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  • Rinchiusi e sedati: l’abuso quotidiano di psicofarmaci nei Cpr italiani

    Nei #Centri_di_permanenza_per_il_rimpatrio le persone ristrette vengono “tenute buone” tramite un uso dei medicinali arbitrario, eccessivo e non focalizzato sulla presa in carico. Dati inediti mostrano la gravità del fenomeno. Da Milano a Roma

    “Mentre sono addormentati o storditi, le loro richieste diminuiscono: così le persone trattenute nel Centro di permanenza per il rimpatrio (Cpr) non mangiano, non fanno ‘casino’, vengono rimpatriate e non pretendono i propri diritti. E soprattutto l’ente gestore risparmia, perché gli psicofarmaci costano poco. Il cibo e una persona ‘attiva’, invece, molto di più”. Il racconto di Matteo, nome di fantasia di un operatore che ha lavorato diversi mesi in un Cpr, è confermato da dati inediti ottenuti da Altreconomia e che fotografano un utilizzo elevatissimo di questi farmaci all’interno dei centri di tutta Italia. Una “macchina per le espulsioni” -dove “l’essere umano scompare e restano solo i soldi”, racconta Matteo- a cui il Governo Meloni non vuole rinunciare. Nell’ultima legge di Bilancio sono stati previsti più di 42,5 milioni di euro per l’ampliamento entro il 2025 della rete dei nove Cpr già attivi e il nuovo decreto sull’immigrazione licenziato a marzo 2023, appena dopo i fatti di Cutro, prevede procedure semplificate per la costruzione di nuove strutture, con l’obiettivo di realizzarne almeno una per Regione. Questo nonostante le percentuali dei rimpatri a seguito del trattenimento siano bassissime mentre incalcolabile è il prezzo pagato in termini di salute dalle oltre cinquemila persone che nel 2021 sono transitate nei centri.

    Per confrontare i dati ottenuti sulla spesa in farmaci effettuata dagli enti gestori delle strutture, abbiamo chiesto le stesse informazioni al Centro salute immigrati (Isi) di Vercelli, il servizio delle Asl che in Piemonte prende in carico le persone senza regolare permesso di soggiorno (non iscrivili quindi al sistema sanitario nazionale) e segue una popolazione simile a quella dei trattenuti del Cpr anche per età (15-45 anni), provenienza e condizione di “irregolarità”. A Vercelli la spesa in psicofarmaci rappresenta lo 0,6% del totale: al Cpr di via Corelli a Milano, invece, questa cifra è 160 volte più alta (il 64%), al “Brunelleschi” di Torino 110 (44%), a Roma 127,5 (51%), a Caltanissetta Pian del Lago 30 (12%) e a Macomer 25 (10%).

    Numeri problematici non solo per l’incidenza degli psicofarmaci sul totale ma anche per la tipologia, all’interno di una filiera difficile da ricostruire e che coinvolge tre attori: l’azienda sanitaria locale, la prefettura e l’ente gestore a cui è affidata, tramite bando, la gestione del centro. “A differenza della realtà carceraria, nel Cpr la cura della salute non è affidata a medici e figure specialistiche che lavorano per il sistema sanitario nazionale, bensì al personale assunto dagli enti gestori il cui ruolo di monitoraggio si è dimostrato carente, se non assente”, spiega Nicola Cocco, medico ed esperto di detenzione amministrativa.

    Grazie ai dati raccolti dall’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi) e dall’associazione di volontariato Naga relativi ai farmaci acquistati per il Cpr di Milano tra ottobre 2021 e febbraio 2022, sappiamo però che in cinque mesi la spesa in psicofarmaci è superiore al 60% del totale, di cui oltre la metà ha riguardato il Rivotril (196 scatole): farmaco autorizzato dall’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) come antiepilettico ma usato ampiamente come sedativo.

    Nel primo caso necessiterebbe una prescrizione ad hoc ma le visite psichiatriche effettuate alle persone trattenute nei mesi che vanno da ottobre 2021 a dicembre 2022 sono solo otto. In alternativa, un utilizzo del farmaco diverso rispetto a quello per cui è stato autorizzato dovrebbe avvenire solo previo consenso informato della persona a cui viene somministrato. “Chiedevano a me, operatore, di darlo, ma io mi rifiutavo perché non potevo farlo, non sono né un medico né un infermiere: i più giovani non sanno neanche che cosa sia questo medicinale ma no, non ho mai visto nessuna acquisizione del consenso”, racconta Matteo. A Torino la spesa in Clonazepam (Rivotril) dal 2017 al 2019 è di 3.348 euro, quasi il 15% del totale (22.128 euro) mentre a Caltanissetta tra il 2021 e il 2022 sappiamo che sono state acquistate 57.040 compresse: 21.300 solo nel 2021, a fronte di 574 persone trattenute. Significa mediamente 37 a testa. “L’utilizzo degli psicofarmaci all’interno dei Cpr è troppo spesso arbitrario, eccessivo e non focalizzato sulla presa in carico e sulla cura degli individui trattenuti, concorrendo ad aggravare la patogenicità di questi luoghi di detenzione”, osserva Cocco.

    Si registra inoltre un elevato consumo di derivati delle benzodiazepine, che dovrebbero essere utilizzate quando i disturbi d’ansia o insonnia sono gravi. A Roma in tre anni (2019, 2020 e 2021) sono state acquistate 3.480 compresse di Tavor su un totale di 2.812 trattenuti, cui si aggiungono, tra gli altri, 270 flaconi di Tranquirit da 20 millilitri e 185 fiale intramuscolo di Valium. Gli stessi farmaci li ritroviamo a Caltanissetta: 2.180 pastiglie di Tavor (più 29 fiale) tra il 2021 e il 2022; Zoloft (antidepressivo, 180 compresse); Valium e Bromazepam. Simile la situazione a Milano: tra ottobre 2021 e febbraio 2022 sono state acquistate, tra le altre, 27 scatole di Diazepam e 32 di Zoloft. Una “misura” del malessere che si vive nei centri è dato anche dall’alta spesa in paracetamolo, antidolorifici, gastroprotettori e farmaci per dolori intestinali. Un esempio su tutti: a Roma, in cinque anni, sono state acquistate 154.500 compresse di Buscopan su un totale di 4.200 persone transitate. In media, 36 pastiglie a testa quando un ciclo “normale” ne prevede al massimo 15.

    Un quadro eloquente in cui è fortemente problematica la compatibilità tra la permanenza della persona nel centro e l’assunzione di farmaci che prevedono precisi piani terapeutici. Qui entrano in gioco anche i professionisti assunti dall’ente gestore, che devono effettuare lo screening con cui si valuta lo stato di salute della persona trattenuta e l’eventuale necessità di visite specialistiche o terapie specifiche.

    A Milano gli psicofarmaci pesano per il 64% sul totale della spesa sanitaria. A Torino per il 44%, a Roma per il 51%. All’Isi di Vercelli appena per lo 0,6%

    Infatti, come previsto dallo schema di capitolato che disciplina i contratti d’appalto legati alla gestione dei Cpr italiani, “sono in ogni caso assicurati la visita medica d’ingresso [screening, ndr] nonché, al ricorrere delle esigenze, la somministrazione di farmaci e altre spese mediche”. Non è chiaro però, né dal capitolato né dalla nuova direttiva che regola diversi aspetti del funzionamento dei centri siglata il 19 maggio 2022 dal Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione, in seno al ministero dell’Interno, quali siano le modalità con cui avviene la somministrazione di farmaci e chi effettivamente si faccia carico dei relativi costi.

    Dunque ogni Cpr (e quindi ogni ente gestore e ogni prefettura) adotta le proprie prassi, anche in virtù dell’esistenza o meno di protocolli con le Asl che gli uffici del governo sarebbero obbligate a stipulare. Una disomogeneità che genera scarsa trasparenza. Un altro caso di scuola: a Milano la prefettura chiarisce come “i farmaci acquistati dall’ente gestore sono prescritti da personale sanitario dotato di ricettario del Servizio sanitario nazionale, in capo al quale ricadono i relativi costi”. L’Asl a sua volta, ricordando l’esistenza di un protocollo d’intesa stipulato con la Prefettura, riporta che i medici del Cpr possono avvalersi del ricettario regionale per tutto un elenco di prestazioni, ma “non per la prescrizione di farmaci ai cittadini stranieri irregolari”. Un cortocircuito.

    Se anche i farmaci venissero forniti seguendo attente prescrizioni e piani terapeutici il problema sarebbe comunque la compatibilità del trattenimento con le patologie delle persone. I “trattenuti” accedono infatti nei Cpr solamente dopo una “visita di idoneità alla vita in comunità ristretta”, che dovrebbe sempre essere svolta da un medico della Asl o dall’azienda ospedaliera. Secondo quanto stabilito dalla citata direttiva del maggio 2022 la visita di idoneità serve a escludere “patologie evidenti come malattie infettive contagiose, disturbi psichiatrici, patologie acute o cronico degenerative che non possano ricevere le cure adeguate in comunità ristrette”.

    La presenza tra le “spese” di antipsicotici, antiepilettici o di creme e gel che curano, ad esempio, la scabbia, sembra quindi un “controsenso”. “Se non si può arrivare a parlare di incompatibilità assoluta è perché il regolamento è un riferimento normativo secondario -sottolinea Maurizio Veglio, avvocato di Torino e socio dell’Asgi specializzato in materia di detenzione amministrativa-. Se una prescrizione legislativa specifica che persone con determinate patologie non possono stare nel centro e poi abbiamo percentuali di spesa così alte per farmaci ‘congruenti’ con quel profilo c’è una frizione molto forte”.

    “Nel Cpr la cura della salute non è affidata a medici e figure specialistiche che lavorano per il Ssn, bensì al personale assunto dagli enti gestori” – Nicola Cocco

    Una frizione che si traduce, concretamente, nella presenza di farmaci acquistati in diversi Cpr come Quetiapina, Olanzapina o Depakin, indicati nella terapia di schizofrenia e disturbo bipolare; Pregabalin (antiepilettico); Akineton, utilizzato per il trattamento del morbo di Parkinson (30mila compresse in due anni a Caltanissetta), piuttosto che il Rivotril. A Macomer, in provincia di Nuoro, l’ente gestore Ors Italia in una comunicazione rivolta alla prefettura il 9 settembre 2020 di cui abbiamo ottenuto copia scrive che la “comunità di persone trattenute è caratterizzata da soggetti con le più svariate criticità […]: tossicodipendenza, soggetti con doppia diagnosi (dipendenza e patologia psichiatrica, ndr), pazienti affetti da patologie dermatologiche”. Uomini e donne per cui non è problematizzato l’ingresso o meno nel centro. E il Servizio per le dipendenze patologiche territoriale (Serd), dal canto suo, ci ha fornito i piani di trattamento degli ultimi tre anni.

    Il metadone è presente anche nelle spese di Torino (circa 1.150 euro in quattro anni). Sempre nel capoluogo piemontese, nello stesso periodo, la spesa per la Permetrina, un gel antiscabbia, è di quasi 2.800 euro; una voce che si ritrova anche a Milano e Caltanissetta dove, nel 2022, sono stati acquistati 109 tubetti di Scabianil mentre a Roma, nel 2020, troviamo un farmaco per la tubercolosi (50 compresse di Nicozid). In tutti i Cpr in analisi troviamo anche antimicotici, legati a infezioni fungine (dermatologiche o sistemiche). “Se non c’è incompatibilità assoluta, l’idoneità non può essere valutata su una ‘normale’ vita comunitaria, ma va ‘calibrata’ sulla specificità di quello che sono quelle strutture -conclude Veglio-. A Torino, prima della sua momentanea chiusura a inizio marzo 2023 dormivano sette persone in 35 metri quadrati”. Luoghi definiti eufemisticamente come “non gradevoli” dal ministro dell’Interno Matteo Piantedosi a metà marzo 2023 a commento delle nuove regole sull’ampliamento della rete dei centri rispetto a cui le informazioni sono spesso frammentate o mancanti.

    Un tema che ritorna anche rispetto alla spesa sui farmaci. Due esempi: a Palazzo San Gervasio, struttura situata in provincia di Potenza e gestita da Engel Italia, secondo l’Asl nel 2022 la spesa totale è pari ad appena 34 euro (un dato costante dal 2018 in avanti) senza la presenza di psicofarmaci o antipsicotici. Un quadro diverso da quello descritto dai medici operanti all’interno del Centro che, secondo quanto riportato dall’Asgi in un report pubblicato nel giugno 2022, dichiaravano un “massiccio utilizzo di psicofarmaci (Rivotril e Ansiolin) da parte dei trattenuti”. Un copione che si ripete anche per il centro di Gradisca d’Isonzo, in provincia di Gorizia, già finito sotto i riflettori degli inquirenti. A metà gennaio 2023 è iniziato infatti il processo per la morte di Vakhtang Enukidze, 37 anni originario della Georgia, avvenuta il 18 gennaio 2020.

    Vakhtang Enukidze è morto nel Cpr di Gradisca d’Isonzo il 18 gennaio 2020 per edema polmonare e cerebrale causato da un cocktail di farmaci e stupefacenti

    Come ricostruito sul quotidiano Domani, l’autopsia ha accertato che la causa della morte è edema polmonare e cerebrale per un cocktail di farmaci e stupefacenti. Pochi mesi dopo, il 20 luglio 2020, Orgest Turia, 28enne originario dell’Albania, è morto per overdose di metadone. Due morti che danno ancor più rilevanza all’accesso ai dati. Ma sia l’Azienda sanitaria universitaria Giuliano Isontina (Asugi) sia la prefettura di Gorizia riferiscono ad Altreconomia di non averli a disposizione. In particolare, l’ufficio del governo sottolinea che “l’erogazione dei servizi non avviene tramite rendicontazione delle spese mediche affrontate”. Citando la “documentazione di gara” si specifica che le spese per i farmaci sono ricomprese “nell’ammontare pro-capite pro-die riconosciuto contrattualmente”. Buio pesto anche a Brindisi, Trapani e Bari.

    Qualche tribunale inizia però a fare luce. È il caso di Milano, dove a fine gennaio 2023 la giudice Elena Klindani non ha convalidato il prolungamento della detenzione di un ragazzo di 19 anni, rinchiuso in via Corelli da cinque mesi, perché “ogni ulteriore giorno di trattenimento comporta una compromissione incrementale della salute psicofisica per il sostegno della quale non è offerta alcuna specifica assistenza, al di fuori terapia farmacologica” e la salute del giovane “è suscettibile di ulteriore compromissione per via della condizione psicologica determinata dalla protratta restrizione della libertà personale”. Altro che “luogo non gradevole”.

    https://altreconomia.it/rinchiusi-e-sedati-labuso-quotidiano-di-psicofarmaci-nei-cpr-italiani
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    • Condizioni di detenzione nei Centri per il Rimpatrio - Conferenza stampa di #Riccardo_Magi
      https://webtv.camera.it/evento/22168

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      “Rinchiusi e sedati” alla Camera dei deputati grazie a @riccardomagi e @cucchi_ilaria che chiedono “spiegazioni urgenti” al ministro Piantedosi sull’abuso di psicofarmaci all’interno dei Cpr denunciato dall’inchiesta: “La verità è una sola, questi luoghi vanno chiusi”

      https://twitter.com/rondi_luca/status/1644003698765381632

    • “Perché i Centri di permanenza per il rimpatrio devono indignare”

      L’avvocata Giulia Vicini, socia dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione, conosce bene i Cpr e le condizioni di vita di chi vi è trattenuto. In particolare in quello di via Corelli a Milano. Luoghi di privazione della libertà, con garanzie inferiori a quelle della custodia in carcere. Stigmi cittadini. Il suo racconto

      Cpr. A dispetto del nome e dei nomi che lo hanno preceduto -Centro di permanenza temporanea (Cpt), Centro di identificazione ed espulsione (Cie), e ora l’acronimo sta per Centro di permanenza per il rimpatrio- si tratta di un luogo di privazione della libertà personale. La stessa struttura di questi centri lo dimostra: alte mura, filo spinato e telecamere sul perimetro. Presidio costante di almeno quattro corpi di forze dell’ordine: esercito, carabinieri, polizia di Stato e Guardia di Finanza.

      I francesi hanno trovato un nome per diversificare la privazione della libertà personale dei cittadini stranieri in attesa di rimpatrio dalla detenzione nelle carceri ed è “retention”. In Italia si parla di trattenimento amministrativo. Come lo si voglia chiamare, si tratta della stessa privazione della libertà personale a cui sono sottoposti coloro che sono stati condannati per avere commesso dei reati. Chi sta nel Cpr non può andare da nessuna parte e risponde a regole che sono proprie del carcere, nonostante siano diversi i presupposti per il trattenimento e anche le garanzie e le tutele del trattenuto.

      I trattenuti nel Cpr sono cittadini stranieri in attesa dell’espletamento delle procedure di esecuzione di un rimpatrio forzato. Tra i presupposti (quantomeno quelli previsti dalla legge) per il trattenimento presso il Cpr vi è quindi anzitutto di non avere o non avere più un titolo per soggiornare regolarmente nel territorio nazionale, un permesso di soggiorno. Prendendo in prestito uno degli alienanti nomi in voga nel dibattito pubblico, chi può essere trattenuto al Cpr è “irregolare”. O, peggio ancora, “clandestino”. Ma, sempre in forza delle norme di legge, l’irregolarità non è sufficiente perché si possa applicare la misura del trattenimento presso il Cpr. È anche necessario che lo straniero sia “espellibile”, che possa essere destinatario di un provvedimento di rimpatrio. Questo perché l’ordinamento nazionale prevede delle ipotesi in cui il cittadino straniero, pur non avendo un permesso di soggiorno, non può essere allontanato dal territorio nazionale. È il caso dei minori, delle donne in stato di gravidanza e -quantomeno fino alla recente riforma della protezione speciale- di coloro che avevano maturato in Italia dei legami famigliari o sociali significativi e degni di protezione.

      Ulteriore presupposto perché le autorità di pubblica sicurezza possano ricorrere al trattenimento è che il provvedimento di rimpatrio comminato possa essere eseguito con la forza. L’uso della forza e il trattenimento sono infatti previsti come ultima ratio per garantire l’esecuzione del rimpatrio. L’ordinamento disciplina delle misure alternative, meno afflittive della libertà personale, quali ad esempio l’obbligo di firma e il ritiro del passaporto.

      Questi i presupposti di legge. L’esperienza però ci mostra che nei Cpr vengono spesso trattenute persone inespellibili o che potrebbero avere accesso a misure alternative. Quello che è certo è che chi è trattenuto presso il Cpr non ha commesso alcun reato, o quantomeno non è trattenuto per avere commesso un reato. Il suo trattenimento è unicamente finalizzato a consentire alle autorità di pubblica sicurezza di rimuoverlo forzatamente dal territorio.

      Che il trattenimento nel Cpr non sia conseguenza di alcun reato è tanto più evidente se si considera che anche chi vi è trattenuto dopo avere espiato una pena in carcere non lo è per “pagare” una pena -appunto già pagata altrove- ma per essere identificato, in un sistema che si rivela incapace, o forse disinteressato a procedere all’identificazione e al riconoscimento durante la (spesso lunga) permanenza in carcere.

      Per riassumere, della popolazione del Cpr fanno parte coloro che entrano nel territorio senza un titolo per l’ingresso o il soggiorno o che entrano con un titolo trattenendosi però oltre la sua scadenza. Coloro che perdono un titolo di soggiorno spesso per cause non a loro imputabili, quali la perdita dell’occupazione. Ma anche i richiedenti asilo. Coloro che chiedono protezione internazionale perché in fuga da persecuzioni e guerre.

      Il decreto legge 20/2023 convertito in legge 50/2023 ha peraltro reso il trattenimento del richiedente asilo la norma ogni qualvolta la domanda è presentata “in frontiera”. Dove il concetto di frontiera si amplia a dismisura ricomprendendo territori scelti senza alcuna apparente ragione (si pensi ad esempio Matera) con la conseguenza che alla domanda di protezione presentata in questi territori seguirà un trattenimento. Le direttive europee prescrivono che il trattenimento del richiedente protezione debba rappresentare una misura eccezionale e che si debbano distinguere i luoghi di trattenimento perché diversi sono i presupposti e diverse le procedure e le garanzie. Nondimeno i richiedenti asilo possono essere trattenuti fino a dodici mesi negli stessi luoghi dei cittadini stranieri in attesa di esecuzione del rimpatrio.

      Quando e quanto si può essere trattenuti nel Cpr? Sul quando, si è già detto, lo straniero che viene portato al Cpr non è solo quello che è appena entrato in Italia ma anche quello che si trova nel territorio da moltissimi anni e che nel territorio ha costruito un percorso di vita. Sul quanto vale la pena interrogarsi perché la disciplina degli stessi termini del trattenimento dimostra l’esclusiva funzionalità alla conclusione di un procedimento -quello di espulsione- che molto spesso le autorità non portano a termine. La proroga del trattenimento, dopo i primi trenta giorni, può infatti essere consentita dal Giudice di pace solo se “l’accertamento dell’identità e della nazionalità ovvero l’acquisizione di documenti per il viaggio presenti gravi difficoltà”. Il trattenimento può essere prorogato per altri trenta giorni solo se risulta probabile che il rimpatrio venga eseguito. Il trattenimento non solo è funzionale all’esecuzione del rimpatrio ma anche spesso determinato da inefficienze o ritardi della Pubblica amministrazione.

      Dove si consuma il trattenimento ai fini del rimpatrio? Nonostante le nostre preoccupazioni e la nostra indignazione riguardino spesso, legittimamente, i Cpr, gli stranieri destinatari di misure di rimpatrio vengono trattenuti anche negli aeroporti. In quella Malpensa in cui i titolari di passaporto italiano transitano senza alcun ostacolo e in cui i cittadini stranieri a cui si contesta di “non avere i documenti in regola” al momento del loro arrivo vengono trattenuti anche fino a otto giorni, in aree sterili, senza vedere la luce del giorno e senza avere accesso ai loro oggetti personali, e poi vengono “accompagnati” all’aereo che li riporta a casa. Dall’entrata in vigore del decreto legge 113/2018 è inoltre possibile trattenere presso dei locali all’interno delle questure in attesa di rimpatrio. E negli uffici di via Montebello della questura di Milano questi locali esistono e vengono comunemente utilizzati.

      Infine, quello che forse più deve indignare è come si svolge il trattenimento. Ai trattenuti nel Cpr sono riconosciute garanzie inferiori a quelle della custodia in carcere, tanto nel procedimento che porta alla privazione della libertà, quanto nelle condizioni materiali di tale privazione. Il caso dell’utilizzo della forza pubblica per l’esecuzione del rimpatrio di cittadini stranieri è l’unico per cui -in alcune ipotesi- la legge nazionale esclude la necessità di una convalida giudiziaria. Questo vale per i respingimenti “immediati” ai valichi di frontiera e anche, con l’entrata in vigore del decreto legge 20/2023, per chi è destinatario di misure di espulsione di carattere penale. Anche dove una convalida giudiziaria è prevista, la stessa è molto al di sotto degli standard del giusto processo, con udienze che si svolgono da remoto, senza concedere ai legali adeguato tempo per conferire con l’assistito, e hanno una durata complessiva di poco più di un quarto d’ora. Nel procedimento di convalida, inoltre, opera spesso un’inversione de facto dell’onere della prova in cui lo straniero deve offrire prova documentale di tutto quello che deduce mentre sulle dichiarazioni rese dalla Questura, parte istante, si fa cieco affidamento.

      Quanto alle condizioni, l’ampia reportistica risultante dai sopralluoghi effettuati presso i Cpr è più che eloquente. Lo straniero trattenuto non riceve alcuna informativa sui diritti e sui servizi a cui ha titolo. Significativo è che lo stesso venga identificato e arrivando nella sala colloqui con l’avvocato si identifichi con un numero. Quando si iniziano a identificare le persone con i numeri la storia ci insegna che non si arriva mai a nulla di buono.

      https://altreconomia.it/perche-i-centri-di-permanenza-per-il-rimpatrio-devono-indignare

    • Abuso di psicofarmaci nei Cpr: perché la versione del ministro Piantedosi non sta in piedi

      Intervistato da Piazzapulita sulle terribili condizioni dei trattenuti nei Centri, il titolare del Viminale ha provato a confutare i risultati della nostra inchiesta “Rinchiusi e sedati”. Ma le sue tesi non reggono: dalla presunta richiesta dei reclusi all’ipotizzata presenza solo di persone con reati commessi durante la loro permanenza in Italia

      Giovedì 25 maggio su La7 la trasmissione Piazzapulita (https://www.la7.it/piazzapulita/video/inchiesta-esclusiva-di-piazzapulita-violenze-e-psicofarmaci-ai-migranti-dentro-a) il servizio di Chiara Proietti D’Ambra ha mostrato immagini inedite sulle condizioni di vita delle persone recluse nei Centri di permanenza per il rimpatrio italiani (Cpr). Il lavoro si è concentrato sulle strutture di Gradisca d’Isonzo (Gorizia) e palazzo San Gervasio (Potenza) dando conto anche dei risultati dell’inchiesta “Rinchiusi e sedati” pubblicata da Altreconomia ad aprile e che per la prima volta ha quantificato, dati alla mano, l’abuso di psicofarmaci in cinque delle nove strutture detentive attualmente attive in Italia.

      Le immagini e i dati sono stati mostrati anche al ministro dell’Interno Matteo Piantedosi che ha risposto alle domande della giornalista Roberta Benvenuto (https://www.la7.it/piazzapulita/video/piantedosi-se-cpr-gestiti-da-privati-in-modo-insoddisfacente-possibilita-di-gest). Risposte lacunose, giunte tra l’altro prima in televisione rispetto alle quattro interrogazioni parlamentari presentate più di un mese fa da diversi senatori e deputati e tuttora rimaste inevase.

      Il ministro ha spiegato di “escludere nella maniera più categorica che vi sia un orientamento della gestione dei Centri finalizzata alla sedazione di massa. C’è una richiesta da parte degli ospiti. Fare il confronto tra le prescrizioni all’esterno e all’interno delle strutture non ha senso perché è più facile che nei Cpr si concentrano persone per cui quel tipo di prescrizioni si rivela normale”. Come descritto nella nostra inchiesta, presentata alla Camera dei Deputati a inizio aprile con Riccardo Magi e Ilaria Cucchi, l’utilizzo di psicofarmaci rispetto a un servizio dell’Asl che prende in carico una popolazione simile è però spropositato: 160 volte in più a Milano, 127,5 a Roma, 60 a Torino e così via.

      Il confronto è nato esattamente dalla necessità di quantificare un utilizzo di cui neanche le prefetture hanno contezza per partire da un dato di realtà che vada oltre le testimonianze dei reclusi. Piantedosi dichiara che non è significativo questo confronto perché il “sovrautilizzo” è dovuto al fatto che all’interno dei centri vi sono delle persone per cui quei farmaci sono necessari. Ma nell’inchiesta abbiamo riscontrato un largo utilizzo di Quetiapina, Olanzapina o Depakin, indicati nel­la terapia di schizofrenia e disturbo bipolare; Pregabalin (antiepilettico); Akineton, utilizzato per il trattamento del morbo di Parkinson (30mila compresse in due anni a Caltanissetta); Rivotril.

      Se questi farmaci sono forniti tramite prescrizioni e non somministrati al di fuori di quanto previsto dal foglio illustrativo, significa nei centri si trovano persone con patologie psichiatriche gravi. Ma nel maggio 2022 una direttiva dello stesso ministero dell’Interno aveva specificato che la visita d’ingresso nel Centro per valutare l’idoneità alla “vita” in comunità ristretta nella struttura deve escludere “pato­logie evidenti come malattie infettive contagio­se, disturbi psichiatrici, patologie acute o croni­co degenerative che non possano ricevere le cure adeguate in comunità ristrette”. Delle due l’una: o le persone non possono stare nei Centri per la loro condizione sanitaria, oppure i farmaci vengono forniti off-label, senza cioè seguire un preciso piano terapeutico.

      Nel centro di via Corelli a Milano, nonostante il 60% delle scatole di farmaci acquistate in cinque mesi sia stato di psicofarmaci, le visite psichiatriche svolte in quasi due anni (quindi un periodo più lungo) sono state appena otto. Un altro segnale inquietante sulle modalità di utilizzo di questi psicofarmaci.

      Va ricordato inoltre che all’interno dei Cpr la cura della salute non è affidata a medici che lavorano per il Sistema sanitario nazionale ma da personale assunto dagli enti gestori sulla base di convenzioni ad hoc con prefetture e aziende sanitarie locali. “Il ruolo del monitoraggio si è dimostrato carente se non assente. Il ricorso a specialisti psichiatri e centri di salute mentale, per quanto garantito dalla normativa vigente, risulta spesso difficoltoso dal punto di vista burocratico e poco utilizzato -ha spiegato ad Altreconomia il dottor Nicola Cocco, esperto di detenzione amministrativa-. L’utilizzo degli psicofarmaci all’interno di molti Cpr è appannaggio del personale medico dell’ente gestore, che quasi sempre non ha alcune esperienza di presa in carico della patologia mentale e della dipendenza, tanto più in un contesto complesso come quello della detenzione amministrativa per persone migranti”.

      Questo aspetto è problematico anche rispetto alla “giustificazione” avanzata dal ministro Piantedosi rispetto alla richiesta da parte delle stesse persone recluse della somministrazione di questi farmaci. “Dal punto di vista medico la eventuale ‘richiesta’ dei trattenuti non giustifica nulla: gli psicofarmaci vengono somministrati a discrezione del personale sanitario. Sempre”, ricorda Elena Cacello, referente sanitaria del Centro salute immigrati di Vercelli (VC).

      La presunta richiesta dei reclusi -presentata come giustificazione risolutiva- conferma in realtà l’inefficienza del sistema. “Vi è spesso una gestione improvvisata di eventuali quadri di patologia mentale dei trattenuti -ribadisce Cocco-. Tale improvvisazione si manifesta attraverso la prescrizione arbitraria di psicofarmaci da parte dei medici degli enti gestori, in mancanza spesso di un percorso di presa in carico e cura, ma solo per la risoluzione del sintomo”. Un sintomo che, considerando che non può essere presente già all’ingresso nel Centro (che quindi dovrebbe escludere il trattenimento), insorge a causa delle pessime condizioni di vita nelle strutture -dove non è prevista alcuna attività, spesso neanche nella disponibilità del proprio telefono cellulare- e dettato anche dalla necessità di “tenere buoni” i reclusi. “Un altro aspetto può ‘spiegare’ questo sovrautilizzo di psicofarmaci a scopo sedativo o tranquillizzante funziona: la somministrazione funziona come una vera e propria ‘camicia di forza farmacologica’ nei confronti delle persone trattenute, al fine di evitare disordini e, non meno importante, l’intervento diretto delle forze di polizia; è evidente come in questo caso l’utilizzo degli psicofarmaci non ha una rilevanza clinica per le persone interessate, bensì di sostegno all’apparato di polizia”.

      Il ministro ha dichiarato poi che “all’interno dei Cpr tutte le prestazioni sanitarie sono nella normalità garantite, controllate e monitorate”. Un dato smentito da diverse testimonianze di avvocati e attivisti che si occupano di detenzione amministrativa ma soprattutto da sentenze di tribunali.

      Partiamo da quella della giudice Elena Klindani che a fine gennaio 2023 non ha prorogato il trattenimento di un ragazzo di 19 anni rinchiuso in via Corelli a Milano da cinque mesi perché “ogni ulteriore giorno di trattenimento comporta una compromissione incrementale della salute psicofisica per il sostegno della quale non è offerta alcuna specifica assistenza, al di fuori terapia farmacologica” e la salute del giovane “è suscettibile di ulteriore compromissione per via della condizione psicologica determinata dalla protratta restrizione della libertà personale”. Per avere una panoramica completa di quello che succede è utile leggere, tra gli altri, “Il Libro nero del Cpr di Torino”, a cura dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi) che racconta “quattro casi di ordinaria ferocia” di persone trattenute nel Cpr da Torino che danno conto dell’insufficiente garanzia rispetto alle cure sanitarie di cui necessitano i trattenuti e il lavoro di denuncia dell’Associazione Naga, con sede a Milano, che da diversi anni segnala la scarsa tutela della salute all’interno del centro di via corelli. E poi i lavori della rete Mai più Lager-No ai Cpr e di LasciateCIEntrare.

      Moussa Balde, Wissem Abdel Latif, Vakhtang Enukidze sono solo alcuni dei nomi delle oltre 30 persone morte nei Cpr. Sul suicidio di Balde e di Enukidze sono tutt’ora in corso procedimenti penali, rispettivamente a Torino e a Trieste, per accertare le responsabilità di chi aveva in custodia i due giovani. Di fronte a questo quadro il titolare del Viminale ha parlato di “salute garantita” e dichiarato, solo a seguito dell’insistenza della giornalista, che è “possibile, probabile” che siano necessari più controlli.

      https://www.youtube.com/watch?v=OQF1F1lyFRY&embeds_referring_euri=https%3A%2F%2Faltreconomia.it%2F&

      Infine il ministro ha sottolineato che nei Cpr sarebbero presenti solamente persone con reati commessi durante la loro permanenza in Italia per una “prassi che si è consolidata negli anni”. “L’articolo 32 sul diritto alla salute è garantito a tutti, a prescindere dal loro passato”, ha giustamente risposto in studio lo psicoterapeuta Leonardo Mendolicchio.

      Ma il punto è che quanto detto da Matteo Piantedosi è falso. Secondo dati ottenuti da Altreconomia, e forniti proprio dal ministero dell’Interno, nel 2021 sono state 987 le persone che hanno fatto ingresso nei Cpr direttamente dal carcere: il 19% del totale di 5.174 trattenuti. Una percentuale a cui vanno certamente aggiunti coloro che hanno precedenti penali e vengono rintracciati sul territorio successivamente alla loro scarcerazione ma che comunque smentisce la versione governativa.

      Il ministro dichiara che non voler “rinforzare il sistema di espulsione e rimpatrio” sarebbe “omissivo” da parte di qualsiasi governo. Negli ultimi quattro anni la percentuale delle persone trattenute effettivamente rimpatriate ha superato il 50% solo nel 2017: questi centri non raggiungono quindi nemmeno l’obiettivo per cui sarebbero stati creati, sulla carta. La presunta omissione non passa dall’esistenza di queste strutture.

      Piantedosi ha poi paradossalmente auspicato una “collaborazione da parte degli ospiti” perché terribili scene come quelle mostrate nel servizio non avvengano più. Quasi a dire che i diritti fondamentali fossero materia da elargire, a mo’ di premio al merito, e non invece da garantire punto e basta. “Il Cpr è psicopatogeno di per sé e come sistema -conclude Cocco-. Le proteste sono legittime, sono un diritto. Chiedere più collaborazione è quasi come impedire a qualcuno di poter fare lo sciopero della fame: utilizzare il proprio corpo è la extrema ratio che si ha per manifestare il proprio malessere. Tocca allo Stato evitare che le persone si facciano male o muoiano. Non certo ai reclusi”. Che il ministro, nella lunga sequela di falsità, chiama “ospiti”.

      https://altreconomia.it/abuso-di-psicofarmaci-nei-cpr-perche-la-versione-del-ministro-piantedos

    • Pioggia di ansiolitici al Cpr di #Palazzo_San_Gervasio per rendere innocui i reclusi

      Oltre 2.800 pastiglie in appena sei mesi per poco più di 400 trattenuti transitati: i dati inediti sulla struttura in provincia di Potenza. La Procura intanto indaga sulla gestione di Engel Italia. Gli psicofarmaci sarebbero serviti a “neutralizzare ogni possibile lamentela per le condizioni disumane in cui spesso si trovavano a vivere le persone”

      Una scatola di psicofarmaci per ogni persona che è entrata al Cpr di Palazzo San Gervasio tra gennaio e luglio 2022. I dati inediti ottenuti da Altreconomia fotografano l’abuso dell’antiepilettico Rivotril e di benzodiazepine all’interno della struttura, su cui sta indagando anche la Procura di Potenza. “Le situazioni di degrado e non conformità al rispetto della persona umana e dei diritti in cui si trovavano a vivere i reclusi -scrivono gli inquirenti nell’ordinanza applicativa di misure cautelari di fine dicembre 2023 rivolta, tra gli altri, ad Alessandro Forlenza amministratore di fatto della Engel Italia Srl, che ha gestito il centro dal 29 ottobre 2018 al 23 giugno 2023- venivano lenite dall’uso inappropriato di farmaci sedativi volti a rendere gli ospiti innocui e quindi neutralizzare ogni loro possibile lamentela per le condizioni disumane in cui spesso si trovavano a vivere”.

      In sei mesi di spesa, da gennaio a luglio 2022, il 38% delle 791 scatole di farmaci acquistati erano psicofarmaci, per un totale di oltre 2.800 tra compresse e capsule e 1.550 millilitri in fiale o flaconi. Numeri esorbitanti se si considera che, secondo i dati della prefettura, la presenza media in struttura è stata di 70 persone con circa 400 transiti in sei mesi. Tra i farmaci acquistati troviamo soprattutto sedativi e ansiolitici come il Diazepam (65 scatole), l’Alprazolam (45), Tavor (14) ma anche Rivotril (77 confezioni), un antiepilettico con importanti effetti secondari di stordimento. “Tale farmaco veniva acquistato sistematicamente in quantità tali da non rimanere mai senza copertura -ha spiegato una delle operatrici sentite dalla Procura di Potenza-. Senza Rivotril sarebbe scoppiata la rivolta”.

      Gli inquirenti hanno così focalizzato la loro attenzione, rispetto all’operato della Engel Italia Srl, società madre di Martinina Srl, sotto indagine a Milano per presunte frodi nella gestione del Cpr di via Corelli, anche sull’utilizzo smodato degli psicofarmaci. Per diversi motivi. L’antiepilettico “Rivotril” dovrebbe essere utilizzato off-label, quindi al di fuori dei casi in cui la persona soffre di epilessia, solo laddove non vi siano “valide alternative terapeutiche” e in ogni caso con l’acquisizione del consenso della persona di cui, però, secondo la Procura, non vi sarebbe “alcuna traccia”.

      “Risulta che l’uso del medicinale -come si legge nell’ordinanza di custodia cautelare- prescindeva dalla volontà del paziente e corrispondeva alla specifica necessità di controllare illecitamente l’ordine pubblico interno da parte della Engel”. Che per la gestione del centro ha ricevuto oltre 2,8 milioni di euro dalla prefettura di Potenza.

      Un problema di quantità ma anche di modalità di somministrazione e prescrizione. La direzione dell’ente gestore, sempre stando alle ricostruzioni degli inquirenti, avrebbe richiesto “a seconda delle esigenze” di ridurre le dosi “per risparmiare sui costi del farmaco” allungando i flaconi con l’acqua. Ma non solo. Due medici operanti all’interno del Cpr sarebbero indagati per la redazione di “false ricette per la dispensazione dei predetti farmaci a carico del Servizio sanitario nazionale”.

      Con riferimento sempre agli psicofarmaci, “su 2.635 confezioni dispensate tra gennaio 2018 e agosto 2019 dai due medici ben 2.235 erano destinati a pazienti identificati con Stp (codice fiscale per chi non ha un permesso di soggiorno, ndr) e quindi presumibilmente ospitati presso il Cpr di Palazzo San Gervasio”. Con un dettaglio non di poco conto. Diverse prescrizioni sarebbero state destinate a soggetti, ordinanza alla mano, che erano già usciti dal Cpr. Un modo, presumibilmente, per continuare ad acquistare scatole di farmaci gravando sul sistema sanitario nazionale e non sull’ente gestore.

      I dati ottenuti da Altreconomia sui farmaci comprati dalla Engel Italia Srl potrebbero quindi essere solo una fetta di quelli somministrati perché riguardano quelli per cui la società ha chiesto rimborso dalla prefettura. Ma escludono quelli “passati” dall’azienda sanitaria. Rispetto a cui, però, i conti non tornano: nella nostra inchiesta “Rinchiusi e sedati” pubblicata ad aprile 2023 si è dato conto del riscontro dell’Asl territoriale che ha dichiarato importi bassissimi. Nei primi dieci mesi del 2022 in totale 19 prescrizioni e 34,7 euro di farmaci destinati al Cpr. Qualcosa, stando anche ai dati della Procura, non torna.

      Oltre agli psicofarmaci -tra cui troviamo anche la Quetiapina, antipsicotico prescrivibile per gravi patologie psichiatriche- nei farmaci acquistati dalla Engel si trovano diverse tipologie di farmaci acquistati che raccontano della presenza all’interno della struttura di persone dalla salute precaria. Due esempi su tutti: la Spiriva, prescrivibile per la broncopneumopatia, una malattia dell’apparato respiratorio caratterizzata da un’ostruzione irreversibile delle vie aeree e il Palexia, usato per il trattamento del dolore cronico grave in adulti che possono essere curati adeguatamente solo con antidolorifici oppioidi.

      Dal 20 giugno 2023 Engel Italia Srl non è più l’ente gestore del Cpr di Palazzo San Gervasio. Ad aggiudicarsi il nuovo appalto per 128 posti, con importo a base d’asta di 2,2 milioni di euro, è stata #Officine_Sociali, cooperativa di Priolo Gargallo in provincia di Siracusa. Officine Sociali ha partecipato a diverse gare per la gestione di Cpr e grandi strutture di accoglienza nel corso degli anni, finendo per aggiudicarsi la gestione dell’hotspot di Taranto e Pozzallo; per quest’utimo ha incassato, da inizio dicembre 2021 a giugno 2023, oltre 1,3 milioni di euro. Pochi mesi prima della gara indetta dalla prefettura di Potenza per la gestione del Cpr, Officine sociali costituiva un “raggruppamento temporaneo di imprese” con Martinina Srl, la nuova “creatura” di Forlenza, per aggiudicarsi la gara per la gestione del Cpr di Gorizia. Un anno prima, le due società avevano gareggiato insieme per vincere l’appalto di Torino. Una sinergia di intenti.

      Tornando alla gestione di #Engel_Italia Srl “il livello di assistenza e di cura”, secondo la Procura, sarebbe stato “insufficiente a garantire loro le modalità di trattenimento idonee ad assicurare la necessaria assistenza ed il pieno rispetto della dignità umana”. Il servizio medico sarebbe stato garantito 4.402 ore in meno di quanto, quello infermieristico di più di 11mila in meno nel periodo compreso tra febbraio 2021 al 31 ottobre 2022. “Nell’ambulatorio è sempre mancata l’acqua corrente”, si legge nell’ordinanza. Per la gestione del Cpr di Potenza sono indagati anche dottori, due albergatori della zona, un commissario e due ispettori di polizia. “Gli ospiti apparivano infatti molto provati proprio dal contesto in cui si trovavano a vivere -ha raccontato un’operatrice sentita dalla Procura-. Dopo qualche settimana di permanenza alcuni di loro cominciavano a sviluppare comportamenti ossessivi come il camminare in cerchio”.

      A Milano intanto si verificano nuove proteste e violenze sui trattenuti nonostante il commissariamento, così come a Caltanissetta, dove la condizione di vita nelle strutture è insostenibile (un video dall’interno lo dimostra) fino ad arrivare Trapani, con la condanna del governo italiano da parte della Corte europea per i diritti dell’uomo per trattamenti inumani e degradanti a danni di un recluso nel Cpr. Tutto questo a meno di una settimana di distanza dal suicidio di Ousmane Sylla che ha acceso i riflettori sull’attuale gestione da parte di Ors Italia della struttura di Ponte Galeria a Roma. Intanto il ministero dell’Interno resta in silenzio: a “camminare in cerchio” sembra non essere solamente chi è trattenuto. Perché il sistema Cpr non va messo in discussione.

      https://altreconomia.it/pioggia-di-ansiolitici-al-cpr-di-palazzo-san-gervasio-per-rendere-innoc

  • Ouvriers sans-papiers, sécurité déplorable, l’organisation des Jeux Olympiques de Paris pointée du doigt Par Jérôme Jordens - RTBF
    https://www.rtbf.be/article/ouvriers-sans-papiers-securite-deplorable-lorganisation-des-jeux-olympiques-de-

    Les voix s’étaient élevées, à juste titre, pour dénoncer les conditions de travail sur les chantiers qataris pour construire les stades de la Coupe du monde 2022. Problèmes de sécurité, ouvriers sans papiers, les problèmes dénoncés ne sont cependant pas seulement visibles au Qatar.


    Le quotidien français Libération révélait ce mardi que les chantiers des Jeux Olympiques de Paris, qui se dérouleront en 2024, ne sont pas exempts de ces reproches. Le quotidien français a rencontré dix sans-papiers maliens qui ont travaillé sur différents chantiers pour différentes sociétés sous-traitantes, dont des grands noms de la construction comme de Vinci GCC Construction ou Spie Batignoles.

    « Les Français ne veulent pas faire ce travail. Sur le chantier, il n’y a presque que des étrangers. Des Pakistanais pour l’électricité, des Arabes pour la plomberie, des Afghans pour la maçonnerie… Les blancs, ce sont ceux qui sont dans les bureaux », explique à Libération Moussa (prénom d’emprunt), porte-parole d’un groupe d’une dizaine de sans papiers maliens qui travaillent sur les chantiers des JO 2024. Pour être embauchés, la plupart utilise les papiers d’amis ou d’un membre de la famille en règle.

    Une problématique dont sont conscients les organisateurs qui précisent cependant avoir pris des mesures pour tenter de mettre fin à ce travail illégal. « On retrouve sur les chantiers des JO des pratiques qu’on retrouve par ailleurs dans le secteur du bâtiment, mais on a un dispositif de surveillance un peu plus développé, avec un comité présent sur les chantiers, doté d’une permanence. Ça nous permet de repérer des cas », indique Bernard Thibault, membre du comité d’organisation au quo. Il admet cependant que certaines pratiques permettent à « des entreprises de passer entre les mailles du filet ».

    Le problème, c’est que le nombre d’entreprises présentent sur les chantiers est énorme et que les sous-traitants sont nombreux. Il peut dès lors être compliqué de refaire tout le trajet des paiements. « Celle qui paye n’est pas forcément celle qui est sur le chantier. A tel point qu’il est impossible de s’assurer de quelle est la boîte qui les embauche » , explique Jean-Albert Guidou, secrétaire général de l’union locale de CGT de Bobigny

    Le bâtiment, c’est une façon pour ces sans-papiers de gagner un peu d’argent pour pouvoir vivre. « Pour vivre ici quand tu n’as pas de papiers, ce n’est pas du tout facile alors on préfère travailler dans le bâtiment plutôt que de faire des choses pas bien », explique Moussa.

    Le village olympique, à l’Ile-Saint-Denis, la piscine Marville, ils étaient présents sur ces chantiers et ont travaillé pour un peu plus de 80 euros non déclarés par jour, dans des conditions déplorables : « On n’a aucun droit. On n’a pas de tenue de chantier, pas de chaussures de sécurité fournies, on ne nous paye pas le pass Navigo, o n’a pas de visite médicale et même pas de contrat » , regrette Moussa.

    Abdou, un autre travailleur sans papier, met, lui, le problème sur les éventuelles indisponibilités ou accidents : « Si tu tombes malade ou que tu te blesses, le patron te remplace le lendemain » . Une situation intenable qui pose question sur l’entièreté du système. Un débat s’est d’ailleurs ouvert ce mardi à l’Assemblée nationale et porte sur un nouveau projet de loi immigration qui pourrait, peut-être, permettre à Moussa et ses collègues de régulariser leur situation.

    L’article de libération, payant : https://www.liberation.fr/societe/sans-papiers-sur-les-chantiers-les-jeux-olympiques-ne-pourraient-pas-se-f

    #jo #jeux_olympiques #Paris #vinci #infrastructures #btp #conditions_de_travail #spie-batignolles #sous-traitance #sans-papiers Merci à madame #anne_hidalgo du #ps #ville_de_paris

  • La #France assume de délivrer des #OQTF à des personnes non expulsables

    L’attaque qui a fait six blessés, dont un grièvement, mercredi 11 janvier, à la gare du Nord à Paris, aurait été perpétrée par une personne étrangère en situation irrégulière, qui pourrait être de nationalité libyenne ou algérienne, selon les derniers éléments communiqués par le parquet de Paris. Des sources policières n’ont pas tardé à préciser que l’auteur des faits faisait l’objet d’une obligation de quitter le territoire français (OQTF), signée l’été dernier par une préfecture en vue d’un renvoi vers la Libye, comme le confirme le ministère de l’intérieur auprès de Mediapart.

    L’affaire vient une nouvelle fois démontrer les obsessions du ministère de l’intérieur en matière de chiffres concernant les expulsions. Si l’on ignore encore le profil et les motivations de l’individu interpellé – deux proches de son entourage ont été entendus jeudi –, il s’avère que l’OQTF dont il faisait l’objet n’avait pas été exécutée, puisque l’instabilité que connaît la Libye et le manque de relations diplomatiques avec ce pays ne permettent pas de renvoyer qui que ce soit là-bas.

    Sans surprise, l’extrême droite n’a pas tardé à s’exprimer : « Le nombre de clandestins sous le coup d’une OQTF impliqués dans des actes criminels se multiplie. La future loi sur l’immigration devra apporter une réponse ferme et déterminée à cette menace exponentielle. Nous y veillerons », a tweeté Marine Le Pen en réaction à un article de BFMTV, indiquant que l’individu était connu des services de police pour des faits de droit commun, « principalement des atteintes aux biens ».

    « L’assaillant de la gare du Nord qui a blessé six personnes faisait l’objet d’une OQTF et aurait crié “Allah Akbar” au moment des faits. Quand ces OQTF seront-elles enfin exécutées ? », a réagi de son côté Éric Ciotti, sans prendre la moindre précaution quant aux propos prononcés, qui pour l’heure ne sont pas avérés.

    Le parquet de Paris, qui a ouvert une enquête pour « tentative d’assassinat » et confié les investigations à la police judiciaire, confirme ses antécédents mais se montre prudent. « L’identification précise du mis en cause est en cours, ce dernier étant enregistré sous plusieurs identités dans le fichier automatisé des empreintes digitales alimenté par ses déclarations au cours de précédentes procédures dont il a fait l’objet », indique un communiqué de la procureure de Paris. « Il pourrait s’agir d’un homme né en Libye ou en Algérie et d’une vingtaine d’années, dont l’âge exact n’est pas confirmé. »

    Un profil ni régularisable ni expulsable.

    Le ministère de l’intérieur

    Une question subsiste : pourquoi délivrer une OQTF à un ressortissant supposé être libyen, lorsque l’on sait qu’on ne peut expulser vers la Libye ?

    Interrogé à ce sujet, le ministère de l’intérieur s’explique, tout en soulignant que l’enquête est toujours en cours : « L’individu est a priori libyen. La Libye étant un pays instable et en guerre, il n’y a pas d’éloignement vers ce pays. L’OQTF est la conséquence d’une situation administrative irrégulière. En l’absence de droit au séjour, elle est appliquée par les services. En l’espèce, il s’agit d’un profil ni régularisable ni expulsable. »

    L’objectif est de prendre une OQTF malgré tout, poursuit le ministère, afin que l’individu « puisse être expulsé dès que la Libye sera stabilisée ».

    Depuis plusieurs années, outre la Libye, la France n’expulse plus vers un certain nombre de pays comme la Syrie, l’Afghanistan ou plus récemment l’Iran, considérant que la situation de ces pays, ravagés par les guerres, les conflits, l’instabilité ou la répression, ne permettent pas de garantir la sécurité des personnes éloignées. Parce qu’il est trop compliqué, aussi, d’obtenir les laissez-passer consulaires nécessaires au renvoi d’un ressortissant de ces pays lorsque les relations diplomatiques sont rompues.

    Il n’existerait pas de liste « officielle » des pays vers lesquels on ne renvoie pas, bien que des associations d’aide aux étrangers plaident pour que ce soit le cas et pour qu’une position claire soit adoptée par les autorités. « On ne peut pas prononcer des OQTF à des ressortissants tout en sachant qu’on ne peut pas les expulser, en arguant qu’on ne peut pas négocier avec les talibans ou Bachar al-Assad, c’est absurde », commente un représentant associatif.

    Selon des sources associatives, au moins 44 personnes se déclarant de nationalité libyenne ont ainsi été enfermées en rétention en 2022, contre 119 en 2021 et 110 en 2020. Aucun ressortissant libyen n’a été expulsé vers la Libye au cours des dernières années, assure le ministère de l’intérieur.

    De plus en plus d’Afghans font aussi l’objet d’une OQTF et sont placés en centre de rétention administrative (CRA), ces lieux de privation de liberté où sont enfermés les sans-papiers en attente de leur éloignement (90 jours au maximum avant d’être libérés). Début 2022, l’association La Cimade craignait des expulsions « par ricochet » (voir ici ou là), c’est-à-dire des renvois de ressortissants afghans vers des pays n’ayant pas suspendu les expulsions vers l’Afghanistan (c’était le cas, par exemple, de la Bulgarie).

    Des ressortissants syriens, comme a pu le documenter Mediapart, se voient eux aussi délivrer des OQTF et sont placés en CRA pendant des jours alors même qu’ils ne sont pas expulsables. Marlène Schiappa le réaffirmait d’ailleurs sur France Inter fin novembre dernier : la France « ne renvoie pas quelqu’un vers la Syrie ».

    Cela n’a pas empêché non plus la préfecture de l’Aude de prononcer une OQTF contre une ressortissante iranienne, qui avait pourtant fui la répression qui sévit dans son pays face au mouvement de révolte des femmes, lui enjoignant de quitter le territoire français et de « rejoindre le pays dont elle possède la nationalité ».
    Une stratégie contradictoire avec les objectifs du gouvernement

    Ces OQTF précarisent les étrangers et étrangères qu’elles visent, les contraignant à vivre dans l’ombre et dans la crainte du moindre contrôle, y compris lorsqu’ils et elles se rendent sur leur lieu de travail.

    Ces personnes sont aussi conscientes que l’OQTF est bien souvent associée à la notion de délinquance, alors même que beaucoup n’ont rien à se reprocher. Un système « contre-productif » aux yeux de l’avocat Stéphane Maugendre, spécialiste en droit des étrangers et en droit pénal, qui « surprécarise les personnes parfaitement insérées en France », mises en difficulté dans chaque petit acte du quotidien et aujourd’hui stigmatisées par les discours répétés de Gérald Darmanin visant à faire un trait d’union entre OQTF et délinquants dits étrangers.

    En guise d’exemple, l’avocat cite le cas récent de deux de ses clients, victimes du caractère aujourd’hui systématique de la délivrance des OQTF : l’un était déjà en cours de recours au tribunal administratif, l’autre avait déposé une demande d’admission exceptionnelle au séjour en préfecture et travaille dans un métier en tension – il pourrait donc être concerné par la future mesure voulue par Gérald Darmanin dans le projet de loi immigration à venir, censé permettre de régulariser plusieurs milliers de sans-papiers qui répondent à certains critères (lire notre analyse).

    Dans une course aux chiffres, les autorités continuent de délivrer toujours plus d’OQTF, et tant pis si, dans le lot, un certain nombre de personnes ne peuvent être éloignées du territoire. Une stratégie contradictoire avec les objectifs que se sont fixés le chef de l’État et son gouvernement concernant le taux d’exécution de ces OQTF, qu’ils aimeraient voir augmenter. En 2019, Emmanuel Macron promettait même, dans une interview à Valeurs actuelles, d’exécuter 100 % des OQTF – un objectif intenable.

    Plus récemment, son ministre de l’intérieur, Gérald Darmanin, donnait aux préfets pour instruction de « prendre des OQTF à l’égard de tout étranger en situation irrégulière, à l’issue d’une interpellation ou d’un refus de titre de séjour », et se réjouissait « d’améliorer le résultat » concernant le nombre d’OQTF exécutées en 2022, en hausse de 22 % à la date de novembre dernier.

    « En 2021, la France est le pays d’Europe qui a le plus expulsé », s’est aussi vantée, sur France Inter, l’ex-secrétaire d’État chargée de la citoyenneté, Marlène Schiappa. Mais cette surenchère sur la délivrance d’OQTF pourrait avoir enfermé le gouvernement dans une spirale infernale. Soumises à des injonctions contradictoires, les préfectures sont poussées à délivrer des obligations de quitter le territoire sans même étudier les cas particuliers – ces mêmes cas qui ne peuvent, de fait, pas contribuer à améliorer le taux d’exécution des OQTF puisqu’il s’agit de personnes non expulsables.

    Pour Me Stéphane Maugendre, le ministère de l’intérieur et les préfectures sont « tombés dans une sorte de piège » : « Ils ont multiplié les OQTF, de manière systématique, pour pouvoir dire que des mesures d’éloignement sont prises. Sauf que plus il y a d’OQTF délivrées, moins leur taux d’exécution a de chance d’augmenter, parce que derrière, il y a des contingences matérielles et il faut des moyens colossaux pour y arriver. »

    Une analyse qui se retrouve dans les chiffres, notamment entre 2016 et 2019, période durant laquelle le nombre d’OQTF prononcées bondit de 50,4 % pour atteindre 122 839 OQTF par an, tandis que leur taux d’exécution chute de près de 10 points, passant de 14,3 % à 4,8 %. Si les chiffres enregistrent une forte baisse en 2020 et en 2021, c’est lié à la crise sanitaire du Covid-19, qui n’a pas permis d’éloigner les personnes en situation irrégulière.

    Certains États, notamment du Maghreb, rechignent aussi à délivrer les laissez-passer consulaires nécessaires, entraînant alors un véritable bras de fer entre les autorités de ces pays et Paris. La France a choisi d’instaurer un « chantage » aux visas pour les obtenir, et, un an plus tard, la stratégie semble avoir payé pour l’Algérie, qui reprend plus facilement ses ressortissants aujourd’hui – la sœur de la meurtrière présumée de la petite Lola a d’ailleurs été expulsée vers l’Algérie mi-décembre, a-t-on appris via l’AFP. Le 19 décembre, un retour à la normale a depuis été annoncé par Gerald Darmanin pour l’octroi des visas aux Algérien·nes.

    Également président honoraire du Groupe d’information et de soutien aux immigré·s (Gisti), Stéphane Maugendre estime que les OQTF sont devenues la « nouvelle tendance », notamment depuis le meurtre de Lola, dont la meurtrière présumée était une ressortissante algérienne sous OQTF. « On qualifie désormais les personnes au regard de leur situation administrative, on parle automatiquement de l’OQTF dont ils font l’objet, qui, faut-il le rappeler, n’est pas une mesure d’expulsion mais une décision prise par la préfecture demandant à la personne de quitter le territoire français. »

    Une politique qui ne fait qu’alimenter le discours de l’extrême droite, qui scrute désormais les moindres faits divers impliquant une personne étrangère sous OQTF et en fait la recension sur les réseaux sociaux, surtout pour réclamer l’arrêt pur et simple de l’immigration en France. « Derrière la politique du gouvernement, l’extrême droite, dont le Rassemblement national, vient dire que le taux d’exécution des OQTF est trop bas, complète Me Maugendre. Gérald Darmanin est obligé de surenchérir et d’annoncer une loi qui permettra de réduire les délais et le nombre de recours. L’État crée une crise de toutes pièces et justifie ensuite sa loi pour la résoudre. »

    https://www.mediapart.fr/journal/france/130123/la-france-assume-de-delivrer-des-oqtf-des-personnes-non-expulsables

    #politique_du_chiffre #expulsions #asile #migrations #réfugiés #sans-papiers #obsession #profil_ni_régularisable_ni_expulsable #réfugiés_libyens #réfugiés_afghans #détention_administrative #rétention #chiffres #statistiques #réfugiés_syriens #expulsabilité #précarisation #criminalité #régularisation #exécution #laissez-passer_consulaires #taux_d'exécution #chantage #visas #extrême_droite

    ping @karine4

  • Vienne : le sauveteur albanais d’une octogénaire récompensé… par une expulsion
    https://www.lanouvellerepublique.fr/poitiers/vienne-le-sauveteur-albanais-d-une-octogenaire-recompense-par-u

    Un an après son acte de courage, c’est une expulsion du territoire français qui se profile pour Roland Aliu et ses proches.

    Le jeune Albanais s’était distingué en février 2022 en sauvant une octogénaire du quartier des Trois-Cités de l’incendie de sa maison. Les sauveteurs de la Vienne lui avaient remis, dans les salons de la préfecture de la Vienne, la médaille d’or pour cet acte de courage en juillet dernier.
    « Un mois pour quitter le territoire français »

    Il espérait depuis recevoir une bonne nouvelle avec un titre de séjour en bonne et due forme pour lui et ses proches. Raté, le courrier préfectoral qui est arrivé le 9 décembre dernier dans la boîte aux lettres familiales ne venait pas concrétiser cette espérance.

    « Ils nous donnent un mois pour quitter le territoire français, nous confirme ce mardi 3 janvier 2023 Roland Aliu. Mon père, ma mère et mon petit frère sont aussi visés. Je ne comprends pas. J’avais écrit au président de la République et au ministère de l’Intérieur. Les deux ont répondu qu’ils ne pouvaient rien faire directement, que c’était traité par le préfet de la Vienne. »

    Préfet qui va recevoir une médaille pour son zèle.

  • Dans la campagne bretonne, 17 travailleurs #sans-papiers réduits en #esclavage

    https://www.streetpress.com/sujet/1671124203-bretagne-17-travailleurs-sans-papiers-reduits-esclavage-just

    Trois personnes et une entreprise sont condamnées pour avoir exploité et hébergé dans des logements indignes 17 #travailleurs sans-papiers dans le #Finistère. En charge de l’enquête, la #police_aux_frontières (Paf) a voulu enterrer l’affaire.

    #exploitation #exploitation_agricole

  • TEMOIGNAGES. Projet de loi immigration : ces patrons de PME « obligés de recruter des #sans-papiers », faute de main-d’œuvre
    https://www.francetvinfo.fr/societe/immigration/temoignages-projet-de-loi-immigration-ces-patrons-de-pme-obliges-de-rec

    Le gouvernement envisage de mettre en place des titres de séjour pour ceux spécialisés dans les « métiers en tension ». Pour certains chefs d’entreprises, la mesure permettrait de trouver plus facilement des candidats ou de régulariser des employés.

  • #Sulla_loro_pelle”, l’inchiesta sui CPR che ha vinto il Premio Morrione
    Un documentario di #Marika_Ikonomu#Alessandro_Leone#Simone_Manda

    Ha vinto l’undicesima edizione del Premio Roberto Morrione per il giornalismo investigativo, l’inchiesta “Sulla loro pelle” di Marika Ikonomu, Alessandro Leone, Simone Manda (tutor Sacha Biazzo di Fanpage.it) che ha investigato l’opacità della gestione privata dei Centri di Permanenza per il Rimpatrio e le ripercussioni sui diritti basilari delle persone migranti.

    «L’inchiesta “Sulla loro pelle” dà voce agli ultimi con equilibrio e forza narrativa attraverso immagini e testimonianze, con maturità professionale e attenzione al linguaggio visivo e narrativo. Un lavoro toccante, di attualità, sempre più necessario, che tiene accesa l’attenzione su un tema, quello dei Centri di Permanenza per i Rimpatri, veri e propri luoghi di detenzione di cui si parla sempre troppo poco» sono le motivazioni della giuria.

    I Cpr sono appunto luoghi di detenzione amministrativa destinati al rimpatrio delle persone migranti. Anche se non sono ufficialmente delle carceri, le condizioni di vita e le morti avvenute al loro interno hanno portato società civile e associazioni a denunciare ripetutamente violazioni dei diritti umani. Sulla loro pelle affronta le problematiche di questo sistema: dai rapporti tra i privati gestori e le prefetture, a chi dentro quelle strutture ha perso la propria vita, dando voce al racconto di lavoratori e reclusi.

    https://www.meltingpot.org/2022/11/sulla-loro-pelle-linchiesta-sui-cpr-che-ha-vinto-il-premio-morrione

    https://www.youtube.com/watch?v=hb5XBVFUzDY


    #film #film_documentaire #documentaire #CPR #rétention #détention_administrative #Italie #asile #migrations #réfugiés #déboutés #sans-papiers

  • Oltre 40 milioni di euro per nuovi Cpr. Il governo investe su un modello fallimentare

    Nei prossimi tre anni l’esecutivo vuole ampliare la rete dei Centri di permanenza per il rimpatrio. Lo ha previsto nella manovra finanziaria presentata in Parlamento. Un investimento senza precedenti che ignora volutamente le condizioni di vita e il rispetto dei diritti fondamentali di chi è costretto al “trattenimento”

    Più di 42,5 milioni di euro nei prossimi tre anni assegnati al ministero dell’Interno per “l’ampliamento della rete dei Centri di permanenza per il rimpatrio (Cpr)”. È scritto nella manovra finanziaria 2023 varata il 21 novembre dal Consiglio dei ministri su proposta del ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, e sottoposta al dibattito parlamentare con tempistiche contingentate. L’obiettivo annunciato è quello di assicurare “la più efficace esecuzione dei decreti di espulsioni dello straniero”. “È l’antica tecnica della diversione dell’attenzione perché l’imbuto sta sempre negli accordi con i Paesi di origine -spiega l’avvocato Maurizio Veglio, socio dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione-. Se il rapporto tra numero di persone trattenute e rimpatriate è sempre lo stesso, cioè il 50%, è il pericolo di episodi di violenza o gesti anticonservativi a rischiare un aumento esponenziale: nuovi Cpr significano nuovi rischi per la salute di chi è trattenuto”.

    L’aumento della capienza dei Cpr sembra essere l’obiettivo primario. Sono due le voci di spesa imputate al ministero. Da un lato oltre 36,5 milioni di euro destinati alla “costruzione, acquisizione, completamento, adeguamento e ristrutturazione di immobili” destinati a centri di trattenimento di accoglienza; dall’altro circa sette milioni per le spese relative “all’attivazione, locazione e gestione dei Cpr”. La progressione dei finanziamenti è scalare e l’aumento più consistente avverrà nel 2025 con 16 milioni destinati alla costruzione e più di quattro per la seconda voce. “In questo momento non è agevole comprendere come verranno utilizzati questi fondi -riflette Veglio-. La qualità dei servizi essenziali all’interno dei centri (sanità, assistenza psicologica, mediazione linguistica, informazione legale) è del tutto inadeguata ma dubito che il denaro verrà impiegato per potenziare queste voci”. 

    Manovra alla mano, la “gestione” dei Cpr è già inserita nella seconda voce con un portafoglio cinque volte più magro rispetto al finanziamento per la costruzione dei centri. Già nel febbraio 2017, con il via libera del Consiglio dei ministri al cosiddetto decreto Minniti, l’allora ministro dell’Interno aveva dichiarato che i “nuovi” Cpr (ex Cie) sarebbero stati costruiti uno per Regione per un totale di 1.600 posti. “La decisione di stanziare nuovi fondi per il sistema della detenzione, allo scopo presumibile di ampliare la capienza, in assenza di qualunque intervento di contenimento dei danni rischia di innescare ennesime situazioni estreme, come l’epidemia di tentati suicidi registrata a Torino nello scorso autunno”, aggiunge Veglio. Finanziamenti quindi che non tengono conto del fallimento del “modello” Cpr. Finanziamenti quindi che non tengono conto del fallimento del “modello” Cpr. 

    I dati su quelli attualmente in funzione sono eclatanti. Nel 2021 sono transitati all’interno dei dieci centri attivi in Italia poco più di 5mila persone ma ne sono state espulse meno del 50% (2.519). Un dato che secondo la relazione del Garante nazionale delle persone private della libertà personale è rimasto costante nel corso degli anni nel 2019 il 48,3%, nel 2020 il 50,9%. Il tema resta quello degli accordi con i Paesi di origine e i costi effettivi di rimpatrio, Ma non solo. Il caso della Tunisia, come raccontato su Altreconomia, sembra “funzionare” in termini di voli charter che partono alla volta di Tunisi ma non garantisce il rispetto dei diritti delle persone trattenute. I Cpr sono dei “buchi neri”, come titola la Coalizione italiana libertà e diritti civili (Cild) in un report dedicato al tema, o dei luoghi in cui “le persone camminano sull’orlo di un burrone” secondo il “terribile” documento pubblicato dall’Asgi dove vengono raccontate sette storie di ordinaria ferocia al Cpr di Torino. E le morti di chi vive l’esperienza del trattenimento sono numerose: il suicidio di Moussa Balde, giovane originario della Guinea morto nel maggio 2021, ha spinto la Procura di Torino ad aprire un’indagine, che è ancora in corso, sul funzionamento del Centro per il rimpatrio del capoluogo piemontese (a cui è “dedicata” una puntata del podcast Limbo).

    La Cild, commentando la proposta del governo, sottolinea come i Cpr non siano un “male necessario”. “Esistono alternative possibili, come il case management -spiegano- con la presa in carico individuale delle singole persone che, oltre a essere infinitamente più economiche, offrono risultati maggiormente apprezzabili nel garantire percorsi di integrazione nelle comunità” anche perché il trattenimento nei Centri avviene “in assenza di ordinamento o un regolamento, a differenza di quanto avviene ad esempio per il carcere, e l’esercizio dei diritti delle persone trattenute è difficoltoso e incerto”. Dal diritto alla salute all’assistenza legale, passando per la possibilità di avere contatti con l’esterno. Temi strettamente connessi anche ai capitolati d’appalto per la gestione di questi Centri a cui accennava anche l’avvocato Veglio. I centri, infatti, sono gestiti da enti privati e i trattenuti diventano oggetti di un business milionario. Almeno 43 milioni per la gestione di dieci centri sono stati spesi nel 2021.

    “In nome della massimizzazione del profitto, questi enti comprimono ancora di più i servizi che dovrebbero essere offerti alle persone recluse che non hanno commesso alcun reato”, sottolinea la Cild. “Spesso quando si parla di Cpr -sottolinea Emilio Caja, uno dei curatori del libro ‘Corpi reclusi in attesa di espulsione’ pubblicato per Edizioni SEB27 all’inizio del 2022- si dipinge questi luoghi come qualcosa di ‘eccezionale’ in cui quando qualcuno muore sembra un evento eccezionale. Non è così, la gestione dei Centri si inserisce perfettamente nelle dinamiche economiche dell’economia contemporanea”. Caja fa riferimento agli enti gestori che vincono i bandi pubblicati dalle prefetture. “L’Ors Italia, ad esempio, presente a Macomer prima e oggi ente a cui è appaltata la gestione del Brunelleschi di Torino è una multinazionale con sede nel Regno Unito e varie articolazioni in tutta Europa. Sono dinamiche economiche classiche del nostro tempo: finanziarizzazione, diversificazione del portfolio, esternalizzazione dei servizi”. Con gravi conseguenze sulla salute e l’esercizio dei diritti delle persone che il governo sembra volutamente ignorare.

    https://altreconomia.it/oltre-40-milioni-di-euro-per-nuovi-cpr-il-governo-investe-su-un-modello
    #CPR #rétention #détention_administrative #cra #Italie #sans-papiers #déboutés #migrations #asile #réfugiés #financement #budget #efficacité #Ors_Italia #privatisation #ors

  • Soins médicaux pour personnes sans assurance maladie

    Vous vivez dans la ville de Zurich, vous n’avez pas d’assurance maladie et vous êtes malade ou ressentez des douleurs ?

    Dans la ville de Zurich, il existe différentes offres pour les personnes sans assurance maladie. Si vous vivez depuis au moins 3 mois dans la ville de Zurich, les coûts sont pris en charge.

    https://www.stadt-zuerich.ch/gud/de/index/gesundheitsversorgung/medizin/nkv/nkv-fr.html
    #sans-papiers #Zurich #Suisse #villes-refuge #migrations #soins_médicaux #santé #assurance_maladie #accès_aux_soins

    –—

    ajouté à la métaliste sur les villes-refuge :
    https://seenthis.net/messages/759145

    • Sans-Papiers sollen bessere medizinische Versorgung bekommen

      Geschätzt 10’000 Menschen haben in Zürich keine Krankenversicherung. Die Stadt schaltet auf ihrer Website eine Anlaufstelle auf, um die Betroffenen zu erreichen.

      Personen, die keine Krankenversicherung haben, sollen in der Stadt Zürich ab 2023 medizinisch versorgt werden. Die Stadt startet ein Pilotprojekt, um die Betroffenen, oft Sans-Papiers, zu erreichen.

      Geschätzt leben über 10’000 Menschen in Zürich, die über keine Krankenversicherung verfügen. Schwierig sei es vor allem, diese Menschen zu erreichen, wie die Stadt Zürich in einer Medienmitteilung vom Montag schrieb.

      Zwar gebe es bereits spezialisierte Anlaufstellen für Menschen ohne gültige Aufenthaltsberechtigung. Doch hätten Auswertungen ergeben, dass nur die wenigsten Betroffenen diese Einrichtungen besucht hätten. Darum schaltet die Stadt die Anlaufstellen auf ihrer Website auf, wie es weiter heisst.

      Das Angebot wird in 13 Sprachen aufgeführt. Beiträge in den sozialen Medien und Flugblätter sollen auf die Website aufmerksam machen.
      Kosten von 4,6 Millionen Franken

      Medizinische Erstkonsultationen sollen im Ambulatorium Kanonengasse der Stadt Zürich, der Meditrina-Praxis des Schweizerischen Roten Kreuzes des Kantons Zürich und in lebensbedrohlichen Notfällen in den Notfallaufnahmen des Stadtspitals Zürich stattfinden.

      Das Pilotprojekt hatte 2021 auch der Zürcher Gemeinderat deutlich gutgeheissen. Er hatte einen Kredit von 4,6 Millionen angenommen. Das Projekt ist auf drei Jahre angesetzt.

      https://www.tagesanzeiger.ch/sans-papiers-sollen-bessere-medizinische-versorgung-bekommen-946958582

  • #Gérald_Darmanin veut rendre « impossible » la vie des étrangers soumis à une obligation de quitter le territoire

    Les circonstances de la mort de la petite #Lola et le profil de la suspecte, de nationalité algérienne et sous le coup d’une #obligation_de_quitter_le_territoire_français (#OQTF), ont suscité de vives critiques à droite et à l’extrême droite. Si les parents de l’enfant ont regretté les tentatives de récupération politique de ce terrible drame, les discussions politiques se poursuivent. Ce jeudi, le ministre de l’intérieur a annoncé l’intention du gouvernement de rendre « impossible » la vie des étrangers faisant l’objet d’une OQTF.

    « Nous avons un travail à faire pour rendre impossible la vie des OQTF en France » dans le futur projet de #loi sur l’immigration, a déclaré Gérald Darmanin sur France Inter, en soulignant comme exemple le fait qu’« aujourd’hui quelqu’un qui fait l’objet d’une OQTF peut encore avoir un #logement_social ». « Un étranger arrivé légalement sur le sol [français] et qui perd son statut, devenant irrégulier, ne doit plus pouvoir garder son logement social », a insisté l’entourage du ministre.

    « Un droit trop complexe » pour expulser

    La #mesure_d’expulsion, dite OQTF, fait l’objet de polémiques récurrentes, notamment sur son taux d’application réel que le gouvernement veut augmenter à l’aide de la loi. Cette polémique a été ravivée depuis le meurtre sauvage de Lola. Sur ce sujet, le ministre de l’Intérieur a déploré un « droit trop complexe pour expulser un étranger en situation irrégulière, avec jusqu’à douze recours administratifs et judiciaires ».

    Selon lui, « plus de la moitié » des 120.000 OQTF prises ne sont pas exécutoires à cause de #recours_administratifs. Le projet de loi à venir prévoit de diviser par trois ce nombre possible de recours, de douze à quatre, a expliqué Gérard Darmanin, en prévoyant sur ce sujet « un grand débat parlementaire très compliqué ». Le gouvernement envisage par ailleurs de « lever les protections pour un certain nombre d’étrangers », a dit le ministre en citant la nécessité de mettre fin au système de #double_peine, qui voit un étranger condamné devoir purger sa peine sur le territoire avant son expulsion.

    Une situation « déjà » impossible

    La suppression de cette mesure permettrait selon lui « d’expulser 4.000 étrangers délinquants supplémentaires par année ». Rendre la vie « impossible » aux étrangers en situation irrégulière, « c’est déjà le cas actuellement », dénonce Mélanie Louis, responsable des questions d’expulsions à l’association La Cimade, pour qui les mesures du projet de loi vont faire rompre la France avec « l’Etat de droit ».

    Selon Mélanie Louis, il est d’ailleurs « complètement faux » qu’une personne sous le coup d’une OQTF ait droit à un logement social en France : « ces personnes bénéficient simplement du droit, inconditionnel, à une place d’#hébergement_d’urgence via le 115 [le numéro d’urgence dédié aux sans-abri], mais dans aucun cas à un HLM ».

    « 100 % d’application » pour les expulsions

    Jeudi soir, le président Emmanuel Macron a dit vouloir « réformer en profondeur les règles, nos lois, pour simplifier les procédures » d’expulsion, à l’occasion d’une nouvelle #loi_sur_l’asile_et_l’immigration qui doit être présentée « On va durcir les règles » pour « aller à ces 100 % » d’application des obligations de quitter le territoire français, des #procédures_d’expulsion dont moins de 10 % seulement sont exécutées. « au premier semestre de l’année prochaine ».

    « On va durcir les règles » pour « aller à ces 100 % » d’application des obligations de quitter le territoire français, des procédures d’expulsion dont moins de 10 % seulement sont exécutées.

    https://www.20minutes.fr/politique/4007487-20221027-darmanin-veut-rendre-impossible-vie-etrangers-soumis-obli

    #Darmanin #Gérard_Darmanin_comme_Theresa_May #hostile_environment #environnement_hostile #asile #migrations #réfugiés #instrumentalisation #sans-papiers #rendre_la_vie_impossible #expulsions #renvois #durcissement

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  • #Corsica_Linea accueille des Ukrainiens et expulse des Algériens

    La même compagnie de bateaux qui a accueilli des réfugiés ukrainiens à Marseille sert désormais à expulser des sans-papiers de l’autre côté de la Méditerranée. C’est ce que révèlent les témoignages de plusieurs employés de la compagnie Corsica Linea.

    La compagnie de transport maritime Corsica Linea était fière, le 23 mars 2022, d’annoncer aux côtés de la préfecture des Bouches-du-Rhône l’ouverture du premier centre d’accueil de réfugiés ukrainiens. 1.700 places au total. L’un de ses #ferries, le « Méditerranée », est mis à disposition pour héberger jusqu’à 800 Ukrainiens. Dans les Echos, on apprend que l’initiative humanitaire vient du #Club_Top_20, qui regroupe les entreprises les plus influentes du territoire marseillais.

    Une fois vidés de leurs réfugiés, début juin, les bateaux de Corsica Linea ont repris la mer. À 20 mètres de la cabine du commandant de bord, cachés de la vue des passagers lambdas : d’autres étrangers. Des #sans-papiers que la France expulse vers l’Algérie. La compagnie corse préfère cette fois rester discrète.

    Un mécano découvre le pot aux roses

    Camille (1), la quarantaine, travaille comme ouvrier mécanicien sur l’un des bateaux de la compagnie Corsica Linea. Le mardi 20 septembre, il embarque à Marseille direction Alger, à bord du ferry Danielle Casanova. Un nom donné en hommage à une résistante communiste corse. Il a l’habitude de faire ce voyage. Mais cette fois-ci, il se passe quelque chose de différent :

    « La veille, l’officier me demande de remettre en état “les cellules des gardes et des prisonniers” parce qu’on est susceptibles de rapatrier des mecs le lendemain. Je ne comprends pas de quoi il s’agit. »

    Le mardi matin avant 8 heures, il fait son boulot et retape les sanitaires. Le marin se pose des questions :

    « Je remarque que tout est arrondi pour ne pas se blesser. »

    « Je demande à mes collègues, personne ne sait rien. Je me dis que la seule chose que je peux faire, c’est de faire durer le temps. Alors un truc que je peux faire en 30 minutes, j’y passe deux heures », décrit Camille.

    Puis vient un moment de flottement. Aux alentours de 9 heures et demi, le mécano entend « des mecs arriver, c’était bruyant. Là, je vois la #police_aux_frontières (#Paf) arriver avec des migrants, ça se bouscule… Ils sont trois, la trentaine, escortés, un flic devant, un flic derrière ». Camille ajoute :

    « Ils ont les poignets menottés, des casques de boxeur sur la tête [pour ne pas se blesser le crâne]. »

    Le jeune ouvrier décide d’entamer une discussion avec les hommes de la Paf. « Ils me disent que les #expulsions ont commencé en juin sur le bateau “Méditerranée” ». Le même qui a servi d’accueil aux Ukrainiens. « Les flics me parlent d’une reconduite prévue la semaine prochaine, et lancent un : “Et ça continuera” », rapporte Camille dans son uniforme bleu marine, d’un ton qui se veut calme.

    D’après son témoignage, les cabines en inox sont surnommées : « La #prison » et surveillées par des caméras vidéo 24 heures sur 24. Elles sont fermées à clef de l’extérieur, pas de hublot. La coursive devant la prison est verrouillée par deux portes à code. Selon un rapport interne du Contrôleur général des lieux de privation de liberté (CGLPL) sur les #éloignements en bateau vers l’Algérie, « aucune procédure d’exploitation des enregistrements n’existe et la surveillance vidéo n’est pas signalée ». Le marin confie :

    « J’ai été chialer un bon coup dans les chiottes. Moi, je n’ai pas signé pour virer des Arabes, ça non ».

    Il se met à travailler salement pour appeler un collègue nettoyeur et lui montrer ce qu’il a vu :

    « Je simule un problème de mécanique, je fais exprès de faire un taf de porc pour faire traîner les choses. »

    Son collègue Alix (1) monte de l’hôtellerie pour nettoyer ce qu’a fait Camille. Il a accepté de livrer son témoignage. « Quand je vois ces #cellules_d’isolement en métal, je suis un peu choqué. Trois hommes [les Algériens] me regardent, ils ont l’air apeurés. » Il continue :

    « C’est comme une prison. Je me suis souvenu des Ukrainiens, ils n’étaient pas au même endroit ni traités de la même façon. Je n’ai pas compris ce qui se passait, je n’avais jamais vu une cellule de ma vie, sauf à la télé ».

    Des menaces

    Le jeune marin chargé de l’entretien a été témoin d’un autre moment sur le bateau. « J’étais à la réception quand la Paf est arrivée, elle a demandé à parler au commissaire de bord », raconte Alix. « J’ai rempli pour eux la feuille des besoins spécifiques, et tout en bas, il y avait déjà deux noms inscrits pour des visas “courte durée” : c’était pour la police. On leur attribue des cabines et des tickets-repas ».

    Les agents de la Paf vont manger au self avec les marins, se promener sur le pont, et ce pendant toute la traversée en mer aller-retour, du mardi au jeudi. Le mardi soir, un matelot de garde aurait crié : « Il y a une merde en cellule avec les reconduits, j’appelle les forces de l’ordre ! ». Selon les marins, tout le monde pouvait entendre ces mots, passagers compris.

    Dans un enregistrement fourni par Camille, on entend distinctement un policier menacer un migrant de l’attacher s’il continue de crier et de gesticuler. Le jeune détenu pleure et tape sur les murs :

    « Je vais casser ma tête, comme ça le commandant, il m’emmène à l’hôpital et je pars pas ».

    Puis on entend le policier dire à ses collègues :

    « S’il nous fait trop chier, on lui fait une piqûre de calmant ».

    Il revient vers lui :

    « Prends sur toi, ça va être casse-couille pendant 20 heures, mais prends sur toi, allez. »

    On entend Camille poser une question à l’agent de la Paf, qui lui répond froidement :

    « Je ne sais pas, c’est la première fois que je viens. »

    Dans un autre enregistrement, on entend un migrant hurler : « Un être humain il est pas capable de rester là wallah ». Et un autre, d’une voix aiguë : « Monsieur, monsieur, je vous en prie, il faut ouvrir, monsieur je suis tranquille, je vous en prie… » Camille enchérit :

    « C’est intenable. Je me retiens de pleurer plusieurs fois, j’ai fait des exercices de respiration, je me sentais impuissant. »

    Il faut dire que le marin vient du militantisme « no-border », pour la libre circulation des personnes. « Je ne peux pas recevoir des migrants chez moi et en expulser ensuite, ce n’est pas possible. Et même s’ils ont été condamnés par la justice, ils n’avaient pas le choix de commettre des délits pour survivre, vu qu’ils n’ont pas le droit de travailler », pointe le mécanicien, reprenant illico sa casquette d’activiste.

    Quand ils arrivent à Alger, le débarquement dure de 9h à 14h. « C’est normal, c’est la #Hogra (dialecte algérien signifiant humiliation publique, injustice, excès de pouvoir) », sourit Alix. Il leur est interdit de sortir de l’enceinte portuaire. Puis les marins ne voient plus la Paf, jusqu’au mardi suivant. Même scénario le 27 septembre : d’autres expulsions vers Alger ont lieu. Camille simule un problème mécanique et en profite pour faire des vidéos des #cellules.

    https://www.youtube.com/watch?v=ZuG0MR5n1PA&feature=emb_logo

    Un bras de fer franco-algérien

    Comme l’avaient révélé StreetPress et Mediapart, Alger a pendant de longs mois refusé le retour de ses ressortissants. En guise de représailles, « l’État français [a] décidé de réduire de 50 % le nombre de #visas délivrés aux ressortissants algériens », précise l’ONG Euromed Rights, une association de défense des droits des étrangers basée au Danemark. Mais les tensions semblent s’apaiser et les expulsions auraient démarré au mois de juin avec une pause pendant l’été. « Près de 80 % des incarcérés en centre de rétention administrative (#Cra) sont des Algériens. C’est une très très forte majorité », affirme une source d’un Cra du Sud de la France. « Ils sont piochés d’un peu partout, mais principalement au Cra de Marseille. Le test PCR n’est même plus imposé ». Avant cela, les exilés pouvaient refuser et ainsi retarder l’échéance.

    Dans un retour de mail daté du mois de juin, la préfecture des Bouches-du-Rhône confirme utiliser plusieurs « vecteurs disponibles » – aériens, terrestres ou maritimes – pour les #reconduites_aux_frontières des étrangers en situation irrégulière sur le territoire français. Jointe à nouveau début octobre, elle ne souhaite rien commenter ou ajouter. Même si elle ne répond pas à nos questions sur ce contrat entre le ministère de l’Intérieur et Corsica Linea, elle ne dément pas. Selon la presse algérienne et Euromed Rights, la France a signé un contrat en juin avec la société privée Corsica Linea pour le retour des migrants par la mer.

    Une détention arbitraire ?

    D’après les témoignages de Camille et Alix, les reconduits ne sortent pas des cellules avant que le bateau ne soit à quai à Alger. Ils sont alors remis aux autorités algériennes, et souvent à nouveau emprisonnés pour « immigration illégale ».

    Patrick Henriot, magistrat honoraire, secrétaire général du groupe d’information et de soutien des immigrés (Gisti) souligne que les textes applicables à l’exécution forcée des #mesures_d’éloignement n’autorisent pas les services de police à priver les personnes de liberté pendant leur acheminement vers le pays de renvoi.

    Certes ils peuvent user d’une certaine contrainte mais elle doit être « strictement nécessaire » et en toutes circonstances rester « proportionnée ». La Paf est là pour sécuriser ces personnes. « Or le #confinement_forcé, pendant toute la durée du trajet, dans une cabine fermée qui n’est rien d’autre qu’une cellule, apparaît manifestement disproportionné » explique Patrick Henriot, qui continue :

    « Sans compter qu’il y a là une atteinte à la dignité des personnes au regard des conditions dans lesquelles se déroule cet emprisonnement qui ne dit pas son nom. »

    Le magistrat ajoute : « Sur un navire, c’est le capitaine qui est titulaire du pouvoir de police. Certes, il peut demander aux policiers de lui prêter main-forte dans l’exercice de ce pouvoir mais la contrainte doit s’exercer sous sa responsabilité, et il doit lui-même veiller à ce qu’elle reste proportionnée ». Selon nos informations, le capitaine n’accompagnait à aucun moment les policiers, leur laissant le plein pouvoir.

    Contactée plusieurs fois par mail et par téléphone, la compagnie Corsica Linea s’est refusée à tout commentaire.

    https://www.streetpress.com/sujet/1665408878-corsica-linea-accueille-ukraniens-expulse-algeriens-marseill
    #tri #catégorisation #réfugiés #réfugiés_ukrainiens #réfugiés_algériens #expulsion #bateaux #Algérie #France #détention_arbitraire

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  • La #peur des #étrangers

    Et si plutôt que de laisser place aux délires de ceux qui s’imaginent bientôt grandremplacés, on se penchait sur la peur éprouvée au quotidien par les sans-papiers ? C’est ce qu’ont fait l’anthropologue Stefan Le Courant et les réalisateurs Vincent Gaullier et Stefan Le Courant.

    Que m’est-il permis d’espérer ? C’est cette phrase d’Emmanuel Kant que les réalisateurs Vincent Gaullier et Raphaël Girardot ont choisi pour titre de leur nouveau film qui documente les quelques jours que passent des migrants tout juste arrivés dans un centre d’accueil humanitaire du Nord de Paris. Ils nous rejoindront en seconde partie d’émission, après que nous ayons entendu l’anthropologue Stefan Le Courant nous parler d’une enquête menée dans une temporalité beaucoup plus longue auprès de sans-papiers de la région parisienne.

    https://www.radiofrance.fr/franceculture/podcasts/la-suite-dans-les-idees/la-peur-des-etrangers-6348132

    #podcast #migrations #sans-papiers #Stefan_Le_Courant #Le_Courant

    ping @_kg_

    • Sans-papiers : étranges étrangers

      Ouvriers pour les JO de Paris 2024, livreurs, cuisiniers... Les sans-papiers qui vivent et travaillent en France sont sous la menace permanente d’une arrestation, d’un placement en centre de rétention, d’une expulsion. Quelles conséquences ce contexte a-t-il sur les personnes qui le subissent ?

      Mieux contrôler nos frontières, reconduire plus efficacement ou conditionner les visas et aides au développement à des accords de réadmission… Voilà ce que le candidat-président Emmanuel Macron portait comme proposition dans l’entre-deux-tours de la présidentielle.

      Migrants économiques, clandestins ou sans papiers… Depuis la crise de 2015 et les arrivées de réfugiés syriens aux portes de notre continent, la figure de l’étranger est devenue encore plus centrale dans l’espace politique et médiatique européen.

      Pourtant, ces hommes et ces femmes, certes sans existence légale, occupent des emplois, des logements, paient parfois des impôts… Et ils reviennent dans les lumières de l’actualité parfois, au gré d’un fait divers, ou d’une action collective.

      Cette semaine par exemple, plusieurs manifestations ont eu lieu, pour réclamer des régularisations massives pour ces employés sans-papiers de Derichebourg, sous-traitant de Chronopost… La semaine dernière, ce sont une dizaine d’ouvriers des chantiers des sites des JO 2024 qui ont été régularisés suite à une action syndicale…

      Qui sont ces condamnés à la clandestinité ? Comment vit-on dans la peur quotidienne d’un contrôle, d’une arrestation, d’une expulsion ? Pourquoi sont-ils au cœur des débats ?

      https://www.radiofrance.fr/franceculture/podcasts/sous-les-radars/sans-papiers-etranges-etrangers-4429280

    • Vivre sous la menace. Les sans-papiers et l’Etat

      La politique de contrôle migratoire ne s’exerce pas uniquement aux frontières, sur le territoire national elle continue d’œuvrer en séparant celles et ceux qui bénéficient d’un séjour régulier des autres qui en sont dépourvus. Elle trace des démarcations intérieures invisibles et implacables quand le spectre de la frontière hante le quotidien des personnes qui chaque jour risquent l’expulsion. En ethnographe, Stefan Le Courant tente de saisir les conséquences intimes de ce gouvernement par la menace.
      Après une enquête de plusieurs années auprès d’une quarantaine de sans-papiers, l’auteur restitue avec humanité leur expérience ; il raconte des vies façonnées par la crainte de l’arrestation ou de la dénonciation. Si la menace est, pour celui qui l’exerce, une manifestation de son pouvoir de nuire sans exécution immédiate, pour celui qui y est exposé, elle se traduit par une conscience aiguë et permanente du danger. Obsédante, cette menace pousse à privilégier la solitude et la méfiance ; elle transforme l’environnement proche en un monde de signes potentiellement redoutables : le ton d’une voix, la couleur d’un uniforme, la question d’un camarade de chambre, tout peut être un indice qu’il devient crucial de savoir exploiter. En cherchant à appréhender cette présence qui se dérobe, à vivre la vie d’un sans-papier, l’auteur livre un récit immersif aussi original qu’inédit.

      https://www.seuil.com/ouvrage/vivre-sous-la-menace-stefan-le-courant/9782021364972
      #livre

  • « 61 rue Schaeffer », écoutez les luttes des personnes sans-papiers
    https://radioparleur.net/2022/06/29/61-rue-schaeffer-ecoutez-les-luttes-des-personnes-sans-papiers

    Cette semaine dans l’Actu des Luttes, on vous propose un documentaire exclusif. Avec 61 rue Schaeffer, écoutez le récit conté d’une histoire vraie, celle du Collectif Schaeffer. Découvrez comment ces habitant·es, tous et toutes sans-papiers en situation de précarité, se rencontrent, s’accordent et se mobilisent pour mener un même combat face à « l’accueil de merde » […] L’article « 61 rue Schaeffer », écoutez les luttes des personnes sans-papiers est apparu en premier sur Radio Parleur.

  • Au-delà des barrières

    Dans son rapport, « Au-delà des barrières », le Programme des Nations-Unies pour le développement (PNUD) analyse la situation et le parcours des personnes arrivées de manière irrégulière en Europe depuis l’Afrique. Il rappelle que celles qui tentent de gagner l’Europe sont pour la plupart plus éduquées que leurs pairs. Elles ont probablement « bénéficié des progrès du développement en Afrique » sans pour autant faire partie d’une élite. Le PNUD remet en question l’idée selon laquelle les migrations peuvent être réduites ou freinées au moyen d’interventions politiques conçues pour les arrêter. Il critique aussi l’ambivalence européenne dont le marché du travail recourt volontiers à la main-d’œuvre migrante irrégulière tout en appliquant des politiques nationales dissuasives en matière d’immigration. Enfin,il rappelle que l’approche visant à détériorer les conditions d’accueil des migrants afin de dissuader leur venue ne fait qu’aggraver les populismes en Europe.

    https://asile.ch/2020/02/01/chronique-europe-du-20-septembre-au-21-octobre-2019

    Le #rapport :
    Au-delà des barrières

    The Scaling Fences: Voices of Irregular African Migrants to Europe report presents the results of an extensive study exploring the perspectives and experiences of 1970 individuals who migrated through irregular routes from Africa to Europe, originating from 39 African countries.

    Its aim is to contribute to a better understanding of the relationship between migration and development. The Scaling Fences report is the second major review of contemporary development issues affecting Africa to be published by UNDP’s Regional Bureau for Africa.

    Highlights

    - 58% of respondents were either earning (49%) or in school (9%) at the time of their departure. For a majority of those earning, income appears to have been competitive in the national context.
    – For 66% of respondents earning, or the prospect of earning, was not a factor that constrained the decision to migrate.
    - 62% of respondents felt they had been treated unfairly by their governments, with many pointing to ethnicity and political views as reasons for perception of unfair treatment.
    - 77% felt that their voice was unheard or that their country’s political system provided no opportunity through which to exert influence on government.
    - 41% of respondents said ‘nothing’ would have changed their decision to migrate to Europe Average earnings in Europe far outstrip average earnings in Africa, even in real terms.
    - 67% of those who did not want to stay permanently in Europe said their communities would be happy if they returned, compared to 41% of those who did want to live permanently in Europe.

    https://www.undp.org/fr/publications/au-dela-des-barrieres

    #PNUD

    @karine4 @isskein :

    « Il critique aussi l’ambivalence européenne dont le marché du travail recourt volontiers à la main-d’œuvre migrante irrégulière tout en appliquant des politiques nationales dissuasives en matière d’immigration. »

    #hypocrisie #marché_du_travail #sans-papiers #travail #migrations #main-d'oeuvre #politique_migratoire #politiques_migratoires #développement #ambivalence

  • Ces écoles qui permettaient de sortir du placard

    Dans la seconde moitié du siècle dernier, de nombreux #enfants de #travailleurs_saisonniers n’ont pu être scolarisés que grâce au courage et à la passion de quelques personnes qui ont créé de véritables écoles clandestines – en toute illégalité.

    C’est à l’évidence un chapitre peu reluisant de l’histoire contemporaine de la Suisse qui est exposé au Musée d’histoireLien externe de La Chaux-de-Fonds, dans le canton de Neuchâtel.

    Intitulée « Enfants du placard ; à l’école de la clandestinité », l’exposition « veut donner une voix à ceux à qui la parole a été largement refusée », souligne le directeur du musée Francesco Garufo. C’est-à-dire à tous ces garçons et ces filles qui ont dû vivre clandestinement en Suisse (en se cachant dans le placard) parce que leurs parents avaient un permis de travail saisonnier.

    Le fameux permis A, aboli en 2002 avec l’entrée en vigueur de la libre circulation des personnes entre la Confédération et l’UE, ne permettait pas le regroupement familial. De nombreux parents qui venaient « faire la saison » en Suisse ont donc été contraints de laisser leurs enfants à la maison, où ils étaient pris en charge par d’autres membres de la famille. Mais souvent, la séparation était trop douloureuse et les travailleurs saisonniers, principalement originaires d’Italie, d’Espagne et du Portugal, emmenaient leurs enfants avec eux – en infraction avec la loi.
    Ne fais pas de bruit !

    Il n’existe pas de chiffres précis, justement en raison de la nature illégale du phénomène. On estime qu’il y avait au début des années 1970 jusqu’à 15’000 garçons et filles clandestins en Suisse. Ce n’est qu’une estimation, mais elle donne une idée du nombre d’enfants qui ont dû vivre dans l’ombre pendant cette période qui a duré, comme on l’a dit, jusqu’en 2002.

    Dans l’ombre justement, ou plutôt dans le placard, des injonctions que nous avons toutes et tous entendues étant enfant, comme « Fais attention ! », « Ne parle à personne ! », « Ne fais pas de bruit ! » prenait alors un sens tout particulier. Un grand panneau de l’exposition vient le rappeler. Car pour ces enfants-là, se faire prendre pouvait signifier l’expulsion.

    « Nous avions fait du bruit et quelqu’un nous avait dénoncés », se souvient Rafael, l’un des six « enfants du placard » qui ont accepté de témoigner pour l’exposition. Par chance, le policier chargé de l’inspection a montré beaucoup d’humanité. Lorsqu’il est entré dans l’appartement, il a posé bien fort la question aux parents de Rafael, qui s’était caché dans une pièce avec ses frères et sœurs : « Nous sommes bien d’accord pour dire qu’il n’y a pas d’enfants ici ?... »
    La difficulté de témoigner

    « Il n’est pas facile de trouver des personnes prêtes à témoigner », observe Sarah Kiani, qui mène à l’Université de Neuchâtel un projet de rechercheLien externe sur ces « enfants du placard », sous la direction de la professeure Kristina Schulz, et dont les premiers résultats ont trouvé place dans cette même exposition. « Nous avons eu beaucoup de refus, il y a un sentiment de honte qui persiste, même des années plus tard », poursuit-elle.

    Mais ce qui ressort des témoignages recueillis, ce ne sont pas seulement des tranches de vie triste ou difficile. « Il y a eu différentes manières de gérer cette situation de clandestinité et ce ne sont pas toujours des histoires sombres », note Sarah Kiani. « Cette exposition veut aussi vraiment transcrire la diversité des expériences », ajoute Francesco Garufo.
    L’importance de l’école

    S’il est un dénominateur commun à toutes ces expériences, c’est l’importance de l’école pour permettre à ces enfants de sortir du placard. Ce n’est pas un hasard si l’exposition consacre une large place à ce thème.

    Aujourd’hui, le droit au regroupement familial ou le droit de pouvoir accéder à l’éducation sont inscrits en toutes lettres dans la Convention des Nations unies relative aux droits de l’enfant. Cependant, ce traité est relativement récent (1989) et la Suisse ne l’a ratifié qu’en 1997, en émettant des réserves sur la question du regroupement familial, entre autres.

    En d’autres termes, pendant plusieurs décennies, l’école publique est restée un mirage pour les personnes vivant en Suisse sans autorisation.
    Des caisses en guise de pupitres

    Cependant, tout le monde n’est pas resté les bras croisés. La première « classe spéciale » pour enfants clandestins a vu le jour en 1971, à Renens, dans le canton de Vaud, à l’initiative des associations de migrants.

    L’année suivante, à Neuchâtel, deux amis créent une école clandestine qui sera active pendant deux ans. On utilise alors des caisses de l’usine de cigarettes Brunette pour en faire des pupitres, peut-on lire sur une affiche de l’exposition.

    Quelques années plus tard, au début des années 1980, à La Chaux-de-Fonds, l’enseignante Denyse Reymond crée une autre école, qui deviendra l’école Mosaïque et qui existe encore aujourd’hui.

    Dans une aile de l’exposition, le Musée d’histoire de La Chaux-de-Fonds a reconstitué une salle de classe de l’école Mosaïque, avec les cahiers des élèves qui la fréquentaient, leurs dessins…

    Les cours dispensés par Denyse Reymond sont alors ouverts à tous les enfants qui se trouvent en situation irrégulière. Et ils sont gratuits, ce qui n’est pas rien pour ces familles qui ne roulent certainement pas sur l’or. L’école est financée par des dons.

    >> « Ces enfants ne savaient pas où aller et quand j’ai fondé cette école avec ma fille, nous allions les chercher là où ils se cachaient », raconte Denyse Reymond dans cette archive de la RTS

    Clandestins… mais pas trop

    « En plus de leur tâche principale, qui est d’éduquer les enfants, ces écoles remplissaient également une autre fonction primordiale », souligne Sarah Kiani : « Elles étaient pour ces garçons et ces filles, ainsi que pour leurs familles, une porte d’accès à tout ce dont un enfant a besoin, c’est-à-dire des soins médicaux, des soins dentaires, des activités culturelles et sportives... ».

    Bien que l’existence de ces écoles ait été plus ou moins connue, les autorités municipales et cantonales - du moins à Neuchâtel et à Genève - ont tranquillement fermé les yeux. Une lettre de 1983 d’un enseignant de La Chaux-de-Fonds actif dans ces domaines montre que les autorités cantonales auraient même participé à son financement.

    Cette zone grise a perduré jusqu’en 1990, lorsque les deux cantons ont fait œuvre de pionniers en Suisse, en décidant que le droit à la scolarisation primait sur les règles régissant l’immigration en Suisse. Les écoles publiques ont donc officiellement ouvert leurs portes à des garçons et des filles qui n’étaient pas en situation régulière.
    Instruction pour tous

    Dans les années qui ont suivi, d’autres cantons ont fait de même, notamment parce que la Convention des Nations unies relative aux droits de l’enfant - ratifiée comme on l’a dit par la Suisse en 1997 - prévoit explicitement le droit à un enseignement primaire gratuit pour tous. Aujourd’hui, tout le monde peut fréquenter les écoles publiques.

    L’abrogation du statut de saisonnier en 2002 ne marque pas pour autant la fin de la clandestinité. Selon une estimation du Secrétariat d’État aux migrations, il y avait en 2015 entre 50’000 et 99’000 personnes vivant en Suisse sans statut de séjour légal. Parmi eux, on trouvait aussi beaucoup d’enfants.

    Si l’accès à l’éducation est désormais garanti, les incertitudes qui pèsent sur les enfants sans papiers et leurs familles persistent. Il y a tout juste quatre ans, une motion parlementaire déposée par la droite (et retirée depuis) demandait, entre autres, l’échange d’informations entre les organes de l’État sur les personnes sans statut de résidence valide, par exemple dans le domaine de l’éducation. Une mesure qui, selon certains, aurait pu inciter les parents sans papiers à ne pas envoyer leurs enfants à l’école.

    « Cette thématique a beaucoup évolué depuis les années 1970 et 1980, mais elle est toujours d’actualité », observe Francesco Garufo. « L’histoire des enfants du placard nous permet de réfléchir à l’importance de l’intégration et de l’éducation des jeunes migrants de nos jours ».

    https://www.swissinfo.ch/fre/ces-%C3%A9coles-qui-permettaient-de-sortir-du-placard/47744052
    #enfants_du_placard #enfant_du_placard #Suisse #saisonniers #migrations #scolarisation #histoire #musée #sans-papiers #permis_de_travail #permis_A #regroupement_familial #Italie #Espagne #Portugal #vivre_dans_l'ombre #bruit #classe_spéciale #école_clandestine #écoles_clandestines #résistance #Denyse_Reymond #école_mosaïque #droit_à_la_scolarisation #scolarisation #statut_de_saisonnier

    • ENFANTS DU PLACARD. À L’école de la #clandestinité

      Durant la seconde moitié du 20e siècle, des milliers d’enfants de travailleuses et de travailleurs saisonniers, pour lesquels le regroupement familial n’était pas autorisé, ont vécu clandestinement en Suisse. Le Musée d’histoire de La Chaux-de-Fonds vous invite à entendre leur voix et à découvrir leurs parcours, ainsi que les mobilisations en faveur de leurs droits. "Enfants du placard", une expression qui marque l’histoire suisse comme le revers de la médaille d’une success story, celle de l’immigration des "Trente Glorieuses". Un passé proche et difficile, qui ressurgit à travers les demandes de reconnaissance de ces enfants aujourd’hui devenus adultes.

      Au lendemain de la Seconde Guerre mondiale, une extraordinaire phase de prospérité prend son essor. Pour répondre aux besoins de l’économie, la Suisse développe une politique largement basée sur le recrutement de « travailleurs invités », qui ne sont pas destinés à s’installer durablement.
      C’est ainsi que va se développer un statut qui deviendra emblématique de l’immigration en Suisse : celui des saisonnières et des saisonniers, une condition qui exclut le regroupement familial et qui conduit dans certains cas les enfants des migrant.e.s à la clandestinité. Des milliers d’entre eux se trouvent par conséquent obligés de vivre cachés dans des logements souvent exigus, parfois pendant des années, privés d’une socialisation normale.
      C’est avant tout la voix de ces enfants aujourd’hui devenus adultes que l’exposition vous invite à entendre ; des témoignages qui permettent de donner la parole à celles et ceux qui en ont été privés, mais aussi de découvrir une histoire qui, par sa nature, n’a laissé que peu de traces, si ce n’est à travers les archives des « écoles clandestines ».
      Aujourd’hui, les « enfants du placard » sont devenus un sujet de recherche pour les historiennes et les historiens. Mais, pour les acteurs eux-mêmes, il s’agit avant tout d’un enjeu de mémoire, qui donne lieu à des échanges, parfois vifs, au sujet de la reconnaissance de ce phénomène et des situations tragiques qu’il a engendrées, voire des réparations qui pourraient être demandées. Le musée comme lieu d’échanges, de recherche et de conservation rend donc visible une histoire encore méconnue et cherche à susciter le débat autour de l’une des conséquences majeures de la politique migratoire suisse du 20e siècle. Il participe à un processus en cours, dans lequel l’exposition n’est pas une fin en soi mais plutôt une étape.

      https://www.chaux-de-fonds.ch/musees/mh/evenements/expositions/mh-temporaire/enfants-du-placard

    • Une socio-histoire des gens qui migrent Les « enfants du placard » (1946-2002)
      Description du projet

      La croissance économique des décennies de l’après-guerre en Suisse va de pair avec une demande importante de main-d’œuvre que les employeurs cherchent à satisfaire en embauchant des femmes et des hommes en provenance majoritairement du sud de l’Europe. Le statut de saisonnier – qui exclut le regroupement familial – est au cœur du régime migratoire suisse. L’exclusion explicite de ce droit donne lieu à des situations particulièrement précaires pour les familles et les enfants qui, se retrouvant illégalement en Suisse, ont parfois été « cachés » pendant des mois, voire des années, dans les logements. Ces situations sont au centre de ce projet de recherche. Malgré diverses estimations qui indiquent qu’un nombre important d’enfants ont été concernés, les connaissances restent très limitées sur les conditions de séjour, l’impact de la situation sur les trajectoires biographiques, les réactions des employeurs et des autorités, et encore davantage sur ce que ces anciens « enfants cachés » ont gardé en mémoire.

      La situation des « enfants du placard » éclaire sous un angle inédit l’histoire économique et sociale de la Suisse de la deuxième moitié du XXe siècle. En effet, observer la multiplicité des trajectoires et des situations de ces enfants nous permet de remettre en question une idée largement admise concernant les trente ans qui suivent la fin de la seconde guerre mondiale, qui considère cette période comme un moment de prospérité pour toutes et tous, offrant des possibilités de participation sociale et économique à des couches de plus en plus larges de la population.

      Le projet analyse des données tant qualitatives que quantitatives, en s’intéressant au point de vue des autorités suisses, à celui des associations et mouvements sociaux en faveur de la scolarisation des enfants et la sortie de la clandestinité, et à celui, encore très peu connu, des enfants eux-mêmes.

      Croisant une approche d’histoire des migrations avec une approche d’histoire sociale et économique et en prenant en compte des recherches récentes sur le placement d’enfants en Suisse, la recherche se base à la fois sur un travail d’archives étatiques (fédérales, cantonales, communales), l’analyse des récits et enquêtes psychologiques et sociologiques effectuées depuis les années 1970, l’exploitation d’archives des associations et activistes humanitaires mobilisés, ainsi que sur la méthodologie de l’histoire orale.

      https://www.unine.ch/histoire/home/recherche-1/une-socio-histoire-des-gens-qui.html

      –-

      voir aussi :


      https://www.unine.ch/shm/home.html

  • Nigeria-UK Migration Agreement : Smugglers, illegal migrants to face maximum sentence, deportation

    THE United Kingdom government has signed a new migration agreement with Nigeria that will deter illegal migration, the Home Office announced Friday.

    Under the agreement, both countries will issue emergency travel certificates or temporary passports within five days in order to speed up removal of people with no right to be in the UK.“Our new landmark agreement with Nigeria will increase the deportation of dangerous foreign criminals to make our streets and country safer.

    “The deal will mean that operational teams in both countries will share their expertise to take the fight to criminal people smugglers who are responsible for a wider range of criminality and put profit before people while undermining the security of our two countries,” Home Secretary and member of the UK Parliament for Witham Priti Patel said.

    On Thursday, 21 people (13 Nigerians and eight Ghanaians) with no right to be in the country, including those with combined sentences of more than 64 years, for crimes such as rape and sexual offences against children, were deported.

    The UK is also working closely with the governments of Belgium, France and Rwanda to do everything possible to stop illegal migrants before they reach the UK.

    While thousands of illegal migrants are ferried into the UK by small boats from bordering countries, some people who enter the UK on regular routes can still become irregular migrants.

    According to the UK government, illegal migrants include persons who entered the UK without authority, entered with false documents and individuals who have overstayed their visas.

    It also includes people who work or study on a tourist visa or non-immigrant visa waiver, enter into forced or fraudulent marriages or had their marriages terminated or annulled.

    The agreement will compliment UK’s newly approved Borders Act which prescribes increased maximum sentence for illegally entering the UK or overstaying a visa and a maximum sentence of life imprisonment for people smugglers and small boat pilots.

    In addition, the act puts into law that those who could have claimed asylum in another safe country but arrive illegally in the UK, can be considered as ‘inadmissible’ to the UK asylum system.

    UK Guardian reported that the deal with Rwanda, which will reportedly cost an initial £120 million, follows three years of promises by Patel to outsource asylum processing to third countries and failures to strike deals with Albania and Ghana.

    Under the arrangement which has faced heavy criticism, migrants will have their asylum claims processed in the East African country and be encouraged to settle there.

    “We will now work tirelessly to deliver these reforms to ensure we have an immigration system that protects those in genuine need while cracking down on abuse of the system and evil people-smuggling gangs,” Patel assured.

    In 2021, French and UK authorities prevented more than 23,000 attempts to travel illegally to the UK.

    Over 6,000 crossings have been prevented so far in 2022, more than twice as many as at this point last year.

    https://www.icirnigeria.org/nigeria-uk-migration-agreement-smugglers-illegal-migrants-to-face-maxim

    #UK #Angleterre #Nigeria #accord #accord_bilatéral #accords_bilatéraux #asile #migrations #renvois #expulsions #déboutés #passeport_temporaire #certificat_de_voyage_d'urgence #sans-papiers #criminels #criminels_étrangers #passeurs #mariage_blanc #Borders_Act

    ping @isskein @karine4

  • Derrière l’utopie d’un village d’#Emmaüs, l’exploitation de la misère
    https://reporterre.net/Derriere-l-utopie-d-un-village-d-Emmaus-l-exploitation-de-la-misere

    (...) un couple de lecteurs ayant quitté leurs emplois pour tenter l’aventure d’un tour de France en caravane. Ils nous racontaient ressortir effarés de leur mois de bénévolat passé dans le village Emmaüs de Lescar-Pau. « Les conditions de travail sont choquantes, écrivaient-ils. Cela ressemble à une exploitation de la misère ! Certains villageois nous ont exprimé qu’ils se sentent pris au piège. »

    Au téléphone, l’indignation des baroudeurs était palpable : « Cet Emmaüs est le plus grand de l’Hexagone. Il y a une ferme pédagogique, une boulangerie, mais aussi un bar, un restaurant et une épicerie flambant neufs. Et derrière ça, en coulisses, des types bossent à la chaîne comme au XXᵉ siècle [?] , dans des conditions lamentables. » Vidant leur sac rempli d’anecdotes et de colère, ils évoquèrent rapidement le prénom d’un homme, Germain Sarhy, fondateur et gérant historique de la communauté. « Il est prêt à réduire en esclavage de pauvres gens pour que les clients consomment. On voulait lui toucher deux mots, mais l’un de ses adjoints nous a dit d’être prudents, qu’il pouvait s’énerver très facilement. »

    C’est en août 1987, de retour d’un voyage en Inde et inspiré par l’œuvre de l’abbé Pierre, que Germain, ouvrier aéronautique, a entrepris la transformation d’un immense hangar, servant à l’élevage de bœufs, en ateliers et espaces de vente. La grange métamorphosée en cuisine et un préfabriqué réaménagé en chambres, voilà que naissait la communauté Emmaüs de Lescar-Pau. Depuis trente-cinq ans, ce lieu de solidarité accueille des personnes exclues de la société ou en situation de grande précarité, surnommées les compagnes et compagnons. Elles y collectent, trient, valorisent et revendent une quantité folle d’objets, en échange du gîte, du couvert et d’un modeste pécule.

    De Jean Dujardin à François Ruffin

    Au fil des décennies, ce village autofinancé est devenu la plus grande et célèbre des 122 communautés Emmaüs qui parsèment le territoire. La centaine de compagnons qui y résident ont vu défiler maintes célébrités et personnalités politiques, des Rita Mitsouko à Jean Dujardin, en passant par le président bolivien Evo Morales, ou encore François Ruffin, Manon Aubry et Julien Bayou. Ces visiteurs d’un jour ne tarissent pas d’éloges à l’égard de cette alternative sociale et écologique au système capitaliste. Auraient-ils été aveuglés par l’utopie qui prenait forme sous leurs yeux ?

    (...) « Ici, il n’y a pas d’arrêt maladie. Tu ne peux pas bosser ? Tu te casses. Point barre. Germain dit qu’on n’est pas un Ehpad. »

    (...) « Au bout de trois ans à Emmaüs, les #sans-papiers peuvent obtenir un titre de séjour. Et ça, Germain ne le supporte pas, affirme Théo. Il les considère comme des profiteurs. » À ces accusations, le gérant me répondra simplement qu’il est impossible de faire fonctionner le village avec trop de personnes sans-papiers, faute de permis de conduire. Selon Emmaüs France, à l’échelle de l’ensemble des communautés, le pourcentage de compagnons en situation irrégulière s’élève pourtant à 70 %.

    (...) renvois éclairs, qui interviennent parfois en pleine trêve hivernale : « Il convoque le compagnon dans son bureau, annonce qu’il est viré, lui remet trois sous et lui laisse cinq minutes pour faire son sac. Puis c’est direction la gare. » Le fameux PSG dont m’avait parlé une ancienne résidente : pécule, sac, gare. Une fois à l’extérieur, les compagnons se retrouvent généralement à la rue, démunis : « Le travail est tellement épuisant qu’en rentrant le soir, ta seule envie est de dormir. Pas le temps de penser, de désobéir ou de chercher une porte de sortie ».

    #Martin_Hirsch #travail #accidents_du_travail

    • C’est un petit terminal à l’écart de l’aéroport de Marignane. Les panneaux indiquent « aviation générale ». La machine à café est en panne et, vu le présentoir à journaux, on se croirait chez le dentiste. Mais, c’est là, juste à côté de l’aéroclub, que nichent les compagnies de jets privés. Avec salles de réunion, de conférence… Dans un coin, un bureau un peu plus austère. Celui de la « police de l’air et des frontières » (PAF).

      D’après le collectif « Marseille contre les CRA », qui y a mené une action début avril (1), c’est depuis ce terminal que la « PAF » procède à des reconduites à la frontière vers la Tunisie. Grâce à Twin Jet, la plus petite compagnie hexagonale, basée à Aix, et dont la flotte est constituée essentiellement d’appareils d’une vingtaine de places.

      Ce matin, le bureau de la PAF est fermé et, sur place, personne ne pipe mot. A la Sécurité, on nous confirme qu’il y a bien, de temps en temps, des expulsions mais on nous dit d’aller au bureau principal de la PAF au terminal 1. Lorgnant sur notre carte de presse, le policier lance : « C’était vous, au terminal Aviation générale ? » Son supérieur, lui, n’a rien à dire à la presse !

      Démarche « solidarité »

      Le syndicat Unité Police est plus disert : « C’est un petit avion qui vient de Paris. S’il passe par Marignane, c’est surtout pour refaire le plein. Et aussi pour récupérer, s’il y a lieu, des personnes à expulser. Mais pas grand monde. L’Algérie refuse d’accueillir ses ressortissants et la Tunisie, c’est au compte-goutte… Après, c’est vrai que durant le confinement, tous les vols commerciaux avaient été suspendus. Mais même les collègues se plaignent. C’est un petit avion, pas très confortable. »

      Le « Petit Poucet du ciel français » dixit Les Echos, spécialisé dans les trajets régionaux, ne met guère cette activité en avant. Ni sur le net. Ni sur sa plaquette à la gloire du « plus important opérateur de Beechcraft 1900D en Europe », le nom de ces petits coucous. Qui préfère insister sur son agrément pour le « transport sanitaire » ou de « marchandises dangereuses ». Et de tartiner sur sa « démarche environnementale » et « solidarité ». Notamment sa participation au « programme alimentaire mondial » : « Pour chaque passager transporté, nous offrons deux repas à un enfant », lit-on juste à côté d’un dessin où des mômes dansent autour du globe.

      Mais pas besoin de chercher longtemps, Twin Jet se fait régulièrement épingler par les médias, notamment lorsque ses avions ont servi à vider la « jungle » de Calais. Et de défrayer la chronique fin 2017, la presse évoquant l’intervention d’un policier de la PAF pour favoriser Twin Jet lors de l’attribution du marché en 2014 au détriment de Chalair Aviation. En 2020 la Cour administrative d’appel a condamné l’État à verser à cette compagnie « 331 928 euros » d’indemnités. Sollicité, Alain Battisti, son PDG (et patron de la fédération de l’aviation marchande) refusera de « s’exprimer sur le sujet ».

      En 2018, pour 4 ans et 6 millions d’euros, Twin Jet a de nouveau raflé la mise. Contacté début mai, le PDG Guillaume Collinot, précisant que le marché arrive à terme, ne cache pas son agacement : « On met notre appareil à disposition. Après, ce qui est fait ne nous regarde pas. » Rappelant qu’il y a « plus de reconduites par les appareils classiques que par les nôtres », il grince : « La police utilise des véhicules Renault ou Peugeot. Personne ne le leur reproche. Alors pourquoi le faire avec nous ? »

      Commande publique

      Et de rester flou quant à l’utilité pour la police de recourir à de si petits avions. Alors qu’un rapport parlementaire de 2019 évalue le coût d’une expulsion à « 14 000 euros » et recense plus de 3000 refus d’embarquer de la part des personnes éloignées ainsi qu’une centaine des commandants de bord, d’après un militant du collectif anti-CRA selon lequel il y aurait des « expulsions toutes les semaines, le vendredi », ce serait « plus discret » et ça permettrait de contourner le test PCR obligatoire, le refus de test permettant de retarder l’expulsion : « C’est ce que nous ont dit des personnes expulsées. » Réplique du patron de Twin Jet : « C’est faux ! Nos avions sont soumis aux mêmes contraintes sanitaires que les autres. »

      Pour le PDG d’une compagnie qui, d’après la presse économique, aurait traversé la crise sanitaire sans aide, cette activité ne représente qu’une « part infime » du chiffre d’affaire. Sauf qu’en 2021, Twin Jet a perdu 3 millions d’euros, obligeant le fondateur (et résident suisse) Olivier Manaut à mettre la main à la poche via une augmentation de capital de 6 millions. Quant aux salariés, depuis la fin 2021, ils sont en activité partielle. Alors, quand on lui demande s’il postulerait à nouveau à un tel marché, Collinot n’hésite pas une seconde : « Avec la crise sanitaire, le trafic a fortement baissé. Et il n’y a rien de mieux que la commande publique. Il en va de l’emploi de nos salariés. »

      Ça tombe bien : mi-mai, le ministère vient de relancer un nouveau marché. Pour 4 ans (et 1400 heures de vol par an). Et pour la bagatelle de près de 10 millions d’euros ! Mais Collinot, n’ayant guère apprécié de se voir attribuer le Ravi de plâtre, ne veut plus nous parler. Il aurait préféré, précise-t-il par SMS, que l’on rappelle que « dans cette période difficile, Twin Jet a eu une dimension sociétale en faisant de nombreux vols sanitaires, en maintenant tous les emplois salariés et en proposant aux salariés de nombreuses formations ». De l’argument de haut vol. Qui rappelle le très acide détournement par René Binamé du tube de Dominique A : « Si seulement nous avions /l e courage des avions »…

      (1). Publié sur mars-infos.org

      https://leravi.org - Enquête et Satire - PACA mais pas que.
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  • Militants pour les migrants
    https://laviedesidees.fr/Militants-pour-les-migrants.html

    Héloïse, Nassim et Sarah sont bénévoles au pôle LGBTQIA+ du Bureau d’Aide Aux Migrants. Les permanences pour accompagner les démarches de demande d’asile vont de pair avec un engagement militant qui dénonce les politiques migratoires et les conditions d’accueil des migrants.

    #Société #sans-papiers #militantisme #LGBT #Les_artisans_de_l'égalité
    https://laviedesidees.fr/IMG/docx/20220413_militants.docx
    https://laviedesidees.fr/IMG/pdf/20220413_militants.pdf

  • A #Gennevilliers, les travailleurs #sans-papiers régularisés (pour de faux) par les élus communistes

    En grève depuis presque cinq mois, les 83 travailleurs qui réclament leur naturalisation ont reçu une #carte_de_citoyenneté gennevilloise. Un document sans valeur juridique mais hautement symbolique.

    Cette cérémonie, c’était aussi, voire surtout, le moyen de resserrer les rangs et d’enrayer le découragement. Ce mercredi soir, les travailleurs sans-papiers de la société RSI, à Gennevilliers, sont repartis de la mairie avec une carte de citoyenneté gennevilloise remise par un élu. Après bientôt cinq mois de grève et de bras de fer avec la préfecture pour être régularisés, cette cérémonie était symbolique à plus d’un titre.

    Ce document signé par #Patrice_Leclerc, le maire PCF de Gennevilliers, est une sorte de #carte_d’identité_locale attestant que chacun habite bien la ville, tous étant domiciliés au centre social des Grésillons. « Bien sûr qu’il n’a pas de valeur juridique pour la préfecture mais il rappelle que nous ne sommes pas seuls, qu’on a toute une ville et même plus derrière nous. Peut-être qu’il peut aussi nous éviter des problèmes en cas de contrôle de la police », commente Mahamadou Touré, le porte-parole des grévistes.

    « Ne lâchez rien ! »

    « Cette carte représente notre #solidarité à votre #lutte et notre admiration pour votre courage exceptionnel, insiste Patrice Leclerc dans une salle du conseil bondée. Votre conflit vous a fait sortir de l’invisibilité. Vous avez raison, ne lâchez rien ! » Et Mahamadou Touré d’exhorter ses camarades de galère à poursuivre le combat : « Ne baissez pas les bras, restez soudés ! La lutte paye ! » Quelques instants plus tard, manifestement ému, il recevait la carte des mains d’Elsa Faucillon, députée PCF et, comme les autres élus de Gennevilliers, soutien actif de leur cause depuis le début.

    Depuis le 22 octobre, ces 83 salariés sans-papiers de l’entreprise d’intérim RSI, spécialisée dans le bâtiment, sont en grève. Le 1er novembre, ils ont installé un piquet de grève qu’ils occupent toujours. Le 10 décembre, ils ont remporté une première (et pour l’instant unique) victoire quand leur employeur leur a finalement délivré un Cerfa et les attestations de concordance, indispensables à toute demande de papiers.

    Les élus communistes demandent le soutien… du patron des patrons

    Des actions ont jalonné les semaines suivantes comme un grand barbecue sur le parvis de la mairie le 24 décembre et une manifestation le 18 janvier à Nanterre. Le Collectif des sans-papiers de Vitry qui a organisé et structuré la colère et fait le lien avec deux autres mouvements identiques : ceux de Chronopost à Alfortville (Val-de-Marne) et DPD, une autre filiale de la Poste, au Coudray-Montceaux, en Essonne.

    La seconde victoire se fait encore attendre mais le 28 février Patrice Leclerc et la députée communiste Elsa Faucillon se sont fendus d’une lettre commune. Un exemplaire a été adressé à la fédération du bâtiment (la branche de RSI), un autre à la direction de la Poste pour les mouvements de DPD et Chronopost et le troisième et dernier à Geoffroy Roux de Bézieux, le patron du Medef. Le courrier revient sur les trois conflits en cours.

    « Alors qu’ils détiennent les preuves de leurs embauches, du travail effectué, ils demandent leur régularisation. Pour le moment, les préfectures ne répondent pas positivement à ce qui ne serait que justice », écrivent le maire et la parlementaire, qui ajoutent : « L’emploi illégal d’un étranger est passible de sanctions pénales mais cette situation perdure parce que l’État ferme les yeux ». Les deux élus demandent en définitive aux patrons de la Poste, de la Fédération du bâtiment et du Medef de soutenir le combat « de ces personnes qui ont travaillé dans [leur] entreprise. »

    En janvier, la préfecture de Nanterre avait indiqué que « la situation fera l’objet d’un examen au vu de la réglementation en vigueur ». Au cas par cas donc. « Les préfets appliquent strictement les textes alors qu’ils ont la capacité de mettre en œuvre ceux-ci avec discernement », répliquent Patrice Leclerc et Elsa Faucillon dans leur missive aux patrons. Ce mardi, 15 mars, une délégation d’élus a remis au cabinet du préfet un long fichier recensant les 83 demandeurs avec entre autres, leur date d’arrivée en France et leur nombre de fiches de paye. Un salarié se prend à espérer : « c’est peut-être la preuve qu’on a une chance de gagner. De toute façon, on n’a rien à perdre… »

    https://www.leparisien.fr/hauts-de-seine-92/gennevilliers-92230/a-gennevilliers-les-travailleurs-sans-papiers-regularises-pour-de-faux-pa

    #grève #régularisation #symbole #citoyenneté_locale

    via @karine4

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    • « L’Etat ne va pas se débarrasser d’eux ! » : à Gennevilliers, les salariés sans papiers d’une société d’intérim en sont à six mois de grève

      En grève depuis six mois, les 93 salariés sans-papiers de la société d’intérim RSI n’attendent qu’une chose : la régularisation de tout le groupe. Le collectif des sans-papiers de Vitry (Val-de-Marne) leur permet de tenir le coup financièrement.

      Les mois qui passent n’ont éteint ni leur détermination, ni les braseros. Ce vendredi 22 avril, les 93 salariés sans-papiers de la société d’intérim RSI « célèbrent » leurs six mois de grève sur la petite place devant RSI, au bout de l’avenue des Grésillons. En six mois, leur combat n’a pas changé d’un iota : obtenir une régularisation massive de tout le groupe. « On est en France depuis des années, on travaille dur. Ces papiers, on ne les vole pas », gronde l’un d’eux.

      Ces dernières semaines, la situation a quelque peu évolué. Après d’incessantes tentatives, des manifestations, des demandes de rendez-vous avec le préfet, Elsa Faucillon et Denis Datcharry, respectivement députée et conseiller général PC, ont été reçus le 5 avril en préfecture avec un document capital : un tableau recensant la situation de chaque gréviste, ses contrats de travail, ses fiches de paye etc. « D’après le préfet, 30 sont régularisables. On est loin du compte mais c’est une avancée. Il faut veiller quand même à ne pas se diviser. C’est sans doute ce qu’ils espèrent », analyse Mahamadou, un des porte-parole du groupe.

      Le 10 décembre, RSI avait délivré un Cerfa, ces certificats prouvant qu’ils travaillent, document indispensable à toute procédure de régularisation, à 80 d’entre eux. « Le problème c’est que tout le monde n’a pas les fiches de paye. RSI établissait un contrat de travail, payait mais n’envoyait pas systématiquement les fiches. Si le préfet se base là-dessus, ça va encore coincer. Mais cela va dans le bon sens il y a deux mois, on en était au point mort », ajoute Mahamadou.

      Depuis fin octobre, le piquet de grève s’est transformé en un semblant de campement avec un barnum abritant des matelas. « Dans le quartier cela commence un peu à grogner. Des entreprises du coin les ont quasiment sous leurs fenêtres et trouvent le temps long », glisse un élu.
      « Malgré la durée de leur conflit, ils ne sont pas en danger économiquement »

      Le Collectif des sans-papiers de Vitry a organisé et structuré la colère et fait le lien avec deux autres mouvements similaires : ceux de Chronopost à Alfortville (Val-de-Marne) et DPD, une autre filiale de la Poste, au Coudray-Montceaux, en Essonne. C’est lui qui s’occupe de la logistique, de l’intendance et subvient à leurs besoins. « On a lancé deux caisses de grèves sur Internet et organisé des collectes lors de manifestations ou de meeting de partis de gauche, précise Christian Schweyer, porte-parole du collectif. Nous sommes puissants. Malgré la durée de leur conflit, ils ne sont pas en danger économiquement. Nous sommes sur du temps long mais au moins, la préfecture a reconnu qu’il s’agit d’un mouvement collectif. C’est nouveau et cela permet d’espérer ! »

      Ces derniers mois ont été jalonnés de manifestations devant la préfecture et de coups d’éclat organisés par la municipalité communiste de Gennevilliers qui les soutient depuis le début. Des actions comme le barbecue citoyen du 24 décembre, le courrier de la ville au Medef et à la fédération du bâtiment ou la remise d’une carte de citoyenneté gennevilloise le 16 mars ont permis de maintenir l’unité et de galvaniser les troupes.

      Ce document, sans valeur juridique est pourtant lourd de sens. « Pour un sans-papiers, c’est quand même un début de papier, analyse Mahamadou. Et il a montré son utilité. » Cette carte, selon Patrice Leclerc le maire PCF de Gennevilliers, montre « la solidarité d’une ville à ces hommes ». « Il y a quelques jours, deux camarades ont été arrêtés pour une histoire de ticket de métro. Ils ont montré le seul papier qu’ils avaient, cette carte. Les policiers les ont laissés partir sans même une amende », ajoute le porte-parole.

      Un autre sujet s’est récemment invité dans les conversations, le risque d’une victoire de l’extrême droite à la présidentielle dimanche soir. « C’était déjà extrêmement dur avec Macron mais, oui, j’ai peur que cela se durcisse encore pour nous. Le discours de l’extrême droite s’est banalisé », soupire Diakité. « Honnêtement, j’ai peur qu’elle gagne », avoue Mahamadou.

      « Ils tiennent le coup depuis six mois mais ils en payent le prix fort, résume Elsa Faucillon. Six mois à bivouaquer et se battre au pied de la N 315 quand même. Ils sont allés trop loin pour faire marche arrière : même en faisant traîner le dossier, l’Etat ne va pas se débarrasser d’eux ! »

      https://www.leparisien.fr/hauts-de-seine-92/meme-en-faisant-trainer-le-dossier-letat-ne-va-pas-se-debarrasser-deux-a-

  • Une personne sans titre de séjour sur six souffre de troubles de stress post-traumatique en France

    Les Troubles de stress post-traumatique (TSPT) sont des #troubles_psychiatriques qui surviennent après un #événement_traumatisant. Ils se traduisent par une #souffrance_morale et des complications physiques qui altèrent profondément la vie personnelle, sociale et professionnelle. Ces troubles nécessitent une #prise_en_charge spécialisée. Pour les personnes sans titre de séjour, la migration peut avoir donné lieu à des expériences traumatiques sur le #parcours_migratoire ou dans le pays d’accueil, qui peuvent s’ajouter à des traumatismes plus anciens survenus dans le pays d’origine, alors que les #conditions_de_vie sur le sol français sont susceptibles de favoriser le développement de TSPT.
    Quelle est la prévalence des troubles de stress post-traumatique au sein de cette population encore mal connue ? Comment les #conditions_de_migration et les #conditions_de_vie dans le pays d’accueil jouent-elles sur leur prévalence ? Quel est l’accès à l’Aide médicale de l’Etat (#AME) des personnes qui en souffrent ?
    54 % des personnes interrogées dans l’enquête Premiers pas, menée en 2019 à Paris et dans l’agglomération de Bordeaux auprès de personnes sans titre de séjour, déclarent avoir vécu un événement traumatique. 33 % dans leur pays d’origine, 19 % au cours de la migration, et 14 % en France. La prévalence des TSPT atteint 16 % parmi les personnes sans titre de séjour, tandis qu’elle est estimée entre 1 à 2 % en population générale en France (Vaiva et al., 2008 ; Darves-Bornoz et al., 2008). Les conditions de vie précaires en France sont associées à des prévalences plus élevées de TSPT. Parmi les personnes souffrant de TSPT éligibles à l’AME, 53 % ne sont pas couvertes, contre 48 % dans le reste de cette population.

    https://www.irdes.fr/recherche/2022/qes-266-une-personne-sans-titre-de-sejour-sur-six-souffre-de-troubles-de-stres
    #trouble_de_stress_post-traumatique (#TSPT) #statistiques #chiffres #traumatisme #sans-papiers #France #santé_mentale #psychiatrie #accès_aux_soins #précarité

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  • #Tribune. Avec ou sans papiers, les #livreurs veulent faire respecter leurs #droits

    Alors que s’ouvre ce 8 mars, le #procès de #Deliveroo pour #travail_dissimulé, des travailleurs #sans-papiers prennent la parole pour « s’associer à ces attaques en #justice ». Ils demandent « le #salariat et le #contrôle_des_données par ceux qui les produisent en pédalant, et non par ceux qui les minent depuis les ordinateurs. »

    Nous avons appris que des procès étaient en cours ou avaient eu lieu, en France et en Europe, contre #Uber, Deliveroo, #Frichti, #Stuart et d’autres. Un grand procès contre Deliveroo pour travail dissimulé s’ouvrira au printemps 2022 à Paris. Nous avons appris qu’un des enjeux de ces procès était de demander la #requalification d’#auto-entrepreneur en #salarié.

    Le travail à la tâche, le contrôle permanent des GPS et des plateformes, les temps d’attente et de déplacement non-payés, les équipements pour travailler (vélo, tenue, téléphone, électricité…) à la charge des livreurs, les baisses des revenus de livraisons, les accidents non-couverts : nous ne les acceptons pas. Des livreurs sont blessés dans des #accidents de vélo, certains sont morts, sans contrat de travail, sans protection sociale, sans indemnisation, ni couverture des frais médicaux.

    Nous avons également appris que, plus que notre force de pédalage, c’était nos données numériques qui avaient de la valeur. Nous savons que l’utilisation de ces données par les plateformes peut être jugée illégale. Nous avons lu l’article 22 du Règlement Général de Protection des Données : « La personne concernée a le droit de ne pas faire l’objet d’une décision fondée exclusivement sur un traitement automatisé, y compris le #profilage, produisant des effets juridiques la concernant ou l’affectant de manière significative de façon similaire ». L’#automatisation des #suppressions_de_comptes peut être et a déjà été jugée illégale en France et en Europe.

    Nous voulons nous associer à ces attaques en justice qui demandent le salariat et le contrôle des données par ceux qui les produisent en pédalant, et non par ceux qui les minent depuis les ordinateurs.

    Mais il nous faut, avant, préciser que notre situation, est à la fois liée et différente. L’#exploitation qui a cours avec les sans-papiers n’est pas qu’une intensification de l’exploitation en général. C’est aussi un autre métier que nous faisons en n’ayant aucun droit.

    Les #plateformes nous mettent en concurrence, entre ceux qui ont des papiers et ceux qui n’en ont pas. Nous sommes accusés de faire baisser les prix. Diviser pour mieux régner. Nous plaidons pour les luttes et rapports de force avec les plateformes se pensent et s’organisent entre travailleurs, avec et sans papiers.

    La situation est connue mais on préfère la rappeler :

    Une fois que tu as attendu trente minutes pour recevoir une commande, que tu sais que ton propriétaire de compte attend son argent (environ un prélèvement de 30% des revenus bruts), tu es obligé d’accepter tous les genres de commandes, la première qui arrive, même si c’est pour deux euros, même si tu ne comprends pas pourquoi ce prix dérisoire, qu’il pleut et que le client habite loin.

    Nous savons que les plateformes rétorquent que ce n’est pas de leur faute si des personnes sous-louent leurs comptes à des sans-papiers. Des voix s’élèvent pour demander des contrôles plus importants dans l’accès aux #comptes. Mais nous savons aussi que cet ordre arrange les plateformes et l’État : une main d’œuvre aussi corvéable, ça ne se trouve pas si facilement.

    Le problème est d’abord celui de la création légale de sans-papiers. Personne ne peut vivre sans droits dans ce monde, à part pour être gravement exploité.

    Dans les procès, les livreurs disent qu’ils ne sont pas leurs propres patrons, qu’il existe un #rapport_de_subordination entre eux et les plateformes.

    Dans notre cas, nous pourrions dire que nous avons cinq patrons : les sociétés des plateformes ; les clients ; les restaurants ; le propriétaire du compte ; et la Préfecture.

    Il faut vraiment savoir que tout le monde fait semblant : l’Obligation à Quitter le Territoire Français, délivré par les Préfectures, n’est pas qu’une décision qui vise à nous expulser, c’est un permis de travailler sur le vélo clandestinement. Régulièrement, nous livrons des repas aux policiers à l’hôtel de police. Pendant le confinement, nous faisons partie des seules personnes qui avaient le droit de circuler dans la ville pour livrer, nous, ceux qui avons le moins le droit de circuler par ailleurs, ou seulement pour être expulsés.

    Le 24 novembre 2021, nous, livreurs avec et sans papiers, avons fait grève tout le jour à Grenoble. Nous allons recommencer.

    Nous voulons créer des contentieux en droit du travail et aussi pour avoir accès à nos données. Les soutiens syndicaux, juridiques, sociaux, informatiques s’organisent. Nous les appelons aussi par cette tribune. Nous collectons nos propres données informatiques et les étudions : nous appelons à nous réapproprier les chiffres que les plateformes génèrent.

    Si des restaurants et des clients faisaient grève avec nous, simplement arrêter les smartphones un temps, se déplacer pour aller chercher un repas, en solidarité des revendications de transformations des conditions de travail et de régularisations, que se passerait-il ?

    Signataires :

    Laye Diakité, Pathé Diallo, Saâ Raphaël Moundekeno, Mohamed Traoré, co-auteurs.

    avec Sarah Mekdjian et Marie Moreau.

    https://blogs.mediapart.fr/les-invites-de-mediapart/blog/080322/avec-ou-sans-papiers-les-livreurs-veulent-faire-respecter-leurs-droi

    • Nous voulons créer des contentieux en droit du travail et aussi pour avoir accès à nos données. Les soutiens syndicaux, juridiques, sociaux, informatiques s’organisent. Nous les appelons aussi par cette tribune. Nous collectons nos propres données informatiques et les étudions : nous appelons à nous réapproprier les chiffres que les plateformes génèrent.

      #data

  • #Lyon : #incendie rue Salomon Reinach, prétexte pour expulser des sans-abri en toute illégalité
    https://fr.squat.net/2022/02/26/lyon-incendie-rue-salomon-reinach

    Après l’incendie d’une pièce du squat le Carré, #15_rue_Salomon_Reinach, le proprio Grand Lyon Habitat et les flics en ont profité pour expulser illégalement les habitant-es et voler leurs affaires. Le Tribunal avait pourtant autorisé le squat à rester jusqu’en mai 2022. Lundi 14 février en début d’après midi, une pièce du squat […]

    #expulsion #la_Guillotière #sans-papiers #Squat_Le_Maria