• Il nuovo volto del #water_grabbing e la complicità della finanza

    Fondi pensione e società di private equity investono sulla produzione di colture di pregio, dai piccoli frutti alle mandorle, che necessitano abbondanti risorse idriche. Il ruolo del fondo emiratino #Adq che ha acquisito l’italiana #Unifrutti.

    Per osservare più da vicino il nuovo volto del water grabbing bisogna andare nella regione di Olmos, nel Nord del Perù, dove il Public sector pension investment board (Psp), uno dei maggiori gestori di fondi pensionistici canadesi (con un asset di circa 152 miliardi di dollari) ha acquistato nel 2022 un’azienda agricola di 500 ettari specializzata nella coltivazione di mirtilli. Un investimento finalizzato a sfruttare il boom della produzione di questi piccoli frutti, passata secondo le stime della Banca Mondiale dalle 30 tonnellate del 2010 alle oltre 180mila del 2020: quantità che hanno fatto del Paese latino-americano il secondo produttore mondiale dopo gli Stati Uniti.

    Nella regione di Olmos l’avvio di questa coltivazione intensiva è stato reso possibile grazie a un progetto idrico, costato al governo di Lima oltre 180 milioni di dollari, per deviare l’acqua dal fiume Huancabamba verso la costa e migliorare la produzione agricola locale. “Ma il progetto non ha ottenuto i risultati annunciati”, denuncia il report “Squeezing communities dry” pubblicato a metà settembre 2023 da Grain, una Ong che lavora per sostenere i piccoli agricoltori nella loro lotta per la difesa dei sistemi alimentari controllati dalle comunità e basati sulla biodiversità. Chi ha realmente beneficiato del progetto, infatti, sono state le grandi realtà agroindustriali. “Quasi tutta l’acqua convogliata dalle Ande va alle aziende di recente costituzione che producono avocado, mirtilli e altre colture che vengono vendute a prezzi elevati all’estero -continua Grain-. Il progetto, finanziato con fondi pubblici, ha avuto pochi benefici per la popolazione ma ha creato una fonte di profitti per le aziende che hanno accesso libero e gratuito all’acqua e i loro investitori”.

    I protagonisti di questa nuova forma di water grabbing sono fondi pensione, società di private equity e altri operatori finanziari che si stanno muovendo in modo sempre più aggressivo per garantirsi le abbondanti risorse idriche necessarie alla produzione di colture di pregio. A differenza del passato, però, non cercano più di acquisire enormi superfici di terre coltivabili.

    “L’accesso all’acqua è sempre stato un fattore cruciale -spiega ad Altreconomia Delvin Kuyek, ricercatore di Grain e autore dello studio-. Ma negli ultimi anni abbiamo osservato un nuovo modello: investimenti in colture come mirtilli, avocado o mandorle che richiedono meno terra rispetto al grano o alla soia, ma quantità molto maggiori di acqua. A guidare l’investimento, in questo caso, è proprio la possibilità di accedere ad abbondanti risorse idriche per mettere sul mercato prodotti che permettano di generare un ritorno economico importante”. Una forma di sfruttamento che Grain paragona all’estrazione di petrolio: si pompa acqua da fiumi o falde fino all’esaurimento, senza preoccuparsi degli impatti sull’ambiente o dei bisogni della popolazione locale. Gli operatori finanziari, infatti, non prevedono di sviluppare attività produttive sul lungo periodo ma puntano a ritorno sui loro investimenti entro 10-15 anni. Un’altra caratteristica di questi accordi, è che tendono a realizzarsi in località in cui l’acqua è già scarsa o in via di esaurimento.

    Negli ultimi anni il fondo pensionistico canadese ha acquistato direttamente o investito in società che gestiscono piantagioni di mandorle in California, di noci in Australia e California. Mentre in Spagna, attraverso la controllata Hortifruit, è diventato uno dei principali produttori di mirtilli nella regione di Huelva (nel Sud-Ovest del Paese) dove si concentra anche la quasi totalità della coltivazione di fragole spagnole, destinata per l’80% all’export.

    In Perù nel 2020 sono stati prodotte 180mila tonnellate di mirtilli. Numeri che fanno del Paese latinoamericano il secondo produttore mondiale dopo gli Stati Uniti. Nel 2010 erano solo 30

    Tutto questo sta avendo effetti devastanti sulle falde che alimentavano le zone umide della vicina riserva di Doñana, ricchissimo di biodiversità e patrimonio Unesco: un riconoscimento oggi messo a rischio proprio dall’eccessivo sfruttamento idrico. Lo studio “Thirty-four years of Landsat monitoring reveal long-term effects of groundwater abstractions on a World heritage site wetland” pubblicato ad aprile 2023 sulla rivista Science of the total environment, evidenzia come tra il 1985 e il 2018 il 59,2% della rete di stagni sia andata perduta a causa delle attività umane. “Il problema è collegato anche alla produzione di frutti rossi che ha iniziato a diffondersi a partire dagli anni Ottanta, grazie alla presenza di condizioni climatiche ottimali e a un suolo sabbioso”, spiega ad Altreconomia Felipe Fuentelsaz del Wwf Spagna. Ma la crescita del comparto ha portato a uno sfruttamento eccessivo delle falde, da cui viene prelevata troppa acqua rispetto al tempo che necessitano per rigenerarsi. L’organizzazione stima che nel corso degli anni siano stati scavati più di mille pozzi illegali: “L’80% dei produttori rispetta le norme per l’utilizzo delle risorse idriche, ma il restante 20%, che equivale a circa duemila ettari di terreno, pompa acqua senza averne diritto”, puntualizza Fuentelsaz.

    Questa nuova forma di water grabbing interessa diversi Paesi: dal Marocco (dove il settore agro-industriale pesa per l’85% sul consumo idrico nazionale) al Messico dove è attiva la società di gestione Renewable resources group. Secondo quanto ricostruito da Grain, nel 2018 ha acquisito centomila ettari di terreni agricoli in Messico, Stati Uniti, Cile e Argentina, nonché diritti idrici privati negli Stati Uniti, in Cile e in Australia, generando rendimenti annuali superiori al 20% per i suoi investitori, che comprendono fondi pensione, di private equity e compagnie di assicurazione.

    Tra le società indicate nel report di Grain figura anche Adq, il fondo sovrano degli Emirati Arabi Uniti, che negli ultimi anni ha effettuato importanti investimenti nel comparto agro-alimentare: attraverso la sua controllata Al Dahra ha acquistato terreni in Egitto, Sudan e Romania. Nel 2020 ha acquisito il 45% di Louis Dreyfus Company, una delle quattro principali aziende che controllano il mercato globale del commercio agricolo. E nel 2022 ha comprato la quota di maggioranza di Unifrutti group, società italiana specializzata nella produzione e nella commercializzazione di frutta fresca con oltre 14mila ettari di terreni tra Cile, Turchia, Filippine, Ecuador, Argentina, Sudafrica e Italia.

    Unifrutti group ha sede fiscale a Cipro, uno dei Paesi dell’Unione europea a fiscalità agevolata che garantiscono vantaggi alle società che vi hanno sede. Ma a sfruttare i benefici sono anche oligarchi russi colpiti dalle sanzioni dopo l’annessione russa della Crimea nel 2014 e inasprite a seguito dell’invasione dell’Ucraina nel febbraio 2022. A rivelarlo l’inchiesta “Cyprus confidential” pubblicata a novembre dal Consorzio internazionale di giornalisti investigativi (Icij)

    “Questi investimenti hanno un doppio obiettivo -spiega ad Altreconomia Christian Henderson, esperto di investimenti agricoli nel Golfo e docente presso l’Università di Leiden nei Paesi Bassi- da un lato, sono orientate a trarre profitto dal commercio internazionale e dalle materie prime. In secondo luogo, si preoccupano di garantire la sicurezza alimentare. Queste due logiche in qualche modo sono intrecciate tra loro, in modo da rendere la sicurezza alimentare redditizia per gli Emirati Arabi Uniti. C’è poi un altro elemento: penso che i Paesi del Golfo siano piuttosto preoccupati dal fatto di essere visti come ‘accaparratori’ di terra. In questo modo, invece, possono affermare di aver effettuato un semplice investimento sul mercato”.

    Fondata dall’imprenditore Guido De Nadai nel 1948 ad Asmara come compagnia di import/export di frutta e verdura, oggi Unifrutti group è una realtà globale “che produce in quattro diversi continenti e distribuisce in oltre 50 Paesi” si legge sul sito. Trecento tipologie di prodotti commercializzati, 14mila ettari di terreni (di proprietà o in gestione) e 12mila dipendenti sono solo alcuni numeri di una realtà che ha ancora la propria sede principale a Montecorsaro, in provincia di Macerata, dove si trova il domicilio fiscale di Unifrutti distribution spa. La società è controllata da Unifrutti international holdings limited, con sede fiscale a Cipro, Paese a fiscalità agevolata. Con l’ingresso di Adq come socio di maggioranza sono cambiati anche i vertici societari: il 13 novembre 2023, ha assunto l’incarico di amministratore delegato del gruppo Mohamed Elsarky che ha alle spalle una carriera ventennale come Ceo per società del calibro di Kellog’s Australia e Nuova Zelanda e Godiva chocolatier e come presidente di United biscuits del gruppo Danone. Mentre Gil Adotevi, chief executive officer per il settore “Food and agriculture” del fondo emiratino Adq, ricopre il ruolo di presidente del consiglio di amministrazione: “Mentre il Gruppo si avvia verso un nuovo entusiasmante capitolo di crescita -ha dichiarato- siamo certi che la guida e la leadership di Mohamed porteranno l’azienda a realizzare i suoi ambiziosi piani”.

    Nel 2021 il gruppo ha commercializzato circa 620mila tonnellate di prodotti (in primo luogo banane, uva, mele, pere, limoni e arance) registrando un fatturato complessivo di 720 milioni di dollari (in crescita del 2% rispetto al 2020) e un margine operativo lordo di 78 milioni. Una performance estremamente positiva che “si è verificata nonostante le numerose sfide che hanno caratterizzato il perimetro operativo del gruppo a partire dalle condizioni climatiche avverse senza precedenti in Cile e in Italia”. Il Paese latino-americano -principale sito produttivo del gruppo, con oltre seimila ettari di terreno dove si producono mele, uva, pere e ciliegie- è stato infatti colpito per il quarto anno di fila da una gravissima siccità che alla fine del 2021 ha visto 19 milioni di persone vivere in aree caratterizzate da “grave scarsità d’acqua”. Come ricorda Grain nel report “Squeezing communities dry” tutte le regioni cilene specializzate nella produzione di frutta “stanno affrontando una crisi idrica aggravata dalla siccità causata dal cambiamento climatico”.

    https://altreconomia.it/il-nuovo-volto-del-water-grabbing-e-la-complicita-della-finanza
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  • « Ces choses fonctionnent. Vous n’avez plus besoin d’un homme ». Enquête sur les tendances et le marché des #sex-toys parue dans NRC (grand quotidien national aux Pays-Bas)

    Où l’on apprend que 20 % des Néerlandais achètent chaque mois un produit érotique...

    À part ça, ils ont la retraite à 67 ans...

    Le 15 septembre 1995, Het Parool titrait : « Les vibrateurs se vendent bien ». Les #sex-shops et les sociétés de vente par correspondance néerlandaises ont vendu « un demi-million de vibrateurs » cette année-là, soit une augmentation de 25 % en deux ans. « Le #vibrateur a disparu du coin maudit du catalogue de vente par correspondance », écrivait le journal. Entre-temps, l’utilisation des vibrateurs est devenue de plus en plus normalisée. On peut acheter ces #jouets_sexuels dans les pharmacies, et les accrocher comme des ornements dans le sapin de Noël. En 2027, les ventes de vibromasseurs dans le monde devraient représenter un chiffre d’affaires de 24 milliards d’euros.

    [...] Dodson prêchait la liberté, non seulement la liberté de se masturber, mais aussi la liberté de le faire avec un vibrateur. Elle avait elle-même découvert le #vibromasseur idéal dans le Hitachi Magic Wand, qui était vendu comme un masseur de dos. Lors des ateliers de #masturbation qu’elle donnait dans son appartement, elle le distribuait aux participants pour qu’ils s’entraînent avec. Ce « vibromasseur » ne pénètre pas, le clitoris est stimulé. C’est plus logique, car trois quarts des femmes ne jouissent pas par la seule pénétration. La #stimulation du #clitoris est donc essentielle pour de nombreuses femmes - le vibromasseur en forme de pénis est basé sur « l’idée que se fait un homme de ce que veulent les femmes », selon M. Dodson.

    Mais il a fallu attendre les années 1980 pour que le #plaisir_sexuel des femmes et le vibromasseur deviennent un véritable enjeu de société. La révolution sexuelle des années 1960 avait apporté aux femmes la pilule et d’autres contraceptifs, mais si elles avaient plusieurs partenaires au lit, elles étaient considérées comme des « salopes ». Les femmes en tant qu’êtres sexuels sont toujours réprimées.

    Cela a changé avec l’arrivée du magnétoscope (et du porno), le sexe entrant désormais dans le salon. Le tabou sur le sexe, la sexualité et la masturbation a également été brisé dans la culture populaire. Lorsque la série populaire Sex and the City (1998-2004), qui tourne autour de la #sexualité_féminine, a donné au « Lapin » un rôle de premier plan, ces vibrateurs ont été difficiles à trouver pendant un certain temps. « C’est rose - pour les filles ! », dit le personnage principal Charlotte à propos du vibrateur à oreilles de lapin qui stimule le clitoris. Elle devient accro à l’appareil et ne veut plus quitter son appartement. « C’est révélateur de l’époque », écrit Lieberman dans son livre. « C’était une mise en garde, un avertissement. C’est amusant, un vibromasseur, mais faites attention. En vain, d’ailleurs, les femmes en voulaient quand même un. »

    Le Lapin, la Balle et, bien sûr, le Tarzan. Il y a encore quelques années, la plupart des vibromasseurs étaient basés sur l’idée de pénétration (et de gros !). Et d’ailleurs, tous les vibromasseurs, y compris les vibromasseurs centrés sur le clitoris comme la baguette magique, étaient équipés d’une fonction de vibration motorisée. Mais plus maintenant.

    [...] Le fossé de l’#orgasme

    « La dernière grande révolution dans les vibromasseurs est assez récente », explique Lieberman. « Le #vibrateur_à_pression_d'air de Womanizer, lancé en 2014, était révolutionnaire. Soudain, il y avait une entreprise qui disait : nous n’avons besoin de stimuler que le clitoris pour que les femmes atteignent l’orgasme, laissez le reste de côté. » Ce sont ces vibromasseurs à air comprimé qui sont désormais les plus achetés. Bien qu’aux Pays-Bas, ce ne soit pas le Womanizer mais le #Satisfyer, moins cher, qui se porte bien. Depuis peu, celui-ci n’est pas seulement disponible en ligne ou dans des magasins spécifiques ; on le trouve également dans les rayons de Hema.

    Ce n’est que ces dernières années que l’attention portée à la sexualité féminine a vraiment augmenté. Depuis l’année dernière, le clitoris complet est représenté dans les manuels de biologie néerlandais (bien que, contrairement au pénis, il ne soit pas encore en état d’excitation). Netflix a réalisé The Principles of Pleasure, une série sur le #plaisir_féminin et l’écart toujours croissant entre les orgasmes. Un écart plus important que l’écart salarial, selon une étude de 2017 : pendant un rapport sexuel, 95 % des hommes hétérosexuels (américains) ont un orgasme, alors que chez les femmes hétérosexuelles (américaines), ils sont 65 %. [...]

    Qu’est-ce qui vibre encore dans le vibrateur moderne ? Principalement l’air qui l’entoure. Et où doit-il aller ? Nulle part ! Pas de pénétration : les vibrateurs à pression d’air sont à la mode - et comme la chaîne de pharmacies Kruidvat a fait la publicité du Satisfyer avec le slogan « Sinterklaas n’est pas le seul à venir cette année », et que ce #sex-toy se trouve même dans les rayons de l’Hema, presque tous les Pays-Bas sont au courant. Ces choses fonctionnent. « Vous n’avez plus besoin d’un homme », a écrit un site web de bien-être pour les femmes à propos de cet appareil étanche doté de « capacités de succion high-tech ».

    Mais le Satisfyer n’est ni le premier ni le seul vibrateur à pression d’air, apprend-on dans l’un des plus grands showrooms de jouets sexuels d’Europe : celui de Shots, à Beneden-Leeuwen, juste au sud de la rivière Waal. [...]

    JEU SEXUEL
    D’après une enquête réalisée par EasyToys auprès de 1 000 Néerlandais, 44 % d’entre eux déclarent posséder un ou plusieurs jouets sexuels. Parmi eux, 18 % en possèdent un, 19 % deux ou trois et 7 % quatre ou plus. Le vibrateur externe, par exemple pour la stimulation du clitoris, est particulièrement populaire. 20 % des personnes interrogées ont déclaré en avoir un ou plusieurs à la maison. 15 % ont un #godemiché à la maison.

    POPULAIRE
    Sur bol.com, en tête de liste des vibromasseurs les plus vendus figure le Satisfyer Pro 2, qui est désormais également vendu par Hema et Kruidvat. Ce dernier a provoqué une émeute à la Saint-Nicolas dernière en raison d’un panneau d’affichage piquant dans le magasin de Leiden. Le Satisfyer figure également en bonne place sur la liste de la boutique en ligne EasyToys. Le fait qu’il s’agisse d’un jouet sexuel populaire est démontré par les produits dérivés fabriqués pour le « Sattie », des boules de Noël aux boucles d’oreilles.

    PRODUIT ÉROTIQUE
    Une étude réalisée par Newslab pour le compte du prestataire de services financiers Klarna montre que 20 % des Néerlandais achètent chaque mois un produit érotique, du préservatif au vibromasseur. C’est plus que la moyenne internationale. Autour de la Saint-Valentin 2021, le produit le plus vendu était le Satisfyer, l’année suivante, remarquablement, un nouveau chargeur pour ce même sex toy. Les commandes les plus nombreuses provenaient de Zélande (270 % de plus que la moyenne nationale), les moins nombreuses de Flevoland (79 % de moins que la moyenne nationale).

    UN MARCHÉ EN PLEINE CROISSANCE
    À l’échelle mondiale, l’industrie des jouets sexuels est un marché en croissance, selon les chiffres du cabinet d’études de marché Grand View Research. En 2021, le chiffre d’affaires estimé du marché s’élève encore à près de 28 milliards d’euros. Les ventes devraient croître de 8,4 % par an jusqu’en 2030.

  • Boris Johnson compares Ukrainian resistance to invasion to UK vote for Brexit | The Independent
    https://www.independent.co.uk/news/uk/politics/boris-johnson-ukraine-russia-brexit-b2039615.html

    Boris Johnson has compared Ukrainian resistance to Russia to Britain voting to leave the European Union, in highly controversial comments at the Conservative spring conference.

    The prime minister also became the latest in a string of ministers to suggest that the seriousness of the situation in Ukraine should bring a halt to debates in Britain over supposedly “#woke” issues like preferred pronouns and the removal of statues linked to slavery. (...)

    “Now is the time to end the culture of self-doubt, the constant self-questioning and introspection, the ludicrous debates about language, statues and pronouns.

    (...) Brexit minister Jacob Rees-Mogg said the Ukraine crisis was “a reminder that the world is serious, and that there are serious things to be discussed and serious and difficult decisions for politicians to take, whether this is about reopening and having new licences for oil wells in the North Sea, or whether it is about getting away from the wokery that has beset huge sections of society”.

    Conservatives should refuse to adopt “socialist” language like saying “chair” instead of “chairman” and go back to saying Peking rather than Beijing, said Rees-Mogg (...)

    “We should be robust about how we use language. If we just cede the ground, then wokery advances.

    Comme le dit un certain Mike #Godwin :

    Drawing Bayesian inferences after extensive sampling, I’ve determined that it’s 99-percent certain that anyone who uses “woke” as pejorative will turn out to be a fuckhead. Please don’t blame me for pointing this out—it’s just science.

    https://twitter.com/sfmnemonic/status/1504687870006620163

  • #Police attitude, 60 ans de #maintien_de_l'ordre - Documentaire

    Ce film part d´un moment historique : en 2018-2019, après des affrontements violents entre forces de l´ordre et manifestants, pour la première fois la conception du maintien de l´ordre a fait l´objet de très fortes critiques et d´interrogations insistantes : quelle conception du maintien de l´ordre entraîne des blessures aussi mutilante ? N´y a t-il pas d´autres manières de faire ? Est-ce digne d´un État démocratique ? Et comment font les autres ? Pour répondre à ces questions, nous sommes revenus en arrière, traversant la question du maintien de l´ordre en contexte de manifestation depuis les années 60. Pas seulement en France, mais aussi chez nos voisins allemands et britanniques, qui depuis les années 2000 ont sérieusement repensé leur doctrine du maintien de l´ordre. Pendant ce temps, dans notre pays les autorités politiques et les forces de l´ordre, partageant la même confiance dans l´excellence d´un maintien de l´ordre « à la française » et dans le bien-fondé de l´armement qui lui est lié, ne jugeaient pas nécessaire de repenser la doctrine. Pire, ce faisant c´est la prétendue « doctrine » elle-même qui se voyait de plus en plus contredite par la réalité d´un maintien de l´ordre musclé qui devenait la seule réponse française aux nouveaux contestataires - lesquels certes ne rechignent pas devant la violence, et c´est le défi nouveau qui se pose au maintien de l´ordre. Que nous apprend in fine cette traversée de l´Histoire ? Les approches alternatives du maintien de l´ordre préférées chez nos voisins anglo-saxons ne sont sans doute pas infaillibles, mais elles ont le mérite de dessiner un horizon du maintien de l´ordre centré sur un rapport pacifié aux citoyens quand nous continuons, nous, à privilégier l´ordre et la Loi, quitte à admettre une quantité non négligeable de #violence.

    https://www.dailymotion.com/video/x7xhmcw


    #France #violences_policières
    #film #film_documentaire #Stéphane_Roché #histoire #morts_de_Charonne #Charonne #répression #mai_68 #matraque #contact #blessures #fractures #armes #CRS #haie_d'honneur #sang #fonction_républicaine #Maurice_Grimaud #déontologie #équilibre #fermeté #affrontements #surenchère #désescalade_de_la_violence #retenue #force #ajustement_de_la_force #guerilla_urbaine #CNEFG #Saint-Astier #professionnalisation #contact_direct #doctrine #maintien_de_l'ordre_à_la_française #unités_spécialisées #gendarmes_mobiles #proportionnalité #maintien_à_distance #distance #Allemagne #Royaume-Uni #policing_by_consent #UK #Angleterre #Allemagne #police_militarisée #Irlande_du_Nord #Baton_rounds #armes #armes_à_feu #brigades_anti-émeutes #morts #décès #manifestations #contestation #voltigeurs_motoportés #rapidité #23_mars_1979 #escalade #usage_proportionné_de_la_force #Brokdorf #liberté_de_manifester #innovations_techniques #voltigeurs #soulèvement_de_la_jeunesse #Malik_Oussekine #acharnement #communication #premier_mai_révolutionnaire #Berlin #1er_mai_révolutionnaire #confrontation_violente #doctrine_de_la_désescalade #émeutes #G8 #Gênes #Good_practice_for_dialogue_and_communication (#godiac) #projet_Godiac #renseignement #état_d'urgence #BAC #brigades_anti-criminalité #2005 #émeutes_urbaines #régime_de_l'émeute #banlieue #LBD #flashball #lanceur_de_balles_à_distance #LBD_40 #neutralisation #mutilations #grenades #grenade_offensive #barrage_de_Sivens #Sivens #Rémi_Fraisse #grenade_lacrymogène_instantanée #cortège_de_tête #black_bloc #black_blocs #gilets_jaunes #insurrection #détachement_d'action_rapide (#DAR) #réactivité #mobilité #gestion_de_foule #glissement #Brigades_de_répression_des_actions_violentes_motorisées (#BRAV-M) #foule #contrôle_de_la_foule #respect_de_la_loi #hantise_de_l'insurrection #adaptation #doctrine #guerre_civile #défiance #démocratie #forces_de_l'ordre #crise_politique

  • Corona Chroniques, #Jour23 - davduf.net
    http://www.davduf.net/corona-chroniques-jour23

    Le vieil homme est une icône, au sens religieux et informatique, une pop star déchue, mais mondiale, et chacun lui offre des cœurs colorés qui montent au ciel, des pokes et des vas-y, et des questions qu’il esquive soigneusement. Au Japon, il a ses fans : un commentaire sur deux est indéchiffrable, venu de loin. Grand-père répète : « Le #virus est une communication : comme ce qu’on est en train de faire… dont on ne va pas mourir, mais peut-être qu’on n’arrive pas à bien en vivre. » Et le voila, en grande forme, qui glisse sur son terrain de jeu : la théorie de l’information, celle qui fait qu’on est venu l’écouter, 90 minutes, où, enfin, on s’accorde voyage dans la pensée et répit depuis son canapé. LCI, dit-il, c’est une fois le matin, une fois le soir, et c’est assez, trop de langage et pas assez de parole, trop de rhétorique et pas assez de vrai, même les courbes de morts de la télévision sonnent faux : « le #Capitalisme, c’est la croissance ; l’#information, aussi, veut toujours aller de l’avant. Elle ne veut pas penser en arrière ».

    À la fin de l’Insta conversation, tout le monde se remercie, on a même droit à un bonus, live, on voit un bout de son bureau, au sol, des tas de photos, des bouts de scénario. Un commentaire clignote : « Thank God, you can’t affect Jean-Luc #Godard »

  • #Crises sociales, crises démocratiques, crise du #néolibéralisme
    21 OCTOBRE 2019
    PAR #ROMARIC #GODIN

    Les tensions sociales dans le monde ont un point commun : le rejet des #inégalités et de la perte de contrôle démocratique. Le moteur de la #contestation pourrait bien être la perte de pertinence face aux défis actuels du néolibéralisme, qui aggrave sa propre #crise et ouvre la porte à l’affrontement.

    Les militaires dans les rues de Santiago du #Chili, la place Urquinaona de #Barcelone en flammes, des barricades qui hérissent les rues de #Beyrouth… Pendant que la France politique et médiatique se passionne pour un voile, le monde semble s’embraser. Car ces scènes d’#émeutes violentes qui ont marqué les derniers jours ne sont pas isolées. Elles viennent après des scènes similaires en #Équateur, en #Haïti (où le soulèvement populaire se poursuit), en #Irak, en #Égypte, en #Indonésie, à #Hong_Kong, en #Colombie… Sans compter les mouvements moins récents au Zimbabwe, au Nicaragua, en Roumanie et en Serbie durant l’hiver dernier ou, bien sûr, le mouvement des #gilets_jaunes en France.

    Évidemment, il est possible de ne voir dans tous ces événements que des mouvements locaux répondant à des cas précis : la pauvreté endémique en Haïti, la persistance du militarisme de la droite chilienne, la dollarisation partielle ou totale des économies équatorienne et libanaise, le refus de l’#Espagne de reconnaître l’existence d’une « question catalane » ou encore l’aspiration démocratique de Hong Kong. Toutes ces explications sont justes. Mais sont-elles suffisantes ? Les mouvements sociaux ou démocratiques locaux ont toujours existé, mais qu’on le veuille ou non, la particularité du moment est bien qu’ils surgissent au même moment. Immanquablement, cet aspect contemporain des #révoltes sur les cinq continents amène à penser qu’il existe bien un lien entre elles.

    Le néolibéralisme veut vivre et aggrave sa propre crise

    Ce lien pourrait bien se trouver dans la grande crise dans laquelle le monde est entré en 2007-2008. Au-delà de ce qu’en retiennent la plupart des observateurs, le « grand krach » qui a suivi la faillite de Lehman Brothers le 15 septembre 2008, cette crise est bien plus profonde et elle s’est poursuivie jusqu’à nos jours. Car ce n’est pas une simple crise financière ou économique, c’est la crise d’un mode de gestion du capitalisme, le néolibéralisme, qui se fonde sur la mise au service du capital de l’État, la financiarisation de l’économie et la marchandisation de la société.

    Comme celle des années 1930 ou 1970, la crise actuelle remet en cause profondément le fonctionnement contemporain du capitalisme. Ces crises sont souvent longues et accompagnées de périodes de troubles. Comme l’a montré l’historien Adam Tooze dans Le Déluge (Les Belles Lettres, 2015), la crise de 1929 n’est pas le début d’une perturbation du capitalisme, laquelle a commencé pendant la Première Guerre mondiale et n’a réellement trouvé son issue qu’après cette Grande Guerre. Quant au néolibéralisme, il ne s’est imposé que dans les années 1990, vingt ans après le début de la crise de l’ancien paradigme.

    Aujourd’hui encore, la crise est longue et s’approfondit à mesure que le néolibéralisme se débat pour ne pas mourir. Or en voulant survivre, il pousse le monde dans l’abîme. Car, certes, le néolibéralisme a survécu au choc de 2008 et il a même pu revenir après 2010 pour proposer comme solutions au monde l’austérité budgétaire et les « réformes structurelles » visant à détruire les protections des travailleurs et des plus fragiles. Mais en cherchant à rester dominant, le néolibéralisme a encore approfondi sa propre crise.

    Le premier salut de ce système économique mondial a été en effet une fuite en avant dans la croissance menée principalement par un régime chinois soucieux de continuer à alimenter la demande occidentale, dont vit son système économique. Et cette fuite en avant s’est traduite par une surproduction industrielle inouïe qui n’est pas pour rien dans la dégradation brutale de la situation climatique actuelle. Quelques chiffres le prouveront aisément. La Chine produit en deux ans plus d’acier que le Royaume-Uni, qui fut longtemps le premier producteur mondial, en 150 ans et plus de ciment que les États-Unis au cours de tout le XXe siècle. Cette stratégie a échoué. Elle a conduit à un ajustement de l’économie chinoise qui a frappé directement ses fournisseurs émergents, du Brésil à l’Argentine en passant par l’Équateur et le Venezuela. Tous ont vu disparaître la manne des matières premières et ont dû ajuster leurs politiques.

    L’autre moteur de la sauvegarde du néolibéralisme a été la politique monétaire conçue comme un moyen d’éviter toute relance budgétaire dans les pays occidentaux, mais qui, en réalité, n’est parvenue à sauver que le secteur financier et les grands groupes multinationaux. Ce plan de sauvetage du néolibéralisme a profondément échoué. La croissance mondiale n’a pas redécollé et la productivité est au plus bas malgré la « révolution technologique ». Le secteur privé investit trop peu et souvent mal. Depuis quelques mois, l’économie mondiale est entrée dans une phase de nouveau ralentissement.

    Dans ces conditions, l’application continuelle des réformes néolibérales pour sauvegarder les marges des entreprises et les revenus des plus riches a eu également un effet aggravant. On l’a vu : les profits sont mal ou peu investis, la productivité ne cesse de ralentir et la richesse à partager est donc moins abondante. Mais puisque, pour réagir à ce ralentissement, on donne encore la priorité aux riches et aux entreprises, donc à ceux qui investissent mal ou peu, alors les inégalités se creusent encore plus. Dans cette logique, dès qu’un ajustement doit avoir lieu, on réclame aux plus modestes une part d’effort plus importante : par une taxe proportionnelle comme celle sur les appels Whatsapp au Liban, par la fin des subventions pour les carburants en Équateur ou en Haïti ou encore par la hausse du prix des transports publics au Chili. Toutes ces mesures touchent de plein fouet les besoins des populations pour travailler et générer des revenus.

    Quand bien même le différentiel de croissance rapprocherait les économies émergentes de celles de pays dits plus avancés et ainsi réduirait les inégalités au niveau mondial, dans tous les pays, les inégalités nationales se creusent plus que jamais. C’était le constat que faisait l’économiste Branko Milanović dans Inégalités Mondiales (2016, traduit par La Découverte en 2018) qui y voyait un retour de la question des classes sociales. C’est donc bien à un retour de la lutte de classes que l’on assiste au niveau mondial.

    Longtemps, on a pensé que la critique du néolibéralisme était un « privilège de riches », réservée aux pays les plus avancés qui ne connaissaient pas les bienfaits de ce système. D’une certaine façon, la hausse des inégalités était le prix à payer pour le développement. Et il fallait l’accepter au nom de ces populations que l’on sortait de la misère. Mais ce discours ne peut plus fonctionner désormais et c’est la nouveauté de la situation actuelle. La contestation atteint les pays émergents. Le coup d’envoi avait été donné dès 2013 au Brésil, juste après le retournement du marché des matières premières, avec un mouvement social inédit contre les mesures de Dilma Rousseff prévoyant une hausse du prix des transports publics. Désormais, la vague s’intensifie et touche des pays qui, comme le Chili, ont longtemps été présentés par les institutions internationales comme des exemples de réussite et de stabilité.

    Dans ces pays émergents, le ressort du néolibéralisme s’est aussi brisé. Son besoin de croissance et de concurrence le mène dans l’impasse : alors que la croissance est moins forte, la réalité des inégalités apparaît tandis que les hausses passées du niveau de vie font perdre de la compétitivité dans un contexte de ralentissement du commerce mondial. Le mirage d’un rattrapage des niveaux de vie avec les pays les plus avancés, la grande promesse néolibérale, disparaît avec les mesures déjà citées. Aucune solution n’est proposée à ces populations autre qu’une nouvelle paupérisation.

    Le retour de la question sociale

    Mais le néolibéralisme n’en a que faire. Enfermé dans sa logique de croissance extractiviste et comptable, il s’accroche à ses fantômes : la « théorie du ruissellement », la courbe de Laffer ou encore le « théorème de Coase » voulant que les questions de justice distributive doivent être séparées de la réalité économique. Il le fait grâce à un autre de ses traits saillants : « l’encadrement » de la démocratie. « L’économique » ne saurait relever du choix démocratique, il doit donc être préservé des « affects » de la foule ou, pour reprendre le mot devenu célèbre d’Emmanuel Macron, de ses « passions tristes ». Mais cet enfermement est de moins en moins possible alors que les inégalités se creusent et que la crise climatique s’exacerbe. Après cinq décennies de démocratie encadrée, les populations réclament que l’on prenne en compte leurs urgences et non plus celles des « marchés » ou des « investisseurs ».

    La crise actuelle du néolibéralisme a donc trois faces : une crise écologique, une crise sociale et une crise démocratique. Le système économique actuel est incapable de répondre à ce qui devient trois exigences profondes. Face à l’urgence écologique, il propose de répondre par les marchés et la répression fiscale de la consommation des plus faibles. Face à l’urgence sociale et démocratique, la réponse est l’indifférence. Car en réalité, répondre à ces demandes supposerait un changement profond de paradigme économique.

    Investir pour le climat supposerait ainsi de réorienter entièrement les investissements et de ne plus fonder l’économie uniquement sur une croissance tirée par les bulles immobilières et financières. Cela supposerait donc une remise à plat complète du système de création monétaire, ce qui est en germe dans le Green New Deal proposé aux États-Unis et qui effraie tant les économistes néolibéraux. Car, dès lors, la transition climatique ne se fera plus contre les classes sociales fragilisées mais avec elles. En assurant une redistribution massive des ressources au détriment des plus riches, on donnera ainsi aux classes les plus modestes les moyens de vivre mieux sans détruire la planète. Enfin, une association plus étroite des populations aux décisions permettrait de contrôler que ces dernières ne se font pas pour l’avantage des plus riches et du capital, mais bien de l’intérêt commun. Or, c’est précisément ce que le néolibéralisme a toujours rejeté : cette capacité de la démocratie à « changer la donne » économique. Précisément ce dont le monde a besoin aujourd’hui.

    Autrement dit : ces trois urgences et ces trois exigences sont profondément liées. Reposer la question sociale, c’est nécessairement aujourd’hui poser une question démocratique et écologique. Mais comme ce changement est profondément rejeté par le néolibéralisme et les États qui sont acquis à sa logique, il ne reste alors que la rue pour exprimer son besoin. C’est ce qui est sur le point de se cristalliser aujourd’hui. Selon les régions, les priorités peuvent être différentes, mais c’est bien un même système qui est remis en cause, ce néolibéralisme global. Au reste, tous les mouvements connaissent une évolution où la question démocratique et sociale se retrouve, parfois avec des préoccupations écologiques conscientes. Partout, donc, la contestation est profonde et touche au système économique, social et politique.

    Dans une vidéo diffusée sur les réseaux sociaux samedi 19 octobre, on voit des policiers espagnols frappant les manifestants indépendantistes catalans dans les rues de Barcelone. Sur le mur, un graffiti en catalan se détache : « aço és llutta de classe », « ceci est une lutte de classe ». Derrière la question nationale catalane s’est toujours placée la revendication d’une société plus juste et redistributive. Lorsque frappe la répression, cette réalité reprend le dessus. La volonté de reprendre le contrôle démocratique en Catalogne traduit aussi des priorités sociales et écologiques (un des condamnés par la justice espagnol, Raül Romeva, a été un élu écologiste avant de rejoindre le mouvement indépendantiste).

    En France, le mouvement des gilets jaunes ne s’est pas arrêté à une simple « jacquerie fiscale » et la fin de la hausse de la taxe carbone n’a pas mis fin au mouvement. Ce dernier a remis en cause la pratique démocratique du pays et la politique anti-redistributive du gouvernement et le mouvement a même rejoint les mouvements écologistes, comme l’a montré l’occupation d’Italie 2 début octobre. Les angoisses de « fin du mois » et de « fin du monde » commencent à converger. En Équateur, la situation est assez comparable : la lutte contre la fin des subventions à l’essence a permis de mettre en avant l’ampleur des inégalités touchant les populations autochtones, lesquelles sont depuis des années en révolte contre la logique extractiviste de gouvernements à la recherche de dollars.

    Au Liban, où sept personnes détiennent l’équivalent d’un quart du PIB, le rejet du plan de « réformes » prévoyant taxes pour les plus pauvres et privatisations s’est aussi accompagné d’un rejet du gouvernement qui, pourtant, regroupe l’essentiel des partis du pays. Ce lien entre mouvement social et démocratisation est également évident au Chili. À Hong Kong, la contestation démocratique contre un régime chinois qui cherche à tout prix à cacher la crise de son modèle économique a pris un tournant social évident.

    Cette crise n’est qu’un début. Rien ne permet d’espérer que cette crise néolibérale se règle rapidement, bien au contraire. Aux pressions sociales vont s’ajouter les catastrophes climatiques à répétition, comme celles qu’ont connues les Caraïbes depuis quelques années, qui ne feront que dégrader les conditions sociales. Surtout, les États semblent incapables de trouver d’autres solutions que celles issues du bréviaire néolibéral. Certes, en Équateur ou au Liban, les manifestants ont obtenu satisfaction avec le retrait des projets contestés. Au Liban, une mesure redistributive, une taxe sur les bénéfices bancaires a même été accordée. Mais ces victoires sont fragiles et, comme on l’a vu, elles n’épuisent ni les problèmes sous-jacents, ni les revendications démocratiques.

    Confronté à ce conflit permanent et à la contestation de son efficacité, le néolibéralisme pourrait alors se durcir et se réfugier derrière la « violence légitime » de l’État pour survivre. Comme Emmanuel Macron en France qui justifie toutes les violences policières, Pedro Sánchez en Espagne, qui n’a visité que des policiers blessés à Barcelone ce 21 octobre ou Sebastián Piñera, le président chilien invité du G7 de Biarritz en septembre, qui a fait ses annonces sous le regard de militaires comme jadis Augusto Pinochet… Ce dernier a ouvertement déclaré : « Nous sommes en guerre », à propos des manifestants. La guerre sociale devient donc mondiale et elle implique le néolibéralisme et ses défenseurs contre ses opposants.

    Devant la violence de cette guerre et l’incapacité des gouvernants à dépasser le néolibéralisme, on assisterait alors à une convergence du néolibéralisme, autrement dit de la défense étatique des intérêts du capital, avec les mouvements néofascistes et nationalistes, comme cela est le cas depuis longtemps déjà dans les anciens pays de l’Est ou, plus récemment, dans les pays anglophones, mais aussi désormais en Inde et en Chine. Le besoin de stabilité dont le capital a si impérieusement besoin ne pourrait alors être acquis que par une « militarisation » de la société qui accompagnerait sa marchandisation. Le néolibéralisme a prouvé qu’il n’était pas incompatible avec cette évolution : son laboratoire a été… le Chili de Pinochet, un pays alors verrouillé pour les libertés, mais fort ouvert aux capitaux étrangers. Ce retour de l’histoire pourrait être un présage sinistre qui appelle désormais à une réflexion urgente sur la construction d’une alternative sociale, écologique et démocratique.

    https://www.mediapart.fr/journal/international/211019/crises-sociales-crises-democratiques-crise-du-neoliberalisme?onglet=full

  • L’attraction mexicaine

    Joani Hocquenghem

    https://lavoiedujaguar.net/L-attraction-mexicaine

    L’attraction mexicaine, l’incroyable Mexique, l’envers de la conquête : l’hospitalité hallucinée de l’empereur Moctezuma attribuant à l’émigrant le rang d’un dieu, elle n’apparaît pas à l’école.

    Cependant que Cortès et ses successeurs ratiboisent rapidement les Indes occidentales — on a quatorze ans et c’est le programme d’histoire au lycée —, en classe de français, le nouveau monde apparaît sur la route où Montaigne méditatif chemine vers Rouen, sous la forme d’un groupe de sauvages qui vont voir le roi Charles IX — ces émigrants-ci sont des échantillons exotiques, des roitelets de la France antarctique, comme on a appelé l’Amazonie. Montaigne note fiévreusement leur premier interview, leurs impressions de voyage, ce que nous leur inspirons, ce qu’ils nous inspirent : « ... quelqu’un en demanda leur avis, et voulut savoir d’eux ce qu’ils y avaient trouvé de plus admirable, ils répondirent trois choses, d’où j’ai perdu la troisième et en suis bien marri ; mais j’en ai encore deux en mémoire... »

    La première était que les Suisses de la garde, grands et forts, obéissent à un roi enfant au lieu qu’on choisisse entre eux le souverain, et la deuxième qu’il y ait chez nous des gens « gorgés de toutes sortes de commodités » sans que leurs « moitiés » (ainsi nomment-ils leur semblables) qui mendient à leur porte « ne les prissent à la gorge ou missent le feu à leurs maisons ». (...)

    #Mexique #Montaigne #Hugo #1968 #Artaud #Álvarez_Bravo #Diego_Rivera #Trotski #André_Breton #Godard #Clastres #Lowry #Traven #Chiapas #zapatisme

  • Pourquoi Macron abuse des références à la Seconde Guerre mondiale
    https://www.mediapart.fr/journal/france/190519/pourquoi-macron-abuse-des-references-la-seconde-guerre-mondiale

    Depuis la campagne présidentielle, et plus encore depuis le début du mouvement des « gilets jaunes », le chef de l’État et des membres de son gouvernement multiplient les parallèles douteux. Un procédé communément appelé « loi de Godwin », qui relève en creux la faiblesse de certains discours politiques.

    #EXÉCUTIF #Godwin,_gilets_jaunes,_seconde_guerre_mondiale,_Histoire,_exécutif,_élections_européennes,_Emmanuel_Macron,_A_la_Une

  • Why Everyone Working On A Product Needs To Be Aware Of The Voice Of The Customer
    https://hackernoon.com/why-everyone-working-on-a-product-needs-to-be-aware-of-the-voice-of-the-

    Nichole Elizabeth DeMeré B2B #saas Consultant (right) and Poornima Vijayashanker, Founder of Femgineer (left)Interview with Nichole Elizabeth DeMeré B2B SaaS ConsultantI am the self-appointed family travel agent. Though if you ask my partner and the rest of my family members they’d agree that I am the best person for the job.Why?Because over the years I have become adept at making sure I don’t overlook the details when planning a vacation — you know where the devil hides! And who wants the devil to turn up on their vacation?!Unless of course, it’s a blue devil ;) #marchmadness #godukeI take the time to read through ALL the descriptions and fine print, talk to customer support agents to find out if there are any additional fees, and make sure that family members who have accessibility needs like (...)

    #customer-engagement #customer-service #customer-experience #customer-success

  • When the glory of God returned – Forthright Magazine
    http://forthright.net/2019/04/02/glory-god-returned

    God’s glory would remain in his house through many difficult days. But a time came when no repentance was forthcoming, and a cleansing needed to occur. The last resort, a carrying away of the people into captivity, had already begun. Soon the house would be toppled by foreign invaders.

    #glory #Bible #God

  • His name is awe-inspiring : Psalm 111.9 | Fellowship Room
    http://fellowshiproom.com/his-name-is-awe-inspiring-psalm-111-9

    This acrostic wisdom psalm acknowledges the greatness of God’s good deeds, as well as his precepts, v. 7, which should be “faithfully and properly carried out” v. 8b NET. Redemption is in his covenant. All this makes his name inspire deepest respect by those who study and treasure his works, v. 2b.

    #VOTD #Bible #God