement décrit ». Quant à la thèse du partage de la décharge qui aurait sauvé tout le monde, il ne la retient pas : « Trop simpliste, juge-t-il. Le coup de foudre est si puissant que le diviser ne change pas grand-chose. » Mais il n’a pas d’explication.

    Rémi Foussat va traquer chez ces survivants des marqueurs invisibles de la foudre. Il va tenter de déceler dans leur corps des nanocomposites, soit un assemblage de nanoparticules métalliques, végétales ou cristallines. Grâce à cette mise en évidence, il espère mieux comprendre les lésions d’un courant électrique sur les nerfs, afin d’expliquer, entre autres, les troubles retardés.

    En France, la spécialiste du sujet s’appelle Marie-Agnès Courty. Géologue au CNRS à Perpignan, elle a découvert que les nanocomposites permettent de tracer les effets du passage d’un courant électrique sur un organisme vivant, un sol ou tous types de surfaces.

    « Une fulguration entraîne la production considérable de nanocomposites sur le moment et dans les mois qui suivent, expose-t-elle. L’étude de Rémi Foussat représente un enjeu important car nous avons une connaissance nulle de la façon dont passe le courant sur un organisme vivant. »

    Ces recherches en entraîneront d’autres plus larges, espère-t-elle : « Montrer le fort impact de la foudre sur la santé incitera à explorer le lien entre les nanoparticules produites par les décharges électriques dans l’atmosphère et le climat. » Les fulgurés œuvrent donc pour la planète.

    « CELA FAIT TRENTE ANS QUE J’HABITE ICI, J’AI VU LA FOUDRE TOMBER À CET ENDROIT AU MOINS UNE TRENTAINE DE FOIS. » FRANCIS MUNIER, LIEUTENANT POMPIER

    Samedi 8 septembre. Ils sont tous venus à Azerailles, hormis les enfants. Petit discours, déjeuner… La maire, Rose-Marie Falque, dont la voix se casse encore quand elle raconte l’événement, a marqué le coup pour l’anniversaire du drame. Elle sait que les fulgurés n’attendent que ça, pouvoir échanger encore une fois.

    Le ciel est tout bleu. « Comme il y a un an », note Raphaëlle Manceau. De retour pour la première fois au pied de l’arbre, elle avoue ne pas se sentir très à l’aise. A côté d’elle, un couple craque. Carole Gérard et Christian Jeandel se sont vus mourir l’un l’autre, il y a un an.

    « Un petit miracle »

    Nathalie Obrecht, l’animatrice de l’atelier de plantes sauvages comestibles, est présente aussi. « C’est la joubarbe qui protège de la foudre », lance-t-elle. Ça fait un flop. Elle seule a été épargnée par la décharge. A cause de ses pieds plus secs ? Mystère.

    Certains blaguent, l’appellent « la sorcière ». C’est elle qui a décidé de l’emplacement du barnum, « à l’ombre ». Mauvais choix, selon le lieutenant pompier Francis Munier, dont la maison fait face au lieu où se dressait la tente : « Cela fait trente ans que j’habite ici, j’ai vu la foudre tomber à cet endroit au moins une trentaine de fois. »

    Nathalie Obrecht s’est sentie responsable : « Mais personne ne m’en a voulu. C’est la nature, il faut l’accepter, on ne maîtrise pas tout. » L’aventure, elle l’a vécue comme les autres : « Je me sens solidaire du groupe. Ce qui nous lie, c’est un petit miracle. On est comme soudés. » Soudés à vie par quelques millisecondes d’électricité tombée du ciel.

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