• “Sotto l’acqua”. Le storie dimenticate dei borghi alpini sommersi in nome del “progresso”

    I grandi invasi per la produzione di energia idroelettrica hanno segnato nei primi decenni del Novecento l’inizio della colonizzazione dei territori montani. #Fabio_Balocco, giornalista e scrittore di tematiche ambientali, ne ha raccolto le vicende in un libro. Un lavoro prezioso anche per comprendere l’attuale dibattito su nuove dighe e bacini a favore di agricoltura intensiva e innevamento artificiale

    Un campanile solitario emerge dalle acque del Lago di Rèsia, in Val Venosta, un invaso realizzato per produrre energia idroelettrica. Quella che per i turisti di oggi è una curiosa attrazione, è in realtà ciò che rimane di una borgata alpina sommersa in nome del “progresso”. Quella del campanile che sorge dalle acque è un’immagine iconica che in tanti conoscono. Ma non si tratta di un caso isolato: molti altri abitati alpini furono sommersi nello scorso secolo, sacrificati sullo stesso altare. Soprattutto nel Piemonte occidentale, dove subirono la sorte le borgate di Osiglia, Pontechianale, Ceresole Reale, Valgrisenche, e un intero Comune come Agàro, nell’Ossola. A raccontare queste storie pressoché dimenticate è il giornalista e scrittore Fabio Balocco nel suo recente saggio “Sotto l’acqua. Storie di invasi e di borghi sommersi” pubblicato da LAReditore.

    Balocco, perché ha scelto di raccontare queste storie?
    FB Tutto è iniziato con un’inchiesta per la rivista Alp (mensile specializzato in montagna e alpinismo, chiuso nel 2013, ndr) che feci a metà anni Novanta, incentrata proprio su queste storie dei borghi sommersi per produrre energia. Un fenomeno che caratterizzò soprattutto gli anni Venti e Trenta del Novecento per alimentare le industrie della pianura. Sono sempre stato attratto dalle storie “minime”, quelle dei perdenti, in questo caso le popolazioni alpine sacrificate appunto sull’altare dello sviluppo. È quella che io chiamo “la storia con la esse minuscola”. La nascita del libro è dovuta sia al fatto che siamo sulla soglia del secolo da quando iniziarono i primi lavori e sia dal ritorno nel dibattito politico del tema di nuovi invasi. Infine, penso sia necessario parlarne per ricordare che nessuna attività umana è esente da costi ambientali e talvolta anche sociali, come in questi casi che ho trattato.

    Nel libro afferma che l’idroelettrico ha portato ai primi conflitti nelle terre alte, tradendo la popolazione alpina. In che modo è successo?
    FB I grandi invasi per produzione di energia idroelettrica hanno segnato l’inizio della colonizzazione dei territori montani, che fino ad allora non erano stati intaccati dal punto di vista ambientale e sociale da parte del capitale della pianura. Queste opere costituirono l’inizio della colonizzazione di quelle che oggi vengono anche definite “terre alte”, colonizzazione che è proseguita soprattutto con gli impianti sciistici e le seconde case. Vale poi la pensa di sottolineare che almeno due invasi, quello di Ceresole Reale e quello di Beauregard, in Valgrisenche, comportarono la sommersione di due dei più suggestivi paesaggi delle Alpi occidentali.

    Che ruolo hanno avuto le dighe nello spopolamento delle terre alpine?
    FB È bene ricordare che nell’arco alpino occidentale lo spopolamento era già in atto agli inizi del Novecento in quanto spesso per gli abitanti delle vallate alpine era più facile trovare lavoro oltreconfine. Un caso esemplare è quello della migrazione verso la Francia che caratterizzò la Val Varaita, dove fu realizzato l’invaso di Pontechianale. Le dighe non contribuirono in modo diretto allo spopolamento ma causarono l’allontanamento di centinaia di persone dalle loro case che venivano sommerse dalle acque, e molti di questi espropriati non ricevettero neppure un compenso adeguato a comprare un nuovo alloggio, oppure persero tutto il denaro a causa dell’inflazione, come accadde a Osiglia, a seguito dello scoppio Seconda guerra mondiale. Queste popolazioni subirono passivamente le imposizioni, senza mettere in atto delle vere e proprie lotte anche se sapevano che avrebbero subito perdite enormi. Ci furono solo alcuni casi isolati di abitanti che furono portati via a forza. Questo a differenza di quanto avvenuto in Francia, a Tignes, negli anni Quaranta, dove dovette intervenire l’esercito per sgomberare la popolazione. Da noi il sentimento comune fu di rassegnazione.

    Un’altra caratteristica di queste storie è lo scarso preavviso.
    FB Tutto l’iter di approvazione di queste opere avvenne sotto traccia e gli abitanti lo vennero a sapere in modo indiretto, quasi di straforo. Semplicemente si accorgevano della presenza di “stranieri”, spesso tecnici venuti a effettuare lavori di prospezione, e solo con un passaparola successivo venivano a conoscenza dell’imminente costruzione della diga. Anche il tempo a loro lasciato per abbandonare le abitazioni fu di solito molto breve. Le imprese della pianura stavano realizzando degli interessi superiori e non erano interessate a informare adeguatamente le popolazioni coinvolte. Le opere furono realizzate da grandi imprese specializzate che si portavano dietro il loro personale. Si trattava di lavori spesso molto specialistici e solo per le mansioni di bassa manovalanza venne impegnata la popolazione locale. D’altra parte, questo incontro tra il personale delle imprese e i locali portò a conseguenze di carattere sociale in quanto i lavori durarono diversi anni e questa intrusione portò anche alla nascita di nuovi nuclei familiari.

    Differente è il caso di Badalucco, dove negli anni Sessanta gli abitanti riuscirono a opporsi alla costruzione della diga. In che modo?
    FB Badalucco è sempre un Comune alpino, sito in Valle Argentina, in provincia di Imperia e anche lì si voleva realizzare un grande invaso all’inizio degli anni Sessanta. Ma qui le cose andarono in maniera diversa, sicuramente anche perché nel 1959 c’era stata una grave tragedia in Francia quando la diga del Malpasset crollò provocando la morte di quasi 500 persone. A Badalucco ci fu quindi una vera e propria sollevazione popolare guidata dallo stesso sindaco del Comune, sollevazione che, anche attraverso scontri violenti, portò alla rinuncia da parte dell’impresa. L’Enel ha tentato di recuperare il progetto (seppure in forma ridotta) nei decenni successivi trovando però sempre a una forte opposizione locale, che dura tuttora.

    Il governo promette di realizzare nuove dighe e invasi. È una decisione sensata? Che effetti può avere sui territori montani?
    FB A parte i mini bacini per la produzione di neve artificiale nelle stazioni sciistiche, oggi vi sono due grandi filoni distinti: uno è il “vecchio” progetto “Mille dighe” voluto da Eni, Enel e Coldiretti con il supporto di Cassa depositi e prestiti, che consiste nella realizzazione di un gran numero di piccoli invasi a sostegno soprattutto dell’agricoltura, ma anche per la fornitura di acqua potabile. Poi vi sono invece i progetti di nuovi grandi sbarramenti, come quello previsto lungo il torrente Vanoi, tra Veneto e Trentino, o quelli di Combanera, in Val di Lanzo, e di Ingria, in Val Soana, in Piemonte. Come dicevo, oggi l’esigenza primaria non è tanto la produzione di elettricità quanto soprattutto l’irrigazione e, in minor misura, l’idropotabile. Si vogliono realizzare queste opere senza però affrontare i problemi delle perdite degli acquedotti (che spesso sono dei colabrodo) né il nostro modello di agricoltura. Ad esempio, la maggior parte dell’acqua utilizzata per i campi finisce in coltivazioni, come il mais, per produrre mangimi destinati agli allevamenti intensivi. Questo senza considerare gli impatti ambientali e territoriali che le nuove opere causerebbero. In buona sostanza, bisognerebbe ripensare il nostro modello di sviluppo prima di tornare a colonizzare nuovamente le terre alte.

    https://altreconomia.it/sotto-lacqua-le-storie-dimenticate-dei-borghi-alpini-sommersi-in-nome-d

    #montagne #Alpes #disparitions #progrès #villages #barrages #barrages_hydro-électriques #énergie_hydro-électrique #énergie #colonisation #industrialisation #histoire #histoires #disparition #terre_alte #Badalucco #Osiglia #Pontechianale #Ceresole_Reale #Valgrisenche #Agàro #Beauregard #Ceresole_Reale #Mille_dighe #Vanoi #Combanera #Ingria

    • Sotto l’acqua. Storie di invasi e di borghi sommersi

      Circa un secolo fa iniziò, nel nostro paese, il fenomeno dell’industrializzazione. Ma questo aveva bisogno della forza trainante dell’energia elettrica. Si pensò allora al potenziale rappresentato dagli innumerevoli corsi d’acqua che innervavano le valli alpine. Ed ecco la realizzazione di grandi bacini di accumulo per produrre quella che oggi chiamiamo energia pulita o rinnovabile. Ma qualsiasi azione dell’uomo sull’ambiente non è a costo zero e, nel caso dei grandi invasi idroelettrici, il costo fu anche e soprattutto rappresentato dal sacrificio di intere borgate o comuni che venivano sommersi dalle acque. Quest’opera racconta, tramite testimonianze, ricordi e fotografie, com’erano quei luoghi, seppur limitandosi all’arco alpino occidentale. Prima che se ne perda per sempre la memoria.

      https://www.ibs.it/sotto-acqua-storie-di-invasi-libro-fabio-balocco/e/9791255450597

      #livre

  • More than 50,000 unaccompanied child migrants went missing in Europe : Survey

    Highest number in Italy with nearly 23,000, notes Lost in Europe project

    More than 50,000 unaccompanied child migrants went missing after arriving in Europe, a survey by a European journalism project revealed Tuesday.

    “Italy has the highest number of registered missing unaccompanied minors, with 22,899, followed by Austria (20,077), Belgium (2,241), Germany (2,005), and Switzerland (1,226),” according to the Lost in Europe project, which gathered data from 13 European countries from 2021 - 2023.

    It said the number of missing children may be even higher because data is often unreliable and incomplete, and many European countries do not collect data on missing unaccompanied minors.

    “These shocking findings underscore the seriousness of the issue, with thousands of children missing and their whereabouts unknown,” it said.

    Aagje Ieven, head of Missing Children Europe, said, “The increased number of reports on missing unaccompanied minors serves as a sharp reminder of the giant iceberg that looms beneath the surface.”

    https://www.aa.com.tr/en/europe/more-than-50-000-unaccompanied-child-migrants-went-missing-in-europe-survey/3206605

    #disparitions #MNA #mineurs_non_accompagnés #enfants #enfance #migrations #asile #réfugiés #Italie #Autriche #Belgique #Allemagne #Suisse

    –-

    A mettre en lien avec les statistiques et chiffres des « enfants réfugiés disparus en Europe » —> l’exemple d’Ancona montre les raisons des départs de #MNA des centres d’accueil en Italie :
    https://seenthis.net/messages/714320

  • Les « vols de la mort » n’ont pas épargné le Mexique
    https://www.lemonde.fr/international/article/2024/04/22/les-vols-de-la-mort-n-ont-pas-epargne-le-mexique_6229081_3210.html

    Les avions n’allaient pas très loin, à 50 miles de la côte Pacifique, où la profondeur atteint déjà 3 000 mètres. Les corps des opposants assassinés étaient au préalable mis dans des sacs et lestés de pierres, pour s’assurer qu’ils ne remonteraient pas à la surface. Les appareils décollaient depuis la base aérienne n° 7 à Pie de la Cuesta, à 10 kilomètres de la célèbre station touristique d’Acapulco, très prisée alors des stars d’Hollywood.

    Une enquête, menée par les instances judiciaires militaires et enfin dévoilée dans sa quasi-intégralité, en novembre dernier, a montré que les « vols de la mort » ont donc également existé au Mexique, pour jeter à la mer les cadavres de personnes éliminées car considérées comme subversives.

    [...]

    « Deux décennies plus tard, nous avons enfin accès à l’ensemble de l’instruction, et pouvons présenter ces témoignages et documents-clés. Il manque toujours pourtant le document le plus important : les noms de ceux qui ont été jetés à la mer »

    https://justpaste.it/4sbj3

    #disparitions_forcées #Mexique

  • Au Mexique, des manifestants enfoncent la porte du palais présidentiel
    https://www.lemonde.fr/international/article/2024/03/06/au-mexique-des-manifestants-enfoncent-la-porte-du-palais-presidentiel_622049

    Plusieurs dizaines de personnes, qui manifestaient mercredi 6 mars contre l’enlèvement et la disparition en 2014 de #43 étudiants de l’école normale d’#Ayotzinapa, ont enfoncé une des portes du palais présidentiel à Mexico, selon des images de la chaîne Milenio. Sur ces images, on voit les manifestants utiliser un pick-up pour enfoncer la porte avant que certains d’entre eux, le visage masqué, ne pénètrent dans le palais.
    [...]
    Des manifestants avaient déjà tenté d’attaquer les portes du Palais national, siège de la présidence depuis 2018, mais c’est la première fois qu’ils atteignent leur but. Les proches des 43 disparus, accompagnés de leurs avocats, de militants et d’étudiants, manifestent régulièrement dans le centre de Mexico, surtout à l’approche de la date anniversaire du drame. Un campement à la mémoire des disparus est installé sur la principale artère du centre de la capitale, face au Palais national.
    Le président a assuré que les manifestants seraient écoutés par un membre du ministère de l’intérieur. Il a estimé que les avocats et les activistes qui accompagnent les parents étaient motivés par des « objectifs politiques ».

    #Disparitions_forcées #manifestation

  • Guerre Israël-Hamas : Des exécutions et des viols de femmes palestiniennes ont eu lieu à Gaza, estiment des experts La Libre - Belga

    Des experts indépendants liés aux Nations unies sont profondément préoccupés par des “allégations crédibles” d’exécutions et de viols de filles et de femmes par les forces israéliennes dans la bande de Gaza et en Cisjordanie. C’est ce qu’a annoncé lundi un groupe d’experts du Conseil des droits de l’homme des Nations unies.

    Ces experts, dont la rapporteuse spéciale de l’ONU sur la violence à l’égard des femmes, Reem Alsalem, ont dit avoir reçu des informations sur des exécutions “ciblées” de femmes palestiniennes dans la bande de Gaza, souvent en compagnie de membres de leur famille et d’enfants.

    Depuis l’attaque du Hamas le 7 octobre, des centaines d’autres Palestiniennes, dont des défenseures des droits de l’homme, des journalistes et des travailleuses humanitaires, auraient également été détenues arbitrairement à Gaza et en Cisjordanie.

    ”De nombreuses femmes auraient été soumises à des traitements inhumains et dégradants, privées de serviettes hygiéniques, de nourriture et de médicaments, et gravement maltraitées. Lors d’un incident au moins, des femmes palestiniennes de Gaza auraient été détenues dans une cage sous la pluie et dans le froid, sans nourriture”, dénoncent ces experts dans un communiqué de presse.

    Un nombre inconnu de femmes seraient par ailleurs portées disparues après avoir été en contact avec l’armée israélienne.

    Les experts, qui travaillent bénévolement pour les Nations unies, se disent particulièrement préoccupés par les “multiples formes d’agression sexuelle” dont sont victimes les prisonnières palestiniennes de la part des forces israéliennes. Elles seraient notamment fouillées nues.

    Selon les informations disponibles, au moins deux prisonnières palestiniennes auraient été violées et d’autres menacées de viol et de violence sexuelle.

    On ignore d’où proviennent les informations relayées par ce groupe d’experts et s’il les a vérifiées de manière indépendante.

    Ces experts du Conseil des droits de l’homme des Nations unies appellent en tous les cas à une enquête indépendante sur ces allégations et demandent à Israël d’y coopérer.

    #Femmes en #cage et leur #Filles #Palestiniennes #génocide #violence #viols #exécutions #agressions #disparitions #ONU #Gaza #israel

    Source : https://www.lalibre.be/international/moyen-orient/2024/02/20/guerre-israel-hamas-des-executions-et-des-viols-de-femmes-palestiniennes-ont

  • Enquête vidéo : à Gaza, des humiliations publiques de prisonniers palestiniens par Israël
    https://www.lemonde.fr/international/video/2024/01/17/enquete-video-a-gaza-des-humiliations-publiques-et-illegales-de-prisonniers-

    Le Monde fait un petit effort... Mais il lui échappe encore que de jeunes enfants et des personnes nettement âgées ont été photographiées dans ces circonstances. (C’était sur CNN il y a 15 jours, ce n’est pas monstrueux comme enquête ! https://edition.cnn.com/2023/12/27/middleeast/gaza-children-detained-idf-video/index.html)

  • Émigration irrégulière : Le président des Quais de pêche alerte sur la disparition de 10 pirogues avec 1 500 personnes
    https://www.seneweb.com/news/Societe/emigration-irreguliere-le-president-des-_n_428510.html

    Émigration irrégulière : Le président des Quais de pêche alerte sur la disparition de 10 pirogues avec 1 500 personnes
    Par : Adama Sy - Seneweb.com | 19 décembre, 2023 à 14:12:50 | Lu
    Émigration irrégulière : Le président des Quais de pêche alerte sur la disparition de 10 pirogues avec 1 500 personnes
    Le phénomène de l’émigration irrégulière reste toujours un sujet d’actualité. Sur Rfm, le président national des Quaies de pêche du Sénégal sonne l’alerte. Selon lui, 10 pirogues de pêcheurs et plus de 1 500 personnes ont disparu en mer, depuis plus de deux mois. Pierre Mboup souligne que les recherches sont restées infructueuses et interpelle les autorités compétentes."Certains disent que c’est l’accalmie dans les eaux. Mais tel n’est pas le cas. Les pirogues continuent toujours de rallier l’Espagne. Il y a une pirogue de Bargny avec à son bord 173 personnes ; cela fait deux mois qu’elle reste introuvable. Et il y en a bien d’autres, comme celle de Mbour avec 30 personnes. Il y a aussi une autre de Cayar avec 80 personnes, à Thiaroye, à Yarakh, à Saint-Louis, à Joal et en Casamance. Bref, 10 pirogues qui sont introuvables depuis presque deux mois", souligne le président Mboup sur Rfm. Il ajoute : « Le bilan tourne autour de 1 500 personnes portées disparues. Nous avons alerté les autorités pour des recherches, mais sans succès. Nous avons perdu beaucoup de pêcheurs qui tentaient l’émigration irrégulière. Nous lançons un appel aux autorités pour qu’elles nous aident à les retrouver. »

    #Covid-19#migrant#migration#senegal#migrationirreguliere#emigration#mortalite#traversee#atlantique#disparitions#sante#atlantique

  • CARTOGRAPHIE DES VIOLATIONS SUBIES PAR LES PERSONNES EN DEPLACEMENT EN TUNISIE

    L’#OMCT publie aujourd’hui un rapport, « Les routes de la torture : Cartographie des violations subies par les personnes en déplacement en Tunisie » qui met en lumière l’ampleur et la nature des violations des #droits_humains commises en Tunisie entre juillet et octobre 2023 à l’encontre de migrant-e-s, réfugié-e-s et demandeurs d’asile.

    Depuis octobre 2022, la Tunisie a connu une intensification progressive des violations à l’encontre des personnes en déplacement essentiellement d’origine subsaharienne, sur fond de #discrimination_raciale. Le discours présidentiel du 21 février 2023 les a rendues encore plus vulnérables, et le mois de juillet 2023 a représenté un tournant dans l’échelle et le type des violations des #droits_humains commises, avec une recrudescence des #arrestations et des #détentions_arbitraires, des #déplacements_arbitraire et forcés, ayant donné lieu à des #mauvais_traitement, des #tortures, des #disparitions et, dans plusieurs cas, des #décès. Ce cycle d’#abus commence avec une situation d’irrégularité qui accroît leur #vulnérabilité et qui les expose au risque de violations supplémentaires.

    Cependant, malgré l’ampleur des violations infligées, celles-ci ont été très largement passées sous silence, invisibilisant encore davantage une population déjà marginalisée. A traves les voix de victimes directes de violations ayant voulu partager leurs souffrances avec l’OMCT, ce rapport veut contribuer à contrer cette dynamique d’#invisibilisation des migrant-e-s, refugié-e-s et demandeurs d’asile résidant en Tunisie, qui favorise la perpétuation des violations et un climat d’#impunité.

    Le rapport s’appuie notamment sur plus de 30 entretiens avec des représentant-e-s d’organisations partenaires et activistes travaillant sur tout le territoire tunisien et une vingtaine de témoignages directes de victimes de violence documentés par l’OMCT et ses partenaires. Il dresse une cartographie des violations infligées aux migrants, parmi lesquelles les expulsions forcées des logements, les #violences physiques et psychologiques exercées aussi bien par des citoyens que par des agents sécuritaires, le déni d’#accès_aux_soins, les arrestations et détentions arbitraires, les déplacements arbitraires et forcés sur le territoire tunisien, notamment vers les zones frontalières et les #déportations vers l’Algérie et la Libye. Les interactions avec les forces de l’ordre sont généralement assorties de torture et mauvais traitements tandis que les victimes sont privées, dans les faits, du droit d’exercer un recours contre ce qu’elles subissent.

    Cette #violence institutionnelle touche indistinctement les personnes en déplacement, indépendamment de leur statut, qu’elles soient en situation régulière ou non, y compris les réfugié-e-s et demandeurs d’asile. Les victimes, hommes, femmes, enfants, se comptent aujourd’hui par milliers. A la date de publication de ce rapport, les violations se poursuivent avec une intensité et une gravité croissante, sous couvert de lutte contre l’immigration clandestine et les réseaux criminels de trafic d’êtres humains. La Tunisie, en conséquence, ne peut être considérée comme un pays sûr pour les personnes en déplacement.

    Ce rapport souhaite informer les politiques migratoires des décideurs tunisiens, européens et africains vers une prise en compte décisive de l’impact humain dramatique et contre-productif des politiques actuelles.

    https://omct-tunisie.org/2023/12/18/les-routes-de-la-torture

    #migrations #asile #réfugiés #Tunisie #rapport

    ping @_kg_

  • Thousands of Palestinian Workers Have Gone Missing in Israel

    Thousands of Palestinian day laborers from Gaza are stranded in Israel amid the explosion in #violence. Israel has revoked their work permits, and their families fear they may be imprisoned — or worse.

    There are few groups in history who have suffered as many waves of dispossession and displacement in such a short period as the Palestinian people. On May 15, 1948, over 700,000 Palestinians were driven out of their homeland and over 500 Palestinian villages were destroyed in what is known as the Nakba or “catastrophe.”

    The Nakba isn’t a fixed historical event but an ongoing phenomenon characterized by seventy-five years of occupation, colonial violence, and displacement. The Gaza Strip, one of the most densely populated places on earth, is home to many of these refugees — some still have the keys to their former homes. The past three weeks have been particularly difficult; over 8,000 Palestinians have been killed by Israeli bombardments on mosques, schools, hospitals, and residential buildings.

    Since 2007, Gaza has been economically suffocated by a siege that stops food, medicine, and construction materials from getting in. The unemployment rate stands at 47 percent. It’s why so many have jumped at the opportunity since October 2021 to access work permits to earn a living as day laborers in Israel. The process of applying for a work permit is arduous and unpredictable. Israel issues these permits through a quota system, and many applicants are denied. Those who secure permits face daily challenges, including long waits at border crossings, strict security checks, and grueling commutes. There are 19,000 Palestinians from Gaza in this position.

    Yasmin, a Palestinian trade union organizer, says these workers work the most undesirable, dangerous, and physically demanding jobs. “You go in, give your labor and go out. You are not considered part of the country. Permits are conditional on Palestinians working in specific industries where there is a lack of an Israeli workforce.”

    Those industries include construction, agriculture, and manufacturing. Serious injury rates are much higher than average, but the desperation to provide for your family means there is no luxury of choice.

    “It is intensive labor with high levels of precarity. There are many deaths in the construction sector. And there is an internal division of labor and power dynamic at play with Palestinian workers the lowest paid and most exploited.”
    Disappeared Workers

    When the latest wave of violence began three weeks ago, the Erez crossing into Gaza was completely closed off. Thousands of Palestinian laborers were stranded on the Israeli side, far from their families and with no source of income. Their work permits were revoked, leaving their lives in flux. It is a familiar pattern for Palestinians: displacement, dispossession, and uncertainty.

    “Some are missing, some are stranded, some have been arrested, and others have been deported to the West Bank,” explains Shaher Saed, general secretary of the Palestinian General Federation of Trade Unions (PGFTU). Saed and his colleagues in Ramallah have been attempting to support Palestinians from Gaza who have been estranged from their families, made homeless, and internally displaced yet again.

    Muhammad Aruri, head of legal affairs for the General Union of Palestinian Workers, tells us that Palestinian families are particularly worried about the condition of their loved ones who have gone missing. “There’s 5,000 that we don’t have any information about. We don’t know if they are dead or alive.”

    Locating these workers isn’t difficult for the Israeli state. As Yasmin explains, “The whole permit system is a surveillance system done in a specific kind of way to help the state locate people in these kinds of scenarios. The last report I heard is that there are 4,000 workers at the moment detained and being interrogated. The state is not letting these workers go back to their families. They are being detained and interrogated or are in the West Bank having to fend for themselves.”

    It is impossible to know how many Palestinian workers are in Israel and how many are detained, as Israeli authorities have failed to respond to enquiries by NGOs. It is estimated that at least 4,000 Palestinian workers from Gaza are currently held by Israeli authorities in undetermined locations, with little to no information about their condition, unclear legal status, and denied their right to legal representation.

    “In the middle of this horrible situation, the Israeli occupation army did not hesitate in inflicting all kinds of harm against the workers, especially those from Gaza who work in Israel,” says Saeed. “They were prevented from returning to their homes, expelled from their workplaces, and transferred to the West Bank without any shelters. This was done after they had been physically assaulted and had their personal belongings confiscated, such as their money, identity cards, and entry permits to Israel.”

    Saeed says the Palestinian General Federation of Trade Unions has received thousands of calls from concerned family members who have lost contact with relatives. “We were informed that many of the workers are under detention in Anatout military camp in northern occupied Jerusalem, under degrading and inhumane conditions. The PGFTU demands to release our workers and take steps to guarantee their safe return to their families. We appeal and call our colleagues and partners in the international trade unions for support and solidarity with the workers to eliminate injustice against them. We demand the Red Cross international make an immediate visit to Anatout detention to check on our workers’ conditions.”

    Some workers were allegedly dumped at West Bank checkpoints, went into nearby cities, and took shelter there. Many workers in Israel fled and sought to make their way to the West Bank, fearing for their safety.

    The detention of Palestinian workers could be unlawful, and Israeli human rights organizations such as Gisha have petitioned for further information on their location and condition.
    Economic Dependency

    In 2017, the Israeli government declassified thousands of pages of meeting transcripts from 1967. In the aftermath of the six-day war, where Israel captured the Gaza Strip, the Golan Heights, the Sinai Peninsula, and the West Bank, a great deal of discussion went on about what to do with these new territories. Using these documents, Dr Omri Shafer Raviv drew attention to how Israeli leaders sought to expand their control over newly occupied populations by bringing Palestinian workers into Israel.

    While the work permit system may provide temporary economic relief to Palestinians, it has created a cycle of dependency with which Israel can access a cheap supply of labor and exercise greater control over Palestinians. Coupled with a siege that prevents sustainable economic development, access to resources, and trade, Palestinians in Gaza are economically subjugated.

    The mobility of Palestinian workers is often restricted at checkpoints where they face frequent interrogation and are often late or miss shifts altogether, incurring significant financial loss. All Palestinian trade passes through Israeli borders and checkpoints. It means much higher logistics costs — crippling Palestinian businesses and forcing many to close.

    The small proportion of workers who are granted work permits have no legal recourse or medical cover and work in industries with a high risk of accidents. They are frequently mistreated by employers who are well aware that Palestinian workers are without the most basic rights and protections.

    The plight of these workers is emblematic of the broader challenges Palestinians face. The economic hardships, insecurity, and exploitation they endure serve as a stark reminder of the urgent need to end the siege on Gaza and the occupation more broadly.

    https://jacobin.com/2023/10/palestinian-workers-missing-detained-israel-occupation-gaza

    #disparus #travailleurs_palestiniens #Palestine #Israël #disparitions #7_octobre_2023 #travail #permis_de_travail

  • Migration : « Inscrivons l’obligation d’identification des défunts anonymes dans le droit européen »

    La recherche d’identité des migrants morts en mer ou sur le territoire européen doit être systématisée afin de permettre aux familles de retrouver leurs proches disparus, plaident quatre professionnels de la médecine légale et des droits humains, dans une tribune au « Monde ».

    Le 9 août, quarante et une personnes ont été portées disparues au large des côtes de Lampedusa (Italie). Les témoignages des quatre survivants nous permettent de savoir que l’embarcation était partie des côtes tunisiennes avec quarante-cinq passagers, dont trois enfants. Cette énième tragédie vient s’ajouter à la longue liste des drames survenus en mer ces dernières années. Elle survient près de dix ans après le naufrage du 3 octobre 2013, là encore au large de Lampedusa, l’une des plus grandes tragédies maritimes du XXIe siècle.

    Dans la nuit du 13 au 14 juin, le naufrage d’une embarcation au large des côtes grecques a entraîné la disparition de plusieurs centaines de personnes. En raison de l’absence de renflouage de l’épave et d’examens médico-légaux, l’identité des hommes, femmes et enfants disparus dans cette tragédie ne sera pas formellement établie.

    Cette absence de collecte de #données_post_mortem ainsi que l’absence d’activation de #procédures de collecte de #données_ante_mortem des proches des #disparus soulèvent de nombreuses questions éthiques et juridiques. Elles entravent en effet la possibilité pour les proches des défunts de faire leur #deuil en l’#absence de #corps, ou d’engager les démarches administratives habituelles en cas de décès, démarches qui nécessitent précisément un #certificat_de_décès.

    Au cours des décennies 2000 et 2010, les #disparitions_anonymes au sein et aux portes de l’Europe ont significativement augmenté. Ce phénomène est intimement lié à la dangerosité croissante des migrations transfrontalières, et notamment des traversées par voies maritimes. Au-delà des disparus en mer, dont l’identité précise demeure bien souvent inconnue, il faut reconnaître la hausse des disparitions anonymes sur le territoire européen. Nous observons l’arrivée croissante, dans nos services médico-légaux de Paris et de Milan, de corps sans aucun élément d’identité et pour lesquels la prise en charge ne fait pas l’objet d’un protocole. Si ce #protocole existe pour les victimes de catastrophe, il est rarement appliqué aux morts du quotidien.

    Transformer l’émotion en action

    Une telle réalité s’inscrit dans un contexte plus général où les sciences médico-légales ont fait des progrès significatifs, notamment en ce qui concerne le prélèvement, le croisement et l’archivage des données morphologiques, biométriques et génétiques. La mise en œuvre d’efforts concertés à l’échelle européenne permettrait d’appliquer le #cadre_législatif qui donnerait une chance à ces #corps_anonymes d’être un jour identifiés.

    En inscrivant dans le #droit européen une obligation étatique d’identification des #défunts_anonymes, imposant la collecte de données scientifiques ante mortem auprès des proches (photographies, radiographies, matériel clinique et génétique) et la comparaison avec les données post mortem recueillies lors d’#autopsies complètes sur les corps anonymes, il nous serait ainsi possible de mettre en place et de consolider des #bases_de_données biométriques contenant les caractéristiques et #profils_génétiques afin de maximiser les chances d’identifier les corps anonymes.

    En réponse à l’onde de choc suscitée par le naufrage du 18 avril 2015, l’Italie avait pris l’initiative de renflouer l’épave du chalutier située à 400 mètres de profondeur, afin de permettre à des travaux d’identification des quelque mille victimes d’être engagés. Cette initiative n’a pas été reconduite lors des naufrages successifs et, dans un silence relatif, nos sociétés se sont habituées à ce que des hommes, des femmes et des enfants puissent disparaître sans laisser de trace et sans que leurs proches soient dûment informés.

    Alors que nous nous préparons à commémorer les 10 ans de la tragédie du 3 octobre 2013, il nous semble nécessaire de transformer l’émotion en action. Nous appelons à un engagement collectif pour mettre en œuvre les efforts nécessaires afin d’accélérer et de garantir la recherche d’identité des défunts anonymes, rendant ainsi à leurs familles les proches disparus qu’elles recherchent encore. Cela ne peut se faire sans un nouvel effort législatif à l’échelle de l’Europe.

    #Charles_Autheman, consultant international spécialisé dans les droits humains ; #Cristina_Cattaneo, professeure titulaire en médecine légale à l’institut Labanof, université de Milan ; #Tania_Delabarde, anthropologue légiste, Institut médico-légal de Paris ; #Bertrand_Ludes, professeur de médecine légale, directeur de l’Institut médico-légal de Paris

    https://www.lemonde.fr/idees/article/2023/08/30/migration-inscrivons-l-obligation-d-identification-des-defunts-anonymes-dans

    #décès #morts #mourir_aux_frontières #identification #biométrie

  • Le Pen en Algérie : lutter contre l’oubli, Fabrice Riceputi
    https://www.mediapart.fr/journal/dossier/culture-et-idees/le-pen-en-algerie-lutter-contre-l-oubli


    Massu décore Le Pen

    Jean-Marie Le Pen, fondateur du Front national devenu Rassemblement national, a d’abord revendiqué d’avoir pratiqué la torture avant de faire volte-face. Alors qu’un certain négationnisme se fait jour, Mediapart revient sur les trois mois du lieutenant d’extrême droite à Alger, en 1957, et rassemble des témoignages jusque-là épars.

    #France #1957 #extrême_droite #Guerre_d'Algérie #Pleins-pouvoirs #disparitions_forcées #tortures #histoire

  • 🛑 Depuis trente ans, des familles réclament la vérité sur les disparitions forcées en Turquie - Basta !

    Dans les années 1980 et 1990, des centaines de personnes ont été enlevées en Turquie, au cours du conflit qui a opposé le PKK et les forces armées. Depuis, leurs familles manifestent chaque samedi pour demander justice malgré les interdictions.

    #Turquie #Kurdistan #répression #torture #disparitions #DroitsHumains #solidarité

    ⏩ Lire l’article complet…
    ▶️ https://basta.media/depuis-trente-ans-des-familles-reclament-la-verite-sur-les-disparitions-for

  • Figlie

    Argentina 1978. Silvia è una donna di 35 anni, una architetta che si oppone alla dittatura, quando viene sequestrata dai militari insieme a sua figlia, Sofia, che ha solo due anni. Da quel momento, madre e figlia non si vedranno mai più: Sofia verrà riconsegnata ai nonni poco dopo il sequestro, mentre Silvia diventerà una dei 30.000 desaparecidos che non hanno fatto più ritorno a casa. Milano, 2022. Sofia, cresciuta in Italia, incontra Sara Poma. Le due donne scoprono di avere un’urgenza comune: quella di elaborare e raccontare il proprio lutto materno. Anche Sara, infatti, ha perso sua madre quando era molto giovane. Questa esigenza le porterà a compiere un viaggio in Argentina sulle tracce di Silvia, ma anche a riflettere sulla natura di un dolore che le ha accompagnate, seppur in maniera diversa, per tutta la loro vita adulta.

    https://www.raiplaysound.it/programmi/figlie

    #podcast #audio #desaparecidos #disparitions #dictature #histoire #Argentine #femmes #maternité #douleur #deuil

  • Personnes mortes ou disparues aux frontières Guide de l’association #Caminando_Fronteras pour les familles des victimes aux frontières (Espagne)

    Ce guide vise à soutenir les familles et à faciliter les opérations de recherche des victimes des frontières. Il fournit des conseils, des avertissements et des stratégies pour surmonter les difficultés que les familles rencontrent tout au long du processus.

    Ce guide, élaboré par l’association espagnole Caminando Fronteras qui travaille depuis des années sur la question des personnes mortes ou disparues aux frontières, vise à soutenir les familles et à faciliter les opérations de recherche des victimes des frontières. Il fournit des conseils, des avertissements et des stratégies pour surmonter les difficultés que les familles rencontrent tout au long du processus.

    Le document est disponible en français, espagnol et anglais.

    L’association a également réalisé, en français et en arabe, une courte vidéo afin de diffuser les principaux conseils aux familles souhaitant entamer des recherches suite à la disparition de leur proche.

    https://www.youtube.com/watch?v=boDe-1-mjDc&embeds_referring_euri=https%3A%2F%2Fwww.lacimade.org%2F

    Pour plus d’information visitez le site internet de Caminando où se trouve le guide et d’autres informations : https://caminandofronteras.org/fr/guide-recherche-personnes-disparues-frontiere

    https://www.lacimade.org/publication/personnes-mortes-ou-disparues-aux-frontieres-guide-de-lassociation-caminan

    #manuel #guide #guidelines #morts_aux_frontières #mourir_aux_frontières #frontières #migrations #asile #réfugiés #La_Cimade

    • Guide Morts et #disparitions dans l’Archipel des #Comores

      La Cimade et ses partenaires publient un guide d’information pour accompagner les personnes à la recherche d’un proche mort ou disparu en mer dans l’archipel des Comores.

      En Méditerranée, les naufrages et les noyades des personnes en exil sont régulièrement médiatisés mais ces drames surviennent également dans d’autres régions migratoires, notamment dans le Sahara (Niger) et dans l’Océan Indien.

      L’archipel des Comores a ainsi longtemps été considéré comme le plus grand « cimetière marin » avant que les drames se succèdent en Méditerranée, avec une estimation du Sénat français (2012) de 7 à 10 000 personnes mortes ou disparues depuis 1995. Si depuis 2015, les incidents de kwassa-kwassa semblent avoir été moins nombreux que par le passé, 2020 montre une recrudescence inquiétante du nombre de décès et de disparition en mer. Le dernier naufrage en date du 24 septembre a fait dix mort·e·s dont un enfant de 7 ans. Cet énième drame s’ajoute aux autres, survenus dans une indifférence intolérable.

      Dans l’archipel des Comores, comme dans d’autres régions du monde, de nombreuses personnes migrantes qui décèdent sur leur parcours migratoire demeurent « non-identifiées ». Derrière chaque personne disparue, il y a une mère, un père, un·e conjoint·e, des enfants, des cousins, des amis, qui trop souvent restent dans l’incertitude et l’impossibilité de faire leur deuil dignement.

      https://www.lacimade.org/publication/guide-morts-et-disparitions-dans-larchipel-des-comores
      #disparus

    • The #Mytilini_Declaration for the Dignified Treatment of all Missing and Deceased Persons and their Families as a Consequence of Migrant Journeys

      On the 11 May 2018, following two days of discussions between experts from across the world, the Mytilini Declaration was agreed. We believe this is a landmark in establishing the rights of and duties toward all those who experience suffering because of the death or disappearance of their loved ones as a result of migrant journeys and we now call upon all countries and international bodies to ensure that these rights are respected and that the standards contained in the Declaration are implemented as a matter of urgency.

      http://lastrights.net/LR_resources/html/LR_mytilini.html

    • Web guide d’information pour les familles de personnes mortes ou disparues en #Méditerranée_centrale

      Plus de 18 000 personnes migrantes ont perdu la vie ou ont été portées disparues en Méditerranée entre 2010 et 2018 selon le Haut-commissariat des Nations unies pour les réfugiés. La plupart d’entre elles restent « non identifiées » et leur famille demeure dans l’attente, l’angoisse et l’espoir.

      Ce web guide vise à donner des conseils aux familles à la recherche d’un proche disparu en Méditerranée, ainsi qu’aux personnes ou associations qui les accompagnent. Il a été conçu comme un guide sur les démarches réalisables en l’absence actuelle de procédures claires, systématiques et pertinentes. Ce format intuitif et ergonomique vise à permettre aux familles et aux associations qui leur viennent en aide d’accéder plus facilement aux informations utiles à la recherche des personnes disparues en mer depuis différents pays. Il ne prétend pas pouvoir résoudre les situations. Malheureusement, à l’heure actuelle, encore trop d’actions entreprises par les familles n’aboutissent pas.

      Les démarches décrites concernent la Méditerranée centrale et l’Italie, mais certaines peuvent être réalisées quel que soit le lieu de la disparition sur le parcours migratoire.

      https://boats4people.org/morts-et-disparus-en-mer-guide-dinformation-pour-les-familles-et-leurs-soutiens/web-guide-dinformation-pour-les-familles-de-personnes-mortes-ou-dispar

      https://boats4people.org/guide/fr/#Accueil

      #Méditerranée

    • Personnes décédées et disparues aux frontières : des outils et des mobilisations !

      Depuis plus plusieurs années, des familles et leurs soutiens appellent à une journée de mobilisation « Commémor’action » le 6 février. A cette occasion, ainsi qu’à celle de la sortie en anglais de son outil « Foire aux questions (FAQ) sur les procédures françaises en cas de décès d’une personne exilée, La Cimade revient sur quelques exemples d’initiatives, d’outils et de mobilisations des familles et de la société civile pour soutenir les proches des victimes, demander justice et commémorer celles et ceux qui ont perdu la vie en migration

      https://www.lacimade.org/personnes-decedees-et-disparues-aux-frontieres-des-mobilisations-commemora

    • La #FAQ procédure : mieux comprendre la procédure française en cas de décès d’une personne exilée pour faciliter l’accompagnement des proches et les familles

      La Cimade publie une Foire aux questions (FAQ) sur la procédure française en cas de décès d’une personne exilée. Cette FAQ est destinée aux personnes et organisations accompagnant des familles ou des proches de personnes exilées décédées sur le territoire français.

      Depuis 20 ans, les politiques des États se durcissent en matière de mobilité : difficultés à accéder à un visa pour une partie de la population mondiale, contrôles renforcés aux frontières à travers le développement de l’agence européenne Frontex, des outils de surveillance aux frontières, ou encore la coopération entre les États de chaque côté des frontières pour tenter d’empêcher les personnes de circuler. Ces différents moyens de mise à l’écart poussent les personnes qui souhaitent partir sur des routes de plus en plus longues et dangereuses, n’ayant, par ailleurs, d’autres choix que de s’en remettre à différents passeurs le long de leur parcours afin de tenter de franchir ces frontières de plus en plus complexes.

      C’est notamment dans ces tentatives de franchissement que des personnes perdent la vie. En Méditerranée, les naufrages et les noyades des personnes en exil sont régulièrement médiatisés. Ces drames surviennent également dans d’autres régions, notamment dans le Sahara (Niger), à la frontière orientale de l’Union européenne (UE) ou encore aux frontières françaises.

      https://www.lacimade.org/publication/la-faq-procedure-mieux-comprendre-la-procedure-francaise-en-cas-de-deces-d
      #France

  • Au Mexique, découverte de 45 sacs contenant des restes humains
    https://www.lemonde.fr/international/article/2023/06/03/au-mexique-decouverte-de-45-sacs-contenant-des-restes-humains_6176015_3210.h

    Quarante-cinq sacs contenant des restes humains ont été découverts dans un ravin de l’Etat de Jalisco, dans l’ouest du #Mexique, au cours de recherches menées pour retrouver huit jeunes travailleurs d’un centre d’appels portés disparus depuis une dizaine de jours, selon les autorités locales.
    [...]
    Ces dernières années, des restes humains ont été retrouvés dans des sacs ou dans des tombes clandestines dans différentes zones de l’Etat de Jalisco, où plus de 15 000 personnes ont disparu depuis 1962. En 2021, 70 sacs contenant les restes humains appartenant à 11 personnes avaient été découverts à Tonala, près de Guadalajara.

    Le Mexique a enregistré plus de 340 000 meurtres et quelque 100 000 #disparitions, principalement attribués à des organisations criminelles, depuis le lancement, en décembre 2006, d’une vaste opération militaire controversée destinée à lutter contre le narcotrafic.

  • « Jeudi Noir » - Rapport d’enquête sur la répression sanglante des manifestation du 20 octobre 2022 au Tchad - OMCT-LTDH - Avril 2023
    https://www.omct.org/site-resources/files/Rapport-Tchad-OMCT-LTDH-_-Avril-2023.pdf

    Le 20 octobre 2022, le Tchad s’est réveillé dans un chaos infernal marqué par une répression sans précédent de manifestants pacifiques écrasés par des bombes lacrymogènes et des tirs à balles réelles de la part des forces de sécurité. Ce « Jeudi Noir » restera dans l’histoire comme le jour de la prise de pouvoir effective du général Mahamat Idriss Déby Itno, fils du défunt président, Idriss Déby Itno, grâce à un recours excessif et brutal à la force en dehors des principes démocratiques constitutionnellement consacrés.
    Six mois après la répression sanglante de manifestations au Tchad, l’Organisation Mondiale Contre la Torture (OMCT) et la Ligue Tchadienne des Droits de l’Homme (LTDH) publient un rapport d’enquête qui documente l’usage planifié et disproportionné de la force armée, la traque des opposants, les disparitions forcées et les déportations massives vers des lieux de détention où la torture a été pratiquée. Trois mois d’enquêtes dans la capitale N’Djamena et les villes de Moundou, Mongo, Doba et Koumra, et une cinquantaine de témoignages de rescapés, de familles de victimes et de témoins oculaires, ont permis d’établir que la répression des manifestations du 20 octobre 2022 par les autorités tchadiennes s’est soldée par la mort de 218 personnes, des dizaines de torturés, des centaines de blessés, au moins 40 cas de disparitions et 1300 arrestations.

    #Tchad #Répression #Torture #Manifestations #Disparitions_forcées

  • Pegasus, Israël et un massacre d’étudiants mexicains
    Jean-Pierre Filiu - 22 janvier 2023
    https://www.lemonde.fr/un-si-proche-orient/article/2023/01/22/pegasus-israel-et-un-massacre-d-etudiants-mexicains_6158842_6116995.html

    L’exposition « Top Secret », que consacre la Cinémathèque française aux films d’espionnage jusqu’au 21 mai, se conclut par une présentation où la réalité dépasse à bien des égards la fiction. Il s’agit de trois vidéos réalisées par le groupe de recherche Forensic Architecture, avec le soutien de l’ONG Amnesty International et de la plate-forme Citizen Lab, sur l’utilisation du logiciel espion Pegasus, entre autres à l’encontre des journalistes et des défenseurs des droits humains.

    Une de ces vidéos traite du cas du Mexique, et plus précisément de la « disparition » de quarante-trois étudiants, dans le sud-ouest du pays, en septembre 2014. Il est en effet avéré que l’ancien juge Tomas Zeron, dont le rôle avait déjà été essentiel dans l’acquisition de Pegasus par les autorités mexicaines, a tout fait pour saboter l’enquête sur ce crime de masse, le logiciel ciblant les familles et les défenseurs des victimes pour mieux les espionner. Malgré un mandat d’arrêt international, M. Zeron a pu trouver refuge en Israël, dont le gouvernement refuse de l’extrader vers le Mexique.
    Cibler les victimes plutôt que les coupables

    Le Monde a été associé à quinze autres rédactions dans le cadre du « Projet Pegasus », une vaste enquête sur l’utilisation de ce logiciel mis au point et commercialisé par la société israélienne NSO. Il en ressort que « le Mexique a été le premier pays du monde à acheter le logiciel Pegasus », dès 2011, devenant « une sorte de laboratoire pour cette technologie d’espionnage ».

    Les deux premiers clients officiels de NSO au Mexique ont été deux agences de renseignement, opérant hors de tout contrôle judiciaire. Mais l’acquisition de Pegasus par le bureau du procureur général de la République, Jesus Murillo Karam, banalise l’utilisation de ce logiciel, avec quelque 15 000 personnes espionnées de 2014 à 2017. L’homme-clé dans cette judiciarisation de Pegasus est M. Zeron, nommé en 2013 par M. Murillo Karam à la tête de la toute nouvelle Agence d’investigation criminelle (AIC).

    #Pegasus #IsraelMexique

    • En septembre 2014, quarante-trois étudiants de l’école normale d’#Ayotzinapa, partis en autobus manifester à Mexico, « disparaissent » après avoir été attaqués par la police locale. M. Zeron est chargé, au nom de l’AIC, de faire toute la lumière sur ce drame qui suscite une immense émotion au Mexique. Il affirme que des policiers véreux auraient livré les étudiants à une bande de narcotrafiquants qui, les prenant pour des membres d’un cartel rival, les auraient massacrés, avant d’incinérer leur dépouille dans une décharge municipale. Telle est la version officielle de ce carnage, que M. Zeron répète sous le nom de « vérité historique ».

      Tous ceux qui osent la contester se retrouvent visés par le logiciel Pegasus, qu’il s’agisse de proches des victimes, de journalistes d’investigation ou de militants associatifs. Cet espionnage s’étend aux experts internationaux dont la contre-enquête, mandatée par la Commission interaméricaine des droits de l’homme, est accablante pour les autorités mexicaines. M. Zeron, explicitement mis en cause, quitte l’AIC pour être rattaché au cabinet du président Peña Nieto, ce qui lui assure l’impunité.

      Une demande d’asile politique en Israël

      En décembre 2018, Andres Manuel Lopez Obrador, qui avait lui-même été espionné par le biais de Pegasus, devient président de la République. M. Zeron, dont les protections haut placées disparaissent avec cette alternance politique, ne tarde pas à fuir son pays vers le Canada, puis Israël. En juin 2020, Interpol émet, à la demande du Mexique, un mandat d’arrêt international contre M. Zeron, accusé de dissimulation de preuves, de modification de lieu du crime, de torture et de disparition forcée.

      Peu après, la découverte des restes de l’une des victimes porte le coup de grâce à la « vérité historique » du magistrat déchu. En août 2022, c’est son ancien supérieur, M. Murillo Karam, qui est poursuivi pour « disparitions forcées, torture et obstruction à la justice ». Se précise la piste d’un crime d’Etat, avec collusion entre militaires et narcotrafiquants. M. Zeron, toute honte bue, dépose une demande d’asile politique en Israël.

      Le site israélien Calcalist affirme que M. Zeron réside dans un quartier huppé de Tel-Aviv, avec le soutien d’un homme d’affaires en vue dans le secteur de la cybersécurité et de la géolocalisation. Le Mexique a multiplié depuis deux ans ses démarches pour qu’Israël lui livre M. Zeron, même en l’absence d’un traité d’extradition entre les deux pays.

      Selon le New York Times, Israël refuse de donner suite aux demandes mexicaines afin de sanctionner le soutien de Mexico à une commission d’enquête de l’ONU sur les violences dans les territoires palestiniens occupés. Le blocage est tel que des émissaires mexicains se rendent à Tel-Aviv et tentent en vain de négocier avec M. Zeron lui-même son retour au pays. Cette situation provoque l’indignation des familles des victimes d’Ayotzinapa, qui accusent « Israël de protéger Tomas Zeron, malgré ses violations des droits humains et sa torture de détenus ».

      Il y a trois semaines, le Mexique a encore voté à l’ONU en faveur d’une saisine de la Cour internationale de justice sur l’occupation israélienne des territoires palestiniens. M. Zeron a sans doute toutes les raisons de se croire intouchable dans son exil doré à Tel-Aviv.

      https://justpaste.it/5j7gh

      #disparitions_forcée #Mexique #crime_d’Etat #Israël

  • 1.173 minori stranieri non accompagnati scomparsi in 4 mesi

    In Italia ogni giorno spariscono quasi dieci MSNA: è un’emergenza non più trascurabile

    I grandi business illegali sono maniacalmente attenti ai minorenni, specialmente quelli non accompagnati e stranieri. Costano poco, fruttano molto.

    Le mafie internazionali costruiscono un reticolato che parte dalle frontiere africane per arrivare a quelle europee, una piovra che tenta con tentacoli illusori i ragazzini, pigiando i tasti dei soldi facili per far leva sugli allontanamenti.

    I minori stranieri non accompagnati (msna) che arrivano in Italia si possono sommariamente dividere in tre gruppi.

    Il primo è quello che mantiene contatti con la famiglia rimasta in Patria. Quest’ultima attua una pressione costante per le rimesse per fare campare nuclei numerosi e con carenze alimentari. E questo porta il minore a cercare “guadagno” facile e spesso illegale.

    Del secondo fanno parte coloro che sono totalmente soli e senza alcun riferimento parentale, con una psiche a brandelli dopo un viaggio estenuante. Rischiano di farsi irretire da sistemi economici illegali che illusoriamente garantiscono tutele: quindi spaccio di stupefacenti e sfruttamento sessuale.

    Il terzo è inserito all’interno del circuito di accoglienza e integrazione statale, quindi in teoria in un ambiente protettivo e volto all’inserimento socio – economico. Un sistema che ad oggi risulta presente in Italia ma non in modo sufficiente, come dimostrano i drammatici ed inquietanti dati degli allontanamenti dei msna.

    A questo si affianca la possibilità del ricongiungimento familiare, iter che risulta burocraticamente lungo e che, in numerose occasioni, proprio per la sua lentezza, porta il minore a rivolgersi ad altre “opzioni” sfruttate dalla criminalità organizzata. Sono molteplici, infatti, i casi di minori stranieri non accompagnati che come pedaggio per raggiungere rapidamente, e quindi illegalmente, un proprio parente entrano nel business del traffico di organi: un rene per raggiungere uno zio in Inghilterra.

    Un’emergenza trascurata

    Gli allontanamenti dei minori stranieri non accompagnati in Italia stanno raggiungendo stime drammatiche e seriamente preoccupanti: nell’anno 2022 (da gennaio ad aprile) sono spariti 1.173 minorenni. Questo significa che spariscono quasi 10 minori stranieri non accompagnati al giorno (9,775). Sono numeri spaventosamente alti e in netto aumento rispetto all’anno precedente (nel 2020, ad esempio, gli allontanamenti erano stati 308): praticamente ogni 2 ore e 45 minuti nel nostro Paese un ragazzino straniero non accompagnato sparisce nel nulla, senza lasciare tracce.

    E’ evidente che sparisce nel nulla per entrare nello scacchiere dell’economia sommersa: il primo mercato che mette le mani sui ragazzini soli è il business del traffico degli organi. Il traffico internazionale di organi è remunerativo almeno al pari di quello della droga: secondo i dati del think tank Global Financial Integrity, che si occupa di flussi finanziari illeciti, corruzione, commercio illecito e riciclaggio di denaro, frutta da 840 milioni a 1,7 miliardi di dollari all’anno e consiste in più di 12.000 trapianti illegali all’anno. Si arrivano a pagare 15.000 dollari per un rene, molti di più per un polmone, per il cuore, per il fegato, per il pancreas.

    Il traffico investe anche l’Africa, soprattutto la rotta migratoria orientale ovest: i minori che contraggono il debito per il viaggio, nel caso non riescano a completare il pagamento, danno un organo come pedaggio. Oppure vengono ammazzati dai trafficanti, che espiantano gli organi per portarli al confine egiziano in borse termiche: qui i “medici del Sahara”, di nazionalità egiziana, attuano le operazioni in ospedali da campo tirati su alla meno peggio e lontano dai centri abitativi: inchieste della BBC hanno accertato come l’Egitto sia diventato il supermercato del traffico di organi.

    Questi ospedali secondo il reportage di Panorama sono totalmente illegali e tra i soldi utilizzati per la loro costruzione ci sarebbero anche quei milioni che giungono dai partner europei per l’esternalizzazione delle frontiere. In Egitto un migrante irregolare, anche minorenne, rischia seriamente il carcere duro o di essere sottoposto a lavori forzati, oppure di finire assassinato per il macabro business della vendita degli organi. Purtroppo sono sempre più frequenti i ritrovamenti di carcasse di corpi senza organi lungo le spiagge delle coste africane dei Paesi settentrionali, e purtroppo spesso appartengono a persone che non raggiungono i diciotto anni.

    Il secondo business è quello dello spaccio degli stupefacenti: la mafia presta particolare attenzione ai msna, manodopera addirittura ad ancora più basso costo rispetto a quella italiana. Questo è testimoniato dai reati dei minorenni in carico ai Servizi Sociali (range 01.01.21 – 15.12.21): rapina (229), furto (169), estorsione (33), ricettazione (18) e stupefacenti (42) sono evidentemente reati non spuri, bensì riconducibili ad un sistema più articolato e più complesso, di criminalità organizzata ben radicata in Italia. Numeri più bassi rispetto agli italiani ma in proporzione più alti: questo significa che il minorenne straniero finisce più facilmente nel reticolo della organizzazioni criminali.

    Il terzo, lo sfruttamento lavorativo e quello sessuale: il minorenne abbandona il percorso scolastico. Il livello di dispersione scolastica nei giovani stranieri raggiunge picchi altissimi, basti pensare alla dispersione nella scuola secondaria di primo grado che vede Costa d’Avorio 8,9%, Bosnia 7,2% ed Egitto 7,1%1.

    Il ragazzino diserta la scuola per andare a lavorare in settori dove sono presenti fenomeni di iper-sfruttamento: aziende edili e ristoranti, gestiti da connazionali, soprattutto nel nord-Italia; raccolta di arance, mandarini, frutta e verdura al sud: dodici ore per due spicci, tendinite dopo due mesi ed enormi carichi di fatica.
    Intervenire subito

    Il 2022 si preannuncia un anno che mette con le spalle al muro il “non vedo, non sento e non parlo”: gli allontanamenti sono lievitati e sono destinati ad aumentare ancora di più poiché tanti minori stranieri non accompagnati stanno giungendo in Italia attraverso le diverse frontiere, sia terrestre o marittima. In quattro mesi (dal 1 gennaio 2022 al 30 aprile 2022) sono arrivati 5.239 msna: le istituzioni non possono non accorgersi di quanto accade sotto i loro occhi.

    Ad aggravare un contesto già drammatico, c’è poi l’emergenza Ucraina, di cui si parla molto in termini geopolitici e militari ma poco in relazione alla situazione dei minori: il 27,9% di minori stranieri non accompagnati presenti in Italia, esattamente 3.906, è di nazionalità ucraina. Stanno arrivando moltissimi bambini soli, senza nessuno, che facilmente possono diventare prede delle criminalità e dello sfruttamento e vittime un’altra volta.

    Ripetiamo, c’è un’emergenza evidente: le istituzioni non possono non accorgersi di quanto accade sotto i loro occhi.

    https://www.meltingpot.org/2022/05/1-173-minori-stranieri-non-accompagnati-scomparsi-in-4-mesi

    #Italie #réfugiés #asile #mineurs #mineurs_non_accompagnés #disparitions #enfants #enfance #migrations #chiffres #statistiques

    –-

    A mettre en lien avec les statistiques et chiffres des « enfants réfugiés disparus en Europe » —> l’exemple d’Ancona montre les raisons des départs de #MNA des centres d’accueil en Italie :
    https://seenthis.net/messages/714320

  • Undici minori appena sbarcati ad #Ancona abbandonano il centro di accoglienza

    Undici minori stranieri non accompagnati sudanesi ed eritrei hanno deciso di lasciare il centro di accoglienza di #Senigallia dove erano stati accolti dopo essere sbarcati dalle navi di soccorso al porto di Ancona. L’Ambasciata dei Diritti Marche con questo comunicato puntualizza alcune questioni, considerate anche le letture superficiali adottatte dalla stampa locale.

    Attorno alla vicenda delle navi da ricerca e soccorso, costrette inutilmente ad approdare nel porto di Ancona, si è fatto giustamente più volte notare come questa scelta sia in evidente violazione delle norme internazionali, che l’Italia ha sottoscritto in materia di diritti umani e soccorso in mare. Ma queste non sono le uniche violazioni gravi commesse in questa vicenda, essendoci dei minori a bordo il governo avrebbe dovuto attivarsi immediatamente per disporre tutte quelle misure a loro tutela per cui esiste una normativa chiara in tal senso (Convenzione di New York sui diritti del fanciullo – Ratificata e resa esecutiva con Legge n. 176/1991; Convenzione Europea de l’Aja sul rimpatrio dei minori – Ratificata con Legge n. 396 del 30 giugno 1975; solo per citare le più importanti). Con una grossolana semplificazione potremmo dire che queste leggi prevedono come debba essere sempre tutelato l’interesse del minore a salvaguardia della sua incolumità sia fisica che psichica oltre che relazionale. Chiaramente, essendo la questione dei minori di una delicatezza estrema, la normativa è capillare e non lascia spazio ad interpretazioni.

    Il Ministro dell’interno ne è sicuramente al corrente tanto che nel famoso e recente sbarco di Catania, conscio di questi diritti superiori, aveva provato ad effettuare uno sbarco “selettivo” provando a far scendere dalla nave di soccorso soltanto i minorenni. Sappiamo tutti poi come è andata a finire, tutte le persone indistintamente sono state sbarcate per evitare sanzioni di violazione al diritto internazionale. Costringere un minore ad un viaggio lungo e pericoloso senza nessun motivo è di una gravità assoluta.

    La questione dei Minori Stranieri Non Accompagnati (MSNA) è una questione complessa e nota, non solo in Italia ma anche in tutti i paesi europei di confine come anche Spagna e Grecia dove decine di migliaia di minori spesso vengono costretti a correre dei rischi inutili. Ad Ancona nel corso degli anni si sono registrati casi simili 1arrivando addirittura a tentare la riammissione in Grecia di un minore 2.

    Dei numerosi minori provenienti dall’Afghanistan solo una parte hanno scelto di restare nel territorio; i più hanno preferito prolungare il loro viaggio verso la Francia, la Germania ed i paesi nordici. In questa fuga, nella quale qualcuno vorrebbe leggere un legittimo anelito alla libertà, purtroppo non c’è nulla di romantico e continuare il viaggio attraverso i confini europei li mette nuovamente a forte rischio: il rischio della tratta e dello sfruttamento minorile, il rischio di morire folgorato a Ventimiglia cercando di nascondersi in un treno, il rischio di morire assiderato nei percorsi alpini.

    Dopo un viaggio terribile, dopo la Libia, il barcone, il naufragio e il salvataggio, finalmente sono in un paese al sicuro dal quale però, se vogliono andarsene, devono farlo con lo stesso tipo di viaggio pericoloso e cioè sotto un camion, o attraversare il confine da clandestini; va bene un periodo di permanenza per i documenti, le cure se necessarie, però l’Italia diventa una prigione di fatto e per andarsene devono fuggire di nuovo

    Anche in questi casi, se non fosse per la presenza di attivisti lungo i confini del nord Italia ma anche a Calais o Melilla l’elenco dei morti sarebbe ulteriormente più lungo.

    Scappano perché l’Italia non è in grado di rassicurarli sul loro futuro, perché il tanto sbandierato sistema di relocation non ha mai funzionato; scappano perché l’Italia li ha trattati sempre come un problema da gestire.

    Scappano perché l’Europa neanche all’interno dei suoi confini è in grado di creare una canale sicuro di ricongiungimento familiare che sia capace di accompagnare in sicurezza il minore facendogli raggiungere la meta prefissata senza mettere continuamente a rischio la propria vita.

    https://www.meltingpot.org/2023/01/undici-minori-appena-sbarcati-ad-ancona-abbandonano-il-centro-di-accogli

    #Italie #réfugiés #asile #mineurs #mineurs_non_accompagnés #disparitions #enfants #enfance #migrations

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    A mettre en lien avec les statistiques et chiffres des « enfants réfugiés disparus en Europe » —> l’exemple d’Ancona montre les raisons des départs de #MNA des centres d’accueil en Italie :
    https://seenthis.net/messages/714320

  • Santiago, Italia

    Le documentaire rend compte à travers des documents d’époque et des témoignages, de l’activité de l’ambassade Italienne à Santiago lors des mois qui ont suivi le coup d’état de Pinochet le 11 septembre 1973 mettant fin au régime démocratique de Salvador Allende2. L’ambassade a donné refuge à des centaines d’opposants au régime du général Pinochet, leur permettant ensuite de rejoindre l’Italie3.

    https://fr.wikipedia.org/wiki/Santiago,_Italia
    #film #documentaire #film_documentaire

    #Chili #Santiago #Unidad_Popular #Allende #histoire #mémoire #socialisme_humaniste_et_démocratique #marxisme #cuivre #nationalisme #prix_bloqués #médias #démocratie #coup_d'Etat #dictature #témoignage #terreur #climat_de_peur #peur #enfermement #MIR #torture #stade #Villa_Grimaldi #disparitions #ambassade_d'Italie #ambassades #réfugiés #réfugiés_chiliens #solidarité

  • #Melilla, le lieu d’un #massacre#Lettre_ouverte aux députés européens

    « Nous avons passé un cap. Le massacre est sous nos yeux. Les #morts s’amoncèlent. Et il semble que ça ne compte pas. » Après les exactions de Melilla, le collectif « J’accueille l’étranger » interpelle les député·es européen·nes avec force : « Prononcez-vous fermement pour une toute autre politique d’immigration » !

    Le vendredi 24 juin 2022, à peu près deux mille personnes, depuis des jours et des jours harcelées dans les forêts autour de Gourougou par la police et la gendarmerie marocaines, ont décidé de s’organiser pour « frapper » la barrière.

    Ce n’est pas une chose nouvelle.

    Depuis qu’il y a des #barrières, il y a des gens pour les « frapper », c’est à dire pour les franchir.
    Avec ce qu’il faut pour s’accrocher et passer de l’autre côté.
    Sans l’aide de « mafias », comme on l’a suggéré ici et là, comme si cela dédouanait de toute culpabilité les Etats.
    Cherchant sa vie et ses droits, celui notamment de fuir un territoire non protecteur ou en guerre et de demander l’asile.
    Et surtout, sans menacer l’intégrité territoriale de l’Espagne, ou de l’Europe.
    L’#intégrité_territoriale de l’Espagne : le premier ministre espagnol l’évoquait déjà au moment où le Maroc laissait entrer dans les enclaves espagnoles les jeunes Marocains dont il se servait pour effrayer l’Espagne et avec elle, l’Europe. L’intégrité territoriale, c’est aussi une des questions posée lors du congrès de l’OTAN à Madrid, ce mercredi 29 juin.

    C’est une nouvelle manière de communiquer.

    La convention de Genève, qu’en France la campagne électorale a attaquée aussi, semble bien loin.
    Personne n’est en guerre contre l’Europe à la frontière sud. Le Sahel souffre de crises diverses, provoquées par la sécheresse et les changements climatiques dévastateurs. Mais le Sahel n’est pas en guerre contre l’Espagne, ni contre l’Europe.
    L’Union Européenne, avec l’aide des pays tiers, protège ses frontières.
    Que ce désir de protection-là soit une fuite en avant sans imagination et sans avenir, cela a été parfaitement argumenté.

    Que l’Union Européenne soumette les pays européens à la volonté ou au caprice des pays tiers dont elle fait ses gendarmes, cela connaît des précédents.

    Que le prix de ce désir de protection, sans imagination, sans avenir, dangereux et contreproductif, soit l’acceptation de milliers de morts, oubliés chaque année dans les déserts, au fond des mers et de l’océan, cela a été largement documenté.

    Hélas, pas assez, et pour cause : il s’agit justement de #disparitions.
    Nous, citoyens européens, qui accueillons quand l’Etat et/ou les départements ne le font pas, nous qui connaissons les jeunes qui viennent ici chercher leur vie, poussés par un élan qui ne s’analyse pas mais qui est celui de la survie, nous qui avons vu l’Europe changer, criminaliser de plus en plus l’immigration et empêcher l’asile, contrôler ses frontières extérieures puis ses frontières intérieures, créer des hot-spot, externaliser le contrôle, agir en #complicité avec les garde côtes libyens, refuser des ports aux bateaux chargés de rescapés, durcir les conditions de régularisation sur les territoires européens, nous gardions un espoir.

    Nous pensions : si les gens voyaient ce qu’on ne voit jamais, ces milliers de personnes, chaque année, disparues dans la mer et l’océan, ils se soulèveraient.
    Comment accepter, les yeux ouverts, la mort brutale et organisée de jeunes gens qui sont des frères, des pères, des fils, de jeunes gens qui sont aimés et attendus par des pères et des mères, des frères et des soeurs, des fils et des filles ?
    Nous avons passé un cap.
    Le massacre est sous nos yeux.
    Les morts s’amoncèlent.
    Et il semble que ça ne compte pas.
    Le gouvernement espagnol se déshonore en félicitant le Maroc.
    Puis en accusant les #mafias.
    Les autres gouvernements restent muets.
    En France, l’événement majeur est un entrefilet dans la revue de presse internationale, cinq jours après.
    En France, qui est partie prenante du massacre, puisque plus haut, à sa frontière, les policiers et gendarmes empêchent tout accès à son territoire, ce qui a provoqué, en un an, la mort de neuf jeunes gens, tous pour toujours pleurés par leurs pères, mères, frères et soeurs.
    Les collectifs que nous sommes s’étranglent de colère et de chagrin impuissant.
    Selon les témoins communautaires sur place, les corps sont dans trois hôpitaux. L’hôpital Hassan II de Nador, l’hôpital de Berkane, et un autre encore.
    Des chiffres circulent.
    136 morts ici, 64 là.

    Ces chiffres sont à confirmer : les responsables communautaires n’ont pas pu entrer dans les hôpitaux.
    Les journalistes ne le peuvent pas non plus.

    Mais les images et les récits en rendent le nombre avancé probable. Même si l’Europe y répond par des chiffres inférieurs, tout aussi variables. 5, 27, 45, 70 selon les médias et des témoins. Ce peu de certitude, ce peu de diligence pour enquêter immédiatement sur le nombre de morts, sur leur identité, comme le demande fermement le GISTI, ce flou entretenu, prouve à quel point le mal est fait. À quel point 5 ou 27 ou 136 ou 200, c’est du pareil au même, et à quel point, comme le dit l’archevêque émérite de Tanger, Santiago Agrelo Martínez, ce ne sont que des pauvres qui meurent : ne cherche pas à savoir combien, ne cherche pas à savoir comment.
    On voit les corps, on voit même qu’on creuse des trous dans la terre pour vite y enfouir les corps, ce qui ne veut pas dire enterrer. Frères, pères, fils de personne. Personne ne saura où leur vie s’est arrêtée. C’est l’idée d’une civilisation qui s’échoue. Elle le fait dans les eaux de la Méditerranée et de l’Atlantique, qui sont aveugles, presque jour après jour. Elle s’échoue ici, bien en vue.
    On voit, donc.
    On voit.
    Et il semble que ça ne compte pas.

    D’ailleurs, qui montre ?
    L’association pour les droits humains au Maroc, section Nador a filmé les violences, malgré les risques : on apprend, le 27 juin qu’un journaliste de El Pais est en garde à vue pour avoir voulu se rendre au cimetière.

    Quoi qu’il en soit, les policiers ont filmé, eux aussi.
    Dans leur montage, il y a un sens du suspens, on la voit de haut, de loin, cette petite foule, courant, bâtons en main, vers la barrière.

    Pour quelle raison les militaires et les policiers marocains ont-ils filmé les violences déshumanisantes, jusqu’au meurtre, dont ils se sont rendus coupables ?
    Cette question sans réponse jusque là, à peine posée, mériterait une enquête, elle aussi.
    Une image est destinée.

    À qui ? Et à quoi ?

    Une sorte d’avertissement ? Voici de quoi nous sommes capables ? Le sentiment du travail accompli ? Après tout, Pedro Sanchez l’a eu, ce sentiment, quand il a pris la parole tout de suite après le massacre. Et les policiers espagnols ont collaboré, se racontant, sans doute, dura lex sed lex, qu’il faut bien se salir les mains, que ce sont les ordres, qu’après tout les Européens votent, et qu’ici, on ne fait pas de politique. Dans une ignorance totale des traités internationaux, des droits fondamentaux, devenant violents sans le voir venir. La #banalité_du_mal hélas n’est pas réservée à un temps et un lieu.
    Mais de fait, sur la route migratoire, qu’on meure invisibles ou très visibles, on meurt toujours en silence - on disparaît.
    Et on meurt instrumentalisés.

    Nous savons très bien que les gens qui ont tenté de franchir la barrière de Melilla, cherchant à sauver leur vie comme nos enfants le feront dans quelques années, quand ils ne pourront pas supporter les 45 degrés de leur été qui durera six mois et fuiront la destruction de leur environnement, ne menacent l’intégrité de personne et au contraire, trouveront du travail dans les chantier et les champs d’une Europe en manque de main d’oeuvre. Nous savons très bien que les responsables de ces assassinats ne sont pas les réseaux de passeurs. #Nous_savons très bien que l’Europe a fait jusqu’à présent aux ressortissants des pays dont elle exploite les ressources, une #guerre_invisible. Le 24 juin, la guerre s’est exposée. Nous devons réagir à la hauteur de l’événement.

    Que l’#image serve au moins à prendre acte que la #violence_radicale est inévitable quand il s’agit de fermer radicalement une frontière, et que cela risque, à force, de ne plus secouer personne d’#indignation.

    C’est une course contre la montre que vous devez gagner. Pensant à l’Histoire telle qu’elle s’écrira au futur. Vous savez que devant elle, l’Histoire, et devant ce futur, nous avons raison. Vous aussi vous auriez préféré qu’en octobre 1961, la police française n’obéisse pas aux ordres et qu’elle ne jette pas en Seine des manifestants algériens pacifiques, ou qu’elle ne reçoive pas ses ordres-là. Qu’au mois de juillet 1942, elle n’obéisse pas aux #ordres, ou ne reçoive pas ses ordres-là qui ont permis l’envoi à la mort des juifs vivant en France.

    Il en est peut-être encore temps : lisez les nombreuses analyses que les spécialistes des circulations ont proposées, prononcez-vous fermement pour une toute autre politique d’immigration, grâce à laquelle des continents pourront à l’avenir se respecter, engagez-vous à faire preuve d’inventivité et d’imagination, loin de toutes les idéologies de la peur qui ont, hélas, en Europe, le vent en poupe.

    https://blogs.mediapart.fr/les-invites-de-mediapart/blog/050722/melilla-le-lieu-d-un-massacre-lettre-ouverte-aux-deputes-europeens

    #tribune #responsabilité #migrations #asile #réfugiés #frontières #barrières_frontalières #murs #décès #Espagne #Maroc #responsabilité

    via @isskein

  • Fosses communes | Le blog de Floréal
    https://florealanar.wordpress.com/2022/07/03/fosses-communes


    https://seenthis.net/messages/966162

    La carte ci-dessous indique l’emplacement des fosses communes où furent jetés les corps de centaines de milliers d’Espagnols antifranquistes, républicains, anarchistes, socialistes, communistes.
    On mesure ainsi l’ampleur du majuscule crime commis après la victoire des militaires factieux et des bandes fascistes à leur côté, d’autant que quatre-vingt-trois ans après la fin de la guerre civile, toutes les fosses communes du pays n’ont pas été mises au jour. Il paraît que seul le Cambodge des Khmers rouges en compte davantage. En Espagne, les assassins n’ont jamais eu à rendre de comptes.

  • La #marchandisation des #frontières - Comment la #militarisation de l’UE alimente les réseaux de trafic entre l’#Afrique_du_Nord et l’#Espagne

    Ces dernières années ont été marquées par de très nombreuses traversées du nord du Maroc vers le sud et vers le Sahara occidental. De manière concomitante, les personnes impliquées dans les trafics illégaux ont également étendu leurs réseaux vers le sud. Cependant, ce changement n’est pas seulement d’ordre géographique mais aussi, et de manière substantielle, de nature. Jusqu’en 2019, où la militarisation des frontières du nord a atteint un pic, les traversées était organisées de manière relativement décentralisée ou collective : un groupe d’ami·es se rassemblait pour acheter un canot pneumatique pour traverser le détroit de Gibraltar, ou bien des groupes plus importants organisaient le passage des barrières de Ceuta et Melilla. L’hyper sécurisation des frontières du nord, orchestrée par l’Union européenne, a privé les voyageur·ses de ces modes d’organisation horizontaux. Désormais, ils doivent compter sur des réseaux de trafic de plus en plus centralisés. Ainsi, cette militarisation a non seulement favorisé des organisations qui sont plus verticales, mais elle a aussi diminué le nombre d’itinéraires possibles pour les voyageur·ses. Cela débouche sur une demande accrue vers une offre réduite d’itinéraires, et, en conséquence le marché est inondé de services de maigre qualité : des voyages avec un mauvais équipement ou dans des conditions météo dangereuses. Ce qui augmente le taux de décès. Ce phénomène est illustré, entre autres, par la prévalence actuelle des canots pneumatiques sur la route de l’Atlantique. Les membres d’Alarm Phone Maroc signalent également la hausse du prix d’un voyage, qui est passée d’environ 200 à plusieurs milliers d’euros, voire jusqu’à 5000 euros. Le fait que des personnes soient prêtes à payer ces sommes est révélateur autant de leur désespoir que de l’absurdité du discours de l’Union européenne : qui choisirait de payer 2000 euros s’iel pouvait avoir un visa pour 200 euros, soit un dixième ? Ces personnes ne « choisissent » pas de payer des passeurs – iels n’ont pas d’autre solution.

    Une autre représentation erronée est celle selon laquelle le cœur du problème serait les « passeurs ». Comme le montre cette analyse sur plusieurs régions, ce type de trafic des frontières ne serait pas possible sans une corruption d’état bien enracinée. Il faut donner de l’argent à des auxiliaires de police marocains qui patrouillent le long de la côte. Pour certaines traversées (notamment, les dénommés « Voyages VIP »), des personnes de la Marine marocaine sont payées pour ne pas faire d’interception. Des fonctionnaires espagnols, également, ont la réputation de recevoir de l’argent en sous-main, en particulier aux frontières des enclaves de Ceuta et Mellila – secteur où le trafic a quasiment disparu ces deux dernières années car le Covid-19 a provoqué la fermeture des frontières terrestres. Les réseaux du trafic s’étendent de chaque côté des frontières. Ils impliquent la population locale, des entreprises et les autorités sur les deux rives de la Méditerranée. Et n’oublions pas que le principal bénéficiaire du trafic aux frontières a toujours été et sera toujours l’économie europénne. Sans la main-d’œuvre bon marché des exilé·es, qui cultiverait les champs au sud de l’Europe, qui nettoierait les toilettes, qui garnirait les rayons des entrepôts ?

    Aussi, à Alarm Phone, nous faisons une analyse plus nuancée des « passeurs » et de leur rôle. Au fil des ans, nous avons rencontré des personnes très différentes impliquées dans le trafic aux frontières : celles qui gagnent de l’argent en organisant des voyages en bateau parce qu’elles n’ont pas d’autre source de revenus stables, celles qui organisent même gratuitement des voyages par bateau pour des personnes vulnérables (par exemple des femmes et des enfants), mais aussi celles qui exploitent avec brutalité les besoins d’autrui pour s’enrichir. Voici pourquoi nous utilisons des termes plus nuancés que celui de « passeurs ». Dans les communautés des voyageur·ses, les organisateurs sont appelés « Chairman ». En effet, il s’agit souvent de personnes qui, outre leur rôle d’organisateurs, jouissent d’une forte reconnaissance au sein de leur communauté, et gèrent une sorte d’agence de voyage. Ce sont bien des trafiquants, et nous n’hésiterions pas à les nommer ainsi et à dénoncer des pratiques d’exploitation si nous les rencontrions. Mais il y a toujours eu des agents de voyage qui font de leur mieux pour offrir un service indispensable. C’est pourquoi nous utilisons dans ce rapport les trois désignations (trafiquant, agent de voyage, Chairman), selon le contexte.

    Le rapport qui suit met en évidence le fonctionnement du trafic des frontières dans différentes régions en Méditerranée occidentale et sur la route Atlantique. Nous espérons qu’il montrera comment le vrai problème du commerce des frontières ne réside pas dans les trafiquants individuels et les agents de voyage. Si le commerce des frontières est florissant, c’est lié à deux facteurs étroitement associés, a) des politiques frontalières racistes de l’Union européenne, qui ne permet pas d’itinéraire légal, militarise les frontières et pousse les migrant·es à avoir recours à des réseaux centralisés et souvent basés sur l’exploitation, b) les structures capitalistes qui permettent aux fonctionnaires d’état et aux populations locales de s’enrichir et aux économies européennes de prospérer.
    2 Nouvelles des régions
    2.1 La Route de l’Atlantique
    Le commerce des frontières entre le Sahara occidental, le Maroc et les Îles Canaries.

    Au cours des dernières années, le commerce sur la Route de l’Atlantique a explosé. C’est une conséquence directe de la fermeture des itinéraires plus au nord. Les trafiquants et les agents de voyage qui auparavant travaillaient dans le nord se sont désormais installés dans le Sahara occidental : « Aujourd’hui, il y a beaucoup plus de “Chairmans” qu’en 2019. En raison des gros changements à Tanger et Nador, les Chairmans qui y travaillaient sont maintenant ici [au Sahara occidental] et des intermédiaires sont eux aussi devenus des Chairmans, explique A. d’Alarm Phone Maroc.

    Ces trafiquants et ces agents de voyage ont également déplacé leurs réseaux de recrutement. De nombreux passagers qui quittent le Sahara occidental ou le sud du Maroc n’y vivent pas, en fait : iels sont dans des camps et des quartiers habités par des migrant·es, à Tanger, Casablanca, Nador, etc. et ne se déplacent vers le sud que quelques jours avant leur départ. Le recrutement pour les passages se fait de bouche à oreille. En général, ce sont des Sub-saharien·nes fraîchement arrivé·es en avion de leur pays d’origine, des personnes vivant dans les villes mentionnées ci-dessus, ou bien des voyageur·ses marocains, surtout ceux et celles des régions les plus pauvres. Les trafiquants et les agents de voyage,quant à eux, ne vivent pas non plus près des lieux de départ, mais résident ailleurs.

    Le pic énorme de la demande, depuis 2020, a provoqué une forte hausse des bénéfices des trafiquants. Lors d’un entretien exceptionellement accordé au journal La Vanguardia, un agent de voyage marocain nous a dit qu’il gagnait € 70 000 en deux mois seulement. L’augmentation de la demande, cependant, a également pour conséquence la vente par des opérateurs douteux de services d’une qualité encore inférieure à ceux qui sont sur le marché, et qui sont déjà peu adéquats et dangereux. Comme l’explique B., militant d’Alarm Phone, « en même temps, les passagers sont plus souvent plumés par des organisations malhonnêtes, et ces voyages mal préparés provoque de nombreux décès et la disparition de bateaux ».

    Selon un agent de voyage, il faut verser environ €20 000 par voyage pour le carburant et l’équipement, alors que celui-ci doit être fourni par les agents de voyage (bateau en bois, coque en fibre ou en aluminium, dispositif de navigation, etc.). Il faut souvent y ajouter €10 000 pour la corruption de fonctionnaires. A., militant de Laayoune, explique comment les trafiquants collaborent avec des autorités de l’état susceptibles d’être corrompues :

    « Les bateaux qui partent d’ici, Laayoune ou Tarfaya, vous devez payer les garde-côtes, la police militaire. Si vous ne le faites pas, vous ne pouvez pas trouver un lieu de départ, puisqu’il y a un poste de contrôle tous les deux kilomètres. Les Marocains qui travaillent avec les trafiquants [sub-sahariens] vont s’arranger pour que les policiers soient payés et donc ne regardent pas quand des migrants embarquent ».

    Ceux et celles qui peuvent payer plus, pour ce qu’on appelle un voyage VIP (en général entre € 3000 et € 5000), peuvent embarquer pour une traversée grâce à des « cadeaux » plus importants, et éviter ainsi d’être interceptés non seulement près des côtes mais aussi plus loin en mer. Le voyageur ou la voyageuse ordinaire paye habituellement entre € 2000 et € 2500 pour une place sur un bateau. S’iel veut acheter plusieurs essais en un seul paiement (la version dite « garantie », le prix est plus élevé, € 3000 ou plus.

    En outre, le réseau de corruption entre les trafiquants bien rémunérés et des fonctionnaires est dense, et s’étend bien au-delà des départs de bateau. Quand des trafiquants sont arrêtés, ils encourent en général une peine entre 5 et 20 ans de prison. Mais la règle est différente pour les riches. Les trafiquants peuvent verser un gros “cadeau” et quitter la prison après quelques mois seulement. Cela signifie que les agents de voyage qui purgent vraiment leur peine de prison ne sont le plus souvent que du menu fretin. Il est intéressant de noter ce que l’agent de voyage de Dakhla interviewé par La Vanguardia en dit :

    « Pour la police et pour nous, les « trafiquants », la migration est intéressante. Nous gagnons de l’argent ensemble. Tous les deux ou trois mois, ils arrêtent un trafiquant pour montrer qu’ils font leur travail, mais je n’ai pas peur, j’ai de bons contacts ».

    Bien sûr, ces réseaux ne se limitent pas à la police (militaire) et aux trafiquants. Récemment un salarié de Caritas Meknès a été accusé d’avoir participé au trafic et d’avoir reçu sur son compte en banque personnel de substantielles sommes d’argent au cours des dernières années. Inutile de le préciser, la corruption flambe des deux côtés de la Méditerranée, avec des résidents locaux qui font partie des réseaux de trafic actifs dans les Îles Canaries. Ceci est bien illustré par le cas des bateaux et des moteurs abandonnés dans le port d’Arguineguin, Grandes Canaries. Une fois que les bateaux ont été remorqués au port par Salvamento Maritimo, les moteurs et le carburant sont volés et revendus pour € 300, puis ré-exportés vers la Mauritanie et le Sénégal par des petites entreprises espagnoles, par exemple des sociétés de matériel électronique, puis revendus dans les pays de départ jusqu’à €4000. Début octobre, un réseau de ce type, qui impliquait des travailleurs locaux du port d’Arguineguin ainsi que des habitants des villes voisines a été démantelé par les autorités espagnoles, lors de la découverte d’un conteneur avec 52 moteurs. Pendant longtemps, les autorités locales ne se sont pas préoccupées de ces bateaux et moteurs abandonnées, et ont laissé s’installer une espèce de cimetière de bateaux. L’automne dernier, le Ministre de l’intérieur a sous-traité avec une société la destruction de ces bateaux. Depuis, un peu plus 100 de ces bateaux ont été détruits pour la somme de € 60 000.

    Si nous abordons le commerce des frontières sur la route de l’Atlantique, nous ne pouvons pas ignorer les bateaux qui transportent de la drogue. Ils représentent une part très lucrative du modèle économique associé aux réseaux de trafic au Maroc et en Espagne. Ces navires, cependant, qui arrivent en général à Lanzarote, ne contactent jamais Alarm Phone : en conséquence, nous ne les intégrerons pas dans cette analyse.
    Traversées & Sauvetages : un mur invisible en Atlantique

    Cette nouvelle année a vu une augmentation supplémentaire des traversées et des arrivées. En tout, pour la région Ouest Méditerranée et Atlantique, 7430 personnes ont réussi à traverser en janvier et février. Pour mémoire, il y a eu 3915 arrivées sur la même période en 2021. Ce bond des arrivées est encore plus net sur la Route des Canaries, où l’arrivée de 5604 personnes, jusqu’à maintenant pour cette année, constitue une hausse de 119% par rapport aux deux premiers mois de 2021.

    Comme ces chiffres le montrent, les voyages jusqu’aux Îles Canaries représentent 3/4 de toutes les arrivées en Espagne. La route de l’Atlantique est toujours l’itinéraire le plus meurtrier vers l’Europe, avec une estimation de plus de 4404 décès et personnes disparues en 2021, selon le collectif Caminando Fronteras. Des naufrages importants continuent à se produire, pour les mêmes raisons que nous avons expliquées en détail dans nos rapports précédents. Par exemple, des bateaux se perdent en mer et disparaissent complètement (comme les 52 personnes qui ont quitté Tarfaya le 4 janvier ou les 60 personnes qui sont également parties la première semaine de janvier) ou par chance, sont secourus dans des lieux très éloignés (par exemple le bateau gambien avec 105 survivants et 17 décès, qui a été secouru à 800 km au sud des Canaries après 19 jours en mer en décembre ou les 34 personnes qui ont quitté Dakhla le 3 novembre, dont seulement 20 ont survécu aux trois semaines en mer). Une autre raison est que de nombreux bateaux rencontrent des problèmes peu après avoir quitté les côtes marocaines ou sahariennes. Ceci tient au choix des organisateurs, qui utilisent du matériel défectueux ou tout simplement ne prennent pas en compte les conditions météo. Par exemple, nous voyons de nombreux cas de canots pneumatiques percés ou de pannes de moteur.

    Ces deux problèmes sont liés à l’indifférence des autorités. Dans plusieurs cas, Alarm Phone a alerté les autorités marocaines rapidement, mais les opérations de secours ont été retardées de plusieurs heures avec pour conséquence de terribles tragédies. Nous portons le deuil des 45 personnes (43 par noyades, 2 à l’hôpital) lorsque la marine marocaine n’a pas réagi au naufrage de 53 personnes le 16 janvier et celui des quatre personnes que l’on a laissé se noyer le 6 février, parce que MRCC Madrid a délégué la responsabilité du sauvetage à Rabat, qui ne l’a pas organisé assez tôt.

    Ce cas met en évidence une orientation politique très troublante concernant l’Atlantique : la création d’un mur invisible en mer. Alarm Phone constate une tendance : de plus en plus d’opérations SAR sont déléguées aux autorités marocaines, bien que les bateaux soient dans la zone de chevauchement des deux zones SAR. En considérant que les bateaux qui relèvent à la fois de la responsabilité des autorités espagnoles et marocaines sont le problème de Rabat, l’état espagnol, en fait, applique une politique d’interception « où cela est possible ». Ceci peut être une réaction à la hausse du stock de téléphones satellites des agents de voyage. Depuis l’été dernier, de plus en plus de bateaux en ont été équipés. Avec un téléphone satellitte, les voyageur·ses en mer peuvent appeler les autorités et Alarm Phone et donner leur position GPS exacte. Cependant, dans plusieurs cas, quand la position GPS donnée est dans la zone SAR dont le Maroc revendique aussi la responsabilité dans le cadre de leur occupation du Sahara Occidental, des interceptions ont été organisées conjointement par les autorités espagnoles et marocaines.

    La création de ce mur invisible n’est pas la seule évolution inquiétante. La route de l’Atlantique est également en train de s’étendre vers le nord. Certaines communautés marocaines ont commencé à organiser des départs depuis des villes aussi lointaines qu’Al Jadida (près de Casablanca). Cela représente un voyage de 650 km vers le sud jusqu’à Lanzarote. De même, pendant cette période, certains sauvetages ont eu lieu très au nord des Canaries, comme celui de 35 personnes à 210 km au nord-est de Lanzarote, le 18 janvier.

    Les bateaux partent également toujours de plus loin au sud, mais moins souvent qu’à la fin de 2020. En 2021, 55% de tous les bateaux qui sont arrivés aux îles Canaries étaient partis du Sahara occidental, 26% du sud du Maroc, par exemple de Tan-Tan ou Guelmim. Cela correspond également à une baisse du pourcentage des voyages en provenance des pays du Sud. Maintenant, seulement un cinquième de toutes les arrivées sont des bateaux partant de la Mauritanie, de la Gambie, du Sénégal. La plupart des départs se font entre Boujdour et Tan-Tan, ce qui explique la très forte proportion d’arrivées vers la partie est des îles Canaries. Lanzarote, Fuerteventura et Gran Canaria reçoivent la quasi-totalité des arrivées. La moitié des voyageur·ses sont des ressortissant·es marocain·es, suivie par la Guinée, le Sénégal, la Côte d’Ivoire. Pour les voyageur·ses marocain·es, les expulsions ont repris après la réouverture des frontières par le Maroc début février.

    Les services d’accueil à Lanzarote sont connus pour être saturés. L’acheminement d’un plus grand nombre de bateaux secourus vers le port d’Arguineguin, à Gran Canaria, et le transfert des migrant·es vers Fuerteventura ne changent pas faire grand-chose à la situation. Jusqu’à très récemment, à leur arrivée dans le port d’Arrecife, les voyageur·ses étaient conduit·es dans un bâtiment industriel situé à quelques kilomètres de la ville et se voyaient attribuer un espace dans cet ancien entrepôt industriel. Les gens étaient retenus pour en quarantaine pendant 72 heures, et testés pour le Covid-19. Les conditions de détention étaient inhumaines : pas de lits convenables, pas d’intimité, pas de douches et pas d’espace sécurisé pour les mineur·es et les femmes. Des militant·es et des défenseur·ses des droits de l’homme ont fait campagne contre la “nave de la vergüenza“, l’”entrepôt de la honte”, et se sont plaints des conditions inhumaines auprès des autorités et d’un médiateur, qui ont à leur tour demandé la fermeture de cet espace. Au moment où nous finalisions ce rapport, le ministère de l’Intérieur a annoncé que la “nef” avait été vidée et que les nouveaux·elles arrivant·es seraient conduit·es au centre d’hébergement temporaire (CETI en espagnol) situé juste en face. Reste à savoir si cela se traduira par un changement significatif et un hébergement décent.

    2.2 Tanger, Ceuta et le détroit de Gibraltar : Une diminution des départs

    L’augmentation des traversées vers les îles Canaries s’est accompagnée d’une diminution des tentatives depuis Tanger, une route autrefois très fréquentée. Il y a environ 5 ans, tous les un ou deux mois, on entendait encore parler de Boza (arrivée) de 1 à 2 bateaux. Mais depuis le Covid-19 et, ajouté à cela, la fermeture des frontières, on n’entend plus beaucoup parler de Boza à Tanger.

    Sur la période de ce rapport, Alarm Phone n’a observé que 3 cas autour de Tanger. Le 5 novembre, sept personnes en détresse à l’Est de Tanger sont rentrées au Maroc de manière autonome. Le 9 novembre, un bateau avec 13 personnes à bord (dont 1 femme) a été intercepté par la Marine Royale, et le 12 décembre, 3 autres personnes ont été interceptées. Le seul cas du début de l’année 2022 s’est cependant avéré être un Boza. Le 10 janvier, Alarm Phone a été informé que 3 personnes étaient parties de Fnideq, près de Ceuta, dans un kayak en plastique. De l’eau pénétrait dans l’embarcation. Alarm Phone a informé les autorités mais a perdu le contact avec le bateau. Le lendemain, le syndicat CGT Salvamento Maritimo a annoncé que trois Marocains avaient été secourus et emmenés à Algeciras.

    L’une des principales raisons de la rareté des départs et de la rareté encore plus grande des réussites réside dans le fait que les autorités marocaines ont renforcé la sécurité et intensifié la militarisation de la frontière. Les personnes subsahariennes en exil vivent dans un état d’insécurité au Maroc car les attaques contre les personnes perçues comme migrant·es sont fréquentes. K., militant·e d’Alarm Phone à Tanger, rapporte :

    “La vie quotidienne est pleine de problèmes et vous êtes soumis à une répression massive. Les violations quotidiennes des droits de l’homme et les arrestations arbitraires vous laissent dans un état constant de panique ou d’anxiété. Mais la réalité est que, même face à toutes ces politiques, les gens ne désespèrent pas et cherchent toujours des moyens de voyager, mais la situation devient de plus en plus difficile pour les personnes en déplacement”.

    Cela entraîne une perte d’espoir et pousse de nombreuses personnes à se rendre à Laayoune, où les attaques et les arrestations ne sont pas aussi fréquentes et où il est encore possible d’effectuer la traversée.

    Les Marocain·es travaillant dans les associations qui organisent la continuité des voyages dans le nord du pays ne sont plus très actif·ves, en raison du renforcement de la sécurité et de la militarisation des frontières. Dans le Nord, ce ne sont plus que des petits groupes de personnes qui organisent le voyage, peut-être en raison d’un manque de demande. Parfois, ceux qui tentent de passer en Europe sont interceptés par la Force Auxiliaire (police militaire) sur terre ou par la Marine Royale en mer. Lorsque des personnes sont en détresse ou en danger en mer, la Marine Royale est contactée, mais il arrive souvent qu’elle n’arrive pas à temps.

    Des personnes en exil à Tanger nous ont dit que les prix pour les voyages depuis le Nord-Ouest sont variables, mais il est évident que la militarisation de la région a entraîné une augmentation massive des prix, et la professionnalisation du commerce frontalier. Pour les petits bateaux auto-organisés, chaque personne contribue entre 150 et 250 euros, mais le prix peut atteindre 500 à 750 euros. Les prix dépendent de la taille et de la qualité du matériel. Mais en raison de la militarisation massive de la zone frontalière de Tanger, il est désormais presque impossible d’organiser des voyages entre ami·es. Les gens continuent à faire la traversée, mais, en raison de l’augmentation de la surveillance des frontières, les voyageur·ses sont devenu·es dépendant·es de structures centralisées et paient entre 4000 et 6000 € pour le voyage. Ce prix est exorbitant, et montre que non seulement les voyageur·ses doivent rassembler eux-mêmes des sommes importantes, mais aussi qu’il permet à toutes les personnes impliquées dans ce trafic de réaliser de gros profits. Le prix représente un bon salaire pour les trafiquants, bien sûr, mais ils ne sont pas les seuls à en tirer profit. Lorsqu’il s’agit de corrompre la Marine Royale, pour les grands groupes, les chiffres sont énormes. Les chiffres qui nous ont été rapportés sont de l’ordre de 30 000 à 50 000 € pour les bateaux à moteur, mais les pots-de-vin peuvent atteindre 70 000 à 100 000 €.

    Il est clair que les gains réalisés grâce à cette augmentation absurde de l’action de l’armée et de la police se font au détriment des voyageurs : “C’est un non-sens absolu. C’est devenu un gagne-pain pour de nombreuses personnes. L’UE et le Maroc ont fait de l’exil un commerce vraiment rentable” commente K. de Tanger.
    2.3 Nord-est du Maroc : La répression continue dans la région de Nador

    Les forêts autour de Nador restent soumises à de fréquentes descentes de police, à la répression de l’État et à la violence envers les personnes Noires. Dans le cadre de cette répression, de nombreux·ses intermédiaires subsaharien·nes ont été arrêté·es ces dernières années.

    Les conditions de vie dans les camps sont loin d’être sûres. Le 24 janvier, elles ont entraîné la mort de 3 enfants. Ils sont morts étouffés après que leur abri de fortune en bâche ait pris feu dans la forêt de Gourougou (nord-ouest du Cimetière Sidi Salem, Nador). Leur mère, Happiness Johans, est décédée à l’hôpital quelques jours plus tard. En réaction, l’AMDH Nador a écrit une lettre ouverte au ministre de l’Intérieur pour demander que les personnes en exil soient autorisé·es à louer des maisons à Nador.

    Nador est non seulement un point de rassemblement pour les communautés de voyageur·ses subsaharien.nes, mais aussi un point de départ pour les ressortissant·es marocain·es qui se rendent en Espagne. Ils et elles souffrent également de la répression. Les arrestations et les expulsions inhumaines de mineur·es marocain·es à Nador continuent. L’AMDH de Nador rapporte que le 1er janvier, près de 80 mineur.es et jeunes non accompagné·es ont été embarqué·es de force dans des bus et emmené.es à Casablanca. Aucun·e d’entre eux·elles n’était originaire de cette ville.

    Les ressortissant·es marocain·es continuent de se rendre en Espagne continentale par voie maritime, mais ils et elles s’organisent très différemment des voyageur·ses subsaharien·nes. La région du Rif ne fait pas exception. Plutôt que des équipes professionnelles, ce sont des ami·es qui se réunissent pour planifier et organiser la traversée. Ils et elles mettent en commun leurs ressources pour obtenir l’équipement nécessaire et, dans certains cas, pour soudoyer les officiers militaires qui surveillent les zones de départ. Les ami·es et les membres de la famille peuvent également fournir un soutien matériel pour le voyage. Comme nous ne disposons pas d’autres informations concrètes sur la manière dont les ressortissant·es marocain·es parviennent à surmonter le système frontalier, et de même pour d’autres communautés, par exemple les ressortissant·es syrien·nes et yéménites, nous pouvons seulement décrire la manière dont les voyageur·ses subsaharien·nes passent par Nador.
    Le commerce frontalier autour de Nador : Les prix ont augmenté de façon spectaculaire

    Le système établi autour du passage vers l’Europe via Nador a connu des changements fondamentaux au fil des ans. Les prix ont augmenté de façon spectaculaire pour les voyages à partir de cette région. Un membre local d’Alarm Phone, qui vit dans les forêts de Nador depuis 2001, se souvient que jusqu’en 2010, on pouvait obtenir une place dans un bateau pour seulement 300 €. Puis, entre 2010 et 2014, un nouveau système a vu le jour dans les forêts : le système “garantie” Les gens voyagent désormais avec “garantie”. Ils et elles effectuent un paiement unique plus élevé, mais sont assuré·es d’avoir autant de tentatives de traversée qu’il en faut pour atteindre l’Europe. Il s’agit peut-être d’une réponse aux taux d’interceptions élevés, tant sur terre que sur mer. Il faut désormais souvent plusieurs tentatives pour réussir la traversée. Le prix de la “garantie” est passé à 1500 euros. Vers 2018, les prix sont montés jusqu’à 3 500 € et, pour une femme avec des enfants, jusqu’à 4 500 €.

    Pour comprendre comment les prix sont déterminés dans les forêts, il faut savoir que les négociations se font par le biais d’intermédiaires au sein des communautés subsahariennes. Ces intermédiaires rencontrent régulièrement les président·es des différentes communautés subsahariennes. Ils travaillent également avec des organisateur·ices de départs marocain·es. L’agent·e marocain·e demande aux intermédiaires une somme par tête pour organiser les bateaux. Cette somme est payée par le ou la futur·e passager·e, qui doit également verser une commission à l’intermédiaire.

    L’agent·e et l’intermédiaire négocient le prix par tête. Les voyageur·ses uni·es pourraient exercer une grande influence sur les agent·es dans ces négociations, car les Marocain·es n’ont aucun autre lien avec leurs client·es potentiel·les. Mais la loi de l’offre et de la demande favorise les trafiquant·es. Les possibilités de voyage, les places dans les canots pneumatiques, se font rares depuis quelques années maintenant et certaines communautés subsahariennes ont accepté de payer des sommes plus élevées aux trafiquant·es marocain·es afin de s’assurer une place. Cela a entraîné une hausse des prix au niveau mondial. Il s’agit d’une activité très rentable pour les agents de voyage.

    Nous savons que, face aux hausses de prix exorbitantes, les communautés ont tenté d’organiser elles-mêmes leurs voyages afin d’exercer une pression pour faire baisser les prix. Néanmoins, contrairement à la situation d’un Etat où la loi aurait permis à un syndicat de maintenir les prix à un niveau abordable, la criminalisation du commerce a mis les acheteur.euses à la merci d’un marché absolument non réglementé. Dans un contexte où le client se voit menacé de ne pas partir ou d’être tabassé s’il ne règle pas le montant d’avance, c’est le vendeur qui détient tout le pouvoir. Il n’est pas surprenant que des tentatives de négociations collectives au sein de groupes de client.es disparates aient échoué. Aujourd’hui, un.e candidat.e à la traversée est susceptible de payer jusqu’à 2600 euros d’avance au passeur et 900 euros à l’intermédiaire pour une place dans un bateau, aux côtés de 59 autres voyageur.euses.

    Les chefs des communautés ainsi que les intermédiaires ont toujours eu accès à une liste de personnes vivant dans les forêts et n’ayant pas les moyens de payer pour le voyage, c’est-à-dire souvent des mères seules, mais aussi d’autres personnes n’étant pas en mesure de rassembler assez d’argent. Les chefs notent également les noms de “celles et ceux qui ne posent pas problème” dans les camps, c’est-à-dire des personnes qui suivent les codes et les règles destinées à assurer la sécurité de la communauté dans ces camps. Progressivement, au fil des années, des places gratuites ont été libérées pour ces personnes à bord des bateaux. Les prix ayant aujourd’hui atteint de tels montants, pouvant aller jusqu’à 3500 euros pour une place, cette forme de solidarité n’est plus réalisable. La situation des personnes sans moyens financiers est désormais sans espoir. L’unique moyen qu’il leur reste d’atteindre l’Espagne est de passer par-dessus les barrières de Melilla – option qui, mises à part quelques rares exceptions, n’est envisageable que pour des hommes.

    Autour de Noël et du Nouvel An, de nombreuses tentatives collectives pour franchir les barrières de Melilla ont eu lieu. Ces tentatives ont été reçues violemment par les autorités espagnoles et marocaines. D’après le Ministre des affaires étrangères espagnol, plus de 1000 personnes ayant essayé de franchir les barrières de Ceuta et de Melilla ont été interceptées dans cette courte période. Les barrières frontalières de Melilla sont de plus en plus militarisées. La présence d’unités militaires armées y est désormais permanente. Néanmoins, le 2 mars, alors que nous rédigions le présent rapport, 2500 personnes sont parvenues à organiser une tentative pour franchir ces barrières. 500 d’entre elles environ ont réussi à rejoindre Melilla. C’est un énorme Boza. En terme d’arrivées, il s’agit de l’une des tentatives les plus fructueuses aux frontières de Melilla. Bienvenue en Espagne !
    Les cas Alarm Phone de ces derniers mois : 27 personnes ont disparu sans laisser de traces

    Pendant la période que couvre ce rapport, 16 embarcations en partance du Nord-Est du Maroc ont contacté l’Alarm Phone. 7 des 8 bateaux partis en novembre et en décembre entre Temsamane/Al Hoceïma et Nador sont bien arrivés à Motríl et à Almería. Seul un bateau, transportant 15 personnes, a été intercepté par la Marine Royale. Durant la toute première semaine de janvier, Alarm Phone a été impliqué dans deux cas : un bateau parti de Tazaghine a dû retourner au Maroc, un autre, parti de Nador avec 13 personnes à son bord, a été secouru jusqu’à Almería.

    Le 8 janvier, on informe Alarm Phone qu’un bateau transportant environ 36 personnes est parti de Nador pendant la nuit. Le MRCC Rabat confirmera plus tard l’interception du bateau. Nous déplorons le fait qu’une autre embarcation, ainsi que les 27 personnes qui étaient à son bord, parties de Nador quelques heures seulement après la première, aient disparu sans laisser de traces​​​​​​​. 9 des passager.es étaient des femmes.

    En février, deux bateaux qui avaient contacté Alarm Phone après leur départ d’Al Hoceïma ont été secourus et amenés en Espagne. Un autre bateau a été intercepté par la Marine Royale. Le 12 février, on informe Alarm Phone de la disparition en mer d’Alborán d’un bateau transportant 7 personnes, après être parti de Bouyafar à l’aube. Ce n’est qu’après deux jours et une grande pression exercée par les proches des passager.es ainsi que par Alarm Phone qu’il a été possible de découvrir que les voyageur.euses avaient été secouru.es, emmené.es à Motril et immédiatement placé.es en détention. Comme nous l’avons tweeté à propos de ce cas, “nous condamnons le silence des autorités qui relève d’un racisme structurel à l’encontre des personnes en mouvement. #LibertéDeMouvement.”
    2.4. Oujda et la frontière algérienne : les traversées deviennent plus dangereuses

    La situation à Oujda et à la frontière entre l’Algérie et le Maroc reste dangereuse et a empiré ces dernières semaines. Les quatre dernières mois ont été le théâtre d’arrestations de personnes, mineur.es y compris, qui mendiaient, ainsi que de refoulements répétés à la frontière.

    Bien des personnes ayant pour volonté de traverser la frontière qui sépare le Maroc de l’Europe doivent d’abord passer par l’Algérie. Puisque cette frontière est fermée depuis longtemps – y compris pour des personnes ayant des documents officiels leur permettant de voyager entre ces deux pays – traverser cette frontière est évidemment très difficile pour des personnes ne bénéficiant pas d’une telle permission. “Difficile” signifie presque toujours que cela coûte cher. Historiquement, les hommes devaient payer entre 150 et 200 euros, parfois même 250 euros, pour pouvoir traverser cette frontière terrestre entre l’Algérie et le Maroc. Les femmes devaient payer entre 300 et 400 euros et les personnes malades et/ou handicapées (physiques) devaient payer 500 euros.

    Le 5 janvier dernier, le Maroc a officiellement établi une zone militaire à la frontière avec l’Algérie. Jusqu’alors, le Maroc était divisé en deux zones militaires, Nord et Sud. La création de cette troisième zone est due au conflit qui n’a cesse de s’intensifier entre le Maroc et l’Algérie. La frontière a été renforcée et équipée tant matériellement qu’en ressources humaines. En conséquence, traverser la frontière est également devenu plus coûteux et, récemment, le nombre de personnes qui la traversent a drastiquement baissé. Les prix ont doublé, voire triplé dans certains cas. Pour des hommes physiquement valides, le prix minimal est désormais de 250 euros, le double pour des femmes, et le triple pour des personnes (physiquement) handicapées ainsi que pour des femmes enceintes. On dit que les prix vont parfois jusqu’à 1000 euros. Ils dépendent des aptitudes physiques, plus particulièrement de la capacité à courir et de l’endurance. Désormais, traverser cette frontière est, en fait, surtout lié au transport de drogues et se fait en coopération avec les forces militaires marocaines qui, en échange, en profitent financièrement. On conseille aux personnes qui traversent d’avoir de l’argent et un smartphone sur elles afin de pouvoir payer leur sortie de prison si elles devaient être découvertes pendant la traversée.

    Les personnes qui souhaitent traverser sont souvent exploitées mais, n’ayant aucune autre option, elles ne peuvent pas l’éviter. Des femmes sont souvent violées dans la zone frontalière et tombent enceintes ou contractent des maladies sexuellement transmissibles. De nombreuses personnes meurent pendant la traversée. D’autres meurent après l’arrivée du fait des épreuves vécues. Cela est particulièrement courant en hiver en raison du manque de vêtements appropriés au climat ou parce qu’elles glissent sur le sol détrempé et tombent dans le fossé inondé de la frontière et s’y noient. Lorsque quelqu’un meurt en traversant la frontière, la personne qui mène le groupe ne peut appeler personne à l’aide sous peine d’être envoyée en prison. Même après la traversée, presque personne n’a le courage de recenser les morts qui ont eu lieu dans la zone frontalière : des personnes disparaissent sans que leur mort n’ait été consignée où que ce soit. Après avoir traversé la frontière, particulièrement en hiver, les personnes souffrent des conséquences physiques de ce parcours dangereux. La traversée peut durer de 2 à 3 jours, mais va parfois jusqu’à une semaine.

    Alors même que traverser la frontière devenait plus dangereux, les conditions de logement des personnes changeaient aussi. Alors qu’auparavant les personnes vivaient en plus grands groupes plus ou moins en auto-gestion, il est aujourd’hui plus courant de louer son propre petit espace dans un appartement bondé. Lorsque la police découvre qu’un grand nombre de personnes habitent dans un même appartement, elle s’y introduit de force et arrête les personnes sans papiers pour les déporter en Algérie en pleine nuit. A la fin de l’année dernière, par exemple, la police a arrêté 20 personnes à leur domicile. Nous avons été informé.es que sept personnes bénéficiant des papiers qu’il fallait ont été relâchées, que sept autres personnes ont été emmenées à la zone frontalière durant la nuit et que trois personnes ont été arrêtées pour privation de liberté et traffic d’êtres humains.

    Le début d’année a vu le nombre de rafles aux domiciles des personnes augmenter. Ces rafles se concentrent au niveau des quartiers habités par les migrant.es : Andalous et Ben Mrah, quartiers où les descentes de police sont de plus en plus fréquentes. En janvier, 16 personnes ont été arrêtées pour privation de liberté à Sidi Yahya, un autre quartier d’Oujda, et sont actuellement poursuivies en justice.

    En conséquence des mesures de contrôle liées au Covid-19, le “pass sanitaire”, l’attestation de vaccination en vigueur au Maroc, a été introduit de sorte que les personnes qui n’en bénéficient pas ne puissent pas faire leurs courses ou utiliser les transports en commun. L’accès au vaccin est variable. Il nous a été rapporté que des personnes sans titre de séjour ont pu être vaccinées au Maroc tant qu’elles étaient en mesure de montrer un passeport en règle. Néanmoins, le pass sanitaire n’est pas accessible à des personnes venant de traverser la frontière algérienne ou pour des personnes n’ayant pas les bons passeports. Cela signifie qu’elles ne peuvent pas voyager facilement. Le coût des transports est doublé, au moins, car les conducteurs cachent les personnes pour échapper aux contrôles.
    2.5. L’Algérie et les départs pour l’Espagne

    La tendance que nous avions remarquée dans les précédents rapports s’est poursuivie dans la période couverte par ce rapport. De novembre 2021 à mars 2022, le nombre de départs de jeunes hommes, de familles et de femmes parties des rives algériennes n’a cessé d’augmenter, en conséquence du retour de bâton du mouvement social de 2019, de la désillusion qui lui a succédée et des difficultés économiques dont la grande majorité de la population algérienne a fait l’épreuve et qui n’ont fait qu’empirer en contexte de pandémie.

    Sur le plan politique, les militant.es et les syndicalistes algérien.nes, ainsi que toute personne ayant été engagée dans le hirak, font toujours face à une répression impressionnante. Récemment, plusieurs organisations et de nombreux individus ont publié une déclaration dénonçant la criminalisation par les autorités algériennes des partis politiques, des syndicats et des bases d’organisations politiques. La répression ne mène pas seulement à l’exil d’un grand nombre de personnes algériennes. Elle rend également difficile l’obtention d’informations sur le terrain concernant la situation des voyageur.euses, car la menace de criminalisation force le silence de nombreux.ses citoyen.nes et militant.es.

    Dans un article publié par le site français Mediapart, un homme algérien résidant en Espagne demande : “Pourquoi on est autant à fuir l’Algérie ?,Tebboune [le président algérien] va se faire soigner en Allemagne et moi, je dois rester mourir ici ?”

    La défaillance du système de santé pousse de nombreuses personnes à quitter le pays. D’après un article du site algérien algeriepartplus, “les ressortissant.es algérien.nes sont les plus nombreux.ses à demander un visa pour avoir accès à un traitement dans les hôpitaux français”.

    Dans cette optique, il n’est pas surprenant que le nombre de départs depuis novembre soit resté très élevé et ait compté quelques pics pendant la période. Par exemple, la période entre le 30 décembre et le 4 janvier a vu le nombre de départs exploser, ce que les médias algériens ont largement documenté. Près de 40 bateaux sont partis de la côte algérienne en direction de la péninsule espagnole. D’expérience, nous savons que le nombre de départs augmente autour des périodes de fêtes nationales (par exemple autour de l’Aïd au Maroc). La Croix Rouge a recensé le passage de 312 personnes à ses bureaux d’Almeria. La moitié d’entre elles était arrivée au cours des 24h précédentes, entre le 31 décembre et le 1er janvier, d’après un article d’Infomigrants.

    Si de nombreux bateaux rejoignent avec succès les côtes espagnoles, bien d’autres ont un destin tragique. D’après l’ONG Caminando Fronteras, pas moins de 169 harragas algériens ont été portés disparus en 2021 et les corps sans vie de 22 d’entre eux ont été retrouvés par le Salvamento Maritimo. Entre le 1er et le 5 janvier, 30 Algérien.nes sont mort.es dans leur tentative pour entrer en Europe. Nos pensées vont, comme toujours, aux familles et aux proches des défunt.es.

    Notre emploi du mot “tragique” ne doit pas dissimuler où est la responsabilité de ces crimes : d’une part, le fait que les structures politiques algériennes n’offrent aucune perspective sociale et économique, d’autre part le refus délibéré des pays européens de permettre une route migratoire régulière ainsi que la militarisation des frontières que ces mêmes pays mettent en place. Combinés, ces facteurs forcent les gens à inventer et à risquer des chemins chaque fois plus dangereux vers un futur vivable.
    Le soutien porté par à Alarm Phone aux Algérien.nes qui voyagent vers l’Espagne

    Ces derniers mois, Alarm Phone a porté assistance à six bateaux partis d’Algérie en direction de l’Espagne (le 5 novembre, le 20 et le 30 décembre, le 11 et le 13 février). L’un d’entre eux transportait 9 personnes parties de Capdur (Béjaïa) le soir du 30 décembre et a finalement échoué sur l’île du Congrès (Espagne). Elles ont été finalement refoulées jusqu’à Nador, au Maroc.

    Les voyageur.euses algérien.nes ne font pas seulement face aux risques en mer. Une fois arrivé.es en Europe, le risque de déportation est désormais de plus en plus grand. A la mi-novembre, une entrevue entre les ministres de l’Intérieur algériens et espagnols a eu pour issue la décision du gouvernement algérien de débloquer l’équivalent de 6,4 millions d’euros pour financer le rapatriement des harragas algériens en 2022. Depuis lors, les déportations ont dramatiquement augmenté. Le 20 février, une trentaine d’Algérien.nes a été déportée d’Espagne vers Oran ou Ghazaouet. Le 1er février déjà avait eu lieu une déportation au cours de laquelle 40 Algérien.nes ont été expulsé.es de force dans le port d’Almeria. D’après l’un de nos contacts à Oran, le risque d’arrestations et de poursuites judiciaires pour les personnes déportées de force vers l’Algérie est très élevé. Cela fait partie intégrante de la dure criminalisation des harragas par l’Etat algérien dont il était déjà question lors d’un précédent rapport. La procédure de déportation ajoute donc un nouveau risque à la liste de ceux que les personnes en mouvement connaissent déjà et nourrit la corruption en Algérie puisque le seul moyen pour les personnes déportées de sortir de prison est de soudoyer quelqu’un.
    Un commerce frontalier florissant

    Il est clair que le déchaînement général et continu des politiques répressives à l’encontre des personnes en mouvement a créé les conditions propices au développement d’un commerce frontalier prolifique géré par des organisations clandestines en constante expansion. Dans un article intitulé “Algérie : Le trafic de migrants vers l’Espagne a généré près de 60 millions d’euros en 2021” Jeune Afrique met en avant une enquête menée en 2021 par la police espagnole montrant que “ces réseaux disposent aujourd’hui d’une flotte de « bateaux-taxis », des embarcations dotées de puissants moteurs de 200 à 300 chevaux permettant de gagner rapidement les côtes espagnoles et d’effectuer plusieurs rotations par semaine.”

    En Algérie, les organisations illicites impliquées dans le business des frontières sont devenues de plus en plus puissantes et structurées. En 2020, les observateurs.rices avaient déjà noté un changement dans le mode opératoire des voyageurs et voyageuses lié au rôle croissant des organisations criminelles dans l’organisation des traversées. Historiquement, l’exil des personnes algériennes était organisé de manière autonome. Des groupes d’une dizaine de personnes mettaient en commun leurs ressources pour financer un bateau et un moteur, puis préparaient correctement leur voyage avant de prendre la mer. Au cours des trois dernières années, la militarisation et la répression contre les voyageurs et voyageuses ont augmenté. Cela est allé de pair avec la corruption de la police des frontières. Cela a rendu possible le développement de puissantes organisations du marché noir. Celles-ci dominent désormais le marché. Nos contacts à Oran nous disent que l’organisation du passage clandestin telle qu’elle s’est développée en Algérie repose largement sur des pratiques systématiques de corruption au sein de la police des frontières. En outre, les départs autonomes sont désormais très difficiles, voire impossibles, car les trafiquants surveillent avec attention les côtes et les plages, à l’affût des départs de bateaux qui ne font pas partie de leur flotte.

    Ce phénomène est, selon Mediapart, particulièrement notable dans la région d’Oran, région à partir de laquelle la majorité des départs ont eu lieu au cours des derniers mois. Un pêcheur d’Oran raconte que “la marine n’arrive plus à faire face à la situation. Même quand elle tente de les stopper, [les passeurs] arrivent à leur échapper car leurs embarcations sont plus rapides. […] Certains jours, j’ai compté jusqu’à 11 bateaux de passeurs au mouillage”. Selon la chercheuse Nabila Mouassi, également citée dans l’article de Mediapart, “la mafia travaille sur un pied d’égalité avec l’État.”

    Quant au prix du passage, “tou.te.s les adolescent.e.s d’Oran et des villages alentours peuvent vous le dire”, affirme un contact local à Oran. Il varie de 750 à 4000 euros, selon le type de bateau, la qualité du moteur, la fourniture d’un GPS/téléphone satellite, etc.

    3 Naufrages et personnes disparues

    Au cours des quatre derniers mois, nous avons recensé plus de 200 décès et plusieurs centaines de personnes disparues dans la région de la Méditerranée occidentale. Alarm Phone a été témoin d’au moins dix naufrages et de cas de décès dus à un retard des secours ou à une absence d’assistance. Ces cas de “laissé.es pour compte” sont des évènements si courants qu’ils doivent être considérés comme faisant partie intégrante du régime mortel des frontières.

    Malgré tous les efforts déployés pour recenser les mort.e.s et les disparu.e.s, nous pouvons être sûr.e.s que le nombre réel de personnes qui sont mortes en mer en tentant de rejoindre l’UE est bien plus élevé. Nous voulons nous souvenir de chacun et chacune d’entre elles et eux et commémorer chaque victime inconnue afin de combattre le système politique qui les a tué.e.s.

    Le 8 novembre 2021, un bateau avec des ressortissant.es gambien.nes et sénégalais.es est parti de Gambie pour tenter d’atteindre les îles Canaries. C’était un groupe d’environ 165 personnes. Après deux jours, leurs proches ont perdu le contact avec elleet eux. Aucune nouvelle des voyageurs et voyageuses depuis. 35 des passager.e.s étaient originaires de Gunjur. Le village reste sous le choc et dans la confusion. (source : AP)

    Le 11 Novembre, quatre corps sans vie sont repêchés et trois personnes sont déclarées disparues. Les personnes décédées se sont noyées à proximité de la côte de Oued Cherrat, Skhirat, Maroc.

    Le 14 Novembre, un bateau est retrouvé, à environ 40 miles au sud de Gran Canaria, Espagne, avec sept corps sans vie à bord. Le bateau avait passé au moins six jours en mer. Une huitième personne est morte après le secours dans le port de Arguineguin, Gran Canaria, Espagne

    Le 15 Novembre, deux personnes meurent dans une embarcation à la dérive au Sud de Gran Canaria, Espagne. Il y a 42 personnes survivantes.

    Le 18 Novembre, un corps sans vie est rejeté sur la côte à Nabak, 16km au Nord de Dakhla, au Sahara Occidental.

    Le 18 novembre, un bateau avec deux corps sans vie et 40 survivant.es est retrouvé à la dérive à 216 km au sud de Gran Canaria, en Espagne.

    Le 19 novembre, un corps sans vie est retrouvé après le chavirement d’un bateau à moteur dans les alentours de la côte de Sarchal, Ceuta, Espagne.

    Le 20 novembre, Mutassim Karim est porté disparu alors qu’il tentait de rejoindre Melilla, en Espagne, à la nage. L’ONG AMDH pointe du doigt la Guardia Civil comme responsable du décès et demande l’ouverture d’une enquête sur cette disparition.

    Le 23 novembre, un bateau avec 34 personnes est retrouvé par un navire marchand à 500 km au sud de Gran Canaria. 14 personnes sont mortes et seules 20 personnes survivent après 3 semaines en mer.

    Le 25 novembre, une femme tombe à l’eau alors qu’un bateau de 58 personnes est intercepté par la marine marocaine au large de Laayoune, au Sahara occidental. Une autre personne était morte avant l’interception.

    Le 26 novembre, deux personnes meurent et quatre sont portées disparues après qu’un dinghy/zodiac ait chaviré au sud de Gran Canaria, en Espagne.

    Le 27 novembre, la mort de deux personnes est confirmée après qu’un bateau transportant 57 personnes ait chaviré pendant une opération de secours au sud-est de Fuerteventura, sur les îles Canaries, en Espagne. Quatre personnes sont toujours disparues.

    Le 27 novembre, deux corps sans vie sont retrouvés en mer, à Punta Leona et à El Desnarigado-Sarchal, à Ceuta, en Espagne.

    Le 30 novembre, cinq mineurs – Ahmed, Tarik, Yahya, Alae et Brahim – sont portés disparus dans le détroit de Gibraltar, au Maroc. Ils avaient quitté Ceuta deux semaines plus tôt dans un radeau sans moteur avec la péninsule pour cap. Nous sommes toujours sans nouvelle.

    Le 1er décembre, au moins 40 personnes perdent la vie après le naufrage d’un bateau au large de Tarfaya, au Maroc.

    Le 2 décembre, la dépouille d’un bébé est retrouvée à bord d’un bateau au large des côtes de Fuerteventura. Le bébé faisait partie d’un groupe de presque 300 personnes qui voyageaient dans cinq bateaux différents en direction de Fuerteventura en Espagne. L’Alarm Phone a été informé qu’un sixième bateau avait fait naufrage non loin de la plage de Tarfaya. 22 personnes ont été déclarées disparues et 13 personnes ont été retrouvées mortes.

    Le 6 décembre, un bateau avec 56 personnes à son bord arrive à Gran Canaria, en Espagne. Un bébé, deux femmes et un homme meurent avant d’avoir atteint l’île.

    Le 6 décembre, les dépouilles de trois personnes s’échouent sur le rivage, sur la plage de Beni Chiker, à Nador, au Maroc, très probablement après une tentative de traverser la frontière de Melilla.

    Le 6 décembre, un bateau transportant 20 personnes est secouru au sud de La Gomera, îles Canaries, Espagne. On y retrouve un corps mort.

    Le 8 décembre, 29 personnes meurent après qu’un bateau ait chaviré en Atlantique, au large de Laayoune, au Sahara occidental. 31 personnes survivent au naufrage.

    Le 9 décembre, un corps est retrouvé à 50km au nord de Dakhla, au Sahara occidental.

    Le 12 décembre, un corps mort échoue sur la plage de Fnideq au Maroc. Il semble s’agir du corps d’une personne ayant tenté d’atteindre Ceuta à la nage.

    Le 13 décembre, un corps est retrouvé près de la plage de Sarchal, à Ceuta, en Espagne.

    Le 14 décembre, un corps échoue sur la plage municipale de Tanger au Maroc.

    Le 14 décembre, un corps est retrouvé près de la Corniche de Nador au Maroc. La personne est probablement décédée au cours de sa tentative pour traverser la frontière de Melilla en Espagne.

    Le 17 décembre, un corps est retrouvé sur un bateau de 60 personnes au Sud-est de Gran Canaria, dans les îles Canaries, en Espagne.

    Le 18 décembre, 17 personnes meurent en mer entre la Gambie et les îles Canaries, en Espagne. Un bateau composé de 105 survivant.es est retrouvé à 800kms au sud de Tenerife. Le bateau avait quitté la Gambie 19 jours plus tôt.

    Le 18 décembre, 35 personnes meurent dans le naufrage d’un bateau transportant 52 personnes, au large de Boujdour, au Sahara occidental.

    Le 20 décembre, deux corps sont retrouvés près de la frontière algérienne à Touissite, Jerada, au Maroc.

    Le 21 décembre, un corps est retrouvé à Playa de los Muertos, à Almeria, en Espagne.

    Le 21 décembre, un bateau de 15 personnes fait naufrage au large de la côte d’Arzew en Algérie. Seules huit personnes ont survécu.

    Le 23 décembre, trois personnes meurent et trois disparaissent après qu’un bateau de 10 personnes ait chaviré à 3kms au large de Chlef, Mostaganem, en Algérie.

    Le 23 décembre, deux corps sont retrouvés à Ras Asfour, à Jerada, au Maroc (près de la frontière algérienne).

    Le 30 décembre, un corps sans vie est rejeté sur la plage de Ténès, Chlef, Algérie.

    Le 30 décembre, un corps sans vie est retrouvé près du port de Beni Haoua, Chlef, Algérie.

    Le 31 décembre, deux corps sans vie sont découverts sur la côte de Cherchell, Tipaza, Algérie.

    Le 31 décembre un corps sans vie est repêché en mer près de BouHaroun, Tipaza, Algérie.

    Le 31 décembre, six survivants et trois corps sans vie sont repêchés après un naufrage à 35 miles nautiques de la côte d’Almeria, Espagne.

    Le 03 janvier 2022, trois personnes meurent et dix personnes disparaissent dans deux naufrages au large de Cabo de Gata, Almería, Espagne.

    Le 04 janvier, deux bateaux avec 103 survivant·es et deux corps sans vie sont trouvés par des navires de la marine américaine lors de manœuvres dans l’Atlantique. Les survivant·es sont transféré·es à la Marine Royale.

    Le 04 janvier, Alarm Phone est informé de la disparition d’un bateau avec 52 personnes à bord. Le bateau était parti avec 23 hommes, 21 femmes et huit enfants de Tarfaya, au Maroc.

    Le 04 janvier, Alarm Phone est informé d’un cas de détresse avec 63 personnes à bord au large de Tarfaya, Maroc. Cinq personnes meurent en mer avant l’arrivée des secours et six personnes doivent être soignées à l’hôpital.

    Le 07 janvier, après plusieurs jours de dérive, un bateau est secouru à 26 km des côtes d’Alicante, en Espagne. Cinq personnes peuvent être secourues, au moins 12 personnes sont portées disparues.

    Le 07 janvier, Alarm Phone est informé de la disparition d’un bateau qui avait quitté Ain-El Turk, Algérie, le 03 janvier avec 12 personnes à bord. Le bateau semble avoir sombré en emportant tou.tes les passager·es.

    Le 08 janvier, Alarm Phone est témoin du naufrage d’un bateau avec 27 personnes à bord au large de Nador, au Maroc. Cinq corps en décomposition sont retrouvés près de Malaga, en Espagne, 15 jours plus tard. 22 personnes sont portées disparues.

    Le 9 janvier, Alarm Phone Maroc est informé qu’un bateau avec 12 personnes à bord a fait naufrage au large des côtes algériennes. Seules deux personnes ont survécu, dix personnes sont toujours portées disparues.

    Le 11 janvier, un corps sans vie est retrouvé dans l’eau au large de Rocher Plat, Tipaza, Algérie.

    Le 12 janvier, un corps en décomposition est rejeté sur le rivage à Plage Gounini, Tipaza, Algérie.

    Le 13 janvier, un bateau avec 60 voyageur·ses est perdu. Il était parti une semaine auparavant à destination des îles Canaries, en Espagne.

    Le 14 janvier, dix personnes meurent dans un naufrage au large des côtes algériennes. Seules trois personnes peuvent être sauvées après 12 jours de dérive.

    Le 16 janvier, Alarm Phone est informé d’un cas de détresse avec 55 personnes à bord. Lorsque les secours arrivent enfin, deux personnes sont déjà décédées et dix seulement peuvent être sauvées. 43 personnes sont toujours portées disparues. Le naufrage a eu lieu près de Tarfaya, au Maroc. Il est rapporté que deux personnes sont décédées à l’hôpital.

    Le 16 janvier, le corps d’un jeune homme est rejeté sur la côte orientale de Fuerteventura. Le jour suivant, le corps d’une jeune femme est également retrouvé.

    Le 17 janvier, une personne est retrouvée sans vie dans l’un des deux canots pneumatiques secourus au sud-est de Gran Canaria, en Espagne.

    Du 16 au 25 janvier, cinq corps sans vie sont rejetés sur le rivage sur différentes plages autour de Málaga, en Espagne :

    Le 16 janvier, un corps mort est retrouvé sur la plage de Cabo Pino, à l’est de Marbella, en Espagne.
    Le 17 janvier, deux corps morts sont retrouvés sur la plage de Las Verdas, à Benalmádena, en Espagne.
    Le 23 janvier, un corps est retrouvé flottant près de la plage de La Caleta, Malaga, Espagne.
    Le 24 janvier, un corps est retrouvé flottant à côté de la plage de Nerja, Espagne.

    Comme 17 personnes ont disparu lors de leur traversée vers Almeria entre le 16 et le 25 janvier, nous supposons que ces corps font partie des personnes qui se sont noyées dans les différents naufrages de cette période.

    Le 18 janvier, le corps sans vie d’une personne qui voyageait dans un bateau avec neuf autres hommes est repêché au large de Carboneras, Almeria, Espagne.

    Le 24 janvier, il n’y a toujours aucune trace d’un bateau avec 43 personnes qui avait quitté Nouadhibou, Mauritanie, le 5 janvier. Parmi ces personnes qui tentaient de prendre la route des îles Canaries, sept femmes et deux enfants

    Le 25 janvier, 19 personnes meurent et neuf personnes survivent à un naufrage à 77 km au sud-est de Lanzarote, en Espagne.

    Le 1er février, au moins deux personnes meurent lorsqu’un bateau pneumatique chavire à 100 km au large de Plage David, Ben Slimane, Maroc. Le nombre de personnes disparues n’est pas clair. Le bateau transportait environ 50 personnes, mais seules sept d’entre elles ont été secourues.

    Le 01 février, Alarm Phone Maroc rapporte qu’une personne est décédée pendant l’opération de sauvetage d’un bateau avec 58 personnes au large de Tarfaya, au Maroc.

    Le 02 février, au moins un homme meurt et un autre est évacué par hélicoptère vers un hôpital après qu’un bateau avec environ 50 personnes à bord, chavire à 35 km au sud de Morro Jable, Fuerteventura, îles Canaries, Espagne.

    Le 05 février, Alarm Phone Maroc découvre le naufrage d’un bateau transportant 58 personnes, survenu au large de Tarfaya, au Maroc. Huit personnes n’ont pas survécu à la tragédie selon les recherches d’Alarm Phone.

    Le 6 février, Alarm Phone est alerté du naufrage d’un bateau pneumatique transportant 52 personnes à 75 miles nautiques au sud-ouest de Boujdour, Sahara Occidental. En raison des conditions météorologiques difficiles et du mauvais état du bateau, les personnes à bord sont en grand danger. Le téléphone d’alarme informe immédiatement les autorités mais les secours sont retardés pendant des heures. Quatre personnes sont mortes avant l’arrivée du navire de sauvetage.

    Le 7 février, un bateau avec 68 personnes à bord fait naufrage à 85 km au sud de Gran Canaria, îles Canaries, Espagne. 65 personnes sont secourues mais trois personnes avaient sauté du bateau pneumatique et ont perdu la vie avant le début des opérations de sauvetage.

    Le 13 février, les restes d’une personne sont rejetés sur la plage de Targha, Chefchaouen, Maroc.

    Le 22 février, 40 personnes sont secourues après neuf jours de dérive au large de la côte de Sidi Ifni, au Maroc. Trois personnes étaient déjà décédées.

    Le 23 février, Alarm Phone est informé d’un naufrage avec 87-94 personnes au large de la côte d’Imtlan, Sahara Occidental. Trois corps sans vie sont récupérés à bord après quatre jours en mer, 47 personnes sont secourues, mais 37-44 personnes sont toujours portées disparues.
    4 Journée internationale de lutte : CommémorActions 2022 à l’occasion du 6 février

    Le travail de Alarm Phone consiste principalement à soutenir par téléphone les personnes en détresse pendant leur traversée. Mais dans la plupart des cas, le travail va bien au-delà. En plus de documenter les refoulements illégaux et l’absence d’assistance de la part des autorités, nous finissons parfois par soutenir les familles dans la recherche de leurs proches disparu.e.s. Lorsqu’un bateau disparaît, les proches restent souvent sans information pendant des mois, ne reçoivent pratiquement aucun soutien de l’État et se sentent livré.es à eux et elles -mêmes dans la tentative de retrouver leurs proches. C’est souvent le cas en Gambie, point de départ habituel des bateaux sur la route de l’Atlantique. Malheureusement, Alarm Phone n’est pas vraiment en action dans cette région mais certain.es de nos camarades activistes qui y vivent nous ont parlé d’un cas dans lequel iels se sont retrouvé.es impliqué.es fin janvier :

    Le 8 novembre 2021, un bateau avec des ressortissant.e.s gambien.ne.s et sénégalais.e.s est parti de Gambie pour rejoindre les îles Canaries. C’était un groupe d’environ 165 personnes, dont 8 femmes. Après deux jours, leurs proches ont perdu le contact avec elle et eux et n’ont plus de nouvelles depuis. Alarm Phone a rencontré plusieurs familles à Gunjur, en Gambie. Elles sont toujours désespérément à la recherche d’un groupe de 35 jeunes de leur village qui faisaient partie des passager.es du bateau. Jusqu’à aujourd’hui, elles n’ont reçu aucun soutien des gouvernements dans leur tentative de retrouver leurs proches.

    Selon le Comité International de la Croix-Rouge (ICRC), seulement “13 % des personnes qui se sont noyées en route vers l’Europe en Méditerranée et dans l’océan Atlantique entre 2014 et 2019 ont été retrouvées ou enterrées en Europe du Sud.” Étant donné que les funérailles sont une étape importante dans le processus de deuil, ne pas pouvoir enterrer les parents et ami.es perdu.es ou rester dans l’incertitude quant à leur sort empêche les gens de trouver comment surmonter leur chagrin. Malgré cela, ça peut donner d’autant plus de force pour sortir de sa supposée impuissance, passer à l’action ensemble et commémorer publiquement les personnes disparu.e.s tout en dénonçant le régime frontalier meurtrier et les responsables de ces morts.

    C’est pourquoi, chaque année depuis le massacre de Tarajal en 2014, des milliers de personnes à travers le monde descendent dans la rue le 06 février, Journée Mondiale de Lutte, en réponse à l’appel à l’action pour organiser des “commémorActions” décentralisées et locales. Ce sont des actions pour commémorer les personnes qui sont mortes, ont disparu ou ont été forcées de disparaître au cours de leurs voyages à travers les frontières. Cette année, de telles commémorations ont eu lieu au Cameroun, en Gambie, en Tunisie, au Mali, au Maroc, en Mauritanie, au Niger, au Sénégal, en Turquie, au Mexique, en France, en Allemagne, en Grèce, à Malte, en Serbie, en Slovénie, en Espagne, en Italie, au Royaume-Uni et ailleurs.
    Vous pouvez trouver une collection de vidéos et de photos sur les médias sociaux (#CommemorActions). En parallèle, notre projet sœur “Missing at the Borders ” recueille des images de toutes les villes où des actions commémoratives ont eu lieu. Voici quelques images des événements que les activistes d’Alarm Phone ont (co-)organisés le 6 février 2022 :

    En septembre 2022, une autre grande #commémorAction aura lieu en Tunisie. Nous espérons vous voir là bas, ou à l’une des nombreuses manifestations dans la lutte quotidienne contre l’inhumaine politique migratoire des puissants. Continuons à commémorer les personnes, pas les chiffres, et luttons ensemble pour la liberté de circulation pour toutes et tous !

    https://alarmphone.org/fr/2022/03/31/la-marchandisation-des-frontieres
    #asile #migrations #réfugiés #commémoration #morts_aux_frontières #décès #morts #route_atlantique #Atlantique #Sahara_occidental #Maroc #Canaries #mur_invisible #Tanger #Ceuta #Détroit_de_Gibraltar #Gibraltar #Nador #Oujda #Algérie #commerce_frontalier #naufrages #disparitions

  • Lost in Europe | We investigate the disappearance of child migrants

    Lost in Europe is a cross-border journalism project investigating the disappearance of child migrants in Europe.

    https://lostineurope.eu

    #MNA #mineurs_non_accompagnés #asile #migrations #disparition #France #réfugiés #disparitions #enfants #enfance

    –-

    voir aussi ce long fil de discussion sur les #enfants_disparus :
    https://seenthis.net/messages/714320

    • Perdersi in Europa senza famiglia

      Attualmente ci sono in Italia più di 20mila Minori stranieri non accompagnati (Msna): sono soprattutto ragazzi adolescenti. È uno dei numeri più alti mai registrati dal 2015. Almeno 12 al giorno scappano dai centri e scompaiono. La situazione dei minorenni migranti in Europa è una delle questioni più urgenti di oggi.

      In questo libro Ferrara e Gennaro, due giornaliste del gruppo Lost in Europe, un pool di 28 giornalisti di 14 Paesi, recuperano le storie di ragazzi e ragazze, anche molto piccoli, troppo spesso invisibili in Europa.

      Un lavoro di giornalismo investigativo e collaborativo per rispondere ad alcune cruciali domande: quali sono le rotte che utilizzano i minori stranieri non accompagnati per raggiungere l’Europa? Quali sono i pericoli che corrono? L’Unione europea è davvero in grado di accoglierli e proteggerli?

      Storia dei numeri e delle istituzioni, reportage dal Mediterraneo centrale e dai confini tra Italia e Francia, il caso della Bosnia e della Grecia, il contrabbando di minori dal Kosovo, l’inchiesta sui bambini vietnamiti trafficati, gli orfani ucraini contesi e la situazione nelle maggiori città italiane con testimonianze sul campo.

      https://altreconomia.it/prodotto/perdersi-in-europa-senza-famiglia
      #livre

  • Asile, une industrie qui dérape

    Le traitement des demandes d’asile en Suisse est devenu une véritable industrie, avec des #centres_fédéraux gérés principalement par des sociétés privées. Employés mal payés, manque cruel de formation, dérapages violents, dérives bureaucratiques, accès aux soins problématique : des témoignages et des documents d’enquêtes pénales inédits permettent de percer la boîte noire des centres fédéraux d’asile.

    https://pages.rts.ch/emissions/temps-present/12754866-asile-une-industrie-qui-derape.html

    #Budget de fonctionnement des centres : 215 millions en 2021, dont 57 mio à l’encadrement et 60 millions à la sécurité (min 53’50) :

    Dans le reportage, l’histoire de #Sezgin_Dag est racontée. Sezgin décède dans un taxi qui était en train de l’amener à l’hôpital (à partir de la minute 3’06).

    #asile #migrations #réfugiés #privatisation #business #Suisse #ORS #Protectas
    #violence #accélération_des_procédures #procédures_accélérées #accès_aux_soins #souffrance #témoignage #industrie_de_l'asile #business #SEM #Securitas #coût #dysfonctionnement #Boudry #cellule_de_réflexion #décès #morts #suicides #automutilations #traumatismes #dérapages #Gouglera #injures #violence_systématique #frontaliers #conditions_de_travail #plan_d'exploitation_hébergement (#PLEX) #fouilles #nourriture #alimentation #punitions #privations_de_sortie #mesures_disciplinaires #horaires #pénalité #formation #spray #agents_de_sécurité #salaires #centres_pour_récalcitrants #récalcitrants #Verrières #centres_spécifiques #centre_des_Verrières #disparitions #délinquance #optimisation #sécurité #prestations #société_anonyme

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    Ajouté à la métaliste sur #ORS en Suisse :
    https://seenthis.net/messages/884092