• I dati che raccontano la guerra ai soccorsi nell’anno nero della strage di Cutro

    Nel 2023 le autorità italiane hanno classificato come operazioni di polizia e non Sar oltre mille sbarchi, per un totale di quasi 40mila persone, un quarto degli arrivi via mare. Dati inediti del Viminale descrivono la “strategia” contro le Ong e l’intento di creare l’emergenza a Lampedusa concentrando lì oltre i due terzi degli approdi.

    Nell’anno della strage di Cutro (26 febbraio 2023) le autorità italiane hanno classificato come operazioni di polizia oltre 1.000 sbarchi, per un totale di quasi 40mila persone, poco più di un quarto di tutti gli arrivi via mare. Questo nonostante gli effetti funesti che la confusione tra “law enforcement” e ricerca e soccorso ha prodotto proprio in occasione del naufragio di fine febbraio dell’anno scorso a pochi metri dalle coste calabresi, quando morirono più di 90 persone, e sulla quale sta indagando la Procura di Crotone.

    Quello degli eventi strumentalmente classificati come di natura poliziesca in luogo del soccorso, anche dopo i fatti di Cutro, è solo uno dei dati attraverso i quali si può leggere come è andata lo scorso anno nel Mediterraneo. È possibile farlo dopo aver ottenuto dati inediti dal ministero dell’Interno, che rispetto al passato ha fortemente ridotto qualità e quantità degli elementi pubblicati nel cruscotto statistico giornaliero e nella sua rielaborazione di fine anno.

    Prima però partiamo dai dati noti. Nel 2023 sono sbarcate sulle coste italiane 157.651 persone (il Viminale talvolta ne riporta 157.652, ma la sostanza è identica). Il dato è il più alto dal 2017 ma inferiore al 2016, quando furono 181.436. Le prime cinque nazionalità dichiarate al momento dello sbarco, che rappresentano quasi il 50% degli arrivi, sono di cittadini della Guinea, Tunisia, Costa d’Avorio, Bangladesh, Egitto. I minori soli sono stati 17.319.

    E qui veniamo ai dati che ci ha trasmesso il Viminale a seguito di un’istanza di accesso civico generalizzato. La stragrande maggioranza delle persone sbarcate è partita nel 2023 dalla Tunisia: oltre 97mila persone sulle 157mila totali. Segue a distanza la Libia, con 52mila partenze, quasi doppiata, e poi più dietro la Turchia (7.150), Algeria, Libano e finanche Cipro.

    Come mostrano le elaborazioni grafiche dei dati governativi, ci sono stati mesi in cui dalla Tunisia sono sbarcate anche oltre 20mila persone. Una tendenza che ha conosciuto una brusca interruzione a partire dal mese di ottobre 2023, quando gli sbarchi in quota Tunisia, al netto delle condizioni meteo marine, sono crollati a poco meno di 1.900, attestandosi poco sotto i 5mila nei due mesi successivi.

    Tradotto: l’ultimo trimestre dello scorso anno ha visto una forte diminuzione degli sbarchi provenienti dalla Tunisia, Paese con il quale Unione europea e Italia hanno stretto il “solito” accordo che prevede soldi e forniture in cambio di “contrasto ai flussi”, ovvero contrasto ai diritti umani. È lo schema libico, con le differenze del caso. Il ministro Matteo Piantedosi il 31 dicembre 2023, intervistato da La Stampa, ha rivendicato la bontà della strategia parlando di “121.883 persone” (dando l’idea di un conteggio analitico e quotidiano) “bloccate” grazie alla “collaborazione con le autorità tunisine e libiche”.

    Un altro dato utilissimo per capire come “funziona” la macchina mediatica della presunta “emergenza immigrazione” è quello dei porti di sbarco. Il primo e incontrastato porto sul quale lo scorso anno è stata scaricata la stragrande maggioranza degli sbarchi è Lampedusa, con quasi 110mila arrivi (di cui “solo” 7.400 autonomi) contro i 5.500 di Augusta, Roccella Jonica, i 4.800 di Pantelleria e i 3.800 di Catania. In passato non è sempre stato così. Ma Lampedusa è troppo importante per due ragioni: dare in pasto all’opinione pubblica l’idea di una situazione esplosiva e ingestibile, bloccando i trasferimenti verso la terraferma (vedasi l’estate 2023), e contemporaneamente convogliare quanti più richiedenti asilo potenziali possibile nella macchina del trattenimento dell’hotspot.

    Benché in Italia si sia convinti che a soccorrere le persone in mare siano solo le acerrime nemiche Ong, i dati, ancora una volta, confermano il loro ruolo ridotto a marginale dopo anni di campagne diffamatorie, criminalizzazione penale e vera e propria persecuzione amministrativa. Nel 2023, infatti, gli assetti delle Organizzazioni non governative hanno salvato e sbarcato in Italia neanche 9mila persone. Poco più del 5% del totale. Anche nei mesi più intensi degli arrivi la quota delle Ong è stata limitata.

    Come noto, le poche navi umanitarie intervenute sono state deliberatamente indirizzate verso porti lontani. Il primo per numero di persone sbarcate è stato Brindisi (quasi 1.400 sbarcati su 9mila), ovvero 285 miglia in più rispetto al Sud-Ovest della Sicilia. Segue Lampedusa con 980, vero, ma poi ci sono Carrara (535 miglia di distanza in più dalla Sicilia), Trapani, Salerno, Bari, Civitavecchia, Ortona.

    Non è facile dire quanti giorni di navigazione in più questa “strategia” brutale abbia esattamente determinato. Un esperto operatore di ricerca e soccorso in mare aiuta a fare due conti a spanne: “Le navi normalmente viaggiano a meno di dieci nodi, calcolando una velocità di sette nodi andare a Brindisi implica circa 41 ore in più rispetto ai porti più vicini del Sud della Sicilia, come ad esempio Pozzallo. E per arrivare a Pozzallo dalla cosiddetta ‘SAR 1’, a Ovest di Tripoli, partendo da una distanza dalla costa libica di circa 35 miglia, tra Zuara e Zawiya, ci vogliono circa 24 ore”.

    Una recente analisi di Sos Humanity -ripresa dal Guardian a metà febbraio- ha stimato che questo modus operandi delle autorità italiane possa aver complessivamente fatto perdere alle navi delle Ong 374 giorni di operatività. Nell’anno in cui sono morte annegate ufficialmente almeno 2.500 persone e intercettate dalle milizie libiche e riportate indietro, sempre ufficialmente, quasi 17.200 (con l’ancora una volta dimostrata complicità dell’Agenzia europea Frontex). Ma sono tempi così oscuri che ostacolare le “ambulanze” è divenuto un vanto.

    https://altreconomia.it/i-dati-che-raccontano-la-guerra-ai-soccorsi-nellanno-nero-della-strage-

    #statistiques #débarquement #Italie #migrations #réfugiés #chiffres #sauvetage #ONG #SAR #search-and-rescue #Méditerranée #Lampedusa #law_enforcement #2023 #Tunisie #Libye #externalisation #accord #urgence #hotspot

  • Heating people, not spaces

    These days, we provide thermal comfort in winter by heating the entire air volume in a room or building, an approach that consumes a lot of fossil fuels. In this series of articles, LOW←TECH MAGAZINE focuses on our forebear’s concept of heating, which was more localized. They used radiant heat sources that warmed only certain parts of a room, creating micro-climates of comfort, and they used personal heating sources that warmed specific body parts. It would make a lot of sense to restore this old way of warming, especially since newer technology has made it much more practical, safe, and efficient. By placing heating technology in a historical context, LOW←TECH MAGAZINE challenges the high-tech approach to sustainability and highlights the possibilities of alternative solutions.

    Contents table:
    Restoring the Old Way of Warming: Heating People, not Spaces
    Insulation: First the Body, then the Home
    The Revenge of the Hot Water Bottle
    Energy Labels Oblige Frugal Homeowners to Make Unsustainable Investments
    How to Keep Warm in a Cool House
    Sunbathing in the Living Room: Tile Stoves and Other Radiant Heating Systems
    Heat Storage Hypocausts: Air Heating in the Middle Ages
    The Revenge of the Circulating Fan

    https://www.lulu.com/shop/kris-de-decker/heating-people-not-spaces/paperback/product-zm52en6.html

    #chauffer_le_corps_et_pas_l'espace #heating_people_not_space #espace #chauffage #corps #law_tech #livre #bouillotte #chauffer #efficacité

    C’est mon crédo depuis l’année passée : #laine et bouillotte...

    • #Roberto_Mozzachiodi, UK

      SOLIDARITY WITH ROBERTO MOZZACHIODI

      After years of unparalleled academic and political work at Goldsmiths, our colleague, friend, teacher, caseworker, union branch co-Secretary #Roberto_Mozzachiodi has been put through an unfair employment process, and as a result no longer holds a substantive teaching position at the College. Roberto’s case reflects the working conditions of hundreds of staff at Goldsmiths, and thousands of staff employed on precarious, fixed-term, temporary contracts across British Higher Education. It also reflects the risks that come with openly committing to collective, ground-up solidarity that challenges the principles of how university work is organised, and reimagines union work accordingly.

      Roberto has been a leading figure in the fight against casualisation at Goldsmiths, and has been at the heart of campaigns that have radically transformed our place of work and study. He was core in the Goldsmiths #Justice_for_Cleaners and Goldsmiths #Justice_for_Workers movements that brought cleaning and security staff in-house, and core in the fight to extend basic rights to casualised workers at Goldsmiths at the height of the pandemic. He has supported countless staff and students through the grinding labour of union casework, and has worked tirelessly on strengthening and transforming the Goldsmiths branch of UCU through a radical commitment to anti-casualisation, anti-racism, and anti-factionalism, often fighting and organising for the rights of others in far more secure positions.

      Roberto’s specific case mirrors that of thousands across the country employed on temporary, fixed-term, and casualised contracts. Roberto was denied his redundancy-related employment rights when his contract came to an end. This involved, amongst other things, not being consulted on suitable alternative employment, including a permanent position very similar to the role he had been performing on a fixed-term basis over three terms. This amounts to a denial of casualised workers’ employment rights, and is something that is commonplace at Goldsmiths, and across the sector.

      As signatories of this letter, we call on Goldsmiths to act on the unjust treatment of Roberto. We also urge all at Goldsmiths and beyond to actively resist and challenge the endemic nature of precarious work in university life - at all times and at all scales, as Roberto has always done.

      Signed,

      Alice Elliot, Lecturer, Goldsmiths University of London
      Victoria Chwa, President, Goldsmiths Students’ Union
      Alicia Suriel Melchor, Operations Assistant, Forensic Architecture / Goldsmiths.
      Vicky Blake, UCU NEC, former president & Uni of Leeds UCU officer, former Chair of UCU Anti-Casualisation Committee
      Cecilia Wee, Associate Lecturer, Royal College of Art & co-Chair/co-Equalities RCA UCU branch
      Joe Newman, Lecturer, Goldsmiths, University of London
      James Eastwood, Co-Chair, Queen Mary UCU
      S Joss, HW UCU Branch President
      Rehana Zaman, Lecturer Art Department, Goldsmiths University of London
      Marina Baldissera Pacchetti, anti-cas officer, Leeds UCU
      Sam Morecroft, USIC UCU Branch President and UCU Anti Casualisation Committee
      Kyran Joughin, Anti-Casualisation Officer, UCU London Region Executive Committee, UCU NEC Member, former Branch Secretary, UCU-UAL
      Rhian Elinor Keyse, Postdoctoral Research Fellow; Birkbeck UCU Branch Secretary; UCU Anti-Casualisation Committee; UCU NEC
      Joanne Tatham, Reader, Royal College of Art and RCA UCU branch committee member, London
      Bianca Griffani, PhD candidate, Goldsmiths University of London, London
      Paola Debellis, PhD student, Goldsmiths, University of London.
      Ashok Kumar, Senior Lecturer, Birkbeck, University of London
      Chrys Papaioannou, Birkbeck UCU
      Fergal Hanna, PhD Student, University of Cambridge, UCU Anti-Casualisation Committee and Cambridge UCU Executive Committee member
      Robert Deakin, Research Assistant, Goldsmiths, University of London
      Grace Tillyard, ESRC postdoctoral fellow, MCCS Goldsmiths
      Yari Lanci, Associate Lecturer, Goldsmiths University of London.
      Caleb Day, Postgraduate researcher, Foundation tutor and UCU Anti-Casualisation Officer, Durham University
      Rachel Wilson, PhD Candidate, Goldsmiths University of London
      Sean Wallis, Branch President, UCL UCU, and NEC member
      Yaiza Hernández Velázquez, Lecturer, Visual Cultures, Goldsmiths.
      Akanksha Mehta, Lecturer, Goldsmiths, University of London
      Cathy Nugent, PhD Candidate, Goldsmiths, University of London
      Janna Graham, Lecturer Visual Cultures, Goldsmiths
      Isobel Harbison, Art Department, Goldsmiths
      Susan Kelly, Art Department, Goldsmiths
      Jessa Mockridge, Library, Goldsmiths
      Vincent Møystad, Associate Lecturer, MCCS, Goldsmiths
      Dhanveer Singh Brar, Lecturer, School of History, University of Leeds
      James Burton, Senior Lecturer, MCCS, Goldsmiths
      Louis Moreno, Lecturer, Goldsmiths
      Jennifer Warren, Visiting Lecturer, Goldsmiths MCCS
      Anthony Faramelli, Lecturer, Visual Cultures, Goldsmiths, University of London
      Billy Godfrey, Doctoral Researcher, Loughborough University; GTA, University of Manchester
      Fabiana Palladino, Associate Lecturer, Goldsmiths, University of London
      Morgan Rhys Powell, Doctoral Researcher and GTA; University of Manchester
      Tom Cowin, Anti-Casualisation Officer, Sussex UCU
      Conrad Moriarty-Cole, Lecturer, University of Brighton, and former PhD student at Goldsmiths College
      Marina Vishmidt, MCCS Lecturer, Goldsmiths University of London
      George Briley, Universities of London Branch Secretary, IWGB
      Callum Cant, Postdoctoral Researcher, Oxford Internet Institute
      Daniel C. Blight, Lecturer, University of Brighton
      Marion Lieutaud, Postdoctoral Research Fellow, LSE UCU anti-casualisation co-officer, London School of Economics
      Lukas Slothuus, LSE Fellow, LSE UCU anti-casualisation co-officer, London School of Economics
      Matthew Lee, UCL Unison Steward & IWGB Universities of London Representative
      Jamie Woodcock, University of Essex
      Dylan Carver, Anti-Casualisation Officer, University of Oxford
      Annie Goh, Lecturer, LCC UAL
      George Mather, PGR Anti-Casualisation Officer, University of Oxford
      Zara Dinnen, Branch co-chair QMUCU
      Henry Chango Lopez - IWGB Union, General Secretary
      Rhiannon Lockley - Branch Chair Birmingham City University UCU; UCU NEC
      Sol Gamsu, Branch President, Durham University UCU
      Ben Ralph, Branch President, University of Bath UCU
      Myka Tucker-Abramson, University of Warwick UCU
      Lisa Tilley, SOAS UCU
      James Brackley, Lecturer in Accounting, University of Sheffield
      Alex Fairfax-Cholmeley, Communications Officer, Uni of Exeter UCU
      Ioana Cerasella Chis, University of Birmingham (incoming branch officer)
      Muireann Crowley, University of Edinburgh, UCU Edinburgh
      Jonny Jones, associate lecturer, UCL
      Danai Avgeri, University of Cambridge, postdoctoral fellow
      Stefano Cremonesi, Durham University UCU
      Jordan Osserman, Lecturer, Essex UCU Member Secretary
      Danny Millum, Librarian, Sussex UCU Exec Member
      Sanaz Raji, ISRF Fellow, Northumbria University, Founder & Caseworker, Unis Resist Border Controls (URBC)
      Alex Brent, GMB South London Universities Branch Secretary
      Gareth Spencer, PCS Culture Group President
      Floyd Codlin, Environmental & Ethics Officer, Birkbeck
      Clare Qualmann, Associate Professor, University of East London and UCU branch treasurer, UEL
      Kevin Biderman, Brighton UCU anti-casualisation officer
      David Morris, CSM / University of the Arts London UCU
      Ryan Burns, Brighton UCU Secretary
      Julie canavan Brighton UCU
      Charlotte Terrell, Postdoc, Oxford UCU
      Clara Paillard, Unite the Union, former President of PCS Union Culture Group
      Jasmine Lota, PCS British Museum United Branch Secretary
      Joe Hayns, RHUL.
      Adam Barr, Birkbeck Unison
      Dario Carugo, Associate Professor, University of Oxford
      Jacob Gracie, KCL Fair Pay for GTAs
      Rahul Patel, UCU London Region Executive and Joint Sec University of the Arts London UCU
      Billy Woods, Essex UCU
      Lucy Mercer, Postdoctoral Research Fellow, University of Exeter
      Goldsmiths Anti-Racist Action (GARA)
      Saumya Ranjan Nath, University of Sussex
      Islam al Khatib, 22/23 Welfare and Liberation Officer, Goldsmiths SU
      Mijke van der Drift, Tutor, Royal College of Art
      Marini Thorne, PHD student and teaching assistant, Columbia University and member of Student Workers of Columbia
      Genevieve Smart, PhD student, Birkbeck
      Francesco Pontarelli, Postdoctoral fellow, University of Johannesburg
      Gloria Lawton, Outreach Homeless Worker, HARP and undergraduate Birkbeck University.
      Grant Buttars, UCU Scotland Vice President
      Goldsmiths Community Solidarity
      Nicola Pratt, Professor, University of Warwick
      Robert Stearn, Postdoctoral Research Associate, Birkbeck, University of London
      Jake Arnfield, UVW Union
      Jarrah O’Neill, Cambridge UCU
      Owen Miller, Lecturer, SOAS
      Marissa Begonia, Director, The Voice of Domestic Workers
      Neda Genova, Research Fellow, University of Warwick
      Joey Whitfield, Cardiff University UCU
      Leila Mimmack, Equity Young Members Councillor
      Ross Gibson, University of Strathclyde
      Phill Wilson-Perkin, co-chair Bectu Art Technicians, London
      Isabelle Tarran, Campaigns and Activities Officer, Goldsmiths Students Union
      Leila Prasad, lecturer, Goldsmiths
      Malcolm James, University of Sussex
      Natalia Cecire, University of Sussex
      Daniel Molto, University of Sussex
      Emma Harrison, University of Sussex
      Margherita Huntley, University of the Arts London (Camberwell UCU)
      Gavin Schwartz-Leeper, Warwick University UCU Co-Chair
      Mary Wrenn, University of the West of England
      Aska Welford (United Voices of the World)
      855 Unterschriften:Nächstes Ziel: 1.000

      https://www.change.org/p/solidarity-with-roberto-mozzachiodi?recruiter=false

      #petition #UK #Goldsmiths #precarity #union_work #British_Higher_Education #fixed_term #UCU

    • #Maria_Toft, Denmark

      In #Denmark #scientists are rolling out a nationwide #petition for a commission to investigate #research_freedom

      –> https://seenthis.net/messages/1009865

      PhD student at the Department of Political Science #Maria_Toft, in addition to the mentioned petition, also started a campaign under the hashtag #pleasedontstealmywork to stop the theft of research.

      –> https://seenthis.net/messages/1009866

      The national conversation about exploitation with #pleasedontstealmywork campaign was at the cost of #Maria_Tofts Copenhagen fellowship.

      –> https://www.timeshighereducation.com/news/campaigning-doctoral-candidate-resigns-hostile-environment (access if registered)

      This article assesses the #working_conditions of #precariat_researchers in #Denmark.

      –> https://seenthis.net/messages/1009867

      Twitter link: https://twitter.com/GirrKatja/status/1640636016330432512

    • #Heike_Egner, Austria

      Unterstütze #Heike_Egner für Grundrechte von Profs

      https://youtu.be/6w-deHpsmr4

      Ich sammle Spenden für eine juristische Klärung, die zwar meine Person betrifft, jedoch weitreichende Bedeutung für Professorinnen und Professoren im deutschsprachigen Wissenschaftsbereich hat. Die Entlassung einer Professorin oder eines Professors aus einer (unbefristeten) Professur galt bis vor kurzem noch als undenkbar. Mittlerweile ist das nicht nur möglich, sondern nimmt rasant zu.

      Der Sachverhalt: Ich wurde 2018 als Universitätsprofessorin fristlos entlassen. Für mich kam das aus heiterem Himmel, da es keinerlei Vorwarnung gab. Erst vor Gericht habe ich die Gründe dafür erfahren. Der Vorwurf lautet, ich hätte Mobbing und psychische Gewalt gegen wissenschaftliche Nachwuchskräfte und andere Mitarbeiter ausgeübt. Vor Gericht zeigte sich, dass die Vorwürfe durchwegs auf von mir vorgenommene Leistungsbewertungen basieren, die von den Betreffenden als ungerecht empfunden wurden. Die Bewertung von Leistungen von Studierenden und Nachwuchswissenschaftlern gehört zu den Dienstaufgaben einer Universitätsprofessorin, ebenso wie die Evaluierung von Leistungen der Mitarbeiter jenseits der Qualifikationserfordernisse zu den Dienstaufgaben einer Institutsvorständin an einer Universität gehört.

      Mittlerweile liegt der Fall beim Obersten Gerichtshof in Österreich. Ich habe eine „außerordentliche Revision“ eingereicht, da ich der Meinung bin, dass die Art meiner Entlassung von grundlegender Bedeutung für die Arbeitsbedingungen von Professoren an Universitäten ist. Unter anderem ist folgendes zu klären:

      Darf eine Universitätsprofessorin oder ein Universitätsprofessor aufgrund von anonym vorgetragenen Vorwürfen entlassen werden?
      Darf eine Universitätsprofessorin oder ein Universitätsprofessor aufgrund von ihr oder ihm durchgeführten negativen Leistungsbewertungen entlassen werden?

      Sollte die Berufungsentscheidung rechtskräftig bleiben, ist damit legitimiert, dass eine Professorin oder ein Professor aufgrund von freihändig formulierten und anonym vorgetragenen Behauptungen jederzeit entlassen werden kann. Dies entspricht einer willkürlichen Entlassung und öffnet Missbrauch Tür und Tor, da es Universitäten ermöglicht, sich jederzeit ihrer Professoren zu entledigen. Eine Universität ist aufgrund ihrer Struktur und ihres Auftrags eine grundsätzlich spannungsgeladene Organisation; hier lassen sich jederzeit unzufriedene Studenten, Nachwuchskräfte oder Mitarbeiter finden, die eine Beschwerde äußern. Die Möglichkeit willkürlicher Entlassung steht nicht nur in Konflikt mit den Formulierungen und der Zielsetzung des Arbeitnehmerschutzes, sondern auch mit der in der Verfassung verankerten Freiheit von Wissenschaft, Forschung und Lehre.

      Wofür bitte ich um Unterstützung?
      Es ist ein ungleicher Kampf, da die Universität Steuergelder in unbegrenzter Höhe zur Verfügung hat und ich – ohne Rechtsschutzversicherung – das volle Risiko des Rechtsstreits persönlich trage. Die bisherigen Kosten des Verfahrens belaufen sich auf etwa 120.000 € (eigene Anwaltskosten und Anwaltskosten der Gegenseite). Damit sind meine Ersparnisse weitgehend aufgebraucht.

      Mein Spendenziel beträgt 80.000 €.
      Dies umfasst die etwa 60.000 € Anwaltskosten der Gegenseite, die ich aufgrund des Urteils in zweiter Instanz zu tragen habe. Die weiteren 20.000 € fließen in die Forschung über die Entlassung von Professorinnen und Professoren, die ich seit 2020 mit einer Kollegin aus privaten Mitteln betreibe.

      Publizierte Forschungsergebnisse zur Entlassung von Professorinnen und Professoren

      Egner, Heike & Anke Uhlenwinkel (2021). Entlassung und öffentliche Degradierung von Professorinnen. Eine empirische Analyse struktureller Gemeinsamkeiten anscheinend unterschiedlicher „Fälle“. Beiträge zur Hochschulforschung, 43(1-2), 62–84. Download PDF
      Egner, Heike & Anke Uhlenwinkel (2021). Zur Rechtsstaatlichkeit universitätsinterner Verfahren bei Entlassung oder öffentlicher Degradierung von Professor*innen. Ordnung der Wissenschaft, 3(3), 173–184. Download PDF
      Egner, Heike & Anke Uhlenwinkel (2023). Über Schwierigkeiten der betriebsrätlichen Vertretung von Professor(innen). Zeitschrift für Hochschulrecht(22), 57–64.
      Egner, Heike & Anke Uhlenwinkel (2023). Zertifikat als Grundrecht? Über Leistungsansprüche und -erwartungen im Kontext struktureller Veränderungen an Universitäten. Hochschulwesen(1+2), 28–43.

      https://www.gofundme.com/f/fur-grundrechte-von-professoren

      Aus dem Video: Rektor hat Betriebsratsvorsitzenden aufgetragen gezielt belastbares Material in Schriftform gegen Heike Enger zu sammeln. Betreibsrat kam Auffroderung bereiwilling nach und sprach gezielt Mitarbeitende an und bat sie aufzuschreiben, worüber sie sich geärgert haben und dies auszuhändigen. Zeuge der Universität hat dieses Vorgehen vor Gericht vorgetragen.

      #academia #university #Austria #Klagenfurt #professor #dismissal #arbitrary #publications #lawsuit #evaluation #scientific_freedom

    • #Susanne_Täuber, Netherlands

      Reinstate #Susanne_Täuber, protect social safety and academic freedom at the RUG

      10 March 2023

      To prof. Jouke de Vries, President, and members of the Board of the University of Groningen,

      We, the undersigned employees and students of the University of Groningen (UG), joined by concerned observers and colleagues at institutions around the world, are appalled at the firing of Dr. Susanne Täuber. The facts of this case are clear: Dr. Täuber was punished for exerting her academic freedom. The same court that allowed the UG to fire her also made it clear that it was the university’s negative reaction to an essay about her experiences of gender discrimination at the university that “seriously disturbed” their work relationship. Alarming details have also been made public about how the university pressured Dr. Täuber to censor future publications, in order to retain her position.

      The protest in front of the Academy Building on 8 March, International Women’s Day, and the continuing press attention and social media outcry, demonstrate that this case has consequences far beyond one university. Firing a scholar who publishes work that is critical of powerful institutions, including the university itself, sets a disturbing precedent for us all. We, the employees and students, ARE the UG, and we refuse to let this act be carried out in our names. We call on the University Board to reinstate Dr. Täuber, without delay, as an associate professor, and to ensure that she is provided with a safe working environment.

      The firing of Dr. Täuber has surfaced structural problems that necessitate immediate action by the University Board and all UG faculties. It is unacceptable that when a “disrupted employment relationship” emerges within a department, the more vulnerable person is fired. This points to a broader pattern at Dutch universities, as evidenced by the YAG Report (2021), the LNVH Report (2019), and other recent cases: in cases of transgressive behavior, Full Professors, Principal Investigators (PIs), and managers are protected, while employees of lower rank, or students, bear the consequences. If we are to continue performing our education and research mission, then this practice must be reformed, and the University of Groningen has an opportunity to lead here. We call on the University Board to work with labor unions, the LNVH, the University Council, and Faculty Councils to design and implement a safe, independent procedure for addressing violations of social safety: one that prioritizes the protection and support of vulnerable parties.

      Internal reforms will help ensure the safety of students and employees, but they will not repair the damage these events have caused to the reputation of the University of Groningen. The termination of a scholar who publishes field-leading research that is critical of academia has triggered doubts among employees, students, and the public about the UG’s commitment to academic freedom. This action is already raising concerns from talented job candidates, and we fear a chilling effect on critical research at the UG and beyond. We call on the University of Groningen, in partnership with the Universities of the Netherlands (UNL), the Ministry of Education, and the labor unions, to enshrine protections for academic freedom in the Collective Labor Agreement.

      Reinstate Dr. Täuber, reform complaint procedures, and establish binding protections for academic freedom. The relationship between the University of Groningen and the people it employs, teaches, and serves has been severely disrupted in the past weeks, but that relationship can be repaired if the Board begins taking these actions today.

      Sincerely,

      References:
      Leidse hoogleraar ging ‘meerdere jaren’ in de fout. (2022, October 25). NRC. https://www.nrc.nl/nieuws/2022/10/25/leidse-hoogleraar-ging-meerdere-jaren-in-de-fout-a4146291

      LNVH. (2019). Harassment in Dutch academia. Exploring manifestations, facilitating factors, effects and solutions. https://www.lnvh.nl/a-3078/harassment-in-dutch-academia.-exploring-manifestations-facilitating-factors-eff.

      Täuber, S. (2020). Undoing Gender in Academia: Personal Reflections on Equal Opportunity Schemes. Journal of Management Studies, 57(8), 1718–1724. https://doi.org/10.1111/joms.12516

      Upton, B. (2023, March 8). Court rules Groningen is free to fire critical lecturer. Times Higher Education (THE). https://www.timeshighereducation.com/news/court-rules-groningen-free-fire-critical-lecturer

      Veldhuis, P., & Marée, K. (2023, March 8). Groningse universiteit mag kritische docent ontslaan. NRC. https://www.nrc.nl/nieuws/2023/03/08/groningse-universiteit-mag-kritische-docent-ontslaan-a4158914

      Young Academy Groningen. (2021). Harassment at the University of Groningen. https://www.rug.nl/news/2021/10/young-academy-groningen-publishes-report-on-harassment-in-academia

      https://openletter.earth/reinstate-susanne-tauber-protect-social-safety-and-academic-freedom-at

      The article:

      Täuber, S. (2020) ‘Undoing Gender in Academia: Personal Reflections on Equal Opportunity Schemes’, Journal of Management Studies, 57(8), pp. 1718–1724.

      –> https://onlinelibrary.wiley.com/doi/10.1111/joms.12516

  • La CEDH sanctionne la France pour défaut de mise à l’abri de demandeurs d’asile
    https://www.lemonde.fr/societe/article/2022/12/08/la-cedh-sanctionne-la-france-pour-defaut-de-mise-a-l-abri-de-demandeurs-d-as

    La CEDH sanctionne la France pour défaut de mise à l’abri de demandeurs d’asile
    Les requérants, trois familles d’origine congolaise et géorgienne, étaient arrivées en France en 2018. La Cour européenne des droits de l’homme (CEDH) a condamné jeudi 8 décembre la France pour ne pas avoir mis à l’abri des demandeurs d’asile, malgré des décisions de justice allant dans leur sens, en 2018 à Toulouse. Les requérants, deux familles congolaises et une géorgienne, sont arrivés en France entre avril et juin 2018. La préfecture de Haute-Garonne leur avait accordé à tous des attestations de demande d’asile, m ais n’avait pas répondu ou avait refusé leurs demandes d’hébergement. Les trois familles, séparément, se sont tournées vers le tribunal administratif de Toulouse. Le juge des référés leur a octroyé à chacune une ordonnance enjoignant au préfet de leur trouver un lieu d’hébergement. Des ordonnances qui sont restées sans effet.
    La CEDH relève que le préfet, représentant de l’Etat dans le département, « n’a pas répondu aux sollicitations des requérants et n’a pas exécuté ces ordonnances avant l’intervention des mesures provisoires prononcées par la Cour, à la suite desquelles seulement les requérants ont été hébergés ». La Cour en conclut « qu’il y a eu violation de l’article 6.1 de la Convention » européenne des droits de l’homme (droit d’accès à un tribunal). La CEDH, bras judiciaire du Conseil de l’Europe, condamne ainsi la France à verser 5 000 euros à chacune des trois familles, ainsi que 7 150 euros conjointement pour frais et dépens. Par ailleurs, par un arrêt distinct, la CEDH ne condamne pas la France concernant l’évacuation de camps illicitement installés dans divers lieux de la région parisienne où des requérants, ressortissants roumains appartenant à la communauté rom, vivaient avec leurs familles. « L’ingérence des autorités dans le droit au respect de la vie privée et familiale des requérants était prévue par la loi et visait les buts légitimes de protection de la santé et de la sécurité publique, ainsi que la protection des droits et libertés d’autrui, à savoir le droit de propriété des propriétaires des terrains concernés », note ici la CEDH.

    #Covid-19#migrant#migration#france#CEDH#asile#politiquemigratoire#droit

  • Wenn Ärzte ihre Patientinnen missbrauchen

    Janine Fiedler wurde von ihrem Arzt sexuell missbraucht. Trotzdem darf er jahrelang weiter arbeiten. Die Behörden stoppen ihn nicht, das Problem hat System.

    Als der Hausarzt Mark Johnson an einem Tag im Dezember 2015 vom Amtsgericht Berlin wegen sexuellen Missbrauchs an zwei Patientinnen verurteilt wird, schaut er Janine Fiedler direkt in die Augen. Eigentlich dürfte Fiedler gar nicht hier sein. Eigentlich hätte der Arzt längst gestoppt werden müssen.

    Doktor Mark Johnson war den Berliner Behörden seit Jahren bekannt, seinen Namen haben wir ebenso wie den von Janine Fiedler geändert.

    Über fünf Jahre gingen Frauen immer wieder zur Polizei und erzählten ähnliche Geschichten über Johnson: Dass ihr Arzt sie belästigt habe und sie unter dem Slip und an den Brüsten angefasst habe. Vier von ihnen waren minderjährig. Ein Fall wurde vor dem Amtsgericht verhandelt, auch die Ärztekammer wusste Bescheid.

    „Es scheinen jedoch keine Konsequenzen daraus gezogen worden zu sein, sodass Herr Johnson die Tathandlungen fortführt“, steht in einem Polizeibericht.

    Im Herbst 2014 sagt eine weitere Teenagerin bei der Polizei aus. Johnson, so sagt sie, habe sie während der Behandlung sexuell missbraucht. Acht Wochen später steht das LKA mit einem Durchsuchungsbeschluss in der Praxis. Die Ärztekammer erteilt eine Rüge und Johnson muss 5000 Euro an eine gemeinnützige Einrichtung zahlen.

    Danach darf Johnson weiter praktizieren.

    Und so führt Mark Johnson an einem Tag im Mai 2015 die Hand in den Intimbereich von Fiedler, einer 20-Jährigen, die zu diesem Zeitpunkt akut suizidgefährdet ist und unter starken Psychopharmaka steht. Nach diesem Vorfall wird Johnson erstmals verurteilt. Und erst Mitte 2018, drei Jahre nach der Tat, fast ein Jahrzehnt nach den ersten Vorwürfen, verliert der endgültig Arzt seine Zulassung.

    Auf eine schriftliche Bitte um Stellungnahme zu den Straftaten und Vorwürfen hat Mark Johnson bis zum Redaktionsschluss nicht reagiert.
    Trotz der #MeToo-Bewegung: Missbrauch im Medizinbetrieb liegt im Dunkelfeld

    Über Monate haben vier Reporterinnen für BuzzFeed News Deutschland, IPPEN.MEDIA und weitere europäische Medien zu sexualisiertem Missbrauch im Medizinbetrieb recherchiert.

    Wir haben mit zahlreichen Betroffenen und Expert:innen gesprochen, mit Rechtsanwältinnen und Psychotherapeuten. Wir haben dutzende Behörden in ganz Deutschland kontaktiert, etliche Medienberichte und dutzende Gerichtsurteile analysiert und eine Umfrage ausgewertet, in der uns 140 Personen von Grenzverletzungen und Missbrauchserfahrungen erzählt haben. Das Ergebnis ist die erste umfassende Recherche im Dunkelfeld „Missbrauch im Medizinbetrieb“.

    Die Opfer sind Studierende und Rentnerinnen, Akademikerinnen und Auszubildende. Sie waren bei Zahnärzten, Physiotherapeuten, Allgemeinärzten und Psychotherapeuten. Ihre Erlebnisse unterscheiden sich, aber eines haben sie gemeinsam: Sie alle haben erlebt, wie schwer es für Patient:innen ist, Hilfe zu finden, wenn sie von ihren Ärzten missbraucht wurden.

    Unsere Recherchen zeigen, dass Ärzte immer wieder geringe Strafen erhalten, selten verurteilt werden und oft weiter praktizieren dürfen. Die Recherchen zeigen auch, dass Behörden versagen, weil sie aufeinander warten, statt zu handeln. Und dass sich an diesem strukturellen Problem seit Jahren fast nichts ändert.

    Das Dunkelfeld ist riesig.

    Wie häufig es hinter geschlossenen Türen zu Missbrauch kommt, weiß niemand. Es gibt keine umfassende Studie dazu. Fragt man nach Zahlen zu dem Thema, verweisen Behörden und Fachstellen auf eine Untersuchung im Auftrag des Familienministeriums, die ein Vierteljahrhundert alt ist und sich nur auf Psychotherapeut:innen und nicht auf die gesamte Ärzteschaft bezieht. In den vergangenen zehn Jahren verloren nur einige dutzend Ärzte deshalb ihre Approbation. „Das Dunkelfeld ist riesig”, sagt der Schweizer Psychiater Werner Tschan, der sich als einer der wenigen seit Jahrzehnten mit dem Thema beschäftigt.

    Allein durch eine Recherche in Archiven deutscher Medien haben wir Berichte zu fast 100 öffentlich gewordenen Missbrauchsfällen durch Ärzte und Therapeuten seit 2008 gefunden. Der Ethikverein, der Missbrauchsvorwürfe aus dem Bereich Psychotherapie sammelt, registriert 350 Hinweise im Jahr, in jedem vierten Fall geht es um sexualisierte Gewalt gegen Patient:innen. Und der Ombudsmann für Fälle von Missbrauch in ärztlichen Behandlungen in Hessen, Meinhard Korte, hat in den vergangenen Jahren über 500 Meldungen aus ganz Deutschland erhalten – rund 80 davon seien „gravierende Fälle” von Missbrauch, sagt er, also von Körperverletzungen oder sexualisierter Gewalt.

    Die Fälle sind besonders schwer nachzuweisen, die Unsicherheit und die Scham bei Betroffenen groß. Wenige der Täter erhalten lange Haftstrafen. Viele werden mit Geldstrafen oder auf Bewährung bestraft und können weiter praktizieren. Andere kommen über Jahre oder Jahrzehnte ganz ohne Strafe davon.

    Warum schaut Deutschland nicht besser hin, wenn Ärzte ihre Patient:innen missbrauchen? Wie sehr sind sie geschützt vom Mythos der „Götter in weiß”?

    Es ist ein sonniger Tag im Februar, Janine Fiedler spielt mit ihrer kleinen Tochter auf einem Spielplatz, nur wenige Bushaltestellen von der ehemaligen Praxis von Mark Johnson entfernt. „Halloooooo“, ruft das kleine Mädchen und steckt den Kopf aus einem Spielhaus. Von außen betrachtet sieht das Leben der jungen Frau harmonisch aus, doch bis heute denkt Fiedler täglich an ihren ehemaligen Arzt und an das Gefühl der Ausweglosigkeit, das die jahrelangen Auseinandersetzungen mit Behörden bei ihr hinterlassen haben. Noch heute ist sie in Therapie. Sie habe versucht, sich mit Tabletten das Leben zu nehmen. „Ich konnte nicht mehr.“

    Als Fiedler 2015 zu Mark Johnson in die Praxis geht, kommt sie gerade aus einer psychiatrischen Klinik, braucht dringend einen Therapieplatz. Sie hat Bauchschmerzen, Krampfanfälle. Fiedler fühlt sich allein, sucht einen Anker. Der Arzt verspricht, ihr zu helfen. „Er war für mich damals die einzige Bezugsperson“, sagt Fiedler, „Ich dachte, ich will mich umbringen. Aber wenn er mir jetzt hilft, lebe ich weiter. Ich habe die ganze Hoffnung an ihn geknüpft.“ Der Arzt hört sich ihre Probleme an, wechselt und erhöht die Dosis ihrer Psychopharmaka. Die Nebenwirkungen sind so stark, dass Fiedler daneben gießt, wenn sie sich ein Glas Wasser einschenkt. Sie wird aggressiv, hat Konzentrationsstörungen.

    Er hatte die Kontrolle über mich.

    In der Praxis gibt der Arzt ihr „Entspannungsmassagen“, schreibt ihr private Nachrichten auf ihr Handy. Er habe immer wieder gesagt, das sei normal, er mache dies auch bei anderen Patientinnen, erinnert sich Fiedler. „Ich habe die ganze Zeit gespürt, dass irgendwas nicht stimmt.“ Doch sie hat Angst, dass ihr niemand mit den psychischen Problemen helfen kann. Bei den Terminen spricht Mark Johnson mit ihr und berührt sie. „Es hat sich gesteigert“, sagt Fiedler, von Mal zu Mal. „Er hat ausprobiert wie weit er gehen kann. Er hatte die Kontrolle über mich.“ Erst berührt er die junge Frau am Rücken und Bauch, dann an den Brüsten, an den Beinen. „Ich hatte immer wieder die Hoffnung, dass es doch nicht das ist, was ich denke“, sagt Fiedler. Schließlich berührt er sie mit den Fingern an der Vagina, obwohl sie die Beine zusammengedrückt habe, in dem Versuch, sich zu wehren. Die Taten wird der Arzt vor Gericht und bei der Ärztekammer später teilweise zugeben, dann wieder bestreiten.

    Danach geht die junge Frau nie wieder in die Praxis, aber der Schaden ist nicht mehr rückgängig zu machen. Einen Monat später geht sie zur Polizei, macht eine Aussage. Was sie noch nicht weiß: Sie ist nicht die einzige. Und Mark Johnson führt die Behörden seit Jahren an der Nase herum.
    Wie vertrauenswürdig ist ein Arzt, der Frauen nicht mehr ohne Aufsicht behandeln darf?

    Bereits 2009 ging eine Patientin von Johnson zur Polizei und sagte, der Arzt habe während der Untersuchung einen Finger in sie eingeführt, was Johnson abstreitet. Sie ist eine von insgesamt sieben Frauen, die wie Fiedler bei der Polizei gegen den Arzt ausgesagt haben, von „Massagen” erzählt haben, von Berührungen an der Brust und im Intimbereich. Das geht aus Gerichtsakten hervor.

    Der Arzt streitet alles ab, drei Ermittlungsverfahren werden eingestellt – teils, weil die Beweise fehlen, teils, weil die Taten verjährt sind. Nur in einem Fall kommt es zu einer Anklage, weil der Arzt einer Patientin über die Brustwarzen gestrichen haben soll, zweimal soll er mit einem Finger zwischen ihren Schamlippen entlang gestrichen und dabei auch die Klitoris berührt haben. Der Arzt entschuldigt sich: „Es tut mir sehr leid. Es kommt nie wieder vor.“ Sein Mandant sei davon ausgegangen, er habe sich nicht strafbar gemacht, verliest der Anwalt. Die Frau erhält 2000 Euro, der Arzt muss weitere 2000 Euro an die Staatskasse zahlen. Dann wird die Akte geschlossen.

    Auch bei der Ärztekammer läuft in der Zeit bereits ein Verfahren wegen fünf mutmaßlicher Übergriffe. Der Untersuchungsführer hält die Frauen für glaubwürdig. Mark Johnson gibt eine Bedauernserklärung ab, die als Geständnis gewertet wird. Die Ärztekammer verzichtet darauf, vor ein Berufsgericht zu gehen, das dem Arzt verbieten könnte, weiter zu praktizieren – auch, weil er sich verpflichtet, Patientinnen nicht mehr alleine zu untersuchen.

    Wie vertrauenswürdig ist ein Arzt, der Frauen nicht mehr ohne Aufsicht behandeln darf? Was dubios klingt, ist eine Maßnahme, die in Missbrauchsfällen immer wieder angewendet wird. 2003 etwa verurteilte das Landgericht Köln einen Neurologen, drei Jahre lang keine Frauen mehr zu behandeln. Auch ein weltbekannter HIV-Arzt verpflichtete sich 2013, Patienten nur noch in Anwesenheit einer dritten Person zu untersuchen – diesen April wird er wegen Missbrauchsvorwürfen vor Gericht stehen, angeklagt in fünf Fällen. BuzzFeed News hatte ausführlich über den Fall berichtet.

    Kontrolliert werden diese Maßnahmen nicht. „Die Ärztekammer Berlin kann ihre Kammermitglieder jedoch nicht zur Abgabe solcher Zusicherungen verpflichten und demgemäß auch nicht deren Einhaltung überwachen oder durchsetzen“, heißt es auf Anfrage.

    Im Fall von Mark Johnson spricht die Berliner Ärztekammer 2014 eine Rüge aus und er muss 5000 Euro an eine gemeinnützige Einrichtung zahlen. Der Arzt kann weiter arbeiten.

    Fünf Monate später missbraucht er die damals 20-jährige Janine Fiedler auf seiner Arztliege.

    „Wo bleibt die Gerechtigkeit?“

    Als sich Johnson schließlich vor dem Amtsgericht Berlin für die Übergriffe gegen Fiedler und eine weitere Patientin verantworten muss, räumt er die Taten gegen Fiedler grundsätzlich ein und zeigt sich reumütig, sagt aber auch, dass er ihr nicht in den Slip gefasst habe. Er habe Eheprobleme, müsse Unterhalt für seine Kinder zahlen. Das Gericht glaubt, durch das Geständnis werde Johnson Konsequenzen durch die medizinischen Behörden erfahren und nicht weiter arbeiten können und entscheidet sich auch deshalb für ein mildes Urteil: Er wird zu einer Geldstrafe von knapp 15.000 Euro verurteilt.

    Mehr als ein halbes Jahr, nachdem das Urteil rechtskräftig geworden ist, sieht die Mutter von Janine Fiedler, dass die Praxis von Mark Johnson noch geöffnet ist. Sie schreibt mehrere Briefe an die zuständigen Behörden. Sie fragt: „Weshalb wird der Täter weiterhin verschont und kann so weiterleben, als wäre nichts geschehen?“ Und: „Wo bleibt die Gerechtigkeit?“

    Auf die Betroffenen wirkt es, als passiere gar nichts. Antworten auf ihre Fragen erhält Fiedlers Mutter nicht, aus datenschutzrechtlichen Gründen, heißt es in einem Brief der Behörde.

    Ärztekammern oder Approbationsbehörden dürfen grundsätzlich so gut wie keine personenbezogenen Daten über ihre Mitglieder herausgeben, weder an die Presse, noch an Betroffene. Die Betroffenen erfahren nicht, ob es weitere Opfer gibt, ob ein Beschuldigter zu den Vorwürfen angehört wird, ob er überhaupt eine Strafe erhält. Viele der Opfer haben uns erzählt, das habe ihre Ohnmachtsgefühle noch verstärkt. Die Bundesärztekammer schreibt auf Anfrage, dass die jeweiligen Landesregierungen dafür zuständig wären, dies zu ändern.

    Was Fiedler und ihre Mutter zu diesem Zeitpunkt nicht wissen: Nach dem Urteil widerruft Mark Johnson sein Geständnis, geht in Berufung. Den Behörden sagt Doktor Johnson zu, seine Praxis zu verkaufen, zieht diese Zusage jedoch wenig später wieder zurück. Als die zuständige Behörde endlich entscheidet, dass er nicht mehr praktizieren darf, legt der Arzt Widerspruch ein. Das Verfahren, inzwischen vor einem Verwaltungsgericht, geht weiter. So kann er, fast zwei Jahre nachdem das Urteil im Fall Fiedler rechtskräftig wurde, noch immer Patient:innen behandeln. Erst im Juni 2018 verliert er seine Approbation.
    Die Folgen des Missbrauchs: Schlafprobleme, Albträume, Flashbacks

    Fiedler fühlt sich im Stich gelassen. Wütend sei sie gewesen, „auf den Staat, auf den Arzt“.

    Sie versucht, in einem Zivilverfahren Schadenersatz von Johnson zu bekommen, der letzte Versuch, sich gerecht behandelt zu fühlen. Doch auch in diesem Verfahren gibt der Arzt die Taten jetzt nicht mehr zu.

    Im Herbst 2017 wird die Belastung zu groß: Fiedler muss erneut in psychiatrische Behandlung in eine Klinik.

    Auch danach kämpft sie mit schweren Folgen. Beziehungen zu Menschen aus ihrem engsten Umfeld zerbrechen. Sie hat Schlafprobleme. Albträume. Panikattacken. Flashbacks. Bauch- und Magenschmerzen. Weinanfälle. Partnerschaftsprobleme. Essstörungen. Ekel vor Körpergerüchen. Ekel vor männlichem Atem. Angst vor bestimmten Männertypen. Angst, wenn männliche Ärzte sie berühren. Angst, den Arzt zu treffen. Angst, nach Jahren vor Gericht aussagen zu müssen und dass alles wieder hochkommt. Angst, dass man ihr nicht glaubt. Angst, dass der Arzt in dieser Zeit weitere Frauen und Mädchen belästigt hat.

    Und sie hat Schuldgefühle, dass sie Johnson nicht aufhalten konnte; dass sie erst nach einigen Woche Anzeige erstattete. Weil sie häufig krank ist, sei ihr Arbeitsvertrag nicht verlängert worden, sagt Fiedler. Sie ist lange Zeit arbeitsunfähig. Am Ende bleiben ihr 3500 Euro Schmerzensgeld. Davon habe sie ihre Rechnungen und mehrere Umzüge bezahlt, sagt Fiedler. Sie hat ständig das Gefühl, sie müsse flüchten. Bis heute.

    Mark Johnson ist weiterhin in Berlin gemeldet, sein Name steht an der Klingel eines unscheinbaren Mehrfamilienhauses. In seiner ehemaligen Praxis arbeitet mittlerweile eine andere Ärztin. Was der Mann heute macht, ist unklar. Theoretisch könne er nach einigen Jahren Wohlverhaltensphase seine Zulassung wieder beantragen, schreibt die zuständige Behörde aus Berlin.

    Wie konnte Mark Johnson über Jahre praktizieren, obwohl er immer wieder Patientinnen missbrauchte? Und wie viele Mark Johnsons gibt es in Deutschland?

    Ein komplexes System, das etliche Lücken und Schlupflöcher bietet

    „Die Ärztekammer wartet auf die strafrechtliche Verfolgung. Und die meisten Gerichte denken, die Kammer wird es schon machen“, sagt Christina Clemm. Sie ist Strafrechtsanwältin und vertritt seit 25 Jahren immer wieder Frauen, die von Ärzten missbraucht worden sind. „Das ist ein ungutes Zusammenspiel.“ Immer wieder beobachte sie, dass Verfahren sich über Jahre ziehen, ohne dass der Beschuldigte ernsthafte berufliche Konsequenzen erlebe.

    Das ist ein ungutes Zusammenspiel.

    Menschen, die zum Arzt gehen, suchen Hilfe, sie müssen ihrem Gegenüber vertrauen. Das Machtgefälle ist groß, der Beruf körpernah, der Betrieb hierarchisch. Der Bruch des ärztlichen Vertrauens hinterlässt tiefe Spuren, weil Menschen, die zu „den Guten“ gehören sollten, eine Notlage ausnutzen. Expert:innen sagen, dass der Missbrauch durch Ärzte für die Opfer oft so schwere psychische Folgen hat wie Kindesmissbrauch.

    Einige Betroffene, mit denen wir gesprochen haben, sind seit Jahren berufsunfähig. Sie haben posttraumatische Belastungsstörungen, mussten den Wohnort wechseln, kämpfen oft noch immer mit den körperlichen und psychischen Leiden, für die sie eigentlich Hilfe suchten. Sie sagen in Gesprächen, dass der Weg zur Presse ihre letzte Hoffnung auf Gerechtigkeit ist, weil sie im Kampf gegen Behörden verzweifeln. Sie weinen am Telefon. Weil ihre Ärzte und Therapeuten weitermachen können, während ihr Leben in Trümmern liegt.

    Warum können Behörden diesen Menschen nicht besser helfen?

    Wer versucht, zu verstehen, wie Gerichte und medizinische Behörden Missbrauch im Medizinbetrieb sanktionieren und bestrafen, stößt auf ein komplexes System, das etliche Lücken und Schlupflöcher bietet.

    Die Ärztekammern dürfen ermitteln, rügen und Bußgelder verhängen und können sehr schwere Fälle vor spezielle Berufsgerichte bringen. Schalten sich die Staatsanwaltschaften ein, um zu ermitteln, werden die Verfahren bei den Berufsgerichten ausgesetzt und es muss abgewartet werden. Einem Arzt das Praktizieren zu verbieten, können nur Gerichte. Die Zulassung widerrufen aber wiederum die Approbationsbehörden, die in der Regel bei den Sozialministerien angesiedelt sind. Wehren sich die Ärzte und Therapeuten dagegen, landen die Fälle bei den Verwaltungs- oder Zivilgerichten. Und ob Ärzte und Therapeuten weiter abrechnen können, verfügen die Kassenärztlichen Vereinigungen, auch hier können eigene Verfahren angestoßen werden. Die Details sind teilweise je nach Bundesland unterschiedlich geregelt.

    Das Prinzip ist: Viele Behörden können erst Entscheidungen treffen, nachdem andere Behörden Entscheidungen getroffen haben, wie im Fall von Janine Fiedler. Man kann viele Verordnungen, Heilberufsgesetze und Verwaltungsvorschriften nachschlagen. Verständlich ist das im Einzelfall, doch in der Menge ergeben sie ein kompliziertes Zusammenspiel, in dem die Opfer die Leidtragenden sind und teils jahrelang oder vergeblich auf Gerechtigkeit hoffen. Sie fühlen sich doppelt missbraucht: Erst von ihrem Arzt oder Therapeuten. Dann vom System. Die wenigsten Betroffenen wollen Rache. Viele wollen, dass anderen nicht dasselbe passiert wie ihnen.

    Betroffene können sich an die Heilberufekammern für Ärzt:innen und Psychotherapeut:innen wenden, die zuständig für die Berufsaufsicht sind. Oder sie gehen zur Polizei. In Deutschland gibt es, anders als in anderen Ländern, Regelungen im Strafrecht, wenn Ärzte ihre Patient:innen missbrauchen. Doch die Verjährungsfristen sind kurz, die Verfahren lang und die Strafen, wie auch sonst im Sexualstrafrecht, verhältnismäßig niedrig.

    Nach Angaben des Statistischen Bundesamtes kam es zwischen 2008 und 2019 zu insgesamt 235 Verurteilungen wegen „Sexuellem Missbrauch unter Ausnutzung eines Beratungs-, Behandlungs- oder Betreuungsverhältnisses“. Unter den Verurteilten sind Ärzte und ein dutzend Psychotherapeuten, aber etwa auch Pflegepersonal von Menschen mit Behinderung.

    Für die Berufszulassung von Ärzt:innen und Psychotherapeut:innen sind sogenannte Approbationsbehörden zuständig. Sie erteilen die Zulassungen und widerrufen oder pausieren sie bei Fehlverhalten. Selten geht es um Missbrauch, häufiger um Delikte wie Abrechnungsbetrug. Die Behörden widerrufen nur selten Zulassungen, weil das einen Eingriff in die Berufsfreiheit und damit in die Grundrechte bedeutet.

    Anfragen in allen 16 Bundesländern zeigen, dass 2019 in mindestens der Hälfte aller Bundesländer überhaupt keine Zulassung entzogen wurden. Seit 2008 bis Mitte 2020 wurden in Deutschland 48 Fälle erfasst, in denen Ärzten und Psychotherapeuten im Zusammenhang mit Sexualdelikten die Approbation widerrufen wurde. In rund einem Dutzend weiterer Fälle wurden die Zulassungen zeitweise ausgesetzt. Einige der Ärzte und Therapeuten haben die Zulassung freiwillig zurückgegeben, bevor sie bestraft oder sanktioniert wurden. Einzelfälle, heißt es unisono aus den Behörden. Ein Muster aber gibt es: Bei den Tätern handelt es sich ausschließlich um Männer.

    Da geht es um den Ehrverlust.

    So selten es geschieht, so häufig wehren sich Beschuldigte offenbar gegen die Maßnahmen. Ärzte und Psychotherapeuten können gegen den drohenden Approbationsentzug Widerspruch einlegen – und unterdessen meist weiter praktizieren. So wie Mark Johnson. „In der Regel wehren sich Ärzte mit Händen und Füßen durch alle Instanzen, selbst wenn die Rente kurz bevorsteht. Da geht es um den Ehrverlust“, sagt eine Mitarbeiterin einer Approbationsbehörde.

    Dass es einen Unterschied machen dürfte, ob Menschen aus den Behörden sich für das Thema interessieren, zeigt ein Blick nach Hessen und Nordrhein-Westfalen – hier werden wegen Sexualdelikten mehr Approbationen entzogen als anderswo, jeweils mehr als ein Dutzend seit 2008.

    Im Vorstand der Ärztekammer Nordrhein sitzt Dr. Christiane Groß, die sich seit Jahren mit dem Thema Missbrauch im Medizinbetrieb beschäftigt. „Bei sexuellen Handlungen im Behandlungsverhältnis sind wir ganz strikt, das geht ans Berufsgericht“, sagt sie. „Ich weiß aber leider nicht, wie die anderen Kammern das handhaben.“

    Nur wenige Fälle landen bei den Ärztekammern

    Die Bundesärztekammer vertritt mehr als eine halbe Million Ärzt:innen in ganz Deutschland, die Bundespsychotherapeutenkammer rund 50.000 Psychotherapeut:innen. Sie haben die Berufsaufsicht, sollen also verhindern, dass Ärzt:innen Schaden anrichten. Das kann man sich vorstellen wie bei einer Staatsanwaltschaft mit weniger Möglichkeiten: In den Kammern nehmen Ärzt:innen Beschwerden entgegen, spezialisierte Jurist:innen ermitteln und bewerten die Fälle. Die Idee ist, dass die Kammern fachlich am besten erkennen können, ob ein Mediziner einen Missbrauch etwa als Behandlungsmethode tarnt – zum Beispiel als therapeutische Massagen. Die Menschen, die hier sitzen, seien engagiert und nehmen die Vorwürfe ernst, hören wir immer wieder aus den Behörden.

    Aber das offizielle Beschwerdeverfahren ist sehr anspruchsvoll und hochschwellig.

    „Aber das offizielle Beschwerdeverfahren ist sehr anspruchsvoll und hochschwellig“, sagt Andrea Schleu,​ ​die Vorsitzende des Ethikvereins​, ​der vor allem Hilfe bei Grenzverletzungen und Missbrauch in der Psychotherapie bietet. Viele der Opfer seien geschädigt, traumatisiert. „Man muss die Vorgänge ausführlich und schriftlich abgeben, Namen nennen, Orte, Zeiten und Belege. Das schaffen viele nicht.“ Betroffene und Hilfesuchende aus verschiedenen medizinischen Bereichen landen deshalb oft nicht bei den zuständigen Behörden, sondern bei Schleu und den wenigen anderen Menschen in Deutschland, die seit Jahren versuchen, Hilfe gegen übergriffige Ärzte und Psychotherapeuten anzubieten.

    Wie selten es bei Beschwerden zu Konsequenzen kommt, kann man etwa in Berlin sehen. Hier gehen pro Jahr zwischen 1400 und 1500 Beschwerden über ärztliche Pflichtverletzungen ein, schreibt die Ärztekammer auf Anfrage. Die Anzahl der im Schnitt pro Jahr eingeleiteten, förmlichen Untersuchungsverfahren: Dreizehn. Berufsgerichtliche Verfahren: Fünf. Im vergangenen Jahrzehnt gingen rund 200 Beschwerden über missbräuliches Verhalten durch Ärztinnen oder Ärzte ein, schreibt die Kammer. In vielen dieser Fälle handele es sich um Wiederholungstäter.

    Insgesamt landen Fälle von sexualisierter Gewalt oder Übergriffen nur vereinzelt bei den Ärztekammern, ergeben bundesweite Anfragen. Schleswig-Holstein etwa führt keine Statistik über Fälle mit Verdacht auf sexuellen Missbrauch. Wieder andere, wie die Ärztekammer in Mecklenburg-Vorpommern, haben seit 2008 keinen einzigen Fall zu vermelden.

    Die Ärztekammern haben die Berufsaufsicht – aber nur begrenzte Handlungsmöglichkeiten

    Die Heilberufekammern für Ärzt:innen und Psychotherapeut:innen haben eine Doppelfunktion: Sie beaufsichtigen ihre Mitglieder nicht nur, sie vertreten auch deren Interessen, stellen etwa Forderungen für Gesetzesänderungen.

    Eine Institution, die ihre Mitglieder zugleich vertritt, sie aber auch überprüfen und sanktionieren soll. Ist das ein Interessenkonflikt?

    Das könne man nicht erkennen, schreibt die Bundesärztekammer auf Anfrage. Im Gegenteil gebe es ein hohes Interesse berufsrechtliche Verstöße einzelner Ärztinnen und Ärzte aufzuarbeiten und berufsrechtlich zu ahnden. In Missbrauchsfällen aber liege diese Verantwortung in der Regel bei den Berufsgerichten.Nicht alle sehen das so unkritisch.

    „Das ist ein Spagat“, sagt Sabine Maur, Präsidentin der Landestherapeutenkammer Rheinland-Pfalz. „Und ein Problem ist, dass es in der Regel Aussage gegen Aussage steht. Wir nehmen jede Beschwerde von Patient:innen sehr ernst. Doch es steht möglicherweise die berufliche Existenz eines Kammermitglieds auf dem Spiel. Das ist ganz delikat.”

    Maur kämpft mit ihrer Kammer dafür, dass sich etwas verändert. Sie hat für dieses Jahr einen runden Tisch mit Expert:innen zu dem Thema eingeladen, weil sie die Abläufe in ihrer Behörde verbessern will.

    Zum Thema Missbrauch in der Psychotherapie gibt es mehr Erkenntnisse, mehr Fachpersonen, die sich mit dem Thema beschäftigen, und hier gelten strengere Regeln als bei Fachärzten, über welche etwa die Bundespsychotherapeutenkammer im Internet informiert. Sexuelle Kontakte oder private Treffen sind grundsätzlich berufsrechtlich verboten, auch wenn sie einvernehmlich sind, weil die Abhängigkeit hier besonders groß ist.

    Die Ahndungsmöglichkeiten sind niedrig.

    Eine Untersuchung aus dem Jahr 1995 für das Bundesfamilienministerium schätzt, dass es 600 Fälle pro Jahr gibt, in denen Therapeuten ihre Patient:innen missbrauchen. Die Hälfte der Befragten litt an einer posttraumatischen Belastungsstörung. Folgekosten, die durch die Missbrauchsfälle entstehen, weil viele weitere Behandlungen nötig werden: Mindestens zehn Millionen Euro im Jahr. Die Zahl der Psychotherapeut:innen in Deutschland hat sich seit damals mehr als verdoppelt, inzwischen gelten strengere Standards.

    Wie viele Missbrauchsfälle es heute gibt? Unklar. Auch nach einer neueren Untersuchung sei davon auszugehen, dass nur jede zehnte betroffene Person rechtliche Schritte unternehmen, schreibt die Bundespsychotherapeutenkammer auf Anfrage. Deutschlandweit würden jährlich knapp 20 Beschwerdeverfahren begonnen, bei denen um mögliche Verstöße wegen sexualisierter Übergriffe ging – in rund der Hälfte kommt es zu Berufsgerichtsverfahren.

    „Die Ahndungsmöglichkeiten sind niedrig“, so Maur. „Eine Rüge juckt niemanden. Eine Rüge mit Ordnungsgeld kann man so hoch setzen, dass es weh tut – aber das hat ja überhaupt keine Folgen, was die Berufsausübung angeht.“ Fortbildungen oder psychologische Maßnahmen kann sie nur anraten, nicht anordnen. „Wir haben fast nichts in der Hand, solange die Fälle so liegen, dass das Strafrecht nicht greift.“ Das gelte zum Beispiel für anzügliche Bemerkungen oder übergriffige, fachlich nicht angemessene Fragen zur Sexualität, die sie als „Red Flags“ bezeichnet.

    Ein blinder Fleck: In Deutschland fehlen Beratungsangebote und Beschwerdestellen

    Dass so wenige Missbrauchsfälle im Medizinbetrieb erfasst werden, hat noch einen anderen Grund: Es fehlen spezialisierte Angebote für Betroffene. 2,2 Millionen Menschen gehen jeden Tag zum Arzt. Es gibt mehr als eine Milliarde Arzt-Patient:innen-Kontakte pro Jahr, Kliniken und Krankenhäuser nicht mitgerechnet. Doch es gibt keine einzige länderübergreifende staatliche Anlaufstelle für Patient:innen, die sagen, dass sie missbraucht wurden oder einen sexualisierten Übergriff erlebt haben.

    Bei Ombudsmann Meinhard Korte in Hessen rufen Ratsuchende aus ganz Deutschland an, einzig in Niedersachsen gibt es ein vergleichbares Angebot. Das richtet sich aber an Menschen aus dem Medizinbetrieb selber, nicht an Patient:innen. Viele der Betroffenen, meist Frauen, erzählen uns, dass sie im Internet recherchiert haben, um zu verstehen, ob das Verhalten ihres Arztes überhaupt strafbar ist. Und dass sie erst durch Fachartikel verstanden hätten, wer ihnen weiterhelfen kann.

    Angst und Gleichgültigkeit von Ärzten wirken sich fatal für die betroffenen Patienten aus; die brauchen Unterstützung.

    Wir haben bei der Unabhängigen Patientenberatung nachgefragt, beim Hilfetelefon „Gewalt gegen Frauen“ des Bundesfamilienministeriums, bei allen Krankenkassen in Deutschland. Ja, solche Fälle kämen vereinzelt vor, heißt es dort. Aber spezielle Ansprechpersonen gibt es so gut wie nicht, Beschwerden dieser Art werden nicht gesondert erfasst. Der Medizinische Dienst der Krankenkassen kann bei angeblichen Behandlungsfehlern fachärztliche Gutachten erstellen lassen. Mehr als 14.000 davon wurden 2019 geschrieben. Um sexualisierte Gewalt geht es in einem einzigen. Der von der Bundesregierung eingesetzte Unabhängige Beauftragte für Fragen des sexuellen Kindesmissbrauchs hat ein Monitoring im Gesundheitsbereich veröffentlicht. Das Ergebnis: Es wird zu selten wahrgenommen, dass Praxen und andere Einrichtungen auch Tatorte sexualisierter Gewalt sein können.

    Auch das Umfeld schaut zu oft weg. „Es gibt viele Ärzte, die immer wieder Grenzüberschreitungen begehen können, weil die Mitwissenden nicht aktiv werden, sondern es hinnehmen“, sagte Ombudsmann Korte aus Hessen. „Oft wissen die Arzthelferinnen davon, trauen sich aber nicht, etwas zu sagen, um ihren Arbeitsplatz nicht zu verlieren“, sagt er. Auch andere Ärzte wüssten oft Bescheid, blieben aber stumm. „Angst und Gleichgültigkeit von Ärzten wirken sich fatal für die betroffenen Patienten aus; die brauchen Unterstützung.“

    Es ist nicht so, dass die #MeToo-Bewegung am Medizinbetrieb spurlos vorbeigezogen wäre. Der Deutsche Ärztetag etwa forderte vor knapp zwei Jahren, Mitarbeiter:innen und Patient:innen besser vor sexueller Belästigung zu schützen. Doch auf Anfrage kann die Bundesärztekammer nicht sagen, was sich seitdem verändert hat und verweist auf die Kassenärztliche Bundesvereinigung und die Deutsche Krankenhausgesellschaft. Letztere schreibt auf Anfrage, dass derzeit an neuen Schutzkonzepten gearbeitet werde, um vulnerable Gruppen besser zu schützen.

    Vorwürfe gegen die Ärztekammer Hamburg

    Wie schwer es für Menschen ist, Missbrauchsvorwürfe überhaupt zu erheben, kann man auch sehen, wenn es um die eigenen Reihen geht.

    In Hamburg beschwerten sich drei Mitarbeiterinnen über einen Vorgesetzten in der Ärztekammer. Es sei zu sexistischen Äußerungen und Gesten gekommen, in einem Fall zu zwei unerwünschten Küssen, und zu einer Hand im Intimbereich. Der Vorgesetzte wies die Vorwürfe von sich; ein Kuss habe stattgefunden, jedoch auf Initiative der Frau.

    Die Staatsanwaltschaft Hamburg ermittelte in einem Fall, ließ das Verfahren aber dann fallen. Dem Beschuldigten wurde kein strafbares Verhalten nachgewiesen. „Ein kurzzeitiger Zungenkuss ohne sonstige sexuell motivierte Berührungen stellt [...] keine sexuelle Handlung dar“, steht in dem Einstellungsbescheid.

    Der damalige Vorsitzende der Bundesärztekammer, Frank Montgomery, teilte die Entscheidung der Staatsanwaltschaft in einer Rundmail an die Mitarbeiter:innen. „Vorstand und Geschäftsführung nehmen dieses Ergebnis natürlich mit Erleichterung zur Kenntnis“, heißt es darin, man sehe sich dadurch in der Einschätzung der Sach- und Rechtslage bestätigt.

    Eine der Betroffenen zog vor ein Arbeitsgericht. Doch auch das fand nicht, dass die Ärztekammer die Frau nicht genügend geschützt habe. Es seien verschiedene Maßnahmen ergriffen worden.

    Auf Anfrage schreibt die Ärztekammer, es sei eine Dienstvereinbarung getroffen und eine Beschwerdestelle implementiert worden

    .Auch wurde dem Mann die Personalverantwortung für die Mitarbeiterin entzogen und er sollte keinen direkten Kontakt mehr zu ihr suchen. Der Mitarbeiterin wiederum wurde empfohlen, sich einen „Schattenpartner“ zu suchen. Dieser solle in Rufbereitschaft sein, so dass sie nicht allein an ihrem Arbeitsplatz sein müsse, wenn das Büro sich am Abend leere.

    Die Mitarbeiterin kündigte. Der Vorgesetzte arbeitet bis heute in leitender Funktion in der Hamburger Ärztekammer.

    #Germany #sexual_assault #medical_sector #physicians #hierarchy #psychotherapists #Ärztekammer #law #public_authority

    ping @cdb_77 ...higher education, catholic church, medical sector...das Problem hat System...

    https://www.buzzfeed.de/recherchen/aerzte-patientinnen-missbrauch-medizin-gesundheit-90262449.html

  • Lawrence Ferlinghetti, poète, éditeur et libraire de la Beat Generation, est décédé
    https://actualitte.com/article/99035/auteurs/lawrence-ferlinghetti-poete-editeur-et-libraire-de-la-beat-generation-es

    Lawrence Ferlinghetti, figure de la Beat Generation, mouvement artistique essentiellement américain de la seconde moitié du XXe siècle, est décédé ce 22 février à l’âge de 101 ans, a confirmé l’enseigne qu’il avait créée, City Lights Booksellers & Publishers. Lui-même poète, Ferlinghetti a participé à la diffusion des textes des auteurs beat en créant sa librairie et sa maison d’édition.

    #Lawrence_Ferlinghetti #Beeat_generaztion #Poésie #City_Lights

  • Quel droit à l’eau pour les femmes migrantes à Paris ?

    Trois étudiantes présentent leurs recherches sur l’accès à l’eau et à l’#assainissement

    Chaque année, l’École de droit de Sciences Po propose des “Cliniques” : des programmes pédagogiques situés à mi-chemin entre théorie et pratique, articulés autour d’une mission d’intérêt public. Pendant neuf mois, Eline, Ivana et Juliette, étudiantes en première année de Master, ont étudié le sujet de l’accès à l’#eau_potable des populations migrantes, notamment des femmes migrantes, afin d’approfondir l’expertise du collectif #Coalition_Eau. Elles racontent.

    Pourquoi avez-vous choisi de participer à la Clinique de l’École de droit de Sciences Po ?

    Ivana : Je suis étudiante dans le Master Human Rights and Humanitarian Action de l’École des affaires internationales de Sciences Po : poursuivre des études en droits humains peut parfois être trop théorique ; c’est là que le modèle de la Clinique devient très intéressant : le programme Human Rights, Economic Development and Globalisation, propose une approche transversale et assez pratique de ce que signifie être un défenseur des droits humains dans la “vraie vie”. On mélange des études de cas avec des jeux de rôles, et tout au long de l’année on travaille sur un projet de recherche avec une organisation partenaire.

    Avec Eline et Juliette, nous avons travaillé avec le #collectif_Coalition_Eau. Au début de l’année, ça a été un peu une surprise puisqu’aucune de nous trois n’avait postulé pour ce projet sur l’accès à l’eau et à l’assainissement — il nous a été attribué par nos professeurs. Mais aujourd’hui j’aurais du mal à nous imaginer dans un autre projet de Clinique ! C’est un sujet qui nous tient vraiment à coeur. En France, l’accès à l’eau n’est pas considéré comme un droit humain. Certes, il existe un cadre légal autour de l’accès à l’eau, mais il se concentre sur la qualité de celle-ci et non pas sur la garantie d’un accès universel. Ce projet nous a aussi permis de mettre en avant le fait que les problématiques d’accès à l’eau et à l’assainissement ne sont pas exclusives aux pays en développement.

    Pouvez-vous nous décrire les principaux enjeux liés au droit à l’eau pour les femmes migrantes en France aujourd’hui ?

    Eline : En France, 1,4 millions de personnes sont déconnectées du réseau d’eau potable : elles doivent utiliser les services basiques proposés par l’État, comme les fontaines, les toilettes et les douches publiques. On compte environ 250 000 personnes sans-abri, dont 20% à 40% de femmes. Invisibles et invisibilisées, ces femmes sont pourtant celles qui souffrent le plus de cette déconnexion. En tant que femmes, elles sont confrontées à des difficultés spécifiques, comme la gestion de leurs menstruations et le contact avec des toilettes non-conformes aux normes d’hygiène. Non seulement ces femmes sont plus exposées aux risques d’infections urinaires et vaginales et de maladies dermatologiques que les hommes en raison du faible accès à l’eau et à l’assainissement, mais la plupart d’entre elles se sentent en insécurité et utilisent ces services avec la crainte d’être agressées. Ces exemples montrent que la mise en place d’installations unisexes et mixtes ne garantit pas une égalité d’accès.

    Ivana : Lorsque l’on étudie le droit à l’accès à l’eau, on distingue l’eau destinée à la consommation humaine — c’est à dire l’eau potable —, et l’eau utilisée pour se laver, qui correspond à l’assainissement. Nous avons travaillé sur ces deux aspects, et il apparaît que le droit à l’assainissement est le plus problématique : comme l’a dit Eline, la peur de subir des agressions désincite certaines femmes à utiliser les services sanitaires de la ville de Paris qui sont mixtes ; de plus, dans tout la ville, seulement neuf toilettes publiques possèdent une table à langer. Les besoins spécifiques des femmes ne sont pas assez pris en compte dans l’offre de services sanitaires : seules 1,5% des infrastructures existantes prennent en compte ces spécificités et les incluent dans leur offre de services.

    Quelles recommandations avez-vous formulées suite à votre analyse ? Existe-t-il des solutions ?

    Juliette : Au regard de la situation dont nous avons été témoins, nous avons formulé des recommandations au plus près des besoins et à plus ou moins long terme. Premièrement, de manière transversale et systématique, nous recommandons la participation des femmes concernées aux processus de décision. C’est une nécessité à la fois d’un point de vue pratique — car elles sont les mieux placées pour connaître leur réalité — mais aussi car le public concerné par une situation est le plus légitime pour intervenir dans des décisions le concernant.
    Une autre recommandation primordiale, à plus long terme, est la reconnaissance formelle par la France du droit humain à l’eau et à l’assainissement. Ce droit a été reconnu comme tel par les Nations Unies il y a maintenant dix ans et la France doit en faire de même.

    De manière plus immédiate, nous recommandons l’installation de davantage de points d’eau, de douches, de sanitaires et de lieux d’accueil spécifiquement dédiées aux femmes ; le groupe des femmes n’étant pas un groupe homogène, une constante et nécessaire attention devra être portée à la prise en compte des besoins relatifs à chaque situation : le statut migratoire, la langue parlée, les enfants, l’ancienneté dans la rue, les violences subies, etc.

    Enfin, nous recommandons ardemment de relancer le programme de l’INSEE d’enquête et de production de données sur la population sans abri ; les dernières données officielles remontent à 2012. Or, la collecte régulière et détaillée de statistiques est indispensable au respect des droits humains : il n’est pas possible de les mettre en oeuvre si les personnes laissées pour compte sont invisibles.

    Donc en définitive : oui les solutions existent, et la ville de Paris reste un bon exemple en la matière. Néanmoins, tant que ces problématiques ne gagneront pas en visibilité, tant que les victimes ne seront pas écoutées, tant que l’accès à l’eau ne sera pas universel dans son application, la situation n’évoluera pas.

    Comment la crise liée au Coronavirus Covid-19 impacte-t-elle l’accès à l’eau des personnes migrantes ?

    Eline : La crise du Coronavirus Covid-19 a montré qu’il était plus que jamais crucial que les principes fondamentaux des #droits_humains soient respectés. Lorsque l’on dit que "se laver les mains peut sauver des vies" mais que des centaines de personnes — et notamment des femmes — migrantes et sans abri n’ont pas accès ni à l’eau potable, ni à du savon, cela met en lumière les profondes inégalités qui traversent notre société.
    Nous savons que beaucoup de migrantes vivent dans des campements de fortune autour de Paris, où il est impossible de mettre en place la distanciation sociale et le confinement. Les femmes migrantes sont aussi davantage mal logées, dans des petits espaces collectifs où les installations sanitaires sont partagées entre les habitants, augmentant considérablement le risque de contracter le virus. De plus, les femmes migrantes occupant habituellement des emplois informels — comme la garde d’enfants, la vente de nourriture dans la rue ou du ménage — elles ont perdu une source de revenu.

    Un autre point important est soulevé dans notre recherche : le fait que les femmes sans abri ont souvent d’importants problèmes de santé, qui sont parfois causés par un manque d’accès à l’eau et à l’assainissement ; et l’on sait que le Coronavirus est très dangereux pour ces personnes….

    En d’autres termes : la crise du Coronavirus fait non seulement courir un risque plus important aux personnes dont les droits fondamentaux ne sont pas respectés — c’est notamment le cas des femmes migrantes et de leur droit à l’accès à l’eau — mais amplifie aussi les problématiques préexistantes. C’est pour cette raison que nous appelons le gouvernement français à reconnaître ces droits humains fondamentaux pour toutes et tous et à garantir à toutes les femmes, quelles que soient leurs conditions de logement ou leurs parcours migratoires, un accès à l’eau potable et à l’assainissement.

    https://www.sciencespo.fr/programme-presage/fr/actualites/quel-droit-l-eau-pour-les-femmes-migrantes-paris

    #eau #droit_à_l'eau #eau #femmes #femmes_migrantes #Paris #law_clinic #droits_fondamentaux #pandémie #covid-19 #coronavirus

  • La politique des putes

    Océan réalise, avec « La #Politique_des_putes », une enquête en immersion dans laquelle il tend le micro à des travailleuses·rs du sexe. Elles disent le stigmate, la marginalisation, la précarité, les violences systémiques mais aussi les ressources et l’empowerment. Pour elles, l’intime est résistance. Dix épisodes de 30 mn pour briser les préjugés.



    La Politique des putes (1/10) - Travailler
    La Politique des putes (2/10) - Stigmatiser
    La Politique des putes (3/10) - Militer
    La Politique des putes (4/10) - Choisir
    La Politique des putes (5/10) - Désirer
    La Politique des putes (6/10) - Migrer
    La Politique des putes (7/10) - Soigner
    La Politique des putes (8/10) - S’échapper
    La Politique des putes (9/10) - Agir
    La Politique des putes (10/10) - Construire

    http://www.nouvellesecoutes.fr/podcasts/intime-politique

    #sex_work #prostitution #patriarchy #capitalism #feminism #wage_labor #whorephobe #whorephobia #pimping #stigma #bias #prejudice #stigmatization #discrimination #systemic_violence #instiutional_violence #heterosexual_concept #sexual_education #normalisation #abolotionism #black_and_white #subventions #decriminalisation #penalty #laws #rights #transphobia #domination #marginalisation #vulnerability #invisbility #undocumented #isolation #fear #police_harassment #physical_violence #rape #precarity #affirmation #empowerment #dignity #trust #solidarity #network #community #choice #perception #society #associations #seropositive #access_to_healthcare #suicidal_thought #debt #menace #voodoo #exploitation #trafficking #migration #borders #family_pressure #clients_image #mudered #testimony #interview #podcast #audio #France #Paris

    “sex work is not dirty - dirty are all the representations about sex work” (La politique des putes 7/10, min 7).

  • #Lawfare : la légalisation des procès politiques ?
    https://lvsl.fr/lawfare-la-legalisation-des-proces-politiques

    La course à la « transparence » absolue dans un contexte d’asymétrie cognitive

    Dans la course à la « transparence » promue par les principaux médias d’investigation, il est un processus qui reste dans l’ombre, caractérisé par une opacité totale : celui par lequel l’information confidentielle qui conduit aux « scandales » politiques est obtenue, diffusée – ou tue. Si les « scoops » publiés par les journalistes d’investigation suite à des enquêtes ou à des écoutes ont pu déclencher des « affaires » judiciaires, il arrive que l’inverse se produise, et que les médias diffusent des informations fournies à dessein par des magistrats. Une journaliste d’investigation du Monde n’affirme-t-elle pas : « nous avons pour règle de nous caler sur les instructions. Nous ne faisons pas d’enquête d’initiative » ?

    Instrumentalisation de la caisse de résonance médiatique par des magistrats désireux de servir leur agenda ? Utilisation du pouvoir judiciaire par des journalistes d’investigation souhaitant faire tomber une personnalité politique ? Ces deux phénomènes ne semblent aucunement contradictoires ; ils participent d’un renforcement conjoint du pouvoir des juges et des médias. Ils contribuent par là-même à l’émergence d’un champ médiatico-judiciaire, caractérisé par sa capacité à accéder à des informations confidentielles puis à les diffuser avec un écho national.

    Comment ne pas voir que la judiciarisation de la politique renforce indubitablement les pouvoirs constitués ? Les principaux médias nationaux, les services secrets d’un État, les magistrats ou encore les services de renseignement privés détiennent des moyens considérablement plus importants que n’importe quel acteur politique dans la collecte d’informations confidentielles. Dans ce contexte d’asymétrie cognitive, la généralisation des procès qui ciblent les figures politiques pour pratiques illégales ne peut que renforcer les plus aptes à obtenir de telles informations.

    Les représentants du pouvoir médiatique et judiciaire, parés des atours de la neutralité, émancipés des querelles partisanes qui fracturent le monde politique – « l’impartialité » des juges n’ayant d’égal que « l’objectivité » des journalistes -, affirmeront n’agir qu’au nom de la vérité et de la loi, révélant des affaires de corruption punissables par n’importe quelle législation. Le sens commun le plus élémentaire n’y trouve la plupart du temps rien à redire. Qui souhaite vivre dans un pays dans lequel Patrick Balkany peut continuer à sévir en toute liberté ? Bien souvent, le problème ne tient pas à la véracité des faits révélés ni à leur caractère répréhensible, mais au récit politique dans lequel s’inscrit leur révélation – un récit dont médias et journalistes se présentent comme de simples acteurs, alors qu’ils en deviennent les narrateurs. La surexposition des agents, comme souvent, invisibilise les structures, et la focalisation sur le vice de l’individu voile les soubassements viciés du système qui les meut. Le lawfare ne serait-il finalement qu’un moyen parmi tant d’autres de dépolitiser des enjeux politiques et de neutraliser des rapports de force ?

  • Genericide : Trademarking “Blockchain”
    https://hackernoon.com/genericide-trademarking-blockchain-67cf2ab49562?source=rss----3a8144eabf

    By charles adjovu, Ledgerback, and Alex RFederally Registered Trademark SymbolTrademarks are an often overlooked topic that have a substantial impact on the viability and social well-being of #blockchain communities.In “Collective Trademarks for Blockchain Communities,” we discussed the NIFTY trademark incident that occurred in August 2018, and proposed how blockchain communities can prevent future incidents by by applying for federal registration of collective trademarks (membership or trade/servicemark).In this article, we analyze two types of trademark-ineligible marks, generic marks and merely descriptive marks, because both arose during the NIFTY incident and are prevalent in the blockchain industry. Understanding these terms leads to greater certainty, fewer costs, and, hence, more (...)

    #law #blockchain-trademark #hackernoon-top-story

  • Lawrence Ferlinghetti is still revolutionary at age 100 – Alternet.org
    https://www.alternet.org/2019/03/lawrence-ferlinghetti-is-still-revolutionary-at-age-100

    Poet, retail entrepreneur, social critic, publisher, combat veteran, pacifist, poor boy, privileged boy, outspoken socialist and successful capitalist, with roots in the East Coast and the West Coast (as well as Paris), Ferlinghetti has not just survived for a century: He epitomizes the American culture of that century.

    Specifically, he has been a unique protagonist in a national drama: the American struggle to imagine a democratic culture. How does the ideal of social mobility affect notions of high and low, Europe and the New World, tradition and progress? That struggle of imagination underlies the art of Walt Whitman and Duke Ellington, Emily Dickinson and Buster Keaton. It also underlies a range of American issues, from the segregation of public schools to the reality of human-caused climate change. Those political issues involve our interbreeding of the highbrow and the vulgarian in a supercharged process whose complexities defy simplifying terms like “culture wars.”

    The founder of the San Francisco landmark City Lights bookshop rang in the turn of his very own century as his adopted city—he’s originally from New York—celebrated “Lawrence Ferlinghetti Day,” one of many centennial celebrations held throughout March in his honor.

    Truthdig Editor in Chief Robert Scheer, who once worked at City Lights and has been a lifelong friend of Ferlinghetti, writes about the city’s festivities, “Lawrence turns 100 today and poetry owns the Barbary Coast in a wild romp of readings at bars, galleries, and other watering holes in North Beach around Broadway and Columbus where City Lights Bookstore still stands as the best rebuke to the slick mindlessness of capitalist culture that now overwhelms Ferlinghetti’s once beloved bohemian San Francisco.”

    #Lawrence_Ferlinghetti #Belle_personne #City_lights

  • CCPA: What You Need to Know
    https://hackernoon.com/ccpa-what-you-need-to-know-aede1acb792a?source=rss----3a8144eabfe3---4

    CCPA: What you need to knowThe California Consumer #privacy Act takes effect on January 1st, 2020. If you’re a dev or work for a software company, this affects you.he California Consumer Privacy Act takes effect on January 1st, 2020. But it has provisions that reach back to January 1st, 2019. If you’re a software developer or work for a software company, it’s reasonably likely that CCPA is going to impact your roadmap, your website, and existing or planned features in the near future.DISCLAIMER: This is not legal advice and does not substitute for it. We are not lawyers.BackgroundThe California Consumer Privacy Act (aka CCPA or AB 375) of 2018 shot through the California legislature in seven days. It was going to be on the November ballot, and legislators feared it would become #law without (...)

    #tech #security #cybersecurity

  • Collective Trademarks in #blockchain Communities?
    https://hackernoon.com/collective-trademarks-in-blockchain-communities-b0bb53a48368?source=rss-

    Collective Trademarks for Blockchain Communities?When the ™law™ empowers those who need it most.My oh my, I’ve touched upon an interesting topic.Hi, my name is Charles, and I am an avid cyberspace and intellectual property #law enthusiast who believes blockchain and other emerging technologies will have a large impact on our society and economy.For this article, I wanted to discuss an interesting situation that occurred in the NIFTY #community, a sub community within the greater #ethereum community, in August 2018, and why trademark ownership needs to be discussed as early as practicable for blockchain communities [1].NIFTY TrademarkCryptoKitties Logomark.**In mid-2018, Dapper Labs Inc., a subsidiary of Axiom Zen, and the venture studio that created CryptoKitties, a decentralized application (...)

    #cryptocurrency

  • Venmo, Strava, and Why They Haven’t Been Fined €20,000,000
    https://hackernoon.com/venmo-strava-and-why-they-havent-been-fined-20-000-000-f0738680f1c8?sour

    A feature for Advancing Women in Product.Gordon’s new book, An American’s Guide to European #data Protection #law and the General Data Protection Regulation (GDPR) is available at Amazon and other fine retailers.GDPR Article 25 mandates data protection “by design” and “by default.”“By design” means that product managers should discuss the #privacy and security of user data at every stage of the product development lifecycle. Technologies (such as pseudonymization) and principles (such as processing the least amount of data possible) should be considered, and such consideration documented.“By default” means that the default settings only process the minimum amount of data to accomplish your product’s “specific purpose.”(If you’re unfamiliar, “processing” is a broad concept that means everything you (...)

    #technology #business

  • How to Convert Visitors on a Legal Website
    https://hackernoon.com/how-to-convert-visitors-on-a-legal-website-344ce5133ef8?source=rss----3a

    Creating and managing a highly converting legal website is no easy task. Turning web visitors into paying clients goes through people calling you or submitting a contact form, and this can only happen if you’ve used your website correctly to establish authority.According to Martindale-Hubbell, 76 percent of legal prospects do a thorough search online before they choose an attorney.To help you get most of those 76% to become clients of your company, law firm marketing department of Comrade Web Agency have done our homework and compiled a cheat sheet for ensuring your attorney’s website is the best it could be.The Homepage Of An Attorney WebsiteWhat you put above the fold (on top of the page, before the first scroll) is crucial for whether people stay on your page or leave it.Memorable Logo  (...)

    #legal-website #leads-generation #leads #lawyer-website #legal-website-conversion

  • In a previous story I had examined how does a #blockchain work in general.
    https://hackernoon.com/in-a-previous-story-i-had-examined-how-does-a-blockchain-work-in-general

    Trusting the BlockchainImage Source: Frank Sonnenberg OnlineIn this story, I will examine whether the Blockchain is really trustless as it is usually claimed to be. For a detailed and step-by-step analysis, you can check here.1. Where is the #trust located in the Blockchain?Before going further, we need to clarify what must be understood by the term ‘trust’. In Cambridge English dictionary, trust is defined as “to believe that someone is good and honest and will not harm you, or that something is safe and reliable”.This definition is extremely broad, and it covers almost anything including not only reliance on people but also reliance on mechanisms. In this sense, every transaction, even simultaneously enforced transactions have trust in them since the idea that firm currencies have value (...)

    #bitcoin #regulation #law

  • Summary of #bitmain #lawsuit
    https://hackernoon.com/summary-of-bitmain-lawsuit-ed3a3412c965?source=rss----3a8144eabfe3---4

    Gor Gevorkyan v. Bitmain, Inc., Bitmain Technologies, Ltd. And DOES 1 to 10A lawsuit was filed in the Northern District of California against Bitmain on 11/19/2018. See https://www.scribd.com/document/393971649/Bitmain-Class-ActionIn a brief summary, the Plaintiff alleged that Bitmain marketed and sold ASIC miners that were preconfigured to use the customers’ electricity to generate crypto for Bitmain’s own benefit.The Plaintiff bought his ASIC in January 2018, it was hard to configure, and it came pre-configured to operate in full power mode, at which time it mined for the benefit of Bitmain, using the Plaintiff’s electricity. The complaint alleges there are over 100 Class members and the amount in controversy exceeds $5 Million.Plaintiff’s first count is that Bitmain used unfair (...)

    #bitcoin #mining #class-action