• Un rapporto sulla frontiera tra Lettonia, Russia e Bielorussia

    Il monitoraggio della ONG “I want to help refugees”

    A ottobre 2023 la ONG lettone Gribu palīdzēt bēgļiem (Voglio aiutare i rifugiati) 2, ha pubblicato un report sulla monitoraggio delle frontiere curato da Anna E. Griķe e Ieva Raubiško 3.

    Questa pubblicazione segue il report sulla visita effettuata in Lettonia dal 10 al 20 maggio del 2022 dal Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti (CPT), un dossier a cui il governo lettone ha replicato in modo ambiguo e fuorviante. L’ONG lettone ha così deciso di redigere un proprio report che contesta le affermazione governative.

    Il Rapporto del Comitato europeo, infatti, forniva 21 raccomandazioni in merito alla situazione di detenzione nei confronti delle persone migranti, mentre la risposta del governo lettone considerava 18 di queste come risolte e/o ingiustificate, per cui non dovrebbero essere prese ulteriori misure, e 3 raccomandazioni presentate insieme a una potenziale azione.

    Tra le raccomandazioni, il CPT ha indicato alle autorità lettoni di garantire che le persone migranti che arrivano nella zona di frontiera o che sono presenti nel Paese non siano rimpatriate con la forza in Bielorussia. E’, invece, doveroso effettuare uno screening individuale al fine di identificare le persone bisognose di protezione, valutare tali necessità e prendere le misure appropriate. Inoltre, è essenziale che i cittadini stranieri abbiano accesso a una procedura di asilo, o altra procedura di soggiorno, che preveda una valutazione del rischio di maltrattamento in caso di espulsione della persona interessata verso il Paese di origine o un Paese terzo, sulla base di un’analisi obiettiva e indipendente della situazione dei diritti umani in quegli Stati.

    Per le autorità lettoni, attualmente, la situazione nei territori amministrativi al confine tra Lettonia e Bielorussia è considerata come un’emergenza e «non consente il flusso incontrollato di persone che attraversano il confine di Stato in luoghi non previsti», e allo stesso tempo non limita il diritto delle persone ad accedere alla procedura di asilo, poiché «il diritto di presentare una domanda al valico di frontiera previsto dalla legge sull’asilo non è limitato».

    Tuttavia, le testimonianze delle persone respinte con la forza dal confine lettone verso la Bielorussia indicano che al confine non viene effettuato un esame adeguato (ad esempio, non vengono verificati i documenti d’identità: nazionalità, età e altri dati identificativi sono sconosciuti), in violazione del divieto di espulsione collettiva dei rifugiati sancito dalla Convenzione di Ginevra, dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo e dalla CEDU (principio di non-refoulement). Ci sono stati casi in cui non solo le famiglie con bambini, ma anche i minori non accompagnati sono stati respinti. Inoltre, perfino il principio dell’unità familiare non sempre è rispettato.

    Altre testimonianze di persone che sono riuscite ad entrare in Lettonia e hanno presentato domanda di asilo per motivi umanitari, mostrano che né le autorità bielorusse né quelle lettoni permettono ai migranti di spostarsi verso i valichi di frontiera ufficiali, respingendo invece in Lettonia o in Bielorussia, nonostante la legislazione vigente preveda che le persone possano presentare domanda di asilo ai valichi di frontiera ufficiali (ce ne sono due a Pāternieki e Silene) e al Centro di detenzione per stranieri di Daugavpils.

    Per dissuadere le persone dall’attraversare la frontiera, le guardie ricorrono all’uso della forza fisica e mezzi speciali, nonché all’uso di cani da guardia. Il 29 agosto 2023, il governo ha ratificato gli emendamenti al “Regolamento sui tipi di mezzi speciali e sulla procedura per il loro utilizzo“, prevedendo oltre ai mezzi speciali già in uso – tra cui manganelli, taser, spray di gas cs, candelotti e granate fumogene, granate a gas, luminose e sonore – anche dispositivi sonori con effetti stordenti.

    L’uso eccessivo della forza da parte delle forze dell’ordine è illegale e per questo il CPT ha raccomandato che le forze dell’ordine vengano informate a riguardo e ricevano una formazione pratica sull’uso proporzionato della forza per l’arresto di cittadini stranieri alla frontiera.

    Le autorità lettoni ribattono di non aver fatto ricorso alla forza fisica e a mezzi speciali contro le persone migranti in quanto non si sono verificati casi in cui queste non hanno obbedito agli ordini considerati legittimi delle guardie di frontiera: le persone, infatti, vengono informate che l’attraversamento del confine di Stato è illegale e che è prevista una responsabilità penale per il suo attraversamento e vengono invitate a non attraversare il confine di Stato o, di conseguenza, a tornare in Bielorussia. Nonostante sia consentito l’uso dei taser ai funzionari, attualmente non sono utilizzati per la sorveglianza delle frontiere a causa della loro carenza numerica, del loro breve periodo di autonomia e della necessità di utilizzarli per le esigenze di altri servizi dell’SBG 4.

    Tuttavia, la risposta del governo è in contraddizione con diverse testimonianze di persone migranti raccolte da “Voglio aiutare i rifugiati” nel 2022-2023, che hanno subito violenze emotive e fisiche, tra cui insulti e minacce, percosse e folgorazioni, sia durante i respingimenti che durante la permanenza nelle tende/basi dell’SBG in territorio lettone.

    Secondo queste testimonianze, gli abusi sono stati commessi il più delle volte da membri di unità speciali non identificate che indossavano maschere. Nel report si legge che «almeno quattro denunce sull’uso eccessivo della violenza sono state presentate all’Ufficio per la sicurezza interna e uno dei denuncianti si è rivolto alla Corte europea dei diritti umani».

    Per quanto riguarda l’accoglienza dei minori non accompagnati, il Comitato vorrebbe fosse adibita una struttura specifica, mentre il governo lettone afferma che sarebbe impossibile in quanto il numero dei minori è esiguo. Per l’associazione questa risposta è fuorviante: nonostante il basso numero solo alcuni minori non accompagnati vengono accolti in modo adeguato. Nel maggio 2023 Anna E. Griķe ha incontrato una ragazza di 13 anni dell’isola di Comore ospitata nel “centro di accoglienza” per richiedenti asilo “Mucenieki“, che offriva le stesse condizioni di alloggio degli adulti e che quindi non può essere considerato un istituto di assistenza all’infanzia. Tra il 4 e il 7 luglio la minore è scomparsa.

    Oltre a strutture specifiche adeguate per l’età dei richiedenti asilo, il CPT vorrebbe assicurare ai richiedenti asilo trattenuti nei centri di Daugavpils e Mucenieki attività come lezioni di lingua, di computer, percorsi formativi ecc. Il massimo sforzo dovrebbe essere dedicato soprattutto per garantire ai bambini in età scolastica attività educative adeguate.

    Il governo lettone ha risposto che all’SBG non compete la pianificazione delle attività del tempo libero, tuttavia collabora con le ONG lettoni, come l’associazione “Voglio aiutare i rifugiati” e la Croce Rossa che, per quanto possibile, assicurano l’organizzazione di varie attività ricreative, di socializzazione e integrazione, misure di sostegno psicologico e di istruzione.

    Nonostante ciò, il report afferma che da quanto osservato nel 2023 l’unica attività garantita dalla CR è stata fornire indumenti scadenti a entrambi i centri di detenzione e che solo nell’estate del 2023 l’associazione ha organizzato attività settimanali in entrambi i centri di detenzione per bambini e famiglie e a volte per adulti: un’iniziativa basata sulla buona volontà, non una soluzione sistemica.

    In ultima istanza, il report si occupa delle problematiche relative alle cure psichiatriche e all’assistenza psicologica nei centri di detenzione. Il CPT insiste che siano presi provvedimenti a riguardo insieme a un necessario servizio di interpretariato professionale. Le autorità lettoni dichiarano che in base alla proposta avanzata dall’Ong “Medici senza frontiere“, nel periodo compreso tra luglio e il 31 dicembre 2022, i loro rappresentanti hanno visitato regolarmente l’IDC (centro di detenzione per immigrati) di Daugavpils e di Mucenieki, fornendo assistenza psicologica agli stranieri detenuti e ai richiedenti asilo ospitati nell’IDC dell’SBG.

    Da quando Medici Senza Frontiere ha cessato la sua attività in Lettonia, nel dicembre 2022 5, non è più disponibile alcun supporto psicologico per le persone detenute. Inoltre nel 2013, l’SBG e la Croce Rossa Lettone hanno firmato un accordo di cooperazione, in base al quale quest’ultima si è impegnata a fornire per le persone accolte misure di sostegno psicologico ed educativo. Secondo “Voglio aiutare i rifugiati” la Croce Rossa non ha offerto assistenza psicologica presso gli IDC anche a causa della difficoltà di organizzare gli interpreti. Sebbene le ONG possano offrire un valido supporto psicologico ai richiedenti asilo e agli stranieri detenuti nei centri di detenzione, i loro servizi non possono essere considerati una sostituzione del supporto psicologico che lo Stato dovrebbe fornire.

    “Voglio aiutare i rifugiati” ha ripreso lo slogan “Nessuno è illegale” (Neviena persona nav nelegāla!) per cercare di sensibilizzare sulla situazione al confine: «Il termine “migrante irregolare” non solo è indesiderabile (ad esempio, si veda il Glossario sulle migrazioni dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni), ma denigra anche i diritti umani di qualsiasi migrante e non è in linea con i principi delle buone pratiche».

    La maggior parte delle persone giunte in Lettonia dalla Bielorussia sono richiedenti asilo: fino a quando non verrà presa una decisione sul loro status, da un punto di vista giuridico dovrebbero essere chiamati richiedenti asilo, nonostante abbiano attraversato il confine “illegalmente“. Da un punto di vista legale ed etico, un processo o un atto può essere etichettato come irregolare, ma non lo può essere una persona.
    Nessuna persona, infatti, è illegale!

    https://www.meltingpot.org/2024/03/un-rapporto-sulla-frontiera-tra-lettonia-russia-e-bielorussia

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    • BORDER MONITORING REPORT, LATVIA

      Background

      On 11 July 2023 both the “Report to the Latvian Government on the periodic visit to Latvia carried out by the European Committee for the Prevention of Torture and Inhuman or Degrading Treatment or Punishment (CPT) from 10 to 20 May 2022” (here and after – Report) and the “Response of the Latvian Government to the report of the European Committee for the Prevention of Torture and Inhuman or Degrading Treatment or Punishment (CPT) on its periodic visit to Latvia from 10 to 20 May 2022” (here and after – Response) were published. The Report provides 21 recommendations in terms of Immigration detention; Response considers 18 recommendations as in progress and/or unjustified where no additional steps should be taken, and 3
      recommendations are presented along with a potential action plan.
      Ieva Raubiško has closely followed the situation of irregular migrants at the Latvian-Belarussian border since August 2021. In October 2022, she joined the NGO “I Want to Help Refugees” as an advocacy officer. In February 2023 Anna E. Griķe began to fulfil her duties as both border monitoring expert and coordinator of
      humanitarian aid for asylum seekers. Based on prior reports, observations, and individual cases, the following border monitoring report aims to highlight misleading information within the Response. It does not cover all recommendations/responses because of the insufficient data available regarding issues such as access to
      legal aid or to health care, but it is more focused on the everyday life in detention, especially, in regard to minors. The reference to both documents includes paragraphs and page numbers.

      Key Findings

      [1] Accommodation of unaccompanied minors

      Report, par. 30, p. 17: “The Committee recommends that the Latvian authorities take the necessary measures to ensure that unaccompanied minors are accommodated in an open (or semi-open) specialised establishment for juveniles (for example, a social welfare/educational institution) where they can be provided with appropriate care and activities suitable for their age; the relevant legal provisions should be amended accordingly.”

      Response, p. 12: “There is no open (or semi-open) specialised establishment in Latvia intended specifically for a minor foreigner to be extradited or unaccompanied asylum seeker and it is not planned to create such an establishment, because the number of unaccompanied minors is small and it would not be feasible to open such an establishment. An unaccompanied minor, who is not detained, is accommodated in a child care institution based on the decision of the Orphan’s and Custody Court.”

      Indeed, the number of asylum seekers – unaccompanied minors is low, and there is no specialised establishment for their accommodation. However, the Response is misleading since only some unaccompanied minors are properly taken care of. In May 2023, Anna E. Griķe came across two of them, a 13-years old girl from Comoros island and a 14-years old boy from DRC. They both were accommodated in the Accommodation centre for asylum seekers “Mucenieki” provided the same accommodation conditions as adults (free of charge accommodation and allowance of 3 euros per day). It could be considered a childcare institution in any way, as it requires individuals to have complete autonomy in taking care of themselves on a daily basis. After the girl’s disappearance of between July 4 and 7 and ‘with serious concerns about the lack of action, relevant institutions as Ombudsman or State Police were informed about the situation.

      [2] Access to education and/or leisure activities for minors in IDCs [immigration detention center]

      Response, p. 12: “Minors accompanied by their parents are accommodated in the IDC, based on the parents’ application for accommodating children together with parents, and after evaluating the best interests of a child. Thus, children are not detained, but accommodated together with their parents, who are detained. In turn, detained unaccompanied minors are accommodated in the premises of the IDC premises, in which there is personnel and equipment to take the needs of their age into account. Minors accommodated in the premises of the IDC are provided with opportunities for acquiring education, engaging in leisure time activities, including games and recreational events corresponding to their age.” Even though there is a theoretical possibility for children from IDC to access education, it does not take place due to multiple factors. For instance, it takes one month to get the response from the Ministry of Education to be assigned to an educational institution, and as the detainees do not know the length of their detention and live in hope that it will not be lasting long, there is low interest to submit an application. Apart from a room with a limited number of toys, there are no specific opportunities considered for children/youth who experience the same limited access of movement within the detention centre as adults. For instance, outdoor space is not openly available. In the premises of the IDC, there is no opportunity for acquiring education; also, online learning is not possible due to the limited access to electronic devices which is restricted to just one hour per day. None of IDC’s personnel has the task to meet the education and or/leisure activity needs.

      [3] About access to purposeful activities for detainees

      Report, par. 35, p. 19: “The CPT recommends that the Latvian authorities take steps to ensure that foreign nationals held at Daugavpils and Mucenieki Immigration Detention Centres are offered a range of purposeful activities (for example, language classes, computer courses, crafts, etc.). The longer the period for which foreign nationals are detained, the more developed should be the activities which are offered to them. Further, every effort should be made to provide children of school age with suitable educational activities.”

      Response, p. 14-15: “The SBG ensures the security guarding of persons accommodated in the IDC, but does not get involved in planning their free time activities. Nevertheless, the SBG actively cooperates with Latvian NGOs, such as the association “I want to help refugees”, which, as far as possible, ensures the organisation of various leisure activities in the IDC of the SBG for both children and adults. […] In 2013, the SBG and the association “Latvian Red Cross” (hereinafter – LRC) signed an agreement on cooperation, based on which the LRC, among other things, undertook to organise, as far as possible, for persons accommodated in the IDC, psychological support and educational measures or other measures that would improve living conditions, as well as to provide the services of social work experts and other measures promoting socialisation and integration, including, if necessary, to organise Latvian language classes. Recommendations regarding the provision of purposeful activities (including the Latvian language classes) for foreigners in accommodation centres for asylum seekers, as well as regarding measures to reduce the language barrier between health care personnel and admitted foreign nationals, by providing translation/interpreting services, are to be supported.”

      In summer 2023, “I Want to Help Refugees” organized weekly activities in both detention centres for children and families, and – when possible, for adults, both men and women. It was based on good will, and in no terms could be perceived as a systemic solution. However, these activities created an opportunity to get a better insight of the everyday life in detention and was an attempt to meet individual or collective needs. These included provision of underwear, socks, basic footwear, additional clothing, spices for food, books, toys, and games.
      Prior to summer 2023 no regular activities were provided by any institution, NGOs or Latvian Red Cross (besides two unsuccessful episodes in December 2022 and April 2023 when a team of LRC did not manage establish contact with detainees to provide leisure time activities). From what has been observed during 2023, the sole outcome of the cooperation agreement with LRC is the provision of donated clothes to both IDCs. These are of very poor quality and do not include such basic items as underwear or socks. No psychological support, educational measures or other initiatives that would improve living conditions are being implemented in any of IDCs. Services of social work experts and other measures promoting socialization and integration, including Latvian language classes, are not provided either.

      [4] About access to outdoor exercise at the IDCs

      Report. par. 36, p. 20: “The CPT recommends that the Latvian authorities take steps to increase significantly the daily outdoor exercise period for foreign nationals held at Daugavpils Immigration Detention Centre. In the Committee’s view, detained foreign nationals should, as a rule, have ready access to an outdoor area throughout the day.

      Response, p. 15: “According to Clause 21 of Cabinet of Ministers Regulation No. 254 of 16 May 2017, the daily schedule of the accommodation premises shall include daily walk time in fresh air (outdoor exercise) – for at least two hours. In turn, Clause 18 of Cabinet of Ministers Regulation No. 254 of 16 May 2017 provides that if a detained person refuses to exercise any rights (for example, outdoor exercise), an official of the accommodation premises may request to confirm it with a written submission. Given the structure of Daugavpils IDC and Mucenieki IDC, it is not possible to ensure free access of the detained persons to the outdoor area throughout the day.” “I Want to Help Refugees” has received complaints from a number detainees at both Daugavpils and Mucenieki Detention Centres about their restricted access to outdoor areas. While no clear-cut reasons for such restriction have been provided, these complaints also indicate a lack of clear procedure as to how the access to open-air areas should be requested by the detainees and why and how the time limit outdoor activities is determined (for example, why only one hour is granted for outdoor activities, not the two-hour minimum as prescribed in the Cabinet of Ministers Regulation No. 254, Internal Rules of Procedure of Accommodation Premises for Detained Foreigners and Asylum Seekers.) As a result, inhabitants of IDCs lose the possibility to be in fresh air for sufficient time each day or, on some days, are not able to spend time outdoors at all.

      [5] About the alleged ill-treatment of detained foreign nationals (irregular migrants) by Latvian special police forces between August 2021 and March 2022 in the border area.

      Report, par. 33, p. 18: “The CPT recommends that all law enforcement agencies concerned are given a clear and firm message on a regular basis that any use of excessive force is illegal and will be punished accordingly. Further, they should be provided with further practical training relating to the proportionate use of force, including control and restraint techniques, in the context of apprehending foreign nationals at the border. As regards more specifically the use of electrical discharge weapons, reference is made to the principles listed in paragraphs 65 to 84 of the 20th General Report on the CPT’s activities.23“

      Response, p. 13: “It has not been necessary to use physical force and special means against persons, because there have been no cases when they did not obey the lawful orders of the border guards. In order to prevent crossing or attempted crossing of the state border outside official border crossing points and procedures established for legal entry, persons are informed that crossing the state border is illegal and there is criminal liability prescribed for crossing it and are invited not to cross the state border or correspondingly invited to return to Belarus. Furthermore, at that moment persons also visually see armed border guards and national guards, and their preparedness for active response in preventing the possibilities of illegal crossing of the state border. Following such actions and the provision of information, persons, as a rule, do not risk approaching Latvia or, if they have already crossed the border, they return to Belarus. The enumeration of special means of the SBG contains electric shock devices, which the officials, based on Cabinet of Ministers Regulation No.55 of 18 January 2011, are entitled to use for fulfilment of the functions assigned to them. There are no electric shock devices of any kind (including TASER) currently used for border surveillance due to the numerical shortage thereof, expiry of their useful life and the necessity to use them for the needs of other SBG services (immigration control, border inspections).”

      The government’s response contradicts several testimonies of irregular border-crossers recorded by “I Want to Help Refugees” in 2022–2023 on having experienced emotional and physical violence, including cursing and threats, beatings, and electrocution both during the pushbacks and while in tents/ SBG bases in the Latvian territory. According to these testimonies, abuse was most often committed by members of unidentified special units wearing masks. At least four complaints on the excessive use of violence have been submitted to the Internal Security Bureau, and one of the complainants has turned to the European Court of Human Rights.

      [6] About the lack of psychological assistance to the detainees at the IDCs.

      Report, par. 44, p. 57: “The CPT recommends that steps be taken at Daugavpils and Mucenieki Immigration Detention Centres to ensure adequate access to psychiatric care and psychological assistance for foreign nationals, combined with the provision of professional interpretation.”

      Response, p. 18-19: “Based on the proposal made by the international non-governmental organisation “Doctors without Borders”, during the period from July to 31 December 2022, the representatives of the international non-governmental organisation “Doctors without Borders” have been regularly visiting Daugavpils IDC and Mucenieki IDC and providing psychological support to the detained foreigners and asylum seekers accommodated in the IDC of the SBG.

      By means of the funds raised via the project from the Asylum, Migration and Integration Fund, in order to reduce the everyday psychological sufferings or struggles of the target group, it is planned to attract psychologists and cover expenses for psychologist services for the foreigners accommodated in the centres.

      Additionally, as already mentioned herein above, in 2013, the SBG and the LRC signed an agreement on cooperation, based on which the LRC, among other things, undertook to organise, as far as possible, for persons accommodated in the IDC of the SBG, psychological support and educational measures or other measures that would improve living conditions of the referred to persons…”

      While NGOs might offer valuable psychological support to asylum seekers and detained foreigners at the IDCs, their services cannot be considered a viable alternative and substitution of state-provided in-house psychological support. Since December 2022 when “Doctors without Borders” ceased its operation in Latvia, no psychological support has been available to the detainees. LRC has not been able to offer any psychological assistance at the IDCs, citing the difficulty of arranging interpreters as one of the main challenges.

      [7] About the forcible return of irregular migrants from Latvia to Belarus

      Report, par. 48, p. 57: “… the CPT recommends that the Latvian authorities take the necessary measures to ensure that irregular migrants arriving at the border or present in the territory of Latvia are not forcibly returned to Belarus prior to an individualised screening with a view to identifying persons in need of protection, assessing those needs and taking appropriate action. Further, it is essential that foreign nationals have effective access to an asylum procedure (or other residence procedure) which involves an individual assessment of the risk of ill-treatment in case of expulsion of the person concerned to the country of origin or a third country, on the basis of an objective and independent analysis of the human rights situation in the countries concerned.38 The CPT considers that the relevant provisions of the Cabinet of Ministers’ Decree No. 518 on the Declaration of a State of Emergency should be revised accordingly.”

      Response, p. 19: “Currently, the emergency situation in the administrative territories at the Latvia- Belarus border does not allow the uncontrolled flow of people across the state border in places not intended for this, and at the same time does not limit the right of persons to access the asylum procedure, because the right to lodge an application at the border crossing point provided for by the Asylum Law is not restricted. The referred to regulation was based on the internationally recognised right of countries to control the border of their country and to prevent the illegal crossing thereof (see the judgment of the ECHR of 13 February 2020 in the case of ND and NT v. Spain and the judgment of the ECHR of 5 April 2022 in the case A.A. and others v. North Macedonia).”

      Testimonies of irregular migrants forcibly returned from Latvia/ Latvian border to the territory of Belarus indicate that no proper screening of persons is performed at the border. There have been cases when not only families with children, but also unaccompanied minors have been pushed back.
      Testimonies of irregular migrants allowed to enter Latvia on humanitarian grounds and submit their claims for asylum, show that neither the Belarussian nor the Latvian authorities allow the migrants to move to the official border crossing points, instead pushing them back to either Belarus or Latvia.

      Recommendations and Action Points

      Clarify the statements in the Response with authorities in question.
      Create an action plan that identifies the gaps in the treatment of detainees in detention centres and explores for possible solutions.
      Establish an obligation and a clear procedure for a prompt investigation of all claims of violence voiced by irregular migrants and detained asylum seekers.
      Ensure presence of a psychologist/psychotherapist at both IDCs to provide psychological help to the detained when necessary (also, ensure that the regular medical staff is present).
      Ensure the possibility for detainees to spend sufficient time outdoors each day.
      Ensure transparent evaluation of migrants’ individual circumstances upon their arrival at the border; share the assessment guidelines with independent monitoring bodies and NGOs.

      https://gribupalidzetbegliem.lv/en/2023/10/01/border-monitoring-report-latvia

  • Violences conjugales : plus de 1 100 suicides forcés dans l’Union européenne en 2017 – Libération
    https://www.liberation.fr/societe/droits-des-femmes/violences-conjugales-plus-de-1-100-suicides-forces-dans-lunion-europeenne

    Elles font partie des oubliées, des invisibles : 1 136 #femmes se sont donné la mort en 2017 dans l’Union européenne à cause de #violences_psychologiques répétées de leur conjoint ou ex, selon les conclusions d’un rapport du Projet européen sur les #suicides_forcés, remis en novembre à la Commission européenne. En France, ce sont 209 femmes qui ont été poussées au #suicide. « C’est donc près d’une femme victime par jour que font les violences au sein du couple en France en 2017, et non une tous les trois jours, comme il est rapporté habituellement si l’on considère restrictivement les seuls #féminicides », appuie le rapport, dévoilé ce mardi par le Parisien.[...]

    Les auteurs du rapport ont « déterminé le pourcentage de tentatives de suicide attribuables aux violences au sein du couple » à « 11% ».

  • #Nike, la victoire à tout prix

    L’équipementier américain Nike a lancé en 2001 aux États-Unis un groupe d’athlètes de haut niveau, l’Oregon Project, financé par la marque à des fins promotionnelles. Mais en 2019, son entraîneur Alberto Salazar est suspendu par l’Agence américaine antidopage lors des championnats du monde d’athlétisme. Il est accusé d’"incitation à une conduite dopante". La direction de Nike dissout aussitôt le projet.

    Plus disponible sur arte, mais voici la bande-annonce :
    https://ne-np.facebook.com/infobyarte/videos/nike-la-victoire-%C3%A0-tout-prix-thema-arte/324506792744931/?__so__=permalink&__rv__=related_videos

    #sport #Alberto_Salazar #dopage #doping #Nike_Oregon_Project #Oregon_Project #Projet_Oregon #marathon #médecine_du_sport #athlétisme #techniques_d'entraînement #entraînement #violences_psychologiques #Mary_Cain #violences_physiques #poids #performance #optimisation #médicaments #EPO #vaporFly #vapor_fly #technologie #chaussures #AlphaFly #Alpha_Fly #marketing #Peter_Julien #dopage_technologique

  • Le corps et l’esprit.
    https://excursusblog.wordpress.com/2021/03/22/le-corps-et-lesprit/#more-3657

    Il est courant d’opposer, à la violence physique subie par les femmes – que l’on désigne toujours par en la résumant par ce substantif, qui pourtant en efface la substance, les tuméfactions comme les fractures – à cette violence qui serait toute féminine : la violence psychologique. Comme si la (les) violence(s) physique(s) n’étaient pas précédées, suivies et accompagnées de violences psychologiques – continuum de la violence, qui rend les coups possibles en construisant leur impunité ; comme si les violences physiques n’étaient pas, par elles-mêmes, des violences psychologiques – comme si une mandale dans la gueule pouvait éviter d’abîmer l’âme.

    Cette distinction permet une fausse symétrie : s’il y a des violences d’un côté, oh la la, quelle fourberie dans cette violence psychologique, toujours rappelée quand les statistiques sont sur la table, ou qu’on demande ce qu’elle a bien pu lui faire, pour qu’il lui fasse ça – qui serait donc une réponse à une violence si inimaginable qu’il faut la mentionner en permanence. Cette fausse symétrisation joue des stéréotypes les plus éculés, ramenant les femmes à leur fourberie ontologique, au moins depuis Ève, qu’il faut bien calmer et cadrer et cogner – juste réponse, somme toute, dans une équation qui semble limpide.

    Le compte n’est pourtant pas bon, et c’est en en donnant l’illusion qu’il peut perdurer : il ne fonctionne qu’en escamotant (les violences psychologiques que sont les violences physiques) et en délégant, les unes aux unes, les autres aux autres. Cette apparente symétrie est un mythe ; elle est aussi révélatrice d’un autre escamotage – l’âme des femmes. Si elles sont capables de violences psychologiques, ces furies ne seraient pas capable de les ressentir – ultime fourberie, de se débarrasser de leur âme pour abîmer celle des autres ! Et qui les ramène, une nouvelle fois, toutes à leur corps sans âme, comme si la dissociation se trouvait là être prescrite, avant d’être réalisée. Rappeler les supposées violences psychologiques qui seraient spécifiquement féminines, c’est nier celles qui sont faites aux femmes, et leur apprendre à encaisser les coups – sans en tenir les comptes.

    #violences #violences_masculines #violences_physiques #violences_psychologiques #misogynie #déni

  • Doctorante harcelée : l’#Université_de_Lorraine vient d’achever son enquête

    En septembre, une doctorante de la faculté de Lettres à Nancy, avait publiquement dénoncé le harcèlement de son #directeur_de_thèse. Ce, après le #suicide d’une de ses collègues, suivie par ce même directeur. L’Université de Lorraine vient d’achever son #enquête.

    Le texte, posté sur les réseaux sociaux le 7 septembre dernier était intitulé « De la toute-puissance des prédateurs haut placés ». #Camille_Zimmermann, doctorante en Études culturelles à la faculté de Lettres et Sciences humaines, y décrivait l’#emprise_psychologique et le harcèlement de son directeur de thèse (https://www.estrepublicain.fr/education/2020/09/22/une-doctorante-temoigne-sur-internet-du-harcelement-de-son-directeur-), comportement subi pendant plusieurs années et qui l’a finalement conduite à abandonner ses projets. Et qui aurait également amené une de ses amies et collègues à mettre fin à ses jours, en août.

    Outre une onde de choc au sein du monde universitaire, ce #témoignage a déclenché, mi-septembre, deux enquêtes : l’une administrative menée par l’Université de Lorraine, l’autre par le CHSCT de l’UL. Trois mois plus tard, le directeur de thèse incriminé reste suspendu à titre conservatoire et l’administration a terminé ses auditions. Lesquelles n’ont « pas établi de corrélation directe entre le suicide de la doctorante et son directeur, mais ont établi que ce directeur avait eu des comportements déontologiques et professionnels envers Camille Zimmermann et d’autres doctorantes qui interrogeaient, comme des remarques, des RV dans des cafés… », résume Pierre Mutzenhardt, président de l’UL.

    Formations pour directeurs de thèses ?

    Pierre Mutzenhardt a ainsi effectué un signalement au procureur de la République « pour suspicion de harcèlement », et poursuit le mis en cause en section disciplinaire, avec demande de jugement dépaysé. « Des membres de cette section connaissent et fréquentaient ce directeur de thèse, mieux vaut donc que cela soit examiné par une autre université. » Une requête actuellement entre les mains du Conseil national de l‘Enseignement supérieur et de la Recherche.

    En outre, « un groupe de travail a été créé sur le sujet de l’attitude des directeurs de thèse : on réfléchit à des obligations de formation », poursuit le président de l’UL pour qui, dans des cas comme celui-ci, « la difficulté tient aux preuves : on est souvent sur des problèmes relationnels, humains ».

    7.000 agents à l’UL

    Ces pressions, emprises et #violences_psychologiques sont censées remonter à la cellule de signalement du harcèlement mais cette dernière est « inféodée à la présidence », estime le syndicaliste Didier Croutz (Multipro CGT) au sujet de cette cellule de deux personnes. Ce dont se défend Pierre Mutzenardt. « On y alloue pas mal de moyens pour tenter de traiter les situations le plus vite possible. Mais cette cellule travaille dans les limites de ce qu’elle est autorisée à faire ! Elle peut donner des recommandations, et notamment orienter vers la médecine du travail, dont le service a été renforcé : il compte 3 ou 4 médecins et des infirmiers. »

    L’Université de Lorraine compte 7.000 agents.

    https://www.estrepublicain.fr/education/2020/12/10/doctorante-harcelee-enquete-administrative-bouclee

    #harcèlement #université #recherche #France

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    Ajouté à la métaliste sur le harcèlement dans le monde universitaire :
    https://seenthis.net/messages/863594

  • DE LA TOUTE PUISSANCE DES PRÉDATEURS HAUT-PLACÉS

    [TW : #Violences_psychologiques]

    [TW : Mention de suicide]

    Ce texte est long, mais il mérite d’être lu. Il vous raconte ce que c’est que l’emprise.

    Vous êtes autorisé·es et même plus que bienvenu·es à le partager largement.

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    Novembre dernier, j’ai pris la décision de quitter ma thèse et la licence dans laquelle je donnais cours pour les mêmes raisons qui ont poussé mon amie, que nous allons appeler « Ewilan », à mettre fin à sa vie.

    J’ai rencontré cet enseignant — partons sur « M. Ts’liche » — en L3, quand j’étais enceinte, isolée dans une ville éloignée de Nancy et dans un couple qui battait déjà de l’aile, traumatisée par un premier accouchement assez violent. Vulnérable, donc, comme je l’avais déjà été souvent, avec mon profil psy assez lourd dont la tentative de suicide à 17 ans.

    Quelle bouffée d’air frais quand ce professeur, directeur de la licence, s’intéresse à vous ! Quel soulagement que ces longues heures passées à discuter par messenger, cette conversation presque ininterrompue et de plus ne plus intime alors que vous vous sentiez si perdue et désœuvrée. C’est même moi qui, un jour, ai initié un contact physique : je l’ai pris dans mes bras à la fin de l’année, si reconnaissante de cette attention qu’il m’offrait, un peu angoissée à l’idée de quitter la formation — et lui ! — pour l’été. Qu’est-ce que j’allais pouvoir faire dans ma vie si vide ?

    Mais ouf ! la conversation ne s’arrête pas à la faveur de l’été. Elle ne s’arrête jamais, en fait. Heureusement, parce qu’on en a besoin. De plus en plus, et très vite. Vous sentez bien que le ton devient un peu ambigu, un peu dragueur, mais ce n’est pas bien méchant que ce ton badin légèrement séducteur, et puis vous pouvez bien le supporter en échange de cette narcissisation dont vous aviez tant besoin. Ce n’est même pas désagréable en fait, vous êtes un peu « l’élue », la complice à qui on envoie des petits sms pendant les cours ou les colloques, à travers laquelle on fait passer des petites infos au reste de la promo. Celle si spéciale à qui il raconte toute sa vie, ses anciennes aventures, ses « casseroles » comme on dit. Il vous trouve merveilleuse quand vous vous êtes si souvent sentie indésirable. La gratitude pour toute cette attention vous fait donner ce qu’il attend, des mots et des gestes attentionnés. Vous êtes prête à tout pour continuer d’être « aimée ».

    Très vite, le prix à payer augmente. Le #chantage_affectif, les gestes ou propos hors limites que vous acceptez néanmoins tôt ou tard, la perspective d’être abandonnée étant bien plus terrible que celle de céder à la fin d’une scène durant laquelle on vous a reproché de dire non à une main un peu trop baladeuse, de mettre une photo de profil vous représentant avec votre conjoint, ou encore de prétendre boire un verre avec vos camarades à la fin des cours alors qu’il avait prévu ce créneau chaque semaine spécialement pour vous. Vous vous faites enfermer, prétendument sans qu’il y pense, dans une image de duo qu’il entretient férocement, en « chuchotant » à grand bruit devant la promo entière un compliment déplacé, en vous demandant devant elle si vous « allez bien » en plein cours ou pourquoi vous n’avez pas pensé à son café à lui quand vous revenez de la machine après la pause. Un jour, il vous demande même, devant toute votre bande de copines de fac, de lui mettre un morceau de gâteau dans la bouche sous le prétexte qu’il tient sa pipe dans une main et son paquet de tabac dans l’autre. Vous êtes gênée, mais c’est seulement de la maladresse, il ne se rend pas compte, vous n’allez pas le blesser pour ça, enfin ! Parallèlement, il supporte assez mal que vous vous entichiez de nouveaux·elles ami·es, et vous trouve des raisons de les considérer finalement assez nocif·ves. Cette copine que vous appréciez particulièrement, par exemple, essaie de vous « voler » votre sujet de mémoire, ne le réalisez-vous donc pas ? Et ce professeur qui vous a prêté un livre après une conversation sympathique, vous devriez vous en méfier, c’est un feignant obsédé par le pouvoir. D’ailleurs, vous entrez dans ses petites mesquineries, il se moque auprès de vous d’à peu près tout le monde et, flattée de cette marque d’intimité et de confiance, vous entrez dans ce petit jeu-là comme dans les autres. La confusion, quant à elle, s’est installée depuis un moment : si vous avez tant peur qu’il vous « quitte », c’est forcément que vous avez des sentiments que vous n’osez pas vous avouer.

    J’ai passé presque une année dans cette relation perverse qui m’étouffait chaque jour un peu plus, comme un moucheron dans une toile, l’étau d’autant mieux resserré grâce à cette impression donnée à tout notre entourage commun que nous étions une entité indéboulonnable — ainsi que l’impression que l’on couche ensemble, accessoirement.

    Le hasard de la vie m’a fait passer une soirée avec un amour passé : je me suis rappelé ce que c’était, justement, l’amour, et réalisé que cette relation qui me préoccupait et m’angoissait toujours davantage n’en était pas. C’est ce qui m’a donné le courage de mettre fin à tout ça.

    On ne se libère néanmoins pas de M. Ts’liche sans frais, et la vague de #violence verbale a été terrible. Je m’étais servie de lui, grâce à moi il savait « ce que l’étron ressent lorsqu’on tire la chasse », et quand il a été question de me faire participer à un colloque alors que j’étais en M1 seulement, j’ai été rassurée sur mes craintes d’être injustement avantagée : « t’as pas besoin de craindre que je te favorise, parce que là j’aurais plutôt envie de t’enfoncer la tête sous l’eau jusqu’à ce que tu te noies ».

    La vague de violence directe est passée, les vacances d’été aidant. Je suis arrivée en M2 le cœur serré d’angoisse, j’étais honteuse et dégoutée par cette histoire, je me sentais coupable, me disais que c’était un peu de ma faute, que j’avais pêché par narcissisme, que j’avais forcément, à un moment ou à un autre, laissé la porte ouverte, sinon il n’aurait pas pu s’y engouffrer si facilement. Et l’année suivante j’ai malgré tout fait une thèse avec lui. Parce que j’étais persuadée que c’était avec lui ou pas du tout — il avait tout fait pour construire cette certitude –, et j’avais travaillé si dur pour avoir des résultats excellents et des chances optimales d’obtenir ce contrat doctoral. On m’avait même dit que si je renonçais à mon projet de thèse à cause de lui, je le laissais gagner deux fois. Alors j’y suis allée. J’ai tâché de feindre une relation cordiale, de faire un effort pour que ce doctorat se passe au mieux. Je me suis convaincue qu’il n’avait pas réalisé le tort qu’il m’avait causé, aussi, et qu’une nouvelle page pouvait commencer, un retour à des échanges de travail normaux dans des conditions à peu près saines.

    Évidemment, c’était se voiler la face. Durant ces années de doctorat, je n’ai pas été encadrée, pas présentée, pas soutenue. J’ai été maltraitée. Ma tentative de relation à peu près cordiale le temps de cette thèse n’a pas vraiment rencontré de succès — au début, les petits reproches sur mon manque d’intérêt pour sa vie personnelle m’ont demandé un certain art de l’esquive ; après, j’ai été ballotée entre le fait d’être ignorée et celui de me faire décourager. Je me suis sentie marginalisée, mise de côté de tous les colloques, des pots et repas de doctorants, des événements où j’étais censée être intégrée. J’ai tenté d’en parler, il m’a alors laissé penser que c’était le fait des autres doctorant·es, décidé·es à activement m’exclure — surtout une parmi elleux, jalouse que soit arrivée une « autre jolie femme ». Une conversation à cœur ouvert avec la « jolie femme » nous aura permis de découvrir, bien plus tard malheureusement, la manière dont nous avions été roulées dans la farine, elle apprenant qu’elle était manipulatrice et jalouse, moi qu’il fallait se méfier de moi et de mes ambitions carriéristes me poussant à détruire tout et tout le monde sur mon passage. Diviser pour mieux régner. J’ai réalisé que je serai punie à jamais d’avoir osé m’extraire — dans une certaine mesure seulement pourtant — de cette emprise, et qu’il m’avait prise en thèse pour des raisons qui n’avaient pas l’air très bienveillantes.

    J’ai dû payer mes postures politiques, aussi. Subir des interventions grossières lors de mes communications (quelle désagréable expérience de se faire couper la parole pour entendre « Mais bien sûr, que les réalisatrices s’approprient les héroïnes, et après les noirs feront des films pour les noirs et les pédés (sic) feront des films pour les pédés ! »). La dernière année a été la pire : j’avais de plus ne plus de mal à rester de marbre, et on en est arrivé à une relation où M. Ts’liche ne se donne même plus la peine de ne pas répondre « Ah non ! » sur un ton similaire à « plutôt crever » quand on lui suggère de me convier à un repas d’après soutenance. Ce jour-là, j’ai compris qu’il fallait définitivement admettre que je n’avais plus droit à la moindre foutue considération ou once de respect. Mais aussi que, au fond, je n’étais jamais totalement sortie de cette emprise, que j’avais encore peur qu’il m’en veuille, et que j’attachais encore de l’importance à son regard sur moi. Qu’il était encore en mesure de me faire du mal. Je ne pouvais plus le supporter, faire semblant et fermer ma gueule, alors je me suis rendue à l’évidence : tant pis pour la thèse, il devenait vital de partir.

    Cette prise de conscience et de parole a son élément déclencheur, évidemment : j’ai tenu bon toutes ces années en me mettant comme limite que je réagirais et parlerais si je le vois faire ça à une autre. Je me disais qu’il y avait peu de risques : il n’est plus tout jeune, et puis il m’a après tout dit lui-même qu’il n’avait pas l’habitude de faire ça, que j’étais « exceptionnelle ».

    Il y a bien eu cette jeune masterante, un été pendant une semaine de colloque, qu’il avait fait venir et avec qui il entretenait une relation très visiblement malsaine. J’ai entendu alors des propos très déplacés de la part des autres universitaires . Certains ont même participé à la « fête » à coup de « blagues » dégradantes dans l’indifférence (presque) générale. Mais elle n’était là que pour la semaine et n’était pas son étudiante à lui. Je me suis rassurée, malgré mon écœurement, en me disant que son éloignement géographique la protégeait de lui.

    Et puis il y a eu Ewilan, sa nouvelle doctorante arrivée en 2019. On se connaissait déjà un peu et s’appréciait, partageant des affinités humaines et politiques, mais on s’est vraiment liées d’amitié en devenant collègues. Puis, peu de temps après la rentrée, j’ai été témoin d’une scène intrigante : j’ai vu M. Ts’liche arriver dans la pièce où nous étions, saluer bruyamment et ostensiblement son autre doctorante et tourner le dos à Ewilan, pourtant à deux mètres à peine, indifférent à ses timides tentatives de le saluer.

    « J’ai rêvé ou il ne t’a pas dit bonjour ?

    – Ah non tu n’as pas rêvé, il me fait la gueule et m’ignore depuis cet été. »

    Alors, elle m’a tout raconté. La relation malsaine qu’ils avaient depuis sa L3, où il l’emmenait et l’exhibait partout au début, lui envoyait des sms même dans la nuit, lui faisait des confidences intimes. Parfois lui criait dessus, mais finissait par lui mettre un bras autour des épaules en lui disant « Mais Ewilan, vous savez bien que si on se dispute tous les deux c’est parce qu’on s’aime trop. ». Jusqu’au jour, à la fin de son master, où, pour un prétexte bidon, il l’a « abandonnée » pour la punir de d’avoir « manqué de loyauté », ne lui offrant de l’attention plus que par miettes, suffisantes néanmoins pour qu’elle reste sous contrôle. Elle aussi, il l’a marginalisée après l’avoir rendue dépendante de son attention continuelle, profitant de la vulnérabilité psychologique qu’elle présentait également pour la malmener.

    Je crois que ça a été pire pour Ewilan. Elle était plus jeune et plus fragile que je ne l’avais été, et surtout elle n’a pas eu la chance d’être celle qui stoppe tout ça, de reprendre un peu de contrôle, de réinvestir au moins un peu une place de sujet après avoir été si longtemps un objet. Je peux imaginer, pour l’avoir tant craint, le sentiment d’abandon et de rejet insupportable qu’elle a dû ressentir.

    La voilà celle à qui il refaisait subir ça. La voilà, la fin de ma capacité à encaisser silencieusement ; en novembre dernier, j’ai commencé certaines démarches pour partir et pour dénoncer les agissements de M. Ts’liche — qui ont le plus souvent été bien peu entendues, mis à part par une personne qui m’a montré tout de suite le soutien dont j’avais désespérément besoin et que je remercie du fond du cœur.

    J’accuse M. Ts’liche, 6 ans après le début de toute cette histoire, de harcèlement moral, de violences psychologiques et d’abus de son pouvoir et de sa position hiérarchique, et ce notamment et dans les cas les plus graves pour mettre sous emprise des jeunes femmes vulnérables.

    Je reproche à un certain nombre de personnes une complaisance inacceptable face à tout cela. J’ai encaissé des « plaisanteries » pleines de sous-entendus sans que ces personnes ne se soucient de comment je vivais une relation dont les indices extérieurs semblaient plus les amuser que les inquiéter. J’ai raconté mon histoire, tâché de faire part de mon mal-être personnel et de mes inquiétudes pour les suivantes et souvent je n’ai trouvé qu’un mur, une minimisation des actes que j’avais subi ; on m’a demandé de me taire et de laisser tomber toute volonté de procédures pour éviter que ça rejaillisse sur toute l’équipe et porte préjudice à la licence. Certains de mes interlocuteurs ont admis le tempérament toxique de M. Ts’liche mais ne semblaient pas vouloir y faire quoi que ce soit. Il a même ses défenseur·euses acharné·es, qui semblent considérer que sa sympathie avec elleux prouve qu’il est sympathique avec tout le monde, loyaux·ales jusqu’au bout, qui trouvaient toutes les bonnes raisons de justifier ses comportements abusifs, qu’il est pour le coup loin de ne réserver qu’à ses proies : ses colères terribles quand il n’obtient pas ce qu’il veut, ses humiliations publiques, etc.

    Ce mail, je l’écris depuis des mois dans ma tête en en repoussant depuis autant de temps la rédaction. Je savais déjà comme je voulais le finir : « à partir de maintenant et pour la suite, vous ne pourrez plus faire comme si vous ne vous rendiez pas compte ». Ewilan m’a prise de court. Ewilan qui concentrait l’essentiel de mes inquiétudes, dont j’avais également fait part à certains enseignants de mon équipe pédagogique. Elle me parle depuis des mois de son mal-être, de ses idées noires. J’ai fait ce que j’ai pu pour qu’elle ne se sente pas seule, puis pour la convaincre qu’elle pouvait partir, qu’il n’était pas tout puissant en dépit de ses efforts pour nous en convaincre. « J’suis pas prête », qu’elle disait. Elle est partie finalement, pas comme je voulais, en me laissant une demande très claire que j’honorerai du mieux que je peux. Avec tout juste quelques mots en cadeau de départ, mon Ewilan peut se vanter d’avoir chez moi fait partir toute la colère, et d’avoir envoyé un gros stock de courage et de détermination.

    Car certains diront qu’elle est facile, ma place. Opportuniste, même. Aucun doute que je serai traînée dans la boue, taxée de manipulatrice. Je suis prête. Parce que c’est faux, elle n’est pas facile cette place, elle ne me fait et ne me fera rien gagner. Elle me demande d’être courageuse. Je ne veux punir personne, même pas M. Ts’liche. Je veux juste que les opportunités de recommencer lui soient retirées, je veux juste que soit refusé tout ça, qu’importe si ça demande de sortir de son confort ou de la facilité. Plus jamais de M. Ts’liche, plus jamais d’Ewilan. Ça suffit.

    J’aimerais bien que vous soyez courageux et courageuses, vous aussi.

    https://medium.com/@Camille_Thizbel/de-la-toute-puissance-des-pr%C3%A9dateurs-haut-plac%C3%A9s-d875001c28a6
    #suicide #ESR #enseignement_supérieur #témoignage #Camille_Zimmermann #culpabilité #harcèlement #contrat_doctoral #maltraitance #marginalisation #emprise #peur #sentiment_d'abandon #abus_de_pouvoir #harcèlement_psychologique #harcèlement_moral #complaisance #plaisanteries #manipulation #prédation

    • Omerta mode d’emploi

      Hier, jeudi 10 septembre 2020, nous avons republié sur Academia du texte émouvant de Camille Zimmermann à la mémoire de sa consœur doctorante qui avait mis fin à ses jours. Est-ce son témoignage ou plutôt la pression syndicale qui a pesé ? Ce matin, la présidence s’est fendu d’une lettre au personnel de l’Université de Lorraine.

      La lettre de Prof. Pierre Mutzenhardt, Président de l’Université de Lorraine, Président de la commission Recherche et Innovation de la CPU, a connu une large diffusion et n’était en rien confidentielle : nous la reproduisons en l’assortissant d’une petite explication de texte.

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      À : « all-ncy-ens » <all-ncy-ens@univ-lorraine.fr>, « all-ncy-ater-ens » <all-ncy-ater-ens@univ-lorraine.fr>, « all-ncy-lecteur-ens » <all-ncy-lecteur-ens@univ-lorraine.fr>, all-ncy-biatss@univ-lorraine.fr
      Cc : « president » <president@univ-lorraine.fr>
      Envoyé : Vendredi 11 Septembre 2020 09:04:13
      Objet : [all-ncy] Evénement tragique

      Mesdames, Messieurs,

      Une doctorante de notre établissement a mis fin à ces jours au début du mois d’août. Il s’agit d’un événement plus que terrible et dramatique. Très rapidement, avec la directrice de l’école doctorale, nous avons été en contact avec la famille de la doctorante et avons, je l’espère, respecté au mieux ses volontés. Nous avons pu rencontrer ses parents à la fin du mois d’août.

      Il apparaît que ce drame pourrait être lié en partie aux conditions de sa thèse et à son environnement professionnel. En conséquence, l’ouverture d’une enquête du CHSCT sera proposée le vendredi 11 septembre lors d’un CHSCT exceptionnel de l’établissement pour examiner ces conditions de travail et faire des recommandations.

      Par ailleurs des témoignages récents, indépendants de ce que peuvent diffuser les réseaux sociaux, font état de faits qui pourraient être qualifiés de harcèlement. Ils m’ont amené à diligenter une enquête administrative rapide qui a pour but d’établir les faits de manière contradictoire et d’en tirer toutes les conséquences.

      J’ai également suspendu de manière conservatoire le professeur et directeur de thèse de la doctorante le temps de l’investigation administrative pour protéger l’ensemble des personnes y compris lui-même.

      Enfin, nous devons être attentifs également aux jugements hâtifs, à ne pas confondre ce qui relève de témoignages avec les accusations qui se propagent sur les réseaux sociaux. Si les réseaux sociaux peuvent être des révélateurs de situations, ils sont aussi devenus des armes qui blessent, harcèlent et propagent trop souvent la haine. Nous avons pu nous en rendre compte à d’autres occasions.

      Très attaché aux valeurs de notre établissement, je m’engage à prendre toutes les mesures qui apparaîtront nécessaires à l’issue de cette enquête pour s’assurer qu’une telle situation ne puisse pas se reproduire. Le doctorat est, en effet, une période très importante dans le développement de la carrière d’un chercheur. Il appartient à l’établissement de garantir que cette période soit la plus fructueuse possible dans un contexte professionnel favorable pour les doctorants.

      Bien cordialement,
      Prof. Pierre Mutzenhardt
      Président de l’Université de Lorraine
      Président de la commission Recherche et Innovation de la CPU

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      Il me semble que cette correspondance est parfaitement exemplaire du fonctionnement de l’omerta qui pèse sur les violences faites aux femmes à l’Université, dans le cadre d’un fonctionnement universitaire analogue à l’emprise mafieuse, comme l’ont récemment argumentés des collègues anthropologues1.

      Considérons le courriel.

      En premier lieu le président met en cause directement la formation doctorale dispensée par l’université. Ce serait la famille — laisse entendre le président — qui s’est ouvert du lien fait le lien entre le suicide et la thèse. Au vu du bruit sur les réseaux sociaux, on se serait attendu à ce que le président s’adresse à l’ensemble de la communauté universitaire, étudiant·es inclus·es.

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      Courriel adressé à l’ensemble des personnesl de l’Université de Lorraine, le 10 septembre 2020

      « Mesdames, Messieurs, cher(e)s collègues,

      Je vous prie de trouver ci-dessous l’ordre du jour du prochain CHSCT programmé le vendredi 11 septembre 2020 :
      Point 1 – Adaptation des conditions de rentrée et déroulement du 1er semestre 2020-2021 – mesures complémentaires (pour avis)
      Point 2 – Modification du programme 2020 des visites du CHSCT (pour avis)
      Point 3 – Procédure d’analyse à déterminer suite à l’événement grave survenu à l’Institut Régional du Travail (pour avis)
      Point 4 – Procédure à mettre en place suite à la survenue d’un événement grave susceptible de présenter un lien avec les conditions de travail (pour avis)

      Meilleures salutations,
      Pierre Mutzenhardt
      Président de l’UL »

      –----

      Que nenni ! Si le jeudi 10 septembre, les personnels de l’Université de Lorraine ont été informé de l’ordre du jour du CHSCT, seuls les personnels du site nancéen de l’UFR Arts Langages Littératures (ALL) se trouvent informés de ce que la présidence nomme pudiquement l’« événement tragique ». L’Université de Lorraine dans son entièreté n’est pas concernée par le suicide d’une de ses étudiant·es : ni les étudiant·es, ni même les autres enseignant·es-chercheur·ses, directeurices de thèses des UFR de médecine et de sciences ne sont alerté·es ou sensibilisé·es à l’idée que la présidence prend ce très grave problème à bras le corps. Presque personne ne sera donc informé avant qu’éventuellement la presse locale ou un blog de l’ESR ne s’en empare.

      Soit.

      Balkanisons les pratiques inappropriées vis-à-vis des femmes.

      Le message semble avoir été écrit à la va-vite, ce qui est pour le moins curieux pour ce type de communication présidentielle hautement sensible : coquilles, phrases contournées, expressions inappropriées. C’est davantage sous le coup de l’urgence que dans le cadre d’une politique plus large, mûrement réfléchie, qu’il a pris la décision d’écrire aux Nancéen·nes d’ALL. Le président a refusé de recourir à l’écriture inclusive, pourtant recommandée dans une affaire relevant des violences faites aux femmes. À ce titre, la formulation conclusive choisie pourrait heurter :

      « Très attaché aux valeurs de notre établissement, je m’engage à prendre toutes les mesures qui apparaîtront nécessaires à l’issue de cette enquête pour s’assurer qu’une telle situation ne puisse pas se reproduire. Le doctorat est, en effet, une période très importante dans le développement de la carrière d’un chercheur. Il appartient à l’établissement de garantir que cette période soit la plus fructueuse possible dans un contexte professionnel favorable pour les doctorants ».

      On peut s’étonner, puisque l’affaire a été ébruitée par une femme qui choisissait de mettre fin à sa thèse, que le seul masculin soit retenu pour désigner les hommes et les femmes qui se trouvent en situation de domination. On peut s’étonner de même — je pourrais même m’en offusquer si j’étais maîtresse de conférences à l’Université de Lorraine — du ton plus que maladroit employé. L’objet du message, la formule de salutation finales, l’usage de « blessures » portées par les réseaux sociaux, alors que c’est un suicide qui est à l’origine de la communication présidentielle. Sous la plume du président, il ne s’agit pas de prendre en charge avec tact et empathie la douleur, l’empathie, la colère, l’émotion qui pourrait saisir enseignant·es et étudiant·es. Un problème de plus à régler dans une rentrée très chargée, voire apocalyptique.


      *

      Venons-en aux faits.

      L’Université — soit la présidence et la directrice de l’École doctorale — a été informée du suicide de la doctorante. La famille, devine-t-on, fait connaître ses volontés, dont on ne saura rien, mais que le président espère « avoir respecté au mieux ». La famille, rencontrée fin août,a fait le lien entre le suicide et ce que le président désigne de manière euphémisée comme « aux conditions de sa thèse et à son environnement professionnel ». Il faut donc attendre le 11 septembre pour le Comité Hygiène Sécurité et Conditions de Travail (CHSCT) soit réuni, saisi quelques heures avant la publication par Camille de son texte sur Medium. Selon nos informations et la « formule magnifiquement trouvée par notre admin[istration] », il s’agit du point 4. « Procédure à mettre en place suite à la survenue d’un événement grave susceptible de présenter un lien avec les conditions de travail ». Le président suit ici strictement le droit : il informe le CHSCT du suicide à la rentrée, et inscrit le point concernant une enquête à l’ordre du jour.

      Le président ajoute cependant quelque chose de surprenant.

      « Par ailleurs des témoignages récents, indépendants de ce que peuvent diffuser les réseaux sociaux, font état de faits qui pourraient être qualifiés de harcèlement. Ils m’ont amené à diligenter une enquête administrative rapide qui a pour but d’établir les faits de manière contradictoire et d’en tirer toutes les conséquences ».

      Sortant du sujet de la correspondance, M. Pierre Mutzenhardt informe ses lecteurices de plusieurs choses : les témoignages de harcèlement ou, à tout le moins de conduite inappropriée, ont circulé sur les « réseaux sociaux » ; la parole se déliant, d’autres témoignages ont été portés avec insistance à ses oreilles. Cet ensemble, qui établirait quelque fondement à l’accusation grave de harcèlement, le font diligenter une enquête administrative. Il précise que l’enquête sera

      « rapide qui a pour but d’établir les faits de manière contradictoire et d’en tirer toutes les conséquences ».

      Il faut attendre longtemps pour apprendre que c’est le directeur de thèse qui est mis en cause. Nous savons par le recoupement du témoignage, qu’il s’agit du directeur de thèse de la doctorante qui est visé par les deux procédures, soit Christian Chelebourg2. Il n’est pourtant pas nommé ; mais désigné par son statut de professeur et sa fonction de direction de thèse. C’est le premier volet du dispositif du silencement : la responsabilité du professeur n’est engagée que dans le cadre de l’« environnement de travail » dans lequel il exerce, bien qu’il soit seul « suspendu à titre conservatoire ». Il ajoute qu’il prend cette mesure « pour protéger l’ensemble des personnes y compris lui-même ».

      L’environnement de travail est-il en cause ? Les témoignages qui ont paru sur Internet, les personnes qui se sont confiées à moi, font état de sérieux problèmes rencontrés par différentes étudiant·es et différentes enseignant·es titulaires et non-titulaires par la proximité professionnelle de M. Chelebourg. Elles n’ont pas mentionné d’autres comportements déviants. En revanche, ce qu’elles précisent, c’est qu’elles n’ont pas trouvé de soutien ou d’écoute de la part de certains collègues masculins, qui ont reconnu à demi-mot une certaine capacité de nuisance, s’empressant de préciser que « ce n’est pas un monstre ». D’autres enseignantes ont fait état d’une inquiétude, craignant des mesures de rétorsion si elles évoquaient la procédure à la demande des étudiant·es. Sans chercher à justifier pourquoi ce type de discours est tenu — ni à minimiser les responsabilités qu’il y aurait à n’avoir pas protégé les étudiant·es de comportements apparemment connus — je propose ainsi de voir dans l’environnement de travail le deuxième niveau de silencement : minimiser le comportement malfaisant ; faire comme si ce dernier n’était pas problématique, de la part des collègues dudit professeur.On comprend que les hordes féministes sont à la porte de l’Université et menaceraient l’ordre patriarchal qui y règne. Faisons-les taire.

      Le troisième dispositif de silencement est construit par le président lui-même. Plutôt que de reconnaître la souffrance vécue par des femmes sous la responsabilité de son Université, M. Pierre Mutzenhardt choisit une autre stratégie : la minimisation des faits, la dénonciation de rumeurs et, plus grave, la protection du mis en cause.

      « Enfin, conclut-il, nous devons être attentifs également aux jugements hâtifs, à ne pas confondre ce qui relève de témoignages avec les accusations qui se propagent sur les réseaux sociaux. Si les réseaux sociaux peuvent être des révélateurs de situations, ils sont aussi devenus des armes qui blessent, harcèlent et propagent trop souvent la haine. Nous avons pu nous en rendre compte à d’autres occasions ».

      À la lecture de ce paragraphe, je me suis étouffée3. Une femme est morte, peut-être à cause du comportement de son directeur de thèse, mais c’est ce dernier que le président de l’Université de Lorraine entend protéger. Il le fait en prenant une mesure conservatoire, au motif que « si les réseaux sociaux peuvent être des révélateurs de situations, ils sont aussi devenus des armes qui blessent, harcèlent et propagent trop souvent la haine ». Il le fait aussi en donner un signal aux agresseurs : ce sont vous, « victimes » d’une cabale publique, vous qui est le cœur et l’âme de l’Université qu’il me faut défendre ; celles et ceux qui se sentent « heurtées » par le courriel sont ainsi prévenu·es : l’Université de Lorraine n’a pas vocation à les prendre soin d’elleux.

      Balkanisation de l’information, ato-défense collective en formation de tortue romaine, mesure conservatoire à titre de protection : la stratégie est limpide et antithétique avec celles que plusieurs assocations féministe ou savantes, l’Association des sociologues des enseignant·es de l’enseignement supérieur en tête, préconisent. Il ne m’appartient pas de juger si c’est une façon de se protéger lui-même contre quelques mandarins qui grimperaient aux rideaux. Ce que je sais, depuis lundi, c’est que l’omerta, ce silencement patiemment construit au sein de l’Université de Lorraine, a pu tuer.

      Camille a souhaité être courageuse.

      Soyons désinvoltes. N’ayons l’air de rien.

      Addendum. Lundi 14 septembre 2020, vers 9h30, avant suppression entre 11h42 et 11h45.

      Sur Facebook et Twitter, l’Université de Lorraine écrit ton nom, professeur. Et le sien aussi.

      https://academia.hypotheses.org/25555

    • Un harcèlement peut en cacher un… ou deux autres

      Le 7 septembre 2020, Camille Zimmermann, université de Lorraine, explique sur Medium pourquoi elle a interrompu sa thèse, financée – le détail n’est pas anodin dans une discipline (les lettres) où les allocations doctorales sont très rares – : après des années de comportements toxiques, elle y a vu le seul moyen d’échapper à l’emprise de son directeur de thèse. Elle explique aussi pourquoi elle rend public ce témoignage : une autre doctorante, qui lui avait confié être victime d’agissements comparables, a mis fin à ses jours. Le texte utilise des pseudos, transparents pour ceux qui ont lu le cycle de romans sur lequel portait la thèse (La Quête d’Ewilan, de Pierre Bottero), et se termine par une accusation :

      « J’accuse M. Ts’liche, 6 ans après le début de toute cette histoire, de harcèlement moral, de violences psychologiques et d’abus de son pouvoir et de sa position hiérarchique, et ce notamment et dans les cas les plus graves pour mettre sous emprise des jeunes femmes vulnérables. »

      Academia republie le témoignage de Camille dans un billet le 10 septembre, avec une courte introduction qui permet de suivre un lien vers la plate-forme Thèses.fr si on veut connaître le nom du directeur désigné, ainsi qu’un autre lien vers une liste d’articles précédemment parus au sujet du harcèlement. Le court texte lâche également un mot : « omerta », parce qu’il ne s’agit pas d’une affaire isolée, et que ce qu’elle révèle est tout autant le harcèlement que la loi du silence qui lui permet de perdurer.

      Dès le 11 septembre, Academia a l’occasion de développer ce point : peut-être agité par la circualtion du texte de Camille sur les réseaux, le président de l’université de Lorraine écrit à certains de ses collègues. Oh, pas tous ! seulement ceux du domaine Arts Lettres Langues et Sciences Humaines et Sociales – ALL-SHS, dans nos jargons. Il ne faudrait quand même pas que tout le monde soit au courant. Le mail jette plutôt de l’huile sur le feu : il s’achève sur un indigne retournement de la charge contre Camille, et « les accusations qui se propagent sur les réseaux sociaux » dont il exhorte chacun·e à se méfier comme la peste. Le professeur est suspendu à titre conservatoire pour le protéger. On croit cauchemarder ; Camille Zimmermann se dit heurtée, Academia s’étouffe. Mais on n’a encore rien vu…

      Le 14 septembre, comme si de rien n’était, l’université de Lorraine touitte benoîtement une invitation à écouter le professeur, spécialiste des fictions d’apocalypse, sur un sujet qui attirera tous les regards : à quoi ressemblera le monde post-Covid ? Touitt’ supprimé quelques heures plus tard, ici cliché avant disparition. Des souffrances sont signalées, des drames surviennent, mais rien ne bouge ; une jeune femme brise ce mur du silence sur un réseau social, son témoignage circule, les réactions se font enfin entendre… mais c’est pour dévaloriser son témoignage, pendant qu’une « enquête » est évoquée, sous les opacités de la novlangue administrative, et sans aucune communication auprès du public ; le public, pendant ce temps, il continue d’être alimenté avec le ronronnement des travaux du principal intéressé, sans vergogne.

      Ce touitt’ lamentable manifeste, au moins la surdité d’un service Communication fonctionnant en vase clos, où ne parvient pas un son des réseaux ou des couloirs de l’établissement, au pire le cynisme d’un programme de com’ qui se moquerait comme d’une guigne des plus graves accusations possibles pesant sur un auteur, et, dans tous les cas, d’une rhétorique qui confine à la faute morale.


      Aucune communication officielle de l’université de Lorraine, donc. C’est dans la presse régionale qu’il faudra aller lire le président de l’Université de Lorraine, Pierre Mutzenhardt : le 23 septembre, L’Est Républicain porte l’affaire sur la place publique – pas celle des réseaux, dont il faut se méfier comme la peste, rappelons-nous. Le journal publie deux articles aussi cloisonnés qu’ont pu l’être deux univers : celui des doctorantes victimes et celui d’une administration qui n’a pas su les aider.

      La mise en page, pour qui serait sensible à l’énonciation typographique, donne toutefois bien l’impression que le monsieur dont on voit la photo est un peu cerné par le texte qui se referme sur lui : c’est celui qui est consacré à Camille. La journaliste, quant à elle, adopte professionnellement l’anonymat de rigueur ; mais cette page exprime finalement bien plus que ce nom de l’enseignant-chercheur dont, désormais, tout le monde a pu prendre connaissance par soi-même.

      Rendons d’abord compte de l’article consacré à Camille Zimmermann : « Harcèlement à l’université : le “j’accuse” d’une doctorante » s’ouvre sur le résumé des deux affaires, puisqu’il y en a bien deux :

      Longtemps étudiante puis thésarde à la faculté de lettres, Camille Zimmermann a dénoncé, sur les réseaux sociaux, l’emprise son directeur de thèse, qui l’a poussée à quitter la fac. L’université a ouvert une double enquête interne suite au suicide d’une autre doctorante.

      L’article met ses pas dans ceux de Camille, et relate d’abord la manière dont les réseaux ont pu relayer sa parole :

      Dans ce récit largement partagé sur Facebook et Twitter, et repris sur divers blogs spécialisés…

      Le contraste est net avec la méfiance du président, indistinctement adressée aux « réseaux ». L’article se met ensuite à l’écoute de Camille et rapporte les grandes lignes de son témoignage publié sur Medium : la complexité du rapport de genre et de la relation pédagogique, et le caractère insidieusement toxique de la relation entre le professeur et l’étudiante. Les intertitres du journal soulignent le fonctionnement pervers de ce système binaire :

      « Processus de #marginalisation », pour résumer l’emprise, les abus du professeur, l’isolement de la victime ;
      https://academia.hypotheses.org/26261

      « Manque d’écoute de la “cellule harcèlement” », pour résumer la loi du silence dans – grâce à – laquelle tout cela peut continuer.

      Car le journal donne la parole à d’autres personnes, après avoir rapporté le témoignage de Camille :

      Depuis ce témoignage sur les réseaux, rapidement ébruité dans les couloirs et les amphis de la faculté, des langues se sont déliées. D’autres ont signalé les agissements du professeur mis en cause – suspendu actuellement, et présumé innnocent – autant que la nocivité d’une organisation plaçant parfois les thésards dans une impasse.

      “Quand cela se passe mal, il est compliqué de changer de directeur de thèse, de crainte d’être blacklisté. Un directeur a tous les pouvoirs, et il a un réseau. Parfois, c’est du chantage au poste”, témoigne cette autre ancienne doctorante, qui, elle aussi, était suivie par le professeur incriminé. Et a également abandonné sa thèse pour les mêmes raisons que Camille Zimmermann.

      On apprend donc ici, sous la plume d’un journal qui n’est pas né de la dernière pluie et sait parfaitement ce qu’il fait en imprimant ces mots, qu’une troisième affaire pourrait exister. Le touitt’ du 14/9 était révoltant ; cette information-ci est accablante : l’administration n’a pas voulu les aider.

      Pour ce qui est de l’administration, qu’apprend-on ? L’article titre sur les suites données aux affaires : « Double enquête et enseignant suspendu ». Pourquoi deux enquêtes ? Parce que deux affaires, en fait. Et peut-être même bien trois, comme la presse le suggère. L’une des enquêtes se fait sous l’égide du Comité Hygiène, Sécurité et Conditions de Travail (CHSCT) et n’a pas vocation à déboucher sur des sanctions mais sur des « préconisations ». En prenant son temps, prévient le président de l’université :

      « il semblerait que la relation entre cette jeune fille, décrite comme fragile, et son encadrant, n’était pas saine et pas normale », résume Pierre Mutzenhardt, président de l’Université de Lorraine. Ce possible « lien de causalité » étant à l’origine de l’enquête du CHSCT, qui devrait être « plutôt longue ». « Elle portera sur les conditions de travail ayant pu conduire la doctorante à mettre fin à ses jours, et devra déboucher sur des préconisations ».

      Au temps pour cette voie de prise en charge, la seule sur laquelle il existe actuellement des sources partageables et consultables, en l’espèce : l’ordre du jour du CHSCT du 11/9. C’est celle qui porte, je le rappelle, sur le suicide survenu pendant l’été. Tournons-nous vers l’autre enquête :

      Ce sont d’autres témoignages, écrits, émanant de deux autres doctorantes et mettant en cause ce même directeur, qui ont conduit à l’ouverture de l’enquête administrative. « Il s’agira, par des audits contradictoires, de voir s’il y a bien harcèlement ou pas », poursuit le président. « Néanmoins, il y avait assez d’éléments pour que cet enseignant soit suspendu, pour trois semaines car on ne peut pas suspendre quelqu’un plus d’un mois. » Les premières conclusions sont attendues fin septembre/début octobre. « J’aviserai alors s’il faut envisager des sanctions disciplinaires, qui peuvent aller du blâme à l’exclusion, ou ne pas donner suite. »

      On a donc bien trois affaires, si l’on compte toujours, et deux enquêtes : l’une portant très globalement sur les « conditions de travail », l’autre portant plus clairement sur l’enseignant-chercheur. Face à la presse, les témoignages écrits semblent désormais assez graves pour que le président Mutzenhardt ne fasse plus passer la décision de suspendre ce dernier pour une mesure de protection « y compris de lui-même », comme dans le mail du 11/9 qui avait heurté tant de monde. Il s’excuse même par avance de ne pas pouvoir le suspendre plus de 3 semaines ; mais que se passe-t-il après ? Des actions décidées par le président. On se demande si, comme dans une affaire récente, ça se passera « d’homme à homme »… Et un signalement au procureur ? La suite de l’article l’évoque : « Il ne faut pas hésiter à formaliser, en saisissant le procureur de la République. » Et l’article se clôt sur « il faut oser dire les choses ». Nous voilà rassuré·es !


      Eh bien peut-être faut-il rester patient·es quand même. Le 30 septembre, à 11h26, une semaine après la parution de ces deux articles, alors qu’on attend toujours les résultats de l’enquête administrative, le président Mutzenhardt envoie à nouveau un mail à ses collègues. Cette fois, c’est sur la liste de tous les personnels, pas que les ALL-SHS ; mais ça ne sort pas de l’université de Lorraine. Academia en reçoit une copie :

      J’ai vu que vous aviez suivi cette affaire avec intérêt. Donc pour votre information, voici ce que l’on a reçu aujourd’hui
      « Au début du mois d’août, une doctorante de l’Université de Lorraine a mis fin à ses jours à l’extérieur de l’université, en mettant en cause les modalités de direction de sa thèse au sein de son laboratoire de rattachement. Il s’agit, quelles que soient les circonstances, d’une tragédie. J’ai mobilisé les services de l’établissement dès sa réouverture le 17 août et j’ai proposé au comité d’hygiène, de sécurité et des conditions de travail (CHSCT) de réaliser une enquête sur les conditions de travail dans le laboratoire concerné. En parallèle, des témoignages sont parvenus à l’université début septembre (que je ne confonds pas avec des déclarations sur les réseaux sociaux). Ils m’ont amené à diligenter une enquête interne administrative et à suspendre de manière conservatoire le directeur de thèse concerné. Les enquêtes sont actuellement en cours. »

      Cette obsession pour les réseaux sociaux a quelque chose d’inquiétant. C’est pourtant bien l’un d’eux qui a mis en alerte la communauté universitaire, et non la communication de l’UL, qui s’obstine à rester dispersée, laconique, et surtout compartimentée.

      Quels sont donc ces « témoignages arrivés début septembre » ? Sont-ils ceux de Camille Zimmermann, enfin entendus, alors que ses premières plaintes remontent à 2019 ? Sont-ils ceux de cette troisième étudiante dont L’Est Républicain a retranscrit les paroles ?

      On est le 1er octobre : on en saura bientôt plus. Le président Mutzenhardt l’a promis…

    • Une #cagnotte en ligne pour récolter de l’argent pour les frais d’avocat de #Camille_Zimmermann :

      Il y un peu plus d’un an, je publiais sur les réseaux un texte qui dénonçait les violences que j’avais connues au sein de l’Université française et qui avaient poussé au suicide mon amie #Scylla. J’y ai « caché » le nom de mon ancien directeur, non pas pour le protéger, mais pour tendre à une forme d’"universalité" parce que je savais que ces violences n’étaient pas une exception mais monnaie courante dans le monde de la recherche. Des violences dont les victimes sont, comme souvent, principalement les personnes les plus en situation de précarité.

      Ma lettre ouverte a eu un fort retentissement dans le milieu, partagé plus d’un millier de fois, sans compter les envois par listes de diffusion internes. Il a, je crois, aidé la libération d’autres paroles qui ont suivi peu de temps après. J’ai reçu aussi plus d’une centaine de messages de soutien, de remerciement, de solidarité, d’assurance que ma voix avait eu un écho et que des projets avaient été montés.

      J’en ai été touchée et reconnaissante, car c’est là la raison pour laquelle j’ai fait cette démarche extrêmement couteuse émotionnellement : l’espoir qu’elle aide à bouger les lignes.

      Aujourd’hui, j’ai à nouveau besoin de votre soutien, économique cette fois-ci. Une procédure pénale a suivi celle interne, et je vais devoir être assistée d’un avocat pour continuer.

      Les raisons de ma cagnotte

      Ma démarche est depuis ses débuts pensée pour le collectif, pour qu’elle serve à un maximum de monde possible. Il n’a néanmoins pas toujours été facile d’en être le visage, et j’ai subi intimidations, plainte pour #diffamation, tentatives de me décrédibiliser, #slut-shaming etc. qui font qu’aujourd’hui je suis éreintée et ai plus que jamais besoin de vous, d’être moi aussi soutenue collectivement. J’ouvre ce pot commun car payer de ma propre poche ces frais me prendrait plusieurs mois et m’obligerait à renoncer à des projets d’avenir alors que j’ai déjà sacrifié beaucoup de choses depuis le début de cette affaire – mes espoirs de carrière et une part de ma santé mentale notamment. Je commence seulement à retrouver un horizon, et je ne me sens pas capable de le plomber par cette charge financière.

      Plus simplement et comme depuis le début, je ne peux pas avancer seule, émotionnellement mais aussi, désormais, financièrement.

      Le montant de ma cagnotte

      Mes besoins aujourd’hui sont de 500€. Cette première cagnotte permettra de couvrir les premières procédures et consultations.

      Si cette somme est dépassée, l’intégralité des fonds sera reversée au Cha-U, association qui s’est créée au cours de l’année passée au sein de l’#Université_de_Lorraine et qui œuvre à combattre le harcèlement dans l’enseignement supérieur mais aussi à en penser les origines et structures afin de mieux l’éradiquer.

      Si l’enquête débouche sur un procès, une nouvelle cagnotte sera ouverte pour couvrir les frais lui étant liés, qui s’élèveront à une somme entre 1200 et 1500€.

      Si vous en avez la possibilité et que vous souhaitez mettre votre contribution, quel que soit son montant, je vous envoie toute ma gratitude. Si vous êtes précaire et ne pouvez pas m’aider, votre soutien moral compte aussi énormément.

      https://www.onparticipe.fr/cagnottes/yAk2mVjD

  • Pétition · Libération immédiate de Amélie H. alias « Marie Acab-land · Change.org
    https://www.change.org/p/emmanuel-macron-libération-immédiate-de-amélie-h-alias-marie-acab-land

    [Versailles : Amélie H. alias « Marie Acab-land » condamnée à 8 mois de prison ferme et écrouée.

    Placée en garde à vue ce lundi au commissariat de Versailles (Yvelines), Amélie H. également connue sous le nom de « Marie Acab-land », a été déférée et jugée en comparution immédiate ce mercredi au tribunal correctionnel.

    Accusée d’espionner et de suivre des policiers depuis de nombreuses semaines, Amélie H. avait été interpellée ce lundi soir vers 19h30 alors qu’elle suivait des enquêteurs de la police judiciaire de Versailles (SRPJ) en les filmant et en « haranguant la foule ». La mise en cause fichée S (sûreté de l’État) et proche de l’extrême-gauche, était également visée par une plainte d’un autre policier.

    Amélie H., 21 ans, a été condamnée ce mercredi à 8 mois de prison ferme par le tribunal correctionnel de Versailles pour des violences psychologiques sur personnes dépositaires de l’autorité publique. La prévenue a été écrouée puisqu’un mandat de dépôt a été délivré à son encontre. Elle a également écopé d’une interdiction de paraître dans le département des Yvelines.

    ok...
    #violences_psychologiques_sur_personnes_dépositaires_etc

    croisé ça, (et halluciné (8 mois ferme pour des photos ?)) mais il y a peut-être d’autres sources.

  • Les syndicats font la police dans les tribunaux

    https://www.liberation.fr/france/2019/06/13/les-syndicats-font-la-police-dans-les-tribunaux_1733613

    Les deux plus grosses organisations de policiers maintiennent une pression constante sur les juges et les politiques.

    Il y a le ton outragé : « Un policier renvoyé aux assises, mais comment des juges ont-ils pu prendre une telle décision ? » (Unité SGP-Police). La mise en garde : « Attention, nous n’accepterons pas que nos collègues servent de boucs émissaires pour satisfaire une idéologie antiflics » (Alliance police nationale). La menace nette et sans bavure : « Si nos collègues venaient à être injustement condamnés, nous saurons ce qu’il nous reste à faire… et notre colère, personne ne pourra la contenir » (Alliance encore).

    Ces communiqués, les deux syndicats, qui représentent les deux tiers de la profession, les ont rédigés après l’interview accordée par le procureur de Paris, Rémy Heitz, au Parisien le 31 mai. Que disait le magistrat ? Rien de tonitruant, à part que pour la police aussi, la justice passera. « Je veux être très clair : il n’y a aucune volonté de ma part d’éluder les violences [commises par les forces de l’ordre, ndlr] ou de les minimiser. […] Toutes les procédures vont être analysées avec beaucoup d’attention. Il y aura des classements sans suite. Il y aura aussi des renvois de policiers devant le tribunal correctionnel d’ici à la fin de l’année. » D’où cette question : les syndicats de police sont-ils contre l’Etat de droit que leur profession est pourtant censée garantir ?

    Ce rapport de force, les organisations l’ont de tout temps entretenu. En son for intérieur, chaque juge ou presque garde en mémoire ce jour ou des policiers ont roulé des mécaniques devant leur tribunal , après une décision peu appréciée. « Lorsqu’un policier est mis en cause pour une bavure, les syndicats vont à la fois se mobiliser sur la reconnaissance de la légitime défense, mais aussi protester contre les décisions des juges. Le moindre regard de la justice sur un événement déclenche des colères. Les policiers veulent une présomption d’usage légitime de la force », observe Vanessa Codaccioni, maîtresse de conférence à l’université Paris-VIII. Son confrère Fabien Jobard, chercheur au CNRS, dressait le même constat en 2016 dans la revue Esprit, ajoutant tout le sel de l’affaire : « Récurrentes, presque mécaniques, les colères policières sont de celles qui font immanquablement peur au politique. Parce qu’elles s’articulent à une rhétorique systématique de retrait, de vacance de la force publique, les gouvernements leur prêtent d’emblée une écoute inquiète. »

    Voilà qui tombe parfaitement dans le mille. Depuis 2014, la menace terroriste est si forte que la Place Beauvau ne peut se permettre aucun coup de canif dans le contrat. A ce titre, il est d’ailleurs impressionnant de noter à quel point le ministre de l’Intérieur, Christophe Castaner, et son secrétaire d’Etat, Laurent Nuñez, multiplient les soutiens appuyés aux troupes.

    Le mouvement des gilets jaunes a complexifié la donne, certains bleus ayant parfois envisagé de déposer le casque, étranglés eux aussi par un salaire chiche, des heures pléthoriques et un avenir morose. En cas de renvois massifs, certains syndicats agitent déjà le spectre d’un débrayage des officiers de police judiciaire, qui refuseront alors d’exercer le moindre acte de procédure. C’est dire si l’avis de tempête s’avère sérieux.

    Pour autant, ce type de discours tétanise-t-il les juges ? « Non », rétorquent plusieurs magistrats à Libération. « Les syndicats de police sont en quelque sorte dans leur rôle », estime Sarah Massoud, du Syndicat de la magistrature. En 2012, alors en poste au parquet, elle avait vu 200 policiers déferler devant le tribunal d’Evry après des réquisitions qu’ils estimaient trop clémentes contre des prévenus pour outrage et violences contre des policiers. « En pareil cas, il est primordial que la chancellerie sorte du bois et nous exprime son soutien, insiste la magistrate. Notre indépendance doit être systématiquement protégée et garantie. C’est la condition pour que des décisions courageuses continuent d’être prises. »
    Willy Le Devin , Ismaël Halissat

    Est-ce que les juges et magistrat·es ont un moyen de se protégé du chantage et des menaces des policiers et de leurs syndicats ?

    #impunité #injustice #etat_policier #menace #chantage #syndicat

  • TW TW TW violences sur enfants, #maltraitance

    « Ce n’est pas si grave après tout »
    « Il y a pire ailleurs »
    « D’autres souffrent plus que moi »
    Voilà le genre de phrases que j’aurais pu dire, il y a encore quelques temps et il m’arrive encore de le penser aux moments down de ma dépression.

    Je me taisais et souffrais en silence.
    N’étant même pas sûr-e de ma légitimité à me plaindre, comment est-ce que j’aurais pu le faire comprendre à d’autres ?
    Surtout que ce qui n’aidait pas c’est que ce n’était pas visible et quand je commençais à me plaindre , on me rappelait sans cesse qu’il y avait pire.
    Mais maintenant, j’ai choisi de parler et je ne compte plus m’arrêter
    Je ne compte plus me taire ni me laisser intimider (plus facile à dire qu’à faire).
    http://viedelamia.canalblog.com/archives/2015/12/18/33084204.html
    #stopVEO #dyspraxie #hiérarchisation #minimisation #psychophobie #souffrance #violences #fessée #violences_psychologiques #chatiments_corporels

  • La France condamnée pour ne pas avoir interdit gifles et fessées
    http://www.lemonde.fr/societe/article/2015/03/02/la-france-condamnee-pour-ne-pas-avoir-interdit-gifles-et-fessees_4585986_322

    La sanction est tombée. Le Conseil de l’Europe – l’organisme européen de défense des droits de l’homme – estime, dans une décision qui doit être rendue publique mercredi 4 mars, que le droit français « ne prévoit pas d’interdiction suffisamment claire, contraignante et précise des #châtiments_corporels ». De ce fait, elle viole l’article 17 de la Charte européenne des droits sociaux dont elle est signataire, qui précise que les Etats parties doivent « protéger les #enfants et les adolescents contre la négligence, la violence ou l’exploitation ».

    Aucune amende n’est prévue, mais le symbole est important.

    poum poum

    Certains observateurs craignent qu’une loi bannissant les châtiments corporels ne sape l’autorité des parents à un moment où celle-ci est déjà mise à mal.

    poum poum

    Une loi poserait en outre des problèmes concrets d’application. Et ne prendrait pas en compte les #violences_psychologiques, sur lesquelles il est impossible de légiférer. Jusqu’à présent, le gouvernement s’est toujours gardé d’aller sur le terrain de la loi. Quand des amendements législatifs ont été déposés, l’exécutif a appelé de ses vœux une « prise de conscience » des dégâts causés par les violences éducatives, mais a rejeté toute évolution du droit.

    #fessée #gifle et ironiquement #impunité