• ★ Les libertaires ont-ils perdu la bataille des idées ? - GLJD Le Libertaire

    (...) Si l’on prend le terme anglo-américain woke (« éveillé ») et qui désigne le fait d’être conscient des problèmes liés à la justice sociale et à l’égalité raciale, les anarchistes peuvent être considérés comme partisans du wokisme.
    Cela fait longtemps que les libertaires sont conscients des injustices subies par les minorités ethniques, sexuelles, religieuses, ou de toutes formes de discrimination. Cela recoupe souvent l’exploitation capitaliste. Prenons l’exemple des catholiques irlandais en Ulster, ces derniers ne trouvaient du travail qu’après les protestants dans les années 1970. Dire aujourd’hui que les musulmans sont discriminés, ce n’est un scoop pour personne. Lucy Parson connaissait parfaitement les discriminations raciales. Emma Goldman parla dans ses meetings de l’homosexualité…
    (...) Dire que l’on ne peut pas écrire sur l’Islam car c’est la religion des opprimés, c’est un non-sens pour un anarchiste car toute religion opprime. La religion est liberticide ; elle opprime les hommes, les femmes, les enfants, les animaux. Elle opprime souvent bien plus les femmes ; c’est un constat intemporel. Et les islamistes ainsi que leurs séides, idiots utiles ou pas, peuvent toujours nous traiter d’islamophobes, cela ne changera pas notre conception de la liberté. Et Dieu et l’Etat de Bakounine est un ouvrage qui restera d’actualité tant que les Etats et les religions existeront. Et nous souhaitons à l’Islam et aux autres religions, le sort de l’église catholique qui périclite d’année en année (...)
    Grâce au wokisme, il existe maintenant un véritable clivage dans le féminisme. S’il y a toujours consensus contre le patriarcat, les viols, les féminicides, le harcèlement… ça se déchire sur le port du voile par exemple, les Trans…. Parallèlement à aucun moment le wokisme analyse la domination des femmes aux postes de pouvoir. Elles y exercent aussi tyranniquement que les hommes. De mémoire, Margaret Thatcher en Grande-Bretagne. Aujourd’hui, c’est la Méloni en Italie et peut-être demain Marine Le Pen en France. Elles font aussi bien le travail que les hommes pour ce que le capital exige (...)

    #Anarchisme #émancipation...
    🛑 #wokisme #discrimination #oppression #injustice #capitalisme #extrêmedroite #étatisme #pouvoir #luttedesclasses #féminisme #patriarcat #femmes #marchandisation #profits #GPA #homophobie #validisme... ...

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  • Migranti, dalla Lombardia al Veneto all’Emilia la rivolta dei sindaci del Nord. Zaia : “Rischiamo di avere le tendopoli”

    Aumentano i minori affidati ai Comuni, i primi cittadini sindaci leghisti guidano il fronte degli amministratori che accusano Roma: «Così mettono in ginocchio i bilanci»

    Mentre il governo si prepara per l’approvazione di un provvedimento sul modello dei decreti sicurezza voluti nel 2018 da Matteo Salvini, il tema immigrazione diventa materia di scontro, non solo tra maggioranza e opposizione e tra alleati di governo, ma anche tra Roma e il Nord. Con il fronte dei sindaci - leghisti in testa - che si sente abbandonato. A partire dalla Lombardia dove, mettendo in fila i dati, al 31 luglio 2023 si registrano 16.232 migranti: 2.156 in più rispetto al mese precedente e 5.481 in più rispetto al 31 luglio 2022. Secondo il piano di redistribuzione del Viminale, entro il 15 settembre la quota arriverà a 6.000. La fetta più grande, insomma, per cercare di ripartire gli oltre 50 mila richiedenti asilo. «I comuni sono diventati i centri di costo dell’immigrazione. La politica si ricorda di noi solo quando ci sono le elezioni e ha bisogno di voti. Poi, ci lascia le grane da risolvere». Roberto Di Stefano, sindaco leghista di Sesto San Giovanni, alle porte di Milano, parla di una situazione che «mette in ginocchio i bilanci: siamo costretti a distrarre fondi che potremmo spendere per gli anziani, per i disabili, per occuparci dell’accoglienza agli stranieri». A destare maggiore preoccupazione, spiega ancora Di Stefano, sono minori non accompagnati che vengono assegnati ai comuni direttamente dal Tribunale. «Ho l’impressione che il ruolo dei sindaci non sia capito. Non basta il rimpatrio di qualche centinaio di persone, perché gli arrivi sono molti di più. E il lavoro va fatto a monte: investendo in democrazia nei Paesi da cui queste persone scappano».

    Nella provincia di Brescia, l’insoddisfazione è la medesima: il sindaco di Edolo, Luca Masneri (civico), dalla Valle Camonica ricorda di aver chiesto alla Prefettura «di iniziare a pensare a una exit strategy. Negli anni passati abbiamo avuto anche 200 migranti su una popolazione di 4.400 persone. Ora siamo a 70 e vogliamo arrivare a 40». Marco Togni, primo cittadino leghista di Montichiari (Brescia), non si pone proprio il problema: «Immigrati non ne voglio. Non ho posti in cui accoglierli e quindi non me ne preoccupo. Non posso impedire che strutture private nel mio comune partecipino ai bandi della Prefettura per l’accoglienza ma quando chiedono il mio parere dico sempre che sarebbe meglio non farlo». E in mancanza di strutture in cui ospitarli, Togni ribadisce la sua «indisponibilità a qualsiasi conversione di strutture di proprietà comunale». Anche Sebastian Nicoli, sindaco Pd di Romano di Lombardia, nella bergamasca, ha contestato l’arrivo di una trentina di richiedenti asilo nell’ex hotel La Rocca, struttura privata gestita da una cooperativa: «Ancora una volta affrontiamo un’emergenza calata dall’alto. La Prefettura mi ha avvisato solo informalmente dell’arrivo dei richiedenti asilo. Non mi è stato neanche comunicato il numero esatto».

    In terra lombarda il tema degli alloggi è stato anche materia di scontro tra alleati in giunta regionale: l’assessore alla Casa Paolo Franco (in quota Fdi) era stato costretto a un dietrofront sulla proposta di utilizzare le case popolari non occupate (e pronte all’uso) per allargare la rete dei Cas (Centri di accoglienza straordinaria) come richiesto dal governo. Immediate le proteste da parte della Lega con tanto di precisazione del governatore Attilio Fontana.

    Seconda solo alla Lombardia, l’Emilia-Romagna ha ospitato nei primi sette mesi di quest’anno il 9% dei migranti sbarcati in Italia. Poco meno di 12 mila al 15 luglio, se ne attendono altri 4.000 tra la fine di agosto e settembre. Principalmente maschi, giovani e adulti, provenienti da Costa D’Avorio, Guinea, Egitto, Bangladesh, Pakistan, Tunisia, Burkina Faso, Siria, Camerun e Mali. I minori non accompagnati sono il 10%, ma rilevante è anche la quota dei nuclei familiari, che il sistema d’accoglienza prevede di tenere uniti. Da mesi, la crisi degli alloggi viene denunciata da prefetti, sindaci, cooperative di settore che reclamano più sostegno da parte di Roma ma anche collaborazione nella ricerca di soluzioni rapide. L’hub di via Mattei a Bologna, per esempio, accoglie da settimane i richiedenti asilo in una tendopoli, non essendoci più camere disponibili. Una soluzione che il sindaco Matteo Lepore (centrosinistra) definisce «non dignitosa» e «preoccupante» , segno che al ministero dell’Interno «non c’è alcuna idea su come gestire l’emergenza». Proprio al Viminale, l’assessore al Welfare del comune di Reggio-Emilia Daniele Marchi (Pd), ha minacciato di portare i molti rifugiati assegnati al suo distretto: «Se il governo va avanti così, carico dei pullman e li porto tutti a dormire al ministero».

    Il Veneto, che dai piani del Viminale dovrebbe accogliere 3.000 migranti entro settembre, arriverà a quota 200 mila, secondo il presidente Luca Zaia: «Di questo passo avremo presto le tendopoli». A Legnago, in provincia di Verona, il sindaco Graziano Lorenzetti ha riposto la fascia tricolore in protesta: «Tornerò a utilizzarla quando lo Stato metterà i sindaci e le forze dell’ordine nelle condizione di poter garantire la sicurezza ai propri cittadini». Il sindaco leghista di Chioggia Mauro Armelao è stato chiaro: «Non disponiamo di strutture pubbliche in cui accogliere i migranti, abbiamo già famiglie in attesa di un alloggio».

    https://www.lastampa.it/cronaca/2023/08/18/news/migranti_sindaci_del_nord_in_rivolta-13000355

    #résistance #maires #asile #migrations #réfugiés #Italie #accueil #Lega #Lombardie #MNA #mineurs_non_accompagnés #Luca_Masneri #Edolo #Roberto_Di_Stefano #Sesto_San_Giovanni #Valle_Camonica #Montichiari #Marco_Togni #Sebastian_Nicoli #Romano_di_Lombardia #Matteo_Lepore #Bologna #hébergement #Reggio-Emilia #Daniele_Marchi #Legnago #Graziano_Lorenzetti #Chioggia #Mauro_Armelao

    C’était 2019... j’avais fait cette #carte publiée sur @visionscarto des "maires qui résistent en Italie". 2023, on en est au même point :
    En Italie, des maires s’opposent à la politique de fermeture des États

    « Quand l’État faillit à ses responsabilités, l’alternative peut-elle provenir des municipalités ? » se demandait Filippo Furri dans le numéro 81 de la revue Vacarme en automne 2017. La réponse est oui. Et pour illustrer son propos, Furri cite en exemple le mouvement des villes-refuge, avec des précurseurs comme Venise. Un mouvement qui se diffuse et se structure.


    https://visionscarto.net/italie-resistances-municipales

  • #Interview #Oltre_Il_Colle’s Mayor (21.07.2017)

    Une partie de cette interview a été reprise dans cette vidéo (je ne mettrai donc ici que des éléments nouveaux :
    Progetto Zinco Gorno
    https://seenthis.net/messages/1013439

    #Valerio_Carrara, maire de la commune de Oltre il Colle.


    « L’arrivée de cette grosse entreprise australienne nous a amené une grande bouchée d’oxygène. »

    Les potentialités du projet de la réouverture des mines se traduit en la création d’emplois.

    Le maire dit qu’ils ont parlé en ces termes avec Minerals Energy : « Nous vous ouvrons les portes, nous vous les ouvrons en grand, mais vous devez nous garantir que, quand vous ouvrez la mine, vous nous donnez la possibilité d’insérer avant tout les résidents de nos vallées, puis que d’autres viendront d’où ils veulent, car le travail dans les minières est un travail dur ».

    Carrara explique qu’il a mis une condition : vous ne pouvez rien toucher si vous ne garantissez pas que faites tout dans les normes.
    Et il explique que ce qui a été fait jusqu’à présent a été fait en accord avec l’office technique de la commune et la commission du paysage. Et il ajoute : « Ils sont très rigoureux sur la protection de l’environnement et du territoire ».
    Grâce à ce projet il y la possibilité de « retombées sociales et économiques ».
    Il espère que la production commence « dans une année » (2018 donc).
    En rigolant il dit « Je suis déjà en train de regarder les 300 emplois qui seront déjà disponibles à partir de 2017 ».

    https://vimeo.com/209492040


    #mines #extractivisme #Italie #Alpes #montagne #Gorno #zinc #Altamin #Val_del_Riso #Val_Brembana #histoire #tourisme #plomb
    #vidéo #Energia_Minerals #potentialité #travail

    –—

    ajouté à la métaliste sur l’#extraction de #terres_rares dans les #Alpes :
    https://seenthis.net/messages/1013289

  • #Interview Gorno’s Mayor (21.07.2017)

    Une partie de cette interview a été reprise dans cette vidéo (je ne mettrai donc ici que des éléments nouveaux :
    Progetto Zinco Gorno
    https://seenthis.net/messages/1013439


    Giampiero Calegari, maire de Gorno, explique comment dans la période de plus « grande splendeur » de la région, travaillaient environ 1000 personnes, directement ou indirectement, en lien avec l’activité de la #mine.
    Activité minière presque inexistante ces 20-30 dernières années.

    Les rencontres qu’ils ont eu avec #Energia_Minerals, on leur a expliqué combien de personnes pourraient être employées directement ou indirectement grâce à la réouverture de la mine. Il est convaincu que les personnes habitant le territoires sont « disponibles à ce pari ».
    Il met en avant deux bénéfices possibles :
    – l’installation de la nouvelle industrie
    – le développement touristique

    https://vimeo.com/209336969

    #travail #mines #extractivisme #Italie #Alpes #montagne #Gorno #zinc #Altamin #Giampiero_Calegari #Val_del_riso #histoire #tradition #scommessa #pari #tourisme #Lombardie #opportunité #environnement #Kalgoorlie (#Kalgoorlie-Boulder)
    #vidéo

    –—

    ajouté à la métaliste sur l’#extraction de #terres_rares dans les #Alpes :
    https://seenthis.net/messages/1013289

  • Où le #classement_de_Shanghaï mène-t-il l’#université française ?

    Le classement de #Shanghaï, dont les résultats sont publiés mardi 15 août, a façonné une idée jamais débattue de l’« #excellence ». Des universitaires appellent à définir « une vision du monde du savoir » propre au service public qu’est l’enseignement supérieur français.

    Des universités à la renommée mondiale qui attirent les meilleurs étudiants, les chercheurs les plus qualifiés et les partenaires financiers les plus magnanimes : depuis l’avènement des classements internationaux dans l’#enseignement_supérieur, il y a vingt ans, la quête d’une certaine idée de l’« excellence » a intégré le vocabulaire universitaire, jusqu’à se muer en un projet politique.

    En France, en août 2003, la première édition du classement de Shanghaï, qui publie mardi 15 août son édition 2023, a été un coup de tonnerre : ignorant les subtilités administratives hexagonales et la tripartition entre #universités, grandes écoles et organismes de recherche, le palmarès n’avait distingué dans son top 50 aucun des fleurons nationaux. Piqués au vif, les gouvernements successifs se sont engouffrés dans la brèche et ont cherché les outils pour se conformer aux #standards. En 2010, le président de la République, #Nicolas_Sarkozy, avait fixé à sa ministre de l’enseignement supérieur, #Valérie_Pécresse, un #objectif précis : placer deux établissements français dans les 20 premiers mondiaux et 10 parmi les 100 premiers du classement de Shanghaï.

    La loi relative aux libertés et responsabilités des universités, votée en 2007, portait alors ses premiers fruits, présentés en personne par Mme Pécresse, en juillet 2010, aux professeurs #Nian_Cai_Liu et #Ying_Cheng, les deux créateurs du classement. Les incitations aux #regroupements entre universités, grandes écoles et organismes de recherche ont fleuri sous différents noms au gré des appels à projets organisés par l’Etat pour distribuer d’importants investissements publics (#IDEX, #I-SITE, #Labex, #PRES, #Comue), jusqu’en 2018, avec le nouveau statut d’#établissement_public_expérimental (#EPE). Toutes ces tactiques politiques apparaissent comme autant de stigmates français du palmarès chinois.

    Ces grandes manœuvres ont été orchestrées sans qu’une question fondamentale soit jamais posée : quelle est la vision du monde de l’enseignement supérieur et de la recherche que véhicule le classement de Shanghaï ? Lorsqu’il a été conçu, à la demande du gouvernement chinois, le palmarès n’avait qu’un objectif : accélérer la #modernisation des universités du pays en y calquant les caractéristiques des grandes universités nord-américaines de l’#Ivy_League, Harvard en tête. On est donc très loin du #modèle_français, où, selon le #code_de_l’éducation, l’université participe d’un #service_public de l’enseignement supérieur.

    « Société de marché »

    Pour la philosophe Fabienne Brugère, la France continue, comme la Chine, de « rêver aux grandes universités américaines sans être capable d’inventer un modèle français avec une #vision du savoir et la perspective d’un bonheur public ». « N’est-il pas temps de donner une vision de l’université ?, s’interroge-t-elle dans la revue Esprit (« Quelle université voulons-nous ? », juillet-août 2023, 22 euros). J’aimerais proposer un regard décalé sur l’université, laisser de côté la question des alliances, des regroupements et des moyens, pour poser une condition de sa gouvernance : une #vision_du_monde_du_savoir. »

    Citant un texte du philosophe Jacques Derrida paru en 2001, deux ans avant le premier classement de Shanghaï, la professeure à Paris-VIII définit l’université comme « inconditionnelle, en ce qu’elle peut #repenser_le_monde, l’humanité, élaborer des #utopies et des #savoirs nouveaux ». Or, « vingt ans après, force est de constater que ce texte reste un objet non identifié, et que rien dans le paysage universitaire mondial ne ressemble à ce qu’il projette, regrette Fabienne Brugère. Les grandes universités américaines que nous admirons et dans lesquelles Derrida a enseigné sont habitées par la société de marché ».

    Ironie du sort, c’est justement l’argent qui « coule à flots » qui garantit dans ces établissements de l’hyperélite des qualités d’étude et de bon encadrement ainsi qu’une administration efficace… Autant de missions que le service public de l’université française peine tant à remplir. « La scholè, le regard scolastique, cette disposition à l’étude, ce temps privilégié et déconnecté où l’on apprend n’est possible que parce que la grande machine capitaliste la fait tenir », déplore Mme Brugère.

    En imposant arbitrairement ses critères – fondés essentiellement sur le nombre de #publications_scientifiques en langue anglaise, de prix Nobel et de médailles Fields –, le classement de Shanghaï a défini, hors de tout débat démocratique, une #vision_normative de ce qu’est une « bonne » université. La recherche qui y est conduite doit être efficace économiquement et permettre un #retour_sur_investissement. « Il ne peut donc y avoir ni usagers ni service public, ce qui constitue un #déni_de_réalité, en tout cas pour le cas français », relevait le sociologue Fabien Eloire dans un article consacré au palmarès, en 2010. Est-il « vraiment raisonnable et sérieux de chercher à modifier en profondeur le système universitaire français pour que quelques universités d’élite soient en mesure de monter dans ce classement ? », questionnait le professeur à l’université de Lille.

    Derrière cet effacement des #spécificités_nationales, « une nouvelle rhétorique institutionnelle » s’est mise en place autour de l’« #économie_de_la_connaissance ». « On ne parle plus de “l’#acquisition_du_savoir”, trop marquée par une certaine #gratuité, mais de “l’#acquisition_de_compétences”, efficaces, directement orientées, adaptatives, plus en phase avec le discours économique et managérial », concluait le chercheur.

    Un poids à relativiser

    A y regarder de plus près, Shanghaï et les autres classements internationaux influents que sont les palmarès britanniques #QS_World_University_Rankings (#QS) et #Times_Higher_Education (#THE) valorisent des pays dont les fleurons n’accueillent finalement qu’un effectif limité au regard de leur population étudiante et du nombre total d’habitants. Le poids réel des « #universités_de_prestige » doit donc être relativisé, y compris dans les pays arrivant systématiquement aux tout premiers rangs dans les classements.

    Pour en rendre compte, Le Monde a listé les 80 universités issues de 16 pays qui figuraient en 2022 parmi les 60 premières des classements QS, THE et Shanghaï. Grâce aux sites Internet des établissements et aux données de Campus France, le nombre total d’étudiants dans ces universités a été relevé, et mis en comparaison avec deux autres statistiques : la démographie étudiante et la démographie totale du pays.

    Le cas des Etats-Unis est éclairant : ils arrivent à la 10e position sur 16 pays, avec seulement 6,3 % des étudiants (1,2 million) dans les 33 universités classées, soit 0,36 % de la population américaine.

    Singapour se place en tête, qui totalise 28,5 % des étudiants inscrits (56 900 étudiants) dans les huit universités de l’hyperélite des classements, soit 0,9 % de sa population. Suivent Hongkong, avec 60 500 étudiants dans quatre universités (20,7 % des étudiants, 0,8 % de sa population), et la Suisse, avec 63 800 étudiants dans trois établissements (19,9 % des étudiants, 0,7 % de sa population).

    Avec 98 600 étudiants dans quatre universités classées (Paris-Saclay, PSL, Sorbonne Université, Institut polytechnique de Paris), la France compte 3,2 % des étudiants dans l’hyperélite universitaire mondiale, soit 0,1 % de la population totale.

    La Chine arrive dernière : 255 200 étudiants sont inscrits dans les cinq universités distinguées (Tsinghua, Peking, Zhejiang, Shanghai Jiao Tong et Fudan), ce qui représente 0,08 % de sa population étudiante et 0,018 % de sa population totale.

    https://www.lemonde.fr/campus/article/2023/08/14/ou-le-classement-de-shanghai-mene-t-il-l-universite-francaise_6185365_440146

    #compétences #critique

    • Classement de Shanghaï 2023 : penser l’enseignement supérieur en dehors des palmarès

      Depuis vingt ans, les responsables politiques français ont fait du « standard » de Shanghaï une clé de #réorganisation des établissements d’enseignement supérieur. Mais cet objectif d’inscription dans la #compétition_internationale ne peut tenir lieu de substitut à une #politique_universitaire.

      Comme tous les classements, celui dit « de Shanghaï », censé comparer le niveau des universités du monde entier, suscite des réactions contradictoires. Que les championnes françaises y soient médiocrement placées, et l’on y voit un signe de déclassement ; qu’elles y figurent en bonne place, et c’est le principe du classement qui vient à être critiqué. Le retour de l’université française Paris-Saclay dans le top 15 de ce palmarès de 1 000 établissements du monde entier, établi par un cabinet chinois de consultants et rendu public mardi 15 août, n’échappe pas à la règle. Au premier abord, c’est une bonne nouvelle pour l’enseignement supérieur français, Paris-Saclay se hissant, derrière l’américaine Harvard ou la britannique Cambridge, au rang de première université non anglo-saxonne.

      Pourtant, ce succès apparent pose davantage de questions qu’il n’apporte de réponses sur l’état réel de l’enseignement supérieur français. Certes, la montée en puissance du classement chinois, créé en 2003, a participé à l’indispensable prise de conscience de l’inscription du système hexagonal dans un environnement international concurrentiel. Mais les six critères qui président arbitrairement à ce « hit-parade » annuel, focalisés sur le nombre de prix Nobel et de publications dans le seul domaine des sciences « dures », mais qui ignorent étrangement la qualité de l’enseignement, le taux de réussite ou d’insertion professionnelle des étudiants, ont conforté, sous prétexte d’« excellence », une norme restrictive, au surplus indifférente au respect des libertés académiques, politique chinoise oblige.

      Que les responsables politiques français aient, depuis vingt ans, cédé à ce « standard » de Shanghaï au point d’en faire une clé de réorganisation des établissements d’enseignement supérieur ne laisse pas d’étonner. Le principe « grossir pour être visible » (dans les classements internationaux) a servi de maître mot, il est vrai avec un certain succès. Alors qu’aucun établissement français ne figurait dans les cinquante premières places en 2003, ils sont trois aujourd’hui. Paris-Saclay résulte en réalité de la fusion d’une université, de quatre grandes écoles et de sept organismes de recherche, soit 13 % de la recherche française.

      Mais cette politique volontariste de #fusions à marche forcée, soutenue par d’importants crédits, n’a fait qu’alourdir le fonctionnement des nouvelles entités. Surtout, cette focalisation sur la nécessité d’atteindre à tout prix une taille critique et de favoriser l’excellence n’a fait que masquer les #impensés qui pèsent sur l’enseignement supérieur français : comment améliorer la #qualité de l’enseignement et favoriser la réussite du plus grand nombre ? Quid du dualisme entre universités et grandes écoles ? Quelles sources de financement pour éviter la paupérisation des universités ? Comment éviter la fuite des chercheurs, aux conditions de travail de plus en plus difficiles ? Et, par-dessus tout : quel rôle dans la construction des savoirs dans un pays et un monde en pleine mutation ?

      A ces lourdes interrogations, l’#obsession du classement de Shanghaï, dont le rôle de promotion des standards chinois apparaît de plus en plus nettement, ne peut certainement pas répondre. Certes, l’enseignement supérieur doit être considéré en France, à l’instar d’autres pays, comme un puissant outil de #soft_power. Mais l’objectif d’inscription dans la compétition internationale ne peut tenir lieu de substitut à une politique universitaire absente des débats et des décisions, alors qu’elle devrait y figurer prioritairement.

      https://www.lemonde.fr/idees/article/2023/08/15/classement-de-shanghai-2023-penser-l-enseignement-superieur-en-dehors-des-pa

    • Au même temps, #Emmanuel_Macron...

      Avec 27 universités représentées, le classement de Shanghai met à l’honneur l’excellence française.

      Acteurs de l’enseignement et de la recherche : merci !

      Vous faites de la France une grande Nation de formation, de recherche et d’innovation. Nous continuerons à vous soutenir.


      https://twitter.com/EmmanuelMacron/status/1691339082905833473
      #Macron

    • Classement de Miamïam des universités françaises.

      Ayé. Comme chaque année le classement de Shangaï est paru. Et l’auto-satisfecit est de mise au sommet de l’état (Macron, Borne, et bien sûr Oui-Oui Retailleau). Imaginez un peu : 27 de nos établissements français (universités et grandes écoles) y figurent.

      Rappel pour les gens qui ne sont pas familiers de ces problématiques : le classement de Shangaï est un classement international très (mais vraiment très très très) sujet à caution, qui s’est imposé principalement grâce à une bonne stratégie marketing (et à un solide lobbying), et qui ne prend en compte que les publications scientifiques des enseignants-chercheurs et enseignantes-chercheuses de l’université : ce qui veut dire qu’il ne regarde pas “l’activité scientifique” dans sa globalité, et que surtout il n’en a rien à secouer de la partie “enseignement” ni, par exemple, du taux de réussite des étudiants et étudiantes. C’est donc une vision a minima hémiplégique de l’université. Il avait été créé par des chercheurs de l’université de Shangaï comme un Benchmark pour permettre aux université chinoises d’essayer de s’aligner sur le modèle de publication scientifique des universités américaines, donc dans un contexte très particulier et avec un objectif politique de soft power tout à fait explicite. Ces chercheurs ont maintenant créé leur boîte de consultants et se gavent en expliquant aux universités comment l’intégrer. L’un des co-fondateurs de ce classement explique notamment : “Avant de fusionner, des universités françaises nous ont demandé de faire une simulation de leur future place dans le classement“.

      Bref du quantitatif qui vise à souligner l’élitisme (pourquoi pas) et qui n’a pour objet que de le renforcer et se cognant ostensiblement de tout paramètre qualitatif a fortiori si ce qualitatif concerne les étudiant.e.s.

      Mais voilà. Chaque été c’est la même tannée et le même marronier. Et les mêmes naufrageurs de l’action publique qui se félicitent ou se navrent des résultats de la France dans ledit classement.

      Cette année c’est donc, champagne, 27 établissements français qui se retrouvent “classés”. Mal classés pour l’essentiel mais classés quand même : les 4 premiers (sur la jolie diapo du service comm du gouvernement) se classent entre la 16ème (Paris-Saclay) et la 78ème place (Paris Cité) et à partir de la 5ème place (sur la jolie diapo du service comm du gouvernement) on plonge dans les limbes (Aix-Marseille est au-delà de la 100ème place, Nantes au-delà de la 600ème). Alors pourquoi ce satisfecit du gouvernement ? [Mise à jour du 16 août] Auto-satisfecit d’ailleurs étonnant puisque si l’on accorde de la valeur à ces classements, on aurait du commencer par rappeler qu’il s’agit d’un recul : il y avait en effet 30 établissements classés il y a deux ans et 28 l’année dernière. Le classement 2023 est donc un recul. [/mise à jour du 16 août]

      Non pas parce que les chercheurs sont meilleurs, non pas parce que la qualité de la recherche est meilleure, non pas parce que les financements de la recherche sont plus importants et mieux dirigés, mais pour deux raisons principales.

      La première raison est que depuis plusieurs années on s’efforce d’accroître le “rendement” scientifique des personnels en vidant certaines universités de leurs activités et laboratoires de recherche (et en y supprimant des postes) pour le renforcer et le concentrer dans (très peu) d’autres universités. C’est le grand projet du libéralisme à la française qui traverse les présidences de Sarkozy à Macron en passant par Hollande : avoir d’un côté des université “low cost” dans lesquelles on entasserait les étudiant.e.s jusqu’à bac+3 et où on ferait le moins de recherche possible, et de l’autre côté des “universités de recherche et d’excellence” où on n’aurait pas grand chose à foutre de la plèbe étudiante et où on commencerait à leur trouver un vague intérêt uniquement à partir du Master et uniquement pour les meilleur.e.s et uniquement dans certains domaines (genre pas en histoire de l’art ni en études littéraires ni dans la plupart des sciences humaines et sociales).

      La seconde raison de ce “bon” résultat est que les universités se sont regroupées administrativement afin que les publications de leurs chercheurs et chercheuses soient mieux prises en compte dans le classement de Shangaï. Exemple : il y a quelques années, il y avait plusieurs sites universitaires dans les grandes villes. Chaque site était celui d’une discipline ou d’un regroupement de discipline. On avait à Toulouse, à Nantes et ailleurs la fac de droit, la fac de sciences, la fac de lettres, etc. Et les chercheurs et chercheuses de ces universités, quand ils publiaient des articles dans des revues scientifiques, “signaient” en s’affiliant à une institution qui était “la fac de sciences de Toulouse Paul Sabatier” ou “la fac de lettre de Toulouse le Mirail” ou “la fac de droit de Toulouse”. Et donc au lieu d’avoir une seule entité à laquelle rattacher les enseignants-chercheurs on en avait trois et on divisait d’autant les chances de “l’université de Toulouse” de monter dans le classement.

      Donc pour le dire rapidement (et sans pour autant remettre en cause l’excellence de la recherche française dans pas mal de disciplines, mais une excellence dans laquelle les politiques publiques de ce gouvernement comme des précédents ne sont pas pour grand-chose), la France gagne des places dans le classement de Shangaï d’une part parce qu’on s’est aligné sur les règles à la con dudit classement, et d’autre part parce qu’on a accepté de sacrifier des pans entiers de financements publics de la recherche dans certains secteurs (notamment en diminuant drastiquement le nombre de postes disponibles).

      Allez je vous offre une petite comparaison. Évaluer la qualité de l’université et de la recherche française à partir du classement de Shangaï c’est un peu comme si on prétendait évaluer la qualité de la gastronomie française à partir d’un référentiel établi par Mac Donald : on serait rapidement en capacité de comprendre comment faire pour gagner des places, mais c’est pas sûr qu’on mangerait mieux.

      Je vous propose donc un classement alternatif et complémentaire au classement de Shangaï : le classement de Miamïam. Bien plus révélateur de l’état actuel de l’université française.
      Classement de Miamïam.

      Ce classement est simple. Pour y figurer il faut juste organiser des distributions alimentaires sur son campus universitaire.

      Le résultat que je vous livre ici est là aussi tout à fait enthousiasmant [non] puisqu’à la différence du classement de Shangaï ce sont non pas 27 universités et établissements mais (au moins) 40 !!! L’excellence de la misère à la française.

      Quelques précisions :

      – ce classement n’est pas exhaustif (j’ai fait ça rapidement via des requêtes Google)
      – l’ordre des universités ne signifie rien, l’enjeu était juste de lister “l’offre” qu’elles proposaient sans prendre en compte l’ancienneté ou la fréquence de ces distributions ni le nombre d’étudiant.e.s touché.e.s
      - ce classement est très en dessous de la réalité : par exemple je n’ai inscrit qu’une seule fois l’université de Nantes alors que des distributions alimentaires sont aussi organisées sur son campus de la Roche sur Yon. Beaucoup des universités présentes dans ce classement organisent en fait des distributions alimentaires sur plusieurs de leurs campus et devraient donc y figurer 2, 3 ou 4 fois au moins.
      - je me suis autorisé, sans la solliciter, à utiliser comme crédit image la photo de Morgane Heuclin-Reffait pour France Info, j’espère qu’elle me le pardonnera.

      [Mise à jour du 16 Août]

      On invite aussi le gouvernement à regarder le classement du coût de la vie pour les étudiantes et étudiants : en constante augmentation, et atteignant une nouvelle fois, pour cette population déjà très précaire, des seuils d’alerte indignes d’un pays civilisé.

      Enfin on pourra, pour être complet dans la recension de l’abandon politique de l’université publique, signaler la stratégie de mise à mort délibérée par asphyxie conduite par les gouvernements successifs depuis plus de 15 ans. Extrait :

      “En dix ans, le nombre de recrutements d’enseignants-chercheurs titulaires a diminué de près de moitié, avec 1 935 ouvertures de poste en 2021, contre 3 613 en 2011. En 2022, on enregistre un léger sursaut, avec 2 199 postes de professeur d’université et de maître de conférences ouverts.

      La situation est d’autant plus paradoxale que les universités se vident de leurs enseignants-chercheurs chevronnés, avec un nombre de départs à la retraite en hausse de + 10,4 % en 2021 et de + 10,5 % en 2022, selon une note statistique du ministère publiée en juin. Un avant-goût de la décennie qui vient, marquée par des départs massifs de la génération du baby-boom : entre 2021 et 2029, le ministère prévoit une augmentation de 53 % en moyenne, et de 97 % en sciences – le bond le plus élevé.“

      https://affordance.framasoft.org/2023/08/classement-shangai-miam-miam

  • Incendie d’un gîte à Wintzenheim : une enquête ouverte par les affaires sociales
    https://www.lemonde.fr/societe/article/2023/08/14/incendie-d-un-gite-a-wintzenheim-une-enquete-ouverte-par-les-affaires-social

    Une enquête administrative de l’inspection générale des affaires sociales (IGAS) a été ouverte à la suite de l’incendie à l’origine de la mort de onze personnes à Wintzenheim (Haut-Rhin), a annoncé lundi 14 août la ministre déléguée chargée des personnes handicapées. « Avec la ministre des solidarités et des familles, Aurore Bergé, nous avons décidé de lancer (…) une enquête administrative, confiée à l’IGAS » à la suite de l’incendie du gîte où ont péri mercredi dix personnes en situation de handicap et un accompagnant, a annoncé Fadila Khattabi dans une interview aux quotidiens régionaux du groupe Ebra. « Nous attendons les premiers résultats assez rapidement, début septembre », a-t-elle ajouté, précisant qu’ils seront publics.

    Cette enquête administrative a été lancée en parallèle d’une enquête préliminaire ouverte par le parquet de Paris pour « homicides et blessures involontaires » « aggravées par la violation d’une obligation de sécurité ou de prudence prévue par la loi ou le règlement ».

    Selon la mairie de Wintzenheim, le gîte, une grange rénovée, n’avait pas été déclaré par sa propriétaire. La commission de sécurité n’avait pas non plus été sollicitée, selon le parquet de Colmar.

    [...]
    Questionnée sur l’importance de légiférer après ce drame, la ministre a jugé que l’arsenal législatif en matière de sécurité incendie était suffisant. « Il s’agit de savoir s’il y a eu des manquements, des fautes, sur le plan administratif », a également déclaré la ministre des solidarités et des familles, Aurore Bergé, dans Le Parisien lundi.

    « Je souhaite aussi que l’on puisse lancer une mission plus générale sur la question des #vacances_adaptées pour nous permettre de poser des règles plus claires, plus strictes, sur les normes imposées, le public concerné, le taux d’encadrement ou encore les tarifs », en plus de cette « mission flash » de l’IGAS, a ajouté la ministre.
    Elle a annoncé des « moyens de contrôle accrus à la fois dans les #Ehpad et dans les structures qui accueillent des personnes en situation de #handicap » en septembre, et rappelé qu’une augmentation des effectifs serait prévue à la rentrée, « avec deux cents personnes en tout ». (...)

    scandale. suite à ces décès aussi groupés qu’évitables, de nombreux témoignages ont pointé les conditions de sécurité de profitables lieux de vacance mais aussi l’organisation même de tels #séjours qui sous couvert de bénéficier aux handicapé.es - « porteurs de handicap » si on emploie le vocable supposé désessentialisant, une bonne action, verbale, qui ne solutionne pas grand chose - sont l’occasion de pallier un manque de personnel dans les institutions qui les hébergent à l’année aggravé par les congés annuels et de laisser souffler les « aidants », ces proches exténués par un accompagnement quotidien à l’année longue, tout en étant une source de profit. il a été question ici de séjour à 2000€ la semaine, et de salariés précaires payés 600€ la semaine alors que la responsabilité n’est pas mince et que le temps d’astreinte de droit ou de fait excède largement la durée du travail (on dort avec des rondes à effectuer, par exemple), sans compter l’inanité des activités proposées (ou pas), faute de moyens, de volonté, aux « bénéficiaires », une infantilisation des vacanciers qui débouche sur conduites plus ou moins dégueuelasses à leur encontre dans un cynisme paré de bienveillance. là aussi, la structuration même de l’activité engendre diverses maltraitances.

    @Chabelitza
    https://twitter.com/Chabelitza/status/1689582813526282240

    Les politiques qui se cachent derrière le droit aux vacances des personnes handicapées pour ne pas questionner les défaillances des séjours adaptés (pas de formation des encadrants ni de l’assistant sanitaire, lieux pas forcément aux normes...), on vous voit

    #vacances #soin #handicapés

    • Nono le ronchon² @MrKeatingreboot
      https://twitter.com/MrKeatingreboot/status/1689929570009399297

      J’ai accompagné des personnes handiEs moteur en vacances pour une asso gestionnaires. On partait en petits groupes : 2 ou 3 accompagnateurices pour autant de vacanciers. Sur nos lieux de séjours adaptés, on croisait des grands groupes d’adelphes handiEs mentaux : je vous raconte 🧶

      Déjà on était censéEs être en vacances inclusives, comme tout le monde. Mais comme peu de lieux sont réellement accessibles ("les chambres oui mais pas la douche", « le resto oui mais pas les chiottes »), beaucoup d’handiEs se retrouvent dans les mêmes campings ou hôtels.

      Lors d’un séjour à Laguiole, un groupe de 21 personnes handicapées mentales séjournaient avec nous. Il n’y avait que 3 accompagnateurices & une responsable de séjour.
      Pour réduire les frais, ils n’avaient qu’un seul mini-bus avec 7 places pour les sorties.

      Les vacancierEs handiEs ne pouvaient sortir donc qu’un jour sur trois. Sympa les vacances : vous connaissez une seule personne valide qui accepterait de raquer un séjour à 4 chiffres pour ne profiter que d’1/3 de ses jours de vacances ? Non, mais dans ce pays, si t’es handiE balèk !

      « C’est déjà une chance de partir en vacances, de quitter un peu le foyer » alors qu’en fait iels retrouvent à peu près le même fonctionnement que dans leurs #FAM où la principale activité est KEUDALE. On peut ne rien faire en vacances (mon mood) mais si on le choisit !

      Parmi les personnes de ce groupe, il y en avait une qui pleurait tous les jours en demandant ses parents. Elle restait prostrée dans les couloirs. Au début, les accompagnantEs essayaient de la rassurer mais elle restait inconsolable. Finalement « Laisse c’est X elle est comme ça. »

      Quand tu es peu nombreux pour encadrer un groupe, c’est souvent ce qu’on observe : larguer celleux qui ne sont pas « dans l’esprit vacances ». Une accompagnatrice nous a glissé que cette personne ne voulait pas partir en vacances, qu’elle est très angoissée des changements.

      Elle allait d’habitude en famille en vacances mais ses parents avaient « besoin de souffler » (ils deviennent âgés). Au bénéfice de #parents pas non plus aidés par notre système validiste quelq’une a été envoyée en vacances sans son consentement. Vacances éthiques & solidaires (non)

      Faut être dans une société sacrément moisie pour faire croire qu’envoyer dans des vacances de merde des personnes handicapées au prix d’une voiture d’occasion pour les parents ou les personnes elles-mêmes (j’y reviens) est ce qu’on peut proposer de mieux en terme de répit.

      Pour parler avec pas mal de personnes en foyers, beaucoup d’entre elles préfèrent les vacances en famille, quand elle tient la route parce que le #validisme c’est partout tout le temps. Sauf que « les familles ont besoin de souffler » & les enfermées sont incitées à ne pas gêner

      Jamais n’est abordé le fait que les intérêts des personnes handicapées et des familles ne sont pas toujours les mêmes.
      Ça pourrait permettre de répondre aux besoins de chacunE au lieu de cacher les besoins des unEs par ceux des autres. Mais on est validistes donc inefficaces !

      Un truc auquel personne ne pense car, en dehors des militantEs antivalidistes, aucun intérêt aux foyers de vie pour personnes handicapées : l’été les personnels de ces structures partent en vacances (choisies et avec leurs familles). Il y a moins d’educ’, de soignantEs etc.

      Du coup, on incite fortement les gens à se payer des vacances pour « soulager » les personnels qui restent. JAMAIS on ne fait les choses pour les personnes handiEs, que pour l’entourage pro et perso. Et tout le monde s’en bat les gonades avec des raquettes de plage !

      Retour au groupe. Comment peut-on croire que le validisme ne s’exerce pas entre personnes handiEs & qu’elles seraient protégées par l’entre-soi ? Aussi bien dans les foyers que sur les lieux de séjours ségrégués, certains vont profiter d’un état psychique ou physique pour exercer

      Violences, intimidation, contraintes etc. Et comme elles s’exercent loin de nos villages vacances et de nos campings paradis, personne n’est là pour les voir ou les dénoncer. Bien pratique la ségrégation pour ne pas affronter l’infamie de la société qu’on a construit.

      Je terminerai sur un truc tout con mais qui me fait pleurer depuis hier. S’imaginer vivre en collectivité toute sa vie (j’aime la solitude), être soumis à des plannings qu’on pas choisi, pratiquer des activités parmi un choix + que restreint, ne pas choisir avec qui on vit,

      bouffer de la merde en barquette plastique 300 jours par an, subir des privations de liberté, des humiliations, des violences, des agressions sexuelles, être foutu au lit à 21h, réveillé à la même heure tous les jours de l’année, se faire piquer ses fringues ou son fric...

      Et l’été, on vous propose de partir en vacances en groupe strictement de personnes handicapées encore, dans des structures collectives encore, avec encore les emmerdements que vous subissez le reste de l’année. La même merde vous colle à la peau toute l’année, toute votre vie !

      C’est ce qui est arrivé à nos adelphes mortEs à #Wintzenheim . Ça a été ça leur non-vie. Je pense à elleux & à toustes celleux qui sont à l’heure où on parle violentéEs, maltraitéEs sur leurs lieux de « vacances » pendant qu’on bronze à l’ombre du club Mickey, peinardEs.

    • Mon commentaire :

      Entendu sur france info, le responsable de la cellule de crise pour la prise en charge des pensionnaires survivants :
      – « On les a accueillit dans la Salle des fêtes de la commune, certains étaient encore en pyjamas, ils étaient surtout contents qu’on leur offre du jus d’orange et des croissants. Ils ont compris qu’ils ne reverraient plus leurs camarades. Ce sont les éducateurs qui ont maintenant le rôle de les aider à comprendre ce qui s’est passé. »

      Je vais éviter de commenter pour ne pas tomber dans leur cynisme.

  • Progetto Zinco Gorno

    La vidéo commence avec la voix-off d’un vieux monsieur (#Sergio_Fezzioli, ex mineur), qui dit comment c’était beau quand la minière était ouverte. Et que depuis qu’elle est fermée, il n’y a maintenant qu’un « silence profond ».
    « J’ai beaucoup cru dans la minière », dit-il, et il ne pensait pas qu’un jour ils allaient les ré-ouvrir...

    Le maire de Oltre il Colle, Valerio Carrara, dit que la municipalité est née « sur les minières », jusqu’à il y a 30-40 où elles fonctionnaient encore « parfaitement ». A l’époque, Oltre il Colle avait environ 2000 habitants, puis depuis la fermeture des mines (1984), la commune a connu un dépeuplement.

    #Giampiero_Calegari, maire de Gorno :


    Il explique que Gorno est jumelée (depuis 2003) avec la commune de #Kalgoorlie (#Kalgoorlie-Boulder), en #Australie, ville minière :
    https://fr.wikipedia.org/wiki/Kalgoorlie

    Le jumelage a été fait car par le passé beaucoup d’habitants du Gorno ont émigré en Australie pour travailler dans les minières d’or.
    Le maire dit que quand ils ont été en Australie pour le jumelage, en 2003, « nous ne pensions pas à ce futur industriel à Gorno ». « Cela semble un signe du destin que nous sommes allés en Australie pour se souvenir de nos mineurs qui ont travaillé dans les minière d’or et maintenant l’Australie vient à Gorno pour faire quelque chose d’intéressant », dit le maire. « Nous avons le passé, le présent et le futur. Pour le futur nous avions un gros point d’interrogation et aujourd’hui on essaie d’interpréter ce point d’interrogation, de le transformer en une proposition. Nous sommes convaincus que ça apportera des bénéfices à notre petite commune ».

    Selon le maire de Oltre il Colle, la population a perçu le projet de manière positive, car depuis 2 ans qu’ils sont en train de préparer la réouverture des mines « ils ont apporté des retombées économiques importantes »

    #Marcello_de_Angelis, #Energia_Minerals_Italia


    de Angelis dit que Energia Minerals ont été « complètement adoptés par les gens du lieu », car ils sont « très très cordiaux » et car « ils voient les possibilités de développement de ces vallées ».
    A Gorno « on fait quelque chose qui est très compatible avec l’#environnement ». Il vante des technologies « éco-compatibles ».

    Le directeur des « opérations », l’ingénieur #Graeme_Collins


    Collins explique qu’il est difficile de trouver des collaborateurs italiens, car cela fait longtemps que les minières ont été fermées en Italie. Et que pour l’heure ils comptent sur du personnel qui vient notamment d’Angleterre et d’Allemagne, mais que dans le futur c’est leur intention de « monter une opération qui sera gérée totalement par du personnel italien ».

    #Simone_Zanin :

    Le maire de Oltre il Colle explique comment la rencontre avec tous (il souligne le « tous ») les dirigeants de Energia Minerals a été positive : des gens très sérieux, très déterminés, très pragmatiques. « Ils sont entrés en syntonie avec notre manière de vivre ». Et l’administration a vu immédiatement les potentialités : les places de travail.

    https://vimeo.com/202730506

    La vidéo existe aussi en anglais :
    https://vimeo.com/202722268

    #Oltre_il_Colle #mines #extractivisme #Italie #Alpes #montagne #Gorno #zinc #Valerio_Carrara #Lombardie #histoire #tradition #Energia_Minerals #Zorzone #technologie #impact_environnemental #plomb

    –—

    ajouté à la métaliste sur l’#extraction de #terres_rares dans les #Alpes :
    https://seenthis.net/messages/1013289

  • Alla ricerca del cobalto sulle Alpi

    È un elemento importante per la realizzazione delle batterie delle auto elettriche. Il cobalto viene estratto però soprattutto nella Repubblica Democratica del Congo, una realtà travolta dalla corruzione e instabile dal punto di vista militare e politico. Per “aggirare” la possibile penuria della fornitura di un componente essenziale dello sviluppo di una economia realizzata con fonti rinnovabili, le nazioni post-industriali e industrializzate cercano il Cobalto altrove, in territori guidati da governi più stabili e dove è più solida la certezza del diritto.

    Vecchie miniere di cobalto dismesse perché poco remunerative tornano improvvisamente interessanti. Una di queste è situata tra Torino e il confine con la Francia, ancora in territorio piemontese.

    Tra la necessità di tutelare l’ambiente e l’opportunità economica offerta, istituzioni e popolazione si interrogano sul presente e il futuro del territorio interessato dal possibile nuovo sviluppo minerario.

    https://www.rsi.ch/rete-due/programmi/cultura/laser/Alla-ricerca-del-cobalto-sulle-Alpi-16169557.html?f=podcast-shows

    #extractivisme #Alpes #cobalt #Piémont #Italie #terres_rares #Balme #Altamin #Barmes #Punta_Corna #Valli_di_Lanzo #mines #exploitation #peur #résistance #Berceto #Sestri_Levante #lithium #souveraineté_extractive #green-washing #green_mining #extraction_verte #transition_énergétique #NIMBY #Usseglio #Ussel

    Le chercheur #Alberto_Valz_Gris (https://www.polito.it/en/staff?p=alberto.valzgris) parle de la stratégie de l’Union européenne pour les #matières_premières_critiques :
    #Matières_premières_critiques : garantir des #chaînes_d'approvisionnement sûres et durables pour l’avenir écologique et numérique de l’UE
    https://seenthis.net/messages/1013265

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    ajouté à la métaliste sur l’#extraction de #terres_rares dans les #Alpes :
    https://seenthis.net/messages/1013289

    • Caccia al cobalto sulle Alpi piemontesi

      Viaggio in provincia di Torino dove una multinazionale ha nel mirino la creazione di una miniera destinata ad alimentare le nuove batterie per i veicoli elettrici.

      Il boom delle auto elettriche trascina la ricerca mineraria in Europa. Noi siamo stati in Piemonte dove una società australiana spera di aprire una miniera di cobalto, uno dei metalli indispensabili per produrre le più moderne batterie. Il progetto è ancora in una fase preliminare. Non si vede nulla di concreto, per ora. Ma se siamo qui è perché quanto sta accadendo in questa terra alpina apre tutta una serie d’interrogativi su quella che – non senza contraddizioni – è stata definita “transizione ecologica”.

      Balme, alta #Val_d’Ala, Piemonte. Attorno a noi i boschi sono colorati dall’autunno mentre, più in alto, le tonalità del grigio tratteggiano le cime che si estendono fino in Francia. Un luogo magico, non toccato dal turismo di massa, ma apprezzato dagli appassionati di montagna. Tutto potrebbe però cambiare. Nelle viscere di queste rocce si nasconde un tesoro che potrebbe scombussolare questa bellezza: il cobalto. La società australiana Altamin vuole procedere a delle esplorazioni minerarie sui due versanti della Punta Corna. Obiettivo: sondare il sottosuolo in vista di aprire una miniera da cui estrarre questa materia prima sempre più strategica. Il cobalto è infatti un minerale indispensabile per la fabbricazione delle batterie destinate alle auto elettriche o ad immagazzinare l’energia prodotta da fonti rinnovabili. Tecnologie dette verdi, ma che hanno un lato grigio: l’estrazione mineraria.

      Oggi, circa il 70% del cobalto mondiale proviene dalla Repubblica democratica del Congo (Rdc), dove la corsa a questo metallo, guidata dalla Cina, alimenta la corruzione e genera grossi problemi sociali e ambientali. Di recente, un po’ in tutta Europa, si sta sempre più sondando il terreno in cerca di nuovi filoni che potrebbero ridurre la dipendenza dall’estero di questo ed altri minerali classificati dall’Ue come “critici”. Ecco quindi che queste valli piemontesi sono diventate terreno di caccia di imprese che hanno fiutato il nuovo business. Siamo così partiti anche noi in questa regione. Alla ricerca del cobalto e all’ascolto delle voci da un territorio che – suo malgrado – si trova oggi al centro della nuova corsa mondiale all’accaparramento delle risorse.

      Balme dice no

      «Siamo totalmente contrari. In primis perché non siamo stati coinvolti in nessun tipo di dialogo. Siamo poi convinti che l’estrazione di minerali non sia l’attività adatta per lo sviluppo del nostro territorio». #Gianni_Castagneri è il sindaco di Balme, 110 abitanti, uno dei comuni su cui pende una domanda di ricerca da parte di Altamin. Il primo cittadino ci accoglie nella piccola casa comunale adiacente alla chiesa. È un appassionato di cultura e storia locale e autore di diversi libri. Con dovizia di particolari, ci spiega che anticamente queste erano terre di miniera: «Un po’ tutti i paesi della zona sono sorti grazie allo sfruttamento del ferro. Già nel Settecento, però, veniva estratto del cobalto, il cui pigmento blu era utilizzato per la colorazione di tessuti e ceramiche».

      Dopo quasi un secolo in cui l’attività mineraria è stata abbandonata, qualche anno fa è sbarcata Altamin che ha chiesto e ottenuto i permessi di esplorazione. Secondo le stime della società i giacimenti a ridosso della Punta Corna sarebbero comparabili a quello di Bou Azzer, in Marocco, uno dei più ricchi al mondo di cobalto. «Andando in porto l’intero progetto di Punta Corna si avrà una miniera europea senza precedenti» ha dichiarato un dirigente della società. Affermazione che, qui a Balme, ha suscitato molta preoccupazione.

      Siamo in un piccolo comune alpino, la cui unica attività industriale è l’imbottigliamento d’acqua minerale e un birrificio. Al nostro incontro si aggiungono anche i consiglieri comunali Guido Rocci e Tessiore Umbro. Entrambi sono uomini di montagna, attivi nel turismo. Entrambi sono preoccupati: «Siamo colti alla sprovvista, cerchiamo “cobalto” su Internet ed escono solo cose negative, ma abbiamo come l’impressione che la nostra voce non conti proprio nulla».

      Sul tavolo compare una delibera con cui il Comune ha dichiarato la propria contrarietà «a qualsiasi pratica di ricerca e coltivazione mineraria». Le amministrazioni degli ultimi anni hanno orientato lo sviluppo della valle soprattutto verso un turismo sostenibile, vietando ad esempio le attività di eliski: «Noi pensiamo ad un turismo lento – conclude il sindaco – la montagna che proponiamo è aspra, poco adatta allo sfruttamento sciistico in senso moderno. Questa nostra visione ha contribuito in positivo all’economia del villaggio e alla sua preservazione. Ci sembra anacronistico tornare al Medioevo con lo sfruttamento minerario delle nostre montagne».

      Australiani alla conquista

      «Lo sviluppo della mobilità elettrica ha spinto le richieste di permessi di ricerca in Piemonte» ci spiega al telefono un funzionario del settore Polizia mineraria, Cave e Miniere della regione Piemonte. Si tratta dell’ente che, a livello regionale, rilascia le prime autorizzazioni. L’uomo, che preferisce non essere citato, ci dice che per il momento è troppo presto per «creare allarmismi o entusiasmi», ma conferma che, in Piemonte, sono state richieste altre autorizzazioni: «Oltre a Punta Corna, si fanno ricerche in Valsesia e verso la Val d’Ossola» conclude il funzionario. Proprio in Valsesia un’altra società australiana, del gruppo Alligator Energy, ha comunicato di recente di avere iniziato i lavori per un nuovo sondaggio. La zona è definita dall’azienda «ad alto potenziale».

      L’argomento principale delle società minerarie è uno: la necessità di creare una catena di valore delle batterie in Europa: «Punta Corna è centrale per la strategia di Altamin […] e beneficerà della spinta dell’Ue per garantire fonti pulite e locali di metalli nonché degli investimenti industriali europei negli impianti di produzione di veicoli elettrici e batterie» si legge in un recente documento destinato agli azionisti. Altamin ricorda come, in prospettiva, l’operazione genererebbe una sinergia produttiva col progetto Italvolt dell’imprenditore svedese Lars Calstrom. L’uomo vuole costruire una nuova grande fabbrica di batterie ad alta capacità presso gli ex stabilimenti Olivetti nella vicina Ivrea.

      Altamin, così come altre società attive nel ramo, non è un gigante minerario. Si tratta di una giovane società capitalizzata alla borsa di Sidney che ha puntato sull’Italia per tentare il colpaccio. Ossia trovare un filone minerario potenzialmente sfruttabile e redditizio, considerato anche l’aumento dei prezzi delle materie prime, soprattutto dei metalli da batteria. Oltre al progetto piemontese, l’azienda è attiva in altre zone d’Italia: in Lombardia ha un progetto di estrazione di zinco, mentre ha presentato domande anche in Liguria, Emilia-Romagna e Lazio. Qui, nell’antica caldera vulcanica del Lago di Bracciano, Altamin e un’altra società australiana, #Vulcan_Energy_Resources, hanno ottenuto delle licenze per cercare del litio, un altro metallo strategico. «L’idea che si sta portando avanti è quella di rivedere vecchi siti minerari anche alla luce delle nuove tecnologie e della risalita del prezzo dei metalli» spiegano da Altamin. Il tutto in uno scenario internazionale, in particolar modo europeo, in cui si cerca di ridurre la dipendenza delle importazioni dall’estero. Questo a loro dire avrebbe molti vantaggi: «Estrarre cobalto qui ridurrebbe al minimo i problemi etici e logistici che si riscontrano attualmente con la maggior parte delle forniture provenienti dalla Rdc». Ma non tutti la pensano così.

      Lo sguardo del geografo

      A Torino, il Politecnico ha sede presso il Castello del Valentino, antica residenza sabauda situata sulla riva del Po. Qui incontriamo il geografo e assegnista di ricerca Alberto Valz Gris che di recente ha messo in luce diverse ombre del progetto Punta Corna e, in generale, dell’impatto della corsa ai minerali critici sulle comunità locali. Per la sua tesi di dottorato, Valz Gris ha studiato le conseguenze socio-ambientali causate dall’estrazione del litio nella regione di Atacama tra Argentina e Cile. Rientrato dal Sudamerica, lo studioso è venuto a conoscenza del progetto minerario a Punta Corna, a due passi da casa, nel “giardino dei torinesi”. Il ricercatore ha così deciso di mettere in evidenza alcune contraddizioni di questa tanto decantata transizione ecologica: «Il cobalto o il litio sono associati a una retorica di sostenibilità in quanto indispensabili alle batterie. In realtà, per come è stata organizzata, questa transizione ecologica, continua a implicare un’estrazione massiva di risorse naturali non rinnovabili e, quindi, il moltiplicarsi di siti estrattivi altamente inquinanti. Ciò non mi sembra molto ecologico».

      In questo senso il ritorno dell’estrazione mineraria su grande scala in Europa non è proprio una buona notizia: «L’estrattivismo non ha mai portato sviluppo e la materialità di questa dinamica investirà in particolare le aree di montagna. Per cui ho forti dubbi sulle promesse su cui si fondano tutti i progetti come quello di Punta Corna, e cioè che accettare il danno ecologico e paesaggistico portato dall’estrazione mineraria si traduca in sviluppo sociale ed economico per chi abita quei territori». Per Alberto Valz Gris, però, opporsi alle miniere europee non significa giustificare l’appropriazione di risorse in altri posti del mondo: «Dobbiamo immaginare alternative tecniche ed economiche che siano realmente al servizio dell’emergenza climatica, per esempio investendo nel riciclo delle risorse già in circolo nel sistema industriale in modo da ridurre al minimo la pressione antropica sugli ecosistemi». Il problema ruota attorno al fatto che «estrarre nuove materie prime dalle viscere della Terra è ad oggi molto meno costoso che non impegnarsi effettivamente nel riciclare quelle già in circolo»; questo vantaggio economico che «impedisce lo sviluppo di una vera economia circolare» è falsato poiché «non vengono mai calcolati i costi sociali e ambientali legati all’estrazione delle materie prime».

      Gli “sherpa” di Altamin

      Usseglio, alta Valle di Viù, Piemonte. Siamo di nuovo in quota, questa volta sul versante Sud della Punta Corna. Anche qui il territorio vive perlopiù di turismo e può contare su una centrale idroelettrica che capta l’acqua dal bacino artificiale più alto d’Europa. Su queste montagne, oltre i 2.500 metri, Altamin ha ottenuto di recente la possibilità di estendere i carotaggi in profondità. I lavori dovrebbero iniziare la primavera prossima. Ciò che non sembra preoccupare il sindaco Pier Mario Grosso: «Pare che ci sia una vena molto interessante, ma per capire se si potrà sfruttarla occorrono altri sondaggi».

      Il primo cittadino ci accoglie nel suo ufficio e ci mostra una cartina appesa alle pareti su cui si legge “miniere di cobalto”: «Erano le vecchie miniere poi abbandonate e su cui ora Altamin vuole fare delle ricerche perché il cobalto è il metallo del futuro». A Usseglio, l’approccio del comune è diverso rispetto a Balme. #Pier_Mario_Grosso è un imprenditore che vende tende e verande in piano. Per lui il progetto di Altamin potrebbe creare sviluppo in valle: «Questa attività porterà senz’altro benefici alla popolazione e aiuterà a combattere lo spopolamento. Sono quindi tendenzialmente favorevole al progetto, a patto che crei posti di lavoro e non sia dannoso per l’ambiente».

      Salutiamo il sindaco e saliamo fino alla frazione di #Margone dove abbiamo appuntamento per visitare un piccolo museo dei minerali. Qui incontriamo #Domenico_Bertino e #Claudio_Balagna, due appassionati mineralogisti che gestiscono questa bella realtà museale. Nelle bacheche scopriamo alcune perle delle #Alpi_Graie, come gli epidoti e la #Lavoisierite, un minerale unico al mondo scovato nella zona. Appese ai muri ci sono delle splendide mappe minerarie dell’800 trovate negli archivi di Stato di Torino. E poi c’è lui, il cobalto. Finalmente lo abbiamo trovato: «È in questa pietra che si chiama #Skutterudite e il cobalto sono questi triangolini di colore metallico, anche se in molti pensano che sia blu» ci spiegano i due ricercatori. Eccolo qui, il minerale strategico tanto agognato che oggi vale circa 52.000 dollari la tonnellata.

      Possiamo osservarlo nei minimi dettagli su un grande schermo collegato ad uno stereoscopio. Sul muro a lato un cartello sovrasta la nuova strumentazione: «Donazione da parte di Altamin». Tra il museo e la società vi è infatti un legame. Più volte, Domenico e Claudio hanno accompagnato in quota i geologi di Altamin a cercare gli ingressi delle vecchie miniere. Sherpa locali di una società che altrimenti non saprebbe muoversi tra gli alti valloni di queste montagne poco frequentate. Non c’è timore nell’ammetterlo e i due, uomini di roccia e legati nell’intimo a questo territorio, non sembrano allarmati: «Noi siamo una sorta di guardiani. Abbiamo ricevuto delle rassicurazioni e l’estrazione, se mai ci sarà, avverrà in galleria e sarà sottoposta a dei controlli. In passato abbiamo avuto le dighe che hanno portato lavoro, ma ora qui non c’è più nessuno e la miniera potrebbe essere una speranza di riportare vita in valle».

      Usseglio fuori stagione è affascinante, ma desolatamente vuota. Le poche persone che abbiamo incontrato in giro erano a un funerale. Il terzo nelle ultime settimane, il che ha fatto scendere il numero di abitanti sotto i duecento. Ma siamo sicuri che una miniera risolverà tutti i problemi di questa realtà montana? E se l’estrattivismo industriale farà planare anche qui la “maledizione delle risorse”? Torniamo a casa pieni di interrogativi a cui non riusciamo ancora a dare risposta. Nel 2023, dopo lo scioglimento delle nevi (sempre se nevicherà) Altamin inizierà i carotaggi in quota. Scopriremo allora se l’operazione Punta Corna avrà un seguito o se franerà nell’oblio. La certezza è che in Piemonte, come del resto in Europa e nel mondo, la caccia grossa a questi nuovi metalli critici continuerà.

      https://www.areaonline.ch/Caccia-al-cobalto-sulle-Alpi-piemontesi-2654a100

  • Questo fine settimana sulle Alpi la polizia ha ammazzato una persona, ma per la stampa l’unica vittima è un campo da golf.

    De #Lorenzo_D'Agostino

    🧵20 tweet per ristabilire la realtà dei fatti.

    Venerdì scorso sono andato a Claviere, l’ultimo paese italiano della Val di Susa sul confine francese, per partecipare al campeggio itinerante «Passamontagna». Mi avevano invitato a raccontare le mie inchieste sull’antimafia in una serie di dibattiti sulle politiche di frontiera.

    In questi giorni centinaia di persone stanno attraversando il passo di frontiera del Monginevro, spesso di notte per sentieri pericolosi. L’idea del campeggio era attraversare il confine con una grande marcia tutti insieme, in sicurezza, persone migranti e solidali.

    Sabato dopo pranzo, smantellato l’accampamento, ci siamo messi in marcia. Lentamente senza lasciare nessuno indietro. Nel gruppo c’erano persone stremate da un lungo viaggio, donne con bambini piccoli, qualche anziano. L’atmosfera era allegra. Ma appena passata la frontiera...

    ...ci siamo trovati davanti uno schieramento di gendarmi francesi in antisommossa. Occupando le alture, ci hanno bloccati su un viottolo molto scosceso. Un gesto violento, un lancio di gas, avrebbe provocato una caotica e pericolosissima fuga all’indietro del gruppo.

    Io che non ho esperienza di queste cose pensavo che il blocco si potesse forzare: eravamo dieci volte più numerosi. A 1800 metri d’altezza, lontani da ambulanze e ospedali, la gendarmerie era veramente disposta a rischiare decine di feriti, forse ammazzare qualcuno?
    Chi ha a che fare ogni giorno con la polizia francese però non ha avuto dubbi: con tante persone vulnerabili e inesperte nel gruppo, bisognava evitare lo scontro a ogni costo. I gendarmi hanno annunciato l’uso imminente della forza, e il gruppo si è dato lentamente indietro.
    Rientrando al campo base, abbiamo costeggiato un campo da golf. Un enorme spazio privatizzato a cavallo della frontiera, dove i turisti ricchi si muovono liberamente tra Italia e Francia. Il contrasto con il trattamento riservato a migranti e solidali era lacerante.

    Un piccolo gruppo si è staccato dal corteo, ha divelto le recinzioni e ha danneggiato il campo da golf. Non tutti hanno ritenuto opportuna quest’azione, ma la rabbia che esprimeva è la rabbia che sentivamo tutti.

    Rientrati a Claviere, si è ragionato sul da farsi. L’idea di agevolare il passaggio di frontiera delle persone in transito con una grande marcia è stata archiviata: era chiaro che la gendarmerie non avrebbe lasciato passare nessuno, finché durava il Passamontagna.
    I migranti avrebbero passato la frontiera come hanno sempre fatto: di notte, a piccoli gruppi, per i sentieri più impervi, nascondendosi da droni e visori termici della polizia. Il campeggio forniva, almeno, una base sicura dove dormire e a cui tornare in caso di respingimento.
    Quella sera ragionavo con una compagna: se a qualcuno succedesse qualcosa di brutto passando la frontiera, di chi sarebbe la colpa? A mio avviso, certamente della polizia: bloccando la possibilità di un attraversamento in sicurezza, si è assunta ogni eventuale conseguenza.
    Non è una discussione oziosa: l’ordinamento giuridico contempla la figura del «dolo eventuale». In Italia si usa per accusare di omicidio scafisti veri o inventati. Si dà quando chi agisce accetta il rischio che le proprie azioni causino un evento nefasto non direttamente voluto. Cassazione penale, sez. I, sentenza 15/03/2011 n ° 10411: "Il fondamento del dolo indiretto o eventuale va individuato nella rappresentazione e nell’accettazione, da parte dell’agente, della concreta possibilità, intesa in termini di elevata probabilità, di realizzazione dell’evento accessorio allo scopo perseguito in via primaria. Il soggetto pone in essere un’azione accettando il rischio del verificarsi dell’evento, che nella rappresentazione psichica non è direttamente voluto, ma appare probabile. In altri termini, l’agente, pur non avendo avuto di mira quel determinato accadimento,...

    Malgrado la delusione e la rabbia, il sabato sera è trascorso in festa. Stornelli anarchici intorno al fuoco, e un dj-set di musica africana organizzato dalle persone in transito. Io ho dormito in un tendone con una ventina di persone che si preparavano a passare il confine.

    Domenica, smantellato di nuovo il campeggio, ognuno ha preso la sua strada. Alcuni hanno deciso di sfilare in corteo verso la Francia, per creare qualche piccolo, momentaneo disagio alla circolazione su una frontiera che lascia passare i ricchi e ammazza i poveri. Li ho seguiti.
    La reazione della gendarmerie è stata immediata: dalle alture, alla cieca, una fitta pioggia di gas lacrimogeni è stata sparata sul corteo pacifico e disarmato. Io, del tutto impreparato a uno scenario del genere, sono scappato via. Per me il Passamontagna è finito così.
    Lunedì mattina, al passo del Monginevro, un ciclista ha trovato il corpo esanime di un giovane guineano. Sopravvissuto al Sahara, al Mediterraneo, ucciso tra Italia e Francia. Voglio pensare che le sue ultime ore siano state di festa, circondato dai volti amici del Passamontagna.

    Allo stesso tempo sono partite le veline ai giornali per travisare la realtà. I dibattiti e le conferenze a cui ho partecipato non ci sono stati, assicura la sindaca di Claviere. La grande marcia del sabato, bloccata dalla gendarmerie, mai esistita. L’attacco al campo da golf...

    L’attacco al campo da golf collocato falsamente nella notte tra venerdì e sabato: non più una risposta alla violenza della polizia, ma un atto di vandalismo immotivato. Il lancio di gas della domenica? Inevitabile risposta al lancio di inesistenti «bombe carta» degli anarchici...

    E alla fine l’unica vittima è la turista Raffaella. Che ha sotto il naso un’implacabile strage di stato, ma vede soltanto «una tendopoli abusiva» e 400 scalmanati che «pietre alla mano, in virtù di non so bene quale ideale protestano contro non so quale ingiustizia»

    https://twitter.com/lorenzodago/status/1689600891605716993
    https://threadreaderapp.com/thread/1689600891605716993.html

    #victime #golf #tourisme #passamontagna #manifestation #Hautes-Alpes #Val_de_suse #Italie #frontières #migrations #France #inégalités

    • Sur le campement à travers la frontière « passamontagna » du début août ; un autre mort à la frontière

      La pratique du Passamontagna n’a pas fonctionné. Après des années, plusieurs camps et de nombreuses manifestations qui nous ont amenés à passer la frontière ensemble, sans que personne -le temps d’une journée - ne risque sa vie pour franchir cette ligne imaginaire qu’est la frontière, cette fois-ci, le #passage_collectif a échoué.

      versione italiana in seguito

      english version below

      Samedi 5 août plus de 500 personnes ont quitté le campement installé à Claviere pour rejoindre la prochaine étape, en France. La gendarmerie en tenue anti-émeute, déployée sur tous les chemins, a bloqué notre passage. Des #gaz_lacrymogènes et des #grenades_assourdissantes étaient déjà positionnés en amont du #cortège. Près de trente camions et voitures anti-émeutes du côté français, plus ceux positionnés du côté italien. Il a été décidé de ne pas aller jusqu’à l’affrontement qui aurait été nécessaire pour tenter de passer, afin d’éviter un très probable massacre. La police française a changé ses pratiques au fil des ans, augmentant de temps en temps son niveau de #violence et l’utilisation d’#armes. On s’est pas voulu - dans cette situation - risquer des blessures graves.
      Comme tous les jours, ce week-end a vu passer des centaines de personnes en route pour la France. Le camp a été un bon moment pour partager des réflexions, des discussions, des danses et des bavardages. Bien que le passage collectif ait échoué, les personnes exilées de passage sont néanmoins reparties, comme chaque jour sur cette frontière maudite. Plus de 100 personnes sont arrivées à Briançon dans le week-end.

      Une trentaine de refoulements.

      La rage conséquent au refoulement de masse a provoqué quelques réactions.
      Samedi aprés-midi, un cortège s’est mis en route en direction de la frontière, surprenant certains officiers italiens qui ont dû courir, et bloquant la frontière pendant plus d’une heure.
      Le lendemain, dimanche, un autre cortège s’est formé sur la route de #Claviere à #Montgenèvre, pour tenter d’atteindre la PAF, le quartier général des gardes-frontières. Un important dispositif de gendarmes, avec des camionettes et un canon à eau, a barré la route. Les gardes mobiles ont tiré de nombreux gaz lacrymogènes et quelques grenades assourdissantes et #flashballs. Sur les chemins d’en haut, les gendarmes qui tentaient de se rapprocher ont été tenus à distance pendant un bon moment.
      Pendant plus de deux heures, la frontière est restée fermée. Si personne ne passe, personne ne passe. Les marchandises et les touristes ne passent pas non plus, de sorte que ce point de passage de frontière devient inopérent.

      Si, ces jours-ci, quelqu’un - soit-disant - a "osé" gâcher le #terrain_de_golf en écrivant ou en binant, cela ne nous semble pas être une tragédie, bien au contraire. La privatisation de cette montagne dans l’intérêt de quelques riches et de touristes fortunés conduit également à sa militarisation. Protéger cet imaginaire, le paysage des villages de montagne où l’on peut jouer au golf en toute tranquillité sur le "golf transfrontalier 18 trous" appartenant à #Lavazza et à la commune de Montgenèvre et skier sur les pistes "sans frontières". Ou encore se balader à vélo électrique sur les mêmes sentiers que ceux empruntés par des dizaines d’exilés chaque jour, mais plus souvent la nuit, justement parce qu’ils ne sont pas visibles. Une destination pour touristes fortunés ne peut pas être une zone de transit pour migrants, ça gache trop le décor. Ils construisent également deux "#réservoirs_d’eau", en volant l’eau de l’environnement, pour être sûrs de pouvoir tirer de la neige en hiver sur ces pistes. Privatisation, exploitation et militarisation des montagnes vont de pair.

      Le camp de Passamontagna a également été un moment de rencontre, de discussion et de réflexion sur le monde qui nous entoure et sur les mécanismes d’exploitation et d’exclusion. Des réunions ont été organisées pour parler de l’extractivisme néocolonial qui pousse les gens à migrer, à quitter des territoires massacrés au nom du profit. De l’externalisation des frontières et de la création d’ennemis intérieurs. Des nouveaux mécanismes de répression étatiques et européens à l’égard des exilées et des autres. De luttes contre les CPR/CRA (centres de rétention administrative).
      Parce que dans une société qui nous veut de plus en plus individualistes et séparés, nous devons de plus en plus nous connaître, nous reconnaître, nous confronter, nous unir pour combattre un système de plus en plus totalisant et totalitaire.

      A Briançon, ville de première destination pour tous celleux qui franchissent cette frontière, le centre d’hébergement solidaire Les Terrasse est surchargé. Les arrivées sont trop nombreuses et les places toujours insuffisantes. C’est aussi pour cela qu’un nouveau lieu a été ouvert et rendu public lundi. Une occupation qui se veut aussi un lieu d’accueil et de rencontre pour ceux qui luttent contre cette frontière, chacun à sa manière. Il y a besoin de soutien et de matériel !

      L’adresse est 34A Avenue de la République, hôpital les jeunes pousses SSR, Briançon.

      Un chaleureux merci à toutes les cuisines solidaires qui ont nourris des centaines des personnes pendant ces trois jours et à toutes les personnes qui y ont participé et rendu possible le camp.

      -- -

      Mais le lendemain on a appris une terrible nouvelle. Le lundi 7 aout, un jeune exilé a été retrouvé mort sur la route militaire reliant Montgenèvre à Briançon. Son nom était Moussa. Il était guinéen. Face contre terre, trouvé par un touriste à vélo. On n’en sait toujours pas plus.
      Un autre mort. Une victime de plus de cette frontière qui est de plus en plus marquée par la présence de la police aux frontières (PAF), déployée sur les chemins jour et nuit.
      Le onzième, le douzième, le vingtième, qui sait. Les chiffres ne sont pas clairs car tous les décès ne sont pas rendus publics. Officiellement, dix corps ont été retrouvés depuis 2018.
      Comme pour les autres décès, c’est clair qui sont les responsables. Il ne s’agit pas d’une mort aléatoire. Ce n’est pas de la malchance. Ce n’est pas un touriste qui meurt. C’est un "migrant" de plus, jeté des bus et des trains à la frontière, obligé de marcher la nuit pour échapper aux contrôles, pourchassé par les flics parce qu’il est catégorisé comme migrant et sans papiers, généralement parce que pauvre. Sur ces chemins, la PAF mène une chasse constante et raciste à tous ceux qui ne sont pas blancs et ne ressemblent pas à des touristes prêts à dépenser leur argent sur des terrains de golf ou des pistes de ski transformées en terrain de jeu pour vélos électriques en été.
      Et c’est à vélo, à pied ou en voiture que la PAF rôde sur les pistes à la recherche de ceux qui n’ont pas les bons papiers pour les traverser. Une nouvelle force militaire vient d’arriver à Montgenèvre avec pour objectif de limiter encore plus les entrées indésirables. Il y a des centaines de flics qui protègent cette frontière. Mais le flux de personnes ne s’arrête pas, car aucun filet, mur ou garde ne pourra jamais bloquer complètement le désir de liberté et la recherche d’une vie meilleure.
      Mais la paix est difficile à trouver aujourd’hui.
      Peut-être que si nous avions pu marcher ensemble, cela ne serait pas arrivé. Peut-être que si le Passamontagna avait fonctionné, ce garçon ne serait pas mort.
      Tous les flics présents sur ces chemins samedi et dimanche ont du sang sur les mains. Tout comme le préfet de Gap, qui avait rendu illégales toutes les manifestations et tous les campements pendant le week-end, et qui a donné l’ordre d’entraver le passage de toutes les manières possibles, a du sang sur les mains.

      Chaque policier est une frontière. Le bras armé d’un Etat qui continue à diviser, sélectionner et tuer au gré de ses intérêts politiques et économiques.
      Que les responsables paient cher, ici, à Montgenèvre, à Briançon, partout en France.

      Un pensée vient obscurcir notre esprit. Nous avons du mal à perdre de vue que le corps a été retrouvé sur la route militaire, qui peut être empruntée à pied mais aussi avec une voiture 4x4, que les gardes utilisent pour effectuer leurs patrouilles. Il est difficile de mourir par accident sur cette route, d’autant plus en été.
      Trop de personnes sont déjà mortes à la frontière, en fuyant la police. Rappelons Blessing Matthew, une jeune Nigériane de 20 ans, morte en 2018 dans la Durance en tentant d’échapper aux gendarmes qui la poursuivaient. Ou encore Fahtallah, retrouvé mort dans le barrage près de Modane, où il s’était aventuré après avoir été refoulé. Ou Aullar, 14 ans, mort écrasé par le train qu’il n’avait pu prendre à Salbertrand, en direction de la frontière. Ou encore tous ceux qui sont morts de froid ou sont tombés après avoir été refoulés à la frontière et s’être aventurés sur les sentiers les plus élevés.
      La militarisation de ces montagnes tue.

      La PAF, les gendarmes, l’Etat français, l’Europe. Ici les responsables de cette mort.

      La frontière est partout, dans chaque frontière à l’intérieur et à l’extérieur de l’Europe, là où elle est peut-être la plus reconnaissable, mais elle est aussi dans chaque rue, place ou gare où la police contrôle les papiers, elle est dans les centres de rétention administrative (CRA), elle est dans chaque bureau Frontex disséminé en Europe, elle est dans chaque usine d’armement ou dispositif de surveillance qui est produit en Europe et remis à la police des frontières.
      D’où une invitation à agir chacun à sa manière, chacun à sa place, contre les frontières.

      CONTRE TOUTES LES FRONTIÈRES, LES ÉTATS QUI LES CRÉENT ET LES UNIFORMES QUI LES PROTÈGENT.
      Quelques participants au camping Passamontagna
      Considerazioni sul campeggio passamontagna 2023. Un altro morto di frontiera.

      La pratica del Passamontagna non ha funzionato. Dopo anni, vari campeggi e numerose manifestazioni che ci hanno portato ad attraversare il confine assieme, senza che nessunx - per un giorno - rischiasse la vita per superare questa linea immaginaria chiamata frontiera, questa volta il passaggio collettivo é fallito.

      Sabato più di 500 persone sono partite dall’accampamento allestito a Claviere per arrivare alla prossima tappa, in Francia. I gendarmi in antisommossa, schierata su tutti i sentieri, hanno bloccato il passaggio. Lacrimogeni e bombe stordenti alla mano, posizionati già a monte rispetto al corteo. Quasi una trentina tra camionette e macchine sul lato francese, più quelle posizionate sul lato italiano. E’ stato scelto di non arrivare allo scontro che sarebbe stato necessario per tentare di passare, per evitare un probabile massacro. La polizia francese ha cambiato pratica in questi anni, aumentando di volta in volta il suo livello di violenza e uso delle armi. Non si è voluto - in quella situazione - rischiare feriti gravi.

      Come ogni giorno, anche in questo week end erano centinaia le persone di passaggio dirette in Francia. Il campeggio é stato un bel momento per condividere riflessioni, discussioni, balli e racconti. Nonostante il passaggio collettivo sia fallito, le persone di passaggio si sono comunque messe in cammino successivamente, come avviene ogni giorno su questa maledetta frontiera. Più di 100 persone sono arrivate a Briaçon nel weekend. Una trentina i push-back.

      La rabbia conseguente al respingimento di massa ha provocato alcune reazioni. Sabato pomeriggio un piccolo corteo é partito in direzione della strada sul confine, cogliendo di sorpresa qualche agente che si é ritrovato a dover correre, e bloccando la frontiera per più di un’ora.
      Domenica un altro corteo é stato fatto sulla strada che da Claviere porta a Monginevro, nel tentativo di arrivare alla caserma della PAF, la sede delle guardie che proteggono il confine. Un dispositivo importante di gendarmi, con camionette e un idrante sbarravano la strada. Le guardie hanno sparato lacrimogeni e qualche bomba stordente e priettili di gomma. Sui sentieri sopra la strada sono stati tenuti a distanza i gendarmi che cercavano di avvicinarsi.
      Per più di due ore la frontiera é rimasta chiusa.
      Se non passano tutti, non passa nessuno. Nemmeno le merci e i turisti, per cui questa frontiera di solito non esiste.

      Se in queste giornate qulcunx - dicono - ha "osato" rovinare i campi da golf con qualche scritta o zappata, non ci sembra una tragedia. La privatizzazione di questa montagna per gli interessi di pochi ricchi e dei turisti benestanti é anche ciò che porta alla sua militarizzazione. È anche per proteggere quest’immaginario, lo scenario dei paesini di montagna dove giocare a golf in tranquillità sulle "18 buche transfontaliere" di proprietà Lavazza e del Comune di Monginevro e sciare sulle piste "senza confine”, che vengono militarizzati i sentieri di queste montagne. Una meta per il turismo ricco non può essere zona di passaggio per migranti. A Monginevro stanno anche costruendo due "bacini idrici", che sottrarranno acqua all’ambiente circostante, per assicurare di avere neve artificiale nei caldi inverni a venire.
      Privatizzazione, sfruttamento e militarizzazione della montagna sono parte dello stesso meccanismo.

      Il campeggio Passamontagna è stato anche un momento di incontro, discussione, ragionamento sul mondo che ci circonda e sui dispositivi di sfuttamento ed esclusione. Ci sono stati incontri dedicati all’estrattivismo neocoloniale che spinge le persone a migrare, ad andarsene da territori massacrati in nome del profitto. Si è discusso di esternalizzazione delle frontiere e della creazione dei nemici interni. Di scafismo e DIA . Dei nuovi meccanismi legilsativi di guerra verso i/le migranti e solidali. Di lotte ai CPR/CRA.
      In una società che ci vuole sempre più individualisti e separati, dobbiamo incontrarci, conoscerci, riconoscerci, confrontarci e unirci per lottare un sistema sempre più totalitario.

      A Briançon, prima città di arrivo per tuttx coloro che attraversano questo confine, il rifugio solidale Les Terrasse é sovraccarico. Troppe le persone che arrivano, e i posti sono insufficienti. Anche per questo un nuovo spazio é stato aperto e reso pubblico lunedì 7 agosto. Un’occupazione che vuole essere anche un luogo di ospitalità e di incontro per chi questa frontiera la combatte, ognuno a suo modo. C’é bisogno di sostegno e materiali !
      L’indirizzo é 34A Avenue de la République, hopital les jeunes pousses SSR, Briançon.

      Un ringraziamento enorme và a tutte le cucine solidali che hanno nutrito centinaia di persone in questi tre giorni e tutte le persone che hanno partecipato e reso possibile il campeggio.

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      Ma nei giorni successivi viene data una notizia terribile. Lunedì 7 agosto, un giovane "migrante" é stato trovato morto sulla strada militare che da Monginevro arriva a Birançon. Faccia a terra, ritrovato da un turista in bicicletta. Il suo nome era Moussa. Arrivava dalla Guinea.
      Per il momento non si sà molto di più.
      Un’altra morte. Un’altra vittima di questo confine che prende le sembianze dalla polizia di frontiera (PAF) schierata sui sentieri giorno e notte.
      La undicesima, dodicesima, ventesima, chissà. I numeri non sono chiari perché non tutte le morti vengono rese pubbliche. Ufficialmente, dal 2018 ad oggi, son stati ritrovati dieci cadaveri. E non é una morte casuale. Non é la sfortuna.
      A morire è l’ennesimo "migrante", buttato giù dai bus e treni in frontiera, obbligato a camminare di notte per fuggire in controlli, inseguito dalle guardie per il suo essere senza documenti, tendenzialmente perché povero. Come per le altre morti, i responsabili sono chiari. Su questi sentieri la PAF effettua una caccia costante, razzista, verso chi non é bianco e non sembra un turista pronto a spendere i suoi soldi sui campi da golf o sulle piste da sci che diventano parco giochi per bici elettriche d’estate.
      Ed é in bicicletta, a piedi, su quad o in macchina che si apposta la PAF sui sentieri alla ricerca di chi non ha il buon pezzo di carta per attraversarli. Dotata di droni, sensori e visori notturni, una nuova forza militare é arrivata recentemente a Monginevro con lo scopo di limitare ancora di più gli ingressi indesiderati. Centinaia di guardie proteggono questo confine. Ma il flusso di persone non si ferma, perché nessuna rete, muro o guardia riuscirà mai a bloccare il desiderio di libertà e la ricerca di una vita migliore.
      Ma é difficile oggi trovare pace.
      Forse, se il Passamontagna avesse funzionato, quel ragazzo non sarebbe morto.
      Ogni sbirro presente su quei sentieri sabato e domenica ha le mani sporche di sangue. Così come ha le mani sporche di sangue il Prefetto di Gap, che ha reso illegale ogni manifestazione e campeggio nel week end, e che ha dato ordine di impedire con ogni mezzo necessario il passaggio.
      Ogni sbirro é una frontiera. Braccio armato di uno stato che divide, seleziona e uccide a seconda dei propri interessi politici ed economici.
      Che la paghino cara i responsabili, qui, a Monginevro, a Briançon, ovunque.

      Un pensiero ci offusca la mente. Ci rimane difficile non pensare al fatto che il corpo é stato trovato sulla strada militare, percorribile a piedi e anche con una macchina 4x4, che infatti usano le guardie per effettuare i loro pattugliamenti. Difficile morire per caso su quella strada.
      Già troppi i morti in frontiera, in fuga dalla polizia. Ricordiamo Blessing Matthew, giovane ventenne nigeriana morta nel 2018 nel fiume Durance mentre cercava di scappare dai gendarmi che la inseguivano. O Fahtallah, trovato morto nella diga vicino a Modane, dove si era avventurato dopo essere stato respinto. O il 14enne Aullar, morto stritolato dal treno che non poteva prendere a Salbertrand, diretto al confine. O tutti gli altri morti di freddo o caduti dopo esere stati respinti alla frontiera ed essersi inespicati sui sentieri più alti.
      La militarizzazione di quste montagne uccide.
      La PAF, i gendarmi, lo stato francese, l’europa. Qui i responsabili di questa morte.

      La frontiera è ovunque, in ogni confine interno ed esterno all’europa, dove forse è più riconoscibile, ma è anche in ogni strada, piazza o stazione dove la polizia controlla i documenti, è nei centri di detenzione per il rimpatrio, è in ogni ufficio di Frontex sparso sul territorio europeo, è in ogni fabbrica di armi o di dispositivi di sorveglianza che prodotti in europa vengono regalati alle polizie di confine.
      Da qua un invito, di agire ognunx a suo modo, ognunx nel proprio luogo, contro le frontiere.

      CONTRO OGNI FRONTIERA, GLI STATI CHE LE CREANO, E LE DIVISE CHE LE PROTEGGONO
      Alcunx partecipanti al campeggio Passamontagna
      Considerations on the camping against the borders passamontagna. Another border death.

      The Passamontagna’s practice did not work. After years, various camps and numerous demonstrations that led us to cross the border together, without anyone - for one day - risking their life to cross this imaginary line called border, this time the collective crossing failed.

      On Saturday 5th, in fact, more than 500 people left the campsite set up in Claviere to reach the next stop, in France. The gendarmerie in riot gear, deployed on all the paths, blocked our passage. Tear gas and stun grenades were already positioned upstream from the procession. Almost thirty trucks and riot cars on the French side, plus those positioned on the Italian side. It was decided not to go to the clash that would have been necessary to try to pass, to avoid a very likely massacre. The French police have changed their practice over the years, increasing their level of violence and use of weapons from time to time. We did not want - in that situation - to risk serious injuries.
      Like every day, this weekend there were hundreds of people passing through on their way to France. The camp was a good time to share reflections, discussions, dancing and chatting. The people passing through nevertheless left, as happens every day on this cursed border. More than 100 people arrived in Briançon this weekend. Around thirty push-backs.

      The anger at not being able to cross the border to continue camping in France provoked some reactions.
      On the same day, Saturday, a march started in the direction of the road, catching some Italian officers by surprise as they had to run, and blocking the border for more than an hour.
      The next day, Sunday, another march took place on the road from Claviere to Montgenèvre, in an attempt to reach the PAF, the headquarters of the guards protecting the border. An important device of gendarmes, with small trucks and a water cannon barred the road. The guards fired many tear gas and some stun grenades and flashballs. On the paths above, the guards that tried to get closer went keeped far.
      For more than two hours the border remained closed. If no one passes, no one passes. Neither do goods or tourists, so in practice this border does not exist.
      If these days someone - they say - has ’dared’ to spoil the golf course with some writing or hoeing, it does not seem like a tragedy, quite the contrary. The privatisation of this mountain for the interests of the rich few and wealthy tourists is what also leads to its militarisation. To protect this inmaginary, the scenery of the mountain villages where one can play golf in peace on the ’18-hole cross-border golf course’ owned by Lavazza and the Montgenèvre municipality and ski on the ’borderless’ slopes. Or whizzing on electric bicycles on the same trails travelled by dozens of migrants every day but more often at night, precisely because they cannot be seen. A destination for wealthy tourists cannot be a transit area for migrants. They are also building two ’water reservoirs’, stealing water from the surrounding environment, to make sure they can shoot snow in winter on these trails. Privatisation, exploitation and militarisation of the mountains go together.

      The Passamontagna camp was also a time for meeting, discussion, and reasoning about the world around us and the devices of exploitation and exclusion. There were meetings that spoke of neo-colonial extractivism that pushes people to migrate, forced to leave territories massacred in the name of money. Of externalisation of borders and the creation of internal enemies. Of scafism and DIA (anti-mafia investigative directorate). Of new state and European repression mechanisms towards migrants and others. Of confrontation in the CPR/CRA struggles.
      Because in a society that wants us to be increasingly individualistic and separate, we must increasingly know each other, recognise each other, confront each other, unite to fight an increasingly totalising and totalitarian system.

      In Briançon, town of initial destination for all those who cross this border, the solidarity shelter Les Terrasse is overloaded. Too many people arrive, and places are always running out. This is also why a new place was opened and made public on Monday. An occupation that also wants to be a place of hospitality and a meeting place for those who fight this border, each in their own way. Support and materials are needed !
      The address is 34A Avenue de la République, hopital les jeunes pousses SSR, Briançon.

      A huge thank you goes to all the solidarity kitchens that fed hundreds of people over these three days and all the people who participated and made the camp possible.

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      But we learn a terrible news in the next days. Monday 7 agust, a young migrant was found dead on the military road from Montgenèvre to Briançon. Face down on the ground, found by a tourist on a bicycle. We still don’t know anything more.
      Another death. Another victim of this border that takes the shape of the border police (PAF) deployed on the paths day and night.
      The 11th, 12th, 20th, who knows. The numbers are unclear because not all deaths are made public. Officially, ten bodies have been found since 2018.
      As with the other deaths, it’s clear who is responsible. It is not a random death. It is not bad luck. It is not a tourist who dies. It is yet another "migrant", thrown off buses and trains at the border, forced to walk at night to escape through controls, chased by guards for being a migrant and undocumented, tending to be poor. On these paths the PAF carries out a constant, racist hunt towards anyone who is not white and does not look like a tourist ready to spend his money on golf courses or ski slopes turned into playground for electric bikes in summer.
      And it is by bicycle, on foot or by car that the PAF lurks on the trails looking for those who do not have the good papers to cross them. A new military force has recently arrived in Montgenèvre with the aim of limiting unwanted entry even further. Hundreds guards protect this border. But the flow of people does not stop, because no net, wall or guard will ever be able to completely block the desire for freedom and the search for a better life.
      But peace is difficult to find today.
      Perhaps if we had been able to walk together this would not have happened. Perhaps if the Passamontagna had worked that boy would not have died.
      Every cop on those paths on Saturday and Sunday has blood on his hands.
      So too has blood on his hands the Prefect of Gap, who made all demonstrations and camping illegal over the weekend, and who gave orders to prevent the passage in every way.
      Every cop is a border. The armed arm of a state that continues to divide, select and kill according to its political and economic interests.
      Let those responsible pay dearly, here, at Montgenèvre, at Briançon, everywhere in France.

      Another thought clouds our minds. We find it hard not to think about the fact that the body was found on the military road, which can be travelled on foot and also with a 4x4 car, which the guards use to carry out their patrols. It is difficult to die by accident on that road.
      Already too many have died on the border running the police. Recall Blessing Matthew, a young 20-year-old Nigerian woman who died in 2018 in the Durance River while trying to escape from the gendarmes who were chasing her. Or Fahtallah, found dead in the dam near Modane, where he had ventured after being turned back. Or 14-year-old Aullar, who died crushed by the train he could not catch in Salbertrand, bound for the border. Or all the others who froze to death or fell after being turned back at the border and venturing onto the highest paths.

      Militarisation kills on these montains.
      The PAF, the gendarmes, the French state, Europe. Here the responsible for this death.

      The border is everywhere, in every border inside and outside Europe, where perhaps it is most recognisable, but it is also in every street, square or station where the police check documents, it is in the detention centres for repatriation, it is in every Frontex office scattered across Europe, it is in every arms factory or surveillance device that is produced in Europe and given to the border police.
      Hence an invitation, to act each in his own way, each in his own place, against borders.

      AGAINST ALL BORDERS, THE STATES THAT CREATE THEM AND THE UNIFORMS THAT PROTECT THEM
      Some participants of the Passamontagna camp

      https://valleesenlutte.org/spip.php?article606

  • “Ogni giorno ci sono migranti respinti al confine dalla Francia. Spesso famiglie”. Viaggio in Valsusa nel rifugio costretto alle brandine in corridoio

    Il confine alpino tra l’Italia e la Francia passa in mezzo a un campo da golf. Non si vede ma c’è. Una pallina può attraversarlo, ma una bambina di un anno no. Viene fermata dalla polizia francese mentre insieme ai suoi genitori prova a passare la frontiera camminando sui sentieri a oltre 1700 metri d’altitudine. Vorrebbero chiedere asilo in Francia ma la polizia li intercetta nei boschi e li rispedisce indietro. Un destino che riguarda sempre più persone.

    Da qualche settimana il numero dei migranti lungo la rotta alpina che passa da Claviere è aumentato. “Siamo arrivati a contare anche 150 persone in una sola notte” racconta Elena, una delle operatrici del Rifugio Fraternità Massi di Oulx. Un “porto sicuro” nato nel dicembre 2021 grazie a tante realtà come Talitá kun, Rainbow4Africa, la diaconia valdese, On Borders, Medu, Croce Rossa e grazie a 170 volontari che si alternano per garantire un aiuto alle persone in transito. Nel solo mese di luglio più di mille migranti sono stati ospitati qui. Il 10 per cento sono minori stranieri non accompagnati che per il diritto europeo dovrebbero poter passare il confine, ma non gli viene consentito.

    “Rispetto agli anni scorsi, nel 2023 abbiamo visto che la maggior parte delle persone proviene non più dalla rotta balcanica ma direttamente da Lampedusa – spiega l’antropologo Piero Gorza di On Borders – non più afghani e iraniani, ma arrivano per lo più dall’Africa Subsahariana e sono sbarcati in Italia da poche settimane”. Un cambio che comporta delle nuove difficoltà per queste persone. “Non sono abituati a camminare in montagna sui sentieri di notte e per di più continua la ‘caccia all’uomo’ da parte della polizia di frontiera francese”. Il risultato è che la rotta alpina diventa sempre più difficile per i migranti che per evitare i gendarmi si spingono su sentieri sempre più in alto. E i rischi aumentano. “Siamo partiti in sei ma quando abbiamo visto la polizia siamo scappati sparpagliandoci tra i boschi – racconta un ragazzo che ha poco più di vent’anni e che proviene dalla Costa d’Avorio – mi sono perso, ero in mezzo alla neve e presto le mani mi si sono congelate. Non riuscivo più a camminare. Ho avuto paura di morire”. Ma è riuscito a chiamare la Croce Rossa che lo ha salvato riportandolo al rifugio.

    L’elenco di chi non ce l’ha fatta a salvarsi continua però ad allungarsi. Lunedì mattina il corpo di un migrante morto è stato trovato sui sentieri tra Monginevro e Briancon, sul lato francese. L’ennesima vittima che si aggiunge a quelle degli scorsi anni. “Non siamo di fronte ad un fatto tragico ed eccezionale, ma ad una concreta eventualità che si ripropone ogni giorno ad ogni respingimento”, spiega l’associazione On borders che ha contato dieci morti accertati negli ultimi anni. Persone a cui è difficile dare un volto e un nome. Nel 2018 Blessing è morta mentre scappava dalla polizia, nel 2022 Fahtallah è stato trovato morto nella diga vicino a Modane, nello stesso anno il 14enne Aullar è morto stritolato dal treno a Salbeltrand. “Non è la montagna che uccide ma il sistema di frontiera – scrive On Borders – i morti nel Mediterraneo, a Cutro, a Ventimiglia e sulle Alpi sono il risultato di una stessa pianificata politica dell’orrore”.

    Le attività di soccorso e accoglienza su questo confine non si fermano mai, neanche d’estate. E quando c’è bisogno di letti aggiuntivi perché il rifugio di Oulx è pieno, i corridoi del polo logistico Cri di Bussoleno si riempiono di brandine per ospitare le persone in transito. “In Valsusa viviamo il riflesso della situazione che sta vivendo l’Italia – racconta Michele Belmondo del Comitato della Croce Rossa di Susa facendo riferimento ai 2 mila sbarchi del mese di luglio – ma non si può parlare di emergenza perché quello della migrazione è ormai un fenomeno strutturale che va avanti da anni”. Piuttosto sul lato italiano si va “un pochino più in difficoltà quando la frontiera diventa impermeabile per le condizioni meteo avverse o per i maggiori controlli da parte della polizia di frontiera”. E i governi italiani che si sono succeduti continuano “a lavarsene le mani” come spiega Gorza. “I decreti Cutro, la legge 50 e gli accordi con la Tunisia finiranno solo con il rendere più pericoloso il cammino dei migranti – conclude l’antropologo – dunque il risultato sarà la clandestinizzazione di queste persone e l’arricchimento dei trafficanti oltre a un costo umano altissimo perché puoi bloccare un accesso, ma si apriranno nuove rotte più pericolose con più morti. La gente non può né tornare indietro né restare, l’unica possibilità per loro andare avanti”. La migrazione, del resto, come spiega il ragazzo ivoriano “è un fenomeno naturale e non si può fermare. Proprio per questo occorre cambiare le leggi”.

    https://www.ilfattoquotidiano.it/2023/08/09/ogni-giorno-ci-sono-migranti-respinti-al-confine-dalla-francia-spesso-famiglie-viaggio-in-valsusa-nel-rifugio-costretto-alle-brandine-in-corridoio/7254891

    #frontières #frontière_sud-alpine #Val_de_Suse #Italie #France #refoulements #Alpes #montagne #push-backs #migrations #asile #réfugiés #film #reportage #vidéo #Croix-Rouge #urgence #Oulx #rifugio_fraternità_massi #fraternità_massi #chasse_à_l'homme #danger

  • Piemonte, corsa alle nuove miniere : da #Usseglio al Pinerolese si cercano nichel, cobalto, grafite e litio

    Scatta la corsa alle terre rare: la Regione deve vagliare le richieste delle multinazionali su una decina di siti

    Nei prossimi anni il Piemonte potrebbe trasformarsi in una grande miniera per soddisfare le esigenze legate alla costruzione degli apparecchi digitali e all’automotive elettrico. È un futuro fatto di cobalto, titanio, litio, nichel, platino e associati. E non mancano nemmeno oro e argento. Un grande business, infatti oggi si parla di «forti interessi» di aziende estrattive nazionali e straniere. Anche perché la Commissione Europea ha stabilito che «almeno il 10% del consumo di materie prime strategiche fondamentali per la transizione green e per le nuove tecnologie dovrebbe essere estratto nell’Ue, il 15% del consumo annuo di ciascuna materia prima critica dovrebbe provenire dal riciclaggio e almeno il 40% dovrebbe essere raffinato in Europa». In questo contesto il Piemonte è considerato un territorio strategico. Anche perché l’anno scorso il mondo ha estratto 280mila tonnellate di terre rare, circa 32 volte di più rispetto alla metà degli anni 50. E la domanda non farà che aumentare: entro il 2040, stimano gli esperti, avremo bisogno di sette volte più terre rare rispetto a oggi. Quindi potrebbero essere necessarie più di 300 nuove miniere nel prossimo decennio per soddisfare la domanda di veicoli elettrici e batterie di accumulo di energia, secondo lo studio condotto da Benchmark Mineral Intelligence.

    «Al momento abbiamo nove permessi di ricerca in corso, ma si tratta di campionature in superficie o all’interno di galleria già esistenti, come è avvenuto a Punta Corna, sulle montagne di Usseglio – analizza Edoardo Guerrini, il responsabile del settore polizia mineraria, cave e miniere della Regione -. C’è poi in istruttoria di via al ministero dell’Ambiente un permesso per la ricerca di grafite nella zona della Val Chisone». Si tratta di un’area immensa di quasi 6500 ettari si estende sui comuni di Perrero, Pomaretto, San Germano Chisone, Perosa Argentina, Pinasca, Villar Perosa, Pramollo, Roure e Inverso Pinasca che interessa all’australiana Energia Minerals (ramo della multinazionale Altamin). E un’altra società creata da Altamin, la Strategic Minerals Italia, nella primavera prossima, sulle montagne di Usseglio, se non ci saranno intoppi, potrà partire con le operazioni per 32 carotaggi nel Vallone del Servin con una profondità variabile da 150 a 250 metri. Altri 25 sondaggi verranno invece effettuati nel sito di Santa Barbara, ma saranno meno profondi. E, ovviamente, ambientalisti e amanti della montagna, hanno già espresso tutti i loro timori perché temono uno stravolgimento del territorio. «Nelle settimane scorse ho anche ricevuto i rappresentati di una società svedese interessati ad avviare degli studi di valutazione in tutto il Piemonte con l’obiettivo di estrarre minerali – continua Guerrini – anche perché l’Unione Europea spinge per la ricerca di materie prime indispensabili per la conversione ecologica e quindi l’autosufficienza energetica».

    È la storia che ritorna anche perché il Piemonte è stata sempre una terra di estrazione. Basti pensare che, solo nel Torinese, la cavi attive «normali» sono 66. E ora, a parte Usseglio e il Pinerolese, ci sono richieste per cercare nichel in Valle Anzasca, rame, platino e affini nel Verbano Cusio Ossola, dove esiste ancora una concessione non utilizzata per cercare oro a Ceppo Morelli nella Val d’Ossola (anche se il giacimento più sfruttato per l’oro è sempre stato quello del massiccio del Rosa) e la richiesta di poter coltivare il boro nella zona di Ormea. E pensare che, dal 2013 al 2022, le aziende che si occupano di estrazione di minerali da cave e miniere in Piemonte sono scese da 265 a 195. «Il settore estrattivo continua a essere fonte di occupazione – riflette l’assessore regionale Andrea Tronzano -. Con il piano regionale in via di definizione vogliamo dare certezze agli imprenditori e migliorare l’attuale regolamentazione in modo che ci siano certezze ambientali e più facilità nel lavorare. Le miniere su materie prime critiche sono oggetto di grande attenzione e noi vorremmo riattivare le nostre potenzialità come ci chiede la Ue. Ci stiamo lavorando con rispetto per tutti, anche perché qui non siamo nè in Cina nè in Congo. Vedremo le aziende che hanno chiesto di fare i carotaggi che cosa decideranno. Noi le ascolteremo».

    https://www.lastampa.it/torino/2023/08/06/news/piemonte_nuove_miniere_usseglio_nichel_cobalto-12984408

    #extractivisme #Italie #mines #nickel #cobalt #graphite #lithium #Alpes #montagnes #Piémont #Pinerolo #terres_rares #multinationales #transition_énergétique #Punta_Corna #Val_Chisone #Energia_Minerals #Altamin #Strategic_Minerals_Italia #Vallone_del_Servin #Santa_Barbara #Valle_Anzasca #Verbano_Cusio_Ossola #cuivre #platine #Ceppo_Morelli #Val_d'Ossola #or #Ormea

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    ajouté à la métaliste sur l’#extraction de #terres_rares dans les #Alpes :
    https://seenthis.net/messages/1013289

  • A #Briançon, l’accueil des migrants de plus en plus compliqué : « Ce n’est plus gérable »

    « Beaucoup marché dans le désert… C’est pas facile… Police tunisienne courir derrière moi… Marcher cinq jours, pas d’eau, pas d’ombre… » Il ne s’arrête plus. Sans qu’on ne lui ait posé la moindre question, Issouf (les personnes citées par leur prénom n’ont pas souhaité donner leur nom), s’est mis à parler du parcours migratoire qu’il a engagé il y a presque six mois depuis le Burkina Faso, aux côtés de son père Abdoul.

    Le garçon de 10 ans montre ses jambes, couvertes de cicatrices. Des cailloux sur lesquels il serait tombé, souvent. « J’ai vu des cadavres, des gens mourir. Le Sahara a tué les gens, demande à papa ! Je dis la vérité » , poursuit-il, agitant ses bras.

    Après avoir traversé le Mali, l’Algérie et la Tunisie, Issouf et son père ont franchi la Méditerranée jusqu’à l’île italienne de Lampedusa. « Ma maman ne voulait pas qu’on traverse, elle avait peur, elle disait : “Retournez-vous”. On a risqué la vie. Tout le monde rit maintenant. Ils sont contents. »

    Fin juillet, Issouf et Abdoul ont passé à pied le col alpin de Montgenèvre, près de la frontière entre l’Italie et la France. Une route privilégiée depuis la fin de l’année 2016 et la recrudescence des contrôles policiers dans les Alpes-Maritimes. Issouf et Abdoul ont été refoulés une première fois par la police française, avant de réussir leur passage et de gagner Briançon (Hautes-Alpes), à une quinzaine de kilomètres.

    On les rencontre aux Terrasses solidaires, un ancien sanatorium de la ville, racheté 1 million d’euros en 2021 par une poignée de fondations et d’associations telles que Refuges solidaires, Médecins du monde ou Tous migrants et au sein duquel sont désormais accueillis les migrants en transit.

    « J’étais dos au mur »

    « Inchallah, on va trouver les documentset on va faire venir maman en France » , nous dit Issouf, volubile. Son père, Abdoul, est dans le dur. Il a laissé sa femme et deux de ses enfants dans un Burkina Faso « invivable », en proie à l’ « insécurité » et à la « crise » économique. Il vivait à Koudougou, la troisième ville du pays, sous la férule de groupes djihadistes. « Tout saute, raconte-t-il, en pleurs. J’aurais pu devenir djihadiste, j’étais dos au mur. Si tu n’es pas fort d’esprit, tu peux faire n’importe quoi pour t’en sortir. »

    De sa route vers la France, il raconte chaque étape, les nuits passées cachés dans des champs d’oliviers à attendre les passeurs, sans bruit, les francs CFA acquittés à chaque étape, les pick-up et les marches harassantes, les nombreux refoulements de la Tunisie vers l’Algérie, les petits boulots comme aide-maçon payés 30 dinars (8,80 euros) la journée, les gens « de bonne foi » qui lui offraient à boire et à manger, ou ceux, effrayants, qui raflaient « les Noirs »et les envoyaient vers le désert.

    Depuis le mois de mai, à Briançon, on constate un afflux de personnes aux Terrasses solidaires, en lien avec l’augmentation des départs depuis la Tunisie, un pays en proie à une crise économique et à une montée des violences envers les migrants subsahariens. La nuit, ils peuvent être soixante-dix à arriver au refuge. Ces derniers jours, le nombre de personnes hébergées sur place est monté à plus de 200, des hommes presque exclusivement, alors que les normes de sécurité limitent la capacité d’accueil du lieu à une soixantaine de personnes.

    Des tentes ont été montées à l’extérieur du bâtiment ; le réfectoire est devenu un vaste dortoir où une quarantaine de lits de camp ont été alignés. Les personnes s’y reposent, un œil sur leur téléphone quand elles ne dorment pas, le visage enfoui sous une couverture.

    « Nos stocks de nourriture s’épuisent »

    Les bénévoles ont toujours connu les variations saisonnières des arrivées. A l’hiver 2021, tout juste après avoir été inauguré, le lieu avait fermé ses portes plusieurs semaines alors que quelque 230 personnes s’y trouvaient.

    « On est saturé, alerte aujourd’hui encore Luc Marchello, membre du conseil d’administration des Terrasses solidaires. Ce n’est plus gérable, ni par rapport à la dignité de l’accueil ni par rapport aux tensions que cela génère. » « On demande à la préfecture d’ouvrir un centre d’hébergement mais elle nous laisse sans réponse » , se désole Alfred Spira, professeur de médecine à la retraite et également membre du conseil d’administration du refuge.

    Sollicités sur le sujet, les services de l’Etat dans le département assurent dans un mail au Monde que les demandes d’hébergement faites auprès du 115 – le Samusocial – « restent conformes au nombre constaté les années précédentes à la même époque ».

    « Nos stocks de nourriture s’épuisent, les dons arrivent de façon ponctuelle. On a trois veilleurs de nuit salariés, on en voudrait bien quatre » , explique pour sa part Jean Gaboriau, administrateur de l’association Refuges solidaires. Les seuls deniers publics seraient ceux de l’agence régionale de santé, qui consacrerait environ 40 000 euros par an à la prise en charge de la blanchisserie.

    Du reste, une quinzaine de bénévoles s’activent chaque jour sur place. « On est complètement accaparés par la gestion de l’accueil, témoigne Luc Marchello . En général, les personnes restent entre trois et cinq jours mais une partie ne sait pas où aller ou attend un [transfert d’argent] Western Union pour pouvoir acheter un billet de train. »

    Abdoul et Issouf sont de ceux que personne n’attend. « Il nous faut des indices pour nous orienter. On ne connaît personne en France, confie le père, qui souhaite déposer une demande d’asile. On se mettra dans les mains des gens qui sont gentils. » Quelques jours plus tard, il partira vers Strasbourg.

    Mounir, lui, veut aller à Paris pour travailler dans la pâtisserie. Au Maroc, dont il est originaire, le salaire qu’il pouvait espérer n’atteint pas les 300 euros. « Et puis tu n’es pas déclaré et tu te fais dégager du jour au lendemain » , dit-il. Le jeune homme de 25 ans s’inquiète de la possibilité de travailler en France alors qu’il n’a pas de titre de séjour et se renseigne sur les démarches à faire pour être régularisé. Avec ses quelques compagnons de route, originaires des villes de Marrakech, Ouarzazate, Midelt ou Tiznit, il a d’abord pris un avion vers la Turquie avant de remonter la route dite des Balkans. La plupart ont l’Espagne en ligne de mire. Pour y faire de la soudure, de l’électricité, de la coiffure ou de l’agriculture, qu’importe. Là-bas, ont-ils compris, obtenir les papiers ne prendrait « que » deux ans et demi.

    https://www.lemonde.fr/article-offert/effyfhbwvptb-6184494/a-briancon-l-accueil-des-migrants-de-plus-en-plus-complique-ce-n-est-plus-ge

    #asile #migrations #réfugiés #accueil #Briançonnais #Hautes-Alpes #frontière_sud-alpine #Alpes #hébergement #mise_à_l'abri #terrasses_solidaires #refuge_solidaire #refuges_solidaires #frontières #Italie #France #Montgenèvre #115

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    Juin 2023 :
    Nouveau cri d’alarme du #Refuge_solidaire
    https://seenthis.net/messages/1004387

    • Migranti, emergenza in Val di Susa: centri di accoglienza al limite per i profughi diretti in Francia

      I controlli alla frontiera sempre più stringenti, in pochi giorni arrivate a #Oulx più di 150 persone.

      Al #Rifugio_Fraternità_Massi di Oulx la parola emergenza è ormai scomparsa dal lessico quotidiano. Il flusso costante di uomini, donne e bambini che ogni giorno cercano di attraversare il confine ha perso da tempo i caratteri dell’eccezionalità, evolvendosi in un fenomeno sempre più sistemico, ma non per questo meno tragico.

      A dimostrarlo sono i numeri registrati dalle associazioni impegnate nel progetto #MigrAlp; un bilancio impietoso che vede il rifugio di don Luigi Chiampo ospitare ogni notte un centinaio di persone, malgrado i posti disponibili all’interno della struttura siano soltanto una settantina.

      Ad inizio agosto in un paio di occasioni si è arrivati addirittura a raggiungere le 150 presenze e da allora la necessità ha finito per trasformare in abitudini consolidate quelle che un tempo erano soluzioni emergenziali. Non fanno più notizia le brandine allestite in sala mensa, né i viaggi intrapresi ogni sera dalla Croce Rossa per trasportare al polo logistico di Bussoleno quanti non trovano posto ad Oulx.

      La situazione, intanto, resta grave anche al confine francese, come testimoniano i quasi 300 migranti accolti lo scorso 13 agosto al centro delle Terrasses Solidaires di Briançon. «La militarizzazione della frontiera non fa che incentivare la clandestinità e mettere a rischio la vita dei più deboli - spiega Piero Gorza, antropologo e referente Medu per il Piemonte – dal 2018 ad oggi sulle nostre montagne sono morte 10 persone, l’ultima soltanto una manciata di giorni fa. L’aumento dei flussi e il mutamento della loro composizione ha visto moltiplicarsi le vulnerabilità di quanti affrontano il cammino». Gli iraniani, afghani e curdi che fino allo scorso ottobre rappresentavano il 70% delle persone in transito ad Oulx sono ora soltanto una minoranza.

      «Quanti provengono dalla rotta balcanica scelgono di passare da Como o dalla Svizzera, dove ottengono un foglio di via che consente loro di arrivare più facilmente in Germania», spiega Paolo Narcisi, presidente dell’associazione Rainbow for Africa. Ad affrontare le montagne dell’alta Val Susa sono ormai perlopiù i migranti dell’Africa subsahariana.

      Sono molte le donne, spesso incinte o con al seguito i bambini talvolta frutto delle violenze subite nei campi di transizione libici. Tanti, troppi, i minori non accompagnati. «Da gennaio ne abbiamo accolti un centinaio al polo logistico di Bussoleno – sottolinea Michele Belmondo, responsabile delle emergenze della Croce Rossa di Susa – un dato allarmante se paragonato ai 90 di cui ci siamo occupati nel corso dell’intero 2022».

      Recano sul corpo i segni delle torture e di un cammino di cui spesso ignorano le insidie, basti pensare ai due ragazzi recuperati l’altro giorno dal Soccorso Alpino sopra Bardonecchia, a 2mila metri di altitudine, con ai piedi un paio di ciabatte.

      Ad accrescere la preoccupazione in vista dell’autunno contribuisce inoltre la carenza di risorse economiche. «Se la situazione rimarrà invariata, entro fine settembre avremo terminato i fondi stanziati per il 2023 dalla Prefettura per la gestione del progetto MigrAlp - precisa Belmondo - 550 mila euro a fronte dei 750 mila richiesti da associazioni e istituzioni. Arriveranno a consuntivo soltanto a fine anno».

      https://www.lastampa.it/torino/2023/08/23/news/migranti_emergenza_alta_val_di_susa-13007663
      #Val_Suse #Suisse #Côme #Chiasso #Tessin

    • "Combien de temps on va tenir ?" : les Terrasses de Briançon dépassées par l’afflux inédit de migrants venant d’Italie

      Pour la première fois depuis son ouverture en 2021, les Terrasses solidaires, lieu associatif de Briançon à la frontière franco-italienne, a accueilli plus de 300 migrants pendant deux jours. « On navigue à vue », raconte un administrateur du lieu, d’une capacité d’accueil maximum de 81 places.

      La situation aux Terrasses solidaires de Briançon empire. Les 13 et 14 août, le lieu associatif a accueilli plus de 300 personnes. « Une première », indique Jean Gaboriau, l’un des administrateurs du lieu, à InfoMigrants. Et depuis, l’accueil ne faiblit que légèrement. Ce mercredi, 220 personnes étaient admises, là où il n’y a qu’environ 80 places.

      D’ordinaire, les associatifs et citoyens solidaires voient plutôt arriver « entre 5 et 30 personnes par jour » à Briançon, décrit Luc Marchello, responsable de la sécurité des Terrasses Solidaires. Mais le week-end dernier par exemple, une centaine d’exilés, pour la quasi-totalité originaire d’Afrique subsaharienne, sont arrivés en une nuit.

      Des matelas sont posés à même le sol où c’est possible, des tentes sont installées sur les terrasses extérieures… « On n’a pas le choix, on pousse les murs », raconte Jean Gaboriau. Et d’ajouter : « Le réfectoire est devenu un dortoir. Les gens dorment par terre ». À l’étage, normalement condamné, un petit espace a été aménagé afin d’accueillir le plus calmement possible les populations vulnérables comme les femmes enceintes ou les enfants.
      Appel à l’aide de l’État

      Ici, le va-et-vient est quotidien. Chaque jour, de nouveaux exilés viennent remplacer ceux qui partent. « Depuis le mois de mai, la situation est très compliquée. On tourne à minimum 150 personnes (soit plus de deux fois la capacité d’accueil, ndlr) », raconte l’administrateur.

      Et les nouveaux arrivants, la plupart du temps, arrivent fortement impactés par la traversée des Alpes entre l’Italie et la France, qui se fait aujourd’hui en grande partie par le Col de Montgenèvre. « Cela varie, mais beaucoup arrivent blessés aux chevilles, genoux… Ou sont en état de déshydratation, complète Jean Gaboriau. Il y a aussi beaucoup de femmes enceintes, dont certaines sont très, très proches du terme. »

      Ce passage peut aussi engendré la mort. Le corps d’un exilé y a été retrouvé le 7 août dernier. Selon des informations d’Infomigrants, il s’agit d’un Guinéen âgé de 19 ans. Une enquête est toujours en cours et l’autopsie n’a pas permis de découvrir les causes de la mort mais elles sont « non suspectes et certainement pas d’origine traumatiques », selon le procureur de la République de Gap, Florent Crouhy.

      Ainsi, les bénévoles du lieu en appellent à l’État et regrettent, dans un communiqué publié mardi, qu’"aucune réponse n’a jamais été apportée par l’État aux situations de crise rencontrées dans ce lieu d’hébergement". Après plusieurs courriers envoyés à la préfecture des Hautes-Alpes, des signalements effectués aux pompiers, ils demandent aux autorités « l’ouverture d’un dialogue » ainsi que « la création d’un centre d’hébergement d’urgence mobile ». « La seule réponse que l’on a obtenue de la préfecture, c’était le 31 juillet, et c’était une lettre qui rappelait la loi et l’interdiction d’aider des personnes en situation irrégulière à rentrer en France », se désole Jean Gaboriau.

      Contactée par Infomigrants, la préfecture indique que « les difficultés de l’association gestionnaires des Terrasses Solidaires ont bien été entendues par la Préfecture, qui leur a répondu ». Mais « cette situation n’a pas vocation à durer ». Et d’ajouter : « La seule solution efficace aux difficultés rencontrées par les associations et, plus largement, les territoires impactées par ce triste phénomène, est le renforcement progressif du dispositif de lutte contre l’immigration illégale. »
      "On navigue à vue"

      Et la situation ne va pas aller en s’arrangeant, s’inquiètent les bénévoles, « au vu de l’importance du nombre de personnes qui arrivent en Italie depuis le début de l’année ». L’Italie enregistre en effet un record d’arrivées par la mer avec 101 386 migrants débarqués depuis le début de l’année, selon les données du ministère de l’Intérieur, contre 48 940 pour la même période de 2022. Et les exilés sont nombreux à prendre la route de la France pour y demander l’asile ou se rendre vers d’autres pays d’Europe.

      La hausse des prix des transports en commun « aggrave aussi la situation », estime Jean Gaboriau car les prix des TGV vers les grandes métropoles françaises descendent rarement sous la barre des 100 euros, surtout en cette période de vacances scolaires. « Donc forcément, les gens restent plus longtemps et attendent que les prix baissent », ajoute-t-il.

      Jusqu’à présent, les Terrasses solidaires s’adaptent en augmentant les stocks de nourriture et grâce aux dons qui se multiplient. « Combien de temps va-t-on tenir ? » s’interroge l’administrateur. « On navigue à vue », admet-il. Et les bénévoles, eux aussi, sont exténués. « Moi, je me suis mis au vert quelques jours pour revenir efficace mais pour ceux qui viennent de loin et qui restent plusieurs semaines, il faut aussi les préserver », raconte-t-il, précisant qu’une « responsable des bénévoles » veille à la situation.

      https://www.infomigrants.net/fr/post/51145/combien-de-temps-on-va-tenir--les-terrasses-de-briancon-depassees-par-

      signalé aussi ici par @cy_altern :
      https://seenthis.net/messages/1013811

    • Je retiens :
      – L’IA qui joue au GO consomme 400KW quand son adversaire humain consomme 20W. Cette IA ne peut que jouer au GO.
      – L’IA qui reconnait les chats a eu besoin de 200K images pour fonctionner, quand un enfant de 2 ans a besoin de 2 images. L’IA ne reconnait pas le chat dans la pénombre, l’enfant si. Cette IA ne peut que reconnaître des chats, et encore avec un taux de réussite imparfait.
      – L’IA Google de conduite automatique ne sait pas faire la différence entre un panneau stop brandi par un humain pour faire une blague, et un vrai panneau stop.
      – Une IA est un outil, comme le marteau pour enfoncer le clou, construit par l’humain pour résoudre un type de problème particulier. L’IA qui résout tous les problèmes n’existe pas, car l’IA telle qu’elle est construite actuellement se fonde sur des données existantes. L’IA ne crée rien, l’IA régurgite.

    • Ce qui manque ici, comme souvent quand il est question d’IA, c’est de savoir comment la problématique s’inscrit sur le long terme dans les processus de production industrielle ; en particulier pour optimiser la productivité dans l’industrie informatique .

      La question à été un peu traitée à la fin de la vidéo, mais de façon absolument non critique et en ne l’abordant pas du tout sous l’angle spécifique des métiers de la filière informatique, ce qui est quand même un comble devant un public d’étudiantEs du secteur (si j’ai bien compris).

      Je n’ai aucun domaine de compétence pour confirmer l’hypothèse mais je me demande quand même si, avec ces techniques, permettant d’automatiser certaines tâches spécialisées, les développeurs (et de façon générale, les « informaticiens ») n’ont pas du soucis à se faire.

      Un des passages les plus intéressants du Capital (Marx), de mon point de vue, explique comment on est passé de l’artisanat à la manufacture puis à la grande industrie, les ouvriers spécialisés, fabricant, dans un premier temps, à la main des pièces mécaniques destinées à être assemblées dans des machines, puis, les « progrès technologiques » aidant, il n’a plus été nécessaire d’avoir recours au savoir-faire manuel de l’artisan (des métiers de l’horlogerie, notamment) pour construire ces pièces mécaniques. Il était devenu plus rentable de construire ce pièces avec des machines car on y passait moins de temps et cela coûtait moins cher ; c’est ce qu’on appelle la productivité. La question du remplacement ne se posait essentiellement alors qu’en ces termes, de la même façon que la problématique essentielle se pose pour Bezos de savoir s’il est plus rentable de conserver des humains travaillant comme des robots dans ses entrepôts, plutôt que de tout automatiser.

      On gagnerait, il me semble, à ne pas oublier ces déterminants économiques dans l’observation du « progrès technologiques », même si la fiabilité, le respect des sources, la régulation, etc. de ChatGPT,évoquées ici ou là, sont des questions importantes.

      On a essayé de construire tout un tas de machines volantes plus délirantes les unes que les autres avant d’arriver à un produire un modèle d’avion opérationnel. On sait déjà, avec le peu de recul de l’ère internet, que tout le monde s’était emballé, il y a quelques années sur des soit-disant faits historiques qui n’étaient que des fétus de paille (les CD, le web 2.0, etc.). De ce point de vue la vidéo est très utile, en analysant de façon plus rationnelle ce qu’est l’IA (improprement nommée). Pour autant, si on comprend mieux ce qu’est l’IA, on en sait pas beaucoup plus sur les conditions réelles, d’un point de vue industriel, de sa mise en place est sur les raisons pour lesquelles ceux qui ont le pouvoir de décision industriel l’emploient aujourd’hui.

      Comme l’évoquait justement Bookchin, nous ne savons pas exactement à quelle étape de l’évolution capitaliste nous en sommes.Nous n’avons à notre disposition que la focale du réel (avec le recul de l’histoire). Mieux vaut éviter d’essayer de lire dans le marc de café avec des discours sensationnels et de nous en tenir qu’aux réalités tangibles : notamment l’incontournable présence des pouvoirs économiques sur le court des choses.

      Néanmoins, il existe peut-être dans le réel d’aujourd’hui des signes qui peuvent nous indiquer de quoi sera fait l’avenir immédiat.

      Ma question : ne risque pas t-on d’avoir un processus similaire, à celui évoqué ci-dessus par Marx (passage de la fabrication manuelle à une production mécanique), dans les métiers informatiques ? Les professionnels de l’informatique seront-ils pas obligés de passer prochainement par des processus entièrement automatisés pour produire plus ou moins de lignes de code, jusqu’à ce que le savoir-faire du développeur et sa présence ne soient plus nécessaire ?

      Il m’est arrivé de poser la question à des professionnels et j’ai été surpris de constater que la réponse s’imposait presque toujours par la négative (après quand même quelques moments d’hésitation). La question est à nouveau posée ici.

      (Merci de ne pas m’allumer si je raconte des conneries ou si la réponse vous semble évidente)

      Des métiers, des savoir-faire, des gestes techniques, des cultures professionnelles disparaissent, parfois très vite et cela prouve que « ce n’est pas nous qui décidons », contrairement à ce qui est énoncé avec beaucoup de naïveté dans la vidéo.

      Les professionnels qui se retrouvent sur le carreau parce que leur métier n’existe plus sont souvent pris de court car ils ont souvent eu tendance à se rassurer dans une attitude bravache en affirmant, devant les signes avant-coureurs de leur éjection du « marché du travail », que « tout cela ne les touchera pas ». Je peux en témoigner car j’ai travaillé comme photograveur dans les années 80.

    • @cabou je suis bien d’accord et il n’y a pas d’illusion à se faire sur la capacité critique et encore moins marxienne, d’un co créateur de Siri. La vidéo a l’avantage pour moi de dissiper les fantasmes de ce que la soi-disant « IA » est ou n’est pas. À partir de là, une fois les fantasmes voire délires mis de côté, on peut discuter de ce dont tu parles toi, et qui est bien évidemment largement plus central.

      À ce propos : https://seenthis.net/messages/1011672

      Comme pour les autres secteurs de l’économie angoissés par la diffusion des outils d’automatisation (c’est à dire à peu près tous, de la creative class aux artisans, ouvriers, médecins, profs, etc), la déclaration de Fran Drescher mérite d’être rectifiée : ce ne sont pas « les machines » qui vont remplacer « les humains » mais le patronat qui, depuis les premiers théorèmes d’Adam Smith, tente éternellement d’accaparer les nouveaux outils de production pour optimiser l’extraction de la force de travail des employé·es dans le but de maximiser les profits réalisés. De la machine à vapeur à l’IA générative, (presque) rien n’a changé sous le soleil rouge de la lutte des classes, excepté le degré d’efficacité et de violence du processus.

      Évidemment ça marche aussi pour les devs, en tout cas pour de nombreux cas, comme pour à peu près n’importe quel métier spécialisé quoi (plus c’est technique spécialisé, plus c’est facile à reproduire avec assez de data aspirée).

      Plus d’IA, ça veut dire toujours plus de surnuméraires, de gens qui ne créent plus de valeur au sens capitaliste, qui ne servent à rien pour cette organisation du monde.

      #valeur #capitalisme #technologie #surnuméraires

    • merci @rastapopoulos. Content de voir qu’il y a au moins un professionnel qui estime que mon hypothèse n’est pas complètement farfelue :-)

      J’avais zappé ce lien vers Arrêt sur images à cause du paywall et je n’y suis pas revenu après !

      La réinterprétation de la révolte luddite qui a lieu depuis une trentaine d’années me semble effectivement très intéressante. On n’y voit plus forcément une bande d’attardés rétrogrades (à peu de chose près ce qu’en disait Marx et ce qu’en disent encore certains marxistes) mais plutôt l’expression d’une résistance à un pouvoir économique, imposant en guise de « progrès technologique inéluctable », la mise en place directe d’un nouveau type de rapport social de production (eh oui !), une dégradation brutale des revenus et des conditions de vie, une remise en cause du mode vie communautaire (ou social), des savoir-faire de métiers et du rapport qualitatif à ce qui est produit (le « travail bien fait »).

      En clair, il s’avère que le luddisme, n’est ni plus ni moins le premier mouvement de lutte sociale contre l’émergence de la révolution industrielle, elle-même, décrite comme l’étape décisive de la mise en place de la société capitaliste dans laquelle nous sommes encore empêtréEs. Lire, notamment, à ce sujet, le livre de Kirkpatrick Sale La révolte des Luddite , récemment réédité.

      Voilà effectivement qui ne pourra qu’être indispensable à savoir aujourd’hui, à un moment où il est non seulement vital de remettre en cause radicalement ce progrès qui nous est imposé mais qu’en plus, comme tu le fais justement remarquer, c’est le travail en tant que tel, et de façon générale, qui demande à être critiqué et pas seulement le savoir-faire et le rapport qualitatif qui y sont incorporés (comme à l’époque luddite).

    • Je ne sais pas si les IA vont remplacer les développeurs mais penser qu’un développeur n’est qu’un pondeur de code qu’on pourrait automatiser en deux coups de cuillère à pot est une erreur. Je vois bien que la plus grosse difficulté aujourd’hui pour beaucoup de développeurs (notamment débutants), ce n’est pas vraiment coder mais plutôt comprendre et analyser les besoins. Cela fait d’ailleurs des années que les développeurs sont très assistés dans leur flux de travail, pour ce qui est de produire du code en tout cas. A la limite on peut se plaindre que le métier est devenu bien plus industriel et moins artisanal, si on veut faire un parallèle avec les luddites.

    • ravi que cela te rappelle visiblement de bons souvenir, @simplicissimus ;-) mais pour ce qui me concerne, justement, autant je porte grand intérêt à l’œuvre de Marx - avec toute la distance critique qui s’impose (et là, je n’évoque même pas sa pratique politique plus que contestable au moment de la première internationale) - autant je n’ai jamais pris cette affaire de « baisse tendancielle du taux de profit » pour quelque chose de bien utile à la théorie révolutionnaire ! Je garde, au contraire, les pires souvenirs de débats furieux sur ce thème de la part de militants empêtrés dans des logiques religieuses défendant des textes sacrés.

      Il n’en reste pas moins que la question du travail à l’heure d’une extrême numérisation et de l’automatisation des moyens de production, quel que soit le secteur d’activité, doit être interrogée aujourd’hui en terme de stratégie de résistance au capitalisme.

      Sans vouloir lancer un quelconque troll je pense que Marx s’est même fourvoyé sur nombre de prédictions globalisantes et autres « lois », sous couvert de scientificité, qui se sont avérées fausses avec le temps ; dont la fameuse baisse tendancielle du taux de profit et l’inéluctabilité de la faillite du capitalisme...

      Voir également à ce sujet, via @colporteur, ce que disait Tronti et qui me semble très pertinent à propos de la prédiction de Marx concernant la prolétarisation croissante et « le passage de l’ouvrier-masse au bourgeois-masse »

      https://seenthis.net/messages/1012626#message1012639

    • Mais pas confond’ le taux de profit, calculable par les prix, et pour des entreprises précises (qui peuvent gonfler ou crasher), et la baisse tendencielle de la valeur qui depuis des décennies est à l’échelle mondiale, globale. Peu importe que telle entreprise ou milliardaire gonfle irrationnellement, ça change rien que sur le système entier ya de moins en moins de valeur (et donc de plus en plus de surnuméraires, entre autre).
      http://www.palim-psao.fr/2015/07/critique-de-la-valeur-et-societe-globale-entretien-avec-anselm-jappe.html

      Cela démontre son caractère intrinsèquement irrationnel, destructeur et auto-destructeur. Le capitaliste particulier doit s’imposer dans la concurrence s’il ne veut pas être écrasé par elle. Il doit donc produire avec le moins de main d’œuvre possible pour vendre à meilleur marché. Cependant, cet intérêt du capitaliste particulier s’oppose absolument à l’intérêt du système capitaliste dans son ensemble, pour lequel la baisse du taux de plus-value, et finalement de la masse de plus-value, représente une menace mortelle, à la longue. Ce qui caractérise la société capitaliste est exactement cette absence d’une véritable instance qui assure l’intérêt général, ne fût-ce que l’intérêt capitaliste. Le capitalisme se base sur la concurrence et l’isolement des acteurs économiques. Là où règne le fétichisme de la marchandise, il ne peut pas exister de conscience au niveau collectif. Toutes les tentatives historiques de « régulation », que ce soit à travers l’État ou à travers des cartels, des accords entre capitalistes, etc., n’ont marché que temporairement. Pendant une longue période, entre les années 1930 et 1970, on parlait souvent de « capitalisme monopoliste » ou « régulé » : l’intérêt général du système capitaliste aurait triomphé sur les intérêts des capitaux particuliers, disait-on, à travers des États très forts et à travers la concentration du capital sous forme de monopoles. Beaucoup de théoriciens marxistes, même parmi les meilleurs, comme l’École de Francfort, Socialisme ou Barbarie ou les situationnistes, y ont vu un stade définitif du capitalisme, marqué par la stabilité. Ensuite, le triomphe du néo-libéralisme a démenti ces pronostics. La concurrence sauvage a fait son retour sur fond de crise, et la dérive autodestructrice du système est devenue visible. Dans l’économie comme dans l’écologie, comme dans le désordre social, chaque acteur contribue, pour assurer sa survie immédiate, à une catastrophe globale qui finalement le frappera avec certitude.

  • Scientists vacuumed animal DNA from the air in a forest and had amazing results • Earth.com
    https://www.earth.com/news/scientists-vacuumed-animal-dna-from-a-forest-and-the-results-are-amazing

    Applications for DNA air sampling

    The use of DNA air sampling extends to various domains. In ecology, it provides a non-invasive tool to study species distribution and diversity. It enables scientists to monitor the presence or absence of specific species, including endangered, invasive, or disease-causing organisms.

    In public health, the technique has enormous potential in disease surveillance. By detecting airborne pathogens or allergens, scientists can monitor the prevalence of diseases, thereby aiding in early warning systems.

    In forensics, DNA air sampling might prove instrumental in crime scene investigations. It could potentially detect the presence of a suspect through skin cells or other biological traces left in the air.

  • Dolphin abandons efforts to bring emulator to Steam
    https://www.gamedeveloper.com/business/dolphin-abandons-efforts-to-bring-emulator-to-steam

    Developer Dolphin has announced that it’s given up on trying to bring its titular emulator to Steam. On its blog, the company gave an update to months long controversy that saw its emulation software delisted from Valve’s storefront after a DMCA takedown. 

    Dolphin was quick to clarify that Nintendo didn’t file the original takedown, as initially believed. It revealed that Valve’s legal team contacted Nintendo, after which a lawyer from Nintendo of America asked Valve to delist the product.

    The only way to avoid delisting, according to the blog, was to come to an agreement with the Japanese developer. But Dolphin acknowledged Nintendo’s often litigious view on emulation and considered “Valve’s requirement for us to get approval from Nintendo for a Steam release to be impossible.”

    “Considering the strong legal wording at the start of the document and the citation of DMCA law, we took the letter very seriously,” wrote Dolphin. It added that its original statement post-takedown was “fairly frantic” and “as we understood it at the time, which turned out to only fuel the fires of speculation.”

    #jeux_vidéo #jeu_vidéo #émulation #émulateur_dolphin #nintendo #valve #dmca #droit_d_auteur #copyright #piratage

  • Des nouvelles de l’union des droites : au Blanc-Mesnil (93) le Sénateur-Maire Thierry Meigne fait régner un climat de terreur politique
    https://threadreaderapp.com/thread/1679231229810425858.html

    Le maire et les Tilleuls : tension et répulsion
    https://www.bondyblog.fr/politique/municipales2020/le-maire-et-les-tilleuls-tension-et-repulsion
    Pourquoi les banlieues rouges passent à droite. Le Blanc-Mesnil, un cas d’école, Samir Hadj Belgacem

    Thierry Meignen
    https://fr.wikipedia.org/wiki/Thierry_Meignen

    La nouvelle équipe municipale supprime les subventions du Forum culturel, salle de spectacle conventionnée inaugurée en 1993 et réputée l’une des grandes réussites de l’acte II de la décentralisation, afin de marquer une rupture avec la politique culturelle des précédentes administrations3.

    En juillet 2014, l’auteur de bande dessinée Remedium lance Titi Gnangnan, une bande dessinée publiée sous forme de daily strip sur Tumblr. Le personnage principal, maire nouvellement élu de la commune fictive d’Alba-Villa, est inspiré Thierry Meignen, qui menace de porter plainte contre l’auteur4 puis résilie son bail dans un logement conventionné de la commune, mais en octobre 2016 le tribunal administratif de Montreuil annule cette décision pour « détournement de pouvoir » de l’édile et condamne la municipalité à verser 1 000 € au dessinateur.

    Le maire a quitté les Républicains pour rejoindre Soyons libres créé par la présidente du conseil régional Valérie Pécresse.

    #émeutes #IDF #porcherie #banlieue_rouge #gauche #PCF_chauvin #droite #épuration #union_des_droites #Reconquête #cités #pauvres #association #culture #syndicalisme #privatisation #spéculation_immobilière #Valérie_Pécresse

  • Why plastic ? - Le #mensonge du #recyclage

    Qu’advient-il réellement de nos déchets plastiques une fois que nous les avons mis dans le bac de recyclage ?
    Alors que la crise de la pollution plastique est devenue un scandale international, les plus grandes marques de biens de consommation de la planète ont déclaré avoir une solution : le recyclage. Mais nos emballages plastiques ont toujours plus de chances de finir brûlés ou jetés que recyclés.

    https://pages.rts.ch/docs/doc/12884036-why-plastic-le-mensonge-du-recyclage.html
    #film #documentaire #film_documentaire
    #Bulgarie #incinération #emballage #décharges_sauvages #déchets_plastique #Grüne_Punkte #économie_circulaire #tri #décyclage #électricité #valorisation_thermique_des_déchets #Chine #marché_noir #Turquie #crime_organisé #corruption #combustible #Terracycle #Tom_Szaky #éco-blanchissement #industrie_pétrochimique #Alliance_to_end_plastic_waste

  • Une voiture pilotée à distance percute et blesse deux agents du CNRS à Valenciennes Catherine Bouteille - La Noix du Nord

    L’accident est survenu ce jeudi midi au laboratoire LAMIH, situé sur le campus du Mont-Houy de l’université de Valenciennes, lors d’une démonstration. En redémarrant de manière inopinée, la voiture électrique téléguidée a percuté trois agents du CNRS.

    Une fois les blessés pris en charge par les pompiers et les urgentistes du SMUR, les gendarmes de la compagnie de Valenciennes ont pris le relais. PHOTO « LA VOIX »

    Ce jeudi en fin de matinée, les pompiers, le SMUR et les gendarmes de la compagnie de Valenciennes ont convergé vers le campus du Mont-Houy de l’Université Polytechnique Hauts-de-France. Plus précisément au pied du bâtiment Jonas où se trouve le Laboratoire Automatique, Mécanique, Informatique Humaines (LAMIH). Une unité mixte de recherche entre l’université de Valenciennes et le Centre national de la recherche scientifique (CNRS). Depuis 2021, un programme de recherches pour améliorer l’autonomie des voitures hybrides ou électriques y recourt aussi à un robot pour conduire le véhicule.

    C’est « au cours d’une démonstration à destination de personnels administratifs du CNRS » qu’un accident s’est produit vers 11 h 15. Un véhicule électrique piloté à distance a « redémarré de manière inopinée, percutant trois agents », précise l’université dans un communiqué.

    Des nouvelles rassurantes des blessés  
    L’un des agents a été plus sévèrement touché que les autres : il a été transporté jusqu’aux urgences de Valenciennes dans une ambulance médicalisée par le SMUR tandis que le second semblait plus légèrement blessé. La troisième victime, elle, n’a pas nécessité d’hospitalisation.

    Après le départ des secouristes, les gendarmes poursuivaient, de leur côté, leurs constatations afin de mieux déterminer les circonstances de cet accident pour le moins inhabituel. « Les nouvelles reçues sur leur état de santé en début d’après-midi étaient toutefois rassurantes », a fait savoir l’université ultérieurement.

    #université #campus #valenciennes #robot #voitures_hybrides #LAMIH #CNRS #mobilité #accident

    Source : https://www.lavoixdunord.fr/1343738/article/2023-06-22/une-voiture-intelligente-percute-et-blesse-deux-personnes-la-fac-de-val

  • #Lyon-Turin : retour sur l’opposition française au projet de nouvelle ligne ferroviaire

    En Savoie, des militants écologistes des Soulèvements de la Terre se sont introduits le 29 mai 2023 sur l’un des chantiers de la nouvelle ligne ferroviaire Lyon-Turin. Une banderole « La montagne se soulève » a été déployée pour appeler au week-end de mobilisation franco-italienne contre ce projet, organisé les 17 et 18 juin 2023 en Maurienne.

    Imaginé dans les années 1980, le projet de nouvelle ligne ferroviaire Lyon-Turin a connu depuis de nombreux atermoiements, notamment en ce qui concerne le tracé entre l’agglomération lyonnaise et Saint-Jean-de-Maurienne. Dix ans après la déclaration d’utilité publique (DUP) de 2013, les décisions concernant les 140 km de nouvelles voies d’accès français au tunnel transfrontalier de 57,5 km n’ont toujours pas été prises : ni programmation, ni financement, ni acquisition foncière.

    Les premiers travaux préparatoires du tunnel ont pourtant débuté dès 2002 et sa mise en service est prévue pour 2032. Ce dernier est pris en charge par un consortium d’entreprises franco-italiennes nommé Tunnel Euralpin Lyon Turin (TELT), un promoteur public appartenant à 50 % à l’État français et à 50 % aux chemins de fer italiens. D’une longueur totale de 271 km, le coût de cette nouvelle ligne ferroviaire Lyon-Turin est désormais estimé à 26 milliards d’euros au lieu des 8,6 initialement prévus.
    Projet clivant et avenir incertain

    Pour ses promoteurs, elle est présentée comme une infrastructure de transport utile à la transition écologique. Selon eux, elle permettrait à terme de désengorger les vallées alpines du trafic des poids lourds en favorisant le report modal de la route vers le rail. À l’inverse, ce projet est exposé par ses opposants comme pharaonique, inutile et destructeur de l’environnement. Ils argumentent que la ligne ferroviaire existante entre Lyon et Turin et actuellement sous-utilisée permettrait, une fois rénovée, de réduire le transport de fret par camion.

    Ils défendent la nécessité de privilégier l’existant et ne pas attendre des années pour le report modal des marchandises vers le rail. Les défenseurs du nouveau projet jugent quant à eux la ligne existante comme obsolète et inadaptée. En toile de fond de ce débat, les prévisions de trafic autour des flux de marchandises transitant par la Savoie : sous-estimés pour les uns, sur-estimés pour les autres.

    Le 24 février dernier, le rapport du Comité d’orientation des infrastructures (COI) a rebattu les cartes. Il propose en effet de repousser la construction de nouvelles voies d’accès au tunnel transfrontalier à 2045 et donner la première place à la modernisation de la ligne existante.

    Le scénario choisi par la Première ministre prévoit alors le calendrier suivant : études pour de nouveaux accès au tunnel au quinquennat 2028-2032, début de réalisation à partir de 2038, et une livraison au plus tôt vers 2045… soit, en cas de respect du calendrier annoncé par TELT, 13 ans après la mise en service du tunnel. Se profile donc la perspective d’un nouveau tunnel sans nouvelles voies d’accès : un scénario qui ne satisfait ni les défenseurs ni les opposants au projet.

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    Le 12 juin, nouveau rebondissement. Le ministre des Transports annonce 3 milliards d’euros de crédits pour les voies d’accès du tunnel transfrontalier dès les projets de loi de finances 2023 et 2024. Le gouvernement valide également le financement de l’avant-projet détaillé qui doit fixer le tracé, soit environ 150 millions d’euros.
    L’affirmation d’une opposition française

    C’est dans ce contexte que va se dérouler la mobilisation des Soulèvements de la Terre, les 17 et 18 juin 2023. Elle a pour objectif de donner un écho national aux revendications portées par les opposants : l’arrêt immédiat du chantier du tunnel transfrontalier et l’abandon du projet de nouvelle ligne ferroviaire Lyon-Turin.

    Outre les collectifs d’habitants, cette opposition coalise désormais des syndicats agricoles (Confédération paysanne) et ferroviaires (Sud Rail), des associations locales (Vivre et agir en Maurienne, Grésivaudan nord environnement) et écologistes (Attac, Extinction Rébellion, Les Amis de la Terre, Alternatiba, Cipra), des organisations politiques (La France Insoumise – LFI, Europe Ecologie Les Verts – EELV, Nouveau parti anticaptialiste – NPA) et le collectif No TAV Savoie.

    Cela n’a pas toujours été le cas : le projet est longtemps apparu consensuel en France, malgré une forte opposition en Italie depuis le début des années 1990 via le mouvement No TAV.

    2012 marque une étape importante dans l’opposition française alors disparate et peu médiatisée. Une enquête publique organisée cette année-là dans le cadre de la procédure de DUP permet une résurgence des oppositions, leurs affirmations et leur coalition au sein d’un nouvel agencement organisationnel. Ce dernier gagne rapidement en efficacité, occupe le champ médiatique et se connecte avec d’autres contestations en France en rejoignant le réseau des Grands projets inutiles et imposés (GP2I), dans le sillage de Notre-Dame-des-Landes.
    Basculement des ex-promoteurs du projet

    Cette publicisation nouvelle participe à une reproblématisation et politisation autour de la nouvelle ligne ferroviaire Lyon-Turin. Des défenseurs du projet basculent alors dans le camp des opposants, provoquant un élargissement de la mobilisation.

    EELV, pendant 20 ans favorable au projet, est un exemple saillant de cette évolution. Alors qu’il le jugeait incontournable et sans alternative, quand bien même la contestation gagnait en intensité en Italie, la « Convention des écologistes sur les traversées alpines » en 2012 signe son changement de positionnement.

    Ce nouveau positionnement peut se résumer ainsi : la réduction du transport routier ne dépend pas de la création de nouvelles infrastructures ferroviaires mais de la transition vers un modèle de développement moins générateur de flux de marchandises, la rénovation et l’amélioration des infrastructures ferroviaires existantes étant prioritaires pour gérer les flux restants.

    Une position aujourd’hui défendue par les maires de Grenoble et de Lyon, mais aussi par des députés européens et nationaux EEV et LFI. Pour autant, la mobilisation française reste jusqu’à aujourd’hui éloignée des répertoires d’action employés dans la vallée de Suse.
    Effacement de la montagne

    Ce projet de nouvelle ligne ferroviaire Lyon-Turin révèle aussi et avant tout une lecture ancienne du territoire européen à travers les enjeux de mobilité. Au même titre que les percements des tunnels ferroviaires, routiers puis autoroutiers depuis la fin du XIXe siècle à travers les Alpes, il contribue à une forme d’aplanissement de la montagne pour en rendre les passages plus aisés et ainsi permettre des flux massifs et rapides.

    Cette norme de circulation des humains et des marchandises est révélatrice d’une vision du monde particulière. L’historienne Anne-Marie Granet-Abisset la résume ainsi :

    « Elle correspond aux modèles édictés par les aménageurs (politiques et techniques) qui travaillent dans les capitales européennes, désirant imposer leur vision aux territoires qu’ils gèrent, en dépit des sommes considérables mobilisées pour ce faire. Toute opposition ne peut être entendue, présentée alors comme de la désinformation ou de la mauvaise foi . »

    Ces enjeux informationnels et communicationnels demeurent omniprésents dans le débat public entre promoteurs et opposants au projet. Ils donnent lieu à de nombreuses passes d’armes, chacun s’accusant mutuellement de désinformation ; sans oublier les journalistes et leur travail d’enquête.
    Ressource en eau

    Depuis l’été 2022, c’est la question de la ressource en eau et des impacts du chantier du tunnel transfrontalier sur celle-ci qui cristallise les tensions. Elle sera d’ailleurs au cœur de la mobilisation des 17 et 18 juin 2023 en Maurienne, permettant ainsi une articulation avec les autres mobilisations impulsées ces derniers mois par les Soulèvements de la Terre. Une controverse sur le tarissement des sources qui existe depuis vingt ans en Maurienne.

    Plus largement, le débat sur l’utilité et la pertinence de la nouvelle ligne ferroviaire Lyon-Turin révèle le paradoxe auquel sont soumises les hautes vallées alpines. Dans un contexte d’injonction à la transition écologique, ce paradoxe fait figure d’une contrainte double et opposée comme le résume l’historienne Anne-Marie Granet-Abisset :

    « Des territoires qui doivent être traversés aisément et rapidement en fonction des critères de l’économie des transports, un lobby puissant à l’échelle européenne ; des territoires qui puissent apparaître comme préservés, inscrits dans une autre conception du temps, celle de la lenteur des cols et des refuges, en même temps qu’ils doivent être facilement accessibles à partir des métropoles . »

    https://theconversation.com/lyon-turin-retour-sur-lopposition-francaise-au-projet-de-nouvelle-l
    #no-tav #no_tav #val_de_Suse #Italie #France #Alpes #transports #transports_ferroviaires #résistance #Soulèvements_de_la_Terre #ligne_ferroviaire #mobilisation #Maurienne #Tunnel_Euralpin_Lyon_Turin (#TELT) #coût #infrastructure_de_transport #poids_lourds #Savoie #Comité_d’orientation_des_infrastructures (#COI) #chantier #Grands_projets_inutiles_et_imposés (#GP2I) #vallée_de_suse #mobilité #eau #transition_écologique

  • Création d’un comité de lutte val de drôme
    https://ricochets.cc/Creation-d-un-comite-de-lutte-val-de-drome.html

    A toutes celles et ceux qui ne se satisfont plus de l’existant et veulent agir collectivement ! Ne battons plus en retraite ! Partout en France des comités de lutte se créent, dans le Val de Drôme également. Le comité de lutte du Val de Drôme, qu’est-ce que c’est ? C’est un espace d’organisation et d’action. Point d’appui aux luttes en cours et à celles à venir, force d’initiatives, il vise à mutualiser les moyens matériels et humains en réunissant différentes sensibilités. Nous visons à faire vivre des (...) #Les_Articles

    / #Vallée_de_la_Drôme

  • La Tunisia rifiuta i respingimenti collettivi e le deportazioni di migranti irregolari proposti da #Meloni e #Piantedosi

    1.Il risultato del vertice di Tunisi era già chiaro prima che Giorgia Meloni, la presidente della Commissione europea Von del Leyen ed il premier olandese Mark Rutte incontrassero il presidente Saied. Con una operazione di immagine inaspettata, il giorno prima del vertice, l’uomo che aveva lanciato mesi fa la caccia ai migranti subsahariani presenti nel suo paese, parlando addirittura del rischio di sostituzione etnica, si recava a Sfax, nella regione dalla quale si verifica la maggior parte delle partenze verso l’Italia, e come riferisce Il Tempo, parlando proprio con un gruppo di loro, dichiarava : “ Siamo tutti africani. Questi migranti sono nostri fratelli e li rispettiamo, ma la situazione in Tunisia non è normale e dobbiamo porre fine a questo problema. Rifiutiamo qualsiasi trattamento disumano di questi migranti che sono vittime di un ordine mondiale che li considera come ‘numeri’ e non come esseri umani. L’intervento su questo fenomeno deve essere umanitario e collettivo, nel quadro della legge”. Lo stesso Saied, secondo quanto riportato dalla Reuters, il giorno precedente la visita, aggiungeva che di fronte alla crescente mobilità migratoria “La soluzione non sarà a spese della Tunisia… non possiamo essere una guardia per i loro paesi”.

    Alla fine del vertice non c’è stata una vera e propria conferenza stampa congiunta, ma è stata fatta trapelare una Dichiarazione sottoscritta anche da Saied che stabilisce una sorta di roadmap verso un futuro Memorandum d’intesa (MoU) tra la Tunisia e l’Unione europea, che si dovrebbe stipulare entro il prossimo Consiglio europeo dei capi di governo che si terrà a fine giugno. L’Ue e la Tunisia hanno dato incarico, rispettivamente, al commissario europeo per l’Allargamento Oliver Varheliy e al ministro degli Esteri tunisino Nabil Ammar di stilare un memorandum d’intesa (Memorandum of Understanding, MoU) sul pacchetto di partnership allargata, che dovrebbe essere sottoscritto dalla Tunisia e dall’Ue “prima di fine giugno”. Una soluzione che sa tanto di rinvio, nella quale certamente non si trovano le richieste che il governo Meloni aveva cercato di fare passare, già attraverso il Consiglio dei ministri dell’Unione europea di Lussemburgo, restando poi costretto ad accettare una soluzione di compromesso, che non prevedeva affatto -come invece era stato richiesto- i respingimenti collettivi in alto mare, delegati alla Guardia costiera tunisina, e le deportazioni in Tunisia di migranti irregolari o denegati, dopo una richiesta di asilo, giunti in Italia dopo un transito temporaneo da quel paese.

    Secondo Piantedosi, “la Tunisia è già considerata un Paese terzo sicuro da provvedimenti e atti ufficiali italiani” e “La Farnesina ha già una lista formale di Stati terzi definiti sicuri. Sia in Africa, penso al Senegal, così come nei Balcani”. Bene che nella sua conferenza stampa a Catania, censurata dai media, non abbia citato la Libia, dopo avere chiesto la collaborazione del generale Haftar per bloccare le partenze verso l’Italia. Ma rimane tutto da dimostrare che la Tunisia sia un “paese terzo sicuro”, soprattutto per i cittadini non tunisini, generalmente provenienti dall’area subsahariana, perchè il richiamo strumentale che fa il ministro dell’interno alla lista di “paesi terzi sicuri” approvata con decreti ministeriali ed ampliata nel corso del tempo, riguarda i cittadini tunisini che chiedono asilo in Italia, e che comunque possono fare valere una richiesta di protezione internazionale, non certo i migranti provenienti da altri paesi e transitati in Tunisia, che si vorrebbero deportare senza troppe formalità, dopo procedure rapide in frontiera. Una possibilità che ancora non è concessa allo stato della legislazione nazionale e del quadro normativo europeo (in particolare dalla Direttiva Rimpatri 2008/115/CE), che si dovrebbe comunque modificare prima della entrata in vigore, ammsso che ci si arrivi prima delle prossime elezioni europee, del Patto sulla migrazione e l’asilo recentemente approvato a Lussemburgo.

    La Presidente della Comissione Europea, nella brevissima conferenza stampa tenuta dopo la chiusura del vertice di Tunisi ha precisato i punti essenziali sui quali si dovrebbe trovare un accordo tra Bruxelles e Tunisi, Fondo monetario internazionale permettendo. Von der Leyen ha confermato che la Ue è pronta a mobilitare 900 milioni di euro di assistenza finanziaria per Tunisi. I tempi però non saranno brevi. “La Commissione europea valuterà l’assistenza macrofinanziaria non appena sarà trovato l’accordo (con il Fmi) necessario. E siamo pronti a mobilitare fino a 900 milioni di euro per questo scopo di assistenza macrofinanziaria. Come passo immediato, potremmo fornire subito un ulteriore sostegno al bilancio fino a 150 milioni di euro”. Come riferisce Adnkronos, “Tunisi dovrebbe prima trovare l’intesa con il Fondo Monetario Internazionale su un pacchetto di aiuti, a fronte del quale però il Fondo chiede riforme, che risulterebbero impopolari e che la leadership tunisina esita pertanto ad accollarsi”. Secondo Adnkronos, L’Ue intende “ripristinare il Consiglio di associazione” tra Ue e Tunisia e l’Alto Rappresentante Josep Borrell “è pronto ad organizzare il prossimo incontro entro la fine dell’anno”, ha sottolineato la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen al termine dell’incontro. L’esecutivo comunitario è pronto ad aiutare la Tunisia con un pacchetto basato su cinque pilastri, il principale dei quali è costituito da aiuti finanziari per oltre un miliardo di euro. Il primo è lo sviluppo economico. “Sosterremo la Tunisia, per rafforzarne l’economia. La Commissione Europea sta valutando un’assistenza macrofinanziaria, non appena sarà trovato l’accordo necessario. Siamo pronti a mobilitare fino a 900 milioni di euro per questo scopo. E, come passo immediato, potremmo fornire altri 150 milioni di euro di sostegno al bilancio“. “Il secondo pilastro – continua von der Leyen – sono gli investimenti e il commercio. L’Ue è il principale investitore straniero e partner commerciale della Tunisia. E noi proponiamo di andare oltre: vorremmo modernizzare il nostro attuale accordo commerciale. C’è molto potenziale per creare posti di lavoro e stimolare la crescita qui in Tunisia. Un focus importante per i nostri investimenti è il settore digitale. Abbiamo già una buona base“. Sempre secondo quanto riferito da Adnkronos, “La Commissione Europea sta lavorando ad un memorandum di intesa con la Tunisia nelle energie rinnovabili, campo nel quale il Paese nordafricano ha un potenziale “enorme”, mentre l’Ue ne ha sempre più bisogno, per alimentare il processo di elettrificazione e decarbonizzazione della sua economia, spiega la presidente. L’energia è “il terzo pilastro” del piano in cinque punti che von der Leyen ha delineato al termine della riunione”.

    Quest’anno l’Ue “fornirà alla Tunisia 100 milioni di euro per la gestione delle frontiere, ma anche per la ricerca e il soccorso, la lotta ai trafficanti e il rimpatrio”, annuncia ancora la presidente. Il controllo dei flussi migratori è il quarto pilastro del programma che von der Leyen ha delineato per i rapporti bilaterali tra Ue e Tunisia. Per la presidente della Commissione europea, l’obiettivo “è sostenere una politica migratoria olistica radicata nel rispetto dei diritti umani. Entrambi abbiamo interesse a spezzare il cinico modello di business dei trafficanti di esseri umani. È orribile vedere come mettono deliberatamente a rischio vite umane, a scopo di lucro. Lavoreremo insieme su un partenariato operativo contro il traffico di esseri umani e sosterremo la Tunisia nella gestione delle frontiere”.

    Nel pacchetto di proposte comprese nel futuro Memorandum d’intesa UE-Tunisia, che si dovrebbe sottoscrivere entro la fine di giugno, rientrerebbero anche una serie di aiuti economici all’economia tunisina, in particolare nei settori dell’agricoltura e del turismo, e nuove possibilità di mobilità studentesca, con programmi tipo Erasmus. Nulla di nuovo, ed anche una dotazione finanziaria ridicola, se si pensa ai 200 milioni di euro stanziati solo dall’Italia con il Memorandum d’intesa con la Tunisia siglato da Di Maio per il triennio 2021-2023. Semmai sarebbe interessante sapere come stati spesi quei soldi, visti i risultati sulla situazione dei migranti in transito in Tunisia, nelle politiche di controllo delle frontiere e nei soccorsi in mare.

    2. Non è affatto vero dunque che sia passata la linea dell’Italia per due ragioni fondamentali. L’Italia chiedeva una erogazione immediata degli aiuti europei alla Tunisia e una cooperazione operativa nei respingimenti collettivi in mare ed anche la possibilità di riammissione in Tunisia di cittadini di paesi terzi ( non tunisini) giunti irregolarmente nel nostro territorio, o di cui fosse stata respinta la domanda di protezione nelle procedure in frontiera. Queste richieste della Meloni (e di Piantedosi) sono state respinte, e non rientrano nel Memorandum d’intesa che entro la fine del mese Saied dovrebbe sottoscrivere con l’Unione Europea (il condizionale è d’obbligo).

    Gli aiuti europei sono subordinati all’accettazione da parte di Saied delle condizioni poste dal Fondo Monetario internazionale per l’erogazione del prestito fin qui rifiutato dal presidente. Un prestito che sarebbe condizionato al rispetto di paramentri monetari e di abbattimento degli aiuti pubblici, e forse anche al rispetto dei diritti umani, che in questo momento non sono accettati dal presidente tunisino, ormai di fatto un vero e proprio autocrate. Con il quale la Meloni, ormai lanciata verso il presidenzialismo all’italiana, si riconosce più di quanto non facciano esponenti politici di altri paesi europei. Al punto che persino Mark Rutte, che nel suo paese ha attuato politiche migratorie ancora più drastiche di quelle propagandate dal governo italiano, richiama, alla fine del suo intervento, l’esigenza del rispetto dei diritti umani delle persone migranti, come perno del nuovo Memorandum d’intesa tra la Tunisia e l’Unione Europea.

    Per un altro verso, la “lnea dell’Italia”, dunque la politica dei “respingimenti su delega”, che si vorrebbe replicare con la Tunisia, sul modello di quanto avviene con le autorità libiche, delegando a motovedette, donate dal nostro paese e coordinate anche dall’agenzia europea Frontex, i respingimenti collettivi in acque internazionali, non sembra di facile applicazione per evidenti ragioni geografiche e geopolitiche.

    La Tunisia non e’ la Libia (o la Turchia), le autorità centrali hanno uno scarso controllo dei punti di partenza dei migranti e la corruzione è molto diffusa. Sembra molto probabile che le partenze verso l’Italia continueranno ad aumentare in modo esponenziale nelle prossime settimane. Aumentare le dotazioni di mezi e i supporti operativi in favore delle motovedette tunisine si è già dimostrata una politica priva di efficacia e semmai foriera di stragi in mare. Sulle stragi in mare neppure una parola dopo il vertice di Tunisi. Non è vero che la diminuzione delle partenze dalla Tunisia nel mese di maggio sia conseguenza della politica migratoria del governo Meloni, risultando soltanto una conseguenza di un mese caratterizzato da condizioni meteo particolarmente sfavorevoli, come ha riconosciuto anchel’OIM e l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR), e come tutti hanno potuto constatare anche in Italia. Vedremo con il ritorno dell’estate se le partenze dalla Tunisia registreranno ancora un calo.

    La zona Sar (di ricerca e salvataggio) tunisina si limita alle acque territoriali (12 miglia dalla costa) ed i controlli affidati alle motovedette tunisine non si possono svolgere oltre. Difficile che le motovedette tunisine si spingano nella zona Sar “libica” o in quella maltese. Continueranno ad intercettare a convenienza, quando i trafficanti non pagheranno abbastanza per corrompere, ed i loro interventi, condotti spesso con modalità di avvicinamento che mettono a rischio la vita dei naufraghi, non ridurranno di certo gli arrivi sulle coste italiane di cittadini tunisini e subsahariani. Per il resto il futuribile Memorandum d’intesa Tunisia-Libia, che ancora e’ una scatola vuota, e che l’Unione europea vincola al rispetto dei diritti umani, dunque anche agli obblighi internazionali di soccorso in mare, non può incidere in tempi brevi sui rapporti bilaterali tra Roma e Tunisi, che sono disciplinati da accordi bilaterali che si dovrebbero modificare successivamente, sempre in conformità con la legislazione ( e la Costituzione) italiana e la normativa euro-unitaria. Dunque non saranno ogettto di nuovi accordi a livello europeo con la Tunisia i respingimenti collettivi vietati dall’art.19 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e non si potranno realizzare, come vorrebero la Meloni e Piantedosi, deportazioni in Tunisia di cittadini di altri paesi terzi, peraltro esclusi dai criteri di “connessione” richiesti nella “proposta legislativa” adottata dal Consiglio dei ministri dell’interno di Lussemburgo. E si dovranno monitorare anche i respingimenti di cittadini tunisini in Tunisia, dopo la svolta autoritaria impressa dall’autocrate Saied che ha fatto arrestare giornalisti e sindacalisti, oltre che numerosi membri dei partiti di opposizione. In ogni caso non si dovranno dimenticare le condanne ricevute dall’Italia da parte della Corte europea dei diritti dell’Uomo, proprio per i respingimenti differiti effettuati ai danni di cittadini tunisini (caso Khlaifia). Faranno morire ancora centinaia di innocenti. Dare la colpa ai trafficanti non salva dal fallimento politico e morale nè l’Unione Europea nè il governo Meloni.

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    Saied, inaccettabili centri migranti in Tunisia

    (ANSA) – TUNISI, 11 GIU – Il presidente tunisino Kais Saied, nel suo incontro con la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, della presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen e del primo ministro olandese Mark Rutte “ha fatto notare che la soluzione che alcuni sostengono segretamente di ospitare in Tunisia migranti in cambio di somme di denaro è disumana e inaccettabile, così come le soluzioni di sicurezza si sono dimostrate inadeguate, anzi hanno aumentato le sofferenze delle vittime della povertà e delle guerre”. Lo si legge in un comunicato della presidenza tunisina, pubblicato al termine dell”incontro. (ANSA).

    2023-06-11 18:59

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    ANSA/Meloni e l”Ue incassano prima intesa ma Saied alza posta

    (dell”inviato Michele Esposito)

    (ANSA) – TUNISI, 11 GIU – Una visita lampo, una dichiarazione congiunta che potrebbe portare ad un cruciale memorandum d”intesa, un orizzonte ancora confuso dal continuo alzare la posta di Kais Saied. Il vertice tra Ursula von der Leyen, Giorgia Meloni, Mark Rutte e il presidente tunisino potrebbe segnare un prima e un dopo nei rapporti tra l”Ue e il Paese nordafricano. Al tavolo del palazzo presidenziale di Cartagine, per oltre due ore, i quattro hanno affrontato dossier a dir poco spigolosi, dalla gestione dei migranti alla necessità di un”intesa tra Tunisia e Fmi. La luce verde sulla prima intesa alla fine si è accesa. “E” un passo importante, dobbiamo arrivare al Consiglio europeo con un memorandum già siglato tra l”Ue e la Tunisia”, è l”obiettivo fissato da Meloni, che ha rilanciato il ruolo di prima linea dell”Italia nei rapporti tra l”Europa e la sponda Sud del Mediterraneo. Nel Palazzo voluto dal padre della patria tunisino, Habib Bourguiba, von der Leyen, Meloni e Rutte sono arrivati con l”ideale divisa del Team Europe. I tre, di fatto, hanno rappresentato l”intera Unione sin da quando, a margine del summit in Moldavia della scorsa settimana, è nata l”idea di accelerare sul dossier tunisino. I giorni successivi sono stati segnati da frenetici contatti tra gli sherpa. Il compromesso, iniziale e generico, alla fine è arrivato. L”Ue sborserà sin da subito, e senza attendere il Fondo Monetario Internazionale, 150 milioni di euro a sostegno del bilancio tunisino. E” un primo passo ma di certo non sufficiente per Saied. Sulla seconda parte del sostegno europeo, il pacchetto di assistenza macro-finanziaria da 900 milioni, l”Ue tuttavia non ha cambiato idea: sarà sborsato solo dopo l”intesa tra Saied e l”Fmi. Intesa che appare ancora lontana: poco dopo la partenza dei tre leader europei, la presidenza tunisina ha infatti invitato il Fondo a “rivedere le sue ricette” ed evitare “diktat”, sottolineando che gli aiuti da 1,9 miliardi, sotto forma di prestiti, “non porteranno benefici” alla popolazione. La difficoltà di mettere il punto finale al negoziato tra Ue e Tunisia sta anche in un altro dato: la stessa posizione europea è frutto di un compromesso tra gli Stati membri. Non è un caso, ad esempio, che sia stato Rutte, portatore delle istanze dei Paesi del Nord, a spiegare come la cooperazione tra Ue e Tunisia sulla gestione dei flussi irregolari debba avvenire “in accordo con i diritti umani”. La dichiarazione congiunta, in via generica, fa riferimento ai principali nodi legati ai migranti: le morti in mare, la necessità di aumentare i rimpatri dell”Europa degli irregolari, la lotta ai trafficanti. Von der Leyen ha messo sul piatto sovvenzioni da 100 milioni di euro per sostenere i tunisini nel contrasto al traffico illegale e nelle attività di search & rescue. Meloni, dal canto suo, ha annunciato “una conferenza su migrazione e sviluppo in Italia, che sarà un ulteriore tappa nel percorso del partenariato” tra l”Ue e Tunisi. Saied ha assicurato il suo impegno sui diritti umani e nella chiusura delle frontiere sud del Paese, ma sui rimpatri la porta è aperta solo a quella per i tunisini irregolari. L”ipotesi che la Tunisia, come Paese di transito sicuro, ospiti anche i migranti subsahariani, continua a non decollare. “L”idea, che alcuni sostengono segretamente, che il Paese ospiti centri per i migranti in campo di somme di danaro è disumana e inaccettabile”, ha chiuso Saied. La strada, insomma, rimane in salita. La strategia dell”Ue resta quella adottata sin dalla prima visita di un suo commissario – Paolo Gentiloni – lo scorso aprile: quella di catturare il sì di Saied con una partnership economica ed energetica globale e di lungo periodo, in cui la migrazione non è altro che un ingranaggio. Ma Tunisi, su diritti e rule of law, deve fare di più. “L”Ue vuole investire nella stabilità tunisina. Le difficoltà del suo percorso democratico si possono superare”, ha detto von der Leyen. Delineando la mano tesa dell”Europa ma anche la linea rossa entro la quale va inquadrata la nuova partnership. (ANSA).

    2023-06-11 19:55

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    Statement 11 June 2023 Tunis
    The European Union and Tunisia agreed to work together on a comprehensive partnership package (https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/en/statement_23_3202)

    European Commission – Statement
    The European Union and Tunisia agreed to work together on a comprehensive partnership package
    Tunis, 11 June 2023

    Building on our shared history, geographic proximity, and strong relationship, we have agreed towork together on a comprehensive partnership package, strengthening the ties that bind us in a mutually beneficial manner.
    We believe there is enormous potential to generate tangible benefits for the EU and Tunisia. The comprehensive partnership would cover the following areas:

    - Strengthening economic and trade ties ,

    - A sustainable and competitive energy partnership

    - Migration

    - People-to-people contacts

    The EU and Tunisia share strategic priorities and in all these areas, we will gain from working together more closely.
    Our economic cooperation will boost growth and prosperity through stronger trade and investment links, promoting opportunities for businesses including small and medium sized enterprises. Economic support, including in the form of Macro Financial Assistance, will also be considered. Our energy partnership will assist Tunisia with the green energy transition, bringing down costs and creating the framework for trade in renewables and integration with the EU market.
    As part of our joint work on migration, the fight against irregular migration to and from Tunisia and the prevention of loss of life at sea, is a common priority, including fighting against smugglers and human traffickers, strengthening border management, registration and return in full respect of human rights.
    People-to-people contacts are central to our partnership and this strand of work will encompass stronger cooperation on research, education, and culture, as well as developing Talent Partnerships, opening up new opportunities for skills development and mobility, especially for youth.

    Enhanced political and policy dialogue within the EU-Tunisia Association Council before the end of the year will offer an important opportunity to reinvigorate political and institutional ties, with the aim of addressing common international challenges together and preserving the rules-based order.
    We have tasked the Minister of Foreign Affairs, Migration and Tunisians Abroad and the
    Commissioner for Neighbourhood and Enlargement to work out a Memorandum of Understanding on the comprehensive partnership package, to be endorsed by Tunisia and the European Union before the end of June.

    https://www.a-dif.org/2023/06/11/la-tunisia-rifiuta-i-respingimenti-collettivi-e-le-deportazioni-di-migranti-i

    #Tunisie #externalisation #asile #migrations #réfugiés #Memorandum_of_Understanding (#MoU) #Italie #frontières #externalisation_des_frontières #réadmission #accord_de_réadmission #refoulements_collectifs #pays_tiers_sûr #développement #aide_au_développement #conditionnalité_de_l'aide #énergie #énergies_renouvelables

    #modèle_tunisien

    • EU offers Tunisia over €1bn to stem migration

      Brussels proposes €255mn in grants for Tunis, linking longer-term loans of up to €900mn to reforms

      The EU has offered Tunisia more than €1bn in a bid to help the North African nation overcome a deepening economic crisis that has prompted thousands of migrants to cross the Mediterranean Sea to Italy.

      The financial assistance package was announced on Sunday in Tunis after Ursula von der Leyen, accompanied by the prime ministers of Italy and the Netherlands, Giorgia Meloni and Mark Rutte, met with Tunisian president Kais Saied. The proposal still requires the endorsement of other EU governments and will be linked to Tunisian authorities passing IMF-mandated reforms.

      Von der Leyen said the bloc is prepared to mobilise €150mn in grants “right now” to boost Tunisia’s flagging economy, which has suffered from surging commodity prices linked to Russia’s invasion of Ukraine. Further assistance in the form of loans, totalling €900mn, could be mobilised over the longer-term, she said.

      In addition, Europe will also provide €105mn in grants this year to support Tunisia’s border management network, in a bid to “break the cynical business model of smugglers and traffickers”, von der Leyen said. The package is nearly triple what the bloc has so far provided in migration funding for the North African nation.

      The offer of quick financial support is a boost for Tunisia’s embattled president, but longer-term support is contingent on him accepting reforms linked to a $1.9bn IMF package, a move Saied has been attempting to defer until after presidential elections next year.

      Saied has refused to endorse the IMF loan agreement agreed in October, saying he rejected foreign “diktats” that would further impoverish Tunisians. The Tunisian leader is wary of measures such as reducing energy subsidies and speeding up the privatisation of state-owned enterprises as they could damage his popularity.

      Meloni, who laid the groundwork for the announcement after meeting with Saied on Tuesday, has been pushing Washington and Brussels for months to unblock financial aid for Tunisia. The Italian leader is concerned that if the north African country’s economy imploded, it would trigger an even bigger wave of people trying to cross the Mediterranean.

      So far this year, more than 53,000 migrants have arrived in Italy by boat, more than double compared with the same period last year — with a sharp increase in boats setting out from Tunisia one factor behind the surge.

      The agreement was “an important step towards creating a true partnership to address the migration crisis,” Meloni said on Sunday.

      In February, Saied stoked up racist violence against people from sub-Saharan African countries by saying they were part of a plot to change Tunisia’s demographic profile.

      His rhetoric has softened in an apparent bid to improve the image of the deal with the EU. Visiting a camp on Saturday, he criticised the treatment of migrants “as mere numbers”. However, he added, “it is unacceptable for us to play the policeman for other countries”.

      The Tunisian Forum for Economic and Social Rights think-tank criticised the EU’s visit on Sunday as “an attempt to exploit [Tunisia’s] political, economic and social fragility”.

      The financial aid proposal comes days after European governments agreed on a long-awaited migration package that will speed up asylum proceedings and make it easier for member states to send back people who are denied asylum.

      The package also includes proposals to support education, energy and trade relations with the country, including by investing in Tunisia’s renewable energy network and allowing Tunisian students to take part in student exchange programme Erasmus+.

      The presence of the Dutch prime minister, usually a voice for fiscally conservative leaders in the 27-strong bloc, indicated that approval of the package would not be as difficult to achieve as other foreign funding requests. The Netherlands, while not a frontline country like Italy, has also experienced a spike in so-called secondary migration, as many of the people who arrive in southern Europe travel on and apply for asylum in northern countries.

      Calling the talks “excellent”, Rutte said that “the window is open, we all sense there’s this opportunity to foster this relationship between the EU and Tunisia”.

      https://www.ft.com/content/82d6fc8c-ee95-456a-a4e1-8c2808922da3

    • Migrations : les yeux doux de #Gérald_Darmanin au président tunisien

      Pour promouvoir le Pacte sur la migration de l’Union européenne, le ministre de l’Intérieur en visite à Tunis a flirté avec les thèses controversées de Kais Saied, présentant le pays comme une « victime » des flux de réfugiés.

      Quand on sait que l’on n’obtiendra pas ce que l’on désire de son hôte, le mieux est de porter la faute sur un tiers. Le ministre français de l’Intérieur, Gérald Darmanin, a fait sienne cette stratégie durant sa visite dimanche 18 et lundi 19 juin en Tunisie. Et tant pis pour les pays du Sahel, victimes collatérales d’un échec annoncé.

      Accompagné de son homologue allemande, Nancy Faeser, le premier flic de France était en Tunisie pour expliquer au président tunisien Kais Saied le bien-fondé du Pacte sur la migration et l’asile en cours de validation dans l’Union européenne. Tel quel, il pourrait faire de la Tunisie un pays de transit ou d’établissement pour les migrants refoulés au nord de la Méditerranée. La Tunisie n’a jamais accepté officiellement d’être le gardien des frontières de l’Europe, même du temps du précédent président de la République, Béji Caïd Essebsi – officieusement, les gardes-côtes ont intercepté plus de 23 000 migrants de janvier à mai. Ce n’est pas le très panarabisant Kais Saied qui allait céder.

      Surtout que le chef de l’Etat aux méthodes autoritaires avait déjà refusé pareille proposition la semaine dernière, lors de la visite de la présidente de la Commission européenne, Ursula von der Leyen, accompagnée de Giorgia Meloni et Mark Rutte, chefs du gouvernement italien et néerlandais, malgré les promesses de plus d’un milliard d’euros d’aides à long terme (des projets budgétés de longue date pour la plupart). Kais Saied avait encore réitéré son refus au téléphone le 14 juin à Charles Michel, le président du Conseil européen.
      « Grand remplacement »

      Peu de chance donc que Gérald Darmanin et Nancy Faeser, « simples » ministres de l’Intérieur aient plus de succès, bien que leurs pays pèsent « 40 % du budget de l’Union européenne », comme l’a malicieusement glissé le ministre français. Alors pour ne pas repartir complètement bredouille, le locataire de la place Beauvau a promis du concret et flirté avec les thèses très controversées de Kais Saied.

      La France a promis une aide bilatérale de 25,8 millions d’euros pour « acquérir les équipements nécessaires et organiser les formations utiles, des policiers et des gardes-frontières tunisiens pour contenir le flux irrégulier de migrants ». Darmanin a surtout assuré que la Tunisie ne deviendra pas « la garde-frontière de l’Union européenne, ce n’est pas sa vocation ». Au contraire, il a présenté l’ancienne puissance carthaginoise comme une « victime » du flux migratoire.

      « Les Tunisiens qui arrivent de manière irrégulière sur le territoire européen sont une portion très congrue du nombre de personnes qui traversent à partir de la Tunisie la Méditerranée pour venir en Europe. Il y a beaucoup de Subsahariens notamment qui prennent ces routes migratoires », a ajouté le ministre de l’Intérieur français. Un argument martelé depuis des mois par les autorités tunisiennes. Dans un discours reprenant les thèses du « grand remplacement », Kais Saied, le 21 février, avait provoqué une campagne de haine et de violence contre les Subsahariens. Ces derniers avaient dû fuir par milliers le pays. Sans aller jusque-là, Gérald Darmanin a joué les VRP de Kais Saied, déclarant qu’« à la demande de la Tunisie », la France allait jouer de ses « relations diplomatiques privilégiées » avec ces pays (Côte d’Ivoire, Sénégal, Cameroun, notamment) pour « prévenir ces flux ». Si les migrants arrivant par bateaux en Italie sont, pour beaucoup, des Subsahariens – le nombre d’Ivoiriens a été multiplié par plus de 7 depuis le début de l’année par rapport à l’an dernier à la même période –, les Tunisiens demeurent, selon le HCR, la première nationalité (20 %) à débarquer clandestinement au sud de l’Europe depuis 2021.
      Préférence pour Giorgia Meloni

      Gérald Darmanin a quand même soulevé un ancien contentieux : le sort de la vingtaine de Tunisiens radicalisés et jugés dangereux actuellement présents sur le territoire français de façon illégale. Leur retour en Tunisie pose problème. Le ministre français a affirmé avoir donné une liste de noms (sans préciser le nombre) à son homologue tunisien. En attendant de savoir si son discours contribuera à réchauffer les relations avec le président tunisien – ce dernier ne cache pas sa préférence pour le franc-parler de Giorgia Meloni, venue deux fois ce mois-ci – Gérald Darmanin a pu profiter de prendre le café avec Iheb et Siwar, deux Tunisiens réinstallés dans leur pays d’origine via une aide aux retours volontaires mis en place par l’Office français de l’immigration et de l’intégration. En 2022, les Tunisiens ayant eu recours à ce programme étaient… 79. Quand on est envoyé dans une guerre impossible à gagner, il n’y a pas de petite victoire.

      https://www.liberation.fr/international/afrique/migrations-les-yeux-doux-de-gerald-darmanin-au-president-tunisien-2023061
      #Darmanin #France

    • Crisi economica e rimpatri: cosa stanno negoziando Ue e Tunisia

      Con l’economia del Paese nordafricano sempre più in difficoltà, l’intreccio tra sostegno finanziario ed esternalizzazione delle frontiere si fa sempre più stretto. E ora spunta una nuova ipotesi: rimpatriare in Tunisia anche cittadini di altri Paesi

      Durante gli ultimi mesi di brutto tempo in Tunisia, il governo italiano ha più volte dichiarato di aver compiuto «numerosi passi avanti nella difesa dei nostri confini», riferendosi al calo degli arrivi di migranti via mare dal Paese nordafricano. Ora che il sole estivo torna a splendere sulle coste del Sud tunisino, però, le agenzie stampa segnalano un nuovo «aumento delle partenze». Secondo l’Ansa, durante le notti del 18 e 19 giugno, Lampedusa ha contato prima dodici, poi altri quindici sbarchi. Gli arrivi sono stati 18, con 290 persone in totale, anche tra la mezzanotte e le due del 23 giugno. Come accadeva durante i mesi di febbraio e marzo, a raggiungere le coste siciliane sono soprattutto ivoriani, malesi, ghanesi, nigeriani, sudanesi, egiziani. I principali porti di partenza delle persone che raggiungono l’Italia via mare, nel 2023, si trovano soprattutto in Tunisia.

      È durante questo giugno piovoso che la presidente del Consiglio Giorgia Meloni è atterrata a Tunisi non una ma ben due volte, con l’intento di negoziare quello che ha tutta l’aria di uno scambio: un maggior sostegno finanziario al bilancio di una Tunisia sempre più in crisi in cambio di ulteriori azioni di militarizzazione del Mediterraneo centrale. Gli aiuti economici promessi da Bruxelles, necessari perché la Tunisia eviti la bancarotta, sono condizionati alla firma di un nuovo accordo con il Fondo monetario internazionale. Il prezzo da pagare, però, sono ulteriori passi avanti nel processo di esternalizzazione della frontiera dell’Unione europea. Un processo già avviato da anni che, come abbiamo raccontato nelle precedenti puntate di #TheBigWall, si è tradotto in finanziamenti alla Tunisia per un valore di 59 milioni di euro dal 2011 a oggi, sotto forma di una lunga lista di equipaggiamenti a beneficio del ministero dell’Interno tunisino.

      Che l’Italia si stia nuovamente muovendo in questo senso, è stato reso noto dalla documentazione raccolta tramite accesso di richiesta agli atti da IrpiMedia in collaborazione con ActionAid sull’ultimo finanziamento di 12 milioni di euro approvato a fine 2022. A dimostrarlo, è anche l’ultima gara d’appalto pubblicata da Unops, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Servizi di Progetto, che dal 2020 fa da intermediario tra il inistero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale italiano (Maeci) e il ministero dell’Interno tunisino, per la fornitura di sette nuove motovedette, in scadenza proprio a giugno.

      Le motovedette si sommano al recente annuncio, reso noto da Altreconomia a marzo 2023, della fornitura di 100 pick-up Nissan Navara alla Guardia nazionale tunisina. Con una differenza, però: Roma non negozia più da sola con Tunisi, ma si impone come mediatrice tra il Paese nordafricano e l’Unione europea. Secondo le informazioni confidenziali diffuse da una fonte diplomatica vicina ai negoziati Tunisia-Ue, la lista più recente sottoposta dalla Tunisia alla Commissione europea includerebbe anche «droni, elicotteri e nuove motovedette per un totale di ulteriori 200 milioni di euro». Durante la visita del 19 giugno, anche la Francia ha annunciato un nuovo sostegno economico a Tunisi del valore di 26 milioni di euro finalizzato a «contrastare la migrazione».

      Il prezzo del salvataggio dalla bancarotta sono i migranti

      Entro fine giugno è attesa la firma del nuovo memorandum tra Unione europea e Tunisia. Ad annunciarlo è stata la presidente della Commissione Ue Ursula Von der Leyen, arrivata a Tunisi l’11 giugno insieme a Giorgia Meloni e a Mark Rutte, il primo ministro olandese.

      La visita ha fatto seguito al Consiglio dell’Ue, il vertice che riunisce i ministri competenti per discutere e votare proposte legislative della Commissione in cui sono stati approvati alcuni provvedimenti che faranno parte del Patto sulla migrazione e l’asilo. L’intesa, che dovrebbe sostituire anche il controverso Regolamento di Dublino ma deve ancora essere negoziata con l’Europarlamento, si lega alle trattative con la Tunisia. Tra i due dossier esiste un parallelismo tracciato dalla stessa Von Der Leyen che, a seguito del recente naufragio di fronte alle coste greche, ha dichiarato: «Sulla migrazione dobbiamo agire in modo urgente sia sul quadro delle regole che in azioni dirette e concrete. Per esempio, il lavoro che stiamo facendo con la Tunisia per stabilizzare il Paese, con l’assistenza finanziaria e investendo nella sua economia».

      Nel frattempo, in Tunisia, la situazione economica si è fatta sempre più complicata. Il 9 giugno, infatti, l’agenzia di rating Fitch ha declassato il Paese a “-CCC” per quanto riguarda l’indice Idr, Issuer default ratings, ovvero il misuratore della capacità di solvenza di aziende e fondi sovrani. Più è basso, più è alta la possibilità, secondo Fitch, che il Paese (o la società, quando l’indice Idr si applica alle società) possa finire in bancarotta. Colpa principalmente delle trattative fallite tra il governo di Tunisi e il Fondo monetario internazionale (Fmi): ad aprile 2023, il presidente Kais Saied ha rifiutato pubblicamente un prestito da 1,9 miliardi di dollari.

      Principale ragione del diniego tunisino sono stati i «diktat», ha detto Saied il 6 aprile, imposti dal Fmi, cioè una serie di riforme con possibili costi sociali molto alti. Al discorso, sono seguite settimane di insistente lobbying da parte italiana, a Tunisi come a Washington, perché si tornasse a discutere del prestito. Gli aiuti promessi da Von Der Leyen in visita a Tunisi (900 milioni di euro di prestito condizionato, oltre ai 150 milioni di sostegno bilaterale al bilancio) sono infatti condizionati al sì dell’Fmi.

      La Tunisia, quindi, ha bisogno sempre più urgentemente di sostegno finanziario internazionale per riuscire a chiudere il bilancio del 2023 e a rispettare le scadenze del debito pubblico estero. E le trattative per fermare i flussi migratori si intensificano. A giugno 2023, come riportato da AnsaMed, Meloni ha dichiarato di voler «risolvere alla partenza» la questione migranti, proprio durante la firma del Patto sull’asilo a Bruxelles. Finanziamenti in cambio di misure di controllo delle partenze, quindi. Ma di che tipo? Per un’ipotesi che tramonta, un’altra sembra prendere corpo.
      I negoziati per il nuovo accordo di riammissione

      La prima ipotesi è trasformare la Tunisia in un hotspot, una piattaforma esterna all’Unione europea per lo smistamento di chi avrebbe diritto a una forma di protezione e chi invece no. È un’idea vecchia, che compariva già nelle bozze di accordi Ue-Tunisia fermi al 2018, dove si veniva fatto esplicito riferimento ad «accordi regionali di sbarco» tra Paesi a Nord del Mediterraneo e Paesi a Sud, e a «piattaforme di sbarco […] complementari a centri controllati nel territorio Ue». All’epoca, la Tunisia rispose con un secco «no» e anche oggi sembra che l’esito sarà simile. Secondo una fonte vicina alle trattative in corso per il memorandum con l’Ue, «è improbabile che la Tunisia accetti di accogliere veri e propri centri di smistamento sul territorio».

      L’opinione del presidente tunisino Kais Saied, infatti, è ben diversa dai toni concilianti con i quali ha accolto i rappresentanti politici europei, da Meloni ai ministri dell’Interno di Francia (Gérald Darmanin) e Germania (Nancy Faeser), questi ultimi incontrati lo scorso 19 giugno. Saied ha più volte ribadito che «non saremo i guardiani dell’Europa», provando a mantenere la sua immagine pubblica di “anti-colonialista” e sovranista.

      Sotto la crescente pressione economica, esiste comunque la possibilità che il presidente tunisino scenda a più miti consigli e rivaluti l’idea della Tunisia come hotspot. In questo scenario, i Paesi Ue potrebbero rimandare in Tunisia non solo persone tunisine a cui è negata la richiesta d’asilo, ma anche persone di altre nazionalità che hanno qualche tipo di legame (ancora tutto da definire nei dettagli) con la Tunisia. Il memorandum Tunisia-Ue, quindi, potrebbe includere delle clausole relative non solo ai rimpatri dei cittadini tunisini, ma anche alle riammissioni di cittadini di altri Paesi.

      A sostegno di questa seconda ipotesi ci sono diversi elementi. Il primo è un documento della Commissione europea sulla cooperazione estera in ambito migratorio, visionato da IrpiMedia, datato maggio 2022, ma anticipato da una bozza del 2017. Nel documento, in riferimento a futuri accordi di riammissione, si legge che la Commissione avrebbe dovuto lanciare, «entro la fine del 2022», «i primi partenariati con i Paesi nordafricani, tra cui la Tunisia». Il secondo elemento è contenuto nell’accordo raggiunto dal Consiglio sul Patto. Su pressione dell’Italia, la proposta di legge prevede la possibilità di mandare i richiedenti asilo in un Paese terzo considerato sicuro, sulla base di una serie di fattori legati al rispetto dei diritti umani in generale e dei richiedenti asilo più nello specifico.
      I dubbi sulla Tunisia, Paese terzo sicuro

      A marzo 2023 – durante il picco di partenze dalla Tunisia a seguito di un violento discorso del presidente nei confronti della comunità subsahariana nel Paese – la lista dei Paesi di origine considerati sicuri è stata aggiornata, e include ormai non solo la Tunisia stessa, sempre più insicura, come raccontato nelle puntate precedenti, ma anche la Costa d’Avorio, il Ghana, la Nigeria. Che rappresentano ormai le prime nazionalità di sbarco.

      In questo senso, aveva attirato l’attenzione la richiesta da parte delle autorità tunisine a inizio 2022 di laboratori mobili per il test del DNA, utilizzati spesso nei commissariati sui subsahariani in situazione di regolarità o meno. Eppure, nel contesto la situazione della comunità subsahariana nel Paese resta estremamente precaria. Solo la settimana scorsa un migrante di origine non chiara, ma subsahariano, è stato accoltellato nella periferia di Sfax, dove la tensione tra famiglie tunisine in situazioni sempre più precarie e subsahariani continua a crescere.

      Malgrado un programma di ritorno volontario gestito dall’Organizzazione internazionale delle migrazioni (Oim), continua a esistere una tendopoli di fronte alla sede dell’organizzazione internazionale. La Tunisia, dove manca un quadro legale sul diritto di asilo che tuteli quindi chi viene riconosciuto come rifugiato da UNHCR, continua a non essersi dotata di una zona Sar (Search & Rescue). Proprio a questo fa riferimento esplicito la bozza del nuovo patto sull’asilo firmato a Bruxelles. Una delle condizioni richieste, allora, potrebbe essere proprio quella di notificare all’Organizzazione marittima internazionale (Imo) una zona Sar una volta ottenuti tutti gli equipaggiamenti richiesti dal ministero dell’Interno tunisino.

      https://irpimedia.irpi.eu/thebigwall-crisi-economica-rimpatri-cosa-stanno-negoziando-ue-tunisia
      #crise_économique #UE #externalisation

    • Pour garder ses frontières, l’Europe se précipite au chevet de la Tunisie

      Alors que le régime du président #Kaïs_Saïed peine à trouver un accord avec le #Fonds_monétaire_international, la Tunisie voit plusieurs dirigeants européens — notamment italiens et français — voler à son secours. Un « soutien » intéressé qui vise à renforcer le rôle de ce pays comme garde-frontière de l’Europe en pleine externalisation de ses frontières.

      C’est un fait rarissime dans les relations internationales. En l’espace d’une semaine, la présidente du Conseil italien, Giorgia Meloni, aura effectué deux visites à Tunis. Le 7 juin, la dirigeante d’extrême droite n’a passé que quelques heures dans la capitale tunisienne. Accueillie par son homologue Najla Bouden, elle s’est ensuite entretenue avec le président Kaïs Saïed qui a salué, en français, une « femme qui dit tout haut ce que d’autres pensent tout bas ». Quatre jours plus tard, c’est avec une délégation européenne que la présidente du Conseil est revenue à Tunis.

      Accompagnée de la présidente de la Commission européenne #Ursula_von_der_Leyen et du premier ministre néerlandais #Mark_Rutte, Meloni a inscrit à l’agenda de sa deuxième visite les deux sujets qui préoccupent les leaders européens : la #stabilité_économique de la Tunisie et, surtout, la question migratoire, reléguant au second plan les « #valeurs_démocratiques ».

      Un pacte migratoire

      À l’issue de cette rencontre, les Européens ont proposé une série de mesures en faveur de la Tunisie : un #prêt de 900 millions d’euros conditionné à la conclusion de l’accord avec le Fonds monétaire international (#FMI), une aide immédiate de 150 millions d’euros destinée au budget, ainsi que 105 millions pour accroitre la #surveillance_des_frontières. Von der Leyen a également évoqué des projets portant sur l’internet à haut débit et les énergies vertes, avant de parler de « rapprochement des peuples ». Le journal Le Monde, citant des sources bruxelloises, révèle que la plupart des annonces portent sur des fonds déjà budgétisés. Une semaine plus tard, ce sont #Gérald_Darmanin et #Nancy_Faeser, ministres français et allemande de l’intérieur qui se rendent à Tunis. Une #aide de 26 millions d’euros est débloquée pour l’#équipement et la #formation des gardes-frontières tunisiens.

      Cet empressement à trouver un accord avec la Tunisie s’explique, pour ces partenaires européens, par le besoin de le faire valoir devant le Parlement européen, avant la fin de sa session. Déjà le 8 juin, un premier accord a été trouvé par les ministres de l’intérieur de l’UE pour faire évoluer la politique des 27 en matière d’asile et de migration, pour une meilleure répartition des migrants. Ainsi, ceux qui, au vu de leur nationalité, ont une faible chance de bénéficier de l’asile verront leur requête examinée dans un délai de douze semaines. Des accords devront également être passés avec certains pays dits « sûrs » afin qu’ils récupèrent non seulement leurs ressortissants déboutés, mais aussi les migrants ayant transité par leur territoire. Si la Tunisie acceptait cette condition, elle pourrait prendre en charge les milliers de subsahariens ayant tenté de rejoindre l’Europe au départ de ses côtes.

      Dans ce contexte, la question des droits humains a été esquivée par l’exécutif européen. Pourtant, en mars 2023, les eurodéputés ont voté, à une large majorité, une résolution condamnant le tournant autoritaire du régime. Depuis le mois de février, les autorités ont arrêté une vingtaine d’opposants dans des affaires liées à un « complot contre la sûreté de l’État ». Si les avocats de la défense dénoncent des dossiers vides, le parquet a refusé de présenter sa version.

      L’allié algérien

      Depuis qu’il s’est arrogé les pleins pouvoirs, le 25 juillet 2021, Kaïs Saïed a transformé la Tunisie en « cas » pour les puissances régionales et internationales. Dans les premiers mois qui ont suivi le coup de force, les pays occidentaux ont oscillé entre « préoccupations » et compréhension. Le principal cadre choisi pour exprimer leurs inquiétudes a été celui du G 7. C’est ainsi que plusieurs communiqués ont appelé au retour rapide à un fonctionnement démocratique et à la mise en place d’un dialogue inclusif. Mais, au-delà des proclamations de principe, une divergence d’intérêts a vite traversé ce groupement informel, séparant les Européens des Nord-Américains. L’Italie — et dans une moindre mesure la France — place la question migratoire au centre de son débat public, tandis que les États-Unis et le Canada ont continué à orienter leur communication vers les questions liées aux droits et libertés. En revanche, des deux côtés de l’Atlantique, le soutien à la conclusion d’un accord entre Tunis et le FMI a continué à faire consensus.

      La fin de l’unanimité occidentale sur la question des droits et libertés va faire de l’Italie un pays à part dans le dossier tunisien. Depuis 2022, Rome est devenue le premier partenaire commercial de Tunis, passant devant la France. Ce changement coïncide avec un autre bouleversement : la Tunisie est désormais le premier pays de départ pour les embarcations clandestines en direction de l’Europe, dans le bassin méditerranéen. Constatant que la Tunisie de Kaïs Saïed a maintenu une haute coopération en matière de #réadmission des Tunisiens clandestins expulsés du territoire italien, Rome a compris qu’il était dans son intérêt de soutenir un régime fort et arrangeant, en profitant de son rapprochement avec l’Algérie d’Abdelmadjid Tebboune, qui n’a jamais fait mystère de son soutien à Kaïs Saïed. Ainsi, en mai 2022, le président algérien a déclaré qu’Alger et Rome étaient décidées à sortir la Tunisie de « son pétrin ». Les déclarations de ce type se sont répétées sans que les autorités tunisiennes, d’habitude plus promptes à dénoncer toute ingérence, ne réagissent publiquement. Ce n’est pas la première fois que l’Italie et l’#Algérie — liées par un #gazoduc traversant le territoire tunisien — s’unissent pour soutenir un pouvoir autoritaire en Tunisie. Déjà, en 1987, Zine El-Abidine Ben Ali a consulté Rome et Alger avant de déposer le président Habib Bourguiba.

      L’arrivée de Giorgia Meloni au pouvoir en octobre 2022 va doper cette relation. La dirigeante d’extrême droite, élue sur un programme de réduction drastique de l’immigration clandestine, va multiplier les signes de soutien au régime en place. Le 21 février 2023, un communiqué de la présidence tunisienne dénonce les « menaces » que font peser « les hordes de migrants subsahariens » sur « la composition démographique tunisien ». Alors que cette déclinaison tunisienne de la théorie du « Grand Remplacement » provoque l’indignation, — notamment celle de l’Union africaine (UA) — l’Italie est le seul pays à soutenir publiquement les autorités tunisiennes. Depuis, la présidente du Conseil italien et ses ministres multiplient les efforts diplomatiques pour que la Tunisie signe un accord avec le FMI, surtout depuis que l’UE a officiellement évoqué le risque d’un effondrement économique du pays.

      Contre les « diktats du FMI »

      La Tunisie est en crise économique au moins depuis 2008. Les dépenses sociales engendrées par la révolution, les épisodes terroristes, la crise du Covid et l’invasion de l’Ukraine par la Russie n’ont fait qu’aggraver la situation du pays.

      L’accord avec l’institution washingtonienne est un feuilleton à multiples rebondissements. Fin juillet 2021, avant même la nomination d’un nouveau gouvernement, Saïed charge sa nouvelle ministre des Finances Sihem Namsia de poursuivre les discussions en vue de l’obtention d’un prêt du FMI, prélude à une série d’aides financières bilatérales. À mesure que les pourparlers avancent, des divergences se font jour au sein du nouvel exécutif. Alors que le gouvernement de Najla Bouden semble disposé à accepter les préconisations de l’institution financière (restructuration et privatisation de certaines entreprises publiques, arrêt des subventions sur les hydrocarbures, baisse des subventions sur les matières alimentaires), Saïed s’oppose à ce qu’il qualifie de « diktats du FMI » et dénonce une politique austéritaire à même de menacer la paix civile. Cela ne l’empêche pas de promulguer la loi de finances de l’année 2023 qui reprend les principales préconisations de l’institution de Bretton Woods.

      En octobre 2022, un accord « technique » a été trouvé entre les experts du FMI et ceux du gouvernement tunisien et la signature définitive devait intervenir en décembre. Mais cette dernière étape a été reportée sine die, sans aucune explication.

      Ces dissensions au sein d’un exécutif censé plus unitaire que sous le régime de la Constitution de 2014 trouvent leur origine dans la vision économique de Kaïs Saïed. Après la chute de Ben Ali, les autorités de transition ont commandé un rapport sur les mécanismes de corruption du régime déchu. Le document final, qui pointe davantage un manque à gagner (prêts sans garanties, autorisations indument accordées…) que des détournements de fonds n’a avancé aucun chiffre. Mais en 2012, le ministre des domaines de l’État Slim Ben Hmidane a avancé celui de 13 milliards de dollars (11,89 milliards d’euros), confondant les biens du clan Ben Ali que l’État pensait saisir avec les sommes qui se trouvaient à l’étranger. Se saisissant du chiffre erroné, Kaïs Saïed estime que cette somme doit être restituée et investie dans les régions marginalisées par l’ancien régime. Le 20 mars 2022, le président promulgue une loi dans ce sens et nomme une commission chargée de proposer à « toute personne […] qui a accompli des actes pouvant entraîner des infractions économiques et financières » d’investir l’équivalent des sommes indument acquises dans les zones sinistrées en échange de l’abandon des poursuites.

      La mise en place de ce mécanisme intervient après la signature de l’accord technique avec le FMI. Tandis que le gouvernement voulait finaliser le pacte avec Washington, Saïed mettait la pression sur la commission d’amnistie afin que « la Tunisie s’en sorte par ses propres moyens ». Constatant l’échec de sa démarche, le président tunisien a préféré limoger le président de la commission et dénoncer des blocages au sein de l’administration. Depuis, il multiplie les appels à un assouplissement des conditions de l’accord avec le FMI, avec l’appui du gouvernement italien. Le 12 juin 2023, à l’issue d’une rencontre avec son homologue italien, Antonio Tajani, le secrétaire d’État américain Anthony Blinken s’est déclaré ouvert à ce que Tunis présente un plan de réforme révisé au FMI.

      Encore une fois, les Européens font le choix de soutenir la dictature au nom de la stabilité. Si du temps de Ben Ali, l’islamisme et la lutte contre le terrorisme étaient les principales justifications, c’est aujourd’hui la lutte contre l’immigration, devenue l’alpha et l’oméga de tout discours politique et électoraliste dans une Europe de plus en plus à droite, qui sert de boussole. Mais tous ces acteurs négligent le côté imprévisible du président tunisien, soucieux d’éviter tout mouvement social à même d’affaiblir son pouvoir. À la veille de la visite de la délégation européenne, Saïed s’est rendu à Sfax, deuxième ville du pays et plaque tournante de la migration clandestine. Il est allé à la rencontre des populations subsahariennes pour demander qu’elles soient traitées avec dignité, avant de déclarer que la Tunisie ne « saurait être le garde-frontière d’autrui ». Un propos réitéré lors de la visite de Gérald Darmanin et de son homologue allemande, puis à nouveau lors du Sommet pour un nouveau pacte financier à Paris, les 22 et 23 juin 2023.

      https://orientxxi.info/magazine/pour-garder-ses-frontieres-l-europe-se-precipite-au-chevet-de-la-tunisie

    • Perché oggi Meloni torna in Tunisia

      È la terza visita da giugno: l’obiettivo è un accordo per dare al paese aiuti economici europei in cambio di più controlli sulle partenze di migranti

      Nella giornata di domenica è previsto un viaggio istituzionale in Tunisia della presidente del Consiglio italiana Giorgia Meloni, insieme alla presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen e al primo ministro olandese #Mark_Rutte. Per Meloni è la terza visita in Tunisia in poco più di un mese: era andata da sola una prima volta il 6 giugno, e poi già insieme a von der Leyen e Rutte l’11 giugno.

      Il motivo delle visite è stata una serie di colloqui con il presidente tunisino, l’autoritario Kais Saied, per firmare un “memorandum d’intesa” tra Unione Europea e Tunisia che ha l’obiettivo di fornire un aiuto finanziario al governo tunisino da circa un miliardo di euro. Questi soldi si aggiungerebbero al prestito del Fondo Monetario Internazionale (#FMI) da 1,7 miliardi di euro di cui si parla da tempo e che era stato chiesto dalla Tunisia per provare a risolvere la sua complicata situazione economica e sociale.

      Il memorandum, di cui non sono stati comunicati i dettagli, secondo fonti a conoscenza dei fatti impegnerebbe la Tunisia ad applicare alcune riforme chieste dall’FMI, e a collaborare maggiormente nel bloccare le partenze di migranti e richiedenti asilo che cercano di raggiungere l’Italia via mare.

      Nell’incontro dell’11 giugno le discussioni non erano andate benissimo, e avevano portato solo alla firma di una dichiarazione d’intenti. La visita di domenica dovrebbe invece concludersi con una definizione degli accordi, almeno nelle intenzioni dei leader europei. «Speriamo di concludere le discussioni che abbiamo iniziato a giugno», aveva detto venerdì la vice portavoce della Commissione Europea Dana Spinant annunciando il viaggio di domenica.

      Il memorandum d’intesa prevede che l’Unione Europea offra alla Tunisia aiuti finanziari sotto forma di un prestito a tassi agevolati di 900 milioni di euro – da erogare a rate nei prossimi anni – oltre a due contributi a fondo perduto rispettivamente da 150 milioni di euro, come contributo al bilancio nazionale, e da 100 milioni di euro per impedire le partenze delle imbarcazioni di migranti. Quest’ultimo aiuto di fatto replicherebbe su scala minore quelli dati negli anni scorsi a Libia e Turchia affinché impedissero con la forza le partenze di migranti e richiedenti asilo.

      Dell’accordo si è parlato molto criticamente nelle ultime settimane per via delle violenze in corso da tempo nel paese, sia da parte della popolazione locale che delle autorità, nei confronti dei migranti subsahariani che transitano nel paese nella speranza di partire via mare verso l’Europa (e soprattutto verso l’Italia). Da mesi il presidente Kais Saied – che negli ultimi tre anni ha dato una svolta autoritaria al governo del paese – sta usando i migranti come capro espiatorio per spiegare la pessima situazione economica e sociale in cui si trova la Tunisia.

      Ha più volte sostenuto che l’immigrazione dai paesi africani faccia parte di un progetto di «sostituzione demografica per rendere la Tunisia un paese unicamente africano, che perda i suoi legami con il mondo arabo e islamico». Le sue parole hanno causato reazioni razziste molto violente da parte di residenti e polizia nei confronti dei migranti, con arresti arbitrari e varie aggressioni. L’ultimo episodio è stato segnalato all’inizio di luglio, quando le forze dell’ordine tunisine hanno arrestato centinaia di migranti provenienti dall’Africa subsahariana e li hanno portati con la forza in una zona desertica nell’est del paese al confine con la Libia.

      https://www.ilpost.it/2023/07/16/tunisia-meloni

    • Firmato a Tunisi il memorandum d’intesa tra Tunisia e Ue, Meloni: «Compiuto passo molto importante»

      Saied e la delegazione Ue von der Leyen, Meloni e #Rutte siglano il pacchetto complessivo di 255 milioni di euro per il bilancio dello Stato nordafricano e per la gestione dei flussi migratori. 5 i pilastri dell’intesa

      E’ stato firmato il Memorandum d’intesa per una partnership strategica e globale fra Unione europea e Tunisia. L’Ue ha diffuso il video della cerimonia di firma, alla quale erano presenti la presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, il premier dell’Olanda Mark Rutte e il presidente tunisino Kais Saied. Al termine della cerimonia di firma è iniziato l’incontro fra i tre leader europei e Saied, a seguito del quale sono attese dichiarazioni alla stampa. L’incontro si svolge nel palazzo presidenziale tunisino di Cartagine, vicino Tunisi. Per raggiungere questo obiettivo Bruxelles ha proposto un pacchetto di aiuti (150 milioni a sostegno del bilancio dello Stato e 105 milioni come supporto al controllo delle frontiere), su cui era stato avviato un negoziato.

      «Il Team Europe torna a Tunisi. Eravamo qui insieme un mese fa per lanciare una nuova partnership con la Tunisia. E oggi la portiamo avanti». Lo scrive sui social la Presidente della Commissione Ue, Ursula Von der Leyen, postando foto con lei, Meloni, Rutte e Saied.

      E nella conferenza stampa congiunta con Saied, Meloni e Rutte la presidente ha affermato che la Ue coopererà con la Tunisia contro i trafficanti di migranti.

      «Abbiamo raggiunto un obiettivo molto importante che arriva dopo un grande lavoro diplomatico. Il Memorandum è un importante passo per creare una vera partnership tra l’Ue e la Tunisia». Lo ha detto la premier Giorgia Meloni al termine dell’incontro con Kais Saied nel palazzo di Cartagine. L’intesa va considerata «un modello» perle relazioni tra l’Ue e i Paesi del Nord Africa.

      L’obiettivo iniziale era di firmare un Memorandum d’intesa entro lo scorso Consiglio europeo, del 29 e 30 giugno, ma c’è stato uno slittamento. L’intesa con l’Europa, nelle intenzioni di Bruxelles, dovrebbe anche facilitare lo sblocco del finanziamento del Fondo monetario internazionale da 1,9 miliardi al momento sospeso, anche se in questo caso la trattativa è tutta in salita.

      Anche oggi, nel giorno della firma del Memorandum di Intesa tra Unione europea e Tunisia, a Lampedusa - isola simbolo di migrazione e di naufragi - sono sbarcati in 385 (ieri quasi mille). L’obiettivo dell’accordo voluto dalla premier Meloni e il presidente Saied è soprattutto arginare il flusso incontrollato di persone che si affidano alla pericolosa via del mare per approdare in Europa. Un problema che riguarda i confini esterni meridionali dell’Unione europea, come ha sempre sottolineato la presidente del Consiglio, che oggi arriverà a Tunisi per la seconda volta, con la presidente della Commissione Ursula von der Leyen e con il collega olandese Mark Rutte.

      Le dichiarazioni della premier Giorgia Meloni

      «Oggi abbiamo raggiunto un risultato estremamente importante, il memorandum firmato tra Tunisia e Ue è un ulteriore passo verso la creazione di un vero partenariato che possa affrontare in modo integrato la crisi migratoria e lo sviluppo per entrambe le sponde del Mediterraneo».

      Così la presidente del Consiglio Giorgia Meloni nel punto stampa dopo la firma del Memorandum.

      «Il partenariato con la Tunisia- ha aggiunto Meloni- rappresenta per noi un modello per costruire nuove relazioni con i vicini del Nord Africa. Il memorandum è un punto di partenza al quale dovranno conseguire diversi accordi per mettere a terra gli obiettivi che ci siamo dati».

      Infine la presidente del Consiglio ha ricordato che «domenica prossima 23 luglio a Roma ci sarà la conferenza internazionale sull’immigrazione che avrà come protagonista il presidente Saied e con lui diversi capi di Stato e governo dei paesi mediterranei. E’ un altro importante passo per affrontare la cooperazione mediterranea con un approccio integrato e io lo considero come l’inizio di un percorso che può consentire una partnership diversa da quella che abbiamo avuto nel passato».

      Le dichiarazioni della Presidente della Commisisone Europea

      Per Ursula Von der Leyen l’accordo odierno è «un buon pacchetto di misure», da attuare rapidamente «in entrambe le sponde del Mediterraneo» ma ha anche precisato che «L’ assistenza macrofinanziaria sarà fornita quando le condizioni lo permetteranno».

      La Presidente ha elencato i 5 pilastri del Memorandum con la Tunisia:

      1) creare opportunità per i giovani tunisini. Per loro «ci sarà una finestra in Europa con l’#Erasmus». Per le scuole tunisine stanziati 65 milioni;

      2) sviluppo economico della Tunisia. La Ue aiuterà la crescita e la resilienza dell’economia tunisina;

      3) investimenti e commercio: "La Ue è il più grande partner economico della Tunisia. Ci saranno investimenti anche per migliorare la connettività della Tunisia, per il turismo e l’agricoltura. 150 milioni verranno stanziati per il ’#Medusa_submarine_cable' tra Europa e Tunisia;

      4) energia pulita: la Tunisia ha «potenzialità enormi» per le rinnovabili. L’ Europa ha bisogno di «fonti per l’energia pulita. Questa è una situazione #win-win. Abbiamo stanziato 300 milioni per questo progetto ed è solo l’inizio»;

      5) migranti: «Bisogna stroncare i trafficanti - dice Von der Leyen - e distruggere il loro business». Ue e Tunisia coordineranno le operazioni Search and Rescue. Per questo sono stanziati 100 milioni di euro.

      Le dichiarazioni del Presidente Kais Saied

      «Dobbiamo trovare delle vie di collaborazione alternative a quelle con il Fondo Monetario Internazionale, che è stato stabilito dopo la seconda Guerra mondiale. Un regime che divide il mondo in due metà: una metà per i ricchi e una per i poveri eche non doveva esserci». Lo ha detto il presidente tunisino Kais Saied nelle dichiarazioni alla stampa da Cartagine.

      «Il Memorandum dovrebbe essere accompagnato presto da accordi attuativi» per «rendere umana» la migrazione e «combattere i trafficanti. Abbiamo oggi un’assoluta necessità di un accordo comune contro la migrazione irregolari e contro la rete criminale di trafficanti».

      «Grazie a tutti e in particolare la premier Meloni per aver risposto immediatamente all’iniziativa tunisina di organizzare» un vertice sulla migrazione con i Paesi interessati.

      https://www.rainews.it/articoli/2023/07/memorandum-dintesa-tra-unione-europea-e-tunisia-la-premier-meloni-von-der-le
      #memorandum_of_understanding #développement #énergie #énergie_renouvelable #économie #tourisme #jeunes #jeunesse #smugglers #traficants_d'êtres_humains #aide_financière

    • La Tunisie et l’Union européenne signent un partenariat sur l’économie et la politique migratoire

      La présidente de la Commission européenne s’est réjouie d’un accord destiné à « investir dans une prospérité partagée », évoquant cinq piliers dont l’immigration irrégulière. La Tunisie est un point de départ pour des milliers de migrants vers l’Europe.

      L’Union européenne (UE) et la Tunisie ont signé dimanche 16 juillet à Tunis un protocole d’accord pour un « partenariat stratégique complet » portant sur la lutte contre l’immigration irrégulière, les énergies renouvelables et le développement économique de ce pays du Maghreb. La présidente de la Commission européenne, Ursula von der Leyen, s’est réjouie d’un accord destiné à « investir dans une prospérité partagée », évoquant « cinq piliers », dont les questions migratoires.

      La Tunisie est un point de départ pour des milliers de migrants qui traversent la Méditerranée vers l’Europe. Les chefs de gouvernement italien, Giorgia Meloni, et néerlandais, Mark Rutte, accompagnaient la dirigeante européenne après une première visite il y a un mois, pendant laquelle ils avaient proposé ce partenariat.

      Il s’agit « d’une nouvelle étape importante pour traiter la crise migratoire de façon intégrée », a dit Mme Meloni, qui a invité le président tunisien, Kais Saied, présent à ses côtés, à participer dimanche à Rome à un sommet sur les migrations. Celui-ci s’est exprimé à son tour pour insister sur le volet de l’accord portant sur « le rapprochement entre les peuples ».

      « Nouvelles relations avec l’Afrique du Nord »

      Selon Mme Meloni, le partenariat entre la Tunisie et l’UE « peut être considéré comme un modèle pour l’établissement de nouvelles relations avec l’Afrique du Nord ». M. Rutte a pour sa part estimé que « l’accord bénéficiera aussi bien à l’Union européenne qu’au peuple tunisien », rappelant que l’UE est le premier partenaire commercial de la Tunisie et son premier investisseur. Sur l’immigration, il a assuré que l’accord permettra de « mieux contrôler l’immigration irrégulière ».

      L’accord prévoit une aide de 105 millions d’euros pour lutter contre l’immigration irrégulière et une aide budgétaire de 150 millions d’euros alors que la Tunisie est étranglée par une dette de 80 % de son produit intérieur brut (PIB) et est à court de liquidités. Lors de sa première visite, la troïka européenne avait évoqué une « assistance macrofinancière de 900 millions d’euros » qui pouvait être fournie à la Tunisie sous forme de prêt sur les années à venir.

      Mme von der Leyen a affirmé dimanche que Bruxelles « est prête à fournir cette assistance dès que les conditions seront remplies ». Cette « assistance » de l’UE est conditionnée à un accord entre la Tunisie et le Fonds monétaire international (FMI) pour un nouveau crédit du Fonds, un dossier qui est dans l’impasse depuis des mois.

      https://www.lemonde.fr/afrique/article/2023/07/16/la-tunisie-et-l-union-europeenne-signent-un-partenariat-sur-l-economie-et-la

    • Les députés reprochent à la Commission européenne d’avoir signé un accord avec un « cruel dictateur » tunisien

      Des eurodéputés ont dénoncé mardi le protocole d’accord signé par l’UE avec la Tunisie.

      L’accord a été conclu dimanche après une réunion à Tunis entre le président tunisien Kaïs Saïed et la présidente de la Commission européenne Ursula von der Leyen, accompagnée de la Première ministre italienne Giorgia Meloni et du Premier ministre néerlandais Mark Rutte.

      Le texte, qui doit encore être précisé, prévoit l’allocation d’au moins 700 millions d’euros de fonds européens, dont certains sous forme de prêts, dans le cadre de cinq piliers : la stabilité macroéconomique, l’économie et le commerce, la transition verte, les contacts interpersonnels et les migrations.

      Ursula von der Leyen a présenté le mémorandum comme un « partenariat stratégique et global ». Mais les eurodéputés ont adopté un point de vue très critique sur la question. Ils dénoncent les contradictions entre les valeurs fondamentales de l’Union européenne et le recul démocratique en cours en Tunisie. Ils ont également déploré l’absence de transparence démocratique et de responsabilité financière.

      La figure de Kaïs Saïed, qui a ouvertement diffusé des récits racistes contre les migrants d’Afrique subsaharienne a fait l’objet des reproches de la part des parlementaires.

      https://twitter.com/sylvieguillaume/status/1681221845830230017

      « Il est très clair qu’un accord a été conclu avec un dictateur cruel et peu fiable », a dénoncé Sophie in ’t Veld (Renew Europe). « Le président Saïed est un dirigeant autoritaire, ce n’est pas un bon partenaire, c’est un dictateur qui a augmenté le nombre de départs ».

      S’exprimant au nom des sociaux-démocrates (S&D), Birgit Sippel a accusé les autorités tunisiennes d’abandonner les migrants subsahariens dans le désert « sans nourriture, sans eau et sans rien d’autre », un comportement qui a déjà été rapporté par les médias et les organisations humanitaires.

      « Pourquoi la Tunisie devrait-elle soudainement changer de comportement ? Et qui contrôle l’utilisation de l’argent ? » interroge Birgit Sippel, visiblement en colère.

      « Nous finançons à nouveau un autocrate sans contrôle politique et démocratique au sein de cette assemblée. Ce n’est pas une solution. Cela renforcera un autocrate en Tunisie », a-t-elle ajouté.

      https://twitter.com/NatJanne/status/1680982627283509250

      En face, la Commissaire européenne en charge des Affaires intérieures Ylva Johansson, a évité toute controverse et a calmement défendu le mémorandum UE-Tunisie. La responsable suédoise a souligné que le texte introduit des obligations pour les deux parties.

      « Il est clair que la Tunisie est sous pression. Selon moi, c’est une raison de renforcer et d’approfondir la coopération et d’intensifier le soutien à la Tunisie », a-t-elle répondu aux députés européens.

      Selon Ylva Johansson, 45 000 demandeurs d’asile ont quitté la Tunisie cette année pour tenter de traverser la « route très meurtrière » de la Méditerranée centrale. Cette « augmentation considérable » suggère un changement du rôle de la Tunisie, de pays d’origine à pays de transit, étant donné que « sur ces 45 000, seuls 5 000 étaient des citoyens tunisiens ».

      « Il est très important que notre objectif principal soit toujours de sauver des vies, d’empêcher les gens d’entreprendre ces voyages qui finissent trop souvent par mettre fin à leur vie, c’est une priorité », a poursuivi la Commissaire.

      Les députés se sont concentrés sur les deux enveloppes financières les plus importantes de l’accord : 150 millions d’euros pour l’aide budgétaire et 105 millions d’euros pour la gestion des migrations, qui seront toutes les deux déboursées progressivement. Certains eurodéputés ont décrit l’aide budgétaire, qui est censée soutenir l’économie fragile du pays, comme une injection d’argent dans les coffres privés de Kaïs Saïed qui serait impossible à retracer.

      « Vous avez financé un dictateur qui bafoue les droits de l’homme, qui piétine la démocratie tunisienne que nous avons tant soutenue. Ne nous mentez pas ! », s’est emporté Mounir Satouri (les Verts). « Selon nos analyses, les 150 et 105 millions d’euros sont une aide au Trésor (tunisien), un versement direct sur le compte bancaire de M. Kaïs Saïed ».

      https://twitter.com/alemannoEU/status/1680659154665340928

      Maria Arena (S&D) a reproché à la Commission européenne de ne pas avoir ajouté de dispositions supplémentaires qui conditionneraient les paiements au respect des droits de l’homme.

      « Nous donnons un chèque en blanc à M. Saïed, qui mène actuellement des campagnes racistes et xénophobes, soutenues par sa police et son armée », a déclaré l’eurodéputée belge.

      « Croyez-vous vraiment que M Saïed, qui a révoqué son parlement, qui a jeté des juges en prison, qui a démissionné la moitié de sa juridiction, qui interdit maintenant aux blogueurs de parler de la question de l’immigration et qui utilise maintenant sa police et son armée pour renvoyer des gens à la frontière (libyenne), croyez-vous vraiment que M. Saïed va respecter les droits de l’homme ? Madame Johansson, soit vous êtes naïve, soit vous nous racontez des histoires ».

      Dans ses réponses, Ylva Johansson a insisté sur le fait que les 105 millions d’euros affectés à la migration seraient « principalement » acheminés vers des organisations internationales qui travaillent sur le terrain et apportent une aide aux demandeurs d’asile, comme l’Organisation internationale pour les migrations (OIM), bien qu’elle ait admis que certains fonds seraient en fait fournis aux agents tunisiens sous la forme de navires de recherche et de sauvetage et de radars.

      https://twitter.com/vonderleyen/status/1680626156603686913

      « Permettez-moi d’insister sur le fait que la Commission européenne, l’UE, n’est pas impliquée dans le refoulement de ressortissants de pays tiers vers leur pays d’origine. Ce que nous faisons, c’est financer, par l’intermédiaire de l’OIM, les retours volontaires et la réintégration des ressortissants de pays tiers », a souligné la Commissaire.

      « Je ne suis pas d’accord avec la description selon laquelle la Tunisie exerce un chantage. Je pense que nous avons une bonne coopération avec la Tunisie, mais il est également important de renforcer cette coopération et d’augmenter le soutien à la Tunisie. Et c’est l’objectif de ce protocole d’accord ».

      https://fr.euronews.com/my-europe/2023/07/18/les-deputes-reprochent-a-la-commission-europeenne-davoir-signe-un-accor

  • 7 juin : rassemblement en soutien aux victimes de perquisitions et GAV lundi 5 Juin, affaire Lafarge
    https://ricochets.cc/7-juin-rassemblement-en-soutien-aux-victimes-de-perquisitions-et-GAV-lundi

    Différents groupes relaient cet appel pour ce soir : Rassemblons-nous ! Rendez-vous aujourd’hui, mercredi 7 Juin à 19h, devant la Préfécture de la #Drôme, 3 Bd Vauban, 26000 #Valence, en soutien aux victimes de la vague de perquisitions et de garde-à-vues du lundi 5 Juin. Co voiturage Crest 18h15 à la Gare, 18h25 au casino Texte d’appel « Ces actions démesurées et barbares des forces de l’ordre sont en lien avec une action de désobéissance menée contre un site Lafarge en Décembre. Voici le message d’appel à (...) #Les_Articles

    / Drôme, Valence, #Procès,_justice,_répression_policière_ou_judiciaire